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Il trauma psicologico, Iacolino (2016), Sintesi del corso di Psicologia Clinica

Nuove frontiere di ricerca Franco Angeli Editore, Milano 2018. (cap.:1, 2, 6).

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 16/02/2020

Elena9088
Elena9088 🇮🇹

4.5

(189)

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Scarica Il trauma psicologico, Iacolino (2016) e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Clinica solo su Docsity! IL TRAUMA PSICOLOGICO Nuove frontiere di ricerca CAPITOLO 1 IL CONCETTO DI TRAUMA PSICOLOGICO 1. LE ORIGINI DEL TRAUMA PSICHICO 1.1 IL TRAUMA PSICHICO NELLE EPIDEMIE DI PESTE Gli effetti devastanti, sull’individuo e sulla collettività, causati dall’esperienza di un evento catastrofico è da sempre presente nella storia dell’uomo. Importanti sono gli studi del comportamento durante le pestilenze, quando i singoli e le comunità venivano travolti da un’angoscia di morte imminente che ne intaccava gli equilibri e la funzionalità. 1.1.1 EPIDEMIE DI PESTE E TRAUMA PSICHICO. L’ETA’ MEDIEVALE La peste, che aveva infuriato nel bacino del Mediterraneo tra il VI e VIII secolo a intervalli di 9-10 anni, era poi scomparsa per riapparire con rara violenza nel 1348. Tra il 1348 e il 1350 morì un terzo della popolazione europea. Chi sopravviveva alle pestilenze aveva quasi sempre un trauma psichico profondo, sia perché in brevissimo tempo aveva perduto amici e parenti, sia per il raccapricciante spettacolo di sofferenze e di devastazione a cui aveva assistito impotente. Così accadeva che a un nuovo approssimarsi del periodo di epidemia molti, ormai traumatizzati, reagissero con atti di follia determinati dal delirio e dalla disperazione. Sia Defoe che Manzoni, nel descrivere l’uno la peste di Londra del 1665 e l’altro quella di Milano del 1630, parlano di disperazione e di gesti individuali aberranti dettati da uno stato di angoscia continua. Gli spettacoli dei cadaveri accumulati, privi di sepoltura, dilaniati dai cani, spingevano alcuni appestati o non a darsi la morte in fosse da essi stessi scavati. Il terrore del contagio e della morte condizionava completamente la vita individuale e collettiva. Singoli e collettività erano mossi dall’istinto di autoconservazione e dalla spinta alla sopravvivenza. La forza della paura e della disperazione rappresentavano il motore di ogni comportamento. 1.1.2 EPIDEMIE DI PESTE E TRAUMA PSICHICO. I FENOMENI DELL’800 Gli studi e le ricerche dei frenologi del XIX secolo, mostrano una profonda consapevolezza dell’esistenza del trauma psichico, delle sue manifestazioni e dei suoi fattori scatenanti. Essi credono che alcuni eventi possono agire in maniera dirompente sugli assetti psichici dell’individuo e modificarli. 2. LO SVILUPPO DEL CONCETTO DI TRAUMA PSICHICO IN EPOCA MODERNA La scienza ha sempre ignorato la sofferenza psichica causata dall’impatto con un evento sconvolgente. Solo nella metà del 1800 maturano in ambito neurologico nuove teorie sui nervi e sui sintomi che cambiano radicalmente il modo di interpretare i sintomi e la sofferenza. Uno dei grandi concetti che acquisisce subito un grande rilievo clinico è l’idea che i tessuti siano “eccitabili”. Con l’affermarsi di questo concetto i medici cominciarono a non chiedersi più se la persona presenta uno squilibrio negli umori, ma se il sistema nervoso non sia troppo “eccitato”. Ciò fece sorgere la tendenza a spingere molti quadri clinici con diagnosi che ruotavano intorno alle condizioni della spina dorsale. La più frequente di queste diagnosi fu quella di “Railway spine sindrome” (sindrome della spina dorsale da ferrovia o Sindrome da irritazione spinale), una diagnosi di grande successo che venne utilizzata sistematicamente per centinaia di casi a partire dalla metà dell’800 per diagnosticare i grandi quadri clinici di carattere psicologico presenti dai passeggeri coinvolti nei grandi incidenti ferroviari dell’epoca. La “sindrome della spina dorsale” contemplava: ansia, stanchezza, disturbi del sonno, irritabilità, incubi, disturbi della memoria. I clinici di quel tempo ritenevano che il tutto fosse da riferire a conseguenze riportate dalla colonna vertebrale del soggetto o dal suo sistema nervoso centrale. Nel 1883 il chirurgo inglese Herbert Page pubblica “Senza lesioni meccaniche apparenti”, una monografia sugli incidenti ferroviari in cui sostiene che i sintomi della spina dorsale da ferrovia hanno un’origine di natura psicologica e che si sono commessi tanti errori nella diagnosi. La monografia di Page evidenzia anche 1 la centralità del concetto “shock nervoso”, ossia di forte turbamento emozionale che scatena la sintomatologia psicopatologica secondaria agli incidenti ferroviari. Quindi con Page il trauma psichico comincia il suo cammino nella ricerca scientifica moderna. Da questo momento vari autori incominciarono a discutere la natura dei disturbi indotti dalla paura, tra questi vi è, nel 1884, Adolf Strumpell, che introduce per la prima volta la nozione di “trauma psichico” e l’angoscia che incide successivamente sull’equilibrio psichico del soggetto. Il dibattito scientifico portò all’idea che i quadri psicopatologici conseguiti ai gravi incidenti ferroviari non fossero da attribuire a compromissioni spinali ma al terrore e alla paura di morte provati dal soggetto. Egli propose nel 1883 di considerare la nevrosi traumatica come malattia puramente psichica. L’anno dopo, Robert Sommer, coniò la nozione di “psicogenesi”. Egli definiva come psicogenesi tutti quei disturbi che erano stati prodotti da rappresentazioni e potevano essere guariti da rappresentazioni. Al neurologo Herman Oppenheim si deve la categoria diagnostica, introdotta nel 1888, di “nevrosi traumatica”, con cui il quadro post-traumatico è riportato nell’ambito della nevrosi. Egli ipotizza un trauma psichico (cioè uno spavento) che poteva avere conseguenze durature proprio grazie al disturbo nervoso funzionale. Con Oppenheim si realizza un passo indietro e si torna alla railway-spine, secondo cui il trauma psichico sarebbe secondario a danni organici di carattere prevalentemente neurologico. Secondo questa posizione, determinano il quadro psichico post-traumatico non il terrore e lo sconvolgimento, ma “sottili modificazioni molecolari che hanno luogo nel sistema nervoso centrale”. Con Oppenheim la sua nevrosi traumatica ebbe il riconoscimento di malattia avente diritto alla pensione di invalidità. A partire dal 1859, i rimi studi effettuati in Francia dallo psichiatra Briquet sul rapporto tra esperienze traumatiche infantili ed isteria misero in evidenza la correlazione tra trauma infantile e sviluppo successivo di un quadro isterico. Con gli studi di Briquet, l’isteria comincia a cambiare radicalmente il suo volto, e da malattia femminile dovuta alle “migrazioni dell’utero” o “malattia della simulazione” o “malattia dell’attacco compulsivo”, diventa una malattia dell’emozione. Briquet dice, infatti che “L’isteria è una nevrosi dell’encefalo i cui fenomeni apparenti consistono principalmente nella perturbazione degli atti che servono alla manifestazione delle sensazioni affettive e delle passioni”. Anche se gli studi di Briquet sono molto importanti perché danno inizio al nuovo modo di vedere l’isteria, gli studi che hanno proiettato l’isteria in una luce completamente diversa ed hanno aperto nuovi orizzonti alla ricerca e alla terapia psicologica, cominciano con Jean Martin Charcot ed i suoi allievi (1870-1893). È il neurologo francese Charcot ad essere ritenuto il patriarca degli studi sella reazione tra isteria e malattia mentale. Come ci ricorda Herman: il suo regno era la Salpetrière, un vecchio enorme complesso ospedaliero, da lungo tempo ricovero del più svariato proletariato parigino: mendicanti, prostitute, e malati di mente. Charcot trasformò questo ospedale per miserabili in un tempio della scienza moderna e gli uomini più dotati e ambiziosi delle nuove discipline della neurologia e della psichiatria andavano a Parigi a studiare presso di lui. Tra questi vi era Sigmud Freud. Le pazienti erano giovani donne che avevano trovato rifugio alla Salpetrière da una vita fatta di violenze, sfruttamento e stupri continui. L’ospedale dava loro più sicurezza e protezione di quanta ne avessero mai conosciuta. Charcot si concentrò sui sintomi dell’isteria che imitavano danni neurologici: paralisi motorie, perdite di sensibilità, convulsioni e amnesie e nel 1880 dimostrò che questi sintomi erano psicologici perché potevano essere indotti artificialmente e risolti attraverso l’uso dell’ipnosi. Riguardo le isterie, le paralisi, le contratture, i mutismi o le anoressie, Charcot dimostrava la possibilità di riprodurre fatti identici tramite suggestione, l’utilità del trattamento mediante isolamento, e indicava le influenze patologiche che modificavano non solo lo stato fisico ma anche quello mentale patologico dell’isteria. L’isteria era una condizione causata da un trauma psichico. Insopportabili reazioni emotive a eventi traumatici producevano un alterato stato di coscienza, che a sua volta induceva i sintomi isterici. Charcot comprese che l’evento traumatico induceva lo “choc nerveux”, ossia uno stato alterato di coscienza. Con i contributi di questa scuola assistiamo all’affermarsi del paradigma psicologico; ma, dopo la morte di Charcot (1893), solo qualche anno dopo non restava traccia di tutto quello che era accaduto alla Salpetrière nel ventennio precedente. 2 In questo contesto culturale operava anche lo psichiatra inglese Lewis Yealland che nel suo trattato del 1918, Hysterical disordes of warfare, sosteneva: l’opportunità di una strategia di trattamento basata su umiliazioni, minacce e punizioni. I sintomi isterici come il mutismo, la perdita di sensibilità o la paralisi motoria erano trattati con l’elettroshock… In un caso, Yealland riferì di aver trattato un paziente mutacico legandolo a una sedia e applicandogli gli elettrodi alla gola; il trattamento di elettroshock proseguì senza tregue per ore finché il paziente parlò. Molti uomini che colpiti dalla cosiddetta sindrome da “shell shock” (sindrome da bombardamento) continuarono a vagare nei paesi europei; la gente comune li chiamava “scemi di guerra”. Durante la guerra di trincea il numero di vittime psichiatriche fu così elevato che fu necessario requisire rapidamente ospedali destinati ad accoglierli. Le autorità militari cercarono di occultare i referti sulle vittime psichiatriche per gli effetti demoralizzanti che avrebbero avuto sull’opinione pubblica. Alla fine della Grande guerra andava affermandosi il trauma psichico da conflittualità interna, ma il trauma psichico da evento esterno sembrava essere scomparso, come se nulla fosse rimasto di tanti studi precedenti. 3.2 LA SECONDA GUERRA MONDIALE. PREVEDERE-PREVENIRE-CURARE I TRAUMI PSICHICI DA COMBATTIMENTO All’inizio della seconda guerra mondiale vennero attivati dei piani di ricerca per individuare i fattori capaci di prevenire l’istaurarsi del trauma da combattimento e per delineare programmi di trattamento per i casi in cui si era già determinato un trauma psichico. Gli studiosi americani più importanti furono coinvolti in questo programma di ricerca. Queste ricerche e questi cambiamenti di procedura portarono ad una rapida riconferma delle osservazioni di Kardiner (1941), il quale durante i suoi molti anni di lavoro con i reduci della prima guerra mondiale era arrivato ad una visione delle nevrosi di guerra come trauma da evento esterno che determinava risposte condizionate persistenti e tali da modificare profondamente la personalità del soggetto. Si cominciò ad affermare che qualunque uomo può avere un crollo su un campo di battaglia. Proprio per proteggere i soldati dalle angosce successive ad azioni di combattimento di particolare impatto emotivo, presero avvio le sedute post-operative di gruppo, nate con il generale G.C. Marshall e poi divenute con il nome di “debriefing” una forma di sostegno e protezione della salute psichica dei soldati. Con la seconda guerra mondiale si assiste quindi alla rinascita del trauma da evento esterno reale. Un ambito che contribuì non poco a questa rinascita furono le atrocità dei campi di sterminio. Nel 1968 Rappaport, per evidenziare che le atrocità della seconda guerra mondiale e gli errori dell’olocausto non avevano intaccato in nessuna misura il rifiuto della realtà come fattore traumatico, scrisse sull’International Journal of Psycho-Analysis che gli eventi esterni, non importa quanto sconvolgenti essi siano, possono far precipitare una nevrosi solo quando urtano dei conflitti inconsci specifici. 3.3 LA GUERRA DEL VIETNAM. LA RICHIESTA DI CURE E DI DIGNITA’ PER LE FERITE PSICHICHE DA COMBATTIMENTO Dopo la fine della seconda guerra mondiale, furono messe rapidamente da parte e dimenticate le conoscenze acquisite sulle nevrosi di guerra o sui traumi psichici da combattimento. Pur essendoci una guerra in corso, nel 1968, in pieno conflitto con il Vietnam, il trauma da guerra era considerato così raro che l’Associazione Psichiatrica Americana eliminò dalla nuova edizione del suo manuale di diagnostica ufficiale ogni menzione di disturbo da stress. Ma poco dopo la pubblicazione di quel manuale, un enorme numero di soldati americani, emotivamente provati dal servizio in Vietnam, cominciò ad affollare i centri di assistenza. Ci vollero altri 12 anni e la revisione del manuale ufficiale di diagnostica psichiatrica del 1980, perché le sofferenze dei reduci del Vietnam fossero formalmente riconosciute ed etichettate come Disturbo da Stress Post-Traumatico. Come accade subito dopo ogni guerra, la società non era pronta ad accogliere e curare adeguatamente i reduci e tra disorganizzazioni, impreparazione, tensioni e malcontenti le condizioni cliniche dei reduci psichicamente traumatizzati si acuiscono e in loro si determina un vissuto di abbandono da parte della collettività. Questa situazione spinse un gruppo di reduci del Vietnam ad uno sforzo organizzativo che si concretizzò nella nascita di un’organizzazione chiamata “Vietnam Veterans against the war”. I veterani del Vietnam diedero luogo ad un’organizzazione indipendente ed autonoma che poteva essere più attenta ai loro bisogni psicologici ed alle loro sofferenze da trauma. L’associazione dei veterani diede luogo 5 ai “Rap group”, che consistevano in una sorta di gruppo di auto-mutuo aiuto tra pari, con i leader (psichiatri) che partecipano all’attività dei gruppi. Lo scopo dei Rap group era duplice: a livello individuale volevano dare sollievo ai veterani che soffrivano di trauma psichico; a livello sociale, volevano suscitare consapevolezza circa gli effetti della guerra. La testimonianza che emerse da questi gruppi richiamò l’attenzione pubblica sulla persistenza delle ferite psichiche da combattimento. Queste nuove sensibilità portarono nel 1980 l’American Psychiatric Association ad includere nel suo manuale ufficiale dei disturbi mentali (DSM-III) una nuova categoria diagnostica denominata “Disturbo Post-Traumatico da Stress”. Con questa inclusione del trauma psichico da evento esterno destabilizzante nel DSM-III, prende avvio un nuovo lungo cammino del trauma psichico che arriva fino ai giorni nostri senza più disconferme e negazioni. 3.4 L’EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI TRAUMA NEL DSM 5 Il DPTS è stato inserito ufficialmente nel manuale diagnostico dell’American Psychiatric Association nel 1980, per indicare una patologia che insorge acutamente in conseguenza dell’esposizione ad eventi stressanti di gravità estrema che mettono a repentaglio la propria o altrui incolumità. Da qualche anno le situazioni in grado di portare allo sviluppo del DPTS sono aumentate, mantenendo nel DSM-IV il riferimento alla “gravità oggettiva estrema” della situazione. I soggetti con DPTS rimangono incastrati nel ricordo terrifico incapaci di concentrarsi sul presente. Il disturbo è caratterizzato dalla continua intrusione nella coscienza di ricordi dolorosi a cui segue una forte attivazione fisiologica con relativi tentativi di impedire il riaffiorare dei ricordi attraverso strategie di evitamento attivo e passivo. Questo schema di intrusione ed evitamento porta ad un progressivo peggioramento dei sintomi creando nel soggetto delle disabilità nella conduzione della propria vita quotidiana. Una caratteristica fondamentale del DPTS è prendere in considerazione la causa o le cause che hanno generato l’evento singolo o ripetuto, le quali devono essere rilevate per poter diagnosticare il disturbo. I fattori che possono favorire lo sviluppo di un DPTS sono:  Una vulnerabilità genetico-costituzionale a malattie psichiche;  Traumi infantili;  Alcune caratteristiche di personalità;  Recenti stress o cambiamenti;  La mancanza di un adeguato sostegno sociale;  Grave e recente abuso di alcol;  Locus of control esterno. Il quadro sintomatico del DPTS può essere raggruppato in 3 parti: 1. La risperimentazione del trauma, attraverso ricordi, sogni, flashback a carattere intrusivo e ricorrente, a livello percettivo e affettivo; 2. L’evitamento di tutte le situazioni che rievocano l’evento traumatico fino ad uno stato dissociativo che comporta un senso di distacco ed estraniamento; 3. L’iperattivazione che si manifesta con la difficoltà a modulare il grado di arousal anche di fronte a sollecitazioni ambientali di lieve entità. L’approccio categoriale multiassale del DSM-IV-TR, guida verso omogenee scelte terapeutiche e linee di ricerca con categorie troppo ristrette, mentre l’approccio dimensionale si rende necessario per cogliere meglio le sfumature che separano le diverse entità cliniche, ecco sorgere nel DSM 5 un processo di definizione meno rigido e più largamente fondato sull’identificazione delle dimensioni psicopatologiche. Con l’arrivo del nuovo DSM 5 il concetto di trauma viene ridefinito nell’area dei Disturbi correlati a eventi traumatici e stressanti: molti individui che sono stati esposti a un evento traumatico o stressante mostrano piuttosto che sintomi basati sull’ansia o sulla paura, sintomi anedonici e disforici, sintomi di rabbia e di aggressività esternalizzate oppure sintomi dissociativi. A causa della variabilità dell’espressione della sofferenza clinica che si verifica in seguito all’esposizione a eventi catastrofici o avversi, i disturbi precedentemente menzionati sono stai raggruppati in una categoria a parte: disturbi correlati a eventi traumatici e stressanti. 6 All’interno della categoria Disturbi Correlati a eventi traumatici e stressanti comprende:  Disturbo reattivo dell’attaccamento;  Disturbo da impegno sociale disinibito;  Disturbo da stress post-traumatico (DSPT);  Disturbo da stress acuto;  Disturbi dell’adattamento. Molto importante è anche l’introduzione del nuovo DSM di un sottotitolo di DPTS dedicato esclusivamente all’infanzia, fino ai 6 anni (il Post-Traumatic Stress Disorder in Preschool Children). Questo è stato integrato dopo una revisione degli studi durata più di 15 anni, dove si sono evidenziate delle difficoltà di diagnosi per l’infanzia con criteri del DPTS nel DSM-IV. I criteri proposti sono in parte simili a quelli degli adulti, una delle particolarità risiede nel fatto che il DPTS potrà essere diagnosticato prima dei 6 anni di età. Inoltre, un altro elemento caratterizzante è l’inclusione del criterio relativo al disagio clinicamente significativo o alle menomazioni nei rapporti con i genitori, fratelli o coetanei e altri caregiver e di disagio in ambito scolastico. Bessel Van der Kolk distingue 3 differenti categorie di eventi traumatici: 1. Quelli con durata limitata nel tempo, come per esempio un incidente o uno stupro, caratterizzati dall’imprevisto e dall’intensità dell’evento; 2. Si riferisce a situazioni sequenziali con possibile effetto cumulativo (è il caso, ad esempio, di coloro che lavorano in condizioni di continua emergenza quali le forze dell’ordine); 3. Vi sono quelli caratterizzati da un’esposizione prolungata a condizioni di stress, i quali possono provocare senso di insicurezza, incertezza, sentimenti di impotenza, insicurezza, compromissione della vita sociale e lavorativa. La definizione di trauma può essere considerata da 2 punti di vista:  Da una parte osserviamo che eventi oggettivi particolarmente dolorosi come violenze, guerre, abusi, lutti, catastrofi ecc. possono compromettere la capacità di elaborazione mentale dell’individuo e rendere inefficaci le sue strategie di coping;  Dall’altra parte la letteratura evidenzia come il trauma può essere rappresentato anche da un sistema di risposte a eventi che non appaiono di per sé oggettivamente sconvolgenti e disorganizzati. Gli eventi traumatici causano esiti psicopatologici di natura diversa e con diverse configurazioni di sintomi. La risposta post-traumatica si presenta come conseguenza di un evento sconvolgente capace di disorganizzare le normali capacità rappresentazionali di un individuo; infatti una difficoltà nell’elaborazione degli eventi dolorosi è spesso accompagnata da una incapacità di autoregolare gli stati affettivi, portando così il soggetto ad una condizione di vulnerabilità affettiva, cognitiva o sociale. Ricerche varie dimostrano che un singolo evento traumatico produce risposte psicobiologiche e comportamentali che possono alterare la psiche dell’individuo, influenzando la storia personale e la qualità delle sue relazioni affettive e sociali. Secondo Bowlby, gli attuali studiosi dell’attaccamento sono inclini a descrivere l’influenza che le prime esperienze dell’attaccamento hanno sull’evoluzione delle rappresentazioni interne di sé e degli altri, studiando il modo in cui il modello operativo interno dell’attaccamento influisce sulle relazioni future e sulle strategie di regolazione degli affetti. Trauma, dissociazione e funzioni del sistema di attaccamento appaiono come tre aspetti del funzionamento mentale umano di fronte agli eventi della vita. Sono infatti le esperienze di dolore fisico e psichico ad attivare il sistema di attaccamento individuale e a guidare il soggetto verso modalità relazionali adattive. Come affermato da Fonagy (2001), l’attaccamento può intendersi come modalità di regolazione affettiva messo in atto dal bambino per affrontare le interazioni idiosincratiche con i caregiver. Si tratta di modalità abituali sviluppate dall’Io per modulare l’angoscia e ottimizzare l’adattamento. Allen Fonagy e Bateman (2010) hanno formulato il costrutto di “attaccamento traumatico”: il bambino che fa esperienza di questo tipo di attaccamento finisce con l’interiorizzare stati mentali che non stabiliscono con il sé psicologico connessioni di significato. L’esperienza minacciosa aumenta la paura, e la paura aumenta il bisogno di attaccamento. 7 CAPITOLO 2 TEORIA E CLINICA DELLE RISPOSTE POST-TRAUMATICHE 1. INTRODUZIONE Già Freud (1905) considerava un trauma come “un’esperienza, che nei limiti di un breve lasso di tempo, apporta alla vita psichica un incremento di stimoli talmente forte che la sua elaborazione nel modo usale non riesce”. Secondo l’ICD-10 (Organizzazione Mondiale della Sanità, 1994): il trauma psichico è la conseguenza di gravi avvenimenti di breve o di lunga durata, al di fuori della normale esperienza umana. Gli avvenimenti opprimenti per chiunque sono accompagnati da sentimenti di forte paura, spavento e senso di impotenza. Il DSM 5 definisce il trauma, all’interno del Disturbo Post-Traumatico da Stress: un fattore traumatico estremo che implica l’essere testimoni di eventi occorsi ad altri; il venire a conoscenza della morte violenta o inaspettata, di grave danno o minaccia di morte o lesioni ad un familiare o ad amici; soccorritori che raccolgono resti umani. Gli effetti traumatici non si manifestano sempre immediatamente dopo gli incidenti che li hanno provocati. I sintomi possono restare latenti, e accumularsi per anni o decenni. Poi in un periodo di stress, o in seguito ad un altro incidente, possono fare la loro comparsa senza preavviso. Possono anche non esserci indizi della causa originale. La loro gravità varia da persona a persona. La comparsa anche di solo uno di questi sintomi indica che l’individuo ha raggiunto o sta per raggiungere la fase di collasso della sindrome generale di adattamento. La risposta allo stress dell’individuo (Tabella 1 pg.56) è determinata in acuto da reazioni biologiche con rilascio di neurotrasmettitori e ormoni che sono deputati a favorire uno stato di allerta e permettono una eventuale fuga. Nel trauma la mente viene sottoposta a un eccesso di stimoli, lo schermo protettivo viene incrinato, e la sua capacità di gestire, affrontare, elaborare gli stimoli è sovraccarica. L’iperattività, la contrazione, l’impotenza e la dissociazione, che insieme costituiscono l’angoscia traumatica, sono le 4 componenti del trauma, ma non finiscono sempre per diventare sintomi traumatici. I sintomi si sviluppano solo quando queste reazioni saranno diventate abituali e croniche. Il sistema nervoso infatti da il via ad una catena di adattamenti che finiranno per legare e organizzare l’energia appunto in sintomi. Questi adattamenti fungono da valvola di sicurezza per il sistema nervoso. Fra i sintomi precoci che iniziano a manifestarsi nello stesso tempo o poco dopo quelli appena elencati, troviamo anche: un’estrema sensibilità al rumore e/o alla luce, sintomi dolorosi, difficoltà sessuali, sensi di colpa, automutilazione, depressione. Le persone traumatizzate sono incapaci di superare l’angoscia della loro esperienza, restano sopraffatte dell’evento, sono incapaci a riprendere a impegnarsi nella vita. Altri che hanno vissuto esperienze simili possono non presentare alcun sintomo duraturo. Quando l’attività di integrazione venga ostacolata a tal punto che informazioni specifiche restano inassimilate a causa di meccanismi psicologici, neuropsicologici o biochimici, allora possiamo parlare dell’esistenza di un trauma. 2. CATEGORIE DIAGNOSTICHE UFFICIALI I disturbi associati ad esperienze traumatiche sono molteplici. Tuttavia i sistemi di classificazione più diffusi per la valutazione dei disturbi da stress traumatico, l’ICD (Organizzazione Mondiale della Sanità, 1994) e il più diffuso DSM (American Psychiatric Association, 2001) la cui ultima versione è di recente pubblicazione (2013), prendono in considerazione un numero limitato di disturbi:  Disturbo Post-Traumatico da Stress;  Disturbo Acuto da Stress;  Disturbo dell’Adattamento;  Disturbo Reattivo dell’Adattamento;  Disturbo da Disinibizione del Coinvolgimento Sociale. Questi ultimi due introdotti dal DSM 5 (2013). Di seguito vengono riportati i criteri diagnostici del DSM 5 e le differenze con il precedente DSM-IV-TR (2001). 10 2.1. DISTURBO REATTIVO DELL’ATTACAMENTO Nel DSM 5 viene inserito il Disturbo Reattivo dell’Adattamento, all’interno dei Disturbi correlati al Trauma e allo Stress. Nel DSM-IV-TR rientrava nella categoria Disturbi Diagnostici dell’Infanzia, nella Fanciullezza o nell’Adolescenza e occupava un spazio più specifico nel DSM-IV-Disturbi dell’infanzia e dell’Adolescenza. Nel DSM-IV erano presenti 2 sottotipi: tipo inibito e tipo disinibito. Nel DSM 5, questi sottotipi sono definiti come disturbi distinti: Disturbo Reattivo e Disturbo da Disinibizione del Coinvolgimento Sociale. Entrambi questi disturbi sono il risultato di una situazione di abbandono sociale ma anche altre situazioni che limitano la possibilità di un bambino per formare attaccamenti selettivi. Criteri Diagnostici del Disturbo Reattivo dell’Adattamento – 313.89 (F94.1) (pag. 58) 2.2. DISTURBO DA DISINIBIZIONE DEL COINVOLGIMENTO SOCIALE Nel DSM-IV-TR il Disturbo da Disinibizione del Coinvolgimento Sociale era un sottotipo del Disturbo Reattivo dell’Adattamento. Nel DSM 5 diviene un Disturbo Specifico. Questo disturbo presenta delle somiglianze con l’ADHD, che può verificarsi in bambini che non necessariamente soffrono di assenza di figure di attaccamento e può essere presente anche in presenza di attaccamento sicuro. Criteri Diagnostici del Disturbo da Disinibizione del Coinvolgimento Sociale – 313.89 (F94.2) (pag. 59-60) 2.3 DISTURBO POST-TRAUMATCO DA STRESS Diversamente dalla precedente edizione (2001), nel DSM 5 sono state fatte sostanziali modifiche, ad esempio: - Nel criterio A1, si riconoscono tra gli eventi traumatici gravi esperienze interpersonali, ad es. le violenze sessuali; primi soccorritori che raccolgono resti umani; agenti di polizia ripetutamente esposti ai dettagli di abusi sui minori. - Viene eliminato il criterio A2 (la risposta della persona deve comprendere paura intensa, sentimenti di impotenza o di orrore). - Lieve revisione del criterio B, soprattutto nell’indicare i flashback come sintomi dissociativi. - Il criterio C viene distinto in due criteri: persistente evitamento degli stimoli associati al trauma; alterazioni negative dell’umore e delle cognizioni associate al trauma. - Il nuovo criterio D presenta l’introduzione dell’autocolpevolizzazione (D3) e degli stati emotivi negativi persistenti (D4, paura, rabbia, colpa, vergogna, orrore). - Viene inserito nel criterio E la presenza di comportamenti autodistruttivi e la chiarificazione dei comportamenti autodistruttivi. - Viene eliminata la distinzione tra acuto e cronico. - Vengono aggiunti i sottotipo prescolare e sottotipo dissociativo. Criteri Diagnostici del Disturbo Post-Traumatico da Stress – 309.81 (F43.19) (pag.60-61-62) 2.4 DISTURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS PER I BAMBINI DI 6ANNI E PER QUELLI PIU’ PICCOLI I seguenti criteri si riferiscono alla diagnosi di Disturbo Post-Traumatico da Stress nei bambini in età uguale o inferiore a 6 anni. 2.5 DISTURBO ACUTO DA STRESS Nel DSM 5, il criterio A per il Disturbo Acuto da Stress viene modificato rispetto DSM-IV. Il criterio del DSM-IV-TR raggruppava l’aver assistito, l’aver vissuto o l’aver vissuto indirettamente eventi traumatici, mentre nel DSM 5, viene richiesto in modo esplicito. Il criterio A2, presente nel DSM-IV-TR, “la risposta della persona comprendeva paura intensa, senso di impotenza, o di orrore”, nel DSM 5 viene eliminato. In base al fatto che le reazioni post-traumatiche acute sono molto eterogenei e che l’enfasi del DSM-IV sui sintomi dissociativi è eccessivamente restrittiva, nel DSM 5 viene ampliata, da 5 sintomi a 14, valutando la presenza di un Disturbo Acuto da Stress in presenza di almeno 9 dei sintomi elencati. 11 2.6 DISTURBO DELL’ADATTAMENTO Il Disturbo dell’Adattamento, nel DSM 5, viene inserito all’interno dei disturbi da trauma e stress correlato, e definito come un insieme eterogeneo di risposta allo stress che si verificano dopo l’esposizione ad un evento stressante; piuttosto che come una categoria residuale per gli individui che presentano disagio clinicamente significativo senza soddisfare i criteri per un disturbo più discreto (come nel DSM-IV). I sottotipi del DSM- IV-TR segnati da umore depresso, sintomi ansiosi e disturbi nel comportamento sono stati mantenuti invariati. 2.7 TRAUMA NON ALTRIMENTI SPECIFICATO E DISTURBO STRESS-CORRELATO 309.9 (F43.9) Questa categoria si risolve a quelle situazioni in cui i sintomi caratteristici di un trauma e di un disturbo correlato al fattore di stress, predominano, ma non soddisfano i pieni criteri per nessuno dei disturbi nella classe diagnostica del trauma e dei disturbi correlati al fattore stress. Questa categoria viene usata specificando la regione specifica, ad es. “persistente disturbo complesso di lutto”. Esempi includono: 1. Disturbi come nell’adattamento con inizio ritardo dei sintomi che si verificano più di 3 mesi dopo il fattore stressante; 2. Disturbi come nell’adattamento con una durata prolungata di più di 6 mesi senza una durata prolungata del fattore stressante; 3. Ataque de nervios: una sindrome caratterizzata da sintomi emozionali intensi che includono ansia acuta, rabbia o dolore, urla e grida incontrollate, attacchi di pianto, tremori, sensazioni di calore che dal torace sale verso la testa, attacchi aggressivi verbali e fisici; 4. Altre sindromi culturali; 5. Persistente disturbo complesso da lutto: questo disturbo è caratterizzato da reazioni serie e persistenti di dolore e cordoglio. CONTINUA NELLE FOTOCOPIE… 12