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Riassunto Images Metafore organizzative, Sintesi del corso di Sociologia Delle Organizzazioni

Riassunto del libro Image, Metafore organizzative, integrate con alcune lezioni dell'Università Politecnica delle Marche.

Tipologia: Sintesi del corso

2014/2015

In vendita dal 06/09/2015

fgiovannelli
fgiovannelli 🇮🇹

3.2

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Scarica Riassunto Images Metafore organizzative e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia Delle Organizzazioni solo su Docsity! 1 IMAGES. LE METAFORE DELL’ORGANIZZAZIONE Gareth Morgan 2 Le metafore organizzative L’intero quadro sistemico all’interno del quale si sono sviluppate le varie teorie sul management hanno trovato un importante momento di sintesi negli scritti di Gareth Morgan1. Nel suo “Immagini dell’organizzazione”2, che è diventato un best-seller in tema di conoscenza scientifica delle organizzazioni di lavoro, egli esplora tale ambito secondo diversi punti di vista, traendone scenari all’interno dei quali, da un lato colloca il pensiero manageriale e dall’altro crea lo spazio utile ai singoli operatori per trovare un proprio percorso. “Viviamo – afferma l’autore - nel mezzo di una rivoluzione nella organizzazione e gestione. I principi meccanicistici che hanno dominato i secoli XIX e XX sono stati sostituiti da quelli di un universo elettronico. Di conseguenza, i manager devono vedere e capire le organizzazioni in modi nuovi. In tempi di rapido cambiamento, è fondamentale che i manager sappiano sviluppare competenze che consentano loro di vedere, comprendere e modellare situazioni in modi nuovi. Immagini di Organizzazione è concepito come una risorsa che può aiutare i manager a capire come pensano le organizzazioni e come possono iniziare a pensare in modo diverso”. Morgan nell’esplorare le diverse dimensioni dell’organizzazione e della gestione delle strutture aziendali, utilizza il paradigma della metafora (dal greco metaphora = io trasporto), nell’azione di trasposizione di significato per arrivare a creare immagini molto forti ed espressive. Attraverso questo strumento, la singola realtà organizzativa viene ad avere, fuor di paradosso, una valenza ancora più precisa rispetto ad una sua analisi puramente strutturale e numerica. Le metafore devono servire ad orientare i manager verso scelte di successo, consentendo loro di interpretare una realtà organizzativa certamente complessa nella quale sono diverse le forze in gioco. Morgan ci presenta l’evoluzione della teoria organizzativa elaborando le seguenti metafore : 1) Organizzazioni come macchine. La progettazione delle organizzazioni come macchine, vale a dire con una forte burocratizzazione, è stato il filo conduttore della storia del fenomeno aziendale. Tale visione fu abbracciata nel corso del XIX secolo prima da Smith e poi da Taylor, i quali costruirono un modello organizzativo basato su mansioni definite con precisione, struttura di comando fortemente gerarchizzata, linee di comunicazione e comando predefinite. Questo approccio tende ad una diffusione dei comandi emanati dal vertice secondo modalità predeterminate e finalizzate ad obiettivi ben definiti, affiancate da una supervisione ed un controllo molto dettagliato. Centrale in questa prospettiva è la pianificazione razionale dei processi secondo quelli che per lo stesso Taylor erano principi cardine: a) responsabilità in capo al dirigente; b) metodi scientifici finalizzati ad una processo efficiente; c) selezione dei soggetti più adatti; e) addestramento; f) controllo sulla produttività del lavoro. Questi elementi, è ovvio, portano a sottovalutare gli aspetti umani e tali potenzialità possono esplicarsi positivamente solo in presenza di compiti chiari, di ambienti sufficientemente stabili e di capacità di precisione nell’esecuzione. È di facile intuizione comprendere che i compiti di lavoro si presentano certamente più complessi rispetto agli schemi applicabili alle macchine. Ulteriori limiti possono riscontrarsi nell’informazione distorta che ne deriva e nella mancata responsabilizzazione dei singoli, il tutto a discapito dell’efficiente attività. L’organizzazione meccanicistica scoraggia le libere iniziative ed incoraggia l’obbedienza alle direttive piuttosto che al miglioramento delle prestazioni. L’insoddisfazione che ne deriva, così come la demotivazione ad investire sul proprio lavoro produce nei lavoratori atteggiamenti che impediscono la creazione di “valore aggiunto”, limitando lo sviluppo delle capacità umane. Aumentando la velocità dei cambiamenti e delle esigenze del mondo economico, questo approccio ha reso sempre più evidenti tali limiti e tali rischi. 1 Nativo del Galles, professore universitario e consulente di aziende, Morgan partecipa a seminari e conferenze sia in Nord America che in Europa. Oltre a “Images”, è autore di diversi libri tra cui “Imaginization: new mindsets for seeing, organizing and managing”, “Riding the waves of change: developing managerial competencies for a turbulent world”, “Sociological paradigms and organizational analysis” (con Gibson Burrel) e “Beyond method: strategies for social research”. 2 MORGAN G., Images. Le metafore dell’organizzazione, Milano, prima edizione 1994/quinta edizione 2007, Franco Angeli. 5 parte dei vari gruppi professionali presenti in una organizzazione rende fondamentale la convivenza di questi sistemi di valori diversi senza arrecare danni all’azione complessiva del sistema. La cultura rappresenta la sommatoria di tutti quei valori, delle credenze e delle concettualizzazione dei singoli ma, come sostiene Karl Weick, essa va vista come un continuo processo di costruzione della realtà, di “attivazione” in quanto richiede un ruolo di partecipazione. Secondo questa prospettiva, le organizzazioni sono realtà socialmente costruite che si trovano nelle menti dei singoli membri e che possiamo rinvenire nelle strutture, nelle norme e nei rapporti che le caratterizzano. Il successo deriva dal tentativo riuscito di trovare una coesione basata su elementi condivisi e su valori in grado di supportare in maniera efficace la strategia aziendale. Non di rado prospettive di cambiamento sono fallite a causa dell’influenza negativa della cultura vigente, la quale ha, quindi, una qualità di tipo olografico. Nel quadro dello sviluppo organizzativo, insomma, viene data maggiore rilevanza alle persone piuttosto che alle tecnologie ed il ruolo dei manager viene orientato verso la creazione di nuove forma di coscienza aziendale in un quadro di cambiamento che sia finalizzato alla visione di valori condivisi e non alla semplice manipolazione. 5) Organizzazioni come sistemi politici. Il concetto di “politica” viene in rilievo quale strumento in grado di mediare e negoziare le diverse esigenze in ambienti in cui devono coesistere interessi divergenti, in quella che Aristotele definisce la “diversità degli interessi”. Comprendere la somiglianza tra il fenomeno organizzativo e quello politico, sulla scorta degli studi di Weber, Galbraith e Burns, aiuta a comprendere le dinamiche della funzione manageriale sia in relazione alla sua legittimazione che in rapporto con il suo ambiente, secondo diversi e comparabili stili di mantenimento dell’ordine: autocrazia, burocrazia, tecnocrazia, cogestione, democrazia rappresentativa e democrazia diretta. Naturalmente, al fine di comporre le tensioni, la scelta dello stile organizzativo dipende generalmente dai rapporti di potere esistenti tra i soggetti interessati. Le interferenze che possono verificarsi devono condurre a concepire gli interessi dei singoli come differenti ambiti in cui intervenire: se la mansione connette aspetti legati alla funzione da espletare, la carriera è inerente ad aspettative e progetti per il futuro, mentre gli aspetti extra-lavorativi riguardano personalità, valori, preferenze ed impegni che i singoli portano con sé dall’esterno sul posto di lavoro. Le organizzazioni, quindi, lungi dall’essere sistemi razionali ed integrati, diventano reticoli aperti di individui ciascuno con interessi diversi che vengono a coalizzarsi e coesistere solo per motivi contingenti. Quando queste “coalizioni” sono orientate verso obiettivi non identici, emerge il conflitto, originato sia da aspetti di natura personale che interpersonale. Questi conflitti possono, ulteriormente, portare alla contrapposizione di gruppi e, attraverso una sorta di “istituzionalizzazione” dar vita ad atteggiamenti e stereotipi, valori e credenze. Di fronte a questo stato di cose, diventa sempre più difficile portare avanti un’opera di identificazione se non di annullamento di conflitti che, radicandosi nel tempo, potrebbero diventare molto solidi nella loro latenza. In questo contesto, un ruolo importante è costituito dal potere, il quale rappresenta lo strumento di risoluzione dei conflitti d’interesse per eccellenza. Dal suo esercizio dipende l’individuazione del soggetto che ottiene, quello che vuole, quando e nel modo che ritiene più opportuno. Nei processi organizzativi, la funzione dell’esercizio del potere ha assunto un ruolo sempre più importante, anche se dagli studi non emerge ancora una definizione univoca, oscillante tra la sua caratterizzazione come “risorsa” oppure come “relazione sociale”. Per il politologo Dahl, il potere permette ad un individuo di fare qualcosa che altrimenti non avrebbe fatto. Ad ogni modo, tra le fonti di potere si possono considerare: l’autorità formale, il controllo delle risorse, lo sfruttamento di strutture/norme/regolamenti, il controllo dei processi decisionali, il controllo di conoscenza ed informazione, il controllo dei rapporti di confine, la gestione di situazioni incerte, il controllo della tecnologia, la gestione di simboli e significati. Proprio l’esistenza e l’esercizio del potere consente di spiegare come mai una volta posti degli obiettivi organizzativi, questi possano risultare razionali per alcuni individui e non razionali per altri. È chiaro che la detenzione del potere spetta a chi, singoli soggetti o forze in campo, riesce a modificare lo scenario in cui opera il sistema. Va considerato, però, come tale metafora sconti il proprio limite nel considerare tutti i comportamenti come tendenti a secondi fini, con il rischio concreto di alimentare atteggiamenti cinici e di sfiducia reciproca anche inesistenti. Una simile lettura esclusiva riduce le possibilità di collaborazione e di apertura mentale. 6 6) Organizzazioni come prigioni. Facendo riferimento alla metafora del mito della caverna di Platone3, le organizzazioni vengono considerate come fenomeni psichici, sulla scia degli studi di Freud, Adorno, Klein, Jung e Winnicott. Per Freud, gli uomini rischiano di finire intrappolati nelle prigioni psichiche che essi stessi costruiscono mentre Backofen ha tracciato un profilo parallelo tra l’evoluzione delle organizzazioni sociali e di quelle familiari (le organizzazioni meccanicistiche riportano alla famiglia patriarcale). Jung ha sostenuto che la psiche umana è parte di un inconscio collettivo che trascende i limiti di spazio e tempo. Gli archetipi sono strutture che danno ordine al mondo, inserite nella psiche attraverso il contributo dell’eredità e dell’esperienza. In tale ambito, le ombre diventano gli aspetti repressi della razionalità individuale e collettiva. Morgan, attraverso Platone, ci fa riflettere sui pericoli che possono presentarsi in caso di chiusure auto-referenziali, le quali impediscono altri modi di vedere la realtà delle cose. Nella gestione organizzativa, i manager possono restare intrappolati in credenze o costruzioni della realtà che finiscono per trattenerli in una profonda chiusura culturale, ancorati al proprio “modus cogitandi”(come in una gabbia cognitiva) senza adeguarlo ad un mondo che cambia, a tutto discapito dell’efficienza di tale azione. Tale metafora, invece, spinge loro a rivalutare e riconsiderare le cose alla luce di ciò che si è appreso, mettendo a disposizione del sistema ciò che si è imparato. 7) Organizzazioni come flusso e divenire. Le organizzazioni non sono sistemi statici, ma si caratterizzano per diverse forme di dinamismo. Morgan identifica a tal proposito quattro principali logiche di cambiamento alla base di tale “divenire”: a) Logica dell’autopoiesi. Essa assume che il cambiamento si determina ad opera di modificazioni interne al sistema, il quale ha la capacità di autodeterminarsi. Maturana e Varela considerano i sistemi come autonomi, circolari ed autodeterminanti. Essi sono determinati dall’insieme di rapporti e relazioni intrattenuti da un’organizzazione, le cui modificazioni o alterazioni determinano appunto il cambiamento. In questa prospettiva le spinte non possono provenire dall’esterno in quanto il sistema è caratterizzato da rapporti chiuso e da autoriproduzione (autopiesi). b) Logica del caos e della complessità. Essa serve a spiegare l’emergere di nuovi modelli da processi auto organizzativi spontanei. La natura ordinata ma anche caotica delle relazioni interne al sistema crea interazioni multiple complesse, spingendo continuamente l’organizzazione verso un nuovo stato. Dalla casualità e dal caos, quindi, emerge sempre un nuovo ordine coerente. 3 Ne “La Repubblica” Platone (per bocca di Socrate) immagina gli uomini chiusi in una caverna, gambe e collo incatenati, impossibilitati a volgere lo sguardo indietro, dove arde un fuoco. Tra la luce del fuoco e gli uomini incatenati vi è una strada rialzata e un muricciolo, sopra la strada alcuni uomini parlano, portano oggetti, si affaccendano nella vita di tutti i giorni. Gli uomini incatenati non possono conoscere la vera esistenza degli uomini sulla strada poiché ne percepiscono solo l'ombra proiettata dal fuoco sulla parete di fronte e l'eco delle voci, che scambiano per la realtà. Se un uomo incatenato potesse finalmente liberarsi dalle catene potrebbe volgere lo sguardo e vedere finalmente il fuoco, venendo così a conoscenza dell'esistenza degli uomini sopra il muricciolo di cui prima intendeva solo le ombre. In un primo momento, l'uomo liberato, verrebbe abbagliato dalla luce, la visione delle cose sotto la luce lo spiazzerebbe in forza dell'abitudine alle ombre maturata durante gli anni, ma avrebbe comunque il dovere di mettere al corrente i compagni incatenati. I compagni, in un primo momento, riderebbero di lui, ma l'uomo liberato non può ormai tornare indietro e concepire il mondo come prima, limitandosi alla sola comprensione delle ombre. Nel mito della caverna la luce del fuoco rappresenta la conoscenza, gli uomini sul muricciolo le cose come realmente sono (la verità), mentre la loro ombra rappresenta l'interpretazione sensibile delle cose stesse (l'opinione). Gli uomini incatenati rappresentano la condizione naturale di ogni individuo, condannato a percepire l'ombra sensibile (l'opinione) dei concetti universali (la verità), ma Platone insegna come l'amore per la conoscenza (la filosofia stessa) possa portare l'uomo a liberarsi delle gabbie incerte dell'esperienza comune e raggiungere una comprensione reale e autentica del mondo. Tale allegoria, presente nel libro VII, consente al filosofo di sollevarsi dal sensibile fino alle idee e ritornare nel modo per governarlo. Nella sua educazione, che ha il compito di convertire il suo sguardo verso l'idea del bene, la musica e la ginnastica devono essere affiancate da altre discipline: la matematica, la geometria, l'astronomia, la stereometria, l'armonia e soprattutto la dialettica, che ha come scopo la conoscenza del bene, il cui principio non è basato su ipotesi. Vengono quindi esposti i criteri di scelta dei futuri filosofi dialettici, le loro qualità e la loro educazione graduale, a partire dall'infanzia: dopo un periodo propedeutico di educazione ginnica, essi dovranno studiare le varie discipline e solo a trent'anni incominceranno a essere avviati alla dialettica, per un tirocinio quinquennale che precederà la loro attività pratica all'interno della città. Infine, dopo i cinquant'anni, i filosofi governeranno lo Stato. 7 Sviluppati fra diversi “poli di attrazione”, i sistemi possono condurre a nuovi equilibri anche a fronte di cambiamenti molto ridotti e contenuti. Per Morgan, al fine di gestire il cambiamento, i manager devo essere in grado di:  ripensare l’organizzazione;  gestire e cambiare il contesto,  sfruttare i piccoli cambiamenti;  vivere l’emergenza. c) Logica della casualità reciproca. Basata sul modello cibernetico, essa descrive il cambiamento in termini di tensioni rintracciabili nelle relazioni di tipo circolare. Le dinamiche del cambiamento, secondo Maruyama, sono spiegabili dall’interazione fra i feedback negativi (una variabile attiva che spinge il sistema verso una nuova direzione conduce, in realtà, quest’ultimo verso la direzione opposta, cercando di mantenere lo status quo e la stabilità) ed i feedback positivi (che rafforzano le variazioni, siano essere positive che negative). I processi di cambiamento innescati e rafforzati, spesso sfuggendo al controllo, da feedback positivi possono venire stabilizzati da feedback negativi. d) Logica del cambiamento dialettico. Il cambiamento, in questa visione, è il prodotto di tensioni fra opposti. Lo stesso fenomeno del cambiamento, di fatto, crea elementi che lo ostacolano. Tale paradosso è generato dalle tensioni interne che interpretano gli stati contrapposti per quanto ugualmente desiderabili scaturenti da una ipotesi di cambiamento. Compito del management è quello di integrare gli aspetti contrapposti, riformulando le contraddizioni in maniera positiva, per impedire che questi blocchino il cambiamento sia dal punto di vista psicologico che operativo 8) Organizzazioni e dominio. In tale ottica, l’organizzazione viene vista come strumento di cambiamento sociale, animato spesso da un atteggiamento di sfruttamento e di possibile oppressione dei soggetti dipendenti che ne fanno parte. Su tale accezione negativa, si vanno ad innestare i concetti e gli studi basati sulla struttura burocratica, sulle dinamiche del conflitto (spesso di classe e di ruolo) e su quelle del controllo, quest’ultimo reclamato dagli interpreti detentori del “potere”. È ovvia la stretta connessione di tale prospettiva con gli studi sociologici di approccio marxista. Il pensiero di Morgan, per quanto capace di aprire lo scenario e dare una codificazione molto semplice ed immediata alle varie teorie organizzative, comunque incontra un preciso limite proprio nell’utilizzo della metafora. Questa, infatti, se da un lato ci consente con immediatezza la rappresentazione di una certa realtà, dall’altro inevitabilmente la distorce, dandone un contributo certamente parziale. “I vari capitoli – sottolinea lo stesso Morgan- vi invitano ad esplorare diverse dimensioni di organizzazione e gestione in un modo che può trasformare il vostro pensiero circa la vostra organizzazione. Vi sfido a vedere e pensare di nuovo”. 10 B) Federico il Grande (1740-1786) che aveva ereditato un esercito formato da mercenari e criminali lo trasformò in una potente “macchina militare” affidabile ed efficiente con: introduzione dei gradi e delle uniforme, normativa standardizzata, marcata specializzazione dei compiti, equipaggiamento standardizzato, linguaggio codificato, addestramento sistematico, disciplina (gli uomini dovevano temere i proprio ufficiali!), separazione tra funzioni di comando e quelle consultive dove quest’ultime dovevano pianificare le operazioni e non essere coinvolte nei combattimenti. Creò dunque una vera e propria “macchina da guerra” trasformando i propri soldati in automi e semplici ingranaggi facilmente sostituibili (elemento fondamentale durante una guerra). Tali idee divennero particolarmente utili durante lo sviluppo industriale del XIX secolo e con l’ingrandirsi delle fabbriche. Bisognerà però attendere l’inizio del XX secolo affinché queste idee venissero coordinate ed assumessero i connotati di una vera e propria teoria dell’organizzazione. Uno dei contributi principali venne apportato da Max Weber: l’organizzazione burocratica routinizza i processi amministrativi come le macchine routinizzano la produzione. L’organizzazione burocratica come soluzione organizzativa caratterizzata da: precisione, rapidità, regolarità, affidabilità ed efficienza attraverso una rigida divisione dei compiti, supervisione gerarchica e un sistema di regole e regolamenti dettagliati. Gli apparati burocratici in epoca moderna hanno avuto diffusione non solo nell’ambito dello Stato e delle amministrazioni pubbliche: imprese private, partiti, eserciti, scuole, ospedali, tribunali, ecc. sono amministrati secondo principi burocratici (regole impersonali orientate a una gestione razionale delle risorse rispetto agli scopi). Tutto ciò perché è possibile rinvenire una superiorità tecnica della burocrazia in quanto: - Si ispira alla razionalità secondo lo scopo - La gerarchia e la definizione dei compiti consentono rapidità - Il ricorso a regolamenti consente precisione, uniformità, prevedibilità - Il ricorso a regole agevola il coordinamento - La divisione del lavoro aumenta l’efficienza In quanto sociologo, in realtà Weber era interessato più alle conseguenze sociali che all’evidenziare l’efficienza della burocrazia. Weber si rese conto del fatto che la burocrazia era in grado di routinizzare e meccanicizzare ogni aspetto della vita umana svuotando lo spirito e facendo sparire ogni forma di agire spontaneo. ************************************************************************************ FOCUS – LA BUROCRAZIA Principi che stanno alla base della burocrazia a. Principio della competenza e della disciplina: leggi e regolamenti amministrativi (norme) stabiliscono la divisione dei doveri e dei poteri di ufficio b. Principio della gerarchia degli uffici c. Segreto di ufficio d. Preparazione specializzata dei funzionari e. Impersonalità delle relazioni (sia nei confronti di chi detiene il potere che nei confronti dei cittadini) f. Lavoro come professione (separato dalla vita privata) 11 Da ciò ne derivavano anche tutta una serie di caratteristiche del LAVORO DEL BUROCRATE: ­ E’ un’attività a tempo pieno ­ Il lavoratore non ha la proprietà dei mezzi di produzione ­ Vi si accede per concorso pubblico volto a valutare la competenza ­ Deve esserci netta separazione tra sfera privata e pubblica ­ Fedeltà all’ufficio (e non fedeltà personale al proprio superiore in quanto persona ma unicamente nei limiti del ruolo che questi esercita) ­ Prestigio di ceto ­ Carica vitalizia ­ Compenso monetario fisso *************************************************************************************** ************************************************************************************ FOCUS - MAX WEBER (1864 – 1920) Giurista, economista, sociologo e politologo. In “Economia e Società’” delinea il modello ideal-tipico della burocrazia, la cui ascesa è legata all’affermarsi del capitalismo industriale. Tema della razionalizzazione della società: il processo di razionalizzazione va inquadrato in un percorso storico di affermazione di metodi scientifici e dello spirito tecnico alla base dell’agire umano Influenza del calvinismo nello spirito del capitalismo: visione logica, calcolatrice e razionale della vita e delle attività umane Razionalizzazione: processo che consente di determinare attraverso un ragionamento logico i mezzi giusti rispetto ad un determinato fine Oggetto della sociologia è l’agire sociale dotato di senso: “l’atteggiamento umano a cui l’individuo che agisce attribuisce un suo senso soggettivo, in riferimento all’atteggiamento di altri individui”. La sociologia si occupa di comprendere e spiegare tale agire (spiegazione comprendente). Agire sociale dotato di senso: o Agire razionale rispetto allo scopo o Agire razionale rispetto al valore o Agire affettivamente o Agire tradizionalmente Potere come “possibilità per specifici comandi di trovare obbedienza da parte di un determinato gruppo di uomini” (E.S.) Ogni potere richiede un apparato amministrativo che faccia da tramite tra superiori e sottoposti TRE TIPI DI POTERE Tre tipi puri di potere legittimo con i relativi apparati amministrativi: 1) Potere carismatico, legittimato da particolari qualità riconosciute a chi lo detiene: o apparato amministrativo rudimentale (discepoli, seguaci, uomini di fiducia) 12 2) Potere tradizionale, legittimato dalla tradizione (patrimoniale o feudale): a. apparato amministrativo patriarcale o feudale. Nel primo caso gli amministratori dipendono direttamente dal capo, cui rispondono e da cui sono pagati; nel caso del potere feudale l’apparato amministrativo costituito da un gruppo privilegiato che gode di una certa autonomia rispetto a chi detiene il potere ma è legato da un vincolo di onore e fedeltà 3) Potere legale, legittimato dall’equità della legge e dal presupposto che questa sia statuita razionalmente rispetto a un determinato valore o scopo: colui che esercita il potere è tenuto all’osservanza dello stesso ordinamento che vincola i suoi sottoposti: a. apparato amministrativo burocratico 2. TEORIA ORGANIZZAZIONE CLASSICA Un altro importante contributo è rappresentato dalla teoria dell’organizzazione classica o scientific management. Al contrario di Weber questi autori sono grandi sostenitori della burocrazia e dedicarono ad elaborare principi e metodi finalizzati alla progettazione di organizzazioni burocratiche. Esponenti emblematici furono il francese Fayol, l’americano F.W.Mooney e il colonnello inglese Lyndall Urwick. Tutti e 3 erano interessati a problemi concreti di gestione intravedendo tale attività come processo di pianificazione razionale, organizzazione, comando, coordinamento e controllo. La loro opera rappresenta la base su cui si fondano molte tecniche gestionali moderne quali la direzione per obiettivi (managament by objectives – MBO), il planning, programming budgeting systems (PPBS), etc, ossia per tutte quelle tecniche decisionali che si basano sulla pianificazione razionale, sulla programmazione e sul controllo. 15 Le azioni messe in opera da una simile struttura organizzativa sono concepite in modo da essere definite in maniera precisa: definizione garantita dalla struttura gerarchica, cioè da uno strumento caratterizzato in termini di responsabilità e di capacità di dare ordini e ottenere obbedienza. Una tale visione non può che mettere al centro i processi di direzione: l’obiettivo è infatti garantire che i comandi emanati al vertice dell’organizzazione si diffondano attraverso modalità rigidamente predeterminate (un po’ come l’esercito di grandi imperi doveva garantire che le indicazioni del vertice arrivassero anche alle legioni decentralizzate). La capacità di realizzare una simile decentralizzazione si è andato notevolmente sofisticando nel corso del ventesimo secolo attraverso lo sviluppo di tecniche direzionali quali “direzione per obiettivi” (MBO) ed il PPBS (Planning Programming Budgeting System) nonché la progettazione di raffinati sistemi informativi (strumenti spesso usati per realizzare controllo verticale). In tal modo, l’utilizzo di tecniche moderne ha finito per rafforzare i principi della stessa teorica classica. Il nocciolo della teoria classica si basa sull’assunto che le organizzazioni possono essere sistemi razionali che funzionano nella materia più efficiente possibile. Tale teoria ha dimenticato però le persone non sono ingranaggi e dando dunque scarsa attenzione agli aspetti umani (alcuni di loro si concentrarono parzialmente sulla leadership in quanto funzionale alla direzione o alla selezione ed addestramento ma solo per individuare la persona giusta la posto giusto e perché dunque funzionale all’adattamento delle persone ai requisiti dell’organizzazione meccanicistica). Per tutti questi motivi, i teorici classici sono stati oggetto di molte critiche. Nonostante ciò i dirigenti e consulenti di oggi continuano a basare il loro pensiero organizzativo sugli stessi presupposti. Ad esempio, il filone del reingeneering, molto diffuso nel Nord America ed in Europa negli anno ’90, se da una parte riconosceva l’inutilità pratica di una divisione per dipartimenti, dall’altro propone un moderno progetto di natura meccanicistica basato sui processi aziendali fondamentali, cioè mantenendo l’approccio di ingegnerizzazione del fattore umano. *************************************************************************************** FOCUS - HENRY FAYOL (Francia 1841 – 1925) Teoria della direzione amministrativa. Si occupa esclusivamente della direzione aziendale e non di razionalizzare il lavoro nel suo complesso ed elabora il modello gerarchico-funzionale. In tale organizzazione vengono identificate 6 funzioni fondamentali: ­ Funzioni direttive: programmazione, organizzazione, comando, coordinamento e controllo ­ Funzioni contabili: inventari, bilanci, statistiche ­ Funzioni di sicurezza: protezione dei beni e delle persone ­ Funzioni finanziarie: approvvigionamento e gestione dei capitali ­ Funzioni commerciali: acquisto e vendita di materie prime e prodotti finiti ­ Funzioni tecniche: produzione I principi generali a cui ispirarsi erano i seguenti: a. Unità di comando b. Catena del comando come canale di trasmissione delle comunicazioni e delle decisioni c. Ambiti del controllo d. Staff & line e. Iniziativa 16 f. Divisione del lavoro e specializzazione g. Autorità e responsabilità h. Centralizzazione dell’autorità i. Disciplina j. Subordinazione degli interessi individuali all’interesse generale k. Giustizia l. Rapporti di lavoro di lungo periodo m. Spirito di corpo Nella tabella Fayol a confronto con Weber e Taylor *************************************************************************************** *************************************************************************************** FOCUS - GESTIONE PER OBIETTIVI – MBO (Anni ’60) Superamento del modello burocratico ma si ispira ancora alla metafora della macchina e ai principi di pianificazione razionale e di controllo. Attraverso la direzione per obiettivi si impone un sistema meccanicistico di target e obiettivi per tenere sotto controllo la direzione verso cui si sta andando. Il raggiungimento degli obiettivi concordati (performance) è soggetto ad un controllo completo attraverso sistemi informativi computerizzati. Ogni manager imposta la sua azione a partire dalla individuazione e il perseguimento di obiettivi specifici, quantificabili tramite indicatori di risultato (di natura contabile o extracontabile), entro un certo periodo di tempo. Gli obiettivi sono contrattati con il livello gerarchico superiore I manager sono valutati sulla base del raggiungimento degli obiettivi La definizione degli obiettivi deriva dal processo di pianificazione strategica con un procedimento a cascata (obiettivi strategici-obiettivi gestionali) Differenze con la burocrazia: attenzione agli obiettivi da raggiungere, piuttosto che alle norme da rispettare, discussione degli obiettivi e non imposizione gerarchica, personalizzazione dei rapporti, acquisizione delle competenze sul campo, controlli ex post non repressivi ma per il miglioramento, valutazioni non sui comportamenti ma sui risultati. 17 *************************************************************************************** 3. L’ORGANIZZAZIONE SCIENTIFICA DEL LAVORO (OSL) – SCIENTIFIC MANAGEMENT Altri principi fondamentali dell’approccio classico sono stati elaborati da Frederich Taylor che può essere considerato l’antesignano dell’organizzazione scientifica del lavoro (scientific management). Taylor era un ingegnere con personalità esuberante, meticoloso, con ossessiva e maniacale precisione. Una personalità definibile come “ossessiva compulsiva” (da piccolo contava i passi e i tempi di ogni sua azione per ottimizzarle). Cresciuto nei seguenti contesti: ­ Familiare: upper class di Philadelphia, famiglia quacchera (protestanti) era influenzato dal pessimismo calvinista sulla natura umana ­ Ambientale: Philadelphia è un importante centro commerciale e la seconda città degli Stati Uniti, una delle principali metropoli industriali per la produzione di lana ma anche di acciaio e carbone nonché importante centro culturale e politico; ­ Storico industriale: vi era un elevato scarto tra le potenzialità produttive dell’industria e i metodi di conduzioni della stessa. Le potenzialità produttive sono aumentate grazie all’impiego sistematico di scienza e tecnica che forniscono macchinari più veloci, nuovi materiali . Si registra anche crescita dimensionale dei complessi industriali con risvolti sul piano della gestione della manodopera. L’offerta di forza lavoro non qualificata di estrazione contadina è crescente per effetto dell’urbanesimo e dell’immigrazione ­ socio-culturale: pieno positivismo, fiducia nella scienza e nella tecnica, nel progresso, nella razionalità e nella capacità dell’uomo di essere artefice del suo destino e di una evoluzione morale. È la scienza a offrire il riscatto per i limiti della natura umana Prima di laurearsi lavora come apprendista di macchina in una modesta impresa. Si laurea in ingegneria a 25 anni mentre lavora come vice-caporeparto in una importante impresa siderurgica, la Midvale, che inizialmente produceva rotaie e in seguito armi. Si rende conto che le innovazioni fino a quel momento avevano riguardato unicamente le materie prime e le tecniche (macchine) ma non la gestione del lavoro. Arriva alla conclusione che anche il lavoro doveva essere studiato in maniera scientifica dagli ingegneri e razionalizzato Dalla sua esperienza in Midvale, Taylor analizzò le reali situazioni delle fabbriche dell’epoca: ­ I manager avevano pochi contatti con le attività produttive: la gestione era approssimativa rispetto ai livelli di prestazione attesi e delegata alle gerarchie intermedie (capo reparti) ­ La gestione delle fabbriche era in mano ai capi-officina che a loro volta sceglievano autonomamente tempi e metodi in maniera approssimativa (empiria e arbitrarietà) ­ I lavoratori operavano al di sotto delle loro possibilità e i migliori si conformavano al livello del gruppo dei pari per la presenza di una ricompensa uniforme, legata alla giornata lavorativa e non alla produttività (rallentamento sistematico della produzione “soldiering”) ­ Gli operai (maestranze) decidevano il proprio modo di portare a compimento il lavoro con metodologie empiriche e approssimative Così, sotto la guida di Taylor vennero introdotte le seguenti novità alla Midvale: 20 L’impatto dei metodi scientifici è stato enorme moltiplicando la produzione e rendendo possibile una rapida sostituzione degli artigiani con lavoratori non qualificati. Ecco perché tali metodi sono al contempo osannati e criticati: gli aumenti di produttività sono stati ottenuti pagando alti costi umani riducendo le persone a veri e propri automi (come i soldati di Federico il Grande). Questa tendenza è così pervasiva che la si descrive sempre di più come “McDonaldizzazione”, etichetta per evidenziare i principi che stanno alla base del modello del ristorante fast-food: efficienza ad ogni costo, importanza della quantità, controllo, mansioni dequalificate (definite macmansioni), etc. Il tutto però pagando un costo umano molto elevato rendendo le persone dei veri e propri automi. Così che le aziende che introdussero i principi tayloristici dovettero adottare anche strumenti per smorzare le relative conseguenze negative come: ­ Henry Ford: che impiantò la catena di montaggio per produrre il modello T (che utilizzò il motto “ di qualsiasi colore purché sia nero” per evidenziare l’importanza della standardizzazione), registrò un turnover del 380% annuo e dovette raddoppiare gli stipendi per arginare il fenomeno (portandolo al famoso livello dei “5 dollari al giorno”); ­ Quando la General Motors decise di aumentare la produzione di auto giornaliere da 60 a 100, alcuni lavoratori avevano 36 secondi per compiere minimo 8 operazioni. Ritmi inaccettabili e ben presto rivisti. Tra i vari aspetti negativi del taylorismo uno dei più pericolosi è il principio della separazione tra pianificazione ed esecuzione del lavoro (della serie “voi non dovete pensare ma svolgere semplicemente il lavoro”) che riduce le persone a delle semplici “mani” esecutive. Il loro potere contrattuale era dunque minimo in quanto facilmente sostituibili. Nel corso degli anni l’approccio di Taylor è stato sviluppato e perfezionato in modo da poterlo impiegare anche in altre forme e settori. Ad esempio ha trovato sviluppo nel sistema di franchising che si pongono l’obiettivo di fornire prodotti e servizi standardizzati con modalità operative decentralizzate. Taylor però non è il responsabile della nascita dello scienitfic managment ma bensì un semplice elemento del più vasto processo macrosociale tendente a meccanicizzare tutti gli aspetti della nostra vita. Basti pensare all’utilizzo dei principi che stanno alla base del taylorismo anche in ambiti completamente differenti quali football, atletica, palestra e nel modo in cui razionalizziamo e routinizziamo le nostre vite personali. *************************************************************************************** FOCUS - LO STUDIO SCIENTIFICO DEI METODI DI LAVORO (TASK MANAGMENT) 1. Selezione di 10-15 lavoratori particolarmente abili 2. Scomposizione di una attività nelle sue componenti elementari 3. Analisi di ogni componente (movimenti, spostamenti, tempi) 4. Eliminazione di ogni spreco e di ogni movimento inutile 5. Ricomposizione dell’attività 6. Standardizzazione degli utensili da impiegare 7. Definizione di un tempo teorico per svolgere l’attività 8. Addestramento del gruppo sperimentale a svolgere l’attività nei modi e nei tempi stabiliti 9. Osservazione sistematica e eventuale correzione del tempo teorico 21 Le mansioni semplificate e specializzate non richiedono più delle abilità, la manodopera diventa e qualificata e facilmente sostituibile e le attività svolte sono sottratte alle discrezionalità individuali. Gli operai diventano dunque dei veri e propri servi o delle vere e proprie appendici alle macchine, le quali, hanno il controllo più totale dell’organizzazione e dei ritmi aziendali. Vengono introdotte anche novità organizzative relative all’apparato direttivo quali il restringimento dei campi di competenza dei capi intermedi, la definizione di campi di competenza in base a norme e procedure stabilite dalla direzione centrale, vengono incrementati il numero dei capi intermedi. In un sistema così congeniato si modifica anche la struttura di gerarchie venendosi a delineare una direzione funzionale: ogni operaio non obbedisce più ad un solo capo ma a diversi superiori ognuno per le funzioni che gli competono (Taylor ne individua 8) (es. capo meccanico, capo riparazione, capo addetto a cronometrare i tempi ecc.) *************************************************************************************** *************************************************************************************** FOCUS - TAYLOR E I SUOI COLLABORATORI Frank Gilbreth, imprenditore edile, si era occupato di come accrescere l’efficienza del sistema di organizzazione dei cantieri, brevettando numerose invenzioni ed elaborando nuove tecniche di amministrazione e di direzione. Nel 1912 i coniugi Gilbreth vendono l’impresa di costruzioni, per dedicarsi a tempo pieno allo studio dei principi manageriali della direzione scientifica (stringono amicizia con Taylor e Gantt). Nel 1915 Lillian Gilbreth ottiene il Ph.D. alla Brown University con una discussione sul tema della psicologia della direzione, dal titolo “The Psychology of Management”. Nel 1924 Frank Gilbreth muore improvvisamente per un attacco di cuore e Lillian si vede costretta a dover gestire da sola la numerosa famiglia (12 figli) e le attività avviate assieme al marito. Inizia a tenere corsi di formazione tra le mura domestiche. Comune a Taylor è il convincimento circa l’esistenza di una one best way della organizzazione aziendale e della possibilità di perseguirla scientificamente a partire dallo studio dei tempi, dei metodi e, nel caso dei Gilbreth, dei movimenti Lo studio dei movimenti viene condotto in maniera molto diversa dallo studio dei tempi ideato da Taylor, con conseguenze diverse sull’accettazione da parte dei dipendenti. Al posto del sospetto suscitato negli operai dal cronometro di Taylor, percepito come uno strumento di controllo e di sfruttamento, le macchine fotografiche impiegate dai Gilbreth destano una certa curiosità nei lavoratori coinvolti che si persuadono di non essere solo oggetto passivo di studio, ma veri e propri agenti del miglioramento. *************************************************************************************** 22 *************************************************************************************** FOCUS - MECCANICIZZAZIONE E BUROCRATIZZAZIONE: LA VERSIONE MODERNA DEL REINGENEERING (ANNI ’90) I principi dell’Osl non trovano espressione solo nell’industria, dove con la catena di montaggio (H. Ford) sono stati iscritti nella tecnologia stessa, ma anche nei servizi, dove si parla di McDonaldizzazione e di mcmansioni. Ma più in generale si assiste ad una meccanizzazione della vita nel suo complesso (riscontrabile, ad esempio, ogni volta che riduciamo il corpo umano ad una macchina composta da parti specializzate da sviluppare). Ecco perché, nonostante i teorici classici sono stati oggetto di molteplici critiche, in tempi recenti si è cercato di riprendere e reinterpretarne i principi con il così detto Reingineering. Anche questa tecnica intende superare alcune disfunzioni burocratiche, in particolare la logica della separazione per funzioni che ha portato ad una dipartimentalizzazione delle funzioni ma dall’altra parte tende a proporre una organizzazione meccanicistica basata sulla logica per processi (sequenza di azioni, ciascuna in grado di produrre valore aggiunto, che partendo da un certo numero di input, realizza gli output previsti). Attraverso la reingegnerizzazione sono possibili recuperi di efficienza eliminando fasi prive di valore aggiunto. Ma ancora una volta si muove dall’assunto meccanicista che una volta riorganizzata l’attività per processi il fattore umano vi si adatti 25 *************************************************************************************** FOCUS – JOB DESCRIPTION E JOB ABALYSIS Job analysis: raccolta minuziosa di informazioni sui comportamenti osservabili e sul contenuto di una posizione lavorativa Job description: descrizione analitica delle caratteristiche di una determinata posizione Esempio di questionario per la job analysis: ­ Nome della figura professionale ­ Quali sono i requisiti formali (titoli) per svolgere questo lavoro? ­ Quante ore lavora settimanalmente? ­ Le capita spesso di spostarsi? ­ Quali sono i compiti principali della posizione? Quali sono i compiti secondari? ­ Quanto tempo richiede ciascun compito? ­ Qual è la frequenza di ciascuno dei compiti? ­ Quali sono i compiti più difficili? ­ Quali sono i risultati tangibili e intangibili di ciascuna delle mansioni elencate? ­ Quali sono le responsabilità proprie di ciascuna delle mansioni elencate? ­ Qual è la sequenza delle principali azioni necessarie per svolgere ciascun compito? ­ Quali sono i materiali, l’equipaggiamento e/o le attrezzature necessarie? ­ A quali posizioni risponde all’interno dell’azienda e quali posizioni coordina chi ricopre la posizione analizzata? ­ Con chi comunica all’esterno dell’impresa? ­ Quali sono le principali somiglianze e differenze con altri ruoli all’interno dell’azienda? ­ Quali possono essere i criteri di valutazione per la posizione? ­ Quali possono essere le caratteristiche personali adatte in termini di esperienze, conoscenze, capacità, tratti di personalità? ­ Quali sono i rischi legati al lavoro? ­ Altri commenti, note, suggerimenti *************************************************************************************** 26 CAPITOLO 3 LE ORGANIZZAZIONI COME ORGANISMI Analogia biologica con gli organismi viventi: come i sistemi viventi le organizzazioni devono assolvere delle funzioni, devono gestire i bisogni dei loro dipendenti e si rapportano con l’ambiente. Principi di base: ­ Le organizzazioni sono sistemi aperti che si adeguano all’ambiente ­ Le organizzazioni passano attraverso le fasi di un ciclo vitale ­ Esistono differenti specie organizzative ­ Il funzionamento organizzativo è influenzato da componenti informali legate alla natura umana Analogia biologica: le organizzazioni sono come sistemi viventi, collocati in un ambiente più vasto, dal quale dipendono per tutta una serie di bisogni. Esistono diverse specie organizzative così come esistono diverse specie di organismi viventi 27 La scoperta dei bisogni organizzativi si può far risalire ai primi anni ’20. Si venne infatti ben presto ad intuire che i dipendente sono portatrici di bisogni complessi, bisogni che devono essere soddisfatti se si vuole che gli individui abbiano una vita sana e siano in grado di operare efficacemente e con motivazione sul posto di lavoro. Si abbandona dunque il principio tayloristico in cui la progettazione organizzativa era un problema meramente tecnico ed il compito di incoraggiare i lavoratori si riduceva a determinare il giusto salario per il lavoro richiesto. Le principali scuole che hanno approfondito gli aspetti delle organizzazione come “organismi” sono: 1) Scuola delle relazioni umane 2) Scuola motivazionalista 3) Modello socio tecnico 4) Approccio situazionale o teoria delle contingenze 5) Scuola sistemica 1. SCUOLA DELLE RELAZIONI UMANE Ha come punto di partenza la ricerca condotta ad Howthorne (1927-1932). Le ricerche condotte sotto la guida di Elton Mayo alla Western Eletric Company avevano l’obiettivo di analizzare la relazione tra condizioni di lavoro e incidenza della fatica e della noia; in particolare studio della connessione tra rendimento e illuminazione: risultati contradditori e disorientanti. Si vennero infatti a delineare i seguenti risultati fra di loro contrastanti: ­ in un reparto di operaie (caso) appositamente scelte si aumenta la luminosità e si riscontra un aumento della produttività; ­ in un altro reparto (controllo) dove la luminosità non era aumentata la produttività aumenta ugualmente ­ Quando nel reparto “caso” diminuisce la luminosità la produttività continua ad aumentare . In tutti e tre i casi, quindi, indipendentemente dalla luminosità la produzione incrementava. Si è così constatata l’esistenza di un fattore umano “psicosociale” che spiegavano gli aumenti nel rendimento: non era infatti l’ambiente a determinare l’incremento o meno della produzione delle operaio ma il semplice fatto che alcune persone stavano prendendosi cura di loro. La ricerca andò dunque ben oltre il suo fine iniziale (determinazione dell’ambiente sulla produttività, e dunque per certi versi incanalata sul filone tayloristico) e finirono per concentrarsi su molti altri aspetti della situazione lavorativa arrivando ad interessarsi agli atteggiamenti e alle preoccupazioni dei lavoratori nonché delle variabili esterne di natura sociale. 30 Ciò che per Taylor era un tratto della natura umana “il fatto che l’uomo sia pigro” è riconducibile invece a dinamiche informali di gruppo. Pertanto opportuni interventi del management sul gruppo possono aumentare la produttività (rischio di interventi manipolativi) L’ideologia delle Relazioni Umane: a) Importanza del “fattore umano” (fattori psicologici, ambiente di lavoro gradevole e armonico): maggiore attenzione alle istanze psicologiche aumenta il rendimento. Proposta di introdurre gli psicologi aziendali b) L’uomo possiede una dimensione sociale che ne condiziona la condotta (ma non si riconosce ancora l’identità/coscienza collettiva) c) Anomia della società industriale, nostalgia per le comunità agricole e fabbrica come istituzione reintegratrice (la Grande madre) (servizi integrativi e ricreativi) d) Primato degli aspetti informali: necessità del lavoro di gruppo (in aperto contrasto con Taylor) e necessità che le gerarchie di officina sappiano ascoltare e consigliare (paternalismo) Conclusioni: 1. Le Relazioni Umane come lubrificante del Taylorismo che non viene messo in discussione come sistema produttivo 2. Enorme successo di una teoria che pur basandosi su dati di ricerca non sempre corretti era congeniale ai tempi 3. A fronte della crescente spersonalizzazione del processo produttivo (con l’introduzione della catena di montaggio e il ridursi della necessità di controllo), consegue una maggiore esigenza di personalizzazione dei rapporti gerarchici (anche per evitare insubordinazioni) 2. SCUOLA MOTIVAZIONALISTA Le teorie motivazionali, quali quella antesignana elaborata da Abrham Maslow, rappresentano l’individuo come un organismo psicologico che lotta per soddisfare i propri bisogni. Questa teoria, che considera gli essere umani come motivati da bisogni ordinabili su una scala che va dai bisogni fisiologici a quelli psicologici ed a quelli sociali, ha evidenziato come le organizzazione burocratiche limitavano lo sviluppo umano ai livelli più bassi della scala dei suoi bisogni cercando di motivare facendo leva sul salario o sulla sicurezza del lavoro. Possiamo dunque dire che le teorie motivazionali : ­ Pongono il focus sulla dimensione psicologica dell’individuo che lotta per soddisfare i suoi bisogni alla ricerca di una crescita e di uno sviluppo completo ­ Rifiutano nettamente la visione della natura umana di Taylor. 31 Dunque, si evidenzia come i bisogni umani debbano essere integrati con quelli dell’organizzazione: i fini dell’organizzazione possono essere perseguiti con risultati migliori quando i bisogni umani vengono soddisfatti. Psicologici dell’organizzazione quali Chris Agrys, Frederik Herzberg e Douglas McGregor hanno dimostrato che è possibile dar vita a forme burocratiche alternative agendo su stili di leadership, arricchendo le mansioni. Nell’ambito di questo sforzi si è cercato di far sentire i dipendenti più importanti assegnando mansioni più significative (“arricchimento delle mansioni”), dando loro una maggiore autonomia, responsabilità e coinvolgimento (stile di direzione più partecipativo) e riconoscendo loro l’importanza della loro prestazione. Questi concetti stanno alla base dell’approccio definito della “gestione delle risorse umane”  le risorse sono dotate di un particolare valore ed in grado di contribuire alle attività dell’organizzazione una volta che sia dato loro l’opportunità adeguata. La teoria di Maslow riconosceva anche quali fossero le possibili leve per motivare e coinvolgere i dipendenti (fig. 3.1). Così a partire dagli anni ’60, con il fine di migliorare la qualità del lavoro, ridurre l’assenteismo e turnover, gli esperti in management si sono preoccupati sempre più di creare e progettare organizzazioni che vennero definiti dalla Travistock Institute of Human Relations, dei “sistemi socio-tecnici” in quanto in grado: ­ di aumentare la produttività (aspetto tecnico); ­ aumentare la soddisfazione dei dipendenti (aspetto sociale). Questi due elementi divennero dunque indissolubili in quanto reciprocamente interdipendenti: il modo di essere dell’uno ha sempre conseguenze sull’altro. Tutto ciò è stato messo in evidenza dall’indagine condotta sulle miniere da Eric Trist e Ken Bamforth: il tentativo di meccanicizzare il lavoro di miniera con l’introduzione della così detta “parete lunga” per la frantumazione del carbone, distrusse il tessuto sociale dei minatori portando a numerosi problemi anche produttivi. 32 *************************************************************************************** FOCUS - SCUOLA SOCIO TECNICA Approccio socio-tecnico frutto del programma di ricerche del Tavistock Institute di Londra (E. Trist) negli anni ’50. Ricerca su una miniera di carbone: adozione di una nuova tecnologia di taglio meccanico (come catena di montaggio) che suggerisce alla direzione di passare dalla vecchia organizzazione basata su squadre autonome e professionalizzate di minatori a una nuova organizzazione taylorista. La riorganizzazione fallisce si creano tensioni e la produzione cala anziché aumentare Perché? Perché il nuovo modello distruggendo i gruppi autonomi minava la coesione interna spontanea necessaria in un lavoro tanto pericoloso Trist mise in luce la possibilità di riorganizzare il lavoro anche con le nuove tecnologie in modo più coerente alle esigenze umane e sociali Risultati teorici: ­ Le variabili tecniche e sociali concorrono in pari misura a definire un sistema produttivo. Le prime non sono un imperativo da privilegiare a prescindere dalla coerenza con le seconde ma vanno ottimizzate congiuntamente ­ Ogni organizzazione va vista come un sistema aperto rispetto al suo ambiente ­ La tecnologia non impone un unico modello organizzativo (non è rigidamente determinante) Scuola socio-tecnica: gli aspetti sociali e tecnici del lavoro sono reciprocamente interdipendenti il modo di essere di uno dei due elementi ha sempre delle conseguenze rilevanti sull’altro *************************************************************************************** *************************************************************************************** FOCUS - CASO DELLA TOMOGRAFIA COMPUTERIZZATA (BARLEY) L’introduzione di una stessa tecnologia può dar luogo a forme organizzative diverse, modificando i ruoli istituzionali e le modalità di interazione (a seconda del contesto organizzativo di partenza e delle scelte strategiche connesse alla sua implementazione) Contesto: due ospedali in cui vengono introdotti i ct scanner, in ognuno erano impiegati 6 radiologi e altre 50 unità Contesto istituzionale e professionale dei radiologi: 35 5. Bisogni di autorealizzazione (aspirazione ad un lavoro che arricchisca la dimensione psicologica interiore dell’uomo) Ordine gerarchico di soddisfazione: non può essere soddisfatto un bisogno di ordine superiore finché non trova soddisfazione uno di ordine ad esso inferiore La scala si presta anche ad interpretare l’evoluzione dei bisogni umani sul lungo periodo: il Taylorismo garantiva la soddisfazione dei bisogni di primo livello, la Scuola delle Relazioni Umane di quelli sociali, la Scuola motivazionalista degli ultimi due. Strumenti a disposizione dell’organizzazione per soddisfare i diversi bisogni lungo la scala di Maslow: ­ B. fisiologici: salari, condizioni di lavoro sicure ­ B. sicurezza: stabilità del posto di lavoro, carriera, garanzie sociali e sanitaria ­ B. sociali: lavoro di gruppo, clima disteso, eventi sociali e ricreativi, riunioni ­ B. ego: mansioni con un certo grado di autonomia, responsabilità, che sviluppino l’identità personale, riconoscimento dei risultati ­ B. autorealizzazione: il lavoro come massima espressione del dipendente *************************************************************************************** *************************************************************************************** FOCUS - ARGYRUS Contrasto tra le esigenze di crescita psicologica degli individui e esigenze organizzative secondo i principi classici del management Crescita psicologica: ­ Da uno stato di passività a uno di attività ­ Da uno stato di dipendenza ad uno di indipendenza ­ Da pochi e rituali modi di comportamento a una pluralità di modi ­ Da interessi vaghi e superficiali a interessi più profondi ­ Da prospettive di breve termine a prospettive di lungo termine ­ Da una stato di subordinazione ad uno di parità ­ Da una mancanza di consapevolezza di sé ad una crescita dell’autocoscienza e del controllo Argyris: i principi classici del management bloccano la crescita a) specializzazione  sviluppa poche e superficiali capacità b) principio gerarchico e controllo  individui passivi e subordinati Uomini rimasti psicologicamente bambini sono funzionali alle maglie rigide dell’organizzazione taylorista Argyris: necessità di ridisegnare i compiti lavorativi, attraverso la creazione di gruppi informali che si autogestiscono in modo partecipativo *************************************************************************************** *************************************************************************************** FOCUS - HERZBERG 36 ­ critica all’universalità della scala di bisogni di Maslow, non tutti gli uomini aspirano a soddisfare i bisogni di ordine superiore o la crescita psicologica teorizzata da Argyris ­ Distinzione tra “ricercatori di igiene” e “ricercatori di motivazione” e tra “fattori igienici” (condizioni esterne di lavoro) e “fattori di motivazione” (contenuti del lavoro) ­ soddisfazione e insoddisfazione non sono lungo un continuum ma sono due dimensioni diverse ­ Se si interviene sui fattori igienici si può passare da una situazione di insoddisfazione ad una di assenza di insoddisfazione Se si interviene sui fattori motivazionali si può passare da una situazione di assenza di soddisfazione a una di soddisfazione Ma solo i ricercatori di motivazione sono interessati ai fattori motivazionali e possono raggiungere una piena soddisfazione nel lavoro *************************************************************************************** 3. SCUOLA SISTEMICA (OPEN SYSTEM THEORY) L’ Approccio sistemico aperto si ispira prevalentemente al lavoro dello studioso Ludwig Von Bertalanffy negli anni ’50-’60 e si basa sull’assunto che se le organizzazioni sono come gli organismi viventi, come questi ultimi dipendono dall’ambiente per tutta una serie di risorse per sopravvivere. Alcuni concetti fondamentali alla base della teoria dei sistemi: 1) Concetto di sistema aperto: interscambio con l’ambiente, ciclo di input, trasformazione interna, output e feedback. Interazione e dipendenza reciproca 37 2) Omeostasi: autoregolamentazione capacità di preservare un determinato stato; stabilità ottenuta grazie ai feedback negativi (es. temperatura-sudore) 3) Entropia: a differenza dei sistemi chiusi che tendono a decadere i sistemi aperti cercano di sostenersi importando energia ed espellendo le tendenze entropiche 4) Rapporto tra struttura-funzioni; 5) Differenziazione funzionale e necessità di integrazione 6) Varietà necessaria: i meccanismi regolatori interni di un sistema devono essere tanto variegati quanto lo è l’ambiente ad essi relativo “il controllore o modellatore di un sistema può controllare o modellare qualcosa solo al punto in cui egli abbia sufficiente varietà interna per rappresentarlo” 7) Equifinalità: sono possibili più vie per perseguire un dato stato finale; 8) Evoluzione sistemica: capacità di evolversi passando da forme meno differenziate ad un maggior livello di differenziazione. Tali principi della “teoria generale dei sistemi” sono stati sviluppati come uno strumento per collegare varie discipline. Ad ogni buon conto questa integrazione è stata raggiunta prendendo l’organismo vivente come modello. Tale teoria è dunque nata come una specie di metafora occulta. A livello di prassi l’approccio sistemico generalmente concentra la sua attenzione su alcune problematiche chiave.  L’ambiente in cui sono collocate le organizzazioni: precedentemente le organizzazioni erano trattate come “sistemi chiusi” e ci si preoccupava solo dei problemi interni all’organizzazione. La prospettiva ora viene modificata ed ogni attività di progettazione organizzative deve tener conto del ­ task environment cioè l’ambiente direttamente rilevante per la realizzazione del sotto- obiettivo della singola sotto-unità organizzativa o, addirittura, della singola della mansioni. Sono dunque le interazioni dirette come i clienti, fornitori, sndacati, etc.; ­ dell’ambiente generale, cioè del contesto.  Definire i sottosistemi interrelati: le organizzazioni come sistema sono a loro volta composte da sottosistemi tra loro interrelati (sottosistema strategico-sottosistema strutturale – sottosistema culturale). I sistemi possono essere considerati infatti come delle scatole cinesi. Così le organizzazioni contengono individui (che sono a loro volta dei sistemi) che sono a loro volta inseriti in reparti e che a loro volta sono inseriti in divisioni e così via;  L’allineamento tra i vari sottosistemi: così come l’approccio socio-tecnico cerca di allineare i requisiti umani con quelli tecnici, l’approccio sistemico spinge ad armonizzare i vari sottosistemi rappresentati nella figura 3.3.. Ad esempio il principio della varietà necessaria risulta particolarmente utile nella progettazione di sistemi di controllo o nella gestione dei confini interni ed esterni in considerazione della loro complessità. 40 Joan Woodward, eseguendo una ricerca su oltre 100 aziende inglesi, ha individuato l’esistenza di un rapporto tra livello di tecnologia impiegato ed il modello organizzativo. Infatti, siccome il tipo di produzione determina la tecnologia, la tecnologia determina il modello organizzativo più idoneo. Mentre la burocrazia meccanicistica sembra appropriata per le imprese che svolgono produzione di massa o grande serie o con processi di produzione continua (fonderie, raffinerie, chimiche, etc.) per altre, come le imprese che producono singole unità o piccole serie (produzioni artigianali, cantieristica, prototipi, ecc.) necessitano di altra organizzazione. 41 La Woodward sembra inoltre suggerire che data una certa tecnologia, questa permetta diverse soluzioni organizzative. Infatti, anche se i dati sembrano dimostrare che le aziende vincenti armonizzano tecnologia e struttura, non è detto che le aziende sappiano scegliere il tipo di organizzazione adatto al proprio ambiente. Sia il lavoro della Woodward che quello di Burns e Stalker evidenziano che il processo richiede tutta una serie di decisioni: ambedue le ricerche concordano sulla possibilità di realizzare un’organizzazione vincente dipende dalla capacitò di raggiungere un qualche equilibrio o una qualche forma di armonizzazione tra strategia, struttura, tecnologia, i bisogni e le aspirazioni dei dipendente e l’ambiente esterno. Tutto questo è la quintessenza dell’approccio situazionale. Anche se sarà necessario attendere che fosse portata a termine la ricerca di Lawrence e Lorsch per evidenziare la rilevanza di una prospettiva situazionale. La ricerca, portata avanti insieme ai ricercatori di Harvard partiva da due assunti:  Per affrontare condizioni tecnologiche e di mercato diverse sono necessarie organizzazioni diverse;  Al crescere dell’incertezza e della turbolenza ambientale aumenta la necessità di differenziazione interna Si giunse dunque alla conclusione che è possibile incontrare stili organizzativi diversi in diverse sotto unità della stessa organizzazione a seconda dei rispettivi sotto ambienti (es. reparti di produzione, reparti di R&S). Infatti i due ricercatori non considerano l’ambiente di impresa come unitario ma distinguono tra ambiente scientifico, commerciale e tecnico cui corrispondono nelle organizzazioni l’area della R&S, l’area commerciale e l’area di Produzione: certezza massima nel settore tecnico (i reparti di produzione erano inseriti in task environment caratterizzati da obiettivi molto chiari e da prospettive temporali brevi), intermedia in quello commerciale e minima in quello della R&D (gli obiettivi sono più ambigui ed orizzonti temporali molto più lunghi). La ricerca di questi due autori offre spunti interessanti anche relative alle modalità di integrazione dei reparti. Ad esempio in ambienti stabili le modalità di integrazione burocratiche quali gerarchia e normativa sembrano funzionare abbastanza bene. In ambienti più turbolenti questi sistemi devono essere invece rimpiazzati da gruppi di progettazione multidisciplinari e con l’assunzione di personale dotato di ottime capacità di coordinamento e di risoluzione dei conflitti. *************************************************************************************** FOCUS – ANSOFF E BRADENBURG E LA RICERCA DI MINTZBERG I due autori evidenziano quattro modelli di impresa caratterizzati da complessità crescente che massimizzano criteri di efficienza diversi: 1) Stabilità 42 2) Elasticità operativa (riguarda aspetti quantitativi della produzione) 3) Elasticità strategica (riguarda aspetti qualitativi della produzione) 4) Cambiamento costante e istituzionalizzato delle strutture *************************************************************************************** 45 Termine coniato per dare l’idea di quei tipi di organizzazione che tendono a combinare una struttura di tipo dipartimentale con una articolata a team di progetto. Il modello maturo è caratterizzato dal fatto che sia trainato dai team e le funzioni/dipartimenti ne costituiscono semplice supporto (anche se spesso le divisioni funzionali conservano il loro potere ed i team si ritrovano immersi in una struttura burocratica non riuscendo a raggiungere le innovazioni prefissate). I vantaggi: 1) Permette di superare le barriere che si instaurano tra le varie unità specialistiche in quanto permette di mettere insieme membri di funzioni diverse e con capacità differenti; 2) Incrementa l’adattabilità nei confronti dell’ambiente, migliorando il coordinamento fra le varie funzioni e facendo un buon uso delle risorse umane. Infatti questo modello decentra l’autorità ed il controllo permettendo così ai livelli inferiori di offrire il massimo contributo; 3) Aiuta a creare uno spirito di sana competizione pur mantenendo un orientamento al business grazie alla combinazione dell’esperienza funzionale con orientamento al progetto/cliente/prodotto; Svantaggi: a) Conflitti che si sviluppano tra le unità funzionali ed i team: che diventano particolarmente rilevanti quando al team si cerca di reinserirlo in un contesto burocratico. Infatti, in tal caso i membri vengono percepiti come rappresentanti delle rispettive funzioni e continuano a rispondere in toto al loro capo (anche dal punto di vista della carriera). Così sono costretti ad apportare un contributo limitato e a riferire ai loro capi minando l’efficacia del team; b) I meeting sono le uniche forme di coordinamento così spesso si rischia di perdere un sacco di tempo a svolgere riunioni; c) Gestire efficacemente questo tipo di organizzazione significa prestare attenzione ai conflitti che esse finiscono per generare; d) Tali organizzazioni richiedono membri aperti alal collaborazione collegiale e dotati di notevole capacità di interagire con gli altri. Questa analisi dedicata alle varie forme che può assumere il modello matriciale, può essere presa ad esempio delle difficoltà che incontrano quando si vuole eleaborare tipologie organizzative discrete. Ciò è dovuto dal fatto che, a differenze di quanto capita in natura, dove le speci sono distinguibili sulla base di insiemi discreti di attribtui, la caratteristiche organizzative finiscono spesso per differenziarsi in maniera continua. In ogni modo, se sottoponiamo ad attenta analisi le organizzazioni di successo è possibile evidenziare le loro caratteristiche distintive in quanto sembra che abbiano “configurazioni” o alcuni “elementi” in comune. Rymon miles, Charles Snow e Dany Miller hanno dimostrato ad esempio che  le aziende di maggior successo she si sforzano di stare sempre sull’onda del cambiamento adottano strutture flessibili ed organicistiche per permettere una innovazione costante dei prodotti.  Le aziende che cercano di basare il loro vantaggio competititvo su prodotti di “seconda generazione”, di alta qualità e realizzati contenendo i costi, risultano combinare la flessibilità e la standardizzazione con qualche meccanismo più strutturato;  Le aziende che operano in una nicchia definita sono in grado di difendere il loro mercato adottando strategie di contenimento dei costi e di qualità del prodotto ottenuti con strutture sostanzialmente burocratiche e sottoposte a rigido controllo. 46 L’APPROCCIO SITUAZIONALE: PROMUOVERE LA SALUTE O LO SVILUPPO DELL’ ORGANIZZAZIONE? Benché tutti gli studiosi siano concordi che mano a mano che le evoluzioni tecnologiche portino alla scomparse delle vecchie organizzazioni burocratiche per far luogo a diverse forme organizzative, non tutti sono concordi sulla tipologia di rapporto che debba esistere tra ambiente ed organizzazione. Si possono, a tal proposito, individuare due differenti approcci: l’approccio situazionale e l’approccio della selezione naturale. 1. APPROCCIO SITUAZIONALE = promuovere la salute e lo sviluppo dell’organizzazione a partire dall’analisi dell’ambiente e dalla verifica della coerenza tra la soluzione organizzativa adottata e quest’ultimo (diagnosi e terapia organizzativa). I ricercatori apparente a tale filone definito come OD (Organization Development) hanno infatti sviluppato dei modelli diagnostici per identificare i malanni organizzativi e prescriverne la relativa cura. Basta dunque raccogliere le informazioni offerte dall’analisi dei subsistemi e rispondere a tutta una serie di quesiti raggruppabili nelle seguenti macro questioni: 1) di quale natura è l’ambiente dell’organizzazione? Stabile, complesso o turbolento? Quali sono i cambiamenti che si verificano nel settore economico, tecnologico, nelle relazioni sindacali e a livello politico?; 2) quale è la strategia impiegata ? Difensiva o attiva, competitiva o collaborativa? Oppure è priva sdi strategia limitandosi a reagire ai cambiamenti? L’organizzazione tenta di difendere una determinata nicchia? Analizza sistematicamente l’ambiente per scoprire nuove minacce e nuove opportunità? 3) che tipo di tecnologia viene impiegata? I processi utilizzati sono standardizzati? La tecnologia usata dà luogo a estesa o limitata autonomia? Che tipo di tecnologia (meccanicistica o non) viene impiegata? 4) quali sono le caratteristiche dei dipendenti e quale è la cultura o l’etica dominante nell’organizzazione? Quali sono gli atteggiamenti dei dipendenti sul lavoro? I dipendenti amano affrontare le sfide? Quali sono i valori e le credenze fondamentali a cui si conformano? 5) qual è la struttura dell’organizzazione e quali gli stili direttivi? Burocratica o matriciale e(o organica? Stile autoritario basato su stretto controllo e sulle responsabilità individuali? Stille innovativo o non accetta i rischi? Rispondendo a questa sorta di questionario è possibile ravvisare le caratteristiche organizzative utili pe determinare il grado di compatibilità tra i diversi elementi dell’organizzazione. Queste domande si basano infatti sull’assunto che l’organizzazione è fondata da sistemi interrelati che devono essere: a) coerenti tra di loro; b) adeguati all’ambiente. Le risposte al questionario possono dar luogo a risposte riportate nella seguente figura. 47 Dove: ­ la posizione A: rappresenta un’organizzazione o ambiente stabile: o strategia: difensiva per proteggere la sua nicchia; o mercato: probabilmente produce prodotti di buona qualità con bassi costi di produzione che le permettono di controllar il mercato; o tecnologia: da produzione di massa; o dipendenti: si accontenta delle loro mansioni rigidamente definite; ­ la posizione C o ambiente: parzialmente instabile dovendo sperimentare un tasso moderato di cambiamento o strategia: deve adottare un sistema matriciale o mercato: deve dar luogo ad un flusso continuo di modificazioni dei prodotti di base in modo da produrre prodotti migliori a costi più bassi; o tecnologia: deve aggiornare i metodi produttivi; o dipendenti: devono garantire un buon livello di flessibilità, specie a livello dirigenziale; ­ la posizione B: o ambiente: fortemente turbolento; o strategia: organica per motivare e gestire i dipendenti; o mercato: i prodotti hanno un ciclo di vita molto breve (azienda come periscopio alla continua ricerche di nuove idee); o tecnologia: deve cambiare in continuazione; o dipendenti: devono essere pronti ad impegnarsi fino in fondo; ­ la posizione D: è l’unica posizione non allineata all’ambiente. Tecnologia, strategia, metodologia organizzativa e manageriale non sembrano allineati all’ambiente in quanto troppo burocratizzata, più incline a difendere le posizioni raggiunte che a ricercare nuovi opportunità, i dipendenti sono frustrati in quanto aspirano a mansioni più aperte e stimolanti. La posizione corretta dovrebbe essere la C) e le incongruenze registrate tenderanno a creare problemi e l’organizzazione avrà difficoltà a mantenere la sua posizione. Questa tipologia di diagnosi, in realtà, qualora si voglia render conto alle teorie di Lorch e Lawrence, deve essere fatta anche a livello di sotto-unità ma con un’accortezze: fare attenzione che le necessità delle singole unità non finiscano con il prevalere su quella dell’organizzazione nel suo insieme. LA SELEZIONE NATURALE: LA PROSPETTIVA ECOLOGIA E DEMOGRAFICA 2) APPROCCIO DELLA SELEZIONE NATURALE: che invece utilizza una prospettiva ecologica e demografica. Mentre il precedente approccio analizzava la situazione e metteva a disposizione degli strumenti per la cura dell’organizzazione tale approccio ritiene che un tale assunto sia tropo fiducioso in quanto attribuisce troppo potere e troppa flessibilità all’organizzazione. Questi autori concentrano l’attenzione su come l’ambiente “seleziona” le organizzazioni. Ha dunque un approccio darwinistico: le organizzazioni, come gli organismi dipendono per la sopravvivenze dalla capacità di reperire risorse. Nel tentativo di accaparrarsi tali risorse le organizzazioni devono concorrere con altre. Siccome le risorse sono limitate, solo l’organizzazione più adeguata è in grado di sopravvivere. La natura, il numero, la distribuzione delle organizzazioni in ogni 50 Limiti: ­ La teoria manca di “concretezza”: reifica l’organizzazione e l’ambiente, considera entrambi in maniera troppo concreta come entità (esclude la dimensione simbolica culturale). Infatti le organizzazioni sono dei prodotti sociali basate su idee, credenze e dunque la loro forma e struttura sono molto fragili. Anche gli ambienti possono essere visti come il risultato della creatività umana. Risulta dunque fuorviante, come fa l’approccio situazionale, affermare le organizzazioni hanno bisogno di adeguarsi al loro ambiente , come fanno gli esponenti dell’approccio ecologico, che l’ambiente seleziona le organizzazioni. Entrambe queste concezioni tendono a far dipendere le organizzazioni da forze esterne senza rendersi conto che i loro membri sono gli attori stessi che cooperano nella creazione del proprio universo; ­ Ipotizza una unità funzionale tra i sottosistemi organizzativi (esclude il tema del potere e del conflitto). Così, mentre nel corpo umane il sangue, il cuore, i polmoni e le altri parti hanno un fine comune, la maggior parte delle organizzazioni invece sono composti da elementi cha hanno spesso propri fini o che comunque non lavorano concordemente per un unico comune destino. E questo è naturale nelle organizzazioni: chi pensa che comportamenti altamente individualistici siano anormali o disfunzionali di una organizzazione, sbaglia! Lo stato normale dell’organizzazione è il conflitto e non l’unità. 51 CAPITOLO 4 VERSO L’AUTO-ORGANIZZAZIONE: OVVERO LE ORGANIZZAZIONI COME CERVELLI 1. Rappresentazioni del cervello Nel suo libro The Natural History of Mind, G.R. Taylor evidenzia le differenze tra cervello e macchina. A seguito dei suoi esperimenti sui topi lo studioso registrò che anche a seguito dell’esportazione del 90% del cervello i topi erano sempre in grado di ritrovare la corretta via di un labirinto dimostrando dunque che il ricordo sia distribuito in quasi tutto l’intero cervello. Così pure riducendo la corteccia motoria si registrava un peggioramento dei movimenti ma, come sottolinea l’autore, è meglio correre malamente che non poter correre. E’ questo invece il destino delle macchine: nel momento in cui vengono tolte anche una minima parte dei suoi componenti questa smette totalmente di lavorare. Da tali osservazioni si può sollevare un’interessante questione: è possibile progettare le organizzazioni come un cervello in modo da renderle elastiche e flessibili? Per comprendere ciò è bene innanzitutto capire come funziona il cervello. Il cervello è un complesso sistema di elaborazione di informazioni e come tale è stato descritto da numerose metafore: un computer, un sistema televisivo, una sofisticata biblioteca, etc. Una delle ultime metafore utilizzate nel 1948 dal neurologo Karl Pribram è quella del sistema olografico. Inventato da Dennis Gabor nel 1948, utilizza camere prive di lenti per registrare delle informazioni in modo che l’insieme venga memorizzato in ogni singola parte. Raggi interagenti di luce creano una struttura di interferenze che disperde l’informazione registrata su una lastra fotografica, detta ologramma, che può in un secondo momento venire illuminata per ricreare l’immagine originaria. Una delle sue caratteristiche principali è che se si dovesse rompere, ogni singolo pezzo può venire usato per ricostruire l’intera immagine. Il cervello funziona secondo i principi dell’olografia: la memoria è distribuita attraverso tutto il cervello in modo da poter essere ricostruita partendo da ogni singola parte di esso. Tutte le metafore utilizzate offrono dei contributi significativi ma ne tralasciano altri altrettanto importanti. Ad esempio quella del computer rende il processo eccessivamente centralizzato mentre l’intelligenza è qualcosa di più distribuito e decentrato. La metafora dell’ologramma è sicuramente quindi più calzante ma può risultare esagerata in quanto il cervello è anche un sistema potente di specializzazione funzionale: l’emisfero destro presiede alle attività creative, intuitive, emozionali, acustiche, mentre l’emisfero sinistro svolge funzioni di tipo razionale, analitico, visuale e verbale. Vi è dunque un elevato livello di specializzazione dei due processi ma è anche vero che questi sono contemporaneamente coinvolti in ogni attività del cervello stesso: ogni emisfero è predominante rispetto all’altro a seconda dell’attività svolta ma sono ugualmente importanti e complementari. Se si vuole comprendere dunque il meccanismo del cervello si deve accettare il paradosso secondo cui i meccanismi della riduzione logica e quelli della creatività possono essere elementi dello stesso processo. E così pure accettare altri paradossi del cervello: ­ è contemporaneamente sia olografico (rimarcata diffusione funzionale) che specializzato; 52 ­ ambedue gli emisferi sono indispensabili per dar luogo a comportamenti efficaci (meccanismi della logica e della creatività sono elementi di uno stesso processo); ­ casualità e variazione possono far emergere modelli strutturati; ­ ridondanza e ripetizione possono dar luogo ad azioni efficaci; ­ coordinamento e intelligenza non si basano necessariamente su un progetto predeterminato esplicito. E’ dunque possibile pensare all’organizzazione come un cervello coì descritto? A pensarci bene qualunque aspetto del funzionamento di un’organizzazione dipende da qualche tipo di trattazione dell’informazione. I funzionari prendono delle decisioni ed i top management intraprendono strategie sulla base di dati; i computer stanno sempre più portando all’archiviazione e alla condivisione delle informazioni (es. le intranet aziendali). Le organizzazioni come cervelli che processano informazioni: a. Le organizzazioni sono dei sistemi informativi b. Le organizzazioni sono dei sistemi di comunicazioni c. Le organizzazioni sono dei sistemi decisionali E’ dunque più che giustificata la metafora cervello ed organizzazione. 2. Le organizzazioni come cervelli che processano informazioni - APPROCCIO DECISIONALE (Herbert Simon): Analizzando le similitudini tra attività decisionale umana e quella organizzativa, il premio Nobel Herbert Simon ha sostenuto che le organizzazioni non potranno mai essere perfettamente razionali in quanto i membri sono dotati di capacità limitate nel trattare informazioni. Infatti: ­ Gli uomini sono costretti ad agire sulla base di informazioni incomplete; ­ Essi sono in grado di analizzare una quantità limitata di alternative; ­ Non sono in grado di valutare risultati delle singole azioni Premesso ciò, Simon, contraddicendo la teoria economica relativa alla massimizzazione del profitto, giunge alla conclusione che le organizzazioni sono destinate a perseguire una “razionalità limitata” e a ricercare delle soluzioni basate su regole del buon senso e su limitate informazioni. Nella maggior parte dei casi le decisioni vengono prese non sulla base di un principio di massimizzazione, ma sulla base di un risultato soddisfacente. Questi limiti della razionalità umana, secondo Simon, si ritrovano nelle organizzazioni che come una psecie di cervello frammenta, routinizza e condiziona i processi decisionali allo scopo di poterli gestire. Dopo Simon hanno fatto seguito altre ricerche e studiosi con l’intento di dimostrare come le organizzazioni elabora informazioni allo scopo di aumentare la razionalità organizzativa, come: a) Ricerca operativa; b) Sistemi gesionali manageriali (management information systems); c) Sistemi decisionali manageriali (management decision systems) 55 Il feedback negativo, quindi elimina l’errore: determina stati sistemici desiderati evitando quelli nocivi. La cibernetica in questo modo sviluppa una teoria della comunicazione e dell’apprendimenti che si basa su quattro principi fondamentali: a) i sistemi devono essere in grado di percepire i loro ambienti b) i sistemi devono essere in grado di collegare l’informazione raccolta alle norme operative che guidano il comportamento c) i sistemi devono individuare eventuali scostamenti significativi di queste norme d) i sistemi devono essere in grado di mettere in atto azioni correttive. Se queste 4 condizioni sono soddisfatte, si viene a creare un sistema di scambio informazioni tra il sistema ed il suo ambiente che permette di monitorare eventuali cambiamenti e di mettere in atto relative adeguate risposte. Infatti in questo modo il sistema può operare in maniera intelligente e auto regolativa. Tuttavia la capacità di apprendimento sono limitate, nel senso che il sistema può mantenere solo il corso di azione definito dalle norme e dagli standard che lo guidano (esempio del funzionamento del termostato in casa). Questo ha portato gli studi successivi a differenziare ­ i processi di apprendimento ­ da quelli di apprendimento dell’apprendimento. Questa differenziazione è stata chiamata apprendimento a “Subroutine Unica” o a “Subroutine Doppia”. 56 Chris Argys della Harvard University e Donald Shon del MIT hanno raccolto la sfida di creare organizzazioni in grado di apprendere (learning organizations) con l’idea di sviluppare le capacità individuali ed organizzative ad apprendere. Molte organizzazioni sono abili nell’apprendimento a subroutine unica, avendo sviluppato la capacità di investigare l’ambiente, di individuare gli obbiettivi e di monitorare il funzionamento generale del sistema in relazione a questi obiettivi. Gestire un apprendimento a subroutine doppia sembra invece alquanto sfuggevole. Falliscono soprattutto le organizzazioni di tipo burocratico (vedi organizzazioni come Macchine), dal momento che i principi organizzativi su cui si basano, spesso ostacolano il processo di apprendimento. Le suddivisioni sia gerarchiche, sia funzionali sono particolarmente marcate, difficilmente infatti in queste tipologie di organizzazioni l’informazione scorre liberamente. Aree diverse finiscono in questo modo a far riferimento a rappresentazioni della realtà altrettanto diverse. Queste suddivisioni inoltre favoriscono lo sviluppo di sistemi politici che danno luogo a ulteriori barriere e ostacolano i processi di apprendimento. Ulteriori ostacoli alla diffusione dei procedimenti di apprendimento derivano dall’esistenza, nei sistemi burocratici, che tendono ad individuare le responsabilità delle decisioni e di creare sistemi incentivanti. In tal modo, come Argys e Shon hanno messo in evidenza, gli individui si sentono “minacciati” ed attivano comportamenti difensivi per proteggere se stessi ed i colleghi. Si cercherà di nascondere quindi tematiche e 57 problematiche che potrebbero metterli in difficoltà (“ gestione delle impressioni” = cercare di fare apparire la situazione migliore di quanto sia in realtà) con la conseguenza di ignorare i problemi (es. shuttle Challenger: si sono nascosti i problemi che hanno causati ritardi nella sua progettazione con il risultato che lo shuttle è esploso al momento del lancio). Date tutte queste patologie non ci si deve sorprendere delle difficoltà di sviluppare l’apprendimento da parte delle organizzazioni. Concretizzare nella pratica principi di funzionamento di organizzazioni a subroutine doppia è cosa non semplice. Si può dire che si è attualmente in fase di sperimentazione. Al pari di un cervello umano, le organizzazioni avranno successo nella misura in cui saranno abili nello sviluppare adeguate rappresentazioni. Dovrebbero quindi possedere le seguenti caratteristiche: 1) scrutare e anticipare i cambiamenti che stanno maturando: le Learning Organizations devono sviluppare atteggiamenti mentali che portino a concepire il cambiamento come una regola fissa. Ad esempio le grandi aziende più innovative al mondo sono quelle che hanno la capacità di dar vita a settori industriali ed a nicchie di mercato completamente nuovi. Questo permette loro di reinventarsi continuamente (es. CNN = informazione world wide 24h su 24h; Apple = tutti dovevano avere un PC; Canon = fotocopiatrici di piccole dimensioni e con pezzi facilmente maneggevoli). I sistemi intelligenti sono dunque in grado di leggere le informazioni di oggi per le proprie attività commerciali di oggi ma anche per creare opportunità per il futuro. Si deve dunque superare quella barriera e le aziende devono avvicinarsi al proprio ambiente, ai propri clienti. Questo contatto diretto permetterà oltre che di raccogliere informazioni, anche di interagire e quindi modificare l’ambiente; 2) sviluppare le capacità di porre in discussione le norme operative: per apprendere e cambiare è necessario comprendere qual è il punto di partenza cioè quali sono i valori, ipotesi, concezioni, etc. su cui si basa l’attuale politica aziendale. L’apprendimento a “doppia routine” presuppone inoltre la capacità di saper rimodellare continuamente la propria materia. Il concetto di Learning Organization sviluppato da Peter Senge è tutto qui: incoraggiare gli individui a mettere in discussione il proprio modo di percepire e concepire l’organizzazione utilizzando conetti e modelli originali in modo da dar luogo ad opportunità nuove che permettano all’O. di creare il proprio futuro. Elemento cruciale è dunque saper rimettere in discussione le regole del gioco (es. utilizzo brainstorming). Su questo fondamento si sono basati il “movimento della qualità” di Edwards Deming (movimento che afferma la necessità di promuovere processi di miglioramento continuo – concetto giapponese del Kaizen) e il Total Quality Management (TQM). La criticità fondamentale è quello di coordinare strategia ed operatività. Infatti, mentre la strategia è orientata al futuro e può essere modificata senza gravi implicazioni, l’operatività è ancorata nella routine del presente (ciò ha portato ad un elevato fallimento dei progetti di TQM). 60 L’apprendimento a doppia subroutine risulta dunque essere “l’arte del sapere continuamente rimodellare la propria materia”. Il vero apprendimento risulta dunque quello basato sull’azione. È importante secondo questo approccio sperimentare e provare corsi di azione nuovi in modo da poter imparare in maniera produttiva *************************************************************************************** FOCUS - APPRENDERE ED APPRENDERE E FISSITA’ FUNZIONALE Le esperienze precedenti influiscono sui processi di soluzione dei problemi, se le norme operative possono contribuire a ridurre l’incertezza in condizioni di routine, possono anche produrre fissità funzionale. esempi di fissità funzionale: immaginate di avere 8 monete e una bilancia a due bracci: una delle monete è contraffatta e quindi più leggera. Il problema è scoprire la moneta contraffatta usando la bilancia soltanto due volte esempi di fissità funzionale: 3+3+ 2 1°tentativo: si pesano i 2 gruppi da 3 monete 2°tentativo: ­ 2-a se i gruppi da 3 monete hanno lo stesso peso si pesano le 2 monete ­ 2-b se uno dei due gruppi da 3 monete è più leggero si pesano 2 monete qualsiasi delle 3 *************************************************************************************** 4. LE ORGANIZZAZIONI E LA METAFORA DEL CERVELLO OLOGRAFICO La metafora dell’ologramma induce a pensare a sistemi in cui le caratteristiche dell’intero, sono contenute in tutte le parti in modo che il sistema ha la capacità di auto-organizzarsi e di rigenerarsi su base continua. Il cervello, parimenti all’ologramma, sa organizzarsi nel caso in cui in cui alcune sue parti siano danneggiate o tolte (es. topi). Pensare all’organizzazione come ologramma ci spinge dunque a vedere le organizzazioni dotate di memorie favolose organizzate da poter accedere in maniera decentrata; che devono essere capaci di elaborare quantità di dati massicci; che siano in grado di essere a proprio agio in situazioni diverse; in cui i lavoratori dovrebbero essere in grado di affrontare qualunque sfida; che dovrebbero essere capaci quando parte della loro struttura è paralizzata; dove le funzioni decisionali e di controllo sono distribuite in modo da permettere ad ogni elemento di agire in maniera autonoma come una parte viva del sistema. Quello dell’ologramma sembra un ideale impossibile da ricreare. In realtà però vi sono elementi nelle moderne aziende che riproducono tali caratteristiche: es. i database permettono di usufruire dell’informazione in tutta l’organizzazione.; o lo stesso individuo ha una sua intelligenza ed un suo potenziale in grado di agire autonomamente. Così pure la capacità di agire anche se si perde o si paralizza parte dell’organizzazione.: es. azienda norvegese che perde metà del personale e molti dirigenti in incidente aereo. Dopo iniziale shock l’azienda riprende a funzionare grazie ai dipendenti rimasti ed alla loro condivisione dell’ informazioni con i neo assunti. Pur essendo paradossale parlare di “modelli olografici” in quanto abbiamo detto che sono in continua evoluzione, è possibile mappare quali sono i principi a cui ispirarsi per creare contesti organizzativi con tali caratteristiche: 61 1) Inserire “l’intero nelle singole parti”: tale ideale, che sembra impossibile, può essere realizzato in 4 differenti modalità e cioè attraverso: a. La cultura aziendale: il Dna dell’organizzazione: le visioni, i valori, gli scopi che tengono insieme un’organizzazione sono strumenti che possono aiutare i singoli individui a comprendere per interiorizzare la missione e la sfida che caratterizza l’azienda. E dunque, indirettamente ad agire in modo da rappresentare il sistema. Come in biologia il DNA aziendale contiene le informazioni necessarie per lo sviluppo dell’organizzazione. Se si vuole però dar vita a potenzialità auto-organizzative tali codici aziendali devono produrre una visione aperta ed orientata al futuro. Visioni chiuse ed autoreferenziali porteranno inevitabilmente alla scomparsa; b. Sistemi informativi: l’intelligenza in rete: cioè progettare sistemi informativi adeguati che permettano di essere utilizzati partendo da punti di vista differenti (anche per chi si trova in periferia) in modo che tutti possano contribuire alla creazione della base dati e quindi contribuire alla creazione di memoria ed intelligenza dell’organizzazione (e non più controllata esclusivamente dalle gerarchie); c. Un buon disegno della struttura organizzativa: la struttura olografica: progettare strutture in grado di crescere pur rimanendo piccole (es. Magna International che produceva componenti per auto: si basava sul principio che gli impianti produttivi devono rimanere piccoli per evitare che diventino impersonali. Così quando un’affiliata superava i 200 62 addetti, l’unico modo per lasciarla crescere era creare un’altra affiliata. Si creò così un’organizzazione a grappoli dove ogni “scheggia” apparteneva ad un unicum e conteneva le strutture fondamentali che permettono il suo sviluppo). d. Gruppi di lavoro olistici: un quarto modo è legato alla progettazione delle mansioni. I principi meccanicistici portavano alla frammentazione rendendole paralizzate e coordinate da meccanismi ci coordinamento e controllo. In tal modo l’insieme era la somma delle parti così progettate. L’approccio olografico va nella direzione opposta: l’unità di riferimento è il gruppo di lavoro che viene reso responsabile per un intero processo produttivo (es. assemblaggio sedile di un’auto) in modo da poter rispondere ai bisogni di uno specifico cliente; nell’ambito di tale gruppo le mansioni sono definiti in maniera elastica ed i singoli vengono addestrati a sviluppare attività diverse in modo da essere interscambiabili. In tal modo tali gruppi assorbono molte delle funzioni che nell’organizzazione burocratica venivano svolte da uffici separati. Tali gruppi sembrano tendere ad “inglobare” tutto nel senso che sono responsabili per la realizzazione non di un singolo compito ma di più compiti e i loro membri si rendono conto che il lavoro diventa più semplice ed efficace se riescono ad influenzare l’ambiente e le condizioni di lavoro. Ne consegue che spesso, piuttosto che raggiungere i propri obiettivi, sviluppano innovazioni produttive originali sia sul prodotto che sull’organizzazione del lavoro. Una precisazione è però d’obbligo: queste tecniche è vero che facilitano la generalizzazione. Però, come avviene nel cervello, a volte si ha bisogno di specializzazione come per le funzioni dei due emisferi celebrali. Ecco perché la filosofia dell’”intero nelle singole unità” non porta sempre alla clonazione di consociate o gruppi identici ma bensì può portare a creazioni specializzate ed adeguate 65 Da ultimo dobbiamo essere consapevoli che la metafora del cervello comporta una notevole disfunzione normativa. L’idea di favorire l’apprendimento non viene messo in discussione. Ma l’apprendimento a che cosa deve servire? Un apprendimento ininterrotto può sembrare una cosa buona in sé. Ma in pratica tale apprendimento dovrebbe essere accompagnato dalla consapevolezza dei propri limiti cibernetici in modo da farne un processo positivo. *************************************************************************************** FOCUS - Le mappe cognitive Come nascono le rappresentazioni della situazione che guidano gli attori nei processi decisionali non di routine? Si tratta di schemi, mappe cognitive (script; frames; belief systems). Abbandonata la pretesa di esaustività nella ricerca delle informazioni necessarie per assumere una scelta razionale, va definito sulla base di quale soglia minima soddisfacente fermarsi nella raccolta di dati affinché la decisione che ne consegue possa dirsi ancora limitatamente razionale Tale soglia soddisfacente dipende da una valutazione del decisore, sulla base della sua rappresentazione della situazione. “Le rappresentazioni interne dell’attore decisionale (mappe cognitive) sono il risultato di costruzioni mentali prototopiche sulla cui base interpreta gli eventi del mondo e da cui deriva le azioni che ritiene più opportune per il conseguimento dei suoi fini” (Provasi 1995) Queste mappe sono costruite sulla base di meccanismi di risparmi cognitivo, filtraggio delle informazioni e semplificazione della realtà L’approccio cognitivo al managerial thinking si basa su quattro punti: 1) comprendere le intenzioni strategiche dei manager 2) decifrare le loro rappresentazioni riguardanti la strategia 3) studiare i loro processi di ragionamento 4) tracciare una descrizione del comportamento manageriale in contesti strategici” (Stubbart, Ramaprasad 1990) “L’analisi delle strutture cognitive dei decision makers consente di individuare le relazioni ed nessi causali (…) che contribuiscono alla strutturazione di ogni processo decisionale. (…) le mappe cognitive consentono di rappresentare in maniera grafica la parte del sistema di credenze dei decision makers che viene attivato in risposta ad un determinato stimolo/problema proveniente dall’ambiente competitivo” (Muzzi e Ortolani) Funzioni delle mappe cognitive: 1) Funzione esplicativa dei processi decisionali a partire dalle premesse del comportamento degli attori 2) Funzione predittiva delle decisioni e azioni future 3) Funzione riflessiva per aiutare i decisori a riflettere sulle loro rappresentazioni della situazione 4) Funzione strategica per generare una descrizione più accurata della situazione problematica al fine di individuare le azioni migliori da intraprendere Le mappe cognitive FIGURA 6.1 Brani estratti dalla trascrizione dell'intervista a un leader sindacale impegnato nel rinnovo del contratto integrativo aziendale {..] Tn pratica questo piano di risanamento prevedeva una (azione del persona e 2 cei em. pl {..] Assieme a questo è venuto avanti un ragionamento sui Utilizzando questo strumento — che secondo me è stato lo strumento BIT Jarno sono andate via leeffguz pit qualificate, quelle che avevano più sperENziscre magari avevano fatto 30 anni di Fabbrica, catsandio un abbussumento della@ualicà, 5 L'azienda non si è preoccupata delle sostituzioni, di chi se e andava. L'azienda gs a solo un problema di abbassando i Esempio di mappa cognitiva da Codara, Le mappe cognitive, 1998 FIGURA 6,2 Frammento di mappa cognitiva derivata dal brano di intervista sopra riportato 4 Figure più tà di 5 Qualità della + % qualificate, con produzione 2 esperienza 3 Prepensionamenti 1 Personale NE Costi di gestione > “ Rieauilibrio 2 Riequilibrio tra 7 gestlehe economico lavoratori diretti ed indiretti Esempio di mappa cognitiva da Codara, Le mappe cognitive, 1998 car nversti e fori cati irene Fonte: Muzzi, Ortolani, Le mappe cognitive come strumenti di analisi delle distanze cognitive nel processo decisionale — La mappa del senior scientist nana cranico ee d cate Fonte: Muzzi, Ortolani, Le mappe cognitive come strumenti di analisi delle distanze cognitive nel processo decisionale — La mappa del Responsabile Personale RIESI IR O OSIO SORIA OOO IA ORIO IA OOO A AIA 67 70 gerarchia è più un sistema di servizio reciproco che strumento di controllo verticale; tra i lavoratori, anziché il prevalere della competizione come nelle culture individualistiche occidentali, prevale una situazione culturale che permette di realizzare condizione di rispetto di se stessi attraverso il servizio espletato nell’ambito del sistema. Non tutto è oro però quello che riluccica. Molti studi che hanno interessato il Giappone hanno sempre cercato di mettere in luce gli aspetti positivi della cultura nipponica cercando un relativo collegamento anche con il boom economico registrato. Ecco perché spesso si rimarcano storielle che ne evidenziano i punti di forza: es. la estrema fedeltà ed attaccamento al lavoro; o l’operaio della Honda che torna a casa tardi la sera perché si ferma a tirare tutte le viti dei tergicristalli delle Honda che incontra nel tragitto lavoro­casa. Nella realtà ci sono anche aspetti negativi. Ad esempio in Toyota, azienda simbolo del boom giapponese, che per far fronte al crescente ed ininterrotto successo ha conosciuto negli anni ’70 un’esperienza di deprivazione personale, specie verso i lavoratori che vivevano a centinaia di miglia di distanza dalle loro famiglie, ospitandoli in campi gestiti da forze di polizia. Oppure il semplice fatto che se è vero che l’autorità venga accettata, è altrettanto vero che spesso si ha una sua percezione negativa con l’unica differenza, rispetto all’occidente, che il giapponese ha maggior capacità di sopportazione. 71 Inoltre tali studi spesso tendono ad esagerare la possibilità di trasferire tecniche e politiche sviluppate in un determinato ambito di un contesto culturale, a contesti diversi, dal momento che spesso è proprio il contesto culturale a rappresentare il fattore differenziale tra successo e fallimento. In tale sede, dunque, la descrizione del modello giapponese è solo di tipo illustrativo. Il punto che si vuole evidenziare è che la cultura conforma di sé le caratteristiche delle organizzazioni. Ad esempio, in Inghilterra, che ha conosciuto conflitti di classe e forti cambiamenti sociali, sarà più facile vedere un operaio che si definisce in contrapposizione al sistema. Oppure negli USA, dove l’etica dell’individualismo competitivo è estremizzato, sarà più facile vedere dipendenti ossessionati dall’essere vincenti e dalla necessità manageriale di premiare il successo e di punire l’insuccesso. L’antropologo Gregory Bateson rivede all’interno delle organizzazioni il rapporto che si sviluppa all’interno di un determinato contesto tra genitori e figli. I bambini sono individui che si trovano ancora in una situazione di dipendenza e di subordinazione. Nel Nord America sono spesso indirizzati a comportamenti esibizionisti che contrastano con gli usi inglesi che invece inducono i bambini a comportarsi come degli spettatori sottomessi e che premia i bambini quando vengono “visti ma non uditi”. Tali metodi educativi, secondo Bateson, si ripercuotono sui comportamenti degli adulti: nel caso americano, creano degli spazi di autocompiacimento inteso come base dell’indipendenza e della forza. 72 Ciò sembra essere supportato anche dai casi presentati all’interno del libro Alla ricerca dell’eccellenza di Tom Peters e Robert Waterman dove vengono presi di riferimento alcune aziende di successo come: ­ IBM: dove Thomas Watson firmava assegno ogni volta che girava nella sua azienda e vedeva qualcosa di positivo; ­ Tupperware: dove ogni lunedì, in un rituale, si premiano, con una classifica che può essere definita la “conta in su”, tutti i venditori; 75 aziendale, sia come leader informali, sia, più semplicemente, comportandosi in maniera genuina secondo le caratteristiche della propria personalità. La cultura non è dunque qualcosa che può essere imposta a nessun sistema sociale; c) Coesistenza di diversi valori: In ogni organizzazione possono convivere diversi sistemi di valore: sesso, razza, lingua, etnia, religione, fattori socio­economici, amicizie e gruppi professionali, etc possono avere un impatto decisivo nel favorire una cultura mosaico. Ad esempio chi lavora nel marketing può avere una visione completamente differente rappresentazioni del mondo e del tipo di attività che svolge l’azienda. Ogni gruppo può dar vita a norme e modelli di comportamento diversi influenzando in maniera sostanziale il funzionamento quotidiano dell’organizzazione, specialmente quando i gruppi etnici coincidono con differenti attività che tendono a rimarcare ulteriormente le differenze. Ad esempio. nei ristoranti: differenze tra cuochi e personale di sala, generalmente con status inferiore: quando un gruppo dotato di status elevato interagisce con un gruppo il cui status è basso, o quando gruppi sono caratterizzati da culture professionali molto diverse sono legati da rapporti di dipendenza, le organizzazioni possono divenire infettate da una specie di guerra sub culturale. Si vengono così a delineare norme, credenze, atteggiamenti che possono creare disfunzioni e contraddizioni che sono oltretutto difficilmente superabili razionalmente in quanto si basano su una serie di valori interiorizzati dai singoli individui. Altro tipo di frammentazione culturale può derivare anche dai diversi “tipi di fedeltà” all’organizzazione. Ogni individuo difficilmente si sentirà impegnato esclusivamente e totalmente nei confronti dell’organizzazione. E’ più facile invece che al fine di accrescere le proprie aspettative e stili di vita entrano a far parte di gruppi di amici i di colleghi , oppure sviluppano norme e valori che privilegiano obiettivi personali su quelli aziendali. Queste coalizioni spesso possono dar vita a controculture che si contrappongono ai valori organizzativi promossi dai dirigenti ufficiali. Le più rilevanti controculture aziendali sono promosse dai sindacati: in tal caso la lotta ideologica risulta più marcata dal momento che i sindacati sono delle contro­organizzazioni, nel senso che la loro esistenza si giustifica per il fatto che interessi dei lavoratori e dei datori non possono coincidere. 3. LA CREAZIONE DELLA REALTA’ ORGANIZZATIVA. Quando si parla di cultura si parla di un processo di costruzione della realtà che permette alla gente di concepire fatti, azioni, oggetti, espressioni o situazioni specifiche in modi particolari. Questi modelli di concettualizzazione aiutano a gestire le diverse situazioni e rappresentano ance la base che dà senso e significato al nostro comportamento. 3.1 IL DILEMMA CULTURALE TRA ORDINE E SVILUPPO Il sociologo Harold Garfinkel ha dimostrato che molti aspetti routinari e scontati della realtà sociale sono delle realizzazioni intelligenti. Nella maggior parte delle realizzazioni che attuiamo nella vita quotidiana mettiamo in gioco abilità importanti ma che diamo per scontate. Es. provate a guardare fisso negli occhi con insistenza un altro passeggero della metropolitana: questo prima cercherà di sfuggire agli sguardi ma dietro alla vostra insistenza probabilmente cambierà posto o scenderà prima della sua stazione di destinazione. Oppure provata camminare su un marciapiede pieno di gente in maniera irregolare 76 zigzagando o alternando stop e ripartenze brusche. In tutti questi casi vengono infrante delle norme e l’ordine della vita viene meno. Si può dunque dire che la natura di una cultura è rappresentata dalle sue norme sociali e dai relativi costumi; se si rispettano queste norme di comportamento si riesce a costruire una realtà sociale adeguata. Si pensi ad un uomo di affari che va in oriente e cerca di definire tempistiche rigide e predefinite sottovalutando il fatto che gli arabi amano sviluppare i rapporti di affari con calma in modo da sviluppare reciproca fiducia. In tal modo infrangerà le regole con risultati negativi. Il fenomeno culturale non si esaurisce però nel semplice rispetto delle norme. Lo stesso Garfinkel ha dimostrato che applicare una norma richiede molto di più della conoscenza della singola norma in quanto questa è incompleta. Ad esempio, anche nel campo della giustizia, dove ci si aspetta che le azioni umane siano determinate da regole ben precise, l’applicazione di una legge specifica richiede conoscenze da parte del giudice che vanno ben al di là di ciò che è scritto nella legge. Affinché si possa parlare di violenza sui minori, ad esempi, presuppone che ci siano dei determinati requisiti ed attributi da classificare il reato come tale. Le leggi sembrano quindi definire il supporto a delle decisioni e a delle sentenze più che strada da seguire. Ciò avviene anche nella vita quotidiana. La nostra costruzione della realtà contribuisce a determinare quali siano le regole ed i comportamenti cui rifarci in quanto adeguati a quella situazione. Se siamo ospiti in un party, ci può sembrare normale andare in cucina ed aprire il cassetto per prendere cavatappi e stappare bottiglia di birra. Ciò potrebbe non sembrare normale in altri contesti. Prima che una qualsiasi norma o regola venga applicata, tutti noi facciamo implicitamente una serie di scelte. Karl Weick, psicologo dell’organizzazione, ha descritto il processo tramite quale diamo norma e struttura alle nostre realtà come un processo di attivazione. Weick evidenzia il ruolo attivo che inconsciamente svolgiamo nella creazione del nostro mondo. Anche se tendiamo a ritenere che viviamo in una realtà oggettiva, la vita ci richiede un ruolo molto più attivo. Siamo chiamati a svolgere continuamente un ruolo attivo nel processo, che si sviluppa attraverso l’impiego di diversi schemi interpretativi – di concretizzazione delle nostre realtà, anche se queste realtà possono imporsi su di noi come la cosa più ovvia e scontata al mondo. Es. del sig. Turner, la cui moglie era stata ritratta da Picasso. Un giorno Picasso gli chiese che cosa ne pensasse ed il marito disse che non era proprio come apparisse nella realtà. All’incalzare dell’artista che chiese allora come fosse nella realtà, il marito tirò fuori una foto e Pisasso rispose: “è proprio piccola”. Rendersi conto che realizziamo o attiviamo la realtà nel nostro mondo quotidiano rappresenta un modo molto efficace per capire il fenomeno della realtà: questo infatti implica che dobbiamo cercare di capire la cultura come un processo, continuativo ed attivo, di costruzione della realtà. In tal modo il fenomeno culturale acquista vita e non può essere considerato come una semplice variabile sociale o organizzativa. 3.2 L’ORGANIZZAZIONE COME ATTIVAZIONE DI UNA REALTA’ CONDIVISA La concezione che vede la cultura come attivazione ha tutta una serie di implicazioni in termini organizzativi. Tale concezione infatti evidenzia il fatto che la nostra concettualizzazione del fenomeno organizzativo deve venir radicata nei processi che danno vita ai sistemi di significati condivisi. Quali modelli condivisi di riferimento rendono possibile il fenomeno organizzativo? Da dove provengono? In che modo sono creati, comunicati e rinforzati? 77 Sono domande cruciali e che ci aiutano a comprendere che le organizzazioni in sostanza sono realtà socialmente costruite che si trovano più nelle menti dei loro membri che nelle strutture, nelle norme, e nei rapporti concreti che le caratterizzano. Tom Peters e Robert Waterman, nel loro lavoro, Alla ricerca dell’eccellenza, mettono in evidenza che le organizzazioni che hanno successo sanno sviluppare culture coesive basate su una serie di norme, valori e concetti capaci di definire in maniera appropriata la strategia aziendale. Le aziende americane di maggior successo basano tale successo su frasi del tipo: ­ IBM significa servizio = l’organizzazione deve essere orientata al servizio in cui il dipendente, a qualunque livello si trovi, deve considerare il cliente come priorità principale; ­ L’idea di un nuovo prodotto non deve mai essere smontata (3M) = sviluppare un’innovazione costante capace di creare flusso ininterrotto di nuovi prodotti; ­ Vendilo innanzitutto ai venditori (HP)= l’importanza di commercializzare i prodotti in un settore in cui si rincorre la tecnologia e c’è il rischio di perdere il contatto con la realtà. In tutti questi casi tali idee hanno contribuito a creare una cultura aziendale che ha diffuso valori di base e principi operativi per tutta l’organizzazione, creando così le basi per il successo. In maniera simile il Total Quality Management e il servizio al cliente hanno pervaso le idee manageriali degli anni ’80 e ’90, creando valori e mentalità innovative che facevano riferimento a veri e linguaggi e protocolli in grado di aiutare i membri dell’organizzazione a pensare, parlare ed agire in modi nuovi. Il fine era proprio di far leva sui principi e valori della “qualità” e del “servizio al cliente” per scardinare e rimuovere le vecchie culture burocratiche che governavano i comportamenti delle organizzazioni. In gran parte dei casi, però, il 70% degli esperimenti avviati proprio a causa dell’incapacità di scardinare la culture tradizionali che permeavano le organizzazioni . Allo steso modo l’approccio del reingennering e della responsabilizzazione ha subito gli stessi fallimenti per motivi simili. Non c’è dubbio, quindi, che la metafora culturale rappresenta un modo innovativo per considerare il fenomeno organizzativo ed evidenzia come, per dar vita a nuove forme di organizzazione e a nuovi stili manageriali, bisogna innanzitutto vincere la sfida del cambiamento culturale. Una sfida enorme in quanto comporta lo sviluppo e l’affermazione di significati condivisi, accettati, interiorizzati e tradotti in comportamenti quotidiani ad ogni livello dell’organizzazione! Anche in tal caso si può parlare di carattere olografico della cultura: le caratteristiche dell’intero devono essere diffuse nelle singole parti elementari. 4. POTENZIALITA’ E LIMITI Uno dei punti di forza della metafora culturale è che concentra la sua attenzione sul significato simbolico di ogni aspetto della vita organizzativa. Gli aspetti più razionali e concreti dell’organizzazione (strutture gerarchiche, ruoli, routine, etc.) rappresentano costruzioni e significati sociali che risultano fondamentali per comprendere il suo funzionamento quotidiano. Es. le riunioni non sono semplici riunioni: sono portatrici di elementi importanti della cultura organizzativa come la passività, nel caso della compagnia, del timore e del rispetto di fatti inconfutabili nel caso della ITT. Anche le stesse stanze possono dirci qualcosa: 80 FOCUS – MATERIALE SLIDE TEORIA DELLE CONTINGENZE La teoria delle contingenze poggia su un assunto oggettivista: esiste una realtà esterna (un certo ambiente, una certa tecnologia, ecc.) che si impone ai soggetti in modo indipendente dalla loro volontà IN REALTA’ L’AMBIENTE, LA TECNOLOGIA E LE DIMENSIONI POSSONO ESSERE SCELTE E MODIFICATE DALLE STRATEGIE UNA TESI DELLA TEORIA DELLE CONTINGENZE PREVEDEVA LA CONVERGENZA NEI MODELLI ORGANIZZATIVI TRA PAESI. EPPURE I CONFRONTI TRA STABILIMENTI APPARENTEMENTE SIMILI PER DIMENSIONI E TECNOLOGIA CONTINUANO A MOSTRARE DELLE DIFFERENZE NELL’ATMOSFERA INTERNA ANNI ‘70 NECESSITA’ DI RECUPERARE LA DIMENSIONE SOGGETTIVA DELL’AZIONE UMANA NELLE ORGANIZZAZIONI: CULTURA, CONVINZIONI, PREFERENZE CULTURA ­ Valori (giusto/sbagliato) ­ Credenze (vero/falso) ­ Costumi ­ Sistema di significati ­ Stile di vita (es. cultura pop) ­ Patrimonio di conoscenze Sistematizzazione dei differenti campi di ricerca (Smircich) a) Comparative management b) Corporate culture c) Cognitivismo organizzativo d) Simbolismo organizzativo e) Processi inconsci nelle organizzazioni (a cavallo con la metafora delle prigioni psichiche) In dettaglio: a) Comparative management (confronti interculturali sui modelli di management)= Analisi delle differenze tra culture organizzative dovute a diversi contesti nazionali o, nell’ambito di uno stesso contesto, all’appartenenza dei manager a differenti culture nazionali (es. Hofstede, Ouchi). Teoria classica del management, concezione strumentale dell’organizzazione (metafora della macchina) Es. analisi del concetto giapponese di lavoro e delle relazioni tra dipendenti e dirigenza: organizzazione come collettività, spirito collaborativo, rapporti autoritativi paternalistici = 81  Valori culturali delle piantagioni di riso  Spirito di servizio dei samurai Gerarchia come sistema di servizio reciproco e non come strumento di controllo verticale In occidente il rispetto di sé viene ricercato nella competizione con gli altri e con il sistema, in Giappone il rispetto di sé viene ricercato attraverso il servizio espletato nell’ambito del sistema b) Corporate Culture (Cultura d’impresa) = Sono le organizzazioni a produrre le proprie culture distintive L’attenzione si concentra sul legame tra la cultura e le performance delle organizzazioni (es. Deal e Kennedy 1982, Peters e Waterman 1982, Pascale e Athos). La tesi di fondo è che le imprese con culture forti ottengano risultati migliori. Si basa sulla concezione della cultura come meccanismo di adattamento e di regolazione e sul modello dell’organizzazione come organismo adattivo (metafora organismo, modello organico) c) Cognitivismo e simbolismo organizzativo = Cultura come sistema di conoscenze e credenze (cognitivismo) e/o come ragnatela di simboli e significati (simbolismo). In particolare per il cognitivismo le organizzazioni sono viste come sistemi di conoscenza (metafora del cervello) che si evolvono attraverso modalità simboliche come il linguaggio d) Simbolismo organizzativo = vedi poi e) Processo inconscio = Si basa sull’idea della cultura come proiezione della struttura universale inconscia della mente umana ­ e sulle teorie trasformative dell’analisi organizzativa, che considerano le forme organizzative come manifestazioni di processi inconsci individuali e collettivi. (metafora prigione psichica). Tali approcci, a seconda se considerino la cultura come una variabile a disposizione dell’organizzazione o meno, si possono suddividere come riportato nella seguente tabella: 82 Concentrandosi sugli approcci “radicali”, si possono distinguere a loro volta tra quelli che hanno una visione oggettiva (la cultura è così in quanto tale) da quelli che ne hanno una soggettiva (la cultura è così in quanto viene conferito un determinato senso da parte dei soggetti). 1. APPROCCIO CULTURALISTA: LA CULTURA COME FONTE DI SPIEGAZIONE DEI FENOMENI ORGANIZZATIVI (SCHEIN) ; 2. APPROCCIO SIMBOLISTA: SI CONCENTRA SUL SISTEMA DI SIMBOLI CHE RENDE POSSIBILE IL CONFERIMENTO DI SENSO E L’INTERAZIONE (CLARK, TRIST, ecc.) 3. APPROCCIO COGNITIVISTA: SI CONCENTRA SUL CONFERIMENTO DI SENSO DA PARTE DEI SOGGETTI (WEICK) In dettaglio: 1. CULTURALISMO - SCHEIN (1984) = LA CULTURA E’ L’INSIEME COERENTE DI ASSUNTI FONDAMENTALI CHE UN DATO GRUPPO HA INVENTATO, SCOPERTO O SVILUPPATO IMPARANDO AD AFFRONTARE I SUOI PROBLEMI DI ADATTAMENTO ESTERNO E DI INTEGRAZIONE INTERNA E CHE HANNO FUNZIONATO ABBASTANZA BENE DA POTER ESSERE CONSIDERATI VALIDI E PERCIO’ TALI DA ESSERE INSEGNATI AI NUOVI MEMBRI COME IL MODO CORRETTO DI PERCEPIRE, PENSARE E SENTIRE IN RELAZIONE A QUEI PROBLEMI” La cultura è fatta di risposte a problemi che il gruppo incontra. o La validità di queste risposte è data non solo dal grado con cui risolvono i problemi ma anche dalla capacità di ridurre l’ansia (questo spiega alcuni elementi ritualistici o simbolici) o I problemi principali sono o di adattamento o di integrazione o La cultura si basa sulla ripetizione del successo (gli assunti che “funzionano” vengono conservati) Dal momento che l’apprendimento è sempre in atto si crea una tensione tra l’esigenza di conservare il patrimonio di assunti che deriva dall’esperienza precedente e l’esigenza di adattarli a nuovi problemi (tensione tra conservazione ed innovazione) La cultura va trasmessa ai nuovi membri (ma fino a che punto questi possono cambiare la cultura data?) L’ANALISI DELLA CULTURA SI SVILUPPA SU TRE LIVELLI: a) ARTEFATTI: DEFINIZIONI VISIBILI (gergo, abbigliamento, arredamento, rituali, organizzazione degli spazi, ecc.) b) VALORI ESPLICITI: ideologie e discorsi pubblici c) ASSUNTI DI BASE: CONVINZIONI PROFONDE E INESPRESSE (concezione dell’uomo, della natura, del tempo) 85 STUDI SULL’AMBIVALENZA DELLA CULTURA Kunda approfondisce l’analisi della cultura come strumento di controllo e delle forme di resistenza degli attori. Le organizzazioni attuano un controllo culturale fondato sulla interiorizzazione di determinati valori, volto ad abolire la distinzione tra Sé pubblico e Sé privato. Si tratta di una forma di controllo “raffinato” di terzo livello (controllo coercitivo=primo livello; controllo gerarchico­burocratico=secondo livello) Tratti distintivi della cultura aziendale studiata da Kunda: – Richiamo costante ad una “grande famiglia” – Principio del “nuota o affoga”: essere creativi e saper lavorare sodo – Capacità di autogestirsi, e di rispettare gli impegni presi (sovraccaricarsi senza assolvere i propri compiti è visto negativamente) – Pluralità di punti di vista e tolleranza del confronto e del dissenso (se finalizzati alla produttività) – Tolleranza verso il fallimento: possibilità di una “rivincita“ è sempre ammessa Kunda sottolinea l’ambiguità dei sentimenti dei dipendenti verso l’azienda (personalità multiple) Gli individui sono impegnati nella ricerca di un equilibrio tra l’identificazione con l’organizzazione e la presa di distanza dalla stessa, attraverso il cinismo (demistificazione dell’ideologia), il rifiuto, la spersonalizzazione (professionalità coma maschera al vero sé), la recitazione. La Carriera professionale sembra richiedere una crescente adesione alla cultura aziendale (interiorizzazione sempre più profonda) Rischio di “burnout” Impresa come “gabbia dorata” spersonalizzante, che costringe gli individui a recitare un ruolo Erosione progressiva della sfera privata individuale Gratificazioni materiali elevate 3. APPROCCIO COGNITIVO (Weick) 1969 THE SOCIAL PSYCHOLOGY OF ORGANIZING (ORGANIZZARE. LA PSICOLOGIA SOCIALE DEI PROCESSI COGNITIVI, 1993): SI FOCALIZZA SUI PROCESSI DI ATTIVAZIONE DEGLI AMBIENTI DA PARTE DEI SOGGETTI 86 1995 SENSEMAKING IN ORGANIZATIONS: SI FOCALIZZA SULLE RETROAZIONI DELL’AMBIENTE ATTIVATO SUI SOGGETTI Il focus è su come le organizzazioni recepiscono elaborano e strutturano le informazioni La cultura è una mappa cognitiva che offre alle persone le categorie per selezionare, strutturare ed elaborare le informazioni. Teoria di Weick: OGGETTO DI STUDIO SONO I PROCESSI COGNITIVI ATTRAVERSO CUI I SOGGETTI DANNO SENSO AL FLUSSO DI ESPERIENZA IN CUI SONO CALATI L’ORGANIZZARE E’ UN PROCESSO DI COSTRUZIONE DI SENSO (SENSEMAKING) L’ORGANIZZAZIONE E’ UNA MAPPA COGNITIVA COLLETTIVA, PRODOTTO EMERGENTE DALL’INTERAZIONE DELLE MAPPE DEI SINGOLI ATTORI I processi cognitivi CI TROVIAMO CONTINUAMENTE IMMERSI IN FLUSSI DI ESPERIENZA DISORDINATI CHE COMPRENDIAMO ATTRAVERSO “PROCESSI COGNITIVI” DAI QUALI RICAVIAMO DEDUZIONI CHE ORDINIAMO IN MAPPE COGNITIVE E CAUSALI. TALI MAPPE PREDISPONGONO IL COMPORTAMENTO FUTURO E VENGONO A LORO VOLTA MODIFICATE DALL’ININTERROTTO FLUSSO DI NUOVE ESPERIENZE. Il sensemaking Il focus non è sul processo decisionale interno (decision making) all’organizzazione, ma sulla COSTRUZIONE DELLA CORNICE DI SENSO intorno a tutto ciò che riguarda la decisione (sensemaking) SPESSO LE PERSONE ATTRIBUISCONO UN SENSO RETROSPETTIVAMENTE ALLE SITUAZIONI IN CUI SI TROVANO E CHE HANNO CREATO (L’ESPERIENZA NON E’ QUELLO CHE SUCCEDE ALL’UOMO MA QUELLO CHE L’UOMO FA CON QUELLO CHE GLI SUCCEDE; UN ESPLORATORE NON PUO’ CONOSCERE QUELLO CHE STA ESPLORANDO FINCHE’ NON L’HA ESPLORATO). Generalmente le persone comprendono i problemi che devono affrontare solo dopo che li hanno Affrontati  L’azione precede la comprensione Una persona non sa esattamente quello che pensa finché non lo ha espresso e non ha visto le modifiche che esso ha provocato nell’ambiente in cui ha agito MAPPE COGNITIVE COLLETTIVE 87 All’interno delle organizzazioni le attribuzioni di senso compiute a livello individuale si confrontano per giungere ad una definizione consensuale delle mappe causali condivise (mappe collettive) SENSEMAKING = ORGANIZING ORGANIZING = “E’ UNA GRAMMATICA CONVALIDATA CONSENSUALMENTE PER LA RIDUZIONE DELL’AMBIGUITA’ ATTRAVERSO COMPORTAMENTI INTERDIPENDENTI DOTATI DI SENSO Grammatica: relazione sistematica tra regole attraverso cui una sequenza di comportamenti concatenati viene assemblata per formare strutture dotate di significato (mappe causali) Convalidata consensualmente: si fonda un accordo Per ridurre l’ambiguità: gli input informativi sono ambigui. Comportamenti interdipendenti: l’attribuzione di significato è frutto dell’interazione “quando i membri attivano e scandiscono parallelamente i loro flussi di esperienza individuali, sviluppano deduzioni in merito alle loro esperienze, deduzioni che vengono sistemate da un punto di vista congiunto in mappe causali che a loro volta predispongono il comportamento futuro. Le mappe causali dei singoli membri sono alterate e sviluppate dall’esperienza; tale sviluppo produce una corrispondenza cognitiva e comportamentale che definisce, per loro, un’organizzazione” ENACTMENT = METTERE A FUOCO ALCUNE PARTI DEI FLUSSI DI ESPERIENZA PER DEDICARVI MAGGIORE ATTENZIONE. PRODUCE QUEL MATERIALE GREZZO CHE DEVE POI ESSERE DOTATO DI SENSO SELEZIONE = IMPORRE UN INSIEME FINITO DI INTERPRETAZIONI ALLE PARTI COSI’ ISOLATE. Serve a ridurre ambiguità RITENZIONE = IMMAGAZZINARE I SEGMENTI INTERPRETATI PER UNA FUTURA APPLICAZIONE E’ un processo di archiviazione degli ambienti costruiti, provoca effetti retroattivi di conferma o disconferma. Non deve essere mai totale pena la paralisi del sistema. “L’uomo deve ricordare se non vuole perdere il proprio significato ma deve dimenticare se non vuole impazzire” L’atto con cui si attribuisce un senso a dei flussi di esperienza (sensemaking) assume un valore fondativo dell’ambiente. Pertanto l’ambiente è sia il risultato del processo di attivazione che un insieme di vincoli che il soggetto assume come esterni “l’organizzazione dipinge il proprio scenario, lo osserva con il binocolo e cerca di trovare un sentiero nel paesaggio” (Weick 1993, 193) Il sensemaking è condizionato dagli ambienti costruiti. Nelle organizzazioni il sensemaking è sottoposto a molti più limiti che nella vita quotidiana ed è pertanto più problematico. 90 c. Variazione: si modifica sostanzialmente il prodotto d. Improvvisazione: nuovo prodotto b) Quanto più le persone rinunciano a programmi come guida comune tanto più devono rifarsi a precedenti esperienze, pratiche c) Nell’improvvisazione l’accordo è più semplice quanto meno ci si allontana dalle linee guida d) Non si può improvvisare sul nulla, occorre un minimo di regole, la tensione sta nell’improvvisare “su qualcosa” senza diventare ripetitivi e) Per improvvisare occorre un precedente investimento in pratica, ascolto, studio I rischi dell’improvvisazione a) Egocentrismo: “le persone peggiori con cui discorrere sono quelle che quando stai parlando stanno già pensando a cosa stanno per dirti, invece di ascoltare quello che stai dicendo” (Berliner 1994) b) Tempi: contrariamente a quello che si può pensare più i tempi di risposta sono stretti, meno conviene improvvisare. Per le organizzazioni ad alta velocità c’è un limite oltre il quale non si riesce ad improvvisare ma è meglio rifarsi a materiale prepianificato c) L’improvvisazione in una unità può aggravare i problemi affrontati dalle altre unità cui è legata I manager e l’improvvisazione: Le attività manageriali spesso diventano sinonimo di improvvisazione (…) come i musicisti jazz i manager scoprono simultaneamente traguardi e mirano ad essi, creano regole e le seguono e si impegnano in attività amministrate, spesso avendo più chiare le direzioni da non seguire che gli specifici risultati finali” (Weick 1999) L’attività manageriale consiste in : – Riflessione ed azione simultanee – Modelli di risposte reciprocamente attese paragonabili a musicisti che si muovono insieme attraverso una melodia – Azioni informate a melodie sotto forma di codici (es. riferimento al teamwork) – Continua mescolanza tra atteso e nuovo – Fiducia nella presa intuitiva e nell’immaginazione I gruppi con elevata improvvisazione hanno le seguenti caratteristiche:  Volontà di rinunciare a pianificare e favorire l’azione in tempo reale  Conoscenza approfondita delle risorse interne e dei materiali a disposizione 91  Competenze senza bisogno di schemi  Abilità nell’accordarsi su strutture minime di abbellimento  Disponibilità a riassemblare e allontanarsi dalle routine  Ricco insieme di temi a cui attingere  Riconoscere parziale rilevanza all’esperienza precedente  Alta fiducia nella capacità di affrontare eventi non di routine  Capacità di prestare attenzione alle performance altrui e di basarsi su di esse per mantenere un’interazione costante creando possibilità interessanti per tutti  Destrezza nel mantenere il passo e il tempo a cui gli altri stanno improvvisando  Concentrazione sul qui ed ora senza distrazioni dal ricordo o dall’anticipazione  Preferenza per il processo più che per le strutture CONLUDENDO 1) SINTESI APPROCCI CULTURALI 2) METAFORA CULTURALE E LE ALTRE METAFORE et. cultura Comparative —_ monogement Corporate culture Cognitivismo IUIUAOOLOGOGAONOA OO OOO OOO OOO OO OO OOO OOO GOG O OOO OOO OOO OOO OO 92 95 Molti ritengono che la politica e l’economia debbano essere tenute separate. Ma, chi difende i diritti dei dipendenti o l’idea di una democrazia assume una posizione politica al pari di coloro che accettano un altro modo di governo (autocrazia, burocrazia, etc). La politica è dunque implicita nell’organizzazione. Ciò che cambia è il tipo di natura politica visto che ci si basa su criteri di legittimazione diversi. Ad esempio in Germania, come in gran parte dei paesi nordici, si è venuta ad affermare la cogestione dove viene riconosciuta pari dignità alle aspirazioni al governo avanzate sia dai detentori del capitale che dai dipendenti. In tale sistema proprietari e dipendenti decidono insieme il futuro (ad esempio includendo nei vari comitati aziendali dei rappresentanti sindacali, anche se quest’ultimi non vedono spesso di buon occhio tale partecipazione in quanto nel momento in cui si passa al “governo” si è controllati da qualche forma di opposizione e, soprattutto, in molti sostengono che i diritti dei lavoratori possano venir meglio tutelati da coloro che adottino un ruolo di opposizione). Altri criticano tali tipi di organizzazione democratica in quanto si ritiene che in realtà i dipendenti vengano coinvolti solo per le decisioni secondarie mentre viene tenuto nascosto loro le decisioni di primaria importanza. Ecco perché in Jugoslavia si sviluppò il principio dell’autogestione dove i lavoratori eleggevano i propri dirigenti (quindi si dava più importanza ai lavoratori che ai detentori del capitale). Tali tentativi sono alquanto rari nei paesi capitalistici : esempi si sono registrati solo in casi estremi in aziende che hanno conosciuto gravi periodi di crisi. Al pari dei dirigenti di quelle organizzazioni che si basano su principi non democratici, gli operai­dirigenti hanno scoperto che la sopravvivenza dell’azienda richiede tutta una serie di azioni che non sempre sono accettabili da parte dei loro dipendenti­proprietari. 2. ORGANIZZAZIONE COME PROCESSI (ORGANIZZAZIONI COME ARENE POLITICHE) Oltre che analizzare i vari sistemi di potere adottati dalle singole aziende, è interessante anche comprendere la dinamica quotidiana della politica organizzazionale e per far ciò bisogna analizzare i processi che coinvolgono i singoli nel fenomeno politico. Può essere utile rifarsi alla concezione aristotelica in base alla quale la politica trova origine nella diversità degli interessi, diversità che dà luogo a tutta una serie di processi di mediazione, negoziazione, formazione coalizioni, e di influenza reciproca che contribuiscono alla configurazione della vita organizzativa. Si ha politica organizzativa quando gli individui hanno diverse opinioni e vogliono mettere in atto azioni differenti. Tale diversità darà luogo a tensione che deve essere risolta tramite strumenti di potere (siano questi di tipo autocratico del tipo “lo faremo così”, burocratico del tipo “dobbiamo farlo così”, tecnocratico, “è meglio farlo così”, o democratico, “come dobbiamo farlo?”). Sarà dunque necessario concentrarsi sui rapporti che esistono tra i seguenti fenomeni: quello degli interessi, del conflitto e del potere. 2.1 INTERESSI Per interessi ci si riferisce ad attitudini che comprendono obiettivi, valori, desideri, aspettative e tutta una serie di altri fattori e predisposizioni che conducono un individuo a comportarsi in un certo modo piuttosto che in un altro. Nella vita quotidiana si ha la tendenza di definire gli interessi in termini spaziale: aree di interesse che si vuole conquistare, mantenere, raggiungere, etc. Per far ciò siamo disposti ad attivare una 96 serie di misure difensive ed aggressive per raggiungere la nostra posizione voluta. Il processo politico risulta essere strettamente connesso con questo nostro modo di posizionarsi nei confronti degli altri. Uno dei modi per analizzare gli interessi è il seguente: concepire gli interessi come 3 diversi ambiti che interferiscono tra loro rispettivamente all’obiettivo organizzativo, alla carriera e alla vita personale. ­ Obiettivo organizzativo: è connesso alla funzione che si deve espletare (es. direttore di produzione deve garantire che i prodotti vengano realizzati in maniera puntuale e precisa); ­ Obiettivo di carriera: i dipendenti portano sul lavoro tutta una serie di progetti ed aspettative per il loro futuro e che possono essere indipendenti dalla mansione espletata; ­ Obiettivi personali: i dipendenti portano anche valori, personalità ed atteggiamenti che determinano il comportamento nei confronti della carriera e della mansione. Esempio: un dirigente può essere attaccato al suo lavoro, essere ambizioso e non voler trascurare la sua famiglia. Nella sua esperienza lavorativa potrebbe voler tenere sotto controllo tutti e tre gli ambiti. In alcuni casi queste tre aspettative possono essere coincidenti (il dirigente ha la sensazione di fare bene il suo lavoro, di avere buone opportunità di carriera ed è soddisfatto del tempo libero), in altri solo due sfere possono essere compatibili (es. il dirigente ha la sensazione di fare un buon lavoro e prospettive di carriera ma a discapito del tempo libero) ed infine nessuna delle tre sfere sono compatibili (il dirigente è consapevole di poter ridurre il suo carico di lavoro ma sa che se lo farà le sue prospettive di carriera diminuiranno. Allora per raggiunger entrambi dovrà lavorare e sacrificare il tempo libero). Le tensioni che possono esistere tra i diversi tipi di interesse che desidera perseguire, rendono “politico” rapporto del dirigente con il suo lavoro ancor prima di prendere in considerazione la presenza di azioni messe in opera da altri attori. 97 L’atteggiamento nei confronti di tali tensioni varia per ciascun individuo dando luogo ad una grande varietà di comportamenti: da chi spende tutte le sue energie per il lavoro a chi cerca di ritrovare un buon compromesso tra le differenti necessità. Concepire in tal modo i diversi interessi ci permette di decodificare i motivi personali che stanno dietro alle azioni e alle attività specifiche. Ci permette quindi di comprendere come il lavoratore si relazione all’interno del lavoro per il tramite degli obiettivi personali. Ci riesce possibile capire in che modo gli individui si collegano al loro lavoro tramite gli obiettivi personali come pure ci permette di evidenziare le motivazioni che stanno dietro a diversi tipo di comportamento quali il carrierismo, l’estrema sociabilità, l’impegno per il lavoro, la tendenza a sviluppare cliques, etc., tutti comportamenti che definiscono nel dettaglio i contenuti che può assumere la politica nell’ambito della fenomenologia organizzativa. Per il semplice fatto di perseguire le proprie inclinazioni si finisce con il conformare il dramma della vita organizzativa secondo una trama politica (ecco perché si parla dell’organizzazione come di arene politiche). Sfera politica che si estende notevolmente se si prende in considerazione non solo i singoli desiderata ma anche l’esistenza di altri attori che a loro volta sono portatori di propri interessi. L’attività politica che si delinea si evidenzia in particolar modo nei momenti in cui bisogna scegliere tra diversi corsi di azione future o in altre fasi di transizione (es. assunzione di nuovi dipendenti). Vedi esempio pag 217-220 La diversità di interessi osservata da Aristotele nella città greca, si manifesta quindi in ogni organizzazione e può venire analizzata individuando i punti di coincidenza e di contrasto che esistono tra le opinioni e le azioni dei singoli attori. Contrapponendosi alla concezione che considera le organizzazioni delle imprese razionali ed integrate che perseguono un obiettivo comune, la metafora politica ci induce invece a concepire le organizzazioni come dei reticoli aperti di individui con interessi differenti e che si coalizzano solo per motivi contingenti. Le organizzazioni sono coalizioni di coalizioni. Le coalizioni si sviluppano quando insiemi di individui confluiscono per cooperare in ordine a problemi, fatti o decisioni specifiche o per promuovere particolari valori ed ideologie. L’organizzazione reagisce alla definizione di tali coalizioni in quanto composte da lavoratori, dirigenti ed altri gruppi, più o meno formali, che a loro volta hanno interessi propri. L’organizzazione, intesa come una coalizione formata da attori diversi, risulta quindi caratterizzata da obiettivi multipli. Alcuni studiosi tendono a distinguere tra cliques istituzionalizzate (con obiettivi comuni e stabili) e organizzazioni che si uniscono per seguire un qualche interesse comune, spesso contrapponendosi a gruppi rivali. In molte organizzazioni esiste una coalizione dominante che controlla i settori importanti dell’attività aziendale. Tale coalizione spesso si crea intorno a personaggi cruciali (quali amministratore delegato, per esempio) ed è caratterizzata che ogni membro chiede qualcosa ed ottiene qualcosa dalla coalizione per la sua partecipazione. Ogni coalizione deve presentare infatti un qualche equilibrio tra i premi ed i prezzi necessari per mantenere in vita la coalizione (equilibrio influenzato da fattori quali età, posizione ricoperta nell’organizzazione, cultura, anzianità, etc). Molte organizzazioni cercano di favorire la creazione di cliques o di coalizioni. Infatti le articolazioni di tipo funzionale tendono a frammentare interessi tramite assegnazione di obiettivi ed attività diverse per ogni sotto unità/reparti. Così il venditore si occupa solo delle vendite, i responsabili della produzione solo delle