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"In ascolto, mappe sonore per la storia della musica", Schemi e mappe concettuali di Storia Della Musica Moderna E Contemporanea

Riassunto del libro "Mappe sonore"

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

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Scarica "In ascolto, mappe sonore per la storia della musica" e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Della Musica Moderna E Contemporanea solo su Docsity! 1. I FIAMMINGHI: La data di composizione della Missa “Hercules, due Ferrariae” di Josquin Des Prez (1450-1521) è collocata tra il 1481 e il 1503, quando per alcuni mesi il compositore entrò effettivamente a servizio della corte ferrarese. Josquin era giunto in Italia nel 1484 dopo aver lavorato anche alla corte di Renato d’Angiò e nella cappella del Re di Francia Luigi XI, giunse a Ferrara dopo aver lavorato a lungo a Roma presso il Cardinale Ascanio Sforza e presso la cappella papale. Quando venne assunto a Ferrara era già considerato tra i massimi compositori viventi. Da circa un secolo la composizione liturgica si era stabilmente organizzata in un ciclo di sezioni per intonare: - l’ordinarium della messa: parti recitate o cantate uguali in ogni festività. Kyrie, Gloria, Sanctus-Benedictus, Agnus dei. - proprium : composto dalel preghiere specifiche di ogni ricorrenza. Queste composizioni sono definite mottetti e prendo per titolo l’incipit della preghiera. Quando in musica si parla di messa intendiamo un’opera in cinque sezioni sul testo liturgico dell’ordinarium. L’esecuzione prevedeva che tra l’una e l’altra sezione l’espletamento delle altre preghiere della liturgia, recitate, cantate a coro omofonico o in gregoriano. La triplice invocazione di “Kyrie eleison, Christe eleison, Kyrie eleison” dimostra l’impregno profuso da Josquin in quest’opera. - non ci sono strumenti, ma solo voci umane, per cui viene intonato tutto a cappella. - il coro è diviso in quattro gruppi indipendenti, ciascuno impegnato in una diversa melodia e ogni gruppo si colloca ad una diversa altezza. Soprani per la melodia più acuta e contrarli per quella più bassa. - il testo non è cantato una volta sola, ma ripetuto più volte da ciascuna voce. 1. i soprani scandiscono Kyrie eleison su note lunghe e dilatate 2. i contralti lo cantano su una melodia molto più rapida e ritmata. La loro frase termina, mentre i soprani sono ancora impegnati a cantare. 3. entrano i bassi come avevano fatto i contralti 4. i tenori piano piano iniziano a scandire “Kyrie eleison” lentamente come i soprani, mentre questi hanno terminato. I diversi piani sonori sono molto differenziati. Le tecniche che Josquin utilizza sono quindi tecniche di imitazione tra le voci. Queste tecniche compositive sono le più raffinate del tempo ed erano state elaborate in modo sistemati soprattutto nelle cappelle del nord della Francia e delle Fiandre. I compositori formati in quelle zone: - Du fay - De prez - Obrecht - Ockeghem erano contesi dalle principali case regnanti e dia principali centri religiosi d’Europa, per dare lustro con la loro attività alle celebrazioni e agli eventi importanti della città e dalla famiglia nobiliare che li aveva a servizio. Le ricche corti italiane del Rinascimento erano poli attrattivi molto forti per questi maestri per questi maestri e dal 1420 circa il flusso si fece più consistente. • Un primo centro italiana che se ne avvalse fu la corte milanese di Galeazzo Maria Sforza. • Si trovarono presto anche nelle corte di Ferrara, Mantova, Firenze, Napoli le maestranze fiamminghe. Per la prima volta i compositori svolgeva la propria arte da professionisti. Il loro nuovo status è registrato dell'invenzione stessa del nome compositore, per indicare il maestro che scrive musica polifonica elaborata. La dedica di Josquin ad Ercole d'Este è dunque un atto d'alto omaggio al Signore che lo ospitava, ma la dedica non è solo formale poiché il compositore inserisci il nome di Ercole anche dentro la messa stessa. La melodia lenta dei soprani e dei tenori è composta da otto note, ed è la medesima che ricorre in tutte le cinque parti dell’ordinarium. Questo Kyrie, come tutta la messa, si basa soprattutto soleggiato imitativo delle voci. Josquin È considerato tra i primi maestri che, soprattutto nei suoi mottetti, curare la coincidenza tra l’articolazione del testo e segmentazione musicale. Nella tradizione fiamminga l'espressività della musica rispetta al testo poetico non era l'aspetto più rilevante: il testo verbale veniva completamente ripensato in termini musicali e l'armonia e le proporzioni dei suoni si sovrapponevano all'articolazione retorica del testo verbale. Ancora per un paio di secoli la musica sarà considerata una delle arti del quadrivium e il musico condivideva con gli studiosi di altre arti del numero l'approfondimento dell'armonia e delle proporzioni. 1 Il musico era tanto più stimato quanto più gestiva con abilità le proporzioni e i numeri della musica, sia nell'altezza dei suoni della scala sia nelle loro durate. La musica misurata era entrata far parte delle discipline universitarie, estendendo il prestigio del teorico anche al compositore. La scrittura musicale, perfezionatasi nel corso del Trecento, era ormai un modo nuovo di inventare la musica. I compositori si concentravano dunque per un verso sulla corretta successione e sovrapposizione delle note e dei loro intervalli, per altro verso sulle proporzioni della loro durata nel tempo. La successione di note poteva dunque essere imitata dalle altre voci anche in modi indiretti, sebbene sempre rigorosamente regolati. Era dunque musica concepita per un organico timbricamente omogeneo e monocromo, musica verso le voci umane solitamente quattro, dalle più gravi alle più acute, senza apporti strumentali anche se abbiamo testimonianze di esecuzioni con raddoppi strumentali. Per esibire la propria potenza e ricchezza, sede ecclesiastica e soprattutto principesche metteva a disposizione dei maestri fiamminghi ricchi organismi musicali. L’importante era che il risultato di queste composizioni fosse armonico e ben condotto grazie ad una corretta gestione delle tecniche compositive. I maestri fiamminghi del Quattrocento lavorarono modi di armonizzare le diverse voci per la prima volta. La maggior attenzione al testo e alla sua comprensione che Josquin inizia a porgere si diffuse fino a diventare prassi essenziale nel corso del Cinquecento. Anche il concilio di Trento recepì questa nuova sensibilità ed evidenziò la necessità che il fedele comprendesse il testo liturgico. Queste aspirazioni dovevano fare i conti con la tradizione polifonica. Quam pulchra es di Pierluigi da Palestrina mostra con evidenza il punto di mediazione tra queste due esigenze. Palestrina pubblicò nel 1584 nel suo Quarto libro di mottetti a cinque voci dedicato a Papa Gregorio XIII. Il successo del quarto libro fu notevole e si contano almeno 15 ristampe fino a 1650. Il testo del ventisettesimo mottetto consiste di quattro ampie sezioni, ciascuna dotata di unità sintattica: - le prime fasi creano un primo segmento introduttivo aperto dalle due voci acute, a cui rispondere le due voci più gravi l'aggiunta del contralto - Secondo segmento dove il tessuto polifonico si anima maggiormente perché i bassi sono contrapposti alle altre voci - Nelle terzo segmento emergono gradatamente prima le voci gravi, mentre le altre sono ancora impegnate nel segmento precedente. - Poi vengono coinvolte tutte, in fitta imitazione di tutte e cinque le voci sul medesimo materiale melodico che sale dal basso verso l’alto. - Un quarto segmento che riprende i modi della seconda sezione ma invertendo alti e bassi. - La quinta sezione continua il fitto gioco imitativo ma cambia tessitura musicale, si sposta più al grave e introduce altro materiale melodico da imitare. Come in questo caso le tecniche imitativa prese dei maestri fiamminghi vengono impiegate nella lettura nuova e interpretazione del testo verbale che valorizza: - la segmentazione - La ripetizione - La riconoscibilità in senso oratorio dell’eloquio. 2. IL MADRIGALE: Luca Marenzio (1553-1599) pubblicò la sua intonazione del sonetto Solo e pensoso di Petrarca nel 1599 in una raccolta dedicata ai membri dell’Accademia Filarmonica di Verona . Egli cercava di riallacciare i rapporti lavorativi dopo aver trascorso tre anni a Varsavia, presso la corte polacca. Era uno dei maggiori nomi della musica italiana: - aveva lavorato per un breve periodo presso i Gonzaga - soprattutto a Roma - era stato anche a Firenze presso la corte dei Medici, ma aveva fatto ritorno a Roma grazie agli Orsini e agli Aldobrandini. Nel 1599 la scelta di intonare un sonetto del Petrarca non era insolita, sebbene indicasse già un’intenzione classicheggiante: i sonetti di Petrarca erano stati poco frequentati dai musicisti del Trecento (quando era uso intonare soprattutto ballate e madrigali poetici). I sonetti di Petrarca però erano diventati un punto di riferimento anche musicale nei primi decenni del Cinquecento quando Petrarca venne elevato a modello letterari della poesia italiana, grazie e soprattutto alle Prose della voltar lingua di Pietro Bembo scritto tra il 1515 e il 1525 e poi edito nel 1525. 2 Cambia completamente il clima espressivo , Monteverdi muta radicalmente ritmo e condotta delle voci. La terzina abbandona i modi di danza. La terzina si chiude dilatate e sofferente. La lettura di Monteverdi del sonetto di Petrarca travolge le simmetrie interne della poesia e valorizza soprattutto la forza del ma oppositivo che apre la prima terzina. SECONDA TERZINA: Nell'ultima terzina contrappone nuovamente l'immagine festosa della primavera al deserto interiore del poeta. Riprende il ritmo danzato, vengono copiate le quattro voci nei due versi restanti. Sembra che ogni cantante proceda per conto proprio in un estenuante rinvio della cadenza conclusiva. L'ultima terzina rispecchia così in forma abbreviata il percorso espressivo che aveva guidato l’intonazione delle prime tre strofe. Il procedimento monteverdiano dei secondo madrigale è molto differente. Le voci possono descrivere questa ricchezza di immagine muovendosi in modo molto libero e non troppo rigoroso grazie alla coerenza garantita dal basso strumentale: ripete costantemente e ostinatamente immedesimo frammento. La “ciaccona” a cui si riferisce il titolo era una danza strumentale costruita come variazioni su uno schema di basso che da qualche anno veniva utilizzata anche nella musica vocale. I tenori imitano le immagini descritte da Rinuccini e sono presenti sezioni in cui si alternano l’un l’altro e sezioni omoritmiche. L'alternanza consente anche di salvare l'enjambement tra il primo e il secondo verso: un tenero canta la conclusione del primo verso mentre l’altro canta l’inizio del secondo. Questo prepara una lunga alternanza imitativa tra le due voci. Non viene evidenziata la censura tra prima quartina e seconda, ma su “note temperando” i tenori si imitano tre volte su un breve frammento per poi unirsi in omoritmia per cantare l’intero verso. Monteverdi conclude la seconda quartina con un’imitazione alternata forte e piano e raddoppiando sempre più la lunghezza del melisma. Nella prima terzina le due voci cambiano andamento e assumono condotte prevalentemente omoritmiche senza rinunciare a descrizioni sonore. Come nel madrigale sul sonetto di Petrarca, anche qui Monteverdi stacca nettamente l’intonazione quando la descrizione della primavera lascia il passo alla desolazione del poeta. Il basso strumentale per la prima volta si sospende, cambia il ritmo e le voci passano ad un andamento melodico con intense dissonanze. La conclusione del sonetto è particolarmente articolata e contrastata: - la parola “pianto” è intonata per tre volte co una lenta discesa di quattro note che già da qualche decennio era emblema del lamento in musica. - poi riappare improvvisamente il basso e il movimento torna il Allegro. La gioia del canto chiude il duetto terminando con un lunghissimo melisma imitativo. Qui Monteverdi si rifà di un’altra tecnica compositiva che si era avviata nel carissimo Cinquecento e ampiamente diffusa nel Seicento: il canto a voce sola accompagnata da basso continuo o il dialogo tra voci accompagnate (questo affianca e infine sostituisce il madrigale). Monteverdi si dedicò a questa tecnica compositiva nel “Quinto libro di madrigali” 1605 e in modo estensivo nel suo “Settimo libro” 1619 che unisce una notevole varietà di stili. Questa varietà giustifica la scelta del titolo “Concerto”, perché all’epoca il termine era riferito semplicemente alla capacità di concertare, coordinare, assembleare con organici oggetti differenti. A fine secolo l’attenzione per questo nuovo modo fare musica (voce sola…) fu crescente e si cercò di affidarlo alla scrittura e alla stampa. Nel palazzo di Giovanni Bardi a Firenze si iniziò a radunare nel 1580 un’accademia umanista impegnata a discutere anche dei rapporti tra musica e poesia. I membri di questa accademia misero a punto un quadro teorico di riferimento per il recupero del canto a voce sola che ritenevano pratica consueta dei loro modelli della Grecia antica. Nella Camerata fiorentina vennero pubblicate le prime istanze teoriche del nuovo canto e le prime edizioni d canti a voce sola accompagnate. Giulio Caccini diede alle stampe la raccolta dal titolo “Nuove musiche”, in cui in cui intonava in buona parte le poesie di Chiabrera per rinnovare la metrica poetica italiana otre all’uso sistematico dei petrarcheschi endecasillabi e settenari. 5 La sua poesia influì notevolmente sulle arie, ariette e madrigali a voce sola anche grazie alla sua ritmica che si organizzava ai nuovi ritmi musicali sempre più organizzati nella quadratura metrica a due otre accenti principali della battuta musicale. La monodia si prestava a ritmi assimilabili alla danza nelle leggere arie e ariette per intonare le rime proposte da Chiabrera. La composizione di madrigali poteva sfruttare nuove e inedite risorse e la sua storia importa tra Cinquecento e Seicento i modi di relazione tra testo e musica, dell’espressione sonora di immagini e di affetti che verranno approfonditi e sviscerati dalla musica per almeno tre secoli. 4. L’OPERA SECENTESCA: “Il Giasone” di Francesco Cavalli , composto sul testo del commediografo e librettista Giacinto Andre Cicognini, andò in scena al teatro San Cassiano di Venezia nel 1649 e da lì si diffuse in pochi anni in tutta la penisola italiana. Il Giasone circolò proposto da impresari d’opera o da compagnie di musicisti itineranti che diffondevano opere e musiche. Questo è il titolo più rappresentativo dell’operaismo di pieno Seicento, considerato carine della storia dell’opera. Cavalli era organista nella cappella di San Marco, vi era entrato ragazzino come soprano, poi come tenore ed aveva a lungo lavorato sotto Monteverdi. Le mansioni come organista di musica sacra erano state sommerse dalle nuove opportunità di lavoro che si erano aperte a Venezia nel 1637 con la prima apertura del teatro S. Cassiano di uno spettacolo operistico offerto da un pubblico pagante. Francesco Cavalli si buttò subito nell’impresa dell’opera e divenne protagonista di questo nuovo genere teatrale fino al 1668, quando non lo distolse dal compito il suo nuovo incarico come maestro di cappella di San Marco. L’apertura del teatro pubblico veneziano segnò una svolta radicale nella storia dell’opera lirica. L’opera era sta nelle accademie umanistiche fiorentine e nella corte dei Medici attorno al 1600, dove si sperimentò l’efficacia scenica del canto monodico nei primi spettacoli teatrali cantati a voce sola tra cui spiccano di Rinuccini: - Dafne - Euridice Per un quarantennio l’opera si era diffusa nelle corti come spettacolo promosso dai signori italiani e offerto ai loro ospiti in eccezionali ricorrenze ed eventi dinastici, mentre a Roma da potenti istituzioni religiose. Conservò questa funzione celebrativa anche quando la famiglia Barberini offrì a Roma spettacoli con maggior continuità e regolarità creando negli anni Venti e Trenta un primo indotto professionale per musici e artigiani addetti alle scene. Nella Repubblica veneta il San Cassiano aprì le porte a tutti i cittadini abbastanza abbienti da potersi permettere il biglietto di ingresso e contava di ripagarsi i costi di allestimento con le proprie forze. In questa nuova dimensione impresariale era importante assicurare agli spettatori uno spettacolo nobile ma seduttivo e abbastanza nuovo e originale da non apparire scontato. Isifile, amante momentaneamente ripudiata da Giasone in favore di Medea, canta la sua disperazione. È il lamento una delle scene topiche dell’opera seicentesca fin dal famoso lamento di Arianna che Monteverdi compose per la corte di Gonzaga a Mantova nel 1608. Il librettista riprende molti elementi di quella scena convenzionale, li organizza però in una poesia molto mobile da cui ricava una strofa di cinque senari metricamente regolari e rimati, ripetuta due volte nel corso della scena. Questi sono gli unici versi musicati da Cavalli con una melodia organica, facilmente memorizzabile e ripetuta per essere agevolmente riconosciuta nei suoi ritorni. Il resto dei versi è intonato con tono declamato ma discontinuo e contrastato in base all’intensità dell’emozione che travolge la principessa. Cicognini offre a Cavalli una serie di settenari ed endecasillabi, in cui Cavalli coglie la ricchezza poetica del testo. I primi sei versi scorrono infatti fluidi senza evidenziare parole particolari: emergono solo alcune parole un poco allungate. Alcuni versi sono intonati con una melodia molto semplice, che spicca con evidenza in un brano declamatorio. La seconda ripetizione di questa melodia viene modificata da Cavalli ampliando l’ambito dei bassi e degli acuti. Quest’esecuzione introduce per la prima volta anche i violini. Terminata questa parte la particella avvertiva “Ma” introduce una flebile speranza, in questa parte Cavalli si limita ad articolare musicalmente la sintassi con note più lunghe sulle sillabe accentate o brevi pause in coincidenza delle virgole degli incisi. Anche il silenzio retorico assume evidenza sonora. 6 Successivamente il recitativo risorge con enfasi verso l’acuto. Questo andamento semi melodico coagula nell’imprecazione “mostruosi flagelli”, frammento ripetuto per tre volte uguale sull’elenco delle insidie inviate dal regno di Dite. Poi la voce precipita al grave per colorare la parola “Dite” col suono più cupo e oscuro. Il ritorno della dolce melodia chiude la scena nell’esecuzione diretta da Sardelli che opera dei tagli per gestire l’opera in tempi più consoni alle moderne pratiche sceniche. La musica di Cavalli organizza: - sia un’emozione ben stabilita e costante in un frammento definito, chiuso e più volte ripetuto e ripreso - sia la diversa enfasi della parola declamata. Questo intreccio inscindibile tra parola teatrale e intonazione musicale era stata l’intuizione che aveva generato l’opera lirica e che Cavalli eredita dalle accademie umanistiche di fine Cinquecento e la pratica della Camerata dei Bardi di inizio Seicento. Il principale obiettivo in questo clima era imitare attraverso il canto chi parla. Il valore di questa musica sta nella cura per la recitazione. Questo recitativo al di fuori delle accademie umanistiche e dell’alta aristocrazia rischiava di essere poco seduttivo. Infatti intellettuali e musicisti iniziarono a voler introdurre sezioni più spettacolari come i cori tra un atto e l’altro dello spettacolo, arie, parti virtuosistiche. Le opere sono arricchite di questi elementi già negli anni Venti e Trenta, che dilagano poi nell’opera commerciale veneziana e panitaliana. Il Giasone di Cavalli contempla diverse arie con melodie ben organizzate e piacevoli : - alcune affidate ai nobili eroi come Giasone, Isifile, Egeo - la gran parte però compare in scene comiche a personaggi di basso livello sociale Cicognini collana la comparsa in scena di Medea alla fine del primo atto e la arricchisce di versi irregolari che creano un ossessivo ritmo poetico su tutta la scena. La comparsa in scena di Medea porta con se l’orrore e il fascino per l’estraneo. IL GIASONE: La scena si apre con l’orchestra che stabilisce ritmo e melodia in una figura musicale ribadita tre volte a sipario chiuso. Entra poi la voce, un soprano, che conserva il medesimo frammento introduttivo ma invece della pausa la voce scandisce il ritmo sdrucciolo terminando ogni verso con due sillabe lunghe inframmezzate da una breve. Medea canta le due strofe del testo in modo simile, la differenza fra le due voci è dovuta a descrizioni sonore e madrigalismi. Le due strofe sono separate e concluse dalla ripresa dell’introduzione strumentale sempre ripetuta tre volte. Terminate le due strofe il basso cessa di scandire il ritmo ed avvolge la voce di Medea, che canta una prerorazione a Plutone e all’inferno con ritmo più libero. Echeggia sempre la scansione delle parole sdrucciole, durante questo concitato il ritmo coagula in parentesi più regolari o assume toni appena più dolci. Con la strofa che inizia “Dall’arsa Dite” il declamato procede concitato e nervoso e con ampi salti ma coagula nuovamente in sezioni ritmiche più organiche e meno legate alla libertà del parlato. Medea passa da momenti decimati con solenne lentezza, a momenti melodici e ritmici più strutturati mentre la voce si scopa tra diversi registri dall’acuto al grave. Il coro degli spiriti evocati canta versi ben scanditi da un ritmo ossessivo spezzato da lunghe pause a fine verso. Volano, demone, canta un recitativo più semplice però di quello di Medea, a cui non può rubare la scena. Medea riprende la scena con un’aria, il cui ritmo è un movimento di danza che introduce il ballo degli spiriti con cui si chiuderà il primo atto. L’incantesimo termina con un ballo di spiriti che chiude la scena. Il radicamento dell’opera veneziana si era svolto con l’attivo contributo di poeti aderenti alla libertina Accademia degli Incogniti. Cicognini qui riprende a stessa libertà unendo liberalmente le fonti classiche e spagnole in una commedia di soggetto libertino ed erotico. Il palcoscenico poteva essere attrezzato con impianti scenotecnica complessi e innovativi per illusioni spaziali molto raffinate e sorprendenti: - la ricchezza scenica e dei costumi - presenza di ariette strofiche o variate erano elementi che definivano il successo della serata. 7 Le prime due sezioni sono serata da un passaggio orchestrale, alla fine segue una lunga coda meno strutturata. Rameau adotta un forma della ripresa della parte iniziale, tipicamente italiana. Vengono inseriti arie e abbellimenti vari che hanno funzioni differenti rispetto a quelle italiane. L’aria non ha alcuno scopo drammatico: è un quadro pastorale sereno che prelude al lieto fine dell’opera e si colloca tra due danze di gruppo. Il canto inizia sostenuto solo dal basso continuo, i flauti e i violini intervengono solo dopo che sono stati evocati, manifestando un chiaro intento descrittivo. Le parole sono cantate in modo tendenzialmente sillabico e i melismi abbandonano la parte conclusiva dell’aria. Questa si può concludere 6. DIGNITÀ E MAESTÀ. IL CONCERTO GROSSO: L’opera VI di Arcangelo Corelli (1653-1713) venne pubblicata ad Amsterdam dall’editore Roger nel 1714: Corelli era morto l’anno precedente ma aveva curato l’edizione per almeno cinque anni. L'edizione olandese di questi concerti è davvero un successo strepitoso in Europa. Per l'edizione delle 1714 Corelli in parte raccolse composizioni prodotte nei palazzi romani Dove era stato attivo almeno dal 1675 (a servizio della regina Cristina di Svezia, del cardinale Benedetto Pamphili, il cardinale Pietro Ottoboni). Anche nei brani appositamente composti per l'edizione si arrivata di una pratica che aveva utilizzato a Roma da almeno quarant’anni. La sesta opera è costituita da 12 concerti ed è l'unica sua raccolta di concerti edita. Le sue altre pubblicazioni erano state di sonate a tre e di sonate per violino solo e basso continuo, l’opera V. Il successo delle sonate dell'opera quinta aveva ampiamente confermato la sua penetrazione nel mercato europeo, la prima edizione romana era stata prontamente ristampata Londra, Amsterdam, Parigi. Concerti grossi con duoi violini e violoncello di concertino obbligati duoi altri violini, Viola e basso di concerto grosso ad arbitrio che si potranno raddoppiare: - un gruppo di solisti definito concertino - Un gruppo di strumenti più nutrito che possono essere aumentati a piacere La pratica di Corelli prevede infatti la presenza del concerto grosso in numero variabile da una trentina di elementi fino a 150 nei casi di esecuzioni particolarmente solenni. PRIMO CONCERTO: Il primo movimento del primo concerto inizia con un movimento lento e solenne di tutta l’orchestra (Largo), dopo si stacca il concertino con andamento più rapido (Allegro) e passi virtuosistici di due violini, appena questi rallentano un po' così aggiunge tutta l'orchestra per accompagnare il concertino verso un Adagio, per poi lasciar ripartire ancora in allegro il concertino con un movimento analogo a quanto già suonato. Questa struttura si ripete per altre due volte, tuttavia la situazione sonora cambia in un largo introdotto ancora dal concertino. Una prima frase viene ripetuta da tutta l'orchestra e una seconda dal concertino, Corelli fa puoi entrare il concerto grosso a metà frase. A quel punto il concertino ripete la prima frase di questa sezione il largo riparte tutta l'orchestra in allegro. Il primo movimento di questo concerto è dunque composto da quattro sezioni che alternano: - un Largo - un Allegro con brevi oasi in Adagio - Un altro largo e un secondo allegro Seguono poi altri tre movimenti: un largo e due allegri. Gli altri concerti prevedono 4 o 5 movimenti, sempre in successioni variabili: alcuni iniziano con un movimento lento, altri come il Concerto n.2 con un movimento veloce. Alcuni movimenti sono internamente organizzati in varie sezioni altri compatti e omogenei. Manca una regola stabile nella composizione di Corelli. La musica romana di fine Seicento, sia nelle ristrette dimensioni cameristiche sia in quelle plateali era concepita come uno sfondo sonoro che non necessariamente esigeva un ascolto concentrato ed attento. 10 I concerti grossi di Corelli distinguono la destinazione fin dal titolo e gli ultimi quattro invece di movimenti a titolo generico accostano movimenti tratti da pratiche coreutica e danze. La libertà con cui Corelli gestiva la complessità dell'evento sonoro in relazione alla concreta variabile situazione sociale, che ospitava il concerto, si riscontra anche nella composizione dei singoli movimenti e sezioni. Riprendendo il primo movimento si nota che quando emergono i solisti, i due violini, questi si imitano a vicenda. Le limitazioni sono estremamente ravvicinate così che l’effetto è soprattutto di eco. Durante la terza ripetizione subito prima che inizi l’ultimo adagio i violini cessano le imitazioni e si muovono al medesimo ritmo. Questo serve per introdurre il Largo, in cui i violini si muovono omoritmici. Alla chiusura del largo i due violini improvvisano un’accelerazione con notevole accrescimento della massa sonora. Inizia il primo violino doppiato dai primi del concerto grosso mentre gli altri strumenti tengono il tempo con suoni più lunghi e cadenzati. Emerge il secondo violino, doppiato dai secondi d’orchestra. Ritorna il primo violino anche se per poco, poiché Corelli infittisce le successive entrate finché tutti violini si uniscono insieme a cadenzare nella chiusura del movimento. Mentre due violini si imitano freneticamente il basso procede regolare. Questa successione di eventi sonori mostra che l'interesse di Corelli è sottolineato anche dall'opposizione tra movimenti omofonici e imitativi. Come sei concerti grossi Corelli diversifica tutti i toni espressivi facendoli interagire con contrasti accesi. Fino a che non venne pubblicata questa musica non era concepita per essere riprodotta identica a se stessa, la ritenuta pratica funzionale alle specifiche occasioni, in cui gli organici stessi potevano cambiare per numero e per strumenti. Questa era infatti una pratica affidata alla trasmissione orale della bottega. EDIZIONE OPERA VI: L'edizione dell'opera VI bene proposta come monumento della pratica, in cui lo stile di Corelli fu assunto a modello da molti compositori diffondendo al concerto grosso come genere alla moda. Corelli caratterizzò il suono europeo del primo settecento così come Vivaldi. L'edizione fissò un modello esemplare che i musicisti europei avrebbero accolto come ideale di perfezione delle forme e di equilibrio tra sezioni bilanciate. In Europa l'arte del concerto grosso proseguì ancora a lungo nel nuovo secolo ma concepita come raccolta di opere definite, perse così l'originaria valenza di “evento”. La cura delle proporzioni che venne applicata ad un genere, per sua natura votato alla deviazione della norma, fece acquisire a Corelli la fama di classico. Nel 1706 Corelli venne ammesso nella prestigiosa Accademia d’Arcadia. SECONDA SONATA: La seconda Sonata a tre da chiesa dell’opera III si apre con un solenne Grave introduttivo in cui un basso sostiene un dialogo tra due violini a suoni lunghi dilatati, segue poi un Allegro in cui tutti i tre strumenti entrano uno dopo l'altro con melodie simili. Nel successivo movimento lento (Adagio) continua uno scambio di primi piani e sfondi tra i due violini con un andamento ricco di dissonanze e modulazioni. L'ultimo movimento in Allegro accelera il tempo musicale in una frenetica imitazione fra le tre voci. 7.IL CONCERTO SOLISTA: Il piacere è il sesto concerto del Cimento dell'armonia e dell’invenzione che Antonio Vivaldi (1678-1741) pubblicò nelle 1725 da Amsterdam: sono in tutto 12 concerti per violino e orchestra, I primi quattro dei quali intitolate alle Stagioni. Altri tre sono intitolati: Il piacere, La tempesta di mare e La caccia. Gli altri cinque non hanno un titolo specifico. Probabilmente Vivaldi li compose entro il 1720, ma l'edizione tardo per la morte dell’editore Roger acquisire inizialmente rivolto. In questi anni Vivaldi era sciolto da incombenze istituzionali. Conservava ancora solidi rapporti con l’Ospedale della Pietà di Venezia dove aveva insegnato. Quest'ospedale era stato istituito come ospedale di beneficenza per malati, derelitti E come ricovero femminile per ragazze orfane, abbandonate o di famiglie indigenti. Alle ragazze veniva insegnata la musica per garantire loro un'abilità utile da spendere come dote. Era chiesto loro di cantare e suonare concerti utili a sovvenzionare le attività benefiche dell’istituzione. A Venezia si era radicato una nuova pratica di ascolto con incipienti risvolti economici e commerciali: il pubblico pagava e si predispone in atteggiamento di ascolto per ammirare l'abilità delle interpreti. Proprio in quegli anni la pratica del concerto pubblico si stava diffondendo anche nei paesi del nord Europa. La prima grande istituzione concertistica europea apri a Parigi nel 1725, anno dell'ottava opera di Vivaldi. Istituzioni analoghe seguirono in Olanda, Inghilterra e negli stati tedeschi. 11 IL PIACERE: Questo concerto presenta la successione di tre movimenti: - Un Allegro - Un Largo - Un Allegro Talvolta questa serie è preceduta da un largo introduttivo, ma non in questo caso. Il titolo rimanda alla facilità dell'ascolto del concerto. Il primo movimento: è un allegro e quando attacca sentiamo impegnata l'intera orchestra in un episodio ben concluso in se stesso. Quest’episodio è costituito da tre frasi: - la prima è la più lunga e articolata ed inizia con improvvisa ascesa verso l’alto, presentano tre battute. Si ferma verso l'acuto poi ridiscende, risale ancora velocemente e oscilla in un botta e risposta facendo eco a se stessa per poi concludere. - La seconda riprende il ritmo del botta risposta dico e lo espone più volte salendo sempre più. In questa sezione sentiamo suoni inaspettati strani, sono suoni modulanti che passano ad altra tonalità (dal Do maggiore al Sol maggiore). - La terza frase è più che altro brevissimo inciso conclusivo. Terminato il primo episodio resta in evidenza un violino con il sostegno del solo basso inizia a suonare velocemente incisi insisti e poco differenziati. Colpisce soprattutto all'inizio la velocità di esecuzione del solista. In questo secondo episodio Vivaldi ha ripetuto spesso formule uguali, alternandole in forte o in piano per creare varietà di suono. Riprende l'intera orchestra che ripropone solo la prima frase dell'episodio iniziale. Riemerge nuovamente il primo violino con il solo sostegno del basso: prima precipita verso il grave poi torna all’acuto. Ritorna nuovamente tutta l'orchestra con la prima frase del primo episodio ancora più abbreviata, a cui segue un nuovo intervento del primo violino. Ritorna l’orchestra e in nuovo episodio solistico il violino riprende il disegno simile a quello precedente E con veloci note ribattute riprende la sua ascesa verso l’acuto. Il violino riprende la frase B finora trascurata e la ripropone a tutta l'orchestra che la suona fino alla conclusione dell’allegro. SINTESI: - l'episodio orchestrale introduttivo è composto da tre frasi - Ci sono quattro episodi solistici alternati a quattro riprese del primo episodio definito ritornello Questa struttura di solito è presente in tutti movimenti di Vivaldi e l’insistenza e la riconoscibilità delle frasi del ritornello garantiscono coerenza a tutto il movimento. Ritroviamo anche qui il contrasto tra il solista e l’orchestra. La musica concertistica di Vivaldi proponeva dunque il virtuosismo come eccellente abilità esecutiva, la tensione tra armonia intesa come ordine e da una parte l'estro inventivo espresso chiaramente nei titoli delle sue principali raccolte: - Estro armonico 1711 - Stravaganza 1716 La costruzione modulare del ritornello consentiva a Vivaldi di montare in modo vario le frasi tematiche. Nel concerto del Piacere ogni episodio solistico prende spunto da una diversa idea del ritornello. In questo Vivaldi eccelleva sui suoi contemporanei. Oltre trent'anni dopo la morte è ancora ricordato per l'estrosità della sua inventiva musicale. Vivaldi si rivolse spesso all'editore olandese Roger Alessandro e poi a Le Cène che stampavano su lastre di rame incise con una qualità largamente superiore a quella degli editori italiani. Per il mercato europeo era utile non solo identificare in modo univoco i concerti con titoli espliciti, ma anche sollecitare la curiosità con effetti descrittivi. Alcune delle più celebri composizioni di Vivaldi hanno carattere indicativo come le Quattro Stagioni: l'estro inventivo del solista che deve stupire l'uditore giunge a descrivere in suoni onomatopee e fenomeni naturali o situazioni sociali. Non sono tantissimi i concerti di Vivaldi con titolo: solo 28 e tutti scritti tra il 1715 e il1730 quando il compositore puntava al mercato del nord Europa. Nei concerti di Vivaldi l’imitazione e la descrizione della natura si innestano sulla forma ricorrente dei suoi concerti. Ad esempio il primo movimento della Tempesta di mare in Mi bemolle minore presenta note ribattute scale veloci verso l'acuto o verso il basso che passano dai violini agli altri strumenti d’orchestra. In questo caso si imita il turbinio dei venti, ma queste frasi musicali costituiscono anche le frasi del ritornello, che si alterna alle sezioni solistiche improvvisate. 12 9. JOHANN SEBASTIAN BACH: Johann Sebastian Bach (1685-1750) svolse la prima parte della sua carriera di organista e maestro di cappella a Arnastadt e Mühlhausen dove scrisse gran parte della sua musica organistica e le prime cantate fino al 1718. Divenne poi organista e musicista da camera del principe di Weimer e produsse trascrizioni organiche dei concerti italiani e diverse cantate sacre. Nel 1723 approdò a Lipsia, quando nel 1729 assunse anche la direzione del collegium musicum della città produsse gran parte della sua musica orchestrale, ma nei primi anni il suo lavoro era rivolto principalmente alla musica sacra. In qual ruolo il suo compito era fornire musica per le liturgie della comunità e composizioni più vaste e monumentali per le ricorrenze più solenni. Dal 1721 il suo predecessore aveva avviato la tradizione di celebrare la settimana Santa con una solenne lettura cantata della passione di Cristo: - nel 1724 propose la sua “Passione secondo Giovanni” - nel 1727 presentò “Passione secondo Matteo” - nel 1731 presentò “Passione secondo Marco” perduta ma fortunosamente ricostruita grazie all'utilizzo di diverse parti che ne fece Bach in altre composizioni. Di altre due passioni restano tracce nella documentazione del tempo. Senza allestimento scenico la rappresentazione era divisa in due parti a contorno del sermone del pastore che stava al centro del rituale. Le passione a cui si dedicò Bach contemplava la testuale lettura intonata del Vangelo di riferimento nella traduzione tedesca in uso nelle chiese luterane, con inserti di corali liturgici. Questi ultimi erano in cartone di melodie e testi spirituali strofici, che venivano cantati in coro durante le funzioni religiose. PASSIONE SECONDO MATTEO: Per il libretto Bach si era rivolto a Christian Friederich Henrici, detto Picander, ufficiale delle poste e attivo nella vita letteraria della città. Ha scritto i testi di diverse cantate bachiane e le poesie della “Passione secondo Matteo” e scriverai testi per la “Passione secondo Marco”. La passione secondo Marco è concepita in forme monumentali: intona un passo del vangelo molto esteso. Soprattutto dispiega un organico sontuoso con due cori e due orchestre in dialogo tra loro: - entrambi i cori prevedono le quattro voci principali - le orchestre contano entrambe due flauti traversi, due oboi, due oboi d’amore, Viola da gamba, archi e basso continuo affidato a violoncelli, violone e organo. I primi secondi introduttivi impiegano entrambe le orchestre in un lento preludio. La massa sonora sale verso l'acuto ma i bassi restano fermi, confermo così un effetto che sembra impedire il pieno sviluppo del movimento orchestrale. Dopo il preludio orchestrale l'organico si riduce alla sola prima orchestra, a cui si aggiunge il primo coro. Il tessuto musicale rimane analogo a quello suonato nel preludio, fino a che il tessuto si anima e il suono si divide tra i due cori. Il primo prorompe in successive esortazioni, il secondo in altrettante interrogazioni: due formule.contrapposte che rimbalzano tra un coro e l’altro. Assistiamo ad una prima frantumazione della massa sonora. Bach scardina il dramma con l'aggiunta di un ulteriore elemento: una nuova melodia, molto più fluida e cantabile. Viene cantata ancora di ragazzini, voci bianche, mentre in altri casi veniva suonata dall’organo. È la melodia di un corale liturgico che i fedeli avevano imparato a memoria nella loro educazione religiosa. Fu composto come parafrasi tedesca della preghiera latina Agnus dei. Il contenuto del quinto verso è molto differente dai precedenti: si sposta il fuoco della poesia da Cristo al fedele. Questo nuovo episodio assume un ritmo ternario. Il quinto verso ripetuto in questo modo più volte e viene ulteriormente ripresa dopo un breve interludio strumentale, che termina con la medesima formula con cui era terminato il preludio. Al termine di questa sezione centrale due cori si riuniscono per riprendere il movimento iniziale: prima sul nuovo testo degli ultimi due versi, poi ripetendo i primi tre. I due cori si separano solo per pochi secondi in un rapido accenno alle interrogazioni iniziali, per poi riunirsi nuovamente per l'accordo conclusivo. La parola ora passa all'Evangelista che inizia il racconto evangelico dell'episodio dell’Unzione di Betania. Ad ogni scena saliente la lettura del Vangelo viene interrotta: in totale vi sono 10 ariosi (Aries senza struttura formale definita), 14 arie solistiche e 12 corali liturgici di commento. Nella scena Di Pietro che piange dopo aver rinnegato Cristo per la terza volta, un'aria cantata da un anonimo fedele che commenta e compatisce la scena. L’emozione e la passione invadono il fedele ed è a lui che sono affidate le arie. 15 Bach utilizza qui una risorsa propriamente musicale ossia la possibilità di unire testi e contenuti tra loro diversi arrivando a creare un quadro armonico. Il preludio orchestrale ci offre due temi in successione che Bach riesce poi ad unire in un’unica frase: - il primo composto da suoni lunghi e alternati a brevi note che salgono verso l’alto. Viene esposto immediatamente dal secondo flauto e dal scendo oboe, subito imitativo da oboe e flauto primi. Una sua variante proposta dai violini e imitata da flauto e oboe primi ancora più acuti. Questa tensione verso l’acuto finora è stata trattenuta dai bassi, che iniziano a muoversi e concede più fluidità alla massa sonora. - si sente poi un secondo tema sempre dai legni, più proteso verso l’acuto. Il preludio ha fornito tutti gli elementi che verranno utilizzati dai due cori nel corso di questa introduzione alla Passione. I due temi suonati da flauti e oboi sono uniti nella prima frase canta quando attacca il primo coro. I tenori e i contralti si imitano, mentre bassi e tenori realizzano un lungo vocalizzo sulla parola “lamento”. Si ripetono poi i versi fino al terzo, prima di passare al quarto un interludio strumentale della sola orchestra riprende i temi iniziali. La prima sezione del coro va dunque a concludersi, mentre spicca due vuole il violino con l’inizio del secondo tema del preludio. Si apre poi la sezione centrale, in cui le voci interagiscono in una scrittura imitativa. Bach fu ammirato tra i massimi musicisti del suo tempo nei primi anni di carriera, intorno al 1730 percepito come campione di uno stile ormai fuori tempo. Durante la vita di Bach gusti e modi erano cambiati profondamente e ciò che rende i suoi cori così compatti ed uniti venne visto come un eccessivo sfoggio di artificio e razionalità. Fu solo l’Ottocento a riportare la sua musica, snobbata già prima della morte di Bach, come uno dei massimi vertici musicali di ogni tempo. Nell’ultimo decennio di vita Bach si era allontanato dalle sue funzioni professionali e aveva iniziato con sempre maggior energia a dedicarsi a musiche sistematiche e speculative. Le tecniche imitative e fugate divennero in quest’epoca esclusive e tema di indagine sonora estremamente approfondita. OFFERTA MUSICALE: Quest’opera servì probabilmente a Bach per l’adesione all’esclusiva “Società per corrispondenza delle scienze musicali”. In quest’opera Bach tratta il medesimo tema regio in due fughe a 3 e 6 voci: - una sonata a 3 in quattro movimenti per violino, flauto e basso continuo, in cui le voci si imitano a canone. Questa si presenta nello stile delle sonate da chiesa. - un’ulteriore fuga a 3 per flauto o violino e cembalo. Le altre sonate sono tutte composizioni canoniche e imitative che riprendono il tema regio. Molte sezioni possono essere eseguita dal clavicembalo o da strumenti timbricamente differenziati, siccome Bach non dà indicazioni esplicite a riguardo. Nella sezione del primo canone il tema è esposto interamente da una viola, poi quando ricomincia da capo viene seguita da un violino che esegue una melodia libera. La terza volta interviene anche il violoncello. Bach conservava nel Settecento un patrimonio secolare di tecniche competitive forgiate dai maestri fiamminghi del Quattrocento e un approccio particolare alla musica, sempre più regolata da leggi di proporzioni matematiche. 10. L’ETÀ DELLA SENSIBILITÀ: Nel suo saggio di estetica musicale d’Alembert elogia Giuseppe Tartini (1692-1770) come caso d’eccezione rispetto alla musica strumentale corrente, per la quale egli nutriva una sostanziale diffidenza, perché senza riferimenti linguistici e poetici rendeva vaghi gli oggetti imitati. Dalla musica ci si attendeva l’adeguata espressione delle passini e delle emozioni, non soltanto l’esibizione di abilità tecniche esecutive. Tartini aveva pubblicato la sua opera I nel 1734 con editore olandese Le Cène per rispondere ad un’edizione pirata diffusa due anni prima senza la sua autorizzazione. La sua fama si diffuse in Europa grazie ai numerosi allievi che lo raggiunsero a Padova dove viveva nel 1721 con l’incarico di primo violino alla Basilica del Santo. Nel 1728-1729 aveva fondato la sua “Scuola delle nazioni”, scuola musicale strutturata. 16 La decima sonata composta nel 1731 viene nominata “Didone abbandonata”e questo titolo si ritrova a partire dagli anni Venti dell’Ottocento, probabilmente attribuito in seguito. In ogni caso il titolo si riferisce al melodramma di Metastasio AFFETTUOSO : La sonata si apre con un movimento lento, Affettuoso, con attento bilanciamento tra la parte suonata dal violino e il basso continuo suonato dal violoncello, tiorba e clavicembalo. All’inizio sentiamo un tono patetico affermato nel dolente passaggio del piccolo salto verso l’acuto e il grave del violino ripetuto due volte, poi seguito da una increspatura ritmica. È soprattutto l’articolazione delle frasi musicali che conferisce a questo movimento un carattere semplice. Tartini crea nei primi secondi una prima frase musicale, poi la ripete variata e la ripete una terza volta, in cui il violino suona due corde contemporaneamente. Successivamente a questi elementi aggiunge un passaggio saltellante e brioso. Una terza frase con varianti delle idee esposte conclude la prima parte del movimento. Il ritornello indica ai musicisti di ripete questa parte una seconda volta, ma il violinista deve introdurre a suo arbitrio delle varianti. Inizia la seconda parte del movimento, ripetuta due volte. Questa parte ripropone le idee accumulate nella prima, ma disposte in ordine diverso. Questa sezione è divisa in 4 frasi che presentano separatamente una delle idee già sentite nella prima sezione: - la prima frase si concentra sull’inciso brioso - la seconda si concentra sull’idea delle doppie corde - la terza riprende il sospiro iniziale - la quarta introduce nuove scalette di note discendenti La sezione termina poi con un breve passaggio conclusivo, poi un ritornello obbligherà i musicisti a suonare nuovamente questa parte inserendo anche variazioni improvvisate. In quest’opera notiamo che Tartini guarda ancora a Corelli e alla sua opera V e del virtuosismo raffinato nel corso del Seicento e dei primi decenni del Settecento. Tartini abbandona il virtuosismo troppo artificioso ed evidente tra gli anni Trenta e Quaranta quando pubblicò la sua opera II. Il virtuosismo arricchiva il movimento musicale ma poteva essere omesso senza compromettere l’equilibrio e l’espressione. La musica da camera destinata a questo nuovo pubblico chiedeva al compositore di semplificare le esigenze tecniche esecutive, per renderle alla portata di musicisti non espertissimi, ma anche di rendere l’opera consola alla pratica sociale elencate e raffinata. Il successo di Tartini in questo mercato fu notevole sebbene egli fosse tra i pochissimi compositori italiani di musica strumentale del tempo a vivere prevalentemente in Italia senza cercare fortuna nelle capitali estere.La nuova semplicità veniva riconosciuta a Tartini grazie anche ai suoi allievi. Tartini contribuì a tutto questo sia con il suo insegnamento e le sue composizioni, sia con le sue riflessioni teoriche: fu tra i pochi compositori italiani del tempo ad aver seguito un regolare corso di studi musicali. RIFLESSIONI TEORICHE: Rousseau contestava proprio il presupposto per cui se la musica ha a che fare con la passione, è un’arte irrazionale dunque non segna a principi formali matematizzabili. Trovò supporto teorico nel “Trattato di musica secondo la vera scienza dell’armonia” di Tartini fondato sul fenomeno del terzo suono, un suono acuto che in particolari condizioni si sente emesso dalle combinazioni di altri due suoni sollecitati. Entrambi condividono l’dea che la melodia fosse superiore rispetto all’armonia perché strutture più semplici possono cominciare le emozioni ad un livello più universale. La musica dunque sarebbe entrata dalle voci acute, melodiche. Secondo Rosseau la musica è inteso come linguaggio primordiale dell’uomo, quindi un’arte precauzionale. Attraverso la musica l’uomo ritorna in contatto con la sua natura genuina e la sua più genuina espressione è la melodia anche rifugge sia dalla razionalità dell’armonia, sia dall’artificio del virtuosismo fine a se stesso. La musica veniva sradicata dall’antico quadrivium a cui ancora appartiene per essere collocata nel nuovo sistema delle arti imitative che l’estetica settecentesca stava forgiando. La fama di Tartini fu ben radicata nella musica e nella intellettualità europea settecentesca con cui intratteneva fitta corrispondenza. La sua vera natura da compositore è ancora difficile da mettere a fuoco: - trecento concerti e sonate per violino - altre composizioni diversamente destinate 17 L'entrata del giardiniere rimetta ancora tutto in discussione. Il nuovo ribaltamento dei rapporti di forza viene scompaginato da un altro episodio: entrano Marcellina, Don Bartolo e don Basilio che pretendono che il conte imponga a Figaro le nozze con Marcellina. In ciascuna sezione si alternano momenti di dialogo ben organizzato e momenti di commento a voci sovrapposte di personaggi che cantano fra sé e sé. 12.IL QUARTETTO CLASSICO: Franz Joseph Haydn (1732-1809) compose questo Quartetto in Mi bemolle nel 1781, lo pubblico nell'aprile del 1782 come secondo di una serie di sei nell'opera 33 edita dalla casa viennese Artaria. Sono tutti destinati a due violini, viola e violoncello. Prima di pubblicarli il 25 dicembre 1781 Haydn ne fece eseguire almeno uno in un concerto privato organizzato per erede al trono di Russia, Paolo Petrovič. A quest'ultimo fu poi dedicata all'edizione dell'opera 33 e i suoi sei sei quartetti sono infatti noti come “quartetti russi”. Sappiamo che dal 1761 Haydn aveva firmato un contratto con il principe Nicolaus von Esterhazy. Il contratto venne però ridefinito nel 1779 e Haydn prese subito contatto con gli editori. La sua fama infatti cresciuta notevolmente e gli editori si disputarono le sue composizioni. Haydn progetto dunque questa e altre raccolte di quartetti per il mercato editoriale internazionale dove i quartetti d'archi erano tra i prodotti più ricercati e prestigiosi. Tutti i quartetti dell'epoca erano composti da diversi movimenti: la successione divenuta poi canonica prevedeva - un movimento veloce, di solito in allegro - Un movimento lento, adagio o andante o largo - Un movimento di danza, minuetto - Infine un movimento nuovamente veloce conclusivo Questo quartetto, come altri dell'opera 33, inverte I movimenti centrali e sostituisce al minuetto un movimento di carattere analogo, ma senza esplicito riferimento alla danza: lo scherzo. PRIMO MOVIMENTO: aba In questo movimento Haydn intreccia moltissimi eventi sonori. Il timbro degli strumenti ad arco crea un tessuto sonoro compatto ed omogeneo: l'intenzione è quindi meno spettacolare. Il primo violino attacca subito con un rapido e brevissimo guizzo di tre suoni seguiti da un salto verso l’acuto, a questo punto si uniscono gli altri tre strumenti con poche note ribattute. A quel guizzo e a quel salto segue una prima frase melodica chiamata “a”. Subito dopo i quattro strumenti ripartono, ma il violino primo ripete lo stesso frammento. Il violino primo introduce quindi una seconda frase “b” caratterizzata da una serie di note veloci. Dopo ciò il primo violino espone di nuovo e per intero la prima frase. Si apre poi un nuovo episodio: il violino primo propone ancora il guizzo iniziale, ma si sofferma su quel frammento per violoncello che aveva replicato (alla fine della seconda ripetizione di a). Mentre il violino ripete insistentemente questo frammento, gli altri strumenti si dilettano in melodie evidenti, fino a quando un'improvvisa frenata di tutti e quattro gli strumenti annuncia un terzo episodio. Durante questa seconda parte gli strumenti hanno modulato da mi bemolle maggiore a si bemolle maggiore. Il terzo episodio è sempre più frenetico e costruito sulle note di battute con cui gli altri strumenti accompagnavano la prima melodia del violino. Non abbiamo melodie chiare, solo un movimento incalzante e rapido con agili esibizioni del primo violino, fino al climax melodico. Il quartetto, grazie ad un segno di ritornello, ricomincia da capo. Quando la musica riprende dopo il ritornello tutti gli elementi prima ascoltati tornano arricchiti, ciò che era in primo piano passa sullo sfondo e viceversa. Dopo poco Haydn ci presenta la prima sezione del movimento in forte, dove non indica semplicemente un ritornello della prima parte ma riscrive la musica per poter introdurre notevoli varianti. I quattro strumenti suonano la prima frase del tema, poi la seconda che però cambia nel finale e ora abbiamo una struttura ab. Perdiamo anche il secondo episodio, ritroviamo solo la forte frenata che introduceva la terza sezione. Arriviamo dunque all'ultima sezione dell’esposizione, in cui introduce un passaggio rapidissimo e virtuosistico del violino prima che anche gli altri strumenti rientrino il dialogo con lui. Tutta questa seconda parte potrebbe essere a sua volta ripetuta tale e quale, ma spesso nelle esecuzioni la ripetizione è tralasciata. 20 Gli strumenti si relazionano tra di loro in modi molto variabili, viene via via abbandonato il basso continuo, perché le voci intermedie vengono valorizzate e la linea di basso è integrata nell’insieme. La struttura che Haydn adotta in questo movimento era nota e condivisa da musicisti e dilettanti del tempo. In assenza di un testo verbale la musica strumentale doveva riuscire ad offrire simili riferimenti, ma con risorse puramente sonore. Il Settecento europeo aveva messo a punto una forma definita: - esposizione, una delle idee musicali veniva ripetuta due volte - Elaborazione o sviluppo - Ripresa, senza il cambio di tonalità La forma sonata nel settecento poteva essere soggetta a notevoli varianti. Haydn è uno degli autori che contribuì a definire questa forma di cui mise in luce l’estrema flessibilità. L'ultimo movimento del quartetto prevede una flagrante inganna all'ascoltatore con frequenti interruzioni della melodia principale: è il gioco che dà il titolo all'intera composizione (Scherzo). 13. IL CONCERTO PER PIANOFORTE: Nel 1781 Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) si trasferì a Vienna e si licenziò dal principe cardinale di Salisburgo. Nella capitale asburgica cercava impieghi presso altre corti, ma intanto viveva come musicista libero professionista. In tutti i casi doveva stringere relazioni con l'aristocrazia imperiale e la ricca borghesia. Moser si presentò nella capitale come compositore, ma soprattutto come virtuoso esecutore alla tastiera. I concerti pubblici furono almeno sei nel 1785 oltre alle private esibizioni nelle case nobiliari, nel frattempo stava componendo “Le Nozze di Figaro” che sarebbero andate in scena nel teatro della corte viennese il 1 maggio 1786. Per alcune academie Mozart compose ed eseguì 16 dei suoi 25 concerti per pianoforte solo ed orchestra, composizioni nate per nutrire l'attività concertistica di Mozart e non destinata alle pubblicazioni o a concerti altrui. Da decenni del concerto per strumento solista orchestra si era standardizzato in tre movimenti: un primo movimento veloce ormai organizzato in una forma sonata, un movimento lento ed un terzo movimento veloce che congeda dal pubblico il solista e i suoi virtuosismi interpretativi. III, ALLEGRO, TEMPO I: Nell'allegro conclusivo il pianoforte espone immediatamente l'idea tematica che permea l'intero movimento: è una frase “a” brillante e sbarazzina, subito ripresa dall'intera orchestra. Il pianoforte può allora concludere la melodia con un'altra frase “b”, di cui subito l'orchestra sottolinea enfaticamente la conclusione. Il pianista si lancia in una lunga coda con rapide di punteggiature che evidenziano la sua agilità esecutiva con lievi commenti dell’orchestra, il pianoforte riprende poi la melodia iniziale. La conclusione orchestrale definisce con chiarezza i confini di questo primo episodio “aba”. Mozart adotta una dinamica tra i due poli del movimento che fin qui sembra quella consueta del concerto solistico. Terminato quest'episodio emergono due strumenti che contendono la scena al solista: il clarinetto e il fagotto, è un affacciarsi a sorpresa perché il primo era uno strumento insolito nell'orchestra concertistica soprattutto a Vienna. È la prima volta che Mozart lo contempla al posto dell’oboe e subito gli affida un colpo di scena inaspettato. Come coda della prima melodia il clarinetto espone una nuova idea musicale conclusa poi dal fagotto il grave, imitato sua volta dal flauto all’acuto. Il pianoforte riprende l’iniziativa, ma trai spunto dall'idea del clarinetto e la dipana in frammenti melodici, prima di lanciarsi in passaggi di agilità che sviluppano bene anche l'idea prima accennata dai fagotti e dai flauti. Iniziati ora punteggiano con la spezzone di melodie già sentite, mentre il pianoforte propone una nuova melodia ben caratterizzata, subito imitata da clarinetto e fagotto. Un velocissimo trillo del flauto suggerisce al pianoforte un'esibizione di agilità: il pianista riprende e conclude anche quest’episodio. L'orchestra riprende la melodia E la rende sempre più drammatica con continue modulazioni che impediscono al pianoforte di concluderla come aveva fatto all’inizio. Il pianoforte deve affermarsi con un lungo trillo e questa ripresa termina su un violento accordo di tutta l’orchestra. Il pianoforte abbia una sezione improvvisata, da solo e senza Orchestra: Mozart non ha scritto note per questo passaggio virtuosistico che è lasciato al libero estro del solista. La cadenza improvvisata dal solista è quindi indicata da una corona. Un nuovo episodio è proposto dei fiati e ripreso, variato dal pianoforte sostenuto e doppiato dagli archi. Qui il movimento musicale è notevolmente rallentato, ci troviamo in un andantino cantabile. 21 Con un nuovo lungo trillo il pianoforte riprende la guida del movimento e si lancia in un altro episodio improvvisato in cui l'orchestra tace. Il ritorno del primo episodio richiama l'orchestra a riprendere dal pianoforte la melodia iniziale. Un terzo episodio contrastante inizia sulla melodia sentita nel secondo episodio. Il tessuto musicale si riorganizza solo quando torna finalmente per un'ultima volta la melodia iniziale: il pianoforte enuncia il tema, senza però la ripresa d’orchestra. La prima parte della melodia è quindi seguita immediatamente dalla seconda parte. Solo quando il pianoforte riprende ancora una volta la melodia iniziale si aggiunge l'orchestra che intona le melodie suonate da clarinetto, fagotto e flauto. Chiude definitivamente il pianoforte riprendendo frammenti della seconda melodia. Gli abbonati ad una delle accademie di Mozart conta almeno 173 sottoscritti, questa pratica sociale era diffusa nella seconda metà del settecento in tutta Europa. I Bach-Abel Concerts si susseguirono regolarmente e Mozart ebbe occasione di frequentarli durante il suo viaggio a Londra nelle 1764-1765. A Vienna fiorirono attività musicali anche nei teatri, libreria, soprattutto nei periodi di chiusura delle stagione operistiche. Mozart stabilizzò definitivamente il concerto solista come ingrediente necessario del concerto pubblico viennese e presentò fino a sei nuovi concerti per pianoforte all’anno. Il concerto solistico proponeva il dialogo tra un virtuoso e la moderna orchestra sinfonica, a Parigi ebbero molto successo dagli anni 60 in avanti anche le sinfonie concertanti dove vi era un gruppo di solisti eterogenei in dialogo e competizione tra loro e con l’orchestra. Mozart ne scrisse una la K.364 per violino e viola, dopo il suo viaggio a Parigi, destinata alla celebre orchestra di Mannheim. Questi concerti enfatizzavano notevolmente la figura del solista ma in un tessuto sonoro improntato al dialogo e alla conversazione. Il concerto esibisce il protagonismo del virtuoso esecutore e la forma più idonea al congedo conclusivo del solista era il Rondò, che consentiva al solista di alternare ai ritornelli situazioni musicale in cui dar prova della propria abilità. Questa forma strumentale era comparsa probabilmente a Londra ad opera dei compositori italiani e si radicò poi soprattutto a Parigi. Mozart solo in alcuni casi sostituisce l'ultimo movimento con un tema con variazioni. I concerti riguardavano tutti gli strumenti, ma anche il fortepiano che avevo ormai spodestato il clavicembalo nel ruolo solistico grazie alla possibilità di variare il volume di suono e contrapporsi così ad un'orchestra compatta e altrettanto diversificata. Questo strumento si è inizialmente affermato Londra e predominava poi nei concerti sinfonici. La cangiante relazione che si stabilisce tra solista e orchestra si ripercuote anche tra le famiglie strumentali interne all’orchestra. I primi movimenti sono caratterizzati dalla maggiore interazione tra le diverse polarità strumentali, I secondi movimenti da un momento di sospensione e I movimenti conclusivi dalla maggior collaborazione. RONDÒ: La prima frase “a” è suonata dal pianoforte sostenuta dagli archi, Durante il suo primo passaggio di agilità Mozart contrappone legni e ottoni con un passaggio che rimbalza tra corni e fagotti e poi tra clarinetti e fagotti subito dopo. Per un momento il pianista tace poi inizia a sgranare frammenti melodici ripresi da loro alla ricerca di una vera e propria nuova melodia, che caratterizzerà gran parte del movimento. Oltre a questi giochi di reciproca interlocuzione, la polarità solista e orchestra crea effetti di sospensione drammatica. Nell'andantino cantabile le polarità diffrangono perché i legni propongono il materiale tematico, che viene ripreso dal pianoforte insieme agli archi, ma le due voci sono ben differenziate. Il concerto classico diventa così luogo di conversazione e la musica formalizza in astratto dinamiche sociali e individuali. 14.L’OPERA SERIA IN DISCUSSIONE: Nell'ambito dei festeggiamenti per l’incoronazione dell'imperatore Leopoldo II d'Asburgo re di Boemia nel settembre 1791 era prevista anche un'opera serie italiana. Per la commissione gli impresari di Praga scelsero Mozart (1756-1791) che aveva avuto grande successo in città con le rappresentazioni cittadine delle: - Nozze di Figaro - Don Giovanni Gli propose un vecchio libretto celebrativo del Metastasio, La Clemenza di Tito. Scritto nel 1734 anche questo libretto aveva avuto enorme successo, nel 1791 era però ormai troppo vecchio per essere intonato testualmente. Venne quindi trasformato da Caterino Mazzolà, poeta di corte presso la corte di Dresda ma nelle 1791 era a Vienna in sostituzione di Lorenzo Da Ponte. Mozart è il librettista poterono così lavorare e riprogettare l'originale libretto: 22 Composta nel 1815, venne pubblicato nel 1821 con successo immediato, che non riscosse però presso Goethe. Le perplessità di quest'ultimo erano dovute alle mutazioni di forma, di estetica, di funzione sociale che Schubert impresse in questo genere. La poesia è entrato da solo perché la sottoscritta nel 1782 La pescatrice, un Singspiel, un dramma con dialoghi recitati e inserimento di canzoni e numeri musicali. Erlkönig doveva essere cantato dalla protagonista mentre cucinava in attesa del padre e del fidanzato. L'argomento deriva da una ballata danese tradotta in tedesco. La ballata era un genere poetico e musicale narrativo, ripresa nel tardo Settecento. In Erlkönig troviamo i temi tipici dello Sturm und Drang e del romanticismo tedesco. Il testo è organizzato in forme poetiche raffinate: strofe di quattro versi rimati a due a due e con arriva sempre diverse. La prima e l’ultima strofa incorniciano la vicenda con la voce del narratore racconta presente, le strade di sta invece sono interamente destinate alle situazioni del Re degli ontani. Schubert riprende alcuni aspetti tradizionali dei Lieder: - voce solista accompagnata dal pianoforte - Semplicità del canto - Assenza di passi di agilità - Movimento della voce entro una registro medio Da quando si diffuse nei tardi decenni del Settecento il Lied era caratterizzato da questo stile, alternativa quello praticato nella cantata di origine italiana. Il Lied ha struttura strofica. Nel 1812 Goethe lamentava che alcune sue poesie statiche fossero state intonate dai compositori in modo libero, senza rispettare la regolarità statica della poesia. Nella sua intonazione di Erlkönig, Schubert fa ciò per cui si era indignato Goethe, senza perdere di vista né l'organizzazione poetica né la necessità di conservare intima unitarietà nella musica. Conserva la struttura della poesia ammalata reinventa: Schubert chiude gli episodi musicali al termine di ciascuna strofa poetica. Sostituisce dunque alla regolarità classica la libertà formale del sentimento romantico. Il tono narrativo della ballata è rispettato, così come le quattro voci che vi si alternano ANALISI: Il Lied inizia con l'introduzione del solo pianoforte con una ritmo percussivo degli accordi e una brevissima melodia di nove suoni gradi ripetuta quattro volte. Schubert stabilisce così novità formale del Lied interamente dominato dal ritmo ossessivo e angosciante. Mentre il dramma si svolge, dalla terza alla sesta strofa, la melodia si sospende come se la sua funzione fosse quella di accompagnare e diventasse inutile quando la cena viene direttamente rappresentata. Il canto rispetta generalmente le coppie diversi rimati entro le strofe: le frasi musicali chiudono sempre dopo il secondo verso. Il canto delle Re degli ontani è invece molto diverso: I suoi primi due interventi occupa due quartieri diversi. Schubert così modo di scrivere melodie più ampie e cantabili. Il Re degli ontani canta due vere canzoni dentro il Lied e prova così a corteggiare il bambino. Per accrescere il fascino seduttivo aggiunge tante brevi fioriture al suo canto della terza strofa. Con questa polarità tra dialogo sempre più concitata tra padre e figlio e melodie suadenti del Re si svolge anche la seconda parte del Lied. Le canzoni del re sono sempre più brevi e incalzante. Il bambino reagisce di volta con maggiore ansia: ripete la medesima melodia sempre più acuta, in forte. Le melodie del re e la reiterata invocazione del figlio si alternano e garantiscono la coerenza di questo episodio centrale, quasi in forma di rondò. Poi questa funzione torna ad essere affidata alla melodia iniziale del pianoforte. La strofa della violenza è introdotta da un lungo silenzio del canto, durante questa lunga pausa il re colpisce il bambino. Il suo lavoro è quasi immediato, la melodia prorompe in fortissimo e su una forte dissonanza. La violenza del gesto perturba la regolarità ritmica. Il ritorno alla voce narrante per la strofa conclusiva alterna il ritmo ossessivo che ha dominato l’intero Lied e il tema ricorrente. Gli ultimi due versi sono frequentemente interrotti e sull'ultimo tace improvvisamente l’accompagnamento. Nelle mani di Schubert la leggenda di Goethe scivola costantemente dalla narrazione all’azione, diventa tragedia. Su Peter utilizza mezzi musicali tipici della sensibilità romantica: - un motivetto ricorrente che organizza l'unità di un brano altrimenti in forma libera - L'uso di melodie chiare e memorizzabili come espediente seduttivo Impone così alla poesia il proprio sentimento e la propria passione, e trasforma la forma della poesia in un nuovo organismo autonomo e autosufficiente. Erlkönig è la prima opera di Schubert pubblicata, il successo dell'impresa facilita dopo la pubblicazione delle altre composizioni, ma fu un ristretto ambiente privato a promuoverne la diffusione. 25 Al volgere del 19º secolo la produzione di Lieder era estremamente florida. Il genere acquisì così potere espressivo combinando stili operistici, con il canto popolare e tradizionale. 17. L’OPERA OTTONCENTESCA: “Lucia di Lammermoor” andò in scena per la prima volta al San Carlo di Napoli nelle 1835. Da sette anni Gaetano Donizetti (1797-1848) era direttore dei teatri reali della capitale borbonica e reduce da un viaggio a Parigi dove era stato chiamato da Rossini per allestire il “Marino Faliero”. Donizetti era già nome di primo piano dell’operismo Italiano degli anni 30. L'opera di Donizetti dai temi politici molto accentuati ebbe poco riscontro nel pubblico francese ma suscitò Grande entusiasmo tra il pubblico italiano locale, in grande parte composto da mazzinani. Al suo rientro a Napoli Donizetti avviò subito le trattative per la nuova opera prevista dal suo contratto con i teatri partenopei. A maggio si decise a trarla dal romanzo “The Bride fo Lammermoor” di Walter Scott del 1819. Il librettista era Salvatore Cammarano (1801-1852), discendente da una famiglia di attori e pittori, impiegato al San Carlo nella regia d’opere e nella scenografia: con questo libretto avviava una delle più splendide carriere di librettista che sarebbe terminata con la morte durante la stesura, incompiuta, del Trovatore di Giuseppe Verdi. Cammarano confezionò il libretto in due parti: - la prima in un atto che inscena una sorta di prologo al dramma - La seconda in due atti con lo svolgersi della tragedia La prima parte conclude con il reciproco giuramento d'eterno amore tra Lucia ed Edgardo in procinto di partire per le battaglie che insanguinavano la Scozia, la sua famiglia era rivale di quella dell’amata e per questo era fortemente osteggiato dal fratello di Lucia, Enrico. Le parti principali sono fidata di un soprano (Lucia), un tenore (Edgardo) e un baritono (Enrico). Col triangolo di soprano-tenore nel ruolo degli amanti e di baritono o basso in quello di oppositore si è definitivamente affermata l'identità sessuale della voce: questo è uno degli aspetti con cui l’operismo romantico abbandona l'estetica stilizzata classicista per volgersi ad un maggiore realismo, che incideva anche sulla vocalità più sillabica e declamata. La seconda parte del dramma si apre diverso tempo dopo la prima, nei mesi o anni trascorsi Enrico ha rubato le lettere che Edgardo inviava all'amata Lucia e confezionato una falsa lettera, in cui Edgardo si confessa ormai amante di un'altra donna e rinnega il proprio giuramento. Nel duetto del primo atto Enrico sfodera la falsa lettera e annichilisce le resistenze di Lucia. Il confronto fra i due fratelli inizia con brevi battute di recitativo, in cui tanto scorre fluido e senza ritmo regolare. Enrico parla, ma Lucia tace: al suo posto parla l’oboe con una melodia che rispecchia lo strato di prostrazione della donna. La risposta di Lucia al fratello avvia il duetto vero e proprio: I versi della poesia di Cammarano passano a ottonari regolati. Lucia canta una sestina a cui risponde il fratello con un’altra strofa di sei versi, poi le parola incalzano fino a che Enrico sfodera la falsa lettera di Edgardo. In questa fase le due voci procedono senza articolare melodie compiute. Entra l’orchestra, che suggerisce le melodie che prima Lucia poi Edgardo riprendono. Enrico riprende lo stesso andamento della sorella, sempre guidato dall’orchestra. L’andamento è simile ma mia vocalità di quello di Lucia: due fratelli stanno litigando ed Enrico è molto più incisivo mentre la sorella è sempre più perse se stessa e I suoi melismi denunciano i primi sintomi della follia. Poi il dialogo si fa più concitato e la musica passa da un Moderato al Più Allegro. Solo all'atto dell'inganno di Enrico l'orchestra riprende coerenza con un motivo che accresce la tensione mentre Lucia trepidante legge la lettera. Dopo la lettura della lettera l'andamento musicale muta radicalmente, un attimo di silenzio amplifica lo sgomento di Lucia e l’inquieta sospensione di Enrico. Donizetti indica un lento tempo in Larghetto. Riemerge l’orchestra che suggerisce la melodia a Lucia, che la gestisce solitaria confinando gli strumenti ad un semplice accompagnamento. La melodia cantata da Lucia è ampia, ben articolata e chiuse se stessa. Donizetti considera qui i senari doppi come senari semplici e la quartina come un’ottava di senari e la utilizza per costruire un tipo di melodia molto ricorrente nella lirica italiana del tempo. Alla melodia di Lucia risponde Enrico con altra melodia analogamente organizzata ma molto più dilatata per assumere un tono autorevole. Nel frattempo però Lucia ha ripreso a cantare e la seconda metà della melodia di Enrico si dipana mentre Lucia ricanta i suoi ultimi due versi. Le voci poi procedono ancora insieme in una coda conclusiva. La musica amplia il quadro scenico poiché è in arrivo Arturo per sposare Lucia. La melodia cessa quando Enrico approfitta dello sgomento di Lucia per avanzare i suoi ricatti morali: Deve sacrificarsi per il bene della famiglia. Solo quando il ricatto è svelato il suono dell'orchestra cresce al registro acuto e aumenta di volume fino a scandire un ritmo di accordi ribattuti. Di fronte allo smarrimento di Lucia, Enrico rafforza ulteriormente il ricatto. Poi tocca Lucia cantare la medesima melodia, 26 mentre Enrico si rivolge a lei, la giovane persa nei suoi pensieri non lo ascolta. La coda, di entrambi, culmina in un suono acutissima della donna, scuola di disperazione e trionfo dell'abilità canora. L'articolazione di questo duetto era usuale nell'opera italiana e era chiamato “solita forma”, tramite cui si poteva esprimere in musica non solo la passione interiore, ma anche il dialogo stesso. - sezione di avvio con dialogo concitato - Sezione riflessiva lenta - Sezione di dialogo - Ultima sezione riflessiva, ma veloce e frenetica Generalmente solo nelle due sezioni introverse -cabaletta e cantabile- prendevano forma vere e proprie melodie vocali ampie e ben organizzate, mentre nelle sezioni dinamiche il tessuto sonoro era garantita dall’orchestra. È soprattutto la melodia che esprime pienamente un'emozione definita, mentre il canto di queste melodie è normalmente sillabico e chiaro, con una realismo che rende comprensibile il testo. FINALE I: In questa parte si celebrano le nozze di Arturo con Lucia e non appena la donna firma il contratto irrompe in sala Edgardo e Lucia capisce il tradimento di cui è stata vittima. La seconda sezione del numero dà dunque voce alla sorpresa per l'irruzione di Edgardo. Enrico e Edgardo avviano la sezione cantando insieme a distanza ravvicinata, melodie simili sono poi cantate da Lucia e dal suo confidente, soprano e basso, l'ambito sonoro si amplia notevolmente. Gli archi d'orchestra riprendono a suonare con l’archetto e stendono un tappeto compatto sotto le voci, che sospingono con crescente energia. La voce di Lucia svetta all’acuto. Il movimento musicale si smorza in una coda. Nella sezione dinamica I contendenti stanno per passare alle armi, mai Edgardo vede la firma di Lucia al contratto nuziale e maledice la donna e la sua genìa. 18. IL PIANOFORTE ROMANTICO: La prima Ballata per pianoforte opera 23 di Frederic Chopin (1810-1849) non ha le dimensioni delle sinfonie di Beethoven e non è divisa in movimenti, è costituita invece da un unico brano autonomo che inizia con suoni tenui, melodie molto semplici e termina con difficoltà esecutive evidenti. Chopin la pubblicò nel 1836 e la dedica all'ambasciatore di Hannover in Francia. Da cinque anni il compositore si era stabilita a Parigi, viveva di lezioni private e di concerti nei salotti dell’aristocrazia e della ricca borghesia cittadina. Le composizioni presentavano solitamente un'alternanza di melodie e passaggi di bravura esecutiva, erano di dimensioni ridotte e generalmente adatte ad essere eseguite anche da dilettanti. Fino al 1841 l'attività di Chopin a Parigi si svolse interamente in questi ambienti, Chopin non ammirava ai luoghi musicali istituzionalizzati e componeva soprattutto musica destinata alle proprie esecuzioni. Il titolo ballata è insolito per una composizione per solo pianoforte. Chopin compose altre ballate : Opera 38 del 1839, Opera 47 del 1841, Opera 52 del 1842. I primi 30 secondi della ballata opera 23 hanno una funzione produttiva. Sentiamo una prima nota grave, lunga e pesante, seguita da una lenta salita verso l’acuto. Il ritmo è mobile: è un solenne recitativo punteggiato da silenzi che culmina su una sospensione interrogativa. Si definisce una vera melodia che alterna una successione di notte abbastanza fluide ad andamenti accordali. Il tema si dipana a lungo, finché si dissolve poco ripetendo ossessivamente lo stesso frammento. Poco dopo nel registro medio del pianoforte si sente prendere forma una nuova idea musicale, molto diversa dalla precedente che si sposta subito all’acuto. Anche questa melodia si dissolve gradatamente, finché il pianoforte scende verso il grave. Su questa doppia polarità, una prima melodia narrativa e una seconda lirica, Chopin costruisce la sua ballata. Nella prima parte il tema narrativo è trattato in modo epico. Si avvia poi la seconda melodia, che cambia il carattere della ballata. Terminata la seconda melodia Chopin ci propone il primo tema molto più mosso di prima, la melodia dissolve ancora in suoni ripetitivi finché si trasforma in una rapido valzer giocoso. Una rapida scala che precipita al grave ci riporta ancora la seconda melodia, che si inceppa su alcuni frammenti che s'addolciscono poco a poco per condurci ad un'ultima esposizione della prima melodia. La prima melodia va in molto crescendo per poi sfociare su una coda finale, virtuosistica, ma funge anche da apoteosi drammatica e conclude su due accordi che interrompono l’accelerazione. Nelle ballate pianistiche di Chopin non troviamo riferimenti precisi alle poesie narrative dei suoi compatrioti, ma la stessa alternanza di toni espressivi e la medesima oscillazione tra narrazione, riflessione e reviviscenza privata. 27 Il secondo poema sinfonico è dedicato alla Moldava, il fiume che scorre dalla Selva boema e confluisce nell’Elba dopo aver attraversato Praga. Per chiarire la descrizione del fiume, Smentana racconta il piano narrativo e indica in partitura le situazioni che intende rappresentare. L'intento descrittivo è esibito fin da subito: la composizioni si apre con i due flauti che si rimpallano un disegno che evocano zampillare dell’acqua. Dopo si aggiungono i clarinetti con un analogo disegno: è la seconda sorgente indicata dal programma. Il flusso sonoro si fa via via più denso per l'aggiunta delle viole, poi dei violoncelli e dei violini. La densità sonora coagula finalmente in un tema vero e proprio. Smentana organizza questa melodia in due parti: - una prima frase, ripetuta due volte, prima dai soli violini poi con l'aggiunta dei legni - Una seconda parte è anch’essa ripetuta due volte grazie ad un segno di ritornello CACCIA NEL BOSCO: Smentana si cala ora nella prospettiva del fiume stesso, di una goccia d'acqua che scende a valle e, scorrendo, assiste a diverse scene ai suoi argini. La prima è una caccia: ce lo dico i corni che echeggiano e per un minuto ottoni e legni si rimpallano richiami sonori come squadre di cacciatori. A ricordare che siamo sempre dentro al letto del fiume provvedono violini e viole con disegni ad onda mentre gli altri gravi realizzano suoni fissi che fanno da sfondo sonoro. NOZZE CAMPESTRI: la scena successiva attraversata dal fiume è una festa di nozze paesane. I bassi scandiscono un ritmo di danza mentre i violini disegnano le volute di coppie che danzano. Anche qui manca un'ampia melodia cantabile ma il tessuto orchestrale è saldamente tenuto assieme dall'andamento coreutico e dalle ripetizioni di una breve melodia di danza. Entra tutta l’orchestra, finché questa scena sfuma in lontananza con lunghi accordi sospesi realizzati dai legni che aprono una nuova sezione. DANZA DELLE NINFE: dopo poco si uniscono ai legni anche gli archi mentre flauti citano l'acqua come all’inizio. Si aggiungono clarinetti e arpe con disegni ripetitivi e non molto caratterizzati. A dare ordine al lungo episodio sono i violini che suonano pianissimo una nuova melodia molto lenta. Questa di ripetutamente quattro volte e solo alla fine dell'episodio l'orchestra si anima di energia: invece di sfumare gradatamente l'orchestra sfocia finalmente in una nuova esposizione del tema della Moldava. L'intera melodia viene una seconda volta, ma si interrompe. La crescita fonica e di tensione si dice che il maestoso avanzare del fiume si frastaglia e aumenta di pressione per le rapide di San Giovanni. RAPIDE DI SAN GIOVANNI: per descrivere le cascate Smentana spinge all'estremo le risorse orchestrali. Le melodie vengono suonate dei bassi, mentre violini disegnano all'acuto il turbinio delle acque e l'ottavino lancia acutissimi riflessi sulle volute dei violini. Poi la melodia dei bassi si perde e tutto dissolve in frammenti apparentemente caotici fino ad una discesa di tutta l'orchestra che chiude l’episodio. Superate le cascate il fiume riprende la sua forma: si risente il tema della Moldava ma molto più rapido e in modo maggiore. Il fiume si avvia trionfalmente entrare a Praga. IL MOTIVO DI VISEHRAD: gli ottoni scandiscono il motivo di Vysehrad, è una solenne tema composto per il primo poema sinfonico del ciclo, dedicata al castello. Dopo questa eroico passaggio il tessuto orchestrale va verso la conclusione. Smentana cambia di nuova prospettiva: un osservatore esterno vedi il fiume sparire all'orizzonte per gettarsi nell’Elba. Il tema della Moldava E che già ancora sempre più flebile, Smentana conclude il componimento con due accordi di tutta l'orchestra in fortissimo e sforzato. La composizione precedente rischiava di diventare un bugiardino sonoro comprensibile solo da chi condivideva il lessico sonoro tecnico e preciso decompositori. Così Liszt e al suo tempo Smentana operano con strategie differenti: per aumentare la comprensibilità della descrizione aumenta la ridondanza del messaggio e utilizzano più codici contemporanei per spostare l'ascoltatore nelle diverse situazioni, grazie a riferimenti intertestuali e ai colori timbrici. In questo componimenti i due fragorosi accordi finali dichiarano con forza la definitiva chiusura del poema sinfonico. La ricchezza timbrica e le amplissime risorse strumentali riversate nei poemi sinfonici era necessarie a evidenziare con i colori d'orchestra le diverse situazioni narrative. Liszt intendeva la descrizione come appoggio di lettura per una comprensione che mirava ad esprimere il contenuto poetico del soggetto prescelto. Liszt per l'efficacia drammatica prese le mosse dalle ouverture da concerto. Il modello principale a cui attinse fu però quello sinfonico: dalla sinfonia trasse soprattutto lo sviluppo tematico, che Beethoven aveva mostrato essere il cuore della forma e della logica musicale, e riprese le aree espressive dei quattro movimenti canonici. I poemi sinfonici sono organizzati in un unico movimento ma al loro interno si riconoscono spesso gli andamenti molto diversificati dei quattro movimenti in cui era articolata la sinfonia classica. Dal 1856 al 1860 Smentana approfittò dei viaggi da e per Praga per fermarsi a Weimar e rinsaldare i rapporti con Liszt. 30 Dagli anni 60 Smentana si impegnò a fondo nell'attività di riscatto e recupero dell'identità boema contro l'impero austriaco che dominava quelle terre. Per Smentana e per i compositori suoi compatrioti partecipare alla creazione del nuovo genere musicale del poema sinfonico significava essere protagonisti di un nuovo progresso dell’arte. Il ciclo “La mia patria” risponde anche a queste istanze e fonda tutt’ora l'identità musicale boema. 21.JOHANNES BRAHAMS: Johannes Brahams (1833-1897) compose il Quintetto per achi e clarinetto op.115 nell’estate del 1891 contemporaneamente al Trio per clarinetto, viola e violoncello op.114. Queste due opere furono sollecitate dalla conoscenza di un virtuoso del clarinetto Richard Mühlfeld, prima parte dell’orchestra di Sachsen-Meiningen che Brahams ascoltò nel 1891. In quell’occasione Mühlfeld aveva suonato il Quintetto per archi e clarinetto di Mozart e il primo concerto per clarinetto di Weber. Qualche anno dopo nel 1894 un nuovo incontro con il clarinettista a Vienna avrebbe spinto Brahams a tornare al clarinetto nelle due sonate per clarinetto e pianoforte op.120. Tutte opere nate dal rapporto diretto tra compositore e interprete e tagliate su quest’ultimo. Nel Quintetto per archi e clarinetto in si minore, op.115, i riferimenti non sono sol con il clarinettista ma anche con il repertorio da lui praticato. Mentre lo componeva Brahams aveva bene a mente il Quintetto di Mozart, di cui riprese molti elementi, soprattutto la profonda integrazione del clarinetto nell’insieme di archi e la declinazione lirica e cantabile dello strumento che emerge grazie al suo timbro. In tutta la sua attività creatrice Brahams radica la composizione nella storia e negli esempi dei capolavori del passato. Nel Quintetto in si minore l’informità timbrica presente generalmente nel quartetto viene violata dal clarinetto, soprattutto se si voleva mantenere un certo rigore formale e unire uno strumento a fiato dal timbro molto colorato. Nell’op. 115 il clarinetto è esplorato nei diversi registri interloquisce con gli archi a pari titolo in dialogo sia nelle parti metodiche e tematiche sia nelle parti di ripieno armonico. ALLEGRO: Il primo allegro inizia con un’introduzione dei soli archi caratterizzati da due idee, che genereranno gran parte del materiale del Quintetto: - una nota lunga seguita da un veloce arabesco, poi disegno discendente - mentre viola e violoncello attraverso la sincope realizzano note gravi ribattute. Sorge il clarinetto, si afferma gradatamente in piano con due rapidi passaggi che dal registro medio-grave lo fanno passare all’acuto. Aumenta il volume poi ripropone l’idea della nota lunga seguita dal veloce arabesco per poi spostarsi in un registro grave. In questa discesa il clarinetto è solo, gli archi tacciono per non interferire con il cambio timbrico. Su questa tensione bipolare delle idee il compositore costruisce l’intero Allegro iniziale. Viola e violoncello iniziano a creare una melodia più articolata che prende forma e costruisce il vero primo tema della forma sonata. Questa melodia nasce dalla seconda idea del motto iniziale. La melodia passa anche ai violini mentre il caminetto fa da riempitivo. Un forte accordo sincrono di tutti gli strumenti, poi seguito da una pausa improvvisa chiude l’esposizione del primo nucleo tematico e ci si avvia verso la seconda idea. Questa transizione offre ulteriori spunti musicali, invece dell’ampio melodia viola, violoncello e clarinetto prima, poi, anche i violini, si scambiano reciprocamente disegni sonori ben cadenzati, ritmati e staccati, con fluidi arpeggi verso l’acuto. Questo succede per due volte. Poi finalmente entra il secondo tema: un’ariosa melodia suonata inizialmente dai bassi poi dal clarinetto on il violino che interloquisce con lui. Esposto il secondo tema il clarinetto tace e gli archi si dissolvono in sospiri e pause. La prima parte dell’allegro sta terminando e il clarinetto rilancia la sua melodia sempre insidiato dal violino che riprende possesso della guida del movimento insieme alle viole per concludere con la medesima melodia. Brahams pur utilizzando la solita forma-sonata riesce ad esprimere intensi slanci emotivi. - motto iniziale - entrata del clarinetto - primo tema - transizione - secondo tema - episodio conclusivo l’esposizione viene ripetuta identica ma senza il motto iniziale. Inizia poi l’elaborazione dei temi: il clarinetto riprende il tema della sua insorgenza iniziale, ma senza gli arabeschi. Questi vengono poi suonati dal violoncello e dal violino. Dai bassi inizia un passaggio in cui tutti gli strumenti si muovono con grande indipendenza “contrappunto”. Il contrappunto prosegue anche dopo, ma cambia completamente carattere: in 31 Quasi sostenuto riprende il materiale della transizione nell’esposizione e lo frammenta con andamento cantabile. Questa parte si chiude con un a solo del clarinetto. L’ultima sezione è al ripresa. Risentiamo tutte le frasi già ascoltate per due volte nell’esposizione ma con diverse modifiche: - il primo tema senza l’esordio del clarinetto - ripetizioni più rapide - veloci parti di violino II e viola in primo piano - il secondo tema Brahams invece di chiudere l’allegro inserisce un crescendo di note ribattute ai gravi mentre violino I e clarinetto melodizzano e si lanciano in passaggi virtuosistici, finché non ritorna di nuovo il tema principale molto energico e meno lirico. Sembra terminare anche questa cosa ma i bassi avviano una nuova insorgenza come quella del clarinetto che passa alle viole, poi al violino II mentre il violino I e il clarinetto riprendono il motto con note lunghe e arabescho. I riferimenti formali del classicismo sono limitati alla forma complessiva del movimento, ma le sue strutture vengono portate alle estreme conseguenze. L’idea dell’elaborazione tematica viene adottata da Brahams ed estesa a tutta la composizione. È uno stile che Brahams mette a punto nel corso degli anni e che caratterizza gran parte delle sue composizioni strumentali. L’approccio di continua variazione di Brahams è radicalmente differente da quello propungato da Liszt. Nella seconda metà del secolo ritorna al centro dell’attenzione la musica di discendenza classica e con questo rinacque il genere sinfonico con: Mahler, Brahams, Caikovskij. Nell’animata polemica, in particolare Hanslick, Brahms venne indicato come il più autorevole compositore da oppure al prestigio di Liszt. Hanslick teorizzava che il “bello musicale” dovesse sfuggire da qualsiasi spunto e intenzione descrittiva, ma che fosse radicato esclusivamente nelle forme sonore che si muovono nel tempo. Brahms non organizza le diverse idee e le loro derivazioni in frasi musicali facilmente memorizzatili ed immediatamente espressive, come facevano Liszt e i suoi seguaci nel poema sinfonico. Brahams intesse invece un tessuto sonoro irregolare dominato dal fitto gioco di relazioni interne. Nella musica da camera di Brahams resta il far apparire semplici cose complesse: un principio artistico creativo che il mondo borghese ottocentesco aveva fatto proprio. 22. L’ATONALITÀ: Arnold Schönberg (1874-1951) presentava al pubblico viennese la sua prima esecuzione dei suoi 15 Lieder op.15 sulle liriche di Stefan George tratte dal libro “Il libro dei giardini pensili”, di cui S. acquisì la terza edizione del 1907. Da una parte si colloca nella tradizione liederistica che inizia da Schubert, d’altra parte utilizzava il Lied come terreno di sperimentazione di una radicale rinnovamento dei metodi competitivi e del linguaggio musicale. Il quarto Lied terminato il 15 marzo 1908 è brevissimo e canta senza alcuna ripetizione i sette versi della poesia, un canto asciutto che accoglie le nette e precise immagini simboliche del poeta. All’interno del libro si racconta l’innamoramento come un viaggio in un giardino lussureggiante ma con la freddezza che impedisce ogni partecipazione emotiva per i due amanti che alla fine si separeranno. Schönberg conduce il pianoforte e la voce su note costantemente dissonanti, è difficile immaginare quale suoi potrà seguire quello che volta a volta ascoltiamo. Nei Lieder di Schönberg la comunicazione, tra compositore ed ascoltatore, ischi dai essere compromessa perché il compositore sospende ogni forma di tonalità. Egli presentava quest’opera dopo essere approdato nel suo secondo periodo atonale a seguito della totale emancipazione della dissonanza. La scansione metrica musicale è indipendente dalle accentuazioni del testo, si organizza però in un prosa intrisa di variazioni che costituiscono un reticolo fittissimo e ne assicurano la coerenza e l’unità. Il canto passa da un andamento sillabico a melismatico, dalla recitazione quasi parlata al canto spiegato, in alcuni momenti resta su note molto vicine tra loro, in altri salta improvvisamente verso l’acuto o verso il grave. Il pianoforte talvolta si muove in modo melodico, altre volte è usato come strumento a percussione. Voce e strumento si scambiano continuamente spunti melodici e ritmici. Tensione e distensione sono così ottenuto da variazioni timbriche, di velocità, di volume, e soprattutto di densità o rarefazione dei suoni. Ogni verso della poesia propone un andamento diverso. PRIMO VERSO: Nel primo è prevalentemente sillabico, cambia suono ad ogni sillaba, ma si diffonde su due brevissimi melismi per sottolineare la parola: “labbra” ed “e”. La voce è quasi ferma, si muove su note moto vicine tra loro ed espone il primo team del Lied. Il pianoforte cambia accordo all’inizio di ogni parola sottolineandola, mentre suona anche una melodia simile a quella della voce. 32 l'opera si apre con una sezione con sonorità lente, in cui prevalgono metalli gravi molto risonanti. L’intensità aumenta tanto da nascondere la prima entrata del tamburo a corde soffocato dal forte complessivo e dall'entrata della grancassa grave cui si aggiunge un colpo di gong. Subito dopo il tamburo militare espone per un tempo abbastanza esteso un ritmo veloce chiaro e ben definito, accompagnato dati strumenti con suoni intermittenti altrettanto rapidi. Il processo è polifonico perché sono due moduli che si integrano tra loro. Il tema principale sarà sempre affidata al tamburo militare, mentre le sirene tacciono. Dopo il ruggito del tamburo a corda si riaffacciano le sirene, mentre la densità sonora si arricchisce senza però perdere la trasparenza che finora ha predominato. Successivamente l'ambiente sonoro cambia sempre con il tema ben esposto, scandito in forte dal tamburo militare. Le sirene si riaffacciano per chiudere quest'episodio e aprirne un altro. La densità è massima ed il tema è avvolto, in una delle sue trasformazioni, da strumenti di legno e metallo. Dal tutti fortissima dominato dalla grancassa sfuma verso un clima più rarefatto con sirene e suoni di metallofoni. Una sorta di ripresa che articolo la forma sonora che infatti restituisce la scena al tema principale. Continua quest'ambiente metallico ma la densità sonora si ispessisce con l'aggiunta dei legni e avvolge il tema chiaramente scandito in forte. Un colpo di gong e di piatti molto risonanti introduce una ripresa della sezione ascoltata a 2.29. Tutti gli strumenti sono sovrapposte coinvolti in una sezione parossistica. Si apre l'ultima sezione con gli strumenti intonati, pianoforte, campane tubolari, celesta. Questa improvvisa apertura rasserenante dovuta anche al rallentamento del tempo prescritta dal compositore chiude la composizione con un alone sonoro in graduale dissolvenza emesso dalle percussioni. La produzione di Varèse si ridusse quasi al silenzio tra il 1936 e il 1950. A riaccendere la sua creatività fu il dono di un registratore a nastro magnetico nel 1953. Le nuove tecnologie di registrazione gli permisero di realizzare davvero i suoni che fino ad allora abitavano solo la sua immaginazione. 24. EDORARDO SANGUINETI-LUCIANO BERIO “LABORINTUS II” (1965): La versione definitiva di “Laborintus II” è del 1976, ma l’opera nacque nel 1965 su commissione dell’Office de Radiodiffusion Télévision Française che intendeva celebrare il settimo centenario della nascita di Dante. Luciano Berio (1925-2003) progettò il lavoro con Edoardo Sanguineti (1930-2010) con cui aveva già collaborato per lo spettacolo teatrale “Passaggio”. Il materiale per la nuova composizione riprende molto dal balletto “Esposizione” che Berio e Sanguineti avevano presentato a Venezia nel 1963. In un primo momento Sanguineti aveva pensato ad un titolo più generico, Strutture, ma serio insistette per riferirsi alla raccolta di poesie “destrutturate” di quasi dieci anni prima, poesie che avevano segnato una frattura decisiva nella tradizione poetica italiana e attirato il suo interesse per il poeta : fu dunque deciso “Laborintus II”. Anche quest’ultima poesia si fonda sul montaggio, interpolazione di frammenti decontestualizzati che assurgono a un nuovo significato, un tratto proprio della poetica di Sanguineti di quegli anni. Quest’ultimo riprende in parte testi dal proprio Laborintus oltre che dal Purgatorio de l’Inferno e di Esposizione e li fonde con citazioni da Dante, ma anche EZRA POUND e ELIOT. Tesi in poesia e in prosa, in latino e in diverse lingue europee. Estrapola d questi testi una serie di immagini incisive e significative delle narrazioni da cui provengono, identificate con evidenza. Il libero accostamento conferma la potenzialità combinatoria del linguaggio, la possibilità di accedere da un’immagine all’altra, senza ordine sequenziale prestabilito. I testi poetici e le citazioni rimpallano l’un l’altro e focalizzano tre tematiche dantesche che interagiscono e cozzano fra loro. Il primo tema è la totalità, ma in Sanguineti è una caotica rassegna delle cose del mondo. Il secondo tema è il sogno e l’erotismo. Il terzo è di carattere politico: una critica all’usura da Round, ma presente anche in Dante e ripresa ds Sanguineti come critica al capitalismo e all’incipiente consumismo. La composizione si presta a diverse concretizzazioni: dal vivo teatralizza lo spazio collocando le fonti sonore su quattro livelli: gli interpreti al centro su due file, davanti gli strumenti, dietro le voci, più in primo piano le casse di amplificano delle fonti sonore dal vivo, dietro sullo sfondo invece le casse di diffusione del nastro magnetico. I diversi piani si muovono in una drammaturgia complessiva. Nella prima versione erano previsti otto “danzatori-mimi- attori” che solo nella seconda versione del 1976 vennero sostituti da otto voci recitanti. Ci sono tre strati vocali contrastanti: - oltre alle voci recitanti - un lettore 35 - tre soprani tutti amplificati e senza uso di vocalità operistica. L’orchestra è composta da flauto, tre clarinetti, tre trombe, due arpe, due percussionisti, due violoncelli, un contrabbasso e suoni elettronici che ad un certo punto inglobano anche la voce narrante. Quest’ultima solitamente riprodotta in primo piano dalle casse acustiche passa a quelle collocate sullo sfondo che diffondono il nastro magnetico. L’utilizzo di suoni elettronici su nastro magnetico ingloba uno spiccato interesse di Berio verso le nuove tecnologie. Da una decina d’anni anche lui sperimentava presso lo Studio di Fonologia Musicale della Rai di Milano fondato nel 1955 attrezzature tecnologiche, ma studiava soprattutto il controllo estetico di suoni non naturali e rumori fino a pochi anni rima inammissibili in ambito musicale. In Laborintus II la musica di Berio è dunque essa stessa un inventario di tecniche musicali diverse che si alternano e incrociano tra loro: coglie l’inventario delle cose del mondo proposte dalla poesia e sottolinea con violenza il tema del disordine. ANALISI: L’opera si apre con tre voci femminili in eco tese verso l’acuto come richiami lontani, emerge poi un clarinetto che emette suoni lunghi e dilatati, punteggiati da un trombone, le voci cantano le prime righe della citazione di Isidoro di Siviglia, ma sono talmente sgranate che del testo si colgono solamente le vocali. Si avvia successivamente il narratore che recita frammenti di Dante. Il ritmo della poesia e il colore dell’italiano antico sono perfettamente adeguati all’atmosfera sonora dei primi minuti, mentre le parole di Dante sono avvolte dal catalogo latino di Isidoro. Il ritmo delle parole di Dante è valorizzato e dimostra la sua valenza musicale. Berio tratta la poesia come un congegno che genera situazioni vocali, in se stesse musicali per sonorità e ritmi. Laborintus II non svolge una vera azione con una continuità narrativa ma costruisce una rete sempre mutevole di coppie oppositive: - l’orchestra/strumenti solisti - molte voci/poche voci - voci cantate/voci recitate - suoni intonati/rumori L’andamento delle voci e degli strumenti è analogo in tutta la prima sezione con suoni lunghi e improvvise increspature del trombone e poi delle percussioni che entrano quando la voce narrante ha terminato i primi versi. Iniziano le voci recitanti, inizialmente sempre avvolte dal tessuto dei soprani e degli strumenti. Sussurrano rapide il testo latino come un tappeto sonoro di sfondo: non si capisce cosa dicano. Il parlare è ridotto a puro gesto sonoro, senza definizione concettuale precisa. Berio valorizza la forza del suono della parola poetica fin da Thema (omaggio a Joyce), elaborazione elettronica della voce di Cathy Barberian in Sequenza III per voce femminile del medesimo anno di Laborintus II. Cantanti e strumenti si fanno più concitati, ma attengono sempre le medesime figurazioni. Dal punto di vista musicale da 2.08 questa sezione è costruita in un crescendo. Su un lungo acuto s innesta anche il flauto al di sopra dell’orchestra ma un’improvvisa pausa termina repentinamente la prima sezione. Il flauto è lo strumento che caratterizza la seconda sezione. Percussioni, flauto, ottoni, archi e arpe si alternano sul coro di voci recitanti che sgranano e confondono frammenti danteschi. Quando riprende la voce recitante, il testo di Dante, è alternato agli inserti strumentali di flauto e arpe, non sovrapposte come era accaduto nella prima parte. Gli inserti musicali dilatano le pause e frantumano ulteriormente il testo dantesco: la dilatazione del tempo è una funzione propria della musica. In questa sezione prevalgono suoni chiari. A 5.07 comincia il pianto e l’immaginazione dantesca sulla presunta morte di Beatrice prendono forma in una sezione più dolce e melodica che Berio chiama “Canzonetta” in riferimento ad una forma polifonica cinquecentesca a tre voci: flauti e arpe rimescolano le proprie note e risuonano quanto già suonato dilatandolo. La sonorità trasparente, cui si aggiunge la dolce melodia del canto femminile, si alterna a suoni pastosi e vischiosi degli ottoni con sordina. All’inizio e alla fine procedono a voci unite, omoritmicamente, al centro si muovono con maggiore indipendenza, ma nella sezione centrale si aggiunge nuovamente il narratore che ridice le parole cantate dai tre soprani. Il contrasto di questa Canzonetta è netto sia rispetto a quanto l’ha preceduta, sia rispetto alle sonorità di quanto seguirà: gran parte della partitura di Laborintus II è organizzata per coppie oppositore sempre mutevoli. Le voci prolungano notevolmente le sillabe rendendole quasi irriconoscibili. Mentre il testo legge i medesimi veri danteschi con tono asettico, il coro prosegue sgranando le sillabe e le sonorità. Ai suoni chiari di flauto ed arpa si contrappongono quelli scuri degli ottoni e degli archi. La Canzonetta tornerà variata a fine composizione su versi relativi all’infanzia da Purgatorio de l’inferno ma terminata questa procede il tessuto musicale a ritroso, riprende l’andamento 36 sentito e poi si riascoltano richiami dei soprani analoghi a quelli iniziali mentre il narratore, come all’inizio, riprende ad assemblare moduli componibili di versi tratti da Dante. Il flauto emerge semper più ma le arpe e le percussioni interrompono per due volte la sua melodia, inizialmente voce narrante e voci cantanti questa volta si alternano senza sovrapporsi. Da 7.58 Berio opera una inversione del testo di Sanguineti e fa sgranare dalla voce cantata più volte ripetuta, mentre il narratore deve ancora iniziare a leggere “mi dà orrore” e quando lo fa resta avvolto dalle vocali dilatate delle voci cantanti. Le sue ultime parole “vide con tuum” sono poi riprese in eco dalle tre voci femminili accompagnate da flauto, clarinetto e tromba su un accordo fermo degli altri strumenti. Il coro alterna note e pause con un andamento che ricorda uno stile polifonico medievale basato su incastri ritmici di voci e pause con effetto singhiozzante. Si può parlare di dilatazione perché questa sorta di eco raddoppia quando le trombe ripetono una seconda volta il disegno ritmico singhiozzante. A 10.28 si apre una nuova sezione dell’opera che si avvia con le genealogie di Isidoro. Ci sono ritmi diversi nelle citazioni: iterazione, anticipazione e riprese mentre gli strumenti complicano sempre più le ripetizioni e gli incroci più disparati, ancora opponendo il flauto agli ottoni. Viene isolato “residuum tempus Deo soli cognitum”recitato su uno straziante silenzio, poi l’accumulo riprende e conduce direttamente ad una sorta di cosmologia, l’elenco disordinato di tutte le cose del mondo sempre più frenetico e urlato: le voci recitanti si muovono polifonicamente declamando concitate diversi frammenti testuali contemporaneamente o enfatizzando alcuni con esclamazioni omoritmiche. Questo climax dell’opera è interrotta da un’improvvisa fermata di tutta la massa sonora. Anch’essa verrà ripresa più avanti, ma prima si svolge la sezione incentrata sulla critica all’usura e all’avidità con citazioni dall’Inferno dantesco. Questa sezione è aperta da brevi fremiti dei soprani: la voce recitante riprende a declamare Dante avvolta da soprani e flauto, il passaggio a EZRA POUND è evidenziata da una salita verso l’auto del soprano. Da 3.11 il tessuto sonoro si fa più complesso, sempre ampio e con timbri chiari ma scandito con suoni molto riverberati dalle percussioni che conferiscono spazialità all’episodio. In questa spazialità il narratore torna alle parole dantesche con un inversione del testo di Sanguineti, mentre lo stesso testo è recitato e completato polifonicamente dal coro di voci recitanti, fino alla ripetizione ossessiva del titolo del testo di Round “wish usura” mentre il coro ripete in polifonia frammenti già recitati dal narratore. Anche questa sezione si avvia alla conclusione con le voci recitanti che annunciano al discesa nell’abisso. Dopo “lasciate ogni speranza” la voce del narratore è avvolta da percussioni jazz e non è più recitata dal vivo ma registrata dal nastro magnetico, dunque diffusa dagli altoparlanti posti dietro l’ensemble. Il titolo della poesia di Round “with usura” è ripetuto con ossessione in un tessuto sonoro frantumato e caotico che utilizza anche versi da Laborintus. Berio dilata la poesia in ripetizioni che spezzano la continuità del testo e anzi inverte la successione dei versi di Sanguineti. La seconda parte ripercorrerà a ritroso la struttura della prima: una quinta sezione analoga alla terza, una sesta analoga alla seconda e una settima analoga alla prima dopo che sulla risonanza di un colpo in fortissimo dei tamtam e sullo sfondo dell’elettronica vengono introdotti passi dal Convivio e l’evocazione dell’infanzia che costituiscono l’epilogo dell’opera. La prima sezione del testo è incentrata sulla memoria: - la voce recitante recupera il ricordo della “Vita Nuova” - il secondo episodio si concentra sulla “Dolcissima morte” - il terzo è una disperata riflessione sulla società mercificata - la quarta è la consapevolezza dell’usura come valle d’abisso in cui si è immersi. I timbri strumentali definiscono situazioni contrapposte o parallele. Ciascuno evoca memorie perché entra nella composizione con le proprie implicazioni simboliche e storiche: il flauto è sempre stato usato come strumento pastorale ingenuo e puro. Qui la presenza isolata è dunque una metafora dell’alienazione dell’uomo nella società consumistica. Nella sezione è dell’usura la preminenza del timbro scuro degli ottoni assimila e sconfigge anche il flauto e la voce, nelle percussioni il jazz usato per introdurre o concludere sezioni del testo particolarmente caotiche. L’elettronica appare subito dopo e prima dell’ultima climax: è caratterizzata dall’elaborazione di clarinetto, trombone, contrabbasso e voce, che devono però anche improvvisare dal vivo prendendo spunto dall’improvvisazione registrata ma con una sonorità più bassa che conserva le molteplici stratificazioni. Per Berio in quegli anni scopo della musica non era consolare lo smarrimento individuale, ma costruire con il suono strutture nuove. Nella poetica di Berio è essenziale il recupero di modelli competitivi del passato profondamente trasformati. È poi fondamentale l’uso della lingua come teatro, come gesti sonori. La parola stessa ha valenza sonora. 37