Scarica IN CLASSE. COSTRUIRE E GESTIRE IL BENESSERE A SCUOLA e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia dello Sviluppo solo su Docsity! IN CLASSE. COSTRUIRE E GESTIRE IL BENESSERE A SCUOLA P.SELLERI, S.ROMAGNOLI Sommario CAPITOLO 1- RIPENSARE LE CLASSI......................................................................................................3 I.I REALIZZARE IL DIRITTO ALL’ISTRUZIONE......................................................................................3 1.2 PROCESSI DI SVILUPPO E DI APPRENDIMENTO..........................................................................4 1.3 COSTRUIRE COMPETENZE..........................................................................................................4 1.4 ORGANIZZARE IL CONTESTO.......................................................................................................5 1.5 VALUTARE...................................................................................................................................6 1.6 INSEGNATI EFFICACI...................................................................................................................6 CAPITOLO 2- LA CLASSE COME LUOGO DI ESPERIENZA.......................................................................6 2.1 INTERMITTENZA EDUCATIVA......................................................................................................7 2.2 L’IMPORTANZA DELLA CULTURA................................................................................................8 2.3 LA CURA DEI GENITORI...............................................................................................................8 2.4 UN’ATTIVITA’: LEGGERE AD ALTA VOCE.....................................................................................9 CAPITOLO 3- IN CLASSE NELLA SCUOLA PRIMARIA............................................................................10 3.1 TRANSIZIONI ECOLOGICHE.......................................................................................................10 3.2 ALUNNI AL CENTRO..................................................................................................................11 3.3 LA MERITOCRAZIA....................................................................................................................11 3.4 LA CLASSE: UN GRUPPO DI ALUNNI.........................................................................................12 CAPITOLO 4- LE ATTIVITA’..................................................................................................................13 4.1 IMPARARE A IMPARARE...........................................................................................................13 4.2 LA SCOPERTA DELL’ERRORE.....................................................................................................14 4.3 LA CREATIVITA’.........................................................................................................................14 4.4 ATTIVITA’ DI CODING E SVILUPPO DEL PENSIERO COMPUTAZIONALE....................................15 4.5 UN LABORATORIO INTERDISCIPLINARE: LA ROBOTICA EDUCATIVA........................................15 CAPITOLO 5- GLI ANNI DELLA SCUOLA SECONDARIA.....................................................................16 In una scuola, avere una forte leadership educativa significa condividere, in primo luogo con i propri colleghi, le finalità ed i traguardi del lavoro educativo; essere capaci di sostenersi a vicenda nelle situazioni complesse, risolvere i problemi individuando soluzioni alternative ecc. 1.2 PROCESSI DI SVILUPPO E DI APPRENDIMENTO Ogni classe è un contesto di apprendimento formale, in cui gli insegnanti utilizzano il loro sapere professionale per favorire negli alunni la costruzione di conoscenze e abilità. Tuttavia, è riduttivo considerare solo questa affermazione, in quanto nel leggere il processo insegnamento- apprendimento è molto utile il punto di vista della psicologia dello sviluppo. La nozione di sviluppo nell’arco di vita ci ricorda che molti aspetti, come le caratteristiche individuali, le esperienze di vita, le stesse scuole frequentate possono ridurre la corrispondenza fra le aspettative che si hanno su un soggetto e i risultati ottenuti concretamente. Emblematico è il periodo adolescenziale, in cui gli alunni si trovano in una situazione di transito tra “l’essere ragazzino e l’essere adulto”. Un errore che l’insegnate può compiere è cogliere nei propri alunni una sorta di modello di sviluppo generico, In cui la crescita corrisponde ad un aumento lineare di capacità cognitive e relazionali visibili attraverso le azioni quotidiane. lo sviluppo, però, non procede in questo modo, perché accanto a momenti di apertura e di slancio possono seguire i momenti di chiusura, nei quali anche apprendere e faticoso e difficile. la prospettiva dell'arco di vita ci aiuta anche a considerare che tutto ciò che non si è realizzato in un segmento scolastico non è bruciato e definitivamente perso, ma solo procrastinato nel tempo. Il secondo contributo di riflessione riguarda l’idea che lo sviluppo non segua un percorso lineare, bensì a spirale; questo significa che i risultati di ogni apprendimento non sono mai definitivi, perché nel corso della vita un medesimo compito sarà affrontato con strumenti cognitivi più elaborati ed efficaci. Gli stessi programmi ministeriali sono stati costruiti seguendo questa logica, uno stesso argomento viene affrontato più volte (esempio storia di Roma). Dal punto di vista della psicologia dello sviluppo occorre riflettere anche sul modo in cui le attività scolastiche possano favorire proprio la costruzione delle strutture cognitive, delle operazioni logiche indispensabili per affrontare apprendimenti più complessi e articolati. L’attività didattica è ricca di strumenti che assumono specifici significati all'interno di pratiche messe in atto dal docente per favorire, nell’alunno, l’appropriazione di un sapere rigidamente definito a priori attraverso i programmi ministeriali, molto spesso distanti dalla quotidianità e che suscitano scarso interesse. È proprio la ricorsività in tempi successivi dello sviluppo che permette ai docenti di investire sui processi di ragionamento e nella costruzione degli strumenti di pensiero, gli unici in grado di sostenere il cosiddetto apprendimento significativo, un'appropriazione della conoscenza, cioè un apprendimento che può essere messo in atto anche in altri contesti e fasi della vita. 1.3 COSTRUIRE COMPETENZE Uno strumento utilizzato per valutare l’apprendimento significativo è il PISA (Programme for International Student Assessment) eseguito in 80 paesi del mondo. Questo programma mette a confronto, in un campione individuato, i risultati scolastici degli studenti di 15 anni (che hanno terminato i primi 8 anni di scuola obbligatoria). A questi studenti vengono sottoposti quesiti riferiti ad un preciso contenuto disciplinare, ma formulati in modo da poter essere risolti utilizzando strategie di livello diverso e non esclusivamente scolastiche, poiché ciò che viene valutato è la capacità di giungere al risultato corretto utilizzando tutte le conoscenze, le abilità e le competenze possedute dallo studente. In ogni paese, l'efficacia dell'insegnamento ricevuto nei primi 8 anni di scolarità obbligatoria è messa in relazione con la media dei risultati ottenuti dagli studenti: più alto è il risultato medio del paese partecipante e più viene ritenuto efficace il lavoro educativo svolto nelle scuole. La nozione di competenza è stata introdotta 50 anni fa per descrivere l'insieme delle caratteristiche (conoscenze e abilità) che consentono agli individui la transizione tra l’ambito di formazione accademica e quello del mondo del lavoro. Possiamo considerare la competenza come un’acquisizione possibile in ogni contesto e in ogni età della vita; si raggiunge mixando l'apprendimento formale con quello informale, caratteristica dei contesti della vita quotidiana, dove si fanno scoperte inaspettate mentre si cerca la soluzione creativa a un problema reale; inoltre l'acquisizione di competenze riguarda ogni ambito dello sviluppo: cognitivo, emotivo e sociale. La competenza rappresenta lo strumento per prendere decisioni su come realizzare il risultato migliore con il minor dispendio di energia cognitiva; dal punto di vista educativo, la competenza rappresenta il traguardo è più elevato che il lavoro degli insegnanti può raggiungere. Infatti, per ogni insegnante lavorare per favorire la costruzione di competenze significa esercitare la propria capacità di accogliere i contributi di ogni singolo alunno sostenendo la collaborazione e la condivisione dei diversi punti di vista. 1.4 ORGANIZZARE IL CONTESTO La vita quotidiana di ogni classe è costruita attraverso la realizzazione e condivisione di routines, elementi cardine attorno ai quali si articola gran parte del tempo trascorso in classe. Le routines di ogni classe si individuano facilmente perché sono condivise e ben riconoscibili sia dagli insegnanti che dagli alunni sin dal primo momento in cui vengono messe in atto. Le routines organizzative sono uno strumento di ricordo collettivo delle conoscenze utili per svolgere il lavoro di classe, infatti alla domanda dell’insegnate: «Come possiamo fare, questa volta, per risolvere questo compito?», si attiva un meccanismo che porta a ricordare qualcosa di già affrontato e conosciuto. Le routines Aiutano gli alunni a commettere meno errori di interpretazione sul significato del lavoro svolto. nelle scuole nelle classi, realizzare un contesto sicuro e ordinato significa porre attenzione alle attività capaci di definire comportamenti individuali in relazione agli scopi collettivi e aiuta gli alunni nella comprensione dei sistemi di attività di cui sono parte attiva. Un contesto sicuro, in cui è possibile fare previsioni sul modo in cui una routine sarà condotta e quindi su cosa potrà accadere, e ordinato poiché le attività seguono un flusso che può essere seguito con maggiore attenzione, favorisce negli alunni l’utilizzo di strategie di autoregolazione del comportamento e dell’apprendimento. L’L'autore colazione dell’apprendimento è un processo che riguarda la pianificazione delle azioni e la progressiva modulazione delle stesse in relazione al conseguimento di obiettivi personali; su questo processo influiscono caratteristiche personali, cognitive e ambientali. Tuttavia, l'autoregolazione non è una costruzione individuale, ma una co-costruzione di capacità che nel corso dello sviluppo contribuiranno a consolidare le competenze sociali importanti per vivere le contraddizioni che la vita adulta presenterà. 1.5 VALUTARE La valutazione è il risultato di un processo cognitivo che avviene nella mente di ciascuno di noi, ci aiuta ad affrontare nuove e inaspettate situazioni e ci permette di mantenere sotto controllo le situazioni della vita quotidiana. Nel contesto scolastico, caratterizzato da una asimmetria dei ruoli fra insegnate e alunno, è l’insegnate ad esercitare il potere di valutazione. Il potere degli insegnati è molto sfaccettato; le scelte didattiche sono di loro competenza e questo è il legittimo esercizio di un potere epistemico; ha invece un peso diverso il potere di valutare i risultati scolastici utilizzando criteri che sono prerogativa di ogni singolo docente o di piccoli gruppi, mentre ancora più diverso è il potere coercitivo, attraverso il quale vengono ripresi i comportamenti inadeguati. Ogni insegnante deve avere la consapevolezza del legame esistente fra queste tre attività, poiché un risultato scolastico cattivo può dipendere anche da una scelta didattica poco ponderata; oppure dalla difficoltà di gestire un gruppo di alunni turbolenti. È errato trasformare la valutazione dei risultati scolastici di un alunno nell’espressione di un giudizio implicito su di lui, non come studente ma come persona. Insegnanti, alunni e risultati formano un triangolo virtuale, una forma che chiede al proprio interno le attività che riguardano i processi di insegnamento e di apprendimento. Infine, come già sappiamo, le scuole efficaci sono quelli in cui sono molto frequenti le valutazioni sui processi degli alunni. In questi contesti, la valutazione è un'attività formativa alla quale non corrisponde un voto ma solo una serie di feedback che prendono spunto dagli errori commessi, dalle procedure eseguite, dalle soluzioni attuate. 1.6 INSEGNATI EFFICACI Gli insegnanti, dopo i genitori, rappresentano le figure che, anno dopo anno, si prendono cura degli alunni attraverso i loro insegnamenti. Affinché un insegnamento sia efficace è necessario che l'insegnante non solo conosca bene la propria disciplina ma anche che possieda la capacità di identificare in essa gli elementi fondamentali, i possibili errori che gli alunni possono commettere, oltre che monitorare quotidianamente il processo di apprendimento di ogni alunno, utilizzando opportuni suggerimenti per superare le difficoltà. In ogni caso, gli insegnanti di ogni ordine e grado rimangono i pilastri di tutti i sistemi scolastici e la forza della loro influenza sugli alunni è innegabile. Gli insegnanti efficaci offrono gli alunni i propri valori, il proprio modo di essere parte della società; perseguono gli obiettivi disciplinari accompagnandoli con il significato che tali apprendimenti hanno dentro e fuori la scuola; si guadagnano la stima dei loro alunni rispettando le difficoltà, mettendo in luce gli ostacoli e sostenendoli mentre cercano di superarli. Quando un insegnante invece ha poche aspettative nei confronti degli alunni, quando propone contenuti disciplinari facendo attenzione alla correttezza epistemologica oltre che al rispetto rigoroso del metodo didattico, spesso le classi diventano difficili, gli studenti si annoiano e i risultati scolastici non si perseguono. CAPITOLO 2- LA CLASSE COME LUOGO DI ESPERIENZA Pur non avendo la caratteristica dell’obbligatorietà, il segmento scolastico 0-6 anni costituisce la porta d’ingresso al mondo dell’educazione formale. Nidi e scuole dell'infanzia svolgono una riescono a trovare il tempo per recarsi a scuola, a causa del lavoro precario che non concede spazi per assentarsi. Considerare questi genitori disinteressati è fuorviante, perché si confonde il comportamento con le intenzioni; molti di loro, soprattutto le madri, vorrebbero essere molto più presenti nei percorsi di studio dei propri figli, ma si sentono ostacolati dalla loro condizione di partenza, in quanto privi delle risorse culturali, economiche e relazionali necessarie per farlo. D’altro canto, esistono molte scuole inquadrano l’incontro scuola-famiglia come un adempito da svolgere, facendo venire meno l’obiettivo principale, cioè favorire la reale partecipazione dei genitori. È all'interno delle famiglie che i bambini crescono e si sviluppano; quindi, le caratteristiche delle famiglie hanno effetti diretti sul comportamento degli alunni a scuola, sul percorso di apprendimento e sullo sviluppo. Quando le famiglie si trovano in sintonia con le richieste della scuola e con i significati dell’apprendimento nel percorso di crescita dei figli, allora la sinergia rende facili e proficui i rapporti. così diventa fondamentale ciò che è rimasto dell'esperienza scolastica passata dei genitori. In relazione a quanto detto, negli ultimi tempi si è fatta strada la nozione di povertà educativa, cioè bassi livelli di competenza linguistica, matematica e scientifica che concorrono a mantenere le disuguaglianze sociali, in termini di risorse culturali ed economiche. La povertà educativa si verifica soprattutto nei casi di abbandono scolastico precoce; oggi gli alunni maggiormente esposti ai rischi della povertà educativa sono quelli con i genitori con basso livello di scolarità, in condizione di fragilità economica e lavorativa. gli effetti della povertà educativa si trasferiscono così da una generazione all'altra, rendendo difficili i rapporti con la scuola frequentata dei figli, perché in esse i genitori ripetono il proprio insuccesso e quindi la squalificano. Per migliorare la relazione fra genitori e scuola è necessario coinvolgere attivamente i genitori, organizzando attività in cui i genitori sono invitati a prendere decisioni insieme agli insegnanti si aspetti che riguardano il continuum del percorso educativo fra scuola e casa. Infatti, i genitori potrebbero proporre in famiglia attività in sintonia con quanto viene fatto in classe, e questo potrà avvenire solo se tra genitori e insegnante è stato instaurato un efficace canale comunicativo. 2.4 UN’ATTIVITA’: LEGGERE AD ALTA VOCE Nella fascia 0-6 anni, il momento dedicato alla lettura ad alta voce si configura come una precisa routine educativa, svolta nello spazio allestito proprio a questo scopo. Questa routine ha regole ben precise conosciute dal gruppo e richiede, soprattutto nei più piccoli, capacità di attenzione, di memoria, di comprensione e reinterpretazione di quanto ascoltato. È durante la lettura di una storia che lo sviluppo cognitivo si intreccia con lo sviluppo delle emozioni e con lo sviluppo della creatività; inoltre, la lettura ad alta voce si configura un crocevia in cui si incontrano la dimensione individuale e quella collettiva, in quanto attività di gruppo. La lettura ad alta voce, condivisa nel gruppo, è lo spazio in cui l'abilità di comprensione del testo si trasforma in strumento di produzione di storie non più come attività individuale, legata alle capacità del singolo alunno, ma come costruzione collettiva di un racconto che si arricchisce del contributo di tutti. CAPITOLO 3- IN CLASSE NELLA SCUOLA PRIMARIA L'ingresso alla scuola primaria sancisce l'inizio formale del percorso scolastico obbligatorio per ogni bambina e, di conseguenza, anche per la sua famiglia. Il punto di partenza non è uguale per tutti, in quanto alcuni hanno frequentato precedentemente ambienti educativi gestiti da altri adulti che non siano i genitori, mentre per altri il primo giorno di scuola può rappresentare una delle prime esperienze vissute al di fuori delle mura domestiche, senza la presenza delle principali figure di riferimento. Tuttavia, anche chi ha vissuto l'esperienza del nido e della scuola dell'infanzia troverà nella scuola primaria un ambiente molto diverso. 3.1 TRANSIZIONI ECOLOGICHE Il passaggio dalla scuola dell'infanzia alla scuola primaria costituisce la prima transizione affrontata dal giovane alunno. Entrando nella nuova scuola, il bambino si troverà in uno spazio organizzato in maniera totalmente diversa rispetto a quello presente nella scuola d'infanzia: l’aula si presenta piena, occupata quasi completamente dai banchi e dalle seggiole, c’è la cattedra dell’insegnante, più alta rispetto ai banchi e con una sedia dotata di braccioli, il che la rende inconfondibile. La cattedra diventerà il punto focale su cui mantenere l’attenzione. Oltre al cambiamento nello spazio, ben presto i bambini si renderanno conto del cambiamento nella gestione dei tempi e delle attività. Tutto questo contribuisce a disorientare il bambino, che inizialmente proverà a gestire la transizione utilizzando tutte le strategie che risultava efficaci nell’ordine di scuola precedente, ma che dovranno rapidamente essere testate aggiornate; oppure, al contrario, potrebbe trovarsi spaesato e congelato di fronte ad una situazione che non si aspettava e che lo intimorisce. Mentre l'alunno della scuola primaria prende forma, inizia anche il suo cammino verso la competenza nella scrittura, nella lettura e nel calcolo e questo lo catapulterà in un pianeta diverso da quello vissuto fino a pochi mesi prima. Nella scuola primaria, a differenza di quella materna, il bambino dovrà imparare a fare ciò che gli viene chiesto, nei tempi e nei modi definiti, pena un semplice richiamo, nei casi più lievi, o una nota sul diario nei casi più gravi. Ben presto entrerà in contatto anche con il voto, lo strumento che definisce la qualità del suo lavoro; il bambino- alunno si accorgerà presto che non tutti ottengono lo stesso indicatore sul quaderno e, di conseguenza, inizierà a confrontarsi con gli altri. Questa esperienza pian piano inizierà a far parte dell'identità del bambino alunno, che comincia a definirsi e a pensare a sé stesso includendo anche gli elementi che derivano dall’esperienza valutativa. Gli alunni che non riusciranno ad ottenere dei buoni risultati, inizieranno a dubitare di loro stessi e delle proprie capacità. Riferendoci a Piaget, bisogna ricordare che giorno dopo giorno, il bambino riuscirà ad assimilare i cambiamenti, accomodandoli con quanto è possibile mantenere delle strategie precedenti, per raggiungere nuovamente una condizione di stabilità e di equilibrio tra il passato e il presente. Il bambino traghettando la propria esperienza nella cultura della classe e della scuola, aggiorna il proprio mestiere di alunno e comincia a conformarsi alle richieste dell’insegnante e del sistema. La transizione ecologica aiuta a capire gli aspetti dinamici di ogni cambiamento: il fattore ecologico consiste nel fatto che il soggetto, seppure in transizione nei contesti, continua a essere parte di questi ultimi, in alcuni casi misura inferiore, in altri allo stesso modo. Nel passaggio alla scuola primaria i bambini continuano ad occupare la medesima posizione in famiglia e a ricevere le medesime attenzioni, mentre in classe la loro posizione deve essere nuovamente rinegoziata con i compagni, gli insegnanti e i risultati scolastici. Si tratta di un processo di natura psicosociale che anno dopo anno aiuta a considerare sé stessi come individui ruoli sociali diversi (figlio-fratello- alunno), costruendo la propria identità attraverso i giudizi ricevuti dagli altri. 3.2 ALUNNI AL CENTRO Decidere l'orientamento del cambiamento di un sistema educativo risulta essere un problema complesso e difficile da affrontare, al quale non è possibile fornire una soluzione semplice ed ai risultati immediati. Ciò che si può fare è definire una rotta ragionevole e seguirla avendo cura di non Perdere di vista l'orizzonte, pronti a cambiare direzione in caso di pericolo o di opportunità migliori. La direzione suggerita è quella che mette al centro il funzionamento e lo sviluppo socio cognitivo della persona sapendo che del futuro del bambino di oggi noi possiamo immaginare ben poco, soprattutto partendo dal nostro presente dove tutto è in costante movimento. se non sappiamo per certo cosa sarà utile ai nostri giovani alunni, sappiamo però che determinate competenze saranno necessarie, così come sarà necessario essere in grado di acquisire rapidamente le nuove competenze e che la situazione contingente richiederà. almeno da un punto di vista teorico, il compito della scuola primaria sarebbe quello di coltivare le caratteristiche individuali degli alunni, accompagnandoli attraverso un apprendimento significativo. 3.3 LA MERITOCRAZIA La questione del merito è un elemento fondante del nostro sistema scolastico. Si può parlare di vera meritocrazia solo a parità di livelli di partenza. Ad esempio, negli Stati Uniti, dove il principio di merito è alla base del sistema scolastico, per accedere a molte università prestigiose gli studenti devono superare una prova che si chiama SAT, un test di attitudine scolastica il cui risultato è indicatore del probabile risultato che uno studente potrebbe ottenere in un test di QI. Correlando l’andamento dei punteggi con il reddito della famiglia emerge che performano meglio coloro che appartengono alle famiglie con alto reddito. Quindi, in assenza di risorse in termini di capitale culturale, economico e sociale impedirà, fatte salve alcune eccezioni, la ricerca di una strategia di mobilità sociale efficace per i propri figli, accettando l’insuccesso come qualcosa di inevitabile o irrilevante. Può accadere anche che studenti appartenenti alle classi meno agiate possono avere successo a scuola, ma questo, invece di mettere in discussione il sistema, tende a legittimarlo, facendolo apparire equo e giusto, in quanto meritocratico, senza interrogarsi sulle condizioni delle scuole delle classi che hanno permesso questo effetto. Nella scuola la meritocrazia risulta essere un male da curare, in quanto generatrice di disuguaglianze, perché attiva meccanismi di confronto sociali basati sulla misura dei risultati, una condizione che può essere minacciosa soprattutto per gli alunni poco brillanti, spenti a ottenere risultati anche a scapito di un reale apprendimento. Valutando un alunno, non bisogna concentrare l'attenzione solo sul risultato finale, ma bisogna tenere in considerazione anche le condizioni di partenza degli alunni. Prima di parlare di meritocrazia, occorre creare le condizioni per realizzare contesti, scuole, classi ispirate al principio di equità e non di uguaglianza: dare a ciascuno secondo le proprie necessità e non a tutti nella stessa misura. Le trappole nella meritocrazia attivate in classe possono essere disinnescate attraverso qualche piccola modifica nelle modalità di lavoro degli insegnanti; ad esempio, si dovrebbero ridurre al minimo le occasioni strumento formidabile a costo zero: gli errori degli alunni, questi sono da considerarsi una componente essenziale dell’apprendimento e non un indicatore di incapacità e incompetenza. 4.2 LA SCOPERTA DELL’ERRORE Assegnare agli errori uno spazio legittimo nel percorso di apprendimento, accettarli senza particolari problemi per poi farli seguire da feedback, discussioni e correzioni collettive, dedicando particolare attenzione nel ripercorrere insieme il ragionamento che ha portato all’errore, è un’attività cruciale per costruire efficaci strategie di apprendimento, sostenendo un’appropriazione significativa dello specifico contenuto disciplinare, favorendo quindi la messa in atto di un’attività metacognitiva sul proprio apprendimento e anche la costruzione di strumenti di autoregolazione dei processi di pensiero e di comportamento. Metcalfe precisa che i feedback relativi agli errori migliorano il ricordo delle informazioni raccolte, favoriscono la produzione di risposte corrette in compiti simili. Anche l’insegnate ne trae beneficio poiché dall’errore può raccogliere informazioni preziose sulla tipologia di errori commessi, proponendoli alla classe come un percorso che ha subito un rallentamento, superabile attraverso un incremento dell’attenzione, della riflessione e del coinvolgimento attivo di tutti gli alunni. Anche sul tema degli errori entrano in campo le famiglie. Molte volte per aumentare la collaborazione reciproca, gli insegnanti suggeriscono ai genitori controllano i quaderni ai figli; però, accade che i genitori non riescono a resistere alla tentazione correggere gli errori per fare in modo che si presenti agli occhi dell’insegnate come un “bravo alunno”. Correggere in questo modo l’errore impedisce al figlio-alunno di elaborare il contenuto non ancora acquisito e all’insegnate di valutare correttamente la zona di sviluppo prossimale del proprio alunno. Un’attività svolta dal genitore con le migliori intenzioni potrebbe influire negativamente sull’immagine che il bambino ha di sé come alunno. Tra gli aspetti che ci portano a considerare l’errore come strumento necessario all’apprendimento c’è la consapevolezza che errore, creatività e innovazione si trovano spesso uno accanto all’altro. Basti pesare che tante importanti scoperte sono state il prodotto di un errore. 4.3 LA CREATIVITA’ In una ricerca condotta si rileva che, all’interno dell’ambito scolastico, la creatività è relegata al ruolo di aggettivo o attributo di qualche prodotto artistico, non è mai oggetto di apprendimenti, come se si trattasse si una caratteristica già presente nei bambini di quell’età e quindi non necessitasse di inventi educativi mirati, come se le capacità creative fossero una sorta di dono naturale, qualcosa che si svilupperà in autonomia e che sarà utilizzato per migliorare il valore espressivo di alcune prestazioni. Per molto autori, la creatività si presenta come una delle competenze più importanti nell’ambito dello sviluppo, anche se non è facile fornire una definizione unitaria. Gli autori suggeriscono di considerare la creatività come la capacità di dare forma a un’idea nuova, realizzando qualcosa di concreto o virtuale a partire dalle conoscenze e dagli oggetti a disposizione, per dare una soluzione originale a un problema. Infatti, altri studiosi (Kaufman e Gregoire) invitano ad incoraggiare il bambino a fare quello che viene loro naturale; sognare l’impossibile, andando oltre le attese di quel che li circonda. L’effetto che si otterrà è un incremento del livello di perseveranza nelle attività che aumenterà la probabilità di sviluppare soluzioni originali e creative. Infine, è possibile sostenere che la creatività meriterebbe uno spazio meno episodico nei vari curricula, in quanro concorre anch’essa a favorire lo sviluppo cognitivo e a mantenere alti, in classe, il livello di benessere degli alunni, attraverso la soddisfazione dei bisogni di competenza e autonomia. 4.4 ATTIVITA’ DI CODING E SVILUPPO DEL PENSIERO COMPUTAZIONALE Papert, matematico e pioniere negli studi sull’intelligenza artificiale, collaborò con Piaget, e questo incontro lo portò a riflettere sul contributo che la matematica avrebbe potuto dare alla comprensione di come i bambini pensano e apprendono. Papert invita a fornire precocemente ai bambini il computer; ma con il termine computer non si intende indicare solo l’oggetto che ci consente di elaborare informazioni, ma soprattutto lo strumento che ci permettere di esprimere la nostra creatività e il nostro desiderio di mettere in pratica le idee attraverso l’azione. Quindi, tra le competenze che Papert invita a trasmettere ai più giovani, indica la manipolazione del computer attraverso l’apprendimento di un linguaggio di programmazione. In particolare, Papert per potenziare e non disperdere la capacità di apprendere che lui considera innata nei bambini, ritiene molto importante la programmazione di robot e computer; egli sostiene che la programmazione (coding) sia la chiave per promuovere nei bambini, in termini piagietiani, il passaggio dal pensiero concreto a quello formale, poiché diventare “un esperto programmatore di computer”, un coder, significa essere estremamente abile nell’isolare e correggere gli errori di codifica, i bigs, introdotti inevitabilmente dal programmatore nel codice realizzato. Pertanto, l’autore sostiene che il processo di apprendimento non può essere realizzato seguendo un approccio “tutto-niente” (hai capito o non hai capito), ma solo costruendo soluzioni alternative alle modalità utilizzate per affrontare l’argomento e “imparando dai propri errori”, dando così consapevolezza e significato alle scelte fatte. 4.5 UN LABORATORIO INTERDISCIPLINARE: LA ROBOTICA EDUCATIVA La robotica si presenta come un mezzo naturale per favorire lo sviluppo del pensiero computazionale, in quanto è un’attività concreta, richiede l’uso di un linguaggio formale per produrre effetti significativi e interessanti sulla realtà e può essere rappresentata utilizzando elementi famigliari, come forme, lettere e colori. Così come esistono tastiere musicali che usano i colori per identificare le diverse note che possono essere emerse, così è pensabile assegnare uno specifico colore a ogni azione che il robot deve compiere. Infatti, partendo da questa idea è stato possibile definire linguaggi dotati di difficoltà diverse e di ricchezza espressiva. Nella prima classe di una scuola primaria è stato realizzato un progetto che concretizza quanto detto finora: i laboratori del dottor Cosimo de Sideris. Il programma educativo, di durata pluriennale, è stato pensato per coinvolgere i bambini di età compresa tra i 5 e 10 anni. In conformità con le indicazioni contenute nel piano “La buona scuola”, esso persegue due obiettivi principali: l'acquisizione di competenze nel coding e lo sviluppo del pensiero computazionale. Allo stesso tempo persegue diversi obiettivi secondari, coerenti con quelli definiti per l'apprendimento di scienze, tecnologia, ingegneria e matematica. Il percorso è accessibile anche a bambini che ancora non sanno né leggere né scrivere in quanto, per indicare a un robot come muoversi, si è scelto di usare dei semplici codici basati sul colore. La pergamena dei colori è una striscia di carta composta da rettangoli bianchi e neri. Il nero funge da separatore mentre il bianco è lo spazio per realizzare la stringa di istruzioni. L’alunno per comunicare con il robot deve colorare i rettangoli bianchi usando pennarelli di quattro colori diversi, ciascuno dei quali corrisponde ad una regola; ad esempio, il rosso per farlo ruotare in senso antiorario, il verde per farlo tornare sui suoi passi, il giallo per farlo ruotare in senso antiorario, il blu per farlo procedere in linea retta. Poiché la pergamena dei colori è di carta, il bambino può intervenire su di essa, ad esempio, se si accorge che il comportamento del robot non è conforme alle sue attese, quindi può decidere di tagliare con le forbici le porzioni errate e sostituirle. Il laboratorio di robotica educativa è il primo esempio di cambiamento di paradigma nella gestione della classe: l'insegnante non è più la fonte epistemica alla quale gli alunni si rivolgono costantemente, ma un esperto dei processi di apprendimento, da cui si lasciano guidare alla scoperta di nuove conoscenze e scenari inaspettati. Il coding è uno strumento spinge i bambini a pensare, aiuta gli studenti a non fare un apprendimento passivo, ma a costruire cognizioni. CAPITOLO 5- GLI ANNI DELLA SCUOLA SECONDARIA Il passaggio alla scuola secondaria genera nuove trasformazioni che il ragazzo-alunno deve affrontare. Innanzitutto, si passa da una relazione abbastanza informale con insegnante ad una relazione più formale con i professori, centrata soprattutto sui contenuti da apprendere e sui risultati ottenuti. La scuola primaria consegna alla secondaria un alunno ancora molto dipendente dall'adulto, sia esso il genitore o l’insegnate, ma pian piano crescerà sempre di più l’autonomia del ragazzo. In questo percorso, dal punto di vista evolutivo, il momento più delicato è certamente il periodo 11-14 anni, che vede il ragazzo trasformarsi fisicamente, cognitivamente ed emotivamente. È una tempesta di cambiamenti e di sfide, destabilizzante, dove è difficile accettare i propri limiti ed è altrettanto difficile non oltrepassarli se si viene messi alla prova dai compagni o dagli amici. Le classi sono il contesto in cui i cambiamenti, le difficoltà, le paure, le generosità degli alunni rimbalzano come biglie su un tavolo da biliardo. In questo quadro, il lavoro dei professori è molto complicato; non tener conto della fase di sviluppo dei ragazzi rischia di limitare le risorse a disposizione dell'insegnante per comprendere le ragioni di alcuni comportamenti o risultati scolastici; d’altra parte, non tenere in conto il necessario avanzamento del curricolo rischia di privare gli studenti della possibilità di acquisire conoscenze e competenze utili per il proseguimento degli studi. Le classi di secondaria sono più variegate al loro interno, composte da alunni che arrivano da scuole primarie diverse e lo “storico” nucleo dei compagni, che magari si trova insieme sin dalla materna, dovrebbe iniziare a ridursi, lasciando spazio a nuove relazioni di amicizia. Osservando dall'esterno quello che succede in molte classi di secondaria, si coglie come gli studenti utilizzano la cultura sotterranea della classe come strumento per contenere il potere e l'autorità dei professori, spesso a loro insaputa, mentre professori cercano di dare forma alla classe attraverso proposte didattiche che devono fare i conti con le attività imprevedibile degli studenti e quindi non sempre riescono a terminare la lezione nel tempo a loro disposizione. Inoltre, quando il rapporto fra casa e scuola è discontinuo, conflittuale o reciprocamente disinteressato, quando il gruppo di studenti decide di far valere la propria autonomia nei confronti dei professori, allora sfidare apertamente le regole in classe è un modo per mettere alla prova il sistema di sanzioni previsto dal regolamento scolastico. Poiché le sanzioni attualmente previste arrivano sempre tardivamente e hanno ormai un’efficacia puramente simbolica, agli studenti è concesso uno spazio di libertà praticamente illimitato, che ha bisogno di essere gestito insieme e non solo regolato da autorità. confronto con gli altri. La valutazione della competenza in questo caso si basa su un confronto interpersonale. Incrociando la dimensione approccio/evitamento e padronanza/prestazione, vengono fuori 4 obiettivi che gli studenti perseguono quando si trovano davanti a una prova di valutazione. Perseguire una certa categoria di obiettivi, piuttosto che un'altra, genera diversi effetti. Se lo studente decide di perseguire gli obiettivi di padronanza, egli dimostrerà di essere disponibile al cambiamento, accetterà compiti complessi, lo studio sarà più approfondito e l'interessa centrato sul compito. Se, al contrario, sceglie gli obiettivi di prestazione, l'alunno sarà più vulnerabile ai fallimenti e questo potrà generare disimpegno. La scelta degli obiettivi può influenzare anche il modo di vedere gli altri. Nel caso della padronanza, i compagni e il confronto con loro, sarà considerato una risorsa, mentre nel caso della prestazione i compagni saranno utilizzati come termine di paragone per valutare il nostro livello di competenza. L'adozione dell'obbiettivo della padronanza porta lo studente, in situazioni di bisogno, a chiedere aiuto ai compagni, si tratta di un'attività basata sulla reciprocità. Mentre nel caso di obiettivi di prestazione, lo studente non chiederà aiuto per evitare di risultare incompetente, il compagno è visto come un avversario, a cui non dover passare info e da non aiutare. 5.4 CLASSI DIFFICILI La realtà scolastica è molto differenziata, ci sono classi in cui il comportamento di alcuni alunni rende molto difficile lo stare insieme. Episodi di intolleranza e di violenza sono quasi all'ordine del giorno e sono molti gli studenti che faticano a rimanere all'interno delle regole della convivenza civile. Bisogna riflettere sulla nozione di bullismo, che nei contesti quotidiani ci porta a individuare il “bullo di turno”, adottando una prospettiva strettamente individuale, per cui gli episodi sotto la lente d'ingrandimento diventano il risultato di un comportamento maladattivo, disfunzionale, di un singolo soggetto o di un piccolo gruppo di studenti. In realtà, la ricerca sui fenomeni di bullismo non si concentra esclusivamente sul singolo individuo, ma considera molte variabili psico-sociali, come le caratteristiche della vittima, il gruppo dei pari inteso come fattore di rischio o di protezione, l'organizzazione dei contesti scolastici, le risorse del contesto esterno alla scuola. Ci sono studenti per i quali il termine bullo rischia di coprire la reale entità del problema, che si manifesta con comportamenti messi in atto da soggetti che approfittano della debolezza dell'altro per trovare un feedback sulla propria identità, una rassicurazione sulla possibilità di trovare un equilibrio fra insicurezza e stima di sé. I bulli e le loro “pupe” cercano conferme con mezzi poveri dal punto di vista emozionale; spesso maltrattando perché a loro volta sono maltrattati, infieriscono per scherno perché questo provoca il loro piacere; perseguitino perché riconoscono in sé stessi alcune caratteristiche della vittima, come accade nel bullismo omofobico. Vivere in un contesto violento, così come in un quartiere che sembra non vedere il disagio giovanile, non è facile per nessuno. Pensiamo i fenomeni delle gang di quartiere, spesso identificabili per l'appartenenza etnica. Difficile definirli bulli: sono consapevoli di ciò che fanno e anche delle possibili conseguenze delle loro azioni, ma la loro forza è il gruppo, e anche la consapevolezza di vivere in una situazione sociale così difficile da non temere l'ennesimo intervento dei servizi sociali e del tribunale dei minori; eppure questi ragazzini vanno a scuola e fanno entrare in classe la loro esperienza di vita, i loro codici di comportamento, il loro bisogno di essere visibili, rispettati e temuti. Attualmente, in classe, il potere degli studenti è molto aumentato, anche per la possibilità di riprendere e documentare con il cellulare, in tempo reale, tutto ciò che accade. Oggi, nelle classi, si incontrano soprattutto studenti maleducati che approfittano delle situazioni, che non temono le punizioni, che contano sulle giustificazioni delle famiglie, ma che sono perfettamente capace di distinguere uno scherzo da un reato. Su un tema così complesso come la gestione delle classi non esistono tecniche soluzione a portata di mano, semplicemente perché ogni modello, ogni tecnica non può tenere conto preventivamente delle variazioni che gli studenti possono introdurre. Sulla carta è tutto facile, poi nella vita reale le cose non vanno sempre nel verso giusto. CAPITOLO 6- APPRENDIMENTO E DINAMICHE PSICOSOCIALI 6.1 L’APPRENDIMENTO COME INFLUENZA SOCIALE Alcuni autori propongono un interessante lettura del processo di apprendimento, suggerendo che questo avviene per azione del processo di influenza sociale, attraverso la gestione di specifiche dinamiche conflittuali. Quando si parla di influenza sociale, si fa riferimento ad una specifica dinamica che ha effetto quando due gruppi non hanno il medesimo status e la stessa rilevanza, per cui il gruppo più influente, o dominante, utilizza varie strategie per spingere il gruppo meno influente a confermarsi a idee, opinioni e atteggiamenti veicolati dal gruppo. In termini psico-sociali si tratta di una dinamica di cambiamento, che ha come scopo la sostituzione dei punti di vista di chi non appartiene a un gruppo dominante con quelli del gruppo dominante. Si tratta di momenti conflittuali, tra gruppi o tra gli individui del medesimo gruppo, che, mettendo in discussione e convinzioni già esistenti, creano situazioni di incertezza da cui si può uscire rifiutando in toto la novità, oppure adeguandosi alla novità, facendone proprio una parte o adoperando una rinuncia completa del proprio punto di vista per aderire completamente alla novità. L'apprendimento per imitazione, come effetto dell'influenza sociale, ha caratteristiche interessanti: produce esiti rapidi e può portare risultati che superano quelli proposti dai modelli di riferimento, quindi l'alunno può superare il maestro. Però per fare in modo che la classe apprenda, l'insegnante deve riuscire a convincere il gruppo che ciò insegna è davvero utile. Obiettivo primario dell'insegnante è una ristrutturazione della conoscenza già posseduta dagli studenti della classe; però porsi su questo punto di vista ha conseguenze ben precise nell’attività didattica, perché mette il docente sullo stesso piano della classe, rinunciando così temporaneamente all’asimmetria dei ruoli. Le dinamiche di gruppo nelle classi diventano più complesse perché esiste una dimensione interna gruppo che vede insegnanti interagire quotidianamente con il gruppo degli studenti. in gioco ci sono conoscenze e competenze distribuite in modo diverso, rispetto alle quali ogni gruppo tenta di influenzare l'altro, per raggiungere di nuovo la condizione di equilibrio. Purtroppo, non sempre il processo di influenza sociale porta un progresso cognitivo, come nel caso della elaborazione del conflitto per compiacenza o per semplice accondiscendenza. Tipicamente questo accade quando l’asimmetria, in termini di competenza percepita tra fonte e bersaglio di influenza, è troppo accentuata, ad esempio quando l'insegnante, o un compagno, viene percepito come riferimento irraggiungibile. Quando la distanza tra i due partner è troppo ampia non c'è sviluppo e neppure apprendimento, perché nei fatti non c'è alcuna forma di interazione (nozione di zona di sviluppo prossimale). 6.2 LA MINACCIA DELLO STEREOTIPO In ogni cultura esistono gruppi sociali connotati positivamente accanto ad altri connotati negativamente, stigmatizzati in quanto ritenuti inadatti, portatori di difficoltà insuperabili, fino ad arrivare al punto di attribuire tutto il gruppo la caratteristica negativa di pochi individui. questi stereotipi negativi hanno effetti diretti sulle prestazioni cognitive dei membri di questi gruppi portatori di uno stigma sociale, poi che attivano la percezione di una situazione minacciosa per la loro identità. la definizione di minaccia dello stereotipo indica come la spiacevole situazione in cui gli individui si percepiscono, a causa delle loro azioni o comportamenti, nella condizione rischiosa di confermare le idee negative attribuite al loro gruppo. un esempio classico di effetto negativo della minaccia dello stereotipo riguarda gli afroamericani, che spesso si percepiscono cognitivamente meno capaci rispetto ad altri gruppi sociali e, di conseguenza, ottengono risultati peggiori nei compiti scolastici perfetto dell'interferenza tra lo stigma negativo del gruppo è l'attività individuale. Quando un membro di un gruppo stigmatizzato negativamente si trova nella situazione in cui mostrare le proprie capacità cognitive, come in un test standardizzato, percepisce la minaccia che non stereotipo negativo venga confermato da una possibile prestazione scadente. La condizione di minaccia percepita produce nei soggetti sperimentali un sovraccarico cognitivo che contribuirà a ridurre la quantità della performance, andando nella direzione della conferma dello stereotipo. Allo stesso modo anche i gruppi che, ragioni culturali, non sono oggetto di attribuzione negative possono subire l'effetto della minaccia dello stereotipo, se viene loro fatto credere che in un compito di matematica verranno confrontati con studenti di origine asiatica, a cui viene attribuita grande competenza in questa disciplina. Gli studenti che appartengono a questi gruppi faticano doppiamente a frequentare la scuola: da un lato, come i compagni faticano ad imparare le novità introdotte dall’azione didattica nelle diverse discipline e poi faticano perché devono anche disconfermare le basse aspettative che insegnanti e compagni nutrono. Questo è sbagliato perché lo sviluppo e l'apprendimento necessitano di un contesto in cui gli adulti dimostrino grandi aspettative nei confronti dei più giovani 6.3 LA GESTIONE DELLA CLASSE ATTRAVERSO IL CONFLITTO In molti contesti della vita quotidiana, l’idea di conflitto assume una connotazione negativa, per via del suo potere destabilizzante e distruttore se immaginato solo come scontro, contrasto, opposizione o litigio. Quando il conflitto mette in gioco le relazioni interpersonali e i processi cognitivi, trasformandosi in conflitto socio cognitivo, può diventare un utilissimo strumento per ripensare all’attività didattica, rendendola più efficace. Già Piaget aveva ipotizzato, come possibile spiegazione del passaggio da uno stadio di sviluppo all’altro, l’azione di un conflitto, di una discrepanza tra quanto già posseduto e accomodato con le strutture logiche già esistenti (abilità, conoscenze e processi cognitivi) e l’assimilazione di nuovi apprendimenti che mettono in crisi l’assetto raggiunto dal sistema cognitivo, interrompendo l’equilibrio preesistente. Alcuni studiosi sostengono che il meccanismo chiave alla base dello sviluppo cognitivo è la presenza di una contraddizione, di un conflitto epistemico, che spinge l'individuo a trovare soluzioni: sarà infatti l'esito del conflitto a determinare il cambiamento cognitivo. In questo senso il conflitto diventa il