Scarica Bullismo tra i giovani: caratteristiche, effetti e prevenzione - Prof. Mancuso e più Prove d'esame in PDF di Giornalismo solo su Docsity! Corso di GIORNALISMO D’INCHIESTA Facoltà di LETTERE E FILOSOFIA LA SAPIENZA, UNIVERSITA’ DI ROMA CdLM EDITORIA E SCRITTURA MARTA RAPONI, matricola 1130130 Roma, Gennaio 2024 QUANDO IL BULLISMO UCCIDE: IL CASO DI WILLY MONTEIRO DUARTE di Marta Raponi Omicidio Willy, cosa è successo quella sera: la rissa nata in un pub, l’altruismo verso un amico, i colpi mortali Era la notte tra il 5 e il 6 settembre del 2020. Sono trascorsi tre anni dalla sera in cui Willy Monteiro Duarte - un ragazzo di 21 anni, di origine capoverdiana che sogna di fare il cuoco ma intanto serve ai tavoli in un ristorante di zona - a fine turno vede un suo ex compagno di scuola, Federico Zurma, discutere energicamente con altri ragazzi. Siamo a Colleferro, cittadina laziale a meno di 100 chilometri da Roma. Willy invita l’amico a venir via, provando a calmare gli animi. Poi sulla scena irrompe un Suv Audi Q7 nero dal quale scendono i fratelli Bianchi, che non hanno alcuna intenzione di fare da pacieri: vogliono unicamente menare le mani e prendono di mira l’esile ragazzo dalla pelle scura. Dopo un primo calcio al petto sferrato da Gabriele Bianchi con la pianta del piede, Willy finisce a terra tramortito, fatica ad alzarsi mentre viene colpito ancora da calci e pugni dal fratello Marco e da altri due ragazzi, Mario Pincarelli e Francesco Belleggia che, forti dell’arrivo dei fratelli Bianchi, sferrano colpi a loro volta. Soltanto l’amico Samuele Cenciarelli cerca di fargli scudo con il suo corpo ma è tutto inutile: il pestaggio dura meno di un minuto ed è sufficiente per arrecare a Willy danni irreversibili agli organi interni. Dopo la furia omicida i fratelli Bianchi, con Pincarelli e Belleggia, salgono in auto e scappano. Verranno ritrovati dai carabinieri poco dopo, all’interno del locale del fratello maggiore, Alessandro, a pochi chilometri dal luogo del pestaggio. Chi ha ucciso Willy? I quattro ragazzi si accusano a vicenda, ma solo Belleggia appare credibile nel suo racconto e ammette senza ritrosie il suo coinvolgimento, ottenendo, per questo, gli arresti domiciliari mentre gli altri tre restano in carcere con l’accusa di omicidio volontario. Al processo d’appello condanna a 24 anni e non più all’ergastolo – come deciso in primo grado – perché i fratelli Bianchi non avevano partecipato alla lite iniziale. Lo spiegano i giudici della corte d’Appello di Roma nelle motivazioni della sentenza. Ai due fratelli sono state, dunque, concesse le attenuanti generiche e quindi la riduzione della pena; sono state invece confermate le condanne a 21 anni per Pincarelli e 23 per Belleggia. Willy studiava, lavorava, usciva con gli amici e amava la sua famiglia. È morto perché ha provato a proteggere un amico. Alla violenza degli uomini che l'hanno Disagio giovanile e bullismo: due facce della stessa medaglia Intervista a Valentina Accatti, psicologa della Asl di Colleferro/Valmontone di Marta Raponi Il bullismo è una forma di oppressione, psicologica o fisica, perpetuata in modo intenzionale da una o più persone ai danni di un’altra. Può essere diretto, indiretto o compiuto tramite strumenti telematici. Il bullismo fisico diretto consiste nel picchiare, spingere, tirare i capelli; il bullismo verbale diretto implica il minacciare, insultare, offendere. Il bullismo indiretto, invece, si gioca più sul piano psicologico, è meno evidente e comporta l’esclusione dal gruppo di coetanei, la diffusione di pettegolezzi e calunnie sul conto della vittima. A spiegare i complessi meccanismi e le drammatiche conseguenze del fenomeno bullismo è Valentina Accatti, psicologa della Asl di Colleferro/Valmontone. Dal colloquio è emerso che alla base della maggior parte dei comportamenti di sopraffazione c’è un abuso di potere e il desiderio di intimidire e dominare che potrebbero anche essere espressione della paura del rifiuto. Il bullismo produce effetti che si protraggono nel tempo e che comportano dei rischi evolutivi tanto per chi agisce quanto per chi subisce violenza; la vittima, in particolare, può manifestare disturbi di vario genere a livello sia fisico (mal di pancia, mal di stomaco, mal di testa) che psicologico (disturbi del sonno, incubi, attacchi d’ansia), difficoltà di concentrazione e apprendimento con calo nel rendimento scolastico e tende ad evitare i luoghi in cui solitamente incontra il suo persecutore percependoli come pericolosi, con conseguente rischio di isolamento. La scuola riveste da sempre un ruolo importantissimo nella crescita dei bambini e dei ragazzi, sia per la sua funzione di educazione/socializzazione, sia per il fondamentale contributo alla costruzione dell’autostima e all’acquisizione delle abilità sociali; per questo viene considerato il luogo privilegiato per la prevenzione e per il contrasto del fenomeno, anche se la formazione della personalità è determinata soprattutto dalla tipologia di attaccamento e dalla qualità delle relazioni affettive all’interno dell’ambiente familiare. I figli si identificano con le figure genitoriali e apprendono ciò che vedono e vivono; quando la famiglia è carente nelle cure affettive, non insegna la sensibilità e manifesta apertamente atteggiamenti aggressivi, prevaricatori e violenti, genererà molto probabilmente nei figli, una tendenza a comportamenti antisociali, di cui il bullismo è una delle espressioni. In caso di bullismo a scuola è fondamentale comunicare alle vittime di non essere sole. La collaborazione tra genitori e insegnanti si rivelerà basilare per favorire un clima di ascolto, apertura e sostegno. Sono, inoltre, necessarie attività di sensibilizzazione e prevenzione da svolgersi sia a scuola che in famiglia con il supporto di uno psicologo, di un assistente sociale oppure ci si può rivolgere alla Linea Ascolto Gratuita 1 96 96, creata da Telefono Azzurro assieme al MIUR, attiva 24h su 24 o alle forze dell’ordine. Il recupero del bullo è più complesso e non sempre possibile; prima si individua il suo disagio, maggiore è la speranza di poter mettere in atto interventi mirati al singolo, alla coppia genitoriale, all’ambiente scolastico in una stretta cooperazione e sinergia. Quali sono le principali caratteristiche del bullismo? “Innanzitutto vediamo qual è l’etimologia del termine “bullismo”: esso deriva dalla parola inglese “bullying”, che significa “tiranneggiare”, “opprimere”. Il bullismo viene appunto definito come una forma di oppressione, psicologica o fisica, ripetuta e continuata nel tempo, perpetuata da una persona, o gruppo di persone, “più potente”, nei confronti di un’altra persona, percepita come più debole; spesso è persistente, talvolta dura per settimane, mesi, persino anni ed è difficile difendersi per coloro che ne sono vittime. Alla base della maggior parte dei comportamenti sopraffattori c’è un abuso di potere ed un desiderio di intimidire e dominare.” Quante forme ne esistono? “Il bullismo può essere diretto, indiretto e compiuto tramite strumenti telematici (sms, socialnetwork, mail). Il bullismo fisico diretto consiste nel picchiare, prendere a calci e a pugni, spingere, tirare i capelli, appropriarsi degli oggetti altrui e rovinarli. Il bullismo verbale diretto implica il minacciare, insultare, offendere, prendere in giro, esprimere pensieri razzisti e denigratori. Il bullismo indiretto, invece, si gioca più sul piano psicologico, è meno evidente e più difficile da individuare, ma non per questo meno dannoso per la vittima. Esempi sono l’esclusione dal gruppo dei coetanei, l’isolamento, l’uso ripetuto di smorfie e gesti volgari, la diffusione di pettegolezzi e calunnie sul conto della vittima, il danneggiamento dei rapporti di amicizia. I maschi mettono in atto prevalentemente prepotenze di tipo diretto, con aggressioni per lo più fisiche ma anche verbali, le femmine, invece, utilizzano in genere modalità indirette di prevaricazione, più sottili e meno riconoscibili, rivolgendole maggiormente verso altre femmine.” A Colleferro c’è uno Sportello antibullismo a cui rivolgersi? “Non mi risulta, ma il primo servizio di accoglienza del disagio sul territorio è proprio il mio servizio, il Consultorio familiare, in cui lo Spazio giovani offre la possibilità di ascolto ed orientamento anche in caso di bullismo. Esiste però anche la Linea Ascolto Gratuita 1 96 96, creata da Telefono Azzurro assieme al MIUR, attiva 24h su 24 .” Attraverso quali processi, esperienze, ambiente familiare si diventa “bullo”? “Personalmente ritengo, come del resto la stragrande maggioranza degli studiosi di psicologia infantile, che la formazione della personalità sia determinata dalla tipologia di attaccamento e dalla qualità delle relazioni affettive all’interno dell’ambiente familiare. Un bambino che respiri in casa il senso dell’empatia, del rispetto nei confronti degli altri e della diversità, dei limiti e di regole sane, attraverso l’esempio dei genitori, che si senta valorizzato nel suo modo di essere ed incoraggiato ad esprimere il suo potenziale, crescerà con una fiducia in sé stesso sufficientemente buona da non aver il bisogno di imporsi con la forza. Al contrario, quando la famiglia è carente nelle cure affettive, non insegna la sensibilità nei confronti dei più deboli e manifesta apertamente atteggiamenti aggressivi, prevaricatori e violenti, genererà molto probabilmente nei figli, attraverso l’identificazione, una tendenza a comportamenti antisociali, di cui il bullismo è una delle espressioni.” Quali conseguenze psicologiche comporta alla vittima? “Nonostante il problema sia da alcuni sottovalutato, in realtà il bullismo produce effetti che si protraggono nel tempo e che comportano dei rischi evolutivi tanto per chi agisce quanto per chi subisce prepotenze. La vittima, nell’immediato, può manifestare disturbi di vario genere a livello sia fisico (mal di pancia, mal di stomaco, mal di testa) che psicologico (disturbi del sonno, incubi, attacchi d’ansia), difficoltà di concentrazione e apprendimento con calo nel rendimento scolastico e può sperimentare il desiderio di non frequentare più i luoghi dove solitamente incontra il suo persecutore, luoghi percepiti come pericolosi e quindi da evitare, con conseguente rischio di isolamento.” Può indurre al suicidio? “La vittima vive una sofferenza molto profonda, che implica spesso una svalutazione della propria identità. A distanza di tempo possono persistere tratti di personalità valorizzarlo giustamente e non denigrarlo. I figli si identificano con le figure genitoriali e apprendono ciò che vedono e vivono. Dunque un atto di bullismo non è mai una bravata, ma nasconde ferite narcisistiche, mancanze di accudimento affettivo e normativo, di alfabetizzazione emotiva da parte di genitori inconsapevoli della portata di tutto questo.” Attraverso quali interventi è possibile ridurre il disagio della vittima? “Partendo dal presupposto che una buona autostima è un “fattore protettivo” rispetto alla possibilità di diventare una “vittima”, i bambini/ragazzi che svalutano sé stessi e le proprie capacità costituiscono i bersagli privilegiati dei bulli. Il sostegno all’autostima è importante non solo in ambito familiare nella relazione con la madre ed il padre, ma anche in ambito scolastico, al fine di far acquisire e sperimentare al bambino la propria competenza e la propria capacità di affrontare compiti evolutivi sempre più complessi. Grazie ad una positiva concezione di sé, i bambini diventano in grado di gestire la rabbia in senso positivo e costruttivo, stabilendo un appropriato confine tra sé e gli altri. E’ necessaria, inoltre, una collaborazione tra tutti gli adulti responsabili del benessere dei ragazzi al fine di creare una omogeneità negli interventi e nelle risposte al bullismo, in alcuni casi avvalendosi di esperti, che possano incontrare i ragazzi con specifiche modalità di interazione e riflessione. La prevenzione parte sempre dall’attenzione massima ai modelli educativi.” Cosa consiglia per contrastare il fenomeno? “Innanzitutto incentivare la formazione e l’informazione nelle scuole, mirate alla presa di coscienza che non si è soli e non c’è nulla da temere o di cui vergognarsi nel chiedere aiuto. La prevenzione funziona poco poiché questi incontri sono più “una tantum” anziché ciclici, per cui gli stessi insegnanti si trovano a fronteggiare questi fenomeni senza il sostegno, l’appoggio e il confronto costruttivo con altri professionisti. La presenza di uno psicologo potrebbe essere utile per sensibilizzare e far cadere i pregiudizi legati a questa professione e che, di fatto ostacolano, la richiesta di aiuto di insegnanti e alunni. Se c’è un disagio in atto, c’è bisogno che venga affrontato, o almeno che ci siano le premesse per farlo, anziché isolarsi e divenire ancora più facilmente un bersaglio.” In che modo? “Tenendo bene a mente l’aspetto comunicazionale, favorendo così in classe un clima di confronto, il dialogo e la comunicazione assertiva in modo che ciascuno possa liberamente esprimere il proprio pensiero senza essere discriminato o escluso. Accettazione e condivisione delle diversità affinchè il gruppo si arricchisca di nuove esperienze e in cui tutti possano trovare spazio, bulli e vittime e inclusi. Tutto ciò è possibile se l’insegnante adotta uno stile autorevole e non autoritario.“ È sempre possibile recuperare un bullo o esistono minori irrecuperabili? “Il discorso sulla recuperabilità è molto complesso: prima si individua il disagio del bullo, più c’è speranza di poter mettere in atto interventi mirati al singolo, alla coppia genitoriale, all’ambiente scolastico, come si diceva, in una stretta cooperazione e sinergia. Il fattore esposizione/tempo a situazioni di disagio educativo è ciò che può fare la differenza, un po’ come per i traumi. Purtroppo quando la situazione sfugge di mano ed il tempo passa, il bullo adolescente può essere recalcitrante a qualsiasi alternativa comporti impegno e senso di responsabilità. Il passo ad entrare in gruppi antisociali e delinquenziali è breve e può essere semplice, a quel punto, ritrovarsi in una cerchia di persone senza scrupoli, con uno stesso denominatore culturale, educativo e sociale degradato. L’unica vera strategia è la prevenzione, già prima della nascita!” Willy: 40 secondi per morire Ignoranza, culto della violenza e patriarcato. La rabbia e l’indignazione non bastano, bisogna risvegliare le coscienze di Marta Raponi Una serata come tante, la mezzanotte ormai è passata e, mentre un gruppo di giovani sta ritornando in macchina, un apprezzamento di troppo verso una ragazza innesca la miccia. Sono in tanti a muoversi sulla scena, c’è una scala che porta al centro della movida di Colleferro, tutto parte da lì, ma finisce poco più giù, vicino a un chiosco chiuso. Willy Monteiro Duarte, diretto alla sua auto, vede un amico coinvolto nel battibecco e si avvicina per chiedere se è tutto a posto. Arriva improvvisamente a tutta velocità un Suv, da cui scendono altri giovani, e il litigio ormai risolto si trasforma in un pestaggio di una violenza inaudita. Meno di un minuto e Willy resta a terra, colpito a morte. Quella manciata di secondi è stata scandagliata da tutti i punti di vista: quello dei protagonisti, dei testimoni, dei periti. Il processo di primo grado ha stabilito che si è trattato di omicidio volontario. Ho letto diversi articoli e post che, riferendosi a Willy, scrivevano “che si era trovato nel posto sbagliato, al momento sbagliato”; affermazione che mi ha colpito e fatto riflettere dal momento che la ritengo fuorviante e pericolosa. Fuorviante, perché lascia intendere che il problema è che si trovasse lì e non invece che cosa stesse accadendo dove lui si trovava. Pericolosa anche perché sembra voler suggerire a chi legge che in situazioni simili è meglio “cambiare posto”. Dove scegliamo di essere, quale “posto” scegliamo di occupare, di fronte alla violenza? Qual è il posto giusto, quale il posto sbagliato, da occupare di fronte alla violenza quando essa si manifesta sia in maniera contingente che strutturale? Willy Monteiro Duarte con il suo coraggio ha deciso di muoversi da un posto sicuro, lontano dal pestaggio, a uno molto meno sicuro, in mezzo al branco di violenti, per difendere l’amico. Voleva ridurre lo spazio disponibile a quella violenza cieca, immotivata, distruttiva, che probabilmente non lasciava tempo ad altre strategie. Per farlo aveva solo il suo corpo esile e quello ha usato. Non serve il senno di poi per intuire che frapporsi in un pestaggio da parte di quattro uomini palestrati rappresenta un rischio reale per la propria incolumità. Eppure, quello è il posto che ha occupato. È plausibile immaginare che al suo posto, se non fosse intervenuto, ci sarebbe finito il suo amico. Per questo, penso che definire “sbagliato” il posto che lui ha occupato intenzionalmente sia profondamente errato da un punto di vista etico e sociale. In una società che esalta la violenza e ci porta a farla assimilare dalle nostre coscienze come qualcosa di normale, inevitabile, o comunque accettabile, diventa difficile stabilire cosa davvero fosse al posto sbagliato. E questo dovrebbe farci riflettere. Quale e quanto posto si lascia al culto della violenza? Qui la parola culto sembra particolarmente appropriata, vista l’attività da “culturisti” dei ragazzi che hanno perpetrato il pestaggio e l’omicidio. Corpi rafforzati, potenziati, allenati quotidianamente per combaciare con un’immagine di forza bruta, violenta, aggressiva; corpi cresciuti per sopraffare, schiacciare l’altro. Un modello violento che trova posto, trova spazio e, in maniera ancora più preoccupante, trova riconoscimento. Un modello a cui invece spazio andrebbe tolto, giorno per giorno, quartiere per quartiere, scuola per scuola, per fare posto a una cultura della nonviolenza che esalti qualità diametralmente opposte. Ci vorrebbe una cultura che educhi sin dai primi anni di età a saper discernere, emotivamente e intellettualmente, tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato secondo un sistema di riferimento interno, morale, che abbia al centro il valore dell’Altro, della sua libertà e della sua dignità. Impossibile non manifestare rabbia, anche odio, di fronte a un fatto del genere. Ma ammettiamolo, tanta di questa frustrazione deriva anche dal fatto che non si tratta di