Scarica INSEGNARE STORIA NELLA SCUOLA PRIMARIA E DELL'INFANZIA - WALTER PANCIERA e più Sintesi del corso in PDF di Storia solo su Docsity! Walter Panciera INSEGNARE STORIA NELLA SCUOLA PRIMARIA E DELL’INFANZIA 1. LA STORIA OGGI 2 1.1. La storia non è il passato 2 1.1.1. La storia come indagine 2 1.1.2. La specificità dell’approccio storico 2 1.1.3. Le finalità della storia 3 1.2. I generi storiografici 3 1.2.1. La storia generale 3 1.2.2. La storia globale (World History) 4 1.2.3. La storia nazionale 4 1.2.4. Le storie settoriali o speciali 5 1.2.5. La storia delle donne e la Gender History 5 1.2.6. La storia locale 5 1.3. La ricerca storica 6 1.3.1. Il rapporto con il presente e le ipotesi di ricerca 6 1.3.2. Cosa sono le fonti 6 1.3.3. La critica delle fonti 7 1.3.4. Lo sguardo della storia 8 1.3.5. Il tempo storico e la periodizzazione 8 1.3.6. Storia e lunga durata 9 1.3.7. Il testo storico: armatura e livelli 10 2. COMPETENZA EUROPEE E INDICAZIONI NAZIONALI 10 2.1. Dal programma del 1945 alle vecchie Indicazioni nazionali 10 2.1.1. Un cenno ai programmi Washburne e a quelli 1955 10 2.1.2. 1985: la Nuova storia entra a scuola 11 2.1.3. Le Indicazioni nazionali del 2004 e del 2007 12 2.2. Dalle conoscenze alle competenze nel quadro europeo 13 2.2.1. Programmare per competenze 13 2.2.2. Le Raccomandazioni europee 13 2.2.3. Le competenze EQF riferite alla disciplina storica 15 2.3. Le nuove Indicazioni nazionali del 2012 16 2.3.1. La continuità con le Indicazioni 2007 16 2.3.2. Le Indicazioni per la scuola dell’infanzia e per i primi tre anni della primaria 16 2.3.3. Le Indicazioni di storia per la quarta e quinta primaria 17 2.3.4. La certificazione delle competenze 18 2.3.5. Oltre le Indicazioni nazionali 18 3. INSEGNARE STORIA 19 3.1. La tradizionale trasmissione di contenuti 19 3.1.1. Il modello trasmissivo-sequenziale 19 3.1.2. Il sussidiario di storia 20 3.1.3. Utilità e limiti del modello trasmissivo 20 3.2. L’unità modulare di apprendimento di storia 21 3.2.1. Definizione dell’UMDA 21 3.2.2. Le fasi teoriche del modulo di storia 22 3.2.3. Vantaggi e limiti della programmazione per competenze e per moduli 23 3.3. Il laboratorio di storia 24 3.3.1. Genesi e significato del concetto di laboratorio 24 3.3.2. Caratteristiche della didattica laboratoriale 24 3.4. Modelli di laboratorio e nuove tecnologie 25 3.4.1. Il laboratorio di didattica della temporalità (infanzia) 25 3.4.2. La simulazione di ricerca (primaria) 25 3.4.3. L’uso delle nuove tecnologie 26 3.4.4. Web 2.0 27 4. SUSSIDI 28 4.1. Una scheda per il laboratorio 28 4.2. Esempi di laboratori della temporalità per la scuola dell’infanzia 29 4.3. Esempi di laboratori per la scuola primaria 29 1 Walter Panciera 1. LA STORIA OGGI 1.1. La storia non è il passato 1.1.1. La storia come indagine La storia come disciplina di studio nasce in Grecia nel V secolo a.C. (dal 500 a.C. al 401 a.C.), in quel periodo molte società già possedevano forme di fissazione e di rappresentazione degli eventi del passato (come l’annalistica - la registrazione degli eventi considerati degni di ricordo - e la mitologia - proiezioni di memorabili epopee). Indipendente dal medium utilizzato (racconti orali, incisioni rupestri, documenti scritti), la trasmissione del ricordo testimonia il bisogno d’identità e di coesione delle società. Erodoto di Alicarnasso e Tucidide di Atene, considerati i fondatori della storia come disciplina, aggiunsero a tutto questo la necessità di trovare una spiegazione/interpretazione agli eventi del passato. La storia diventa così “indagine” → collocare gli eventi in un tempo e in uno spazio precisi, nonché accertare, per quanto possibile, la congruità e la credibilità delle testimonianze. La storia è una modalità di ricostruzione razionale del proprio o dell’altrui passato che ha attraversato diverse fasi di sviluppo (anche assai critiche, come durante l’Alto Medioevo europeo, quando ritornò a confondersi con il mito). La storia ha subito le trasformazioni che imponevano i cambiamenti avvenuti nella società, senza tuttavia perdere i suoi caratteri fondanti. 1.1.2. La specificità dell’approccio storico Quello della storia è un approccio originale all’intera esistenza, che però non può essere scambiato con la conoscenza dell’intero passato dell’umanità. Il processo di conoscenza storia è in continuo divenire quindi anche il più vasto e dettagliato testo storico non potrà mai contenere tutte le conoscenze, men che meno lo potrà fare un manuale scolastico. Quest’ultimo viene ancora spesso confuso con tutta la storia. Questa idea chiusa e profondamente sbagliata contribuisce a rendere la materia scolastica poco attraente, poiché di solito legata alla pura memorizzazione di eventi. La storia come disciplina è invece la somma delle risposte che gli studiosi hanno via via fornito in merito ai problemi riguardanti al divenire delle società. A partire dal 1929 (anno di fondazione della rivista “Annali di storia economica e sociale”) l’indagine sui problemi delle società si è allargata a tutte le attività umane. Le ricerche storiche, che fino al primo 1900 si focalizzavano solamente sulla storia politico-istituzionale legata all’evoluzione degli Stati, a partire dal 1929 si sono estese con enorme frutto a campi come la cultura materiale, le demografia, la tecnologia, l’alimentazione, la mentalità, i rituali, ecc. Solo per comodità e per tradizione gli storici si mantengono fedeli, nelle ricostruzioni di sintesi, alle partizioni e alle scansioni dettate dalla storia dei grandi avvenimenti politici. Ma oggi sappiamo che i cambiamenti nel pattern tecnologico o nei costumi sessuali e riproduttivi sono certamente più importanti dell’esito di una singola guerra. Questa che viene definita una Nuova storia costituisce ormai l’ossatura stessa della disciplina, anche laddove le diverse sensibilità e scuole storiografiche si sentono più lontane dalle lezioni di grandi maestri francesi: Bloch, Lucien Febvre, Fernanda Braudel, Georges Duby, Jacques Le Goff. 2 Walter Panciera 1.2.4. Le storie settoriali o speciali La necessità di isolare gruppi di fenomeni di particolare importanza e complessità ha portato gli storici ad analizzare specifici aspetti di una civiltà o specifici argomenti. Le storie settoriali si distinguono per l’oggetto, ovvero per la concreta problematica dell’indagine. Questo porta a utilizzare un particolare tipo di fonti e in ogni caso implica l’utilizzo di strumenti, concetti e linguaggi presi da altre discipline di studio, indispensabili per capire certi fenomeni. Sul piano didattico l’utilizzo di temi di storia settoriale è fondamentale, perché rompe i rigidi schematismi delle periodizzazioni tradizionali e perché avvia percorsi interdisciplinari. Esempi di storie settoriali: la storia economica, la storia della medicina, la storia della scienza, la demografia storica (utilizza in modo sistematico i dati quantitativi forniti da censimenti e registri anagrafici e indaga le tendenze sul piano demografico e i meccanismi di riproduzione delle diverse popolazioni), la storia della famiglia (si concentra sulla vita familiare, es: rapporto genitori-figli, rapporti tra coniugi, ecc.), la storia della cultura materiale (si occupa della definizione e dell’evoluzione degli oggetti che vengono utilizzati durante la vita: vestiti, utensili, arredi, macchine, ecc.), la storia dell’alimentazione. 1.2.5. La storia delle donne e la Gender History Gli studi di quella che viene comunemente indicata come storia delle donne sono apparsi in concomitanza con la diffusione del movimento femminista, a partire dagli anni ’60 del Novecento, in primo luogo negli USA. Le tematiche privilegiate da questo genere storiografico riguardano il corpo e la sessualità, la prostituzione, la contraccezione e la maternità ma anche fenomeni di tipo socioculturale, come la stregoneria e la sua repressione. L’opera d’insieme più significativa di questo filone è “La Storia delle donne in Occidente”, in cinque volumi, diretta da Georges Duby e Michelle Perrot. La Gender history costituisce quasi un nuovo approccio complessivo alla storia dell’umanità, considerata alla luce dei differenti profili di natura sessuale. A partire dal 1977, anno di pubblicazione del “Did Women Have a Renaissance?” di Joan Kelly, la Gender History ha conosciuto una forte espansione soprattutto nel mondo accademico statunitense e ha così potuto esplorare nuove problematiche. Il tema tradizionale della subalternità femminile è stato ampiamente ridiscusso. Anche la storia del sesso maschile è stata così riletta in termini di genere. Infine, sulla scorta anche delle sollecitazioni dei movimenti per i diritti civili, si sono affermati gli studi storici sul tema dell’orientamento sessuale, in particolare i cosiddetti LGBT Studies, che si interessano del fenomeno più generale della sessualità. 1.2.6. La storia locale Dal punto di vista scientifico, non esiste nessuna storia locale perché ogni interpretazione storica è precisamente localizzata o non è. Ogni fenomeno storico si svolge in uno spazio definito, in un certo senso significa isolare un dimensione continentale, nazionale, regionale, municipale o scegliere altre definizioni spaziali (es: le Alpi, il Mediterraneo, i Balcani, ecc.) dipende solamente dall’oggetto dell’analisi e dal livello di approfondimento. La storia locale è un concetto ambiguo che si presta a fraintendimenti. 5 Walter Panciera La storia locale è un sottoinsieme della storia di una civiltà, che incrocia una o più storie settoriali, a seconda delle caratteristiche del luogo. Allora è necessaria sul piano didattico? Certo è importante partire dal territorio in cui gli allievi, soprattutto per i più piccoli, perché possono acquisire diretta esperienza e ovvie esigenze formative e psicologiche (dal vicino al lontano, dal familiare all’ignoto, dal concreto all’astratto). Dal profilo metodologico la storia locale stimola la capacità di fare scelte tematiche significative e di fonti adatte. Dal piano formativo, la storia cosiddetta locale può contribuire all’educazione civica, al rispetto dell’ambiente e alla formazione dell’identità. 1.3. La ricerca storica 1.3.1. Il rapporto con il presente e le ipotesi di ricerca Le domande che riguardano il passato che stanno, quindi, alla base di una ricerca storica nascono sempre dal presente, ovvero sono l’espressione di una particolare sensibilità culturale o di una qualche esigenza pratica che si manifesta nell’attualità. Ogni storico si dedica ad una specifica tematica perché un complesso di ragioni culturali, personali ed ideologiche lo spingono ad affrontare un certo problema che gli interessa risolvere, perché mai trattato prima, oppure perché le interpretazioni esistenti gli sembrano parziali o insoddisfacenti. Alcune volte, le domande possono nascere dall’osservazione diretta della realtà presente e dall’evidenza quotidiana (es: le tecniche di coltivazione del suolo, i mezzi di trasporto, ecc.) e spingono a intraprendere un viaggio a ritroso alla ricerca di risposte di un processo di sviluppo in chiave diacronica. Altre volte lo spunto di partenza proviene da concetti più astratti o da problematiche più complesse (es: la mancata modernizzazione delle strutture socioeconomiche di alcuni paesi). Altre volte ancora partono dalla curiosità dello studioso. Esistono anche delle tendenze comuni o delle “mode” storiografiche, che in alcuni casi hanno fatto da base alla fondazione delle storie settoriali oppure si verificano accelerazioni in alcuni campi di ricerca a causa del ritrovamento o della valorizzazione di nuove fonti o di diverse metodologie di utilizzo delle stesse. Come in ogni scienza che si rispetti, anche in storia le domande sono seguite da delle precise ipotesi di lavoro, indispensabili per orientare le procedure d’indagine. Per il successo e l’originalità della ricerca storica è essenziale che si aprano nuove domande e nuovi percorsi durante la ricerca. Solo l’analisi delle fonti e la disponibilità dello storico a seguirne criticamente i suggerimenti garantiscono concretezza alla ricerca e ne possono aggiungere valore e profondità. Insomma, in gran parte il lavoro dello storico consiste nel corretto utilizzo delle fonti, che non solo assegnano oggettività all’interpretazione fornita, ma che in qualche misura orientano e stimolano la ricerca storica. 1.3.2. Cosa sono le fonti Il passato lascia necessariamente un’enorme quantità di tracce o meglio di relitti (monumenti, oggetti, testi scritti ecc.), che quasi senza accorgecene ci accompagnano nel presente. Pur essendo dei relitti di quello che è stato, tutte queste cose conservano molto spesso una loro funzione o ne hanno assunte di diverse. 6 Walter Panciera In ogni caso la loro esistenza ci dice sempre qualcosa anche del momento in cui sono state prodotte, dei sistemi materiali e di segni dai quali provengono, di ciò che ne è stato fatto successivamente. Ma i resti del passato diventano fonte solo nel momento in cui vengono interrogati dagli storici, cioè quando possono acquistare senso attraverso il loro riordino, la loro interpretazione e grazie alla ricostruzione dei legami logici che essi hanno con altre fonti. Un qualsiasi oggetto o documento è assolutamente muto riguardo la conoscenza storica, se non arrivano le domande dello storico che chiedono risposte precise. La fonte è, quindi, ogni elemento, materiale o immateriale, adatto a fornire risposte ai problemi e alle domande che vengono proposti da una ricerca storica. In teoria, una volta messe a punto le problematiche e assunte le ipotesi di lavoro, segue una raccolta adeguata delle fonti. Le fonti disponibili sono spesso troppe e variegate ed è quindi impossibile esaminarle ed esaurirle tutte. Le fonti possono essere classificate in: - fonti primarie o dirette: sono le testimonianze di qualsiasi genere che provengono direttamente dal passato. L’elenco può essere praticamente infinito: fonti manoscritte di ogni tipo, fonti a stampa, fonti iconografiche, sonore e audiovisive, fonti materiali come oggetti, edifici, manufatti, paesaggi, la lingua, le tecniche, il nostro stesso DNA). Le fonti primarie sono il materiale di base della ricerca storica originale. La raccolta e l’analisi di queste ultime dipendono anche dalla loro concreta disponibilità, particolarmente evidente nel caso di fonti scritte conservate, ad esempio, in archivi e biblioteche private, non sempre facilmente accessibili. Lo storico è in ogni caso costretto a spostarsi laddove sono conservate le fonti e le ricerche possibili sono legate alle modalità di conservazione e di fruizione delle stesse. - fonti secondarie o indirette: sono tutta la storiografia già esistente sull’argomento e rappresenta le conoscenze già acquisite grazie alla ricerca e alla ricostruzione fatta da altri, purché rispettosa della metodologia storica. La raccolta e l’esame aggiornato della bibliografia è uno dei primi doveri del ricercatore di storia e dovrebbe garantire anche che il lavoro che egli compie si interseca in modo consapevole e organico all’interno della comunità scientifica di riferimento. 1.3.3. La critica delle fonti L’analisi critica delle fonti è il momento fondamentale dell’interpretazione storica perché si tratta di valutare la validità delle risposte che le fonti stesse possono fornire. È una questione ben conosciuta già ai tempi di Tucidide e dalla quale dipende quasi per intero l’autorevolezza e la credibilità della disciplina. La presunta oggettività del documento e la tentazione di affidarsi ad evidenza delle immagini, dei numeri e dei dati sono pericoli sempre in agguato.a questo si aggiunge il fatto che qualche storico può essere portato a forzare la lettura di una fonte per cercare conferma alle sue intuizioni. Per quanto riguarda le fonti secondarie lo storico non può che fidarsi del lavoro degli altri storici, validato dal consenso della comunità scientifica. Qualche cautela è opportuno esercitarle anche verso queste ultime perché è comunque indispensabile verificare, almeno a grandi linee, quale sia l’affidabilità del singolo. Quello che più ci interessa è l’analisi critica delle fonti primarie, che si articola in quattro fasi fondamentali: la decifrazione, l’esame del contenuto, la prova dell’autenticità, la definizione del grado di attendibilità. 7 Walter Panciera È a Fernand Braudel che dobbiamo il concetto di “lunga durata”. Secondo lui al di sopra del tempo degli avvenimenti, quello scandito in giorni, mesi e anni, si erge la “lunga durata storica” ovvero il tempo lentamente ritmato delle trasformazioni strutturali della società, che riguardano campi come l’economia, la demografia e la tecnologia. Questi fenomeni non si possono cogliere nel breve trascorrere delle stagioni o degli anni, ma hanno bisogno di decenni o secoli. Braudel suddivise, inoltre, il tempo in tre categorie: A. Il “tempo degli individui”: il tempo degli avvenimenti, quello tradizionalmente scandito dai giorni, i mesi e gli anni. B. La “lunga durata storica”, ovvero il tempo lentamente ritmato delle trasformazioni strutturali della società, che riguardano cambiamenti come l’economia, la demografia, la cultura, la tecnologia. Questi fenomeni di lunga durata non si possono cogliere nel breve tempo (mesi e anni), ma la loro misura è così ampia da abbracciare i decenni o i secoli. C. La “storia quasi immobile” è il tempo della geografia umana: il rapporto uomo ambiente è scandito da fenomeni di trasformazione che durano anche millenni. 1.3.7. Il testo storico: armatura e livelli L’analisi storica si è fino a oggi sempre concretizzata nella redazione di un testo, che può comprendere suoni e immagini, ma che in ogni caso si definisce come racconto, ovvero un’immagine del passato dal profilo diacronico. Nel produrre un testo, lo storico compie delle scelte relative alla tipologia testuale, alla disposizione degli argomenti, al linguaggio utilizzato, alla presenza di immagini, video e audio. Il testo storico non è una tipologia testuale facile e per questo motivo, fin dai primi anni di scuola, gli insegnanti devono proporre un lavoro di decodificazione e di comprensione dei testi, con attività quali: la lettura guidata in classe, la costruzione del proprio vocabolario personale soprattutto per i termini astratti (stato, governo ecc.), l’analisi del testo nei suoi elementi oggettivi (informazioni) e retorici (linguaggio e metafore), la ricerca delle parole chiave, la costruzione di mappe concettuali, la scrittura di riassunti, ecc. I testi storici devono fare riferimento all’interpretazione dei fenomeni sulla base delle fonti e devono essere il più oggettivi possibili. Essi sono formati da tre livelli: i. il livello informativo che riguarda i fatti storici e la loro interpretazione. ii. il livello persuasivo che riguarda la selezione e la gerarchizzazione delle informazioni, la divisione in unità narrative, la scelta del lessico, l’uso di similitudini e metafore. iii. il livello ideologico che rappresenta la motivazione stessa per cui è stato scritto il libro o l’articolo. Il livello ideologico si riferisce alle teorie e alle correnti interpretative utilizzate dallo storico. 2. COMPETENZA EUROPEE E INDICAZIONI NAZIONALI 2.1. Dal programma del 1945 alle vecchie Indicazioni nazionali 2.1.1. Un cenno ai programmi Washburne e a quelli 1955 Nell’Italia liberata dal nazifascismo, i primi programmi per la scuola materna ed elementare vengono redatti nel 1945 dalla sottocommissione alleata per l’istruzione pubblica, guidata dal pedagogista statunitense Washburne. 10 Walter Panciera I programmi del 1945, ispirati alla didattica attiva di Dewey e Kilpatrick, erano molto innovativi per la realtà italiana e proponevano valori opposti al nazionalismo razzista propagandato dal fascismo nel ventennio precedente. La loro impostazione generale prevedeva lo sviluppo di abilità e conoscenze essenziali degli assi linguistico e matematico. L’insegnante senza seguire un programma specifico, poteva proporre attività creative di gruppo incentrate sugli interessi e sui livelli cognitivi dei bambini e attività legate alle scienze sociali e alla storia. Proprio per la loro netta distanza dai programmi del fascismo, i programmi Washburne non vennero mai realmente adottati. I programmi Washburne non riuscirono a modificare l’approccio didattico del fascismo, fondato esclusivamente sul libro di testo e sulla pura trasmissione/memorizzazione dei contenuti. Nel 1955 vengono approvati i primi programmi della Repubblica italiana per le scuole elementari, la displica storica venne collegata all’insegnamento delle scienze e della geografia. Alla storia era assegnato uno scarso valore formativo. I contenuti di insegnamento della disciplina “storia” erano: l’antica Roma, il Cristianesimo, la vita e i costumi del Medioevo e del Rinascimento, l’età moderna, il Risorgimento nazionale (5° elementare). La storia era slegata da ogni riferimento all’attualità, sia dall’acquisizione di una qualsivoglia competenza abilitava gli insegnanti a continuare a proporre le pagine del sussidiario e la conoscenza storica era una pura narrazione. Storia nella scuola elementare: dalla Roma antica all’unità di Italia. 2.1.2. 1985: la Nuova storia entra a scuola Con i programmi per la scuola elementare del 1985, il programma di storia contiene anche le dimensioni civile, culturale, economica, sociale, politica e religiosa degli eventi e la sua valenza formativa. I nuovi programmi nacquero entro un clima di rinnovamento didattico e di fervore culturale. La storia viene inserita in un’area disciplinare con la geografia e con le altre scienze sociali: queste discipline dovevano collegare il passato al presente e viceversa. L’esperienza vissuta dal bambino deve essere trasformata, per opera dell’azione educativa, in una rielaborazione culturale e che non deve coincidere con la mera memorizzazione di contenuti. L’obiettivo è quello di far acquisire al bambino gli strumenti concettuali fondamentali per la crescita complessiva del cittadino, con una forte attenzione agli strumenti e ai metodi, in linea con le più aggiornate acquisizioni della pedagogia. Il programma di storia si apriva con una triplice definizione della disciplina come interpretazione del passato, costruzione della memoria collettiva e ricerca. La storia non si risolve nella informazione su avvenimenti e personaggi del passato ma viene definita come promozione delle capacità di ricostruzione dell’immagine del passato muovendo dal presente. Nella pratica didattica andavano proposti anche percorsi attivi di costruzione della conoscenza e di interpretazione. Nei programmi del 1985 c’era un esplicito invito ad abbandonare la mera trasmissione di contenuti e far lavorare gli alunni con i concetti e i metodi propri della ricerca. 11 Walter Panciera Il nuovo profilo professionale dell’insegnante, che avrebbe dovuto avere approfondite competenze scientifiche e metodologiche, avrebbe richiesto una preparazione culturale che nel 1985 che non aveva alcun riscontro nella realtà. L’apposito percorso universitario per i docenti della scuola primaria e dell’infanzia fu inaugurato nell’anno 1998-99. I programmi del 1985 non vennero mai applicati nella realtà, anche 20 anni dopo la loro pubblicazione a causa della mancata preparazione dei docenti. Vennero applicati solamente da pochi insegnanti in tutta Italia che restarono spesso isolati. Continuò quindi a essere utilizzata una didattica tradizionale, basata sulla spiegazione dell’insegnante e sulla memorizzazione dei testi presenti nel sussidiario. I contenuti del programma di storia del 1985 erano volutamente molto generici e lasciati all’iniziativa dei docenti. L’unico tema esplicitamente indicato riguardava la storia dell’Italia dell’ ‘800 - ‘900, in particolare l’unità nazionale, la liberazione dell'Italia dai nazifascisti e la democrazia. Il fatto che i docenti dovessero scegliere liberamente i contenuti di insegnamento portò alla semplice trasmissione dei contenuti tramite il sussidiario. 2.1.3. Le Indicazioni nazionali del 2004 e del 2007 Nel 2001, un apposito gruppo di lavoro voluto dal ministro Tullio De Mauro licenziò una proposta programmatica di curricolo di storia. Quest’ultima venne duramente contrastata da alcuni storici accademici per mantenere un tradizionale percorso su base cronologico- sequenziale, fondato sulla storia generale e che loro dire andava ripetuto per due cicli quinquennali, a partire dalla terza elementare. Emerse così lo scontro tra una concezione della storia come acquisizione di contenuti e quella fondata sul carattere formativo della disciplina e sulle competenze. La necessità di un cambiamento venne realizzata con la Legge n. 53 del 28 marzo 2003 grazie alla quale viene ridisegnato l’intero assetto della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola media. Il primo ciclo di istruzione è costituito dalla scuola primaria e dalla scuola secondaria di 1°grado. Nel 2004 vengono pubblicate le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di 1° grado → la storia ritorna ad essere una disciplina a sé stante, non più collegata alla geografia e alle altre scienze sociali. La storia aveva la funzione di far scoprire al bambino i caratteri originali di un popolo e le differenze tra gli Stati e le civiltà e doveva promuovere la costruzione dell’identità. Le Indicazioni nazionali del 2004 ribaltarono l’approccio metodologico dei programmi del 1985 e la mancanza di ogni riferimento al mondo moderno e contemporaneo nella scuola primaria apparve a molti come un punto davvero sconcertante e il segnale di un’involuzione pedagogica: i bambini possono rimanere nel mondo delle favole e della mitologia, lontani dai problemi. (Nella classe 3a primaria si studia la preistoria, nelle classi 4a e 5a primaria si studiano le civiltà antiche fino alla caduta dell’Impero romano). Le Indicazioni nazionali per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione vennero pubblicate nel 2007, dal ministro Fioroni. I contenuti di storia erano uguali a quelli delle indicazioni del 2004 (nella classe 3a primaria si studia la preistoria, nelle classi 4a e 5a primaria 12 Walter Panciera Il fondamentale quadro EQF per quanto ci interessa si può fermare ai livelli 1 e 2 che corrispondono al diploma di licenza al primo ciclo di istruzione (terza media) e alla certificazione delle competenze di base all’assolvimento dell’obbligo scolastico (16 anni). Per i livelli più alti dei sistemi formativi, dal sesto all’ottavo, sono in vigore dal 2005 i cosiddetti Descrittori di Dublino, ai quali si uniformano tutti i corsi di laurea italiani. Pur trattandosi di indicazioni molto generali, i Descrittori di Dublino indicano la meta finale cui l’intero percorso dovrebbe mirare, nell’ottica di un progressivo innalzamento dei livelli d’istruzione. Essi non fissano soglie o requisiti minimi, ma mirano a costruire una cornice condivisa in termini appunto di competenze, in base ai seguenti elementi: a. Conoscenza e capacità di comprensione applicate b. Conoscenza e capacità di comprensioni applicate c. Autonomia di giudizio d. Abilità comunicative e. Capacità di apprendere. Questo quadro di riferimento può essere utile per ragionare più chiaramente nella programmazione scolastica in termini di competenza. 2.2.3. Le competenze EQF riferite alla disciplina storica • Competenza digitale = La competenza digitale consiste nel saper utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie per il lavoro, il tempo libero e la comunicazione. L’acquisizione dei fondamenti del metodo storico, che si basa sul reperimento delle fonti e sul loro confronto, sviluppa lo spirito critico, che deve essere utilizzato anche con le tecnologie. Le abilità di cercare e analizzare le informazioni e di usarle in modo critico e sistematico vengono sviluppare anche dalla storia. La storia sviluppa lo spirito critico e l’analisi critica, che sono fondamentali per saper utilizzare consapevolmente i mezzi di comunicazione. • Imparare a imparare = Imparare a imparare è l’abilità di perseverare nell’apprendimento, di organizzare il proprio apprendimento anche mediante una gestione efficace del tempo e delle informazioni. La storia permette di sviluppare la lettura, la comprensione e la scrittura. La storia sviluppa le capacità di ricerca e selezione delle informazioni per interpretare i fatti. La storia permette di sviluppare nel bambino un metodo di studio valido per tutte le discipline. • Competenze sociali e civiche = Le competenze sociali e civiche includono le competenze personali, interpersonali e interculturali e riguardano tutte le forme di comportamento che consentono alle persone di partecipare in modo efficace e costruttivo alla vita sociale e lavorativa. La storia sviluppa competenze che permettono la partecipazione attiva e consapevole dei cittadini europei alla vita sociale e politica. La storia sviluppa le competenze sociali e civiche. Alcuni contenuti storici sono particolarmente indicati, ad esempio: le dimensioni multiculturali e socioeconomiche delle società europee; l’identità nazionale ed europea; i concetti di democrazia, giustizia, uguaglianza, cittadinanza, diritti civili. • Consapevolezza ed espressione culturale = Consapevolezza dell’importanza dell'espressione creativa di idee, esperienze ed emozioni in un’ampia varietà di mezzi di comunicazione (musica, teatro, letteratura, pittura, ecc.). L’analisi delle civiltà, della loro cultura e degli artisti, degli scienziati, ecc. 15 Walter Panciera 2.3. Le nuove Indicazioni nazionali del 2012 2.3.1. La continuità con le Indicazioni 2007 L’ultimo aggiornamento per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione è stato promosso nel 2012, anno in cui vengono pubblicate le Indicazioni nazionali del ministro Profumo. L’impostazione dei contenuti è stata mantenuta nel nuovo testo nonostante le critiche avanzate da molti maestri. Infatti anche nelle Indicazioni nazionali 2012 nella 3a primaria si studia la preistoria, nella 4a e nella 5a primaria si studiano le civiltà antiche fino alla caduta dell’impero romano e nella scuola media si studia dalla caduta dell’impero romano fino ai giorni nostri. Nelle Indicazioni nazionali del 2012 è rimasta la divisione tra gli obiettivi di apprendimento al termine della classe 3a e 5a primaria e i traguardi per lo sviluppo delle competenze al termine della scuola primaria, ma non è stato previsto alcun serio piano di aggiornamento per i docenti in servizio, né si è pensato all’implementazione di strumenti specifici. La presenza tra i traguardi per lo sviluppo delle competenze per la scuola primaria di un generico cenno alle «possibilità di apertura e di confronto con la contemporaneità» non viene sostenuta da precise e concrete indicazioni metodologiche. Si tratta di un aggiornamento programmatico poco coraggioso per quanto riguarda la storia. La mancanza di una seria consultazione su scala nazionale e di un’ampia riflessione aperta ai maestri, agli storici e alle loro associazioni ha impedito di sviluppare le buone premesse contenute nelle Indicazioni del 2007 e ha rimandato di fatto la possibilità di un concreto rinnovamento della didattica. Non esistono più le aree disciplinari come l’area storico- geografica per non favorire un legame più intenso tra alcune discipline rispetto ad altre. Le indicazioni 2012 vogliono rafforzare le connessioni tra tutte le discipline. 2.3.2. Le Indicazioni per la scuola dell’infanzia e per i primi tre anni della primaria Le competenze da sviluppare nella scuola dell’infanzia sono suddivise in 5 campi di esperienza: il sé e l’altro; il corpo e il movimento; immagini, suoni, colori; i discorsi e le parole; la conoscenza del mondo. La disciplina “storia” attraversa più di uno di questi campi all’interno di un contesto in cui l’apprendimento avviene attraverso l’azione, l’esplorazione, il contatto con gli oggetti, la natura, l’arte, il territorio, in una dimensione ludica. Nel campo di esperienza “Il sé e l’altro”, lo sviluppo dell’identità personale, della memoria personale e familiare, della riflessione e del confronto e le prime generalizzazioni riguardanti il rapporto tra passato, presente e futuro sono tutti requisiti importantissimi per affrontare poi lo studio della storia. Alcuni traguardi per lo sviluppo delle competenze relativi al campo di esperienza “La conoscenza del mondo” riguardano l’educazione alla temporalità e l’acquisizione dei parametri e delle convenzioni del tempo sociale: sa collocare le azioni quotidiane nel tempo della giornata e della settimana; riferisce correttamente eventi del passato recente; sa dire cosa potrà succedere in un futuro immediato e prossimo. Nelle prime tre classi della primaria vengono sviluppati i prerequisiti necessari per lo studio della storia: riconoscere relazioni di successione e contemporaneità, durate, periodi, cicli temporali, mutamenti, in fenomeni ed esperienze vissute e narrate; comprendere la funzione e 16 Walter Panciera l’uso degli strumenti convenzionali per la misurazione e la rappresentazione del tempo (orologio, calendario, linea temporale, ecc.). 2.3.3. Le Indicazioni di storia per la quarta e quinta primaria Relativamente alla storia, viene proposto un approccio di tipo tematico e di lungo periodo costruito tra passato e presente. I traguardi di sviluppo delle competenze e gli obiettivi di apprendimento fissati a fine scuola primaria favoriscono percorsi di apprendimento di tipo modulare e laboratoriale. Viene proposto di utilizzare le storie settoriali per affrontare i problemi della vita umana sulla Terra, le fonti di energia, gli elementi naturali, la trasformazione dell’ambiente, lo sviluppo tecnico, l’alimentazione, il lavoro, le migrazioni, i mezzi di comunicazione, le religioni, le diverse forme di governo. Viene suggerito di non soffermarsi troppo a lungo su singoli temi e civiltà remote, nella consapevolezza che il percorso cronologico-sequenziale dei contenuti di preistoria e di storia antica finirebbe per occupare tutte le energie disponibili, rendendo difficile affrontare i percorsi didattici necessari per lo sviluppo delle competenze. Le indicazioni di tipo contenutistico (alla scuola primaria sono assegnate le conoscenze storiche che riguardano il periodo compreso dalla comparsa dell’uomo alla tarda antichità) sono in contrasto con il quadro di riferimento metodologico e con i traguardi e gli obiettivi di apprendimento. Le competenze da acquisire al termine della scuola primaria richiedono un approccio didattico incentrato sull’osservazione diretta e su di un processo di costruzione del sapere storico che affronta anche argomenti diversi rispetto alla storia antica. I traguardi per lo sviluppo delle competenze riguardano: gli elementi significativi del passato dell’alunno e del suo ambiente di vita; la comprensione dell’importanza del patrimonio artistico e culturale; l’esplorazione critica delle tracce storiche presenti nel territorio. Questi traguardi richiedono di partire dall’attualità fisica delle fonti. La maggior parte del patrimonio artistico, monumentale e documentario italiano si è costituito in età medievale e moderna, non nell’età antica. Molti ambienti di vita sono fortemente segnati dalla storia contemporanea. L’industrializzazione, l’urbanizzazione, lo sviluppo del terziario, la mobilità, il turismo, ecc. sono tutti fenomeni lontanissimi dalla preistoria e dalle civiltà antiche, ma sono molti vicini alla realtà sociale e umana dei bambini. Due osservazioni riguardo le indicazioni nazionali: - Nelle Indicazioni 2012 scompare ogni riferimento alla centralità del metodo storico per l’avvio all’uso critico delle risorse di rete e degli strumenti digitali. L’uso delle risorse digitali come fonti d’informazione compare solo con i traguardi al termine della scuola media, come se i bambini di oggi non fossero dei nativi digitali e l’uso critico e consapevole del web non fosse un argomento da svolgere a scuola il più presto possibile. - L’inopportuna valenza moralistica del paragrafo “Identità, memoria e cultura storica” nella definizione di scuola del primo ciclo delle indicazioni. Una visione storico-critica sul divenire delle società può favorire il valore della tolleranza e della convivenza civile, anche in funzione di una società multietnica. 17 Walter Panciera studenti la storia diventa una materia morta, lontana dal presente e da ogni loro esigenza intellettuale. Una materia difficile perché priva di ancoraggio con questioni e interessi concreti, che veicola solo un discorso puramente astratto, in cui concetti come governo, Stato, potere diventano privi di significato. Per i bambini, inoltre, che si trovano in una fase in il cui il pensiero astratto si sta ancora formando, la lontananza e la difficoltà di un discorso così impostato rischiano di precludere ogni insegnamento davvero significativo. L’insegnamento della storia generale produce la falsa idea di una possibile conoscenza completa della storia e riduce lo spazio della curiosità. La trasmissione in sequenza dei fatti storici induce a ritenere che l’umanità abbia seguito un percorso lineare che va dal semplice al complesso, dalla barbarie alla civiltà. Questa visione è falsa e ingannevole. 3.1.2. Il sussidiario di storia La didattica trasmissiva è divisa in due fasi complementari e distinte: - La lezione frontale con spiegazione dell’insegnante - Lo studio manualistico individuale a A queste segue necessariamente un verifica condotta con mezzi di valutazione oggettivi come la classica interrogazione orale o il questionario. Gli elementi di valutazione sono riferiti alla memorizzazione/acquisizione dei contenuti proposti nel corso delle lezioni e nel manuale. In un contesto di questo tipo è fondamentale la capacità di spiegare, semplificare e schematizzare i fenomeni dell’insegnante. Anche la scelta del sussidiario risulta essere un elemento fondamentale, dato il ruolo di strumento essenziale di studio e di rinforzo per l’apprendimento che svolge. Il sussidiario è lo strumento centrale di veicolazione del sapere storico e dovrebbe contenere contenuti certificati, aggiornati e adattati ai bambini. Purtroppo nella realtà dei fatti questo requisito è poco garantito gli storici non sono mai invitati alla scrittura e alla revisione dei sussidiari. L’analisi di alcuni sussidiari di oggi induce ad essere meno pessimisti. Il sussidiario di oggi, infatti, si sta staccando dal raccontino in sequenza di trent’anni fa, per presentarsi come un testo complesso e dotato di diverse possibilità di utilizzo. Alcuni sussidiari contengono proposte di lavoro sulle fonti e un glossario. Tutti riportano tracce e materiali per eventuali approfondimenti, contengono delle pagine speciali dedicate a temi come la democrazia, i diritti civili, la tolleranza, ecc. Tutti, inoltre, contengono degli esercizi riassuntivi e delle mappe concettuali. Il manuale resta uno strumento utile ma che oggi non può più essere considerato esaustivo. 3.1.3. Utilità e limiti del modello trasmissivo Il metodo trasmissivo-sequenziale è senza dubbio funzionale per un tipo di scuola che non richiede una particolare preparazione disciplinare. Per utilizzare il metodo trasmissivo, infatti, basta saper spiegare bene l’argomento, scegliere bene il sussidiario, riuscire a misurare il grado di interesse e di apprendimento. Basta che il docente possieda una certa padronanza linguistica, conosca a grandi linee i contenuti di insegnamento e non occorre una particolare preparazione metodologica. 20 Walter Panciera Il modello è dunque compatibile con quella preparazione generica e superficiale riguardo alla disciplina che fino a una decina di anni fa veniva richiesta agli insegnanti. A partire dagli anni ’70 le proposte didattiche di tipo modulare e laboratoriale, si sono sempre affiancate a durissime critiche nei confronti del metodo tradizionale. Nella scuola primaria però, il metodo trasmissivo è ancora utilizzato, a causa della riduzione del tempo a scuola riservato alla storia, l’assenza di nuovi insegnanti e la mancanza di un serio e diffuso aggiornamento dei docenti in servizio. Oggi, nella spiegazione dei contenuti, gli insegnanti possono utilizzare degli strumenti di supporto (foto, video, audio, cartine, ecc.) che rendono molto più efficace la comunicazione e la comprensione. La possibilità di reperire e di visualizzare in classe fonti di vario genere, grazie alla tecnologia, consente di offrire maggiori stimoli e favorisce una partecipazione più attiva degli studenti. Una spiegazione appassionata e competente, ben adattata ai livelli del gruppo-classe, può trasmettere passione per la storia, suscitare curiosità, stimolare nei bambini il desiderio di apprendere. Bisogna quindi chiedersi quali competenze questa metodologia sviluppi nei bambini: sicuramente le capacità mnemoniche che non sono affatto inutili. Il metodo trasmissivo è molto efficace per spiegare in modo rapido una serie limitata di contenuti, è opportuno quindi scegliere contenuti significativi del passato che possano sviluppare nei bambini un minimo di consapevolezza storica. In questo modo, questo metodo, risulta utile per veicolare con rapidità, sinteticità, e un certo grado di prescrittività una parte delle competenze chiave di cittadinanza. 3.2. L’unità modulare di apprendimento di storia 3.2.1. Definizione dell’UMDA L’Unità Modulare Di Apprendimento (UMDA) è la metodologia didattica più efficace per sviluppare nei bambini le competenze specifiche della storia, assieme ad altre di tipo trasversale. Il concetto di modulo didattico è stato oggetto di un forte dibattito tra gli studiosi. Nella definizione di Domenici, il modulo didattico è una parte disciplinare o interdisciplinare del programma annuale di studio, che presenta omogeneità tematica e che ha come scopo quello dell’acquisizione di precise competenze. Le sue caratteristiche fondanti sono perciò l’autonomia (ovvero la completezza interna) e l’ elasticità (l’insegnante decide liberamente come strutturare le diverse attività che compongono il modulo). L’unità modulare di apprendimento non è un pacchetto di contenuti trasmessi attraverso la classica modalità lezione-studio a casa, ma prevede una serie di attività e di esercitazioni mirate allo sviluppo delle competenze, secondo i principi dell’attivismo. Nel caso della storia, l’UMDA si presta perfettamente a superare i vincoli e i limiti del metodo sequenziale trasmissivo. Innanzitutto, il suo carattere tematico è adatto a rompere la meccanica concatenazione di eventi suggerita dal sussidiario → il modulo è incentrato su uno specifico tema/argomento (es: la città romana, il comune medievale, le scoperte geografiche, i modelli democratici, le guerre puniche, la polis greca, la schiavitù nel mondo, ecc.). 21 Walter Panciera Il principale punto di riferimento per ogni modulo non è di tipo cronologico ma riguarda sempre il rapporto tra passato e presente → gli alunni non vengono indotti a pensare alla storia in termini di puro sviluppo sequenziale. Questo non significa eliminare i necessari riferimenti cronologici e di periodizzazione, ma assumere la distanza dal presente e la permanenza del tempo (durata) come elementi fondamentali. Il valore aggiunto dell’UDMA di storia consiste anche nel valore motivazionale e civile legato all’osservazione dell’eredità dei fenomeni storici nell’attualità. L’unità modulare di apprendimento di storia è un progetto didattico che comprendere attività che utilizzano fonti, letture, foto, video, ecc. su uno specifico argomento. L’UDMA di storia è una sorta di dossier preparato dal docente sull’argomento prescelto, che contiene una serie di testi (ovvero fonti primarie e secondarie) e materiali necessari di supporto (carte, grafici, video, ecc.), un’opportuna iconografia e, infine, alcune elementi accessori (es: relativi all’organizzazione di uscite didattiche). La base fondamentale dell’unità modulare di apprendimento di storia è costituita dall’insieme di testi storiografici (le fonti secondarie), all’occorrenza anche rielaborati e adattati dall’insegnante. Possiamo distinguere moduli di tipo: - narrativo, quando si ricostruiscono i fatti secondo una dimensione temporale (es. guerre puniche) - descrittivo se si descrive e analizza un determinato fenomeno (es. polis greca) - argomentativo quando si ricercano spiegazioni e interpretazioni di fatti. Di fatto, però, queste distinzioni appaiono abbastanza artificiose perché il testo storico è già un testo composito. È più utile concepire l’oggetto del modulo come processo di trasformazione, nel senso che la dimensione storica può essere ben concepita come il passaggio tra uno stato iniziale di cose verso uno successivo, che ha come termine finale l’attualità. Per fare questo il docente deve aver ben chiara la periodizzazione, la dimensione spaziale e i contenuti del fenomeno di riferimento. La didattica modulare mira al raggiungimento di competenze e quindi assumono importanza decisiva le esercitazioni e tutte quelle attività di comprensione, analisi, confronto e sintesi delle diverse fonti e dei diversi materiali affrontanti (anche le esperienze dirette degli allievi). 3.2.2. Le fasi teoriche del modulo di storia L’UMDA di storia è sempre declinabile in quattro fasi che, partendo da un elemento attuale, conduce a considerarne la dimensione storica. Gli alunni in questo modo provano maggior interesse e curiosità verso il tema scelto che è presente e osservabile. Lo svolgimento di un’unità modulare di apprendimento si suddivide, come abbiamo detto, in 4 fasi: • Fase 1 - la riflessione sul presente. La prima fase avviene attraverso un’esperienza di osservazione e di riflessione su un fenomeno attuale (es: le tracce presenti nel territorio, un visita guidata ad un museo, video e immagini, gli eventi di cronaca, ecc.). Questa prima fase è incentrata su un colloquio clinico che permette al docente di rilevare preconoscenze e misconoscente dei bambini. Le preconoscenze una volta individuate possono essere tradotte 22 Walter Panciera Il laboratorio di storia consiste dunque in una concezione di didattica di tipo attivo, che mette al centro il rapporto insegnante-alunni, nel senso di una stretta collaborazione reciproca nell’esecuzione di compiti pratici e dell’abbandono totale del classico rapporto gerarchico stabilito dal metodo trasmissivo. Il suo compito è quello di rendere l’allievo in grado di saper fare, fargli raggiungere quelle competenze trasversali inerenti all’interpretazione storiografica: comprendere le fonti, formazione di domande e ipotesi, selezione e critica delle informazioni raccolte. Un laboratorio può anche utilizzare materiali provenienti dal manuale o il manuale stesso, come suggerisce Antonio Brusa. L’importante è che l’allievo non sia più passivo nella costruzione del proprio sapere e della scelta degli strumenti per arrivarci, ma bensì collaborativo. 3.4. Modelli di laboratorio e nuove tecnologie 3.4.1. Il laboratorio di didattica della temporalità (infanzia) Le Indicazioni nazionali richiamano la necessità di sviluppare le competenze del bambino legate alla collocazione degli eventi nel corso della giornata e della settimana. Da queste premesse, le attività obbligatorie per la scuola dell’infanzia sono quelle dirette ad acquisire le capacità logico- pratiche e l’uso degli strumenti relativi alla dimensione temporale. Il primo passaggio educativo è quello di aiutare il bambino a entrare nella fase in cui la variabile del tempo inizia ad essere distinta dall’evidenza spaziale, solo successivamente, intorno ai nove anni, il bambino arriva a comprendere che l’ordine di successione risponde a delle motivazioni logiche collegate alla durata. Il primo compito della scuola è quello di proporre una formalizzazione dell’esperienza in chiave temporale, attraverso l’apprendimento del linguaggio specifico (ore, giorni) e avviando progressivamente alla misurazione del tempo con l’uso di strumenti tradizionali (orologio, calendario) e alla comparazione delle durate. Lo scopo di questo laboratorio di didattica della temporalità è un tipo di esperienze e di osservazioni che riguardano la trasformazione e il cambiamento. Grazie anche a strumenti di misura meno convenzionali come la clessidra, pittogrammi, per condurre i bambini a utilizzare gli ordinatori temporali. 3.4.2. La simulazione di ricerca (primaria) Nella scuola primaria si possono utilizzare i percorsi di ricerca: i bambini sono condotti a scoprire da sé, attraverso un percorso organizzato dall’insegnante, un fenomeno storico. Il percorso di ricerca storica nasce da interessi e da domande che nascono nel presente e che rimandano, per trovare la risposta, al passato. Il laboratorio di simulazione della ricerca costituisce la modalità più completa del laboratorio di storia, come UMDA in grado di attivare il maggior numero di competenze. Il docente dovrà possedere le necessarie cognizioni metodologiche, una preparazione disciplina e una precisa programmazione. Per realizzare un laboratorio di questo tipo si può utilizzare uno schema generale suddiviso in 3 fasi: I. Fase preliminare (dall’esperienza culturale all’individuazione del fenomeno storico): 25 Walter Panciera - Esperienza di partenza: uscita didattica, letture, visione film o documentario, interviste → scopo: emotivo-motivazionale → strumenti: schede per l’osservazione e l’annotazione. - Conversazione clinica: modalità di ascolto per far emergere cosa hanno elaborato i bambini, attività di colloquio e dibattito → scopo: analisi preconoscenze, preconcetti, misconoscenze. - Protocollo di partenza: riflessione e stesura da parte dell’insegnante del percorso e delle finalità. → scopo: individuazione definitiva delle competenze da veicolare, percorsi da realizzare. II. Fase esecutiva (dalla formulazione delle domande al testo): - Esperienze mirate per la definizione dell’oggetto di ricerca. Uso guidato delle fonti e di altri materiali (iconografici, audiovisivi, pittografici) → scopo: messa a fuoco di problematiche e domande precise. - Problem solving, ovvero analisi e interpretazione delle fonti. Ricerca mirata delle risposte con uso di fonti e di sussidi opportuni → scopo: ottenere e confrontare le informazioni. → strumenti come la linea del tempo, cronologia e cartografia. - Produzione come costruzione del testo ed esposizione dei risultati. Relazione scritta, cartellone, power Point → scopo: socializzazione della ricerca e recupero dell’aspetto narrativo. → elementi specifici: mappa concettuale, cronologia, sunto. III. Valutazione (confronto e validazione dei risultati): - Valutazione in itinere, osservazione sistematica dell’insegnante → scopo: formativo e di indirizzo - Valutazione finale, verifica scritta dei contenuti minimi previsti → scopo: valutazione sommativa individuale. - Autovalutazione della classe, breve questionario di autovalutazione → scopo: responsabilizzazione e auto-verifica del lavoro, riflessione metacognitiva sul percorso di apprendimento. E’ possibile suddividere il fenomeno storico in più sotto-problemi da studiare. Ogni gruppo può lavorare su uno o più aspetti del fenomeno e la ricerca si completa come l'esposizione dei risultati di tutti i gruppi. Ogni membro del gruppo può avere compiti precisi: relatore, responsabile della cronologia/periodizzazione, responsabile della cartografia, redattore delle mappe concettuali, redattore del glossario, ecc come richiesto dal cooperative learning. 3.4.3. L’uso delle nuove tecnologie L’utilizzo delle tecnologie non è più una novità per un’intera generazione di nativi digitali. Il vero problema è solo da parte di un corpo docente invecchiato che si trova spesso in imbarazzo a gestire e nel far utilizzare le nuove tecnologie. A questo si aggiunge anche il fatto della carenza dei mezzi necessari come il wireless nelle singole scuole e la presenza delle LIM o almeno di computer e proiettori. Inoltre le infrastrutture 26 Walter Panciera di base delle scuole sono rimaste a un livello pre-digitale per mancanza di investimenti o anche per la colpevole impreparazione o disattenzione di non pochi dirigenti scolastici e insegnanti. Il primo obiettivo dovrebbe essere quello di dotare ogni plesso scolastico di infrastrutture e di apparecchiature adeguate per lo sfruttamento del web e di queste tecnologie. Nella ricerca storica queste tecnologie hanno potenziato enormemente le possibilità a disposizione del ricercatore: si pensa ai cataloghi bibliografici e alla velocità di trasmissione delle informazioni, alla digitalizzazione di testi e di documenti e alle banche dati di vario genere. Sarebbe assurdo che tali strumenti non trovassero collocazione a scuola e in particolar modo all’interno di una didattica laboratoriale. Ma nella speranza che questi limiti vengano superati, c’è da focalizzarsi sull’utilizzo consapevole di internet e del web, in quanto spazio virtuale destinato alla pubblicazione e fruizione dei contenuti multimediali. Data la quantità di materiale disponibile in rete, una guida soddisfacente per la scelta delle risorse web disponibili per la storia sono (indicatori secondo un ordine logico di priorità): • Autorevolezza: i responsabili del sito forniscono sufficienti elementi per la loro identificazione e la loro reperibilità scientifica? • Chiarezza di intenti: il linguaggio usato è pertinente? Vengono esposti gli ambiti tematici e disciplinari che si intendono coprire? A quale pubblico è destinata l’informazione? • Utilizzabilità: la risorsa è facilmente reperibile, accessibile, stabile, ben strutturata? Esistono ausili per l’esposizione e un testo che illustra il contenuto del testo? • Obiettività: la finalità è di tipo scientifico, amatoriale oppure propagandistica? • Accuratezza: il sito è realizzato con una certa cura formale ed editoriale? • Aggiornamento: sono comunicate le date di composizione e di eventuale revisione dell’informazione? • Trasparenza: il contenuto è omogeneo, chiaro nella sua funzione, connesso ad altre risorse in rete? Queste considerazioni pratiche possono essere utili per indirizzare i docenti a quella che si può definire “educazione al web” in modo tale che essi siano in grado di selezionare i siti su cui gli studenti andranno a reperire materiali. 3.4.4. Web 2.0 Il web 2.0 è la seconda fase di sviluppo e diffusione di Internet, caratterizzata da un forte incremento dell’interazione tra sito e utente: maggiore partecipazione degli utenti, che spesso diventano anche autori (blog, forum, wiki), più efficiente condivisione delle informazioni, affermazione dei social network. Le piattaforme “wiki” sono quei siti web dove ogni utilizzatore può creare o modificare i contenuti. Wikipedia è una libera enciclopedia online multilingue, cresciuta grazie alla collaborazione volontaria degli utenti. Wikipedia nasce nel 2001, è molto affidabile per quanto riguarda gli argomenti storici più importanti (nomi, date, luoghi, fatti principali), costituisce anche un enorme archivio di ogni tipo di fonti secondarie e primarie di natura storica. Il suo utilizzo si è universalizzato, perché vi ci si accede molto velocemente di ogni altro mezzo di consultazione. Wikipedia, come qualsiasi enciclopedia, è meno affidabile per l’interpretazione 27