Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Inside the White Cube, riassunto del libro di Brian O 'Doherty, Appunti di Storia dell'arte contemporanea

Riassunto esaustivo del libro "Inside the White Cube, L'ideologia dello spazio espositivo" di B. O' Doherty. Il libro presenta uno stile molto discorsivo, ho riassunto mantenendo le parti utili a creare un discorso completo, mantenendo gli esempi opportuni a chiarire quanto detto

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 27/03/2022

Tommaso.M
Tommaso.M 🇮🇹

4.6

(13)

13 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Inside the White Cube, riassunto del libro di Brian O 'Doherty e più Appunti in PDF di Storia dell'arte contemporanea solo su Docsity! Inside the White Cube L’ideologia dello spazio espositivo Di Brian O’Doherty Esame di oggetti in rapporto al loro contesto, argomento che fu approfondito nel Novecento. Lo studio si incentra sugli effetti che il contesto controllato della galleria dell’Avanguardia ha avuto sull’oggetto d’arte e sull’osservatore e nel modo in cui, il contesto ha divorato l’oggetto, rubandogli la scena. Lo spazio espositivo è costruito in base a leggi rigorose, dove il mondo esterno deve rimanere fuori, finestre sigillate, muri in bianco, soffitto fonte di luce. L’arte è qui libera di vivere la sua vita. L’opera non deve essere intaccata dal suo tempo e dalle vicissitudini. Questa eternità fa della galleria uno status comparabile al limbo. Le basi sono nella storia della religione, come camere funerarie egiziane, concepite per eliminare consapevolezza mondo esterno. Il suo essere isolato lo rende una sorta di non spazio. Il white cube esclude l’idea stessa del cambiamento sociale, promuovendo come unica realtà quella del proprio punto di vista e la sua immutabilità e la sua eterna correttezza. Essere presenti davanti ad un’opera d’arte significa assentarsi lasciando il posto all’Occhio e allo Spettatore. Per occhio si intende facoltà disincarnata che entra in relazione con i mezzi visivi formali. La condizione dello Spettatore è la vita sbiadita di un ego da cui l’occhio si distacca e che si riduce a nient’altro. Sono ciò che rimane dello spettatore morto entrato nel white cube. Si delinea lo sviluppo del White cube a partire da tradizione occidentale del quadro da cavalletto per poi vederlo da un punto di vista delle installazioni come Mile of String del 42 di Duchamp, che abbandona la cornice e fece apparire lo spazio stesso della galleria come materiale primario che l’arte doveva modificare. Nell’ultimo mezzo secolo non si è fatto molto per abbattere le barriere del disinteresse e del disprezzo e questo colpisce molto. Klein presenta una galleria vuota chiamando l’allestimento Le Vide (58). Arman Le Plein del 60 riempiendo stessa galleria di immondizia. I saggi dell’autore sono a favore della vita reale del mondo contro la sala operatoria asettica del White cube. Difendono il tempo e il cambiamento contro il mito dell’eternità e trascendenza della forma pura. Sono una sorta di spettrale ricordo del tempo, che spiega con quale vertiginosa rapidità le più recenti creazioni di oggi diventino le classiche intuizioni di ieri. 1. Osservazioni su spazio espositivo La storia dell’arte, percepita attraverso il tempo, è confusa dall’immagine che abbiamo difronte, un testimone pronto a cambiare la sua deposizione alla minima provocazione percettiva. Al centro della costante ( tradizione), la storia e lo sguardo vivono in conflitto. La storia dell’arte moderna è inquadrata nello spazio espositivo; o meglio essa può essere messa in relazione con i cambiamenti che hanno investito quello spazio e il nostro modo di considerarlo. Oggi vediamo prima lo spazio e poi l’arte. Bianco spazio dell’arte che potrebbe costituire l’archetipo dell’arte del Novecento. La dimensione sacrale dello spazio diventa una delle grandi leggi proiettive del modernismo: più invecchia, più il contesto diventa contenuto. È l’oggetto introdotto nella galleria a inquadrare la galleria stessa e le sue leggi. Pavimento tirato a lucido, assenza di finestre, muri bianchi, arte libera di vivere la sua vita. In questo contesto anche un posacenere diventa un oggetto sacro. Spazio senza ombre, bianco, pulito, artificiale. Superficie delle opere non intaccata dal tempo. Il nostro corpo sembra quasi un intruso. Una galleria è un luogo dotato di un muro, a sua volta ricoperto da un muro di dipinti. Il muro in se non ha estetica propria: è una semplice necessità. La Galleria del Louvre di Morse (1831-1833) sconvolge per la tappezzeria di capolavori, non ancora separati tra loro. Questo insieme va al di la della nostra comprensione. Superano la nostra altezza e il nostro campo visuale. I quadri più grandi si elevano verso l’alto , le tele migliori occupano zona intermedia, quelle piccole in basso. Non si lascia libero nemmeno un pezzo di muro. Ciascun dipinto era considerato un’entità autonoma e isolata grazie alla cornice. La scoperta della prospettiva coincide con il successo del quadro da cavalletto. Una sorta di finestra trasportabile che lo attraversa in profondità. il punto di rottura si ebbe infatti col mito della piattezza che divenne il potente stratega nella lotta della pittura per l’autodefinizione. Lo sviluppo di uno spazio letterale privo di profondità, con figure fittizie in contrapposizione alle forme “reali” rivendicate dallo spazio illusionista, iniziò ad esercitare un pressione sul margine. Il grande inventore è Monet. Il tegumento di luce, la formulazione irrazionale della percezione con codice puntinato di colore e tocco che resta quasi fino alla fine impersonale. Uno dei tratti dell’impressionismo è il modo in cui la scelta casuale del soggetto attenua il ruolo strutturale del margine nel momento in cui questo subisce pressioni da parte di uno spazio sempre meno profondo. La coltivazione del piano pittorico ha prodotto un'entità dotata di lunghezza e larghezza ma priva di spessore, una membrana che, per proseguire con la metafora organica, era in grado di generare le proprie leggi. La prima era che questa superficie , sottoposta alla pressione di forze storiche, restasse inviolata. I dipinti del Cubismo Sono centripeti, si raccolgono verso il centro e si dissolvono verso il margine, mantenendo lo status quo della pittura da cavalletto. Seurat riuscì a definire meglio i limiti di una formulazione Classica in un periodo in cui i margini erano diventati incerti. i suoi bordi dipinti composti da un agglomerato di puntini colorati, si dispiegano verso l'interno per separare e descrivere il soggetto. il bordo assorbe i movimenti lenti della struttura interna. a volte cosparge tutta la cornice di puntini in modo che l'occhio possa uscire dal dipinto e rientrarvi senza scosse. Matisse nei suoi dipinti rende un bell'effetto quasi ovunque. la loro solida struttura informale abbinata ad un senso accorto della decorazione li rende quasi autosufficienti e facili da esporre, non abbiamo quasi mai coscienza della cornice. il modo di appendere un dipinto fornisce indicazioni su ciò che viene esposto. esprime un'interpretazione e un giudizio di valore, inconsapevolmente influenzato dal gusto e dalla moda. si dovrebbe poter collegare la storia interna dei dipinti a quella esterna delle modalità espositive. potremmo soffermarci sui capricci dell'intuizione individuale, sui dipinti che raffigurano il collezionista del 600 e 700 circondato dalle sue opere. In epoca moderna, la prima occasione in cui un artista radicale creò uno spazio e vi espose dei dipinti fu il Pavillon du Realisme personale che Courbet allestì nell’Exposition del 1855, prima volta che un artista moderno si ritrovò a ideare il contesto della sua opera e di a pronunciarsi sul valore di questa. Se i dipinti avevano portata rivoluzionaria, non si poteva dire lo stesso del modo in cui vennero incorniciati. Alla prima mostra del 1874 gli impressionisti appesero le loro tele una incollata all’altra, proprio come al Salon. Ancora prigioniere della cornice accademica. Nella grande retrospettiva su Monet al Moma nel 60, Seitz tolse le cornici e all’inizio le opere vennero prese come riproduzioni, finchè non ci si rese conto di quanto dominassero le pareti. Ottimo rapporto dipinti parete, i dipinti assunsero un po' la rigidità dei murali. Il dipinto da cavalletto non è trasferibile sulla parete, nel trasferimento si perche l’essenza, i margini, le superfici ecc. la pittura da cavalletto domina l’arte fino al Color Field . esso non ha mai cercato di impadronirsi della parete. All’epoca quel movimento si è conformato al contesto sociale in maniera preoccupante. È rimasto una pittura da Salon: aveva bisogno di grande pareti e grandi collezionisti e non poteva evitare di passare per il non plus ultra dell’arte capitalista. Il minimalismo al contrario ha riconosciuto le illusioni proprie della pittura da cavalletto e non si è fatto illusioni sulla società. La pittura tardo modernista ha utilizzato la strategia della similitudine ( fingere), non la metafora (credere): dire che il piano pittorico è come. Greenberg scrisse come gli artisti newyorkesi si siano disintossicati dal cubismo ( che ha prolungato la vita al quadro da cavalletto) puntando su Matisse e Mirò. I dipinti dell’espressionismo astratto hanno seguito la strada dell’espansione laterale, si sono liberati dalle cornici e hanno cominciato a concepire il margine come unità strutturale con cui il dipinto comunica con la parete. Anni 50 e 60 nuovo tema: di quanto spazio ha bisogno un dipinto per respirare? Cosa può essere accostato e cosa no? Inizia l’era in cui le opere d’arte concepiscono la parete come una terra di nessuno su cui proiettare il loro concetto di imperativo territoriale. La parete è divenuta sede di ideologie contrapposte, e ogni nuovo sviluppo doveva essere corredato da una visione di essa. Una volta diventata potenza estetica, la parete ha trasformato ciò che vi si era esposto . oggi è impossibile allestire una mostra senza perlustrare la parete. 2. L’occhio e lo spettatore Le forze che hanno annientato 400 anni di illusione e idealismo, sfruttandoli dal dipinto, hanno trasformato la profondità spaziale in tensione superficiale. La superficie reagisce a ogni segno impresso su di essa come un campo di tensione. Con avanzare arte moderna, il contenuto della tela vuota è aumentato. Prima ancora di essere toccata dal pennello essa contiene già i presupposti impliciti nell’arte della sua epoca. A mano che la serie si avvicina al presente, ogni quadro accumula un contenuto latente più complesso. Il classico vuoto del modernismo si riempie di idee pronte a saltare fuori alla prima pennellata. La superficie specializzata della tela moderna è l'arte diventa la vita della mente o del corpo. L’Occhio scompare nella mente, mentre lo Spettatore causa la sua stessa eliminazione. 3. Il contesto come contenuto Piccola osservazione sui soffitti del white cube: spesso ignorato, colpa del modernismo che gli ha fatto così perdere il suo ruolo all’interno della stanza. L’architettura moderna si è accontentata di fondere la parete spoglia con il soffitto spoglio. Fari, riflettori, filtri e condotti lo rendono un parco giochi per tecnici. Vi è in vigore il linguaggio dell’inconsapevolezza, di tutto il suo bizzarro armamentario di griglie e pannelli insonorizzanti. L’unica grazia che la tecnologia ha concetto al soffitto è l’illuminazione indiretta, definita il Color Field del soffitto. Exposition internationale Du Surrealisme del 38, le 1200 Coal Bags appese sul soffitto lo rendevano di fatto un pavimento. Non era possibile che quei sacchi fossero davvero di carbone o il peso sarebbe stato troppo eccessivo. Sicuramente erano riempiti di carta. Duchamp si occupò personalmente dell’allestimento del soffitto, parte che nessuno avrebbe guardato, fino a quel momento neanche considerato un territorio da osservare. Sospesa sopra la nostra testa , l’opera più voluminosa della mostra era discreta, ma psicologicamente, fin troppo invadente. Duchamp mise letteralmente sotto sopra la mostra : il soffitto si era trasformato nel pavimento e il pavimento nel soffitto. C’erano sottosopra c’erano milleduecento sacchi di combustibile e lo strumento che li avrebbe consumati. Era la prima volta che un artista abbracciava un’intera Galleria in un solo gesto, per di più mentre pullulava di altre opere ( lavorò anche sulle pareti aggiungendo delle porte girevoli che annullassero l’ordine di dentro-fuori). Con il tempo la mitizzazione dell’arte è cresciuta in modo inversamente proporzionale alla letteralizzazione dell’arte. Col tempo i sacchi di Duchamp divennero qualcosa di ovvio. Il modo migliore per dimenticare qualcosa è darla per scontato: essa così scompare dalla nostra vista. Il centro di tutto rimane il gesto, che deve essere un affondo che sbaraglia la storia perché all’improvviso opera un cambiamento di prospettiva . in questo senso il gesto è didattico ( se insegna qualcosa lo fa con provocazione, ironia). Se il gesto fallisce rimarrà una curiosità in formalina, se ha successo entra nella storia. L’idea dello scambio soffitto e pavimento può essere ripetuta in quanto ormai divenuta progetto. I progetti- arte a breve termine creata per occasioni e luoghi specifici- sollevano la questione della sopravvivenza dell’effimero. Processo storico ostacolato e facilitato dall’eliminazione dell’originale, che diventa sempre più fittizio nelle sue vite postume. I progetti non documentati possono al massimo sopravvivere come diceria ed essere associati alla figura di chi li ha originati. Nei gesti di Duchamp c’era la perspicace intuizione di un progetto. Sopravvissuti, sono diventati materiale storico, mettendo a fuoco spazio espositivo e la sua arte. Eppure il carisma di Duchamp è tale che continuiamo a considerarli soltanto in rapporto alla sua opera. I suoi gesti però erano destinati al pubblico, alla storia, alla critica d’arte o ad altri artisti? ovviamente a tutti. Nessuno dei due gesti presi in considerazione di Duchamp ( coal bags e Mile of string) tiene conto delle altre opere presenti, che diventano carta da parati. Il maltrattamento delle altre opere degli artisti è mascherato da maltrattamento degli spettatori, costretti a sollevare le gambe per spostarsi da un punto all’altro della sala. Nelle sue opere tiene in sospeso lo spettatore, sempre lì di sua spontanea volontà, impedendogli di disapprovare il maltrattamento di cui è vittima e procurandogli fastidio. L’ostilità nei confronti del pubblico è un elemento chiave del modernismo e si potrebbero classificare gli artisti in funzione dell’intelligenza, dello stile e della profondità con cui la mostrano. Attraverso questa ostilità si crea un conflitto ideologico sui valori dell’arte, dello stile di vita che la accompagna, nonché quelli della matrice sociale in cui si collocano. Nessuna delle parti, pubblico e artista, è del tutto libera di infrangere determinati tabù; il pubblico non può perdere la testa; la sua rabbia deve essere sublimata il che costituisce una sorta di proto apprezzamento. Coltivando il pubblico con l’ostilità, l’avanguardia lo ha messo nella condizione di trascendere l’insulto e prendersi la rivincita. L’arma della vendetta è la selezione. Il rifiuto alimenta il masochismo dell’artista, il suo senso di ingiustizia, la sua rabbia. Nel più serio degli scenari, il rapporto artista- pubblico può essere interpretato come un mettere alla prova l’ordine sociale attraverso propositi radicali poi riassorbiti dal sistema istituzionale- gallerie, musei, collezionisti, riviste, critici che arrivano a barattare il successo con l’anestesia ideologica. Lo strumento principale di questo assorbimento è lo stile, il costrutto sociale. Ogni arte aveva un luogo, teatro, galleria ecc. in cui si conformava alla struttura sociale e la metteva alla prova. Tipica ostilità dell’Avanguardia che si esprime attraverso il disagio fisico (teatro radicale), il rumore eccessivo (la musica) o l’eliminazione dei punti di riferimento percettivi (spazio espositivo). Il post modernismo avvicina l'artista allo spettatore rendendoli simili. si mostrano permeabili rispetto al contesto e le ambiguità che ne risultano confondono il discorso. La galleria ne è testimone. Ai suoi iniziati il contenuto risulta quasi incomprensibile. l'arte è difficile. un pubblico esclusivo oggetti rari e quasi indecifrabili. Ehi nessun altro spazio concepito per accogliere i pregiudizi della borghesia e valorizzare l'immagine che essa ha di se stessa è stato mai codificato in maniera così efficace. L'arte negli anni 70 concentra il suo radicalismo non tanto nelle opere quanto negli atteggiamenti verso il sistema artistico ereditato, di cui lo spazio espositivo è l'emblema. a mettere in discussione il sistema sono i gesti, intento educativo contenuto e un ventaglio di alternative. la democratizzazione del medium ereditata negli anni 60 ora si sente anche ai generi che a loro volta riflettono una struttura sociale demitizzata. sono ancora in molti a leggere gli anni 70 attraverso la lente del decennio anteriore. In realtà una delle caratteristiche dell'arte di questo periodo è proprio la cecità con cui l'hanno guardata i critici del passato. Negli anni 70 e una moltitudine di generi eterogenei di soluzioni provvisorie. il grosso delle energie non confluisce più nella scultura o nella pittura formale ma nelle categorie miste come performance, video, environment che prospettano situazioni più temporanee e richiedono un esame di coscienza. si può dire che l'arte degli anni 70 rigetta il pubblico degli anni 60. tinta spesso di comunicare con chi ancora non è entrato in contatto con le opere spostando il cuneo che l'arte aveva conficcato tra la percezione e la cognizione. Chi la produce è socialmente impegnato ma politicamente ininfluente. con il post modernismo lo spazio espositivo perde la sua neutralità. la parete diventa una membrana in cui valori estetici e commerciali si scambiano per osmosi. le pareti assimilano l'arte scarica. il contesto fornisce un'ampia porzione di contenuto all'arte tardo modernista e post moderna: è Ehi questo il problema principale degli anni 70. l'apparente neutralità della parete bianca è un'illusione poiché essa rappresenta una collettività con idee e presupposti comuni. lo sviluppo del White Cube immacolato e privo di identità è uno dei trionfi del modernismo, sviluppo Ehi commerciale estetico e tecnologico. la parete della galleria è impura. comprende commercio ed estetica, artista e pubblico , etica e opportunismo. immagine della società che la sostiene proponendo una superficie ideale su cui far rimbalzare le nostre paranoie. il White Cube e generalmente visto come un emblema della estraneamento dell'artista dalla società a cui la galleria comunque dà accesso. è una zona di sopravvivenza, un atteggiamento, un luogo senza identità. Il White Cube è l'unica grande convenzione attraverso cui l'arte viene fruita. Ciò che lo rende stabile è la mancanza di alternative. Il modernismo ha prodotto anche un altro archetipo: l’artista che, inconsapevole del suo ruolo minore, è convinto che l’arte possa trasformare la struttura sociale. 4. La Galleria come gesto Trinità di cambiamenti che portò nell’arte stessa alla ribalta di una nuova divinità. Il piedistallo si dissolse, lasciando lo spettatore immerso fino alla vita in uno spazio contenuto tra due muri. Poi , quando cadde la cornice, esso fu libero di muoversi sulla parete, creando turbolenze negli angoli. Il collage saltò fuori dal dipinto per sistemarsi sul pavimento. Il nuovo dio si riversò in tutta la galleria senza incontrare ostacoli. Col tempo il white cube divenne arte in potenza, il suo spazio chiuso un medium alchemico. L’arte era quello che veniva depositato al suo interno, rimosso e sostituito. La galleria diventa il grado zero dello spazio , soggetto a infinite mutazioni. I gesti che la attivano possono costringere il suo contenuto a manifestarsi. Contenuto che va in due direzioni: esprime opinioni sull’arte al suo interno, rispetto alla quale è contestuale; commenta il contenuto più ampio , strada, città, denaro, affari, che lo contiene. Uno dei primi gesti fu quello di Klein nel 58 alla Galerie Iris Clert, tentativo di cercare un mondo senza dimensioni. I gesti d’avanguardia hanno due tipi di pubblico: quello presente e quello assente. Molte volte il pubblico originale è irrequieto , si annoia per essere costretto a presenziare a un momento di cui non ha una percezione completa. La memoria completa l’opera anni dopo. Le fotografie restituiscono il momento originale ma con una certa ambiguità. Sono soggette all’inflazione. Con il tempo il gesto di Klein sembrerà sempre più riuscito: la storia si piega con cortesia in una camera d’eco. Gli effetti scenici, la guardia, i cocktail , l’obelisco di Luxor suscitarono l’attenzione senza la quale un gesto risulta inutile. Fu il primo di una serie di gesti che hanno usato la galleria come controparte dialettica , gesti che hanno una storia e un’origine. Ognuno ci rivela qualcosa sui patti sociali ed estetici che preservano lo spazio espositivo. La galleria è il luogo in cui si conducono lotte di potere attraverso la farsa, la commedia, l’ironia e il commercio. Musei e gallerie si trovano nella posizione di plasmare prodotti che ampliano la coscienza e che contribuiscono alla necessaria anestesia delle masse travestita da intrattenimento, a sua volta prodotto liberista del tempo libero. Il gesto di Klein produsse una reazione nella stessa galleria Iris Clert. “Le Vide” di Klein fu riempito dal “Plein” di Arman, cumulo di immondizia. Aria e spazio furono sfrattati fino al raggiungimento dei rifiuto contro le pareti. Premevano lì contro porta e finestra. Usa la galleria come metafora: riempire di rifiuti lo spazio della trasformazione e poi chiedergli di digerirli. Il visitatore per la prima volta rimane fuori. Rendendo inaccessibile la galleria Arman avviò un vero e proprio scisma. Ma perché furono i nuovi realisti a cimentarsi in questi gesti da fine anni 50 e anni 60? Il loro percorso artistico, pervaso di coscienza sociale, avvenne nel periodo in cui ci fu il declino artistico di Parigi che venne presto sostituita da New York. Gli americani contrastarono la haute cuisine europea sfruttando il proprio concetto di semplicità. I nuovi realisti però avevano una percezione più sottile della politica della galleria. I primi gesti del gruppo, Klein a parte, denotavano una certa ferocia. C’è da dire che in Europa il concetto di galleria aveva una storia che risaliva già almeno al 1848 e in quel momento era decisamente matura. Il gesto newyorkese che saturava ogni particella dello spazio espositivo aveva una natura più amabile. Esempio negli anni 60 della Leo Castelli Gallery dove nel 66 si poteva vedere Ivan Karp che teneva a bada con un bastone i cuscini argentati di Warhol che fluttuavano nello spazio. Ogni parte dello spazio era attiva, dal soffitto dove i cuscini andavano a sbattere al pavimento dove si soffermavano prima di essere rilanciati . quest’opera d’arte rivendicava un’origine nobile ( lo spazio all over) e coniugava felicità e chiarezza didattica. Negli stati uniti i gesti anarchici non funzionavano, perché tendono a contestare l’ottimismo ufficiale generato dalla speranza. L’avanguardia americana non ha mai attaccato il concetto di galleria, se non nel momento della Land Art dove si spingeva per l’aperto ( ma che poi finiva comunque in galleria sotto forma di foto). In America il materialismo è un bisogno spirituale e la Pop Art lo aveva capito. Tutta questa situazione americana si incarna poi nell’opera d’arte che tende a diventare il veicolo dell’alienazione dell’artista, fino al punto di entrare nella matrice sociale. Con un’operazione il significato dell’opera vieen rimosso e il luogo in cui avviene è la galleria. Ma ciò che fece Arman ebbe per lungo tempo un grande seguito, rendendo il visitatore escluso, costretto ad ammirare la galleria e non l’arte, un tema. Ad esempio Buren che sigillò la Galleria Apollinaire di Milano per tutta la durata della mostra nel 68, incollando alla porta strisce verticali bianche e verdi su stoffa. Le sue opere hanno per tema la volontà di incoraggiare i sistemi del mondo a esprimersi attraverso la sprone costante dell’artista . le strisce neutralizzano l’arte mediante l’esaurimento del contenuto. In quanto segno dell’arte diventano emblema di consapevolezza: l’arte è stata qua. Le sue strisce chiudono la galleria come gli ispettori sanitari chiudono i locali infetti. La Galleria è considerata un sintomo di un corpo sociale disturbato. L’arte è contenuta anche dalla convenzione sociale chiamata stile, parodizzato da Buren. All’interno delle gallerie aspaziali l’arte rappresenta un sistema di fede e commercio. Buren comprende questa forma di integrazione sociale. “ come può l’artista contestare la società quando la sua arte, tutta l’arte, appartiene obiettivamente ad essa?”. Sul finire degli anni 60 e per tutti gli anni 70 ci si interrogò molto su questo tema. la concettualizzazione della galleria raggiunse il suo apice nel 69 su Art and Project #17 in cui Robert Barry scrisse “ durante la mostra la galleria rimarrà chiusa”. Idea realizzata alla Eugenia Butler Gallery di Los Angeles . per 3 settimane la galleria venne chiusa, mentre all’esterno era affisso un cartello con la stessa dicitura. Nel suo lavoro ha utilizzato mezzi esigui per proiettare la mente al di là del visibile : le cose ci sono ma si vedono a stento ( fili di nylon); il processo è in corso ma non può essere percepito (campi magnetici) ecc. la mente inizia a rimuginare sulla cornice, il piedistallo e il collage: le tre energie che rilasciate dentro il suo biancore immacolato, lo rendono un’opera d’arte. Tutto ciò che si vede in quello spazio risulta d’intralcio alla percezione, provocando un ritardo durante il quale si proietta e si vede l’aspettativa dello spettatore, vale a dire la sua idea di arte. Imballaggi di Christo: parodie delle divine trasformazioni dell’arte. Si appropriano dell’oggetto, ma in modo imperfetto. L’oggetto è perduto e mistificato. Individualità strutturale viene sostituita da una morbida sagoma generica, sintesi che alimenta illusione della comprensione. Una posizione deve essere presa non solo dal mondo dell’arte ma anche dal pubblico del momento per il quale solitamente l’arte è distante. Quello che conferisce all’opera una dimensione politica è il modo in cui viene attuato il processo. Si tratta di una fantastica parodia della struttura aziendale: si sviluppano i piani, si richiedono perizie, si individua l’opposizione, la si incontra e il vivace dibattito è accompagnato da una percentuale di follia democratica. L’opera viene poi completata per essere velocemente rimossa, quasi che i testimoni non siano in grado di sopportare più di un barlume di bellezza. La volontà di imballare il Museum of Contemporary Art era sintomo di serietà di Christo e di van der Marck, che avvertivano un malessere di un’arte spesso soffocata da un’istituzione che adesso tende ad assomigliare ad un’azienda. Nell’imballare il museo, imballavano simbolicamente anche il personale e le sue funzioni. La paralisi