Scarica Introduzione ai media digitali (2a edizione) Arvidsson e Delfanti e più Appunti in PDF di Sociologia solo su Docsity! INTRODUZIONE AI MEDIA DIGITALI Capitolo 1-Media e tecnologie digitali L’ambiente digitale Le società contemporanee sono caratterizzate dall’onnipresenza e pervasività dei media. Attraverso la diffusione di massa di personal computer, smartphone e altre tecnologie mobili, e con la possibilità di connettersi alle reti ovunque, le persone vivono immerse in flussi di comunicazione continui. Questo fenomeno è detto stato definito mediatizzazione. Oltre alla sfera comunicativa i media digitali influenzano quella sociale, economica, del lavoro e politica. I cambiamenti innescati dalla diffusione delle tecnologie digitali stanno trasformando il modo in cui produciamo e distribuiamo informazione e conoscenza. La diffusione dei media è cresciuta costantemente a partire dagli anni ‘80 del XX secolo, con la messa in commercio di computer e dall’introduzione del World Wide Web negli anni ‘90. Negli anni 2000 invece si è assistito all’emergere del web collaborativo, cioè di software e piattaforme online che permettono agli utenti di produrre e distribuire contenuti in prima persona, e delle tecnologie mobili come smartphone e tablet, che hanno trasformato l’esperienza della rete da quotidiana a totale. In Italia ormai più del 60% della popolazione accede ad internet, a livello globale, gli utenti della rete hanno superato i tre miliardi e rappresentano ormai il 50% della popolazione mondiale. Dal 2000 al 2015 gli utenti della rete sono aumentati dell’800%. Grazie alla capacità di integrarsi e interagire con la maggior parte delle tecnologie preesistenti, i media digitali hanno assunto un ruolo chiave anche nell’organizzazione della produzione e nell’economia delle società contemporanee. Questi cambiamenti hanno un impatto anche sull’ecologia dei media. Nell’ecosistema mediale si assiste all’evoluzione di nuove forme di vita, come i motori di ricerca, i social network, gli operatori di telefonia mobile, ecc. Oltre a popolarsi di nuove specie, l’ecologia dei media si arricchisce di nuove strategie, ad esempio i social network forniscono servizi gratuiti in cambio di dati degli utenti. Yochai Benkler parla della nascita di un “ambiente digitale di rete” caratterizzato dalle maggiori possibilità a disposizione degli individui per assumere un ruolo più attivo all’interno del sistema dei media. Allo stesso tempo però questo ambiente è denso di scontri tra gli organismi che lo compongono: ad esempio, copyright, organizzazione del lavoro, informazione e censura. Le tecnologie digitali mediano le relazioni sociali e sono determinanti nella costruzione delle identità degli individui. L’emergere di una sfera pubblica in rete e l’affermazione di forme di cooperazione sono fenomeni legati a cambiamenti sociali che vanno ben al di là delle innovazioni tecnologiche. Anzi, le innovazioni tecnologiche sono anche frutto delle trasformazioni. Inoltre, i media digitali sono il terreno di scontro tra diversi visioni del mondo che spesso si contrappongono violentemente. Da un lato, le tecnologie sono dipinte come portatrici di democrazia, giustizia, uguaglianza e abbondanza economica. Dall’altro lato, come minaccia all’ordine sociale, come potenziali distruttrici degli equilibri su cui si fondano le società complesse, come strumenti di sfruttamento e prevaricazione, o come strumenti per la conservazione e l’irrigidimento delle gerarchie e delle disuguaglianze. I media digitali, come ogni innovazione che raggiunge una diffusione di massa, sono dotati di un potere trasformativo. Ma essi possono anche ostacolare il cambiamento e riprodurre i modelli sociali ed economici esistenti. Nuovi e vecchi media I media digitali sono un insieme di mezzi di comunicazione basati su tecnologie digitali e che hanno caratteristiche comuni che li differenziano dai mezzi di comunicazione che li hanno preceduti. Con la definizione nuovi media vengono identificate le tecnologie di comunicazione basate sui computer e sulle reti che si sono diffuse a partire dagli ultimi decenni del XX secolo. Tuttavia l’idea che i media digitali siano “nuovi” è per certi versi problematica. Anzitutto, i cosiddetti nuovi media sono costituiti da tecnologie eterogenee e molto diverse tra loro; inoltre, i media basati sui computer sono ormai diffusi e sono diventati gli strumenti predominanti nel panorama dei media, fino a interagire con tutti quelli precedenti, caratteristiche che rendono impreciso chiamarli “nuovi”. Il termine “nuovo” implica anche una visione lineare dell’evoluzione dei media, che porta le persone a trascurare il contesto in cui sono emersi e a pensare che essi siano in qualche modo migliore dei vecchi. Al contrario, altri ritengono che i vecchi media siano migliori di quelli più recenti, dato che le tecnologie precedenti sono spesso rappresentate come più autentiche. I media recenti conservano similitudini e analogie con i media precedenti. Come avviene spesso quando un nuovo media viene introdotto, esso non sostituisce i “vecchi” media ma piuttosto li integra o li modifica. L’introduzione della televisione non ha causato la scomparsa dei giornali, così come l’introduzione del tablet non causa la scomparsa del libro. Questo processo di rimediazione comporta una relazione di competizione ma anche di coevoluzione, omaggio e cooperazione tra media diversi [Bolter e Grusin]. I nuovi media insomma non nascono dal nulla ma piuttosto evolvono da pratiche e tecnologie preesistenti. Inoltre il concetto di rimediazione permette di riconoscere che l’evoluzione dei media è un processo continuo e non lineare. D’altro canto se invece delle singole tecnologie ci si focalizza su un aspetto più generale, cioè l’evoluzione continua, la loro novità diventa un fattore importante. Infatti parte dell’esperienza dei media digitali risiede nella continua successione di rapidi cicli tecnologici. Le prime fasi della vita dei media emergenti sono caratterizzate dall’incertezza sul ruolo sociale: i nuovi media non sono accettati subito come naturali, e il loro significato resta inizialmente aperto e contestato. Questa fase è definita crisi d’identità dei nuovi media [Gitelman e Pingree]. Dopo la sua introduzione, il significato e le funzioni di una nuova tecnologia sono lentamente plasmati dalle abitudini di uso dei media preesistenti e dai desideri dei nuovi utenti, oltre che dalle sue caratteristiche tecnologiche. La fase di crisi si risolve quando una nuova tecnologia sorpassa la fase di novità iniziale e diviene un prodotto di consumo di massa. In un processo di domesticazione, la nuova tecnologia viene accettata all’interno della società, risulta comprensibile e tende a non causare forme di rifiuto o paura rispetto ai comportamenti o usi che rende possibili. I media digitali La definizione “media digitali” è dunque più accurata rispetto a “nuovi media”, indicando una delle caratteristiche principali di queste tecnologie. Oltre agli strumenti tecnologici lo studio dei media digitali include le piattaforme software, i protocolli di rete, ecc.. I media digitali possiedono alcune caratteristiche che li differenziano dai media tradizionali. Essi sono digitali ma anche convergenti, interattivi, ipertestuali, distribuiti, mobili, effimeri e sociali. -Digitali: informazione in forma di sequenza numerica poi rielaborata ovvero codice numerico (alternanza di 0 e 1), segnale non continuo ma discreto, maggiore quantità di info trasportabili. -Convergenti: diversi tipi di contenuto (scritti, sonori, visivi) convergono in un unico supporto. Grazie alle info i computer sono macchine universali e l’integrazione fra codici diversi è facilitata. Inoltre internet è convergenza tra industria culturale e quella delle telecomunicazioni. -Ipertestuali: modalità di fruizione non lineare; grazie al sistema dei link un utente può personalizzare il proprio percorso di fruizione. -Distribuiti: media tradizionali centralizzati e unidirezionali vs. modello distribuito di gestione delle tecnologie dell’informazione secondo le caratteristiche di: a) Diffusione microprocessori a basso costo b) Accesso alle reti telematiche, in particolare internet e il World Wide Web c) Software per la creazione di contenuti (struttura orizzontale a rete) -Interattivi: possibilità di interagire direttamente con i contenuti, modificarli o produrli - Sociali: sfruttamento di dinamiche sociali (network site, media sociali) ovvero gestione e formazione di reti sociali, interazione con rete estesa di contatti -Mobili: le tecnologie mobili rendono pervasivi i media digitali permettendo di produrre informazioni da qualsiasi luogo e in qualsiasi momento -Effimeri: media diversi hanno una durata e persistenza diversa. Apple non possiedono le fabbriche dove vengono prodotti scarpe o smartphone: la produzione dei beni materiale è appaltata all’esterno, mentre le imprese madri possiedono la capacità intellettuale e gestiscono la ricerca tecnologica, il marketing, la comunicazione. La gestione dell’informazione e del sapere è più proficua, dato che il capitale investito in beni informazionali rende più di quelle investito nel materiale. L’informazione e la conoscenza diventano sia materia prima, sia prodotto finale. Nell’economia globale, le grandi istituzioni economiche hanno la capacità di operare su scale globale. Tuttavia con la società dell’informazione la globalizzazione diventa uno dei fenomeni economici principali e si basa anche sulla nascita di nuovi soggetti: es le imprese multinazionali. Infine, aumenta anche l’importanza di entità e trattati. L’economia in rete infine è caratterizzata da forme di produzione più flessibili. Dal lavoro di fabbrica della società industriale si passa a un’organizzazione dei processi produttivi a rete, basato su un decentramento e autonomia delle unità produttive. Nascono reti di imprese formate da fornitori, subfornitori, imprese di distribuzione e reti commerciali. Le teorie sulla società dell’informazione Il dibattito sulla società d’informazione è collegato alla figura di Manuel Castells. La sua tesi contieni una dose di determinismo tecnologico. Egli formalizza l’importanza economica, sociale e politica dell’informazione in una società in trasformazione. Nella società industriale, il potere economico e politico era legato alla produzione di beni materiali. Nella società dell’informazione sono i beni informazionali, come i brand, l’innovazione e il sapere a determinare il successo economico. È il capitalismo informazionale. In più Castells descrive tale società come una struttura in reti, e più comunemente conosciuta come network society. Secondo Castells, come conseguenza della loro importanza nel mondo, le reti diventano dominanti anche nella dimensione sociale e non solo economica. Lo “spazio di flussi” è costituito dagli spazi, fisici e mediatici, dove circolano saperi, competenze, denaro e persone. Questo spazio si configura come una rete aperta, in cui le frontiere e i limiti fra stati, comunità e gruppi sono sempre meno importanti. Gli individui che hanno accesso allo spazio dei flussi e che quindi possiedono le competenze, collaborano senza ostacoli. Restano invece fuori chi non ha accesso a internet o non sanno usarlo. Quindi vi è una divisione, e questa spaccatura per Castells, non è più legata solo al conflitto di classe fra capitale e lavoro ma avviene anche tra chi ha accesso ai flussi e chi no. Castells non è l’unico né il primo a parlare di società dell’informazione. Questa società contiene elementi, come l’indebolirsi del conflitto tra capitale e lavoro e il nuovo ruolo produttivo della circolazione dell’informazione. Il determinismo tecnologico spinge molti teorici a enfatizzare gli effetti delle innovazioni sulla società. Inoltre, visione utopistiche di democratizzazione universale e creatività distribuita convivono con visioni pessimiste in cui le tecnologie mettono a rischio l’ordine sociale. Il primo ad investigare sul ruolo dell’informazione e della conoscenza come fattore produttore nelle economie capitaliste fu Machlup, che già negli anni ’30 cominciò a studiare l’effetto dei brevetti sullo sviluppo economico e che negli anni ’60 introdusse l’espressione economia della conoscenza. Allo stesso tempo un importante pensatore del management, Peter Drucker, faceva notare come la centralità dei lavoratori della conoscenza si affermasse man mano che le organizzazioni si facevano più complesse e la fonte del valore si spostava di più verso l’innovazione. Drucker fu anche uno dei primi ad usare il termine postmoderno, per descrivere il modello sociale che stava prendendo piede attorno all’economia dell’informazione. Il sociologo Daniel Bell, ampliò questa visione di un nuovo ordine economico e sociale suggerendo anche l’importanza della produzione e circolazione dell’informazione come fattore economico. Queste idee influenzarono anche sociologi italiani come Francesco Alberoni e Alessandro Pizzorno. Quest’ultimo suggerì che il peso crescente del nuovo ceto medio stesse trasformando l’Italia in una società il cui collante sociale erano la crescita economica e la possibilità di generare nuove opportunità di consumo e non le grandi ideologie. Nel decennio successivo queste idee si consolidarono convergendo verso l’idea di una società postindustriale. Alain Touraine propone il modello della società postindustriale che si fondava su tre punti: La riduzione del peso economico della produzione materiale effettuata nelle industrie e il consolidarsi di una nuova economia dell’informazione La centralità della produzione di sapere, e in particolare della ricerca scientifica, come motore dello sviluppo economico e sociale Il ruolo del potere assunto dalla pianificazione e dall’organizzazione di processi complessi, e di conseguenza la sostituzione della vecchia classe dirigente con un ceto di burocratici e tecnici che esercitavano il potere in modo anonimo. Negli stessi anni, i teorici del postfordismo mettevano invece l’accento sulle trasformazioni delle forme di produzione. I computer e l’automazione delle macchine permettono di superare l’organizzazione rigida della fabbrica fordista per dar vita a forme di produzione più flessibili. Negli anni ’80 al concetto di “società postindustriale” si affianca un’altra idea di società postmoderna, un’espressione resa nota da Lyotard, secondo il quale i cambiamenti nella produzione di cultura e sapere, con l’affermarsi della società di consumi, avrebbero come conseguenza un effetto profondo sulle società moderne. Quando tutto è ridotto a informazione, tutto può essere rivisto, manipolato. Il teorico Marshall McLuhan fu uno dei propugnatori del ruolo dei nuovi media come strumenti di mutamento sociale. Secondo McLuhan i media come la televisione erano destinati a trasformare l’umanità in un villaggio globale, cioè in un mondo in cui i media permettono di comunicare in tempo reale a distanza. L’utopia di McLuhan non preconizzava solo la liberazione dalle società centralizzate e burocratiche, ma anche la cancellazione delle differenze tra paesi ricchi e poveri. Alla conferenza Ted si radunarono opinionisti come Negroponte, Kelly, Brand, Anderson. Negroponte, in particolare, pensava la rete come una tecnologia che permette di trascendere le barriere spaziali e burocratiche che caratterizzano gli stati. L’individuo in rete è un consumatore o un imprenditore che vive negli spazi digitali e in un mercato libero da condizionamenti statali. Questa ondata di tecnoliberismo venne in seguito riformata nell’ideologia californiana, una denuncia della visione secondo la quale la diffusione di internet porterà a un accesso diffuso a sapere e informazione e quindi cancellerà le differenze di potere fra consumatori e produttori, fra lavoratori e datori di lavoro e fra stato e cittadini. Anche se questa idea esaspera il potenziale di internet, riesce a cogliere l’importanza di movimenti e idee nello sviluppo della rete. Pekka Himanen parla di una nuova etica del capitalismo basata su flessibilità, creatività, indipendenza dalle gerarchie e dalle burocrazie industriali. Questa posizione riprendono le idee di Max Weber sulla nascita del capitalismo, fondato sui valori delle controculture. Secondo questa teoria, alla base del capitalismo contemporaneo vi sono elementi culturali provenienti da movimenti di opposizione che vengono riadattati come parte della cultura di un capitalismo flessibile e consumistico. Negli anni ’90 si fa strada l’idea di intelligenza collettiva, che per Pierre Lèvy è una mobilitazione delle intelligenze distribuite, coordinate e valorizzate grazie alle tecnologie dell’informazione. Dai teorici marxisti emerge invece il concetto di capitalismo cognitivo, cioè una forma di organizzazione della produzione che, grazie ai media digitali si basa sullo sfruttamento delle capacità cognitive degli individui. Marx descrisse l’intelletto generale come astratto, scientifico. Secondo Marx, l’intelletto generale era destinato a diventare la principale forza di produzione nelle società avanzate. Storia delle tecnologie informatiche L’evoluzione della società dell’informazione è in relazione molto stretta con le modalità di produzione e di distribuzione del sapere che si affermano con la diffusione dei computer e di internet. La prima definizione, di computer come lo intendiamo oggi, è di Alan Turing (anni ’30 del XX sec), inventò una macchina capace di imitare tutte le altre macchine, ovvero programmabile. Un computer contemporaneo, infatti, non è altro che un insieme di macchine che prima venivano distinte (macchina da scrivere, lettore dvd, fotocamera, calcolatrice, tv ecc). Seguendo questa definizione, il primo computer può essere considerato il telaio inventato da Jacquard (1801), utilizzato nell’industria tessile, usava un rotolo di carta perforata e conteneva un programma di istruzioni per l’esecuzione di un particolare modello. In seguito, sulla base del modello di Jacquard, Charles Babbage sviluppò due progetti: la macchina delle differenze e la macchina analitica, entrambe destinata a calcolare gli orari nelle ferrovie. Sia il telaio, sia i progetti di Babbage erano orientati ad aumentare l’efficienza dei processi di industrializzazione e delle amministrazioni burocratiche. L’idea che un atteggiamento scientifico, possa essere applicato alle vicende umane e che gli avvenimenti sociali ed economici possano essere calcolati e programmati, permette la nascita di una nuova disciplina: la statisticarispondeva all’esigenza di misurare e controllare gli avvenimenti sociali da parte degli stati. Rendeva le misurazioni economiche più precise. La statistica diede nuovi metodi di calcolo e nuove macchine calcolatrici: la macchina più diffusa fu quella di Hollerith. Inoltre, sempre grazie alla statica, nacquero nuove discipline come il marketing, il management, ricerche di mercato. Ibm International Business Machines nel 1924, prima era la Tabulating Machine Company di Hollerith ibm azienda leader del mercato per la produzione di macchine calcolatrici. La seconda guerra mondiale diede impulso ulteriore allo sviluppo dei calcolatori e diede forma ai computer come li conosciamo oggi. Lo sforzo bellico richiese l’applicazione dei computer per diversi scopi: balistici (bomba atomica), telecomunicazioni, crittografia ecc. Durante gli anni ’50 il costo elevato, la grandezza e la complessità dei computer, fecero sì che questi ultimi fossero gestiti solo da un “clero” di esperti e laureati in matematica; successivamente quando nel 1971 Intel inventò il microprocessore, il prezzo e le dimensioni dei computer si ridussero e così migliorarono anche le prestazioni. Secondo la legge di Moore da lì in avanti la potenza dei microprocessori sarebbe raddoppiata ogni 18 mesi. Alla fine degli anni ’70 si poteva parlare di una nuova società dell’informazione, basata sui computer. A trasformare il computer in una macchina ad uso popolare sono stati gli appartenenti alle controculture. Negli anni ’60, infatti, gli USA divennero protagonisti di una cultura di giovani studenti e ingegneri informatici vicini alle controculture, contro i sistemi gerarchici e il rigore formale da cui erano caratterizzati i computer nelle grandi università e negli istituti di ricerca nel ’68 nacquero le prime comunità di hacker dallo spirito democratico, sostenevano un approccio attivo alla tecnologia modificare i computer e usarli per scopi imprevisti e inattesi. L’evoluzione delle reti Negli anni ’50 e ’60 si pensò ai computer come strumenti non solo per effettuare calcoli ma anche per comunicare. Nei primi anni ’60, Licklider creò la “Intergalatic computer network” per connettere istituzioni, aziende e cittadini. Il progetto di comunicazione che rappresenta l’antenato di internet, fu l’Arpanet, basata sulle idee di Licklider. Arpanet si basava sulla tecnologia del packet switching, che scomponeva ogni messaggio in una serie di pacchetti che trovano la loro strada nella rete, indipendentemente dagli altri. Nel 1974 nacque il protocollo TCP/IP che diventò lo standard della rete protocollo libero nato per decentralizzare il controllo delle comunicazioni ai singoli nodi partecipanti e prevenire la possibilità di censura delle comunicazioni. Arpanet non era l’unica rete, le Bbs (Bulletin Board System), erano banche dati di messaggi e informazioni contenuti in pc, cui si poteva accedere mettendosi in comunicazione con il singolo utente tramite le nuove tecnologie Modem. Negli anni ’90 Berners-Lee, scienziato del Cern, scrisse e condivise con la rete, senza restrizioni, i linguaggi e gli standard del WWW: Html: per mettere online documenti ipertestuali (testi caratterizzati da tag, etichette); Url: indirizzi riconoscibili che identificano un contenuto presente su un server; Protocollo Http: sistema di trasmissione delle informazioni utilizzate sul web. Negli anni ’90 il web si diffuse in Ameria ed Europa e cominciò a rappresentare un’industria in espansione basata su quelle che venivano chiamate dot-com, cioè portali commerciali come Amazon e eBay. Era la cosiddetta new economy: qualsiasi attività online con il suffisso “.com” era in grado di attirare investimenti da chiunque fosse in grado di sfruttare il web. Questa situazione diede luogo alla bolla speculativa, cioè aumento sconsiderato dei costi delle azioni delle aziende di commercio online che non corrispondono al valore reale delle aziende. quantità e scelte individuali abilitate dai media digitali. L’individuo tende a partecipare a diverse reti sociali, e in ognuna di esse si può mostrare o sviluppare un aspetto particolare della sua identità. L’individualismo in rete mutua la sua impostazione dalla teoria di Simmel, il quale evidenzia come l’esperienza individuale sia caratterizzata dalla contemporanea appartenenza a diverse cerchie. Le persone costruiscono la propria dimensione sull’appartenenza a gruppi anche molto differenti tra loro, con codici e norme distinti. Internet rende più semplice contattare persone, organizzare, creare gruppi, tanto da far parlare di nuove forme di collettivismo in rete in cui i gruppi di persone tenute assieme da legami deboli. Per sottolineare la differenza da quelli con legami forti (es famiglia), queste nuove forme di socialità vengono descritte come pubblici connessi, invece che comunità. In sociologia il termine “comunità” implica una forte densità relazionale: i membri di una comunità condividono interessi, valori e interagiscono l’uno con l’altro. Questa interazione, Castells, la chiama autocomunicazione di massa, dove ognuno comunica con il pubblico che lo circonda generando un’opinione e informazioni comuni. Le forme di interazione di questi gruppi somigliano a quelle di un pubblico caratterizzato da legami effimeri, che però non si esclude il fatto che vi si possano formare comunità ad elevati livelli di interazione. Il termine pubblico indica quindi che queste collettività sono meno dense, ma allo stesso tempo sono più densi delle reti. Una rete è un termine che indica un insieme di legami, ma il pubblico è dotato di una passione comune. Quindi i pubblici ance se meno densi e meno vincolanti per la costruzione delle identità, offrono la possibilità di identificarsi con una causa comune e di ottenere dagli altri membri un riconoscimento del proprio contributo a questa causa comune. Infine, le comunità tendono a durare nel tempo conservando gli stessi membri. Al contrario, i pubblici connessi possono essere molto più fluidi e transitori. Reputazione e influenza L’emergere dei pubblici connessi e l’importanza dei media digitali come strumenti di costruzione di relazioni sociali, sono legati anche al cambiamento di come si forma la reputazione di un individuo. La reputazione è un giudizio sulle qualità di una persona. I media digitali amplificano e trasformano il modo in cui le reputazioni vengono create e alimentate, e forniscono alle persone nuovi strumenti per gestire la propria reputazione. I membri di un pubblico, ad es, acquistano la loro reputazione sulla base del modo in cui gli altri membri giudicano i loro contributi. Molte piattaforme calcolano la reputazione e si basano su forme di rating: ovvero gli utenti possono valutare un altro utente. La reputazione garantisce una posizione migliore all’interno di un gruppo. Inoltre, la reputazione, determina la capacità di un individuo di interagire con un pubblico in modo produttivo. Influenza però anche, il godimento e la soddisfazione che si possono trarre dall’interazione con un determinato pubblico. La reputazione tende a determinare l’intensità dell’interazione di un individuo con un certo pubblico, e in modo analogo quanto quel pubblico sia importante per la sua identità. L’identità comunicativa dei pubblici e la struttura dei media sociali fanno sì che l’identità non possa essere solo vissuta ma debba essere anche comunicata. In questo senso l’individuo può creare una versione comunicale della sua identità un brand personale, che includa aspetti della sua vita e ne escluda altri. Quindi l’identità diventa una costruzione destinata ad essere comunicata. La costruzione del brand personale sfrutta il lavoro di self-branding che la piattaforma mette a disposizione: infatti le comunicazioni di self-branding hanno caratteristiche precise persistenza: significa che tutto ciò che viene comunicato sui media e in rete tende a restare nel tempo replicabilità: fa sì che comunicazioni avvenute in un ambiente possano essere replicate o modificate in un altro ambiente scalabilità: i contenuti possono diffondersi molto rapidamente ricercabili: facili da trovare La necessità di maneggiare il proprio brand fa sì che si diffondano dei sistemi per la misurazione dell’influenza. Infatti vi sono alcuni algoritmi che la misurano, ad esempio Klout. La rilevanza però è discutibile, da un lato gli algoritmi sono accusati di scarsa attendibilità, dall’altro il tentavi di valutare le interazioni tralascia la comunicazione umana. Gli indici della capacità di influenzare sono determinate da nuove possibilità di lavoro: ad es, i cosiddetti influncer sono individui con indici ad impatto molto elevato, e sono capaci di mobilitare un gran numero di altri utenti grazi alle loro competenza sociali e comunicative. Sono considerati risorse cruciali per lanciare campagne marketing. Critiche alla socialità in rete La più nota critica alla socialità in rete, sostiene che le relazioni in rete tendano a essere più fredde e meno coinvolgenti. Il risultato sarebbe una serie di individui emotivamente slegati l’uno dall’altro, con legami deboli e forme di solidarietà superficiali. Questa critica è in parte fondata. Rispetto alle comunità i legami che caratterizzano i pubblici online sono meno forti e le forme di solidarietà meno vincolanti. Tuttavia il non avere legami forti con altre persone non impedisce di soddisfare altri aspetti della propria vita. In ogni caso c’è da dire che l’arrivo di una nuova tecnologia porterà sempre a ondate di critiche, infatti ad es, il romanzo veniva accusato di distogliere le giovani donne dai ruoli sociali per immergerle nei sogni; negli anni ’60 la televisione veniva accusata di distruggere le comunità e così via. Negli ultimi anni un fenomeno come il sexting, cioè lo scambio di messaggi o immagini a sfondo sessuale per mezzo di telefoni, ha causato ansia rispetto al ruolo di servizi come Snapchat. Un’app che permette di scambiare messaggi, immagini o video che non vengono salvati in memoria ma vengono cancellati dopo pochi secondi. L’uso di servizi simili da parte degli adolescenti solleva paure basate su stereotipi di genere: nel discorso pubblico le ragazze vengono ritratte come troppo disinibite oppure vittimizzate anche se consenzienti. Anche il telefono fisso viene usato per “violenze sessuali” ma nessuno ne darebbe la colpa alla tecnologia, che è ormai accettata come neutrale. Il tecnopessimismo quindi non è una novità: le paure legate al ruolo sociale di internet sono parte di una storia molto più antica rispetto ai nuovi media. Secondo la psicologa Sherry Turkle, la diffusione di internet, e in particolare dei media sociali, crea una situazione in cui gli individui non interagiscono più con coloro che hanno accanto, ma sono assorbiti in un mondo parallelo fatto di messaggi e immagini. I media quindi ci proietterebbero in un mondo dove saremmo insieme ma soli. Così le interazioni umane diventerebbero sempre più scarse. Le ricerche effettuate fin dagli anni ’90 però tracciano un quadro diverso. Le persone che usano la rete tendono ad avere reti sociali più estese e diversificate rispetto alle persone che non utilizzano la rete. L’uso di internet non tende ad allontanare le persone dallo spazio pubblico, ma al contrario può essere considerato un fattore che alimenta la ricchezza della vita sociale delle persone. I media non impoveriscono la vita sociale e sono parte integrante, non strumento di allontanamento. La diversa appartenenza ad ambienti mediatici può avere degli effetti sulla privacy delle persone. Le piattaforme hanno scardinato la concezione di privacy basata sul diritto a una vita privata non visibile in pubblico. I media hanno scardinato la concezione della privacy basata sul diritto a una vita privata non visibile in pubblico. Del resto le forme di socialità in rete spingono le persone a pubblicare contenuti e informazioni personali. La necessità di stabilire legami sulle piattaforme può far passare in secondo piano i timori della privacy. Ma gli individui sono in grado di scegliere quali aspetti della vita privata da mettere in rete. Capitolo 4- Collaborazioni online I media collaborativi Fra le organizzazioni della società in rete, un posto di rilievo è occupato dai fenomeni di partecipazione attiva e collaborazione alla produzione di contenuti che coinvolgono gli utenti della rete. Gran parte dei servizi online infatti sono interattivi e si basano su forme di produzione affidati agli utenti. Il web è semplice da usare, anche per chi non ha competenze specifiche, e si basano su processi di cooperazione. Piattaforme come social media, blog, ecc, sono la trasformazione che sia avvale anche di cambiamenti nella sfera legale e in quella sociale. Oggi la rete è costituita da app e servizi online che rendono possibile un certo livello di interazione maggiore tra gli utenti e il servizio. Gli esempi di applicazioni collaborative: - i blog, da vita a quella che è stata chiamata blogosfera, cioè un ambiente formato da blog in comunicazione tra loro - i wiki, software di scrittura collettiva il più noto Wikipedia - servizi come Youtube, Instagram il loro successo è dovuto anche grazie alla diffusione di apparecchi appositi (macchine fotografiche) a poco prezzo - eBay o Amazon, usano le informazioni prodotte dagli utenti per migliorare il proprio servizio recensioni in modo simile funzionano le piattaforme di mashup, che permettono di aggregare informazioni prese da fonti diverse per creare un sito o app esempio Google maps. Attraverso altre tecnologie, come quelle che permettono il tagging, gli utenti possono aggiungere un tag, ovvero un’etichetta che permette di capire di quale contenuto si tratti. I sistemi di rating sono invece sistemi tramite i quali gli utenti possono fornire valutazioni numeriche in merito a un contenuto amazon, tripadvisor Il dilemma della partecipazione L’uso stesso della parola “partecipazione” è problematico. Nella teoria moderna, il concetto di partecipazione sottintende una distribuzione del potere verso i cittadini tramite processi decisionali democratici e relazioni di potere egualitari. Se accettiamo questa prospettiva ci accorgiamo però che gli utenti che contribuiscono solo in parte ai processi decisionali, e quindi imprese del web o industrie culturali non sono partecipative. Gli autori che hanno utilizzato la teoria democratica per analizzare il web, hanno sottolineato la differenza tra accesso, interazione e partecipazione. Seguendo questo modello, accedere all’informazione tramite i media risulta differente dalla possibilità di interagire come avviene con gli hashtag di instagram; forme di partecipazione caratterizzano servizi come Wikipedia, i cui utenti possono decidere l’andamento del servizio. Si possono analizzare dei fattori che determinano la differenza tra condivisione, produzione e collaborazione: intenzionalità: consapevolezza di prendere parte a una collaborazione, si hanno obiettivi condivisi o i contenuti vengono creati da altri? controllo delle modalità: gli utenti possono mettere in discussione le regole di partecipazione oppure le accettano passivamente? Proprietà: chi possiede il frutto della collaborazione ricava profitto? Accessibilità: chi può partecipare e come? Uguaglianza: ci sono delle gerarchie oppure tutti i partecipanti hanno lo stesso peso nei processi decisionali? Secondo queste variabili, analizzare i processi di condivisione e collaborazione, permette di distinguere tra reale partecipazione e fenomeni differenti. Questa ambivalenza è sfruttata dalle imprese che gestiscono servizi come Facebook, Google, ecc. Le imprese del web tendono a definirsi piattaforme non solo per il funzionamento tecnologico ma anche per l’apertura di servizi che offrono agli utenti. Si presentano come spazi neutrali e democratici che facilitano la comunicazione, ma creatività e partecipazione fanno parte di un’ideologia per scopi commerciali. Usano la retorica della neutralità per evitare di essere ritenuti responsabili per eventuali contenuti illegali pubblicati dagli utenti. Quindi infine, le piattaforme si basano sulla partecipazione collettiva degli utenti e quindi rendendo nuove forme di cooperazione che possono essere sfruttate dalle imprese. Dal software libero al peer to peer Il successo della cooperazione online, ha imposto la produzione peer-to-peer (P2P), o produzione basata sui beni comuni, che consiste in produzione affidata alla libera collaborazione tra individui online. Gli individui possono collaborare in forma coordinata e non organizzata, per questo si parla di “gestione orizzontale”, in cui le decisioni sono non prese da una struttura verticale, ma con la partecipazione di tutti. Il caso più conosciuto di creazione cooperativa di informazione è quello del free software, e in particolare del sistema operativo Gnu/Linux creato inizialmente dalle comunità hacker. Il free software è nato alla fine degli anni’80 da Stallman, è basato su licenze che permettono a chiunque di usarlo, modificarlo e redistribuirlo. La parola “libero” però non significa Dal pubblico ai pubblici attivi Il pubblico è stato considerato attivo dagli studi sui media e comunicazione. Gli individui che ricevono un messaggio sono in grado di interpretarlo, valutarlo e rispondere in forme differenti. L’’audience dei media è quindi attiva. Se questo è vero per i media broadcast, ovvero quelli distribuiti da pochi a molti, come la televisione, con i media digitali si diversifica ulteriormente e acquisto un ruolo sempre più diretto non sollo nella scelta o nell’interpretazione dei contenuti dei media, ma anche nella produzione e distribuzione d’informazione. I media broadcast sono strutture ad architettura centralizzata e unidirezionali. La comunicazione viaggia da un solo punto a un numero illimitato di ricevitori. I mass media possono essere commerciali e quindi sostenuti da enti diversi. Nel caso di vendita e pubblicità si tratta di un sistema in cui avvengono i fenomeni di concentrazione, in cui il controllo economico e politico avviene da un solo ente. I media digitali intervengono su questo sistema. L’effetto principale è la nascita di un sistema mediatico più complesso e diverso, accessibile da enti non commerciali e non statali. La transazione verso una sfera pubblica in rete si basa su caratteristiche dei media digitali: Accessibilità: il costo dell’apertura di un canale di comunicazione è basso quasi da diventare nullo. Strumenti come blog, forum, social network forniscono informazione a costo bassissimo e accessibili da chiunque. Struttura distribuita: si passa da un’architettura di tipo centralizzato tipica dei mass media a una distribuita e non gerarchica, nella quale tutti i nodi hanno pari dignità e l’informazione può spostarsi da uno all’altro senza passare per il nodo centralizzato Mescolanza tra pubblico e privato: la partecipazione alla vita pubblica è espressa tramite la condivisione di contenuti personali attraverso i profili privati sui media sociali. Le conversazioni in rete assumono caratteristiche ibride. L’agire collettivo si basa sulla condivisione di identità piuttosto che sull’adesione a ideologia politiche Sorveglianza: la maggior parte delle attività che avvengono in rete sono sottoposte a una sorveglianza sistematica. Le imprese del web e i governi raccolgono informazioni su gran parte delle comunicazioni digitali e ne conservano copie. Questi sono in grado di determinare con chi e attraverso quali contenuti interagiamo. I pubblici in rete sono sottoposti a un controllo diffuso, continuo e sistematico. Alcuni tipi di pubblici non si limitano a produrre e distribuire informazione, ma intervengono attivamente su tutti i livelli dell’ambiente digitale: non solo su contenuti dunque, ma anche sull’infrastruttura tecnologica, piattaforme e gestione dell’informazione. Kelty definisce pubblici ricorsivi quei gruppi di individui che producono e mantengono le piattaforme che utilizzano per produrre attivamente informazione e conoscenza es le comunità di programmatori di software libero. In questo contesto, Manuel Castells parla della capacità di riprogrammare le reti di comunicazione, una delle attività cruciali per il successo dei movimenti sociali. L’attivismo dei pubblici è reso possibile dall’emergere di un ambiente digitale di rete ricco di informazione cui attingere e di strumenti di comunicazione connessi, cioè i computer in rete e i servizi di pubblicazione. La sfera pubblica Grazie ai media digitali un numero sempre maggiore di persone ha la possibilità di partecipare al sistema dei media. Le piattaforme e le pratiche del web, cambiano il ruolo degli intermediari (industria culturale). I cambiamenti nella distribuzione delle risorse e nell’accesso alla produzione d’informazione che sono resi possibili dai media, sono alla base di quella che Benkler chiama “sfera pubblica in rete” è il luogo dove le persone si incontrano per discutere nelle società moderne. Questa metafora include spazi fisici come piazze ad es. Sebbene la sfera pubblica nasca con i media digitali, essa ne viene trasformata in profondità. Hannah Arendt ha definito la sfera pubblica come il luogo dove è possibile radunarsi e agire insieme per negoziare le regole di vita comune. Si tratta quindi di in sistema aperto che può essere usate in modo flessibile. Jurgen Habermas colloca nel 18° secolo l’emergere di una sfera pubblica nel mondo occidentale, fondata sul sistema dei media basati sulla stampa, come giornali, libri, ma anche sui luoghi di lettura. In questi luoghi, gli individui possono elaborare temi senza subire la direzione dell’autorità, avviene la formazione dell’opinione pubblica. Nelle società liberali moderne l’opinione pubblica è cruciale per il funzionamento della democrazia e la legittimazione del potere politico. Mass media contribuiscono a creare una sfera pubblica critica. Tuttavia, la concentrazione di potere nelle mani dei produttori di informazione (cosiddetto 4° potere) fa sì che i mass media controllino il flusso di informazione. I media digitali hanno trasformato il funzionamento della sfera pubblica, conservando dinamiche cruciali. La rete permette anzitutto di diversificare le fonti di informazione e gli individui hanno accesso a una molteplicità di fonti. Uno dei processi di trasformazione della sfera pubblica nell’era digitale è quello della disintermediazione, cioè l’aumento di indipendenza da figure professionali che hanno un ruolo di intermediare tra il pubblico e l’informazione. Grazie alla tecnologia e alla rete, gli individui hanno accesso diretto a gran parte di informazioni che erano prima solo alla portata degli esperti; inoltre dispongono di vie di comunicazione indipendenti dal sistema dei mass media. Questa trasformazione comprende anche delle trasformazioni nel mondo del giornalismo, mettendo a disposizione, per chi ha intenzione di produrre informazioni, strumenti come il blog. Indymedia un sito di informazione accessibile a chiunque (non per forza giornalista) Il ruolo del giornalista cambia tramite i social su cui scrivono possono acquisire una notorietà quanto quella del giornale per cui scrivono Questi strumenti hanno cambiato in profondità il sistema con cui le notizie vengono diffuse. Uno delle funzioni principali dei giornali è il gatekeping, cioè il potere di selezionare quali notizie raggiungono il pubblico o no. E infine è cambiato anche il ruolo dei mass media, come detentori del potere agenda setting, cioè la capacità di dettare l’agenda del dibattito pubblico scegliendo le notizie e i temi di cui si parlerà. La sfera pubblica in rete sarebbe così in grado di garantire i filtri di attendibilità e rilevanza un tempo riservati ai mass media. La rete ha favorito anche l’emergere di attori come WikiLeaks, una piattaforma per la pubblicazione di leak, cioè “perdite” di notizie, che hanno un ruolo importante nella ridefinizione della sfera pubblica in rete. Wikileaks è un’organizzazione non profit, basata su un sistema di raccolta di documenti forniti da utenti in forma anonima grazie alla criptazione. L’organizzazione si occupa di verificare l’autenticità dei documenti e di pubblicarlo mantenendo l’anonimato, allo scopo di portare alla luce “comportamenti non etici di governi e aziende”. Esempi però come il citizien jurnalism (è la produzione e distribuzione di notizie da parte di individui che non sono giornalisti professionisti) o Wikileaks non bastano però a decretare la democraticità della sfera pubblica in rete. Analizzando la rete, diversi critici hanno sottolineato l’importanza di evitare di rappresentare la nuova sfera pubblica come perfettamente democratica. Per es, Papacharissi ha sostenuto che la rete è uno spazio pubblico altamente privatizzato, più che una sfera pubblica compiuta. Jodi Dean ha parlato di capitalismo comunicativo, per descrivere un sistema di approssimazione basato su una parvenza di sfera pubblica che è in realtà soggetta a sfruttamento da parte delle aziende del web. La maggior parte delle interazioni avvengono su piattaforme controllate da aziende private. Google, facebook, decidono le forme di interazioni in rete e ne ricavano profitto. Si tratta di nuove forme di gatekeeping, spesso di tipo monopolistico. L’ambiente di rete non garantisce una sfera pubblica diversa, obiettiva, slegata dalle regole di potere. Delle ricerche hanno dimostrato che la blogosfera era caratterizzata da fenomeni opposti come l’omofilia, razzismo, sessismo. I blog tendono a sottolineare il loro orientamento politico così da limitare le idee diverse e confronto. Analisi della blogosfera e social network hanno svelato che questi spazi tendono a favorire la polarizzazione del dibattito, dando vita a rischi di cyberbalcanizzazione, cioè creazione di piccole enclave fortemente omogenee al proprio interno e in perenne lotta tra loro. Politica e democrazia/ Movimenti sociali A partire dagli anni ’90 si è assistito a un aumento progressivo del numero di cittadini che si informano o partecipano al dibattito politico tramite i media digitali, mentre sono diminuiti coloro che utilizzano gli altri media tradizionali. Gli effetti di questi cambiamenti sulla sfera pubblica dipendono dal tipo di società in cui si verificano Il timore di una sfera pubblica meno controllabile può portare alcuni regimi a mettere in atto politiche per ostacolare la diffusione delle tecnologie digitali all’interno del paese, con ripercussioni sulla libertà di parola e sullo sviluppo economico. Questi problemi esistono anche nei paesi democratici, poiché il potere politico ha la necessità di mettere in atto strategie di gestione della sfera pubblica in rete. Infine l’acceso alle tecnologie digitali è sbilanciato tra paesi ricchi e poveri e tra le diverse classi sociali o generazioni all’interno dello stesso paese. L’attività politica è profondamente influenzata dai media digitali, infatti, le pratiche politiche dipendono dalla capacità di analizzare l’elettorato strategie di marketing politico mirate sui diversi media. I media digitali hanno effetti sulla partecipazione politica (abbassamento dei costi, più accessibilità) la rete rende possibili nuove strategie di mobilitazione: - La vittoria di Obama alle presidenziali USA nel 2008 è un esempio di uso delle reti a scopi politici Youtube video “yes we can”; - La creazione di un sistema informativo basato sui media digitali commerciali e alternativo a quello gestito dalle dittature in Medio Oriente Twitter revolution nel 2010 e Primavera araba nel 2011 sollevazioni popolari che hanno rovesciato i regimi autoritari in Tunisia, Egitto e Libia utilizzando le piattaforme dei media sociali come simboli di democrazia e libertà nuova modalità di partecipazione politica definita: azione collettiva. Critiche riguardo il ruolo dei media digitali nella partecipazione politica: - Slacktivism la maggior parte degli utenti in rete si limita solo a postare commenti, foto di significato politico sui propri profili e a firmare petizioni online investimento minimo che non influenza i processi decisionali della politica e non porta a nessun cambiamento sociale; - I media sociali non sono sufficienti per creare mobilitazioni di massa, ma sono utili per far viaggiare rapidamente informazioni; - L’insistenza sulle piattaforme web fa perdere di vista l’importanza rivestita dalle tecnologie mobili che contribuiscono all’evoluzione di forme di organizzazione politica online Rheingold smart mobs gruppi di utenti della rete che coordinano comportamenti collettivi tramite l’uso di dispositivi mobili. Castells li definisce: comunità insorgenti istantanee. - Problemi d’accesso e trasparenza dell’informazione Great Firewall China sistema di filtraggio di contenuti gestito dal governo cinese. Per rispondere a queste restrizioni attuate in alcune parti del mondo il parlamento islandese ha approvato la proposta di legge Immi ponendosi come porto franco per proteggere giornalisti, editori e utenti della rete di tutto il mondo, imponendo trasparenza alle amministrazioni pubbliche. Sorveglianza e controllo Le reti sono caratterizzate da uno stato di “partecipazione passiva” in cui la gran parte delle informazioni prodotte non è nelle mani degli utenti ma viene utilizzata da attori e al di fuori del loro controllo. Qualsiasi attività in rete lascia delle tracce che vengono raccolte e monitorate. I dati degli utenti sono infatti registrati per scopi di controllo o profitto. Questa forma di partecipazione passiva è creata da due processi: - la cattura dei dati, è un regime di controllo che usa le informazioni estratte dall’analisi delle interazioni e comportamenti in rete, per aumentare l’efficienza delle forme di produzione. Permette di modificare l’esperienza mediale degli utenti. - la sorveglianza, è invece un processo di raccolta e analisi dei dati da parte di attori pubblici o privati al fine di controllare il comportamento degli individui. La sorveglianza si basa su accordi con le imprese del web o sul controllo dell’infrastruttura della rete. È surrettizia, avviene in forma segreta e non percepibile. un ruolo importante nell’espansione della finanza. Le risorse intangibili, come flessibilità, innovazione e brand, vengono valutate direttamente sui mercati finanziari il loro valore infatti non è facilmente misurabile. Il brand può arrivare ad avere un valore più importante rispetto alle risorse tangibili (brevetti, impianti). In questo senso i mercati finanziari sono diventati molto importanti per la determinazione del valore delle risorse prodotte attraverso le nuove forme di collaborazione facilitate dai media. Lavoro e precarietà I media digitali sono legati a trasformazioni nelle dinamiche di lavoro e di consumo. A livello superficiale, questi cambiamenti sono legati all’emergere di nuove professioni direttamente connessi ai media digitali. Inoltre le professioni esistenti sono cambiate grazie all’integrazione dei computer e delle reti, e lo stesso vale per le attività di consumo che avvengono attraverso la rete, siti online. A livello più profondo occorre invece sottolineare che nell’economia dell’informazione, la creazione di valore si sposta dal controllo dei processi di produzione materiali e organizzazioni burocratiche verso i beni immateriali e la gestione di processi informali. In questo quadro si inserisce anche la tendenza verso una fusione progressiva tra le attività produttive e le attività di consumo. Con il termine “prosumer” s’intende l’unione del “consumer” e “producer” individui attivi nei processi di creazione, produzione e consumo. Un’accezione di questa unione è quella del Cluetrain Manifesto, in cui autori affermano che “i mercati sono conversazioni” cioè internet fornisce agli individui la possibilità di entrare in mercati virtuali in cui discutere attivamente dei prodotti es recensendo un libro su Amazon. Un approccio più efficace si riferisce al prosumer come all’individuo che durante il consumo o la socializzazione online, produce informazione che crea valore per l’impresa. Recensire su Tripadvisor, interagire con gli amici su facebook, diventa una versa forma di produzione. La diffusione del computer e delle reti hanno mutato radicalmente la natura del lavoro, dal lavoro manuale si passa all’ufficio, e si passa quindi a un’organizzazione resa più fluida, orizzontale e flessibile. Classe creativa, è un’espressione che si è diffusa negli anni ’90 e 2000, descrive le nuove forme di lavoro della conoscenza messe in atto da professionisti che lavorano nell’industrie creative, legate a media digitali. Secondo Richard Florida, le industrie creative nascono dalla presenza di una massa critica di esponenti della classe creativa. Inoltre le teorie sulla classe creativa si basano su presupposti contestati. Florida sostiene che jobs follow people, cioè basta attirare le persone con talento e creeranno aziende e lavoro. Queste persone non sono attratte dalle tre T di Florida (talento, tecnologia e tolleranza) ma piuttosto dalle tre S (sole, sobborghi e scuole). La creazione di valori intangibili tende ad avvenire l’impiego dei lavoratori freelance che non godono della sicurezza o della stabilità delle organizzazioni. I lavoratori perdono così i diritti quali la continuità del lavoro, pensione, ecc, mentre le aziende risparmiano sul costo del lavoro. Questi fenomeni di aumento della flessibilità o di precarizzazione hanno effetti diversi su diversi tipi di lavori: chi ha una condizione freelance può essere liberatoria; per chi possiede caratteristiche che si possono avere in massa il lavoro può essere schiacciante. Il lavoro digitale ha creato settori di lavoro organizzati tramite la rete. Un esempio è il crowdsourcing di Amazon, che si basa sull’aggregazione del lavoro di migliaia di individui pagati in base al numero di compiti svolti. Questi lavori, basati su compiti svolti, sono stati definiti microlavori. Le imprese della sharing economy si basano su un modello simile: organizzano il lavoro di migliaia di individui sottoposti al controllo dell’impresa. Alcuni teorici parlano della creazione di una nuova classe lavoratrice che non ha accesso al sistema dei diritti come nell’era industriale. Le nuove forme di lavoro tendono a far sfumare la differenza tra tempo di lavoro e tempo libero, in quanto la flessibilità richiede ai lavoratori di lavorare in qualsiasi momento in modo da rispondere alle esigenze dei clienti, questo è anche agevolato dal fatto che i media digitali permettono di essere sempre connessi in rete. Capitalismo digitale Il successo delle imprese che producono servizi online come Google, Amazon, Facebook è immenso, possiedono un capitale molto importante. Questi colossi della rete influenzano lo sviluppo del capitalismo globale tramite i propri investimenti, ad esempio Google investe in settori come biotecnologie, trasporti e hardware. Lo stesso Bill Gates parla di un “capitalismo senza frizioni” mediato dalle tecnologie in cui i flussi di capitale, informazione, merci e lavoro possano scorrere senza impedimenti causati da regole. In un certo senso il capitalismo preconizzato da Gates, corrisponde alla realizzazione del progetto di una società dell’informazione pienamente capitalista. Le teorie sono di matrice marxista, si sono affermate nella società dell’informazione e postfordista. L’accumularsi di teorie del capitalismo digitale, rappresenta un tentavo di spiegare l’evoluzione della società d’informazione. Dopo la crisi del 2008, molti autori si sono concentrati sulla finanziarizzazione dell’economia: i cicli del capitalismo sono soggetti a fasi di crisi in cui una finanza prende il sopravvento fino a quando un nuovo paradigma non riesce a emergere. Il tentativo di definire questo nuovo paradigma sfrutta le capacità comunicative degli individui. Con la definizione capitalismo delle piattaforme, si sottolinea la capacità del capitale contemporaneo di utilizzare le piattaforme web al fine di organizzare processi basati su forme di collaborazione sociale e ricavarne profitto. Queste teorie sono costruite sullo studio di forme di produzione della sharing economy. Il ruolo delle piattaforme come strumento per la creazione di profitto fa parte di un cambiamento tipico dell’emergere della società dell’informazione, cioè spostare i processi di produzione materiale a quelli immateriale basati sul controllo dell’informazione. Le imprese del capitalismo possiedono un servizio web in contatto con i clienti. Altri autori hanno parlato di un capitalismo comunicativo in cui le capacità affettive e comunicative rappresentano gli elementi principali della produzione capitalista. Un passaggio ulteriore è quello fatto dai teorici del capitalismo cognitivo, che sono influenzati dal “frammento sulle macchine”, in cui Marx aveva profetizzato forme di automazione che avrebbero liberato l’umanità dal lavoro. Secondo le teorie del capitalismo cognitivo, le tecnologie informatiche sviluppate dal capitalismo digitale sono costruite per sfruttare i processi cognitivi delle persone in rete. Le tecnologie quindi non sono neutrali, ma sono progettate per controllare il lavoro anche al di fuori dell’industrie. Diseguaglianze globali e sviluppo Nella società dell’informazione le risorse non sono ben distribuite. Il digital divide, o divario digitale, è la disparità tra chi ha accesso ai media e chi no. Questa divisione non si solo a livello di hardware, ma è più complessa. Questo divario è uno dei problemi più discussi nella società dell’informazione. La differenza nell’accesso ai media è considerata una fonte di disuguaglianze sociali ed economiche, dato che incide sulla possibilità degli individui di partecipare alla sfera pubblica in rete e alle economie basate sulla produzione di informazione. I principali problemi di accesso alla rete possono essere: aree geografiche, ostacoli di natura politica, classi sociali, sesso. Risolvere il divario digitale è uno degli obiettivi delle istituzioni internazionali. Uno dei primi punti di questi obiettivi è l’aumento della disponibilità delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, come premessa per ampliare le possibilità di cooperazione a livello globale. Però c’è sa sottolineare che il divario è andato a diminuire con la diffusione del pc. La maggior parte delle iniziative per colmare il divario digitale si basa sull’assunzione di fornire più accesso alle tecnologie dell’informazione, ciò permette di ridurre le differenze sociali ed economiche (es di iniziativa One laptop per Child) si proponeva di diffondere un pc a basso costo per i bambini di paesi in sviluppo. Inoltre, secondo molti autori lo sviluppo di un’economia basata sui media digitali può essere favorito dall’ampliamento dei beni comuni dell’informazione. L’enfasi in questo caso è sull’accesso all’informazione e non solo alle tecnologie. Quando si analizza il divario digitale bisogna tenere a mente il legame tra sviluppo e innovazione tecnologica. Secondo alcuni economisti lo sviluppo sarebbe convergente, cioè andrebbe in direzione di una maggiore uguaglianza tra paesi poveri e ricchi. I paesi poveri potrebbero colmare il divario grazie all’innovazione tecnologica, che sarebbe esogena. Seconda una visione opposta, lo sviluppo sarebbe divergente, e quindi l’innovazione sarebbe un fattore endogeno, cioè il risultato di scelte e investimenti da parte delle aziende e dei governi.