Scarica Introduzione alla filosofia del linguaggio e più Appunti in PDF di Filosofia del Linguaggio solo su Docsity! Introduzione alla filosofia del linguaggio 1. Il lavoro del filosofo del linguaggio Per Aristotele l’essere umano è un animale razionale, cioè capace di ragionamento. Ragionare significa dare ragioni, in una parola argomentare. Compito della filosofia è tenere viva la luce della ragione contro gli inganni che derivano dall’accettazione acritica di qualsiasi discorso. Nei suoi appunti degli anni ’30 Wittgenstein scriveva: “Filosofare è respingere argomentazioni erronee”. Ludwig Wittgenstein (1889-1951) era un ingegnere che si dedicò alla filosofia. Di per sé non vi è molto in comune tra filosofia e ingegneria. Agli ingegneri civili si chiede uno studio attento dei calcoli perché gli edifici non crollino. Calcoli sbagliati e materiali scadenti non sempre sono visibili a occhio nudo, ma si rivelano con il tempo nella fragilità dell’edificio. Qualcosa di analogo vale per i discorsi: anch’essi possono essere costruiti con materiali scadenti (bugie) o su calcoli sbagliati (argomentazioni errate). Occorre uno studio per riconoscere discorsi che non stanno in piedi. Il filosofo del linguaggio non si limita a chiedersi qual è il significato di una parola o di un enunciato, ma si domanda qual è il significato della parola significato. La filosofia del linguaggio si trova al confine tra logica e linguistica, e cerca soprattutto di analizzare le argomentazioni a favore e contro le diverse visioni del significato che di volta in volta vengono proposte. 2. Definizione di argomentazione in filosofia Un’argomentazione è un ragionamento che tende a dimostrare una tesi in modo persuasivo sulla base di ragioni (premesse o assunzioni), usando regole o schemi riconosciuti. Sulla base di ragioni vuol dire che una vera conclusione non può darsi per caso, ma deve seguire ragioni presentate in un certo ordine. Le ragioni si connettono secondo regole accettate e tali da garantire la verità. Gli assiomi, o assunzioni, costituiscono il punto di partenza del ragionamento, ciò che è assunto come vero. Le regole di inferenza sono le regole che permettono di passare dalle assunzioni (premesse) alle conclusioni. Si usa il termine inferenza, infine, per parlare dell’azione del passare dalle premesse alle conseguenze secondo regole, o della struttura di questo passaggio. In questo secondo senso si parla di schemi di inferenza. Di solito seguiamo regole di inferenza implicitamente, senza renderci conto di quali regole stiamo seguendo. Parte del lavoro dei logici consiste nel renderle esplicite. Un esempio di regola di inferenza è la regola del Modus Ponens: se p allora q, p, dunque q. Le prime due righe costituiscono le premesse; la terza, la conclusione. Si suole distinguere tra argomentazioni deduttive e induttive, a seconda se le premesse possono portare a una conclusione certa o probabile. Anche se molti nostri ragionamenti sono incerti, e quindi seguono l’argomentazione induttiva, per semplicità parleremo di argomentazioni deduttive. • L’argomentazione valida (valid) è un argomentazione in cui è non è possibile che la conclusione sia falsa e le premesse vere (la conclusione è conseguenza logica delle premesse: segue neces-sariamente). • L’argomentazione corretta (sound) è valida e fondata, con premesse vere. Un argomentazione buona (good) è corretta, ma anche psicologicamente plausibile e convincente. Per contro, si usa il termine generico “cattiva argomentazione” per parlare di un argomentazione scorretta o invalida. Un argomentazione invalida è un argomentazione la cui conclusione non segue necessariamente delle premesse. • Un argomentazione scorretta è un argomentazione invalida o con premesse false. Un argomentazione fallace è infine un argomentazione che sembra corretta ma non lo; scorretta ma anche psicologicamente plausibile e convincente. E’ importante distinguere validità e verità. Se le premesse sono false un’argomentazione può avere una conclusione falsa eppure essere valida. Ad es. gli italiani sono mafiosi, i milanesi sono italiani, i milanesi sono mafiosi. Allo stesso tempo, un’argomentazione non valida può avere conclusioni vere: es: gli italiani sono mafiosi, i milanesi sono mafiosi, i milanesi sono italiani. Nel primo caso, anche se la conclusione è fattualmente falsa (basta un solo milanese non mafioso per renderla falsa, l’argomentazione è valida perché segue delle premesse. Se queste fossero vere, la conclusione sarebbe vera. Nel secondo caso, la conclusione è vera, ma il ragionamento non sta in piedi. Dobbiamo essere interessati non solo alla soluzione, ma a come ci si arriva. La dimostrazione ci dà la garanzia di mantenere la verità attraverso il ragionamento. Dobbiamo di-stinguere: • la ricerca della verità delle singole proposizioni; • la ricerca della validità degli argomenti. 3. Forma degli argomenti e fallacie in filosofia Fin da Aristotele si è cercato di distinguere argomentazioni valide e invalide individuando la loro forma. Perquesto la logica, fin dai suoi tempi, viene chiamata logica formale. Per respingere le argomentazioni scorrette, una strategia è fornire un controesempio. vuol dire applicare lo stesso schema di argomentazione usato nell’esempio che pare convincente; produrre con questa forma, a partire da premesse vere, una conclusione palesemente falsa. Ad es. gli italiani sono europei, i francesi sono europei, gli italiani sono francesi. Consideriamo: o Pippo ha la patente oppure gli è proibito guidare in autostrada; Pippo non ha la patente; gli è proibito guidare la macchina. Esso è corretto, poiché la prima premessa è vera dato che le due proposizioni sono mutuamente esclusive: se una è vera, l’altra è falsa e viceversa. Consideriamo ora: o si taglia lo stato sociale oppure l’economia crolla, non si taglia lo stato sociale,l’economia crolla. Anche questo esempio è valido (se la prima premessa fosse vera, la conclusio-ne sarebbe vera) ma è infondato. E’ quello che si usa definire un falso dilemma. Infatti non è detto che la prima premessa sia vera, dato che le due proposizioni non sono mutuamente esclusive. Molti discorsi di politici o venditori usano tale schema di ragionamento, che sembra fondato perché nasconde le alternative. Il tipico slogan è: “o compri il prodotto SUPER-X o ti accontenti di prodotti scadenti; ti accontenti di prodotti scadenti? No! Quindi compera il SUPER-X!”. Le cose si fanno difficili quando un ragionamento che non sta in piedi sembra starvi. La falsità può così smasche-rarsi con dati empirici; la scorrettezza dell’argomentazione può smascherarsi con controesempi. 4. Logica, argomentazione e analisi nella filosofia del linguaggio Il punto di partenza di una nuova attenzione agli inganni del linguaggio comune si trova in Gottlob Frege, che come Aristotele vede nella logica uno strumento utile a chiarire confusioni concettuali. Il progetto di Frege si è in parte realizzato poichè alcune idee sono fallite, come quella di fondare la matematica sulla logica in base al suo linguaggio ideografico. In compenso, Frege ha scoperto un intero continente intellettuale: la nuova logica e i problemi della filosofia del linguaggio. I filosofi dopo di lui, Russell, Wittgenstein e Carnap hanno usato la logica come strumento di lavoro. Diverse ambiguità del linguaggio hanno trovato chiarificazione. Tradizionalmente si distinguono due correnti di pensiero nella filosofia del linguaggio: 1. I filosofi dei linguaggi formali che cercano, attraverso la formalizzazione, di ricostruire i linguaggi scientifici o cercano una formalizzazione dello stesso linguaggio comune (Russell, il Wittgenstein del Tractatus, Carnap, Reichenbach, Montagne); 2. I filosofi del linguaggio ordinario che cercano, attraverso le analisi degli usi correnti, di mo-strare la ricchezza e varietà del linguaggio, ma anche come alcuni problemi della filosofia pos-sano derivare da fraintendimenti linguistici (il secondo Wittgenstein, Austin, Ryle, Strawson). La contrapposizione era molto viva nella prima metà del ‘900 e si è andata attenuando. Ma qualcosa della vecchia contrapposizione rimane vivo in quella che negli anni ’50 Strawson chiamava battaglia omerica, uno scontro tra due opposte fazioni: • chi privilegia lo studio del significato oggettivo degli enunciati determinato dalla loro struttura logica: questo atteggiamento è il paradigma dominante della filosofia del linguaggio; • chi privilegia lo studio delle intenzioni del parlante come punto di partenza per definire il significato delle espressioni linguistiche, privilegiando la pragmatica sulla semantica. La sua idea era sviluppare la logica come strumento per analizzare i linguaggi scientifici e il linguaggio naturale. La storia della logica occidentale è segnata dalla frattura tra due stili e due sistemi: • da una parte la logica stoica degli enunciati o proposizioni si occupava dei rapporti tra proposizioni. Gli stoici studiarono ciò che oggi chiamiamo connettivi logici, le parole che connettono enunciati o proposizioni, in particolare il condizionale “se…allora”. • dall’altra quella aristotelica dei termini si occupava soprattutto dei rapporti tra i termini. Alla base del suo lavoro sta la definizione di predicazione: qualcosa si predica di qualcos’altro quando due termini si posso-no unire tra loro con la copula (è); ad es. uomo e mortale. Oltre a questo, individua come carat-teristico del ragionamento l’uso di enunciati affermativi e negativi, siano essi universali o particolari. Sulla base di queste idee, Aristotele sviluppò la teoria del sillogismo, sinonimo di ragionamento. Il tipico sillogismo è costituito da tre termini distribuiti in due premesse e nella conclusione. Nelle due premesse vi è un termine in comune (termine medio). La conclusione mette in relazione gli altri due termini contenuti nelle premesse. 10. Le origini della semiotica L’inventore della semiotica fu Charles S. Peirce (1839-1914). Un segno è qualcosa che sta al posto di qualcos’altro. E’ d’uso, nella tradizione semiotica, presentare un modello di funzionamento dei segni con il triangolo semiotico o semantico: s segno <-> idea <-> cosa. Per Peirce l’intermediario tra i segni e le cose è l’interpretante, o un altro segno usato per interpretare il segno dato. A Peirce si deve una prima classificazione generale dei tipi di segni: a. icona un segno che assomiglia all’oggetto che intende rappresentare (ad es. un dipinto); b. indice un segno che è collegato di-rettamente (o causalmente) a ciò che rappresenta (il fumo è segno del fuoco); c. simbolo un segno che è astratto da ogni relazione concreta con il rappresentato, ma dipende da una convenzione. Per ogni tipo di segno vale la distinzione tra • type è un tipo di segno, • token è una replica ooccorrenza di un segno. La replica è la riproduzione fisica di segni. La distinzione è evidente con espressioni come io o tu: ogni parlante può usare questo tipo di espressioni, ma ogni replica di questa espressione in bocca a parlanti diversi si riferirà a persone diverse. Negli USA le tradizioni peirceana e fregeana si incontrano in Morris e Carnap. Essi riconoscono l’importanza della semiotica generale, suddivisa in tre campi: 1. sintassistudio del rapporto dei segni con altri segni; 2. semantica studio del rapporto dei segni con gli oggetti; 3. pragmatica studio del rapporto dei segni con i parlanti. La semiotica considera i segni come facenti parte di un codice o sistema. Nel Penco non si studiano i sistemi di segni non linguistici (come le danze delle api). 11. Linguistica saussuriana: langue/parole Per Ferdinand de Saussure (1857-1913), la lingua non è solo un sistema di vocaboli, ma è prima di tutto una struttura, in cui ogni elemento ha un ruolo e un posto ben definito. La lingua, altresì, è un prodotto sociale e un insieme di convenzioni. Lo studio della lingua (langue) come insieme sistematico deve essere distinto dallo studio dei proferimenti linguistici occasionali (parole). Il segno linguistico è un’entità a due facce che lega signifiant e signifié, espressione linguistica e contenuto concettuale. Esso è arbitrario e convenzionale. La linguistica teorica non deve occuparsi del rapporto della lingua con oggetti extralinguistici ma della sintassi, dei rapporti orizzontali tra i segni linguistici, e della morfologia, dei rapporti associativi tra gli elementi del lessico. La semantica riguarda l’organizzazione peculiare del lessico di una lingua. Qui il concetto di struttura o sistema ha un grande rilievo. Se è vero infatti che la lingua è un sistema, ogni espressione (significante) e ogni contenuto (significato) ha un valore all’interno del sistema della lingua. Il valore oppositivo dipende dal fatto che ogni voce del lessico ha un suo posto nel sistema linguistico, cioè nell’insieme delle altre voci del lessico. Ad esempio, in spagnolo [b] e [v] non fanno differenza rilevante; è diverso in italiano dove parole come baro e varo riguardano ora il gioco delle carte, ora l’immissione delle navi in mare, e hanno quindi significato diverso. Ciò vale anche a livello semantico: le voci del campo lessicale legato a albero/bosco/legno/foresta hanno diverso valore nel sistema tedesco e francese, come si vede dallo schema di Hjelmsev. Ogni comunità linguistica sviluppa in modo diverso la terminologia di un campo concettuale. Dopo anni si sono sviluppati vari modi di concepire lo studio dei significati delle voci lessicali: come studio dei vari modi in cui le lingue strutturano il mondo; come studio dei modi in cui lo stesso campo concettuale è strutturato in varie voci. La prima ipotesi rispecchia il punto di vista strutturalista; con la seconda si ammette che esistano componenti concettuali comuni alle specie umana. Idee di questo tipo sono alla base della semantica dei frames di Charles Fillmore. I frames sono strutture concettuali che diventano principi di organizzazione del lessico. Uno dei modi più diffusi di analisi della struttura del lessico è stata l’analisi componenziale, cioè la scomposizione dei significati delle parole in elementi minimi di significato chiamati tratti semantici o primitivi semantici. 12. Logica e linguistica di Chomsky: competenza/esecuzione Logica e linguistica di Chomsky: competenza/esecuzione La linguistica di Saussure ha dato origine in Europa a una rivoluzione dal nome di strutturalismo. Mentre in Europa essa si sviluppava, negli USA si faceva strada un’altra rivoluzione in linguistica con Noam Chomsky. Chomsky condivideva l’idea di Saussure per cui la lingua non è un semplice elenco di vocaboli ed è dotata di una sua struttura, ma tra i due progetti vi è una grossa differenza. La linguistica strutturalista riguarda il sistema della lingua come sistema determinato socialmente e strutturato di componenti del lessico (semantica). La linguistica generativa, invece, riguarda la facoltà del linguaggio intesa come capacità mentale individuale e innata e come sistema sintattico. Alla distinzione langue/parole di Saussure, Chomsky contrappone così la distinzione competenza/esecuzione. La competenza riguarda invece la capacità di produzione di frasi ben formate. L’esecuzione riguarda la produzione effettiva di frasi della lingua. Per Chomsky la linguistica studia la competenza e le regole innate che permettono di generare le infinite frasi della lingua. Tale insieme di regole spiega la creatività linguistica, la capacità di costruire un numero potenzialmente infinito di frasi grammaticali con un vocabolario limitato, seguendo le regole. Tali regole generano le frasi nucleari della lingua e trasformano queste frasi in altre frasi più complesse. Chomsky presenta un sistema formale in cui il vocabolario è costituito dalle voci lessicali e dai simboli teorici: F = Frase, GN = gruppo nominale, GV = gruppo verbale, V = verbo, N = nome, Art = articolo. Le regole di formazione delle frasi grammaticali vengono chiamate da Chomsky regole di riscrittura perché indicano come riscrivere un simbolo con un altro simbolo. L’albero consente anche di disambiguare le frasi ambigue. Ad esempio, una vecchia porta la sbarra può essere letto in due modi. La struttura profonda regge la parte generativa della grammatica, generando la struttura superficiale. Forma fonetica e forma logica sono le interfacce che danno istruzioni per tradurre in suoni la frase e per definire l’interpretazione semantica. Anche se le idee di Chomsky hanno avuto diversi sviluppi, alcune sono rimaste costanti attraverso i cambiamenti di teoria: l’idea di diversi livelli linguistici, sintassi, fonologia e semantica. I meccanismi innati che permettono l’acquisizione della lingua consentono anche di spiegare il prodigioso sviluppo del linguaggio nei bambini che non possono aver appreso per la semplice imitazione frasi mai udite prima. Tali meccanismi innati costituiscono la competenza del parlante. 13. Semiotica: Boole George Boole inventò l’algebra della logica, un formalismo le cui regole erano valide sia per la matematica che per la logica. Nel libro Le leggi del pensiero (1864) così definisce le leggi universali dei simboli che valgono per tutte le interpretazioni: xy = yx (proprietà commutativa del prodotto); x+y = y+x (proprietà commutativa dell’addizione); z(x+y)=zy+zx (proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione); z(x-y)=zx-zy (proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto alla sottrazione); se x=y allora zx=zy, z+x=z+y, x-z=y-z (sostitutività di elementi uguali rispetto a moltiplicazione, addizione e sottrazione); x =x (legge degli indici). Boole la spiega ricordando che essa vale in aritmetica binaria. 14. Senso e riferimento di nomi e predicati in Frege La distinzione tra senso e riferimento (o denotazione) è sviluppata da Frege in uno dei suoi saggi più famosi, Uber Sinn und Bedeutung, discutendo il concetto di identità. L’identità è un rapporto tra oggetti o tra segni. Entrambe le risposte non riescono a spiegare però la differenza di valore conoscitivo tra a=a e a=b o, per fare l’esempio di Frege, tra “la Stella del mattino = la Stella del mattino” e “La Stella del Mattino = la Stella della Sera”. Le espressioni indicano entrambe Venere. Da un lato, non basta dire che, dato che le due espressioni si riferiscono allo stesso oggetto, l’identità riguarda l’oggetto stesso. a = a è infatti una verità analitica a priori, a = b esprime un giudizio sintetico a posteriori, tale che accresce la nostra conoscenza e richiede esperienza. D’altra parte, però, non basta nemmeno dire che l’identità è un rapporto tra etichette attribuite allo stesso oggetto perché il valore cognitivo non riguarda solo la scelta arbitraria di termini intercambiabili. L’uso dell’uguaglianza tra i nomi è il risultato di una scoperta dovuta a studi astronomici . Per spiegare la differenza tra a=a e a=b Frege considera un terzo elemento oltre al nome e allo oggetto, e cioè il modo di presentazione dell’oggetto. Il senso di un termine singolare è il modo di presentazione dell’oggetto cui il termine si riferisce. Frege distingue tra il segno o espressione linguistica; il senso o modo di presentazione dell’oggetto, il riferimento cioè l’oggetto stesso. Si è soliti parlare di antipsicologismo e per capirlo occorre ricordare un’altra distinzione di Frege tra: • La rappresentazione o immagine mentale che si as-socia a un’espressione linguistica riguarda la vita psichica e varia da individuo a individuo. • Il senso è invece oggettivo, esprimibile in un linguaggio, afferrabile e condivisibile per tutti. Ad es. animale razionale e bipede implume sono lo stesso concetto, ma il modo di presentarlo è diverso. 15. Senso e riferimento di enunciati: il pensiero in Frege Frege definisce pensiero il senso di un enunciato e valore di verità il suo riferimento. Egli arriva a queste due definizioni con due argomenti differenti. Una persona può credere che sia vero che la Stella del mattino è un pianeta, e allo stesso tempo credere che sia falso che la Stella della sera è un pianeta. Questi due enunciati rappresentano dunque pensieri diversi. Nei due enunciati di diverso vi è dunque solo l’espressione Stella della sera e Stella del mattino, espressioni con stesso riferimento e con diverso senso. Se i due enunciati rappresentano pensieri diversi, e l’unica differenza tra i due enunciati è il loro avere espressioni con lo stesso riferimento e diverso senso, è ragionevole identificare i pensieri con i sensi degli enunciati. Inoltre, Frege si domanda che differenza passa nel considerare “Ulisse sbarcò a Itaca” nel caso in cui Ulisse si riferisca a un individuo in carne a ossa o sia un nome di invenzione poetica. Vi sono due casi: Nel linguaggio naturale troviamo questa funzione nelle espressioni dimostrative come questo e quello. Questa differenza richiama una tesi epistemologica di Russell per cui occorre distinguere tra conoscenza per descrizione, che individua un oggetto in quanto caratterizzato da certe proprietà, e conoscenza diretta, che individua un oggetto direttamente, a prescindere dalle sue proprietà. Consideriamo la frase: “l’attuale re di Francia è calvo”. In questo enunciato abbiamo una descrizione definita Per Frege essa non sarebbe né vera né falsa perché non esiste alcun attuale re di Francia, essendo la Francia una repubblica. Tradotto in linguaggio naturale la forma logica della frase, si traduce in un complicato “Esiste un qualcuno tale che è l’attuale re di Francia e chiunque sia attuale re di Francia allora è uguale a costui e costui è calvo”. Questo enunciato è falso. Infatti è falso che esista un attuale re di Francia e questa falsità rende falso l’intero enunciato. Un apparente problema a questa soluzione russelliana è che se il re di Francia è calvo è una proposizione falsa, la sua negazione dovrebbe essere vera; ma se il re di Francia non è calvo fosse vera, questo presupporrebbe l’esistenza del re di Francia. Quine elabora una radicalizzazione della strategia di Russell, sostituendo ai nomi descrizioni defi-nite, usando predicati costruiti sui nomi stessi; ad es. il termine Pegaso è sostituito con “l’unico x che pegasizza”. Russell e Quine, raggiungono l’obiettivo di salvare la bivalenza: tutti gli enunciati del linguaggio, compresi gli enunciati con termini non denotanti, hanno sempre un valore di verità. 23. I nomi del Tractatus e la teoria dell’immagine Wiitgenstein è uno dei filosofi più famosi del ‘900. Il Tractatus e le Ricerche filosofiche sono alla origine di due scuole filosofiche opposte, il neopositivismo del Circolo di Vienna degli anni ’20 e la filosofia del linguaggio ordinario nata a Oxford negli anni ’40. Nel Tractatus, egli sviluppa le idee di Frege e Russell realizzando una versione linguistica del problema kantiano dei limiti del pensiero: i limiti del pensabile sono i limiti del dicibile (“Ciò di cui non si può parlare si deve tacere”). Riprendendo Frege, Wittgenstein osserva che ogni discussione sui nomi deve partire dal ruolo che essi svolgono nell’enunciato. Nel Tractatus troviamo due teorie degli enunciati che si sostengono a vicenda: • la teoria dell’enunciato come immagine, • la teoria dell’enunciato come funzione di verità. L’enunciato però non possiede una forma specifica di raffigurazione, ma come tutte le immagini ha qualcosa in comune con la situazione rappresentata. Infatti, diversi tipi di immagine hanno in comune con la realtà certi aspetti della propria forma di raffigurazione (la scultura gli aspetti tridimensionali, la pittura i colori, il disegno le proporzioni). L’enunciato, cioè l’immagine costituita da simboli, non può condividere con la realtà questi aspetti concreti ma deve pur sempre avere qualcosa in comune con essa: ovvero la sua forma più astratta, la sua forma logica. Pur richiamandosi spesso a Frege, Wittgenstein rifiuta alcune sue tesi, in particolari che i nomi abbiano sia un senso che un riferimento. Egli infatti sostiene che i nomi si riferiscano direttamente agli oggetti, senza alcuna mediazione concettuale. Wittgenstein indica inoltre il compito di arrivare a enunciati analizzati nelle loro componenti ultime, enunciati atomici o elementari. 24. Rivelare la forma logica: il concetto di senso e l’ontologia per Wittgestein Wittgenstein nota che la forma logica venga travestita nel linguaggio comune da convenzioni che impediscono di coglierla chiaramente; compito del logico è mostrare la forma logica del linguaggio. Un esempio è l’analisi del verbo essere. Nelle lingue indoeuropee le convenzioni ci permettono di capirci, sebbene il verbo essere assolva la triplice funzione di copula, identità ed esistenza. Vi sono lingue, come cinese o russo, che hanno una struttura priva di un verbo essere tuttofare, tipico delle lingue indoeuropee. Consideriamo: ogni Francese è gioviale (inclusione); Abelardo è francese (appartenenza); Aldo è il re di Francia (identità); vi è almeno un francese (esistenza). Se per Wittgestein i nomi non hanno senso ma solo riferimento, d’altronde gli enunciati hanno un sen-so. L’enunciato mostra il suo senso, come stanno le cose se è vero, e dice che stanno così. Una concatenazione di nomi è l’immagine di uno stato di cose. Uno stato di cose può sussistere o non sussistere. Gli enunciati sono immagini di situazioni possibili. E questo fa capire come si possa dire il falso: dire il falso è proferire un enunciato che rappresenta uno stato di cose che non sussiste. Occorre dunque distinguere, tra i possibili stati di cose, quelli che sussistono, i fatti. Il mondo è l’insieme dei fatti, cioè degli stati di cose sussistenti, che corrispondono agli enunciati veri. Gli oggetti, che pure sono la sostanza del mondo, non formano ancora un mondo. Domenico Valenza Sezione Appunti Introduzione alla filosofia del linguaggio Pagina 26 di 45 25. Linguaggio naturale e forma logica: atomismo logico Frege ritiene che il linguaggio naturale sia fuorviante perché inevitabilmente imperfetto, e che solo un linguaggio simbolico diverso, artificiale possa evitare le ambiguità e gli inganni tipici del linguaggio comune. Russell suggerisce una diversa idea: il linguaggio comune, una volta correttamente interpretato, rivela una forma logica sottostante che lo disambigua. Tale idea di Russell è considerata molto importante da Wittgenstein: il linguaggio è in ordine così com’è. Se ci inganna o ci appare ambiguo è perché la sua essenza o la sua vera forma logica ci sono nascoste. Le tacite intese della comunicazione ci impediscono spesso di capire la vera forma logica di ciò che diciamo. L’analisi del linguaggio dovrebbe portare all’individuazione della forma logica delle proposizioni non riducibili, le proposizioni atomiche. Tale teoria, sviluppata dopo Russell e Wittgenstein dai primi neopositivisti viene chiamata atomismo logico, ricordando come le molecole vengono costruire a partire dagli atomi. Così, analogamente, la logica dovrebbe trovare una scrittura simbolica che permetta di descrivere come le proposizioni complesse vengono costruire a partire da proposizioni elementari o atomiche. Si chiarisce così il ruolo del lavoro del logico: dare lo scheletro del linguaggio. Domenico Valenza Sezione Appunti Introduzione alla filosofia del linguaggio Pagina 27 di 45 26. Significato come condizioni di verità per Wittgenstein Per il principio di composizionalità di Frege, il valore di verità degli enunciati composti dipende dal valore di verità degli enunciati componenti. Nel Tractatus Wittgenstein definisce questa idea con le tavole di verità, un metodo per cui, dato il valore di verità degli enunciati componenti, è sempre possibile decidere in un numero finito di passi qual è il valore di verità degli enunciati composti. Nella prima colonna con i simboli p e q in alto, vi sono le quattro possibilità di Vero/Falso degli enunciati p e q. Possiamo chiamare queste quattro possibilità stati di cose o situazioni possibili, o come dirà in seguito Carnap mondi possibili. Nelle altre tre colonne abbiamo enunciati composti, ove il connettivo indica il modo di composizione; nel nostro caso e, o, se…allora. Con la teoria delle funzioni di verità si definisce la visione estensionale della logica, detta estensionale perché il valore di verità di un enunciato è chiamato anche la sua estensione. Per il principio di funzionalità, l’estensione di un enunciato è funzione dell’estensione delle parti componenti. Il Tractatus rappresenta anche il primo tentativo compiuto di individuare un altro aspetto, intensionale, della semantica, il concetto di senso come condizioni di verità. Wittgenstein correla, come Frege, senso e comprensione e asserisce che capire un enunciato è capire a quali condizioni è vero; il senso di un enunciato consiste nelle sue condizioni di verità. Tale concezione del senso vale per enunciati atomici e composti; conosco il senso di un enunciato se so cosa accade se è vero. La tavola di verità esprime le condizioni per cui l’enunciato è vero. La logica rende rigorose le definizioni dei connettivi e permette un accordo preciso sul loro significato. Domenico Valenza Sezione Appunti Introduzione alla filosofia del linguaggio Pagina 28 di 45 27. Senso, nonsenso e verifica per Wittgenstein Nel Tractatus, Wittgenstein distingue tra enunciati sensati, privi di senso e insensanti. Gli enunciati sensati sono enunciati dotati di senso, che descrivono stati di cose. Gli enunciati privi di senso sono quelli della logica che non descrivono alcunché. Essi sono sempre veri (tautologie: piove o non piove) o falsi (contraddizione: piove e non piove) indipendentemente da come stanno le cose. Gli enunciati insensati sono infine gli enunciati della filosofia, dell’etica, dell’estetica e della metafisica che non descrivono alcunché. Gli enunciati della metafisica pretendono di descrivere il mondo e quindi sono fuorvianti. Gli enunciati della filosofia sono invece un nonsenso palese, secondo Wittgenstein occorre dire ciò che si può dire, tacere di ciò di cui non si può parlare. La sua conclusione è un ascetismo linguistico che non ha pari nella filosofia contemporanea. Il neopositivismo o positivismo logico accomuna diversi studiosi di lingua tedesca che si riunivano a Vienna e Berlino. Questa corrente di pensiero avrà fecondi sviluppi anche negli Stati Uniti, dove diversi appartenenti al neopositivismo (Carnai, Tarski) emigreranno a causa del nazismo. Fin dall’inizio delle riunioni al Circolo di Vienna, i neopositivisti accolgono con entusiasmo l’opera di Wittgenstein. La lezione del Tractatus, nelle loro mani, si trasforma nel progetto di una nuova teo-ria del significato. Inizialmente la tendenza era il riduzionismo: gli enunciati scientifici si possono ridurre, in linea di principio, a enunciati di osservazione diretta (protocollari) e formule logiche. Per Wittgenstein comprendere un enunciato significa sapere accade se esso è vero. Egli identifica significato e condizioni di verità, ma non discute del problema di eventuali metodi di verifica: da logico non si interessa all’accesso epistemico. I neo positivisti danno invece un’interpretazione forte a questa idea: sapere cosa accade è per loro saper verificare la verità dell’enunciato. Il principio di verificazione è riassumibile in uno slogan che si trova in alcuni scritti posteriori di Wittgenstein e anche nell’opera di Moritz Schlick (1882-1936): il significato di un enunciato è il metodo della sua verifica. Questa revisione della definizione del significato come condizioni di verità verrà chiamata da Quine teoria verificazionista del significato. Il principio di verificazione divenne un criterio che avrebbe dovuto risolvere il problema della demarcazione tra scienza e non scienza. In proposito, Popper è noto per aver sostituito il principio di verificazione con il principio di falsificazione: una teoria è scientifica se è possibile falsificarla. Tale principio subirà fin dall’inizio profonde trasformazioni. Con Carnap si passerà a una versione in termini di probabilità; i dati empirici non possono confermare o falsificare definitivamente un enunciato, ma possono aumentare o diminuire la probabilità che esso sia vero. La teoria verificazionista del significato sarà poi criticata da Quine, che contribuirà a rafforzare una visione empirista, priva dei dogmi dei primi neopositivisti. Domenico Valenza Sezione Appunti Introduzione alla filosofia del linguaggio Pagina 29 di 45 28. Tarski e l’idea di semantica come teoria dei modelli Tarski lascia in eredità la funzione interpretazione, che interpreta un’espressione in un dominio D, un insieme di oggetti ben definito. La funzione interpretazione assegnerà come estensione a un termine singolare un individuo, a un predicato una classe, a un enunciato un valore di verità. Tarsky definisce poi la nozione di modello, una coppia composta da un dominio e una funzione interpretazione. Per parlare di verità di un enunciato occorre sempre specificare sia il dominio D sia la funzione interpretazione I. Espressioni uguali possono avere interpretazioni differenti in domini differenti, ma anche nello stesso dominio. La semantica formale è dunque una teoria che specifica le condizioni di verità per gli enunciati di un linguaggio. Ogni definizione di verità deve essere sia formalmente corretta, sia materialmente adeguata. A questo proposito Tarski individua una condizione di adeguatezza formale e materiale. Questa condizione è chiamata Convenzione T (da Truth). Essa si basa sulla distinzione tra linguaggio oggetto e metalinguaggio, una riformulazione della distinzione tradizionale di uso e menzione. Prendiamo un enunciato dell’inglese, snow is white (in questo caso l’inglese è il linguaggio oggetto). Tarski si domanda a quali condizioni questo enunciato è vero. Usando come metalinguaggio l’italiano, diremo che snow is white è vero se e solo se la neve è bianca. Concludiamo dunque che secondo la Convenzione T ogni teoria della verità è formalmente corretta e materialmente adeguata se si possono derivare tutti i bicondizionali del tipo: l’enunciato N è vero se e solo se E. N sta per il nome di un enunciato del linguaggio che si vuole analizzare (il linguaggio oggetto) ed E sta per la sua traduzione nel metalinguaggio. Il primo a sviluppare le idee di Tarski e a discuterle è stato Rudolf Carnap nel saggio Significato e necessità, ove il filosofo intende applicare la semantica formale anche al discorso modale. Domenico Valenza Sezione Appunti Introduzione alla filosofia del linguaggio Pagina 30 di 45 29. Carnap: estensione, intensione e il significato cognitivo Rudolf Carnap (1891-1970), studente di Frege a Jena, inizia una ridefinizione dei concetti semantici di base. Diversi autori hanno distinto, con diversa terminologia tra estensione di un concetto, ovvero la classe di oggetti che cadono sotto il concetto; e intensione di un concetto, ovvero la proprietà o l’insieme di proprietà condivise dagli oggetti che cadono sotto il concetto. Maggiore è l’estensione minore l’intensione. I quadrupedi sono un’ampia classe caratterizzata dall’essere animali con quattro gambe. I cani sono una sottoclasse dei quadrupedi e hanno un numero maggiore di proprietà specifiche. Per mondo possibile si intende uno stato del mondo che può essere diverso dal mondo reale. Carnap riscrive in termini di intensione ed estensione ciò che Frege aveva espresso in termini di senso e riferimento. Dal punto di vista generale, parlare di estensione è parlare di individui, classi e valori di verità, parlare di intensione è parlare di concetti individuali, proprietà e proposizioni. Ogni espressione del linguaggio formale ha una intensione e una estensione: l’estensione di un termine singolare è un individuo, la sua intensione una funzione da mondi possibili a individui: un concetto individuale; l’estensione di un predicato è una classe, la sua intensione una funzione da mondi possibili a classi: una proprietà; l’estensione di un enunciato è un valore di verità, la sua intensione una funzione da mondi possibili a valori di verità: una proposizione. L’intensione è dunque una funzione da mondi possibili a estensioni; l’intensione di un enunciato è una funzione da mondi possibili a valori di verità (l’insieme dei mondi possibili in cui esso è vero). Infine, due distinguere se un atto richiede di adattare il mondo al linguaggio, come un comando, o richiede che il linguaggio si adatti al mondo, come una descrizione. Discutendo i criteri per la classificazione, Searle ha distinto tra due tipi di regole che governano gli atti linguistici: le regole costitutive, che definiscono il tipo di gioco che si sta giocando (le regole degli scacchi), le regole regolative, che suggeriscono come comportarsi (come impostare e sviluppare strategie di una partita). Tale distinzione riproduce quella tra colpi a vuoto e abusi. Domenico Valenza Sezione Appunti Introduzione alla filosofia del linguaggio Pagina 38 di 45 37. Atti linguistici: problemi di formalizzazione nella filosofia del linguaggio Altri autori rivolgono una critica radicale a Austin e a ogni classificazione dettagliata degli atti linguistici, seguendo per certi versi la strada di Wittgenstein che vedeva nella dipendenza del significato dal contesto un ostacolo insormontabile a una vera e propria classificazione. Levinson sostiene che una classificazione dettagliata degli atti linguistici è un’impresa poco utile dal punto di vista linguistico, perché il tipo di forza illocutoria è troppo dipendente dal contesto. Si potrebbero dunque considerare i tre atti linguistici fondamentali (asserzione, domanda, ordine) e lasciare al contesto il compito di disambiguare il significato dei nostri proferimenti. Per Rechenbach ognuna di queste forze illocutorie deve essere espressa da segni del simbolismo logico, segni che, assieme al segno di asserzione di Frege, richiamino i segni usuali della lingua parlata (per l’ordine !- e per la domanda ?-). Ricordando che il senso è identificato con le condizioni di verità, possiamo dire che con la domanda ci chiediamo se le condizioni di verità sono soddisfatte, con l’ordine comandiamo che vengano soddisfatte e con l’asserzione asseriamo che sono soddisfatte. Il tentativo di Reichenbach, precedente ad Austin, non ha avuto grandi sviluppi. A prescindere dalle possibili soluzioni, resta comunque ferma l’idea che non è possibile pensare a una teoria del significato che non abbia tra le sue componenti una teoria della forza. Domenico Valenza Sezione Appunti Introduzione alla filosofia del linguaggio Pagina 39 di 45 38. Classificazione degli atti linguistici in Austine e Searle In Austin, la classificazione è basata sui performativi espliciti (alla prima persona): - verdettivi; emissione di un giudizio basato su ragioni o prove (giudico, calcolo, stimo, ecc.); - esercitivi; esercizio di poteri, diritti (ordino, nomino); - commissivi; impegno del parlante a una certa linea d’azione (prometto, propongo, ecc.); - comportativi; comportamento sociale in relazione ad azioni o eventi (ringrazio, mi scuso); - espositivi; organizzazione di un discorso (asserisco, affermo, nego, ecc.). Searle fa invece una classificazione in grandi classi d’azione basata su tre categorie: - scopo illocutorio: asserzione ( ), comando (!), impegno (C), espressione (E), dichiarazione (D); - direzione di adattamento: = direzione dal linguaggio al mondo, = dal mondo al linguaggio; - condizioni di sincerità; sulla scia di quelle di Austin: assertivi, direttivi, commissivi, espositivi e dichiarativi Domenico Valenza Sezione Appunti Introduzione alla filosofia del linguaggio Pagina 40 di 45 39. Intelligenza artificiale e semantiche procedurali nella filosofia del linguaggio L’idea che pensare sia fare inferenze porta a identificare il pensare con un tipo di calcolo. Le procedure computazionali dei computer digitali sembrano dei buoni candidati per rappresentare le procedure calcolistiche degli esseri umani. Nasce così l’idea di usare i computer per simulare i processi mentali umani. E’ questa l’intelligenza artificiale nata negli anni ’60. Alla sua base c’è lo sviluppo rigoroso del concetto di procedura o algoritmo elaborato da Alan Turing (1912-1954). L’algoritmo è un procedimento deterministico che in un numero finito di passi produce un risultato. Il modello matematico astratto è chiamato “Macchina di Turing”. L’intelligenza artificiale nasce da un punto di vista diverso da quello della semantica di tradizione logicofilosofica: essa è interessata a usare i procedimenti algoritmici per simulare processi mentali effettivi, cosa che è più lontana dagli interessi dei logici. Si suole così distinguere: semantica come impresa matematica, lo studio delle condizioni di verità degli enunciati del linguaggio in una presentazione formale; semantica come impresa psicologica, lo studio dei processi mentali della comprensione con strumenti o controlli sperimentali. La semantica procedurale è definita negli anni ’70 attorno all’idea di minimondo o mondo giocattolo: un minimondo è il modello di una situazione idealizzata, particolare e ristretta. Il sistema di comprensione del linguaggio associato a un minimondo contiene una grammatica con un analizzatore sintattico, un motore logico e un dizionario dettagliato su un campo di oggetti ristretto. Per poter far funzionare il programma occorre che a ogni voce del dizionario sia associata una procedura, che viene identificata con il significato dell’espressione. L’idea di significato come procedura soddisfa i requisiti fregeani del senso almeno in tre modi: il significato determina il riferimento: a ogni termine singolare e predicato è associata una procedura che dà in uscita lo specifico oggetto presente nel minimondo; composizionalità: le procedure sono composizionali; analisi della forza: a ciascun atto linguistico corrisponde una specifica procedura. Il paradigma procedurale appare antagonista all’olismo in quanto il significato viene specificato da una procedura ben definita senza necessariamente coinvolgere tutto il lessico. La simulazione fatta con i computer ha contribuito a introdurre temi che hanno toccato la filosofia del linguaggio, in particolare la tesi del funzionalismo e la tesi della semantica naturalizzata. Domenico Valenza Sezione Appunti Introduzione alla filosofia del linguaggio Pagina 41 di 45 40. Funzionalismo, significato e calcolo nella filosofia del linguaggio La tesi per cui le procedure che girano su computer rappresentano i nostri processi mentali ha dato luogo a due atteggiamenti contrapposti verso le macchine pensanti. Uno è un atteggiamento emulativo: i processi computazionali che vengono processati da un computer sono un modo autonomo di emulare l’intelligenza umana e ottenere risultati in certi casi migliori. Vi è poi un atteggiamento simulativo: i processi computazionali sono analoghi a quelli mentali. Nel primo caso, le macchine pensanti stanno al cervello come le macchine volanti (gli aeroplani) stanno al sistema di volo degli uccelli. Sono due tipi di architettura diversa che hanno obiettivi differenti, ma mostrano comunque che una stessa attività può essere realizzata in diversi modi. Nel secondo caso, invece, si stabilisce un’analogia più forte tra macchine e umani. La sola differenza è che la mente opera su un certo sostrato fisico (il cervello), mentre una simulazione dei processi mentali fatta da un computer opera su un sostrato fisico differente (fatto di silicio o altri materiali). Ma le funzioni calcolistiche svolte da mente umana e sistema artificiale sono le stesse. Nasce così il funzionalismo, idea sviluppata da alcuni filosofi, in primis Putnam e Fodor. Secondo il funzionalismo la mente sta il cervello come il software sta all’hardware, e uno studio dei processi di pensiero è indipendente dal supporto fisico (sia esso fatto di neuroni o di chip di silicio). Negli anni ’50 Turing aveva proposto un test da lui chiamato gioco dell’imitazione, che consisteva nel chiedere a un essere umano di riconoscere se stava comunicando con una macchina. Tale tesi non sostiene necessariamente che la nostra mente funziona come una MT, ma che ogni attività cognitiva è simulabile da un dispositivo che abbia la potenza di una Macchina di Turing. Searle analizza i sistemi intelligenti (computer con programmi di I. A. per la comprensione del linguaggio) e fa una critica sotto forma di esperimento mentale: l’esperimento della stanza cinese. Si immagini un uomo chiuso in una stanza dove gli vengono forniti in entrata dei fogli scritti in cinese. Egli ha istruzioni in inglese per convertire questi simboli in cinese in un’altra serie di simboli in cinese, che dovrà consegnare in uscita. Anche se impara bene come trasformare certi simboli in altri simboli, non avrà con ciò imparato il cinese, ma solo a manipolare simboli senza significato. I procedimenti del computer sono del tutto analoghi al comportamento dell’operatore. Un computer non comprende infatti il linguaggio perché si limita a manipolare simboli e non comprende il significato; esso fa manipolazioni sintattiche ma non ha accesso alla semantica. Ciò che caratterizza l’uso del linguaggio umano è la capacità di connettere i simboli con oggetti del mondo, capacità che Searle chiama intenzionalità originaria. I computer hanno invece intenzionalità derivata, cioè i loro simboli hanno significato solo perché noi diamo loro significato. Domenico Valenza Sezione Appunti Introduzione alla filosofia del linguaggio Pagina 42 di 45 41. Semantica naturalizzata: Fodor La sfida più forte rivolta al paradigma classico del significato è la tesi della naturalizzazione della semantica (Quine). Come avvenne per problemi un tempo della filosofia e ora delle scienze natu-rali, anche l’epistemologia deve passare a un trattamento scientifico, deve essere naturalizzata. Nella storia degli studi sul linguaggio il primo a concepire lo studio del linguaggio come parte della psicologia è Chomsky. La facoltà del linguaggio è vista come una capacità innata della mente (la competenza linguistica) e il suo studio fa parte di una scienza generale dei processi mentali. Il filosofo che ha esteso alla semantica l’atteggiamento naturalista di Chomsky è Jerry Fodor. La naturalizzazione della semantica di Fodor si basa su tre pilastri: la teoria psicologica del senso comune, la teoria modulare della mente e la teoria computazionale della mente. Per teoria psicologica del senso comune (folk psicology) si intende la teoria che i parlanti sottintendono quando prevedono o descrivono il comportamento proprio o altrui tramite le categorie ingenue di credenza, intenzione, desiderio. Secondo la teoria modulare della mente, nella mente vi sono moduli, come la percezione o la sintassi, in parte o del tutto autonomi, e processi centrali (come il ragionamento) che utilizzano informazione derivata da diversi moduli. Domenico Valenza Sezione Appunti Introduzione alla filosofia del linguaggio Pagina 43 di 45 42. Il linguaggio del pensiero in Fodor Il terzo elemento della naturalizzazione di Fodor è la teoria computazionale della mente, al cui centro troviamo l’ipotesi del linguaggio del pensiero o mentalese. Si basa sull’idea che nel cervello vi sia un insieme di rappresentazioni mentali che hanno forma analoga agli enunciati di una lingua. Possiamo descrivere tali rappresentazioni come un linguaggio, il linguaggio del pensiero appunto. Il mentalese è un insieme di rappresentazioni simboliche che segue il principio di composizionalità ed è atomista: a ogni concetto fa corrispondere un simbolo. L’idea di un sistema innato ha suscitato critiche, dato che il linguaggio si sviluppa con la società, ed è difficile accettare che carburatore e maniglia siano concetti innati. Detto ciò, la tesi ha un suo fascino e richiama la tesi sugli anticorpi poi convalidata in medicina. Gli anticorpi sono un sistema che contiene copie delle strutture del mondo esterno (ad esempio virus, batteri e sostanze artificiali) che potrebbero colpire le cellule sane dell’individuo. Tali copie si trovano, innate anche se non attivate, nelle cellule sane. Analogamente, il mentalese potrebbe comprendere come innati tutti i concetti possibili, ma solo una parte è innata nell’individuo. La differenza tra credenze e desideri dipende da dove è posto un enunciato del mentalese; la differenza tra credenze dipende dall’enunciato del mentalese che si trova nella specifica scatola. La naturalizzazione della semantica di Fodor è radicale e si contrappone alle versioni normative della tradizione classica. Per la semantica fa eccezione Chomsky, che ritiene che la dimensione del significato non sia naturalizzabile, e sia irriducibile a un trattamento scientifico (ad esempio biologico). Ma la maggior parte degli studiosi lavora oggi in un’altra direzione. Domenico Valenza Sezione Appunti Introduzione alla filosofia del linguaggio Pagina 44 di 45 43. Teoria della comprensione e competenza lessicale nella filosofia del linguaggio Marconi vuole definire una teoria della comprensione che faccia a meno della nozione di significato. La sua idea è estendere la nozione chomskyana di competenza da un piano sintattico a quello semantico. Si potrà parlare di competenza semantica, capacità di connettere parole e mondo. Tale competenza si realizza a differenti livelli: la competenza strutturale, la capacità di costruire frasi ben formate con una semantica corretta; e la competenza lessicale, la capacità di orientarsi nel lessico di una lingua in modo da saperla usare. Di essa si distinguono due componenti: la competenza inferenziale, quella parte della competenza che connette tutte le parole del lessico in una “rete semantica”; la competenza referenziale, la capacità di associare oggetti a suoni. Tale suddivisione trova conferma empirica in diversi dati ed esperimenti neurofisiologici: è possibile riconoscere un oggetto di cui viene fatto il nome, ma non saper dire nulla di esso, oppure parlare di un oggetto senza essere in grado di riconoscerlo in mezzo ad altri. Persone che, a seconda dei danni cerebrali, mancano di competenza referenziale o inferenziale, sono la dimostrazione vivente di come questi due tipi di capacità siano in parte autonome. Domenico Valenza Sezione Appunt