Scarica Introduzione alla Filosofia del linguaggio e più Sintesi del corso in PDF di Filosofia del Linguaggio solo su Docsity! Estratto dalle lezioni tenute dal professore Massimo Dell’ Utri durante il corso L-12 del primo anno presso l’ UNISS di Sassari Partiamo dal concetto di vivere come strumento, uno strumento che si po’ usare ‘bene’ o ‘male’, questo è un discorso che troverà molti agganci in seguito. Un linguaggio,per essere definito tale ,deve presentare un criterio, un ordine ed un significato, un espressione che non contiene significato non può fare parte del linguaggio . Nello specifico il linguaggio si basa su espressioni collegate fra di loro, queste espressioni sono composte da elementi come nomi sostantivi verbi ecc che compongono le frasi. A volte le parole compongono da sole delle vere e proprie frasi perche indipendenti come significato, ma basta che queste ultime vengano accostate a preposizioni congiunzioni ecc… Per acquistare del proprio significato mille sfaccettature e sfumature, es :‘giocare,per giocare ,con chi giocare’ . Il discorso dell’analisi del linguaggio prende piede da molto prima di Socrate e di Platone ma solo dopo questi due lascia un impronta importante; I filosofi pre-socratici si concentravano ad una percezione del linguaggio ‘fuori dall’ uomo’ solo dopo gli questi due ultimi, l’analisi del linguaggio verte più sull’ uomo e quindi sull’ etica e la necessità umana di ‘cercare un manuale riassuntivo’ che spieghi la propria esistenza e ne dia una forma, un senso .C’è oltre da dire che i filosofi pre- socratici basavano le loro analisi sui 5 sensi e quasi mai su fondamenta scientifiche, Socrate invece conia questo modo di analisi. Socrate precedeva Aristotele che riassumeva questi cinque sensi nel ‘senso del mondo’ . Si inizia a parlare di etica quando il senso del mondo viene cercato ponendo al centro di tutto questo l’uomo . Essendo l’uomo di per se un animale socievole, necessita di vivere in comunità e perché queste comunità convivano adeguatamente hanno bisogno di sottostare a delle ‘leggi’ o ‘regole di convivenza’,da qui arriva la domanda fondamentale :Chi fa queste leggi? Leggi che devono essere valide oggettivamente e quindi al di sopra della soggettività di tutti. Più che di leggi comunque si parla di norme. Da qui arriva la domanda di Socrate sul ‘come vivere?’ . Dopo Socrate arriva Platone ,suo allievo, che entra ancora più nello specifico riguardo all’etica umana ecc. Platone basa le sue analisi sull’amicizia,l’amore,la verità ,il concetto di ‘buono’ e ‘virtuoso’ ed infine il concetto del ‘bello’.Da quest’ultimo punto parte la visione dell’estetica e la constatazione di quest’ultima come qualcosa di prettamente soggettivo (questo permette che gli esseri umani non siano tutti uguali). Si parla di varie scuole di pensiero secondo il quale cose come il bello ed il brutto possano essere plasmati nella mente delle persone,in pratica avvalorando bene le proprie tesi una persona potrebbe cambiare totalmente la mente di uno o più individui. Platone scrisse un dialogo , intitolato ‘Cratilo’ che è di per se anche il nome di un personaggio dell’ opera ; Nelle sue opere Platone inseriva come altro personaggio Socrate, il suo maestro, lo inserisce nelle vicende attribuendoli un comportamento ed una posizione un po’ da ‘correttore’ , in questo ‘dialogo’ viene posta la domanda: ‘i nomi che l’uomo da alle persone , sono seriamente necessari o è solo un bisogno prettamente umano?’ Socrate qui risponde che il linguaggio è un qualcosa di insito nella natura ed insita e la necessità di darli forma. Ludwig wittgenstein Esprime dei trattati che parlano dell’ espressione linguistica ,uno dei trattati si concentra sulla differenza che si contrappone tra le espressioni semplici e complesse nel linguaggio .Questa contrapposizione si aggancia al concetto che servirebbe una corrispondenza reale per rendere qualcosa effettivo proposto nel linguaggio ( 1 concetto presuppone un avvenimento). Da questa necessità nasce il concetto di ‘essenzialità’ nel linguaggio, un essenzialità semantica .Lo studio del significato di una frase è spesso complesso, perché le parole e frasi possono essere ambigue, e perché dietro una frase c'è sempre una situazione, un parlante, le sue intenzioni. La semantica va quindi integrata con la pragmatica, ovvero con lo studio dell'uso del linguaggio nel contesto .Per semantica si intende quindi la pura fondazione teorica del linguaggio, mentre per pragmatica la fondazione effettiva di quest’ultimo. Il primo trattato di Wittgenstein sottolinea appunto questo argomento, aggiungendo che alcune preposizioni corrispondo a ‘gruppi di cose’ nel mondo reale (stato di cose). Finchè un concetto viene espresso nel linguaggio, quest’ ultimo può presentarsi come sensato,ma può essere smentito o confermato, quindi oltre alla veridicità dell‘ affermazione(in questo caso la sua sensatezza) ci sono da contare queste due condizioni. Una volta che un affermazione viene smentita però (perchè in qualche modo la sua attendibilità ed il suo senso non vengono confermati)viene preclusa la sua possibilità di essere ‘fondata’ nel mondo con gruppi di cose o avvenimenti, questo il caso in cui una condizione preclude quella che la genera. C’e oltre da dire che finchè un affermazione rimane semplicemente tale, può avere 50 e 50 possibilità di essere vera o falsa ed è quindi composta di ‘possibilità’,questo per quanto riguarda per lo meno preposizioni semplici / elementari ;Una volta che una preposizione non viene smentita può passare alla sua condizione successiva, ovvero può trovare fondatezza nel mondo reale con un corrispettivo avvenimento o gruppo di cose, il fatto è che a questo punto, è possibile che il gruppo di cose o avvenimento a cui sia collegata possa essere più di uno! Anche nel caso reale della preposizione ci si trova davanti a delle possibilità , la possibilità confermata sul piano reale diventa effettiva, le possibilità non ancora confermate ma fattibili (possibili varianti della prima) vengono considerate teoriche .Tutto questo discorso è stato applicato a preposizioni semplici, le preposizioni complesse (o insieme di preposizioni semplici) si comportano in maniera diversa. Si può pensare a queste preposizioni complesse come ad una funzione avente come fattori le elementari, ognuna delle elementari però come appena esposto è molto variabile ed ha bisogno di essere confermata in vari piani teorici e reali, in questo modo però la correlazione ‘preposizione- effetto’ che può verificarsi per singole preposizioni semplici,può andare persa se queste ultime vengono sommate o calcolate assieme. Il riassunto di tutto questo discorso è che le preposizioni complesse difficilmente godono di questa correlazione di preposizione- effetto. La filosofia incontra un problema importante davanti a queste regole,essendo cose come la filosofia l’etica e la religione, delle analisi basate su preposizioni complesse, si ritrovano davanti alla domanda: ‘ non essendo possibile confermare le nostre preposizioni con dei veri e propri fatti,pur essendo le nostri proposizioni sensate, è possibile che risultino insensate/di fatto inesistenti?’. Il primo trattato di Wittgenstein si occupa appunto di dare considerazione e avvalorare preposizioni complesse che altrimenti verrebbero distrutte da queste leggi , per questo si intende la filosofia come una sorta di ‘attività’ e non rigida come una dottrina religiosa o credo, la filosofica si occupa di ‘tamponare’ l acqua che fanno le sue preposizioni complesse che messe in corrispondenza con fatti reali, cerca di trovare modi differenti di avvalorare le proposizioni complesse senza passare per le regole tra reale e teorico espresse prima. Questo modo di pensare Wittgenstein lo adotta in giovane età ma a fin di vita si dedica nuovamente alla filosofia e si accorge che fa acqua da tutte le parti, perciò ci si riaggancia al discorso del bisogno di ‘essenzialità’. Il bisogno dell’ essenzialità nasceva appunto da questa discrepanza che le espressioni complesse presentavano, ma quando ,da vecchio ,ritorna sul concetto introdotto all’ inizio dei suoi studi, finisce per concentrarsi solo quella superficie ordinaria del linguaggio,formata di espressioni semplici ,il così detto ‘linguaggio dichiarativo’ ,’affermativo’, e da qui si rende conto che anche a questo livello, affermazioni semplici possono comprendere vari uso e quindi vari significati e quasi nessuno di questi è puramente ‘effettuabile’ quindi capisce che il suo discorso della ricerca dell’essenzialità non serve a per se oggettivo e inequivocabile, ma questo una volta esternato tramite parole e linguaggio,diventa appunto sottoposto a mille descrizioni unite , mille denotazioni ,magari tutte uguali e veritiere ma che comprendano sensi o percezioni ed interpretazioni differenti. In sintesi : un pensiero una volta formulato esternamente e quindi rappresentato diventa soggettivo. Frege quindi crede che il linguaggio e la comunicazione umana sia fin troppo trascendibile e piena di varianti, influenzata non solo dalla rappresentazione dei concetti ma anche dalle mille immagini o sensi che questi possano avere per noi anche solo in una parola. Questo argomento viene presentato in un suo articolo chiamato ‘connessioni di pensieri’. Qui lui riconosce che dentro la nostra testa ad una denotazione se ne colleghino altre mille che spesso a loro volta presuppongono sensi diversi veri e propri .Lui vede questa variabile di associazione vastissima e velocissima e ne conclude che il pensiero esposto possa variare tantissimo tra mente e mente e che possa persino essere analizzato da nuovi punti di vista una volta esposto , come mettere qualcosa che si ha appena creato/ formulato , su un tavolo e impararne anche cose nuove ,magari non attinenti alla questione iniziale. Lui allaccia il discorso della “associabilità infinita e velocissima del pensiero umano” con il concetto di “sensi di natura composizionale” ,qui sostiene che sensi complessi possano essere composti da denotazioni elementari semplici accostate e messe insieme da elementi del linguaggio quali congiunzioni ecc… Sostiene anche il ‘principio di sostituibilità’ anzi per lo più è danneggiato da questo; L’ ideale per lui sarebbe avere delle denotazioni (sensi) complessi che possano presentarsi come funzioni di denotazioni collegate e che solo questo dato collegamento ne frutti quel dato senso, quindi solo A+C uguale B, ma quel che comprende è che appunto per via della natura mutevole e piena di sfumature di ogni denotazione , ci sia la possibilità che B possa essere ottenuto anche con A e D se D si presentasse veritiero e confermasse perfettamente B senza intaccare minimamente A . In ogni caso Frege rimane molto scosso da questa sua impossibilità di mettere delle proprie leggi al linguaggio o di riassumerlo con dei paletti solidi e grazie a lui vengono affrontate le prime problematiche della filosofia analitica. Frege si concentra molto sulla “ trascendibilità’ ” ed i mille inganni in cui può indurre il linguaggio umano durante la sua comprensione, di fatto lui vede il dominio della parola come’ una catena che blocca una totale e onnisciente comprensione umana’ ,ne vede la filosofia come ‘l incaricata di spezzare questa catena’.Si rende conto che alcune informazioni presentate come ad esempio affermazioni A , possano essere chiaramente formate da un tot di denotazioni, ma che questa A ne possa anche intendere tra le righe altre . Riprendendo il discorso di prima sotto un certo punto di vista … Se volessimo indicare una fumatrice ,quale ‘Maria’ potremmo dire ‘una ragazza fuma , oppure ‘Maria fuma’ in entrambi i casi sempre di Maria si parlerebbe solo che si girerebbero verso la ragazza solo i conoscitori di Maria, ed in oltre con la prima denotazione invece non potrebbe essere impossibile che oltre a Maria fumasse una altra o altre mille ragazze attorno e che di loro si stesse parlando . Una famosa situazione che Frege prende in considerazione è quella degli ‘enunciati grammaticalmente validi ma non validi logicamente ‘oppure con un diretto fondamento nel reale, ad esempio si potrebbe parlare di Arturo come valore A ed intenderlo come uno sportivo prestigiatore, due modi di rappresentare il medesimo A , una volta appurato che A ed i due modi di rappresentarlo siano veritieri e nessuno intacchi l'altro, Arturo ha diritto a passare alla dimensione reale e cercare fondamento. Se però si dovesse dire ‘Arturo è sul treno’ nel linguaggio comune la gente subito lo prenderebbe come dato di fatto a meno che non sia specificato che si tratti di un fatto teorico o di una favola e cose cosi,mentre magari Arturo sul treno non c’è !Questa è una delle complicazioni del linguaggio che saltano all’occhio di Frege. Pur dicendo ‘lo sportivoè sul treno’ oppure ‘il prestigiatore è sul treno’ comunque alla fine Arturo sul treno non ci sarebbe e l’affermazione ,se pur teoricamente possibile ,si rivelerebbe falsa e quindi insensata, secondo Frege appunto il modo migliore per alludere a lui ma evitando che si dia per scontata la sua condizione o la veridicità e l attualità di essa sarebbe parlare di lui usando anche le due denotazioni esposte, ma specificando in entrambe la loro teoricità e facendo sempre il possibile per fare si che non entrino in conflitto tra di loro : ‘Se ce uno sportivo su un treno proprio adesso, sarebbe Arturo’. Frege riconosce che questo modo di esporre le cose non è molto comodo ed è difficilmente adottabile o integrato nelle forme di comunicazione ma pensa sia l’unica ad avere fondamento logico. Mentre Frege analizza questa pecca sotto l’aspetto di ‘veridicità ‘, Russel analizza la cosa sotto un aspetto più ampio: Constata che si tratta in pratica dell’ incapacità umana di’ stabilire la giusta forma logica di un affermazione solamente in base a quest’ultima’. Il trattato di Wittgenstein Questo non è un matematico o un logico, è di fatto un filosofo che si occupa di filosofia, più che altro Wittgenstein riconosce come il linguaggio umano possa ingannare gli altri e anche se stesso cadendo passivo della sua imperfezione. Secondo lui la filosofia può cadere spesso nell’insensato essendo caratterizzata ed espressa da un linguaggio imperfetto come il nostro, quindi secondo lui c’è una differenza tra ‘buona filosofia’ e ‘cattiva filosofia’ ovvero quella mal intesa o mal formulata, secondo lui quindi il compito del filosofo e ‘delucidare’ le incomprensioni, per questo si parla della filosofia come un ‘attività’ e non come una dottrina . Secondo lui noi stessi non comprendiamo a pieno la logica del nostro linguaggio. Il linguaggio stesso non può cercare di essere spiegato senza cadere in contraddizioni, Wittgenstein assume questo, lo accetta e lo antepone come condizione prima di iniziare il suo trattato, ammettendo che ‘quel che lui intenderà non sarà per forza quel che gli altri intenderanno’. Riesce comunque ad esprimere un dato concetto con chiarezza: Esistono proposizioni elementari e complesse, dove le complesse sono come delle funzioni delle elementari. Parlando inizialmente delle proposizioni elementari Wittgenstein assume che una proposizione abbia un fondamento teorico ed uno reale, il teorico ha possibilità di essere confermato nella realtà ma non è certo che lo sia,quindi rimane ‘possibile’ mentre una proposizione con un fondo reale e quindi che presenta ‘il sussistere’ (esistere sul significato) li conferisce veridicità. Si può richiamare alla figura di una penna su una scrivania e questo può risultare possibile, ma è solo la sua attuazione sul momento che lo rende un dato di fatto,cose come penne su scrivani ecc sono ‘stati di cose’. Perchè uno stato di cose possa definirsi dato di fatto, serve che soddisfi due condizioni: 1) lo stato di cose A deve corrispondere nella realtà SOLO allo stato reale di cose ‘A’ . 2) Se lo stato di cose A è composto da più parole,elementi oggetti,nomi ecc, la loro correlazione deve essere ‘fedele’ nella versione fondata, non si tratta di geometria figurata per forza,può presentare vari sensi o condizioni a seconda del concetto che si voglia ‘rappresentare’ in questo caso potrebbe trattarsi della temperatura, della distanza, dell’abbinamento di colori o dell’emozione che collega gli elementi di ‘A’ e cosi via, Wittgenstein definisce tutte queste cose complessivamente come ‘la forma’ del sussistere. Il suo pensiero si differenzia da quello di Frege sotto un aspetto importante : Vede anche lui la denotazione ed il senso ma non pensa che la denotazione pregiudichi la verità , perciò è possibile secondo lui avere proposizioni ‘A’ dotate di un senso ma senza denotazioni o descrizioni perché non vede una correlazione tra la denotazione /descrizione e il confermare o no la sua veridicità ; Secondo lui anzi la veridicità di una proposizione elementare si può dimostrare semplicemente provandone la sussistenza, e la falsità se questa non c’è . Per lui cose come i nomi hanno una denotazione ma non un senso (perché di loro senza dimostrazioni non hanno un diretto legame con qualcosa di esistente e specifico). Per quanto riguarda le preposizioni complesse , la sua idea era quella di vederle come ‘funzioni’ di quelle semplici ed elementari e che la loro veridicità potesse essere verificata semplicemente dalla possibilità specifica o no di avere una coppia nella realtà abbastanza fedele delle proposizioni di cui è formata, tipo se ‘C’ è composta da A e B semplici e A e B sono perfettamente dimostrate nella realtà , allora anche ‘C‘ è perfettamente dimostrabile nella realtà a livello teorico e se anche a livello pratico (sussiste) allora ha senso... Se invece delle due sottoposte una delle due è falsa o comunque non può essere perfettamente realizzata, l’immagine finale riassuntiva di ‘C’ sarebbe incompleta o difettosa e non sarebbe perfettamente veritiera, quindi non potrebbe essere sensata se portata ad un livello pratico. Questo discorso ovviamente può trovare collegamenti col principio di sostituibilità o peggio: Le‘tautologie’, si comportano anteponendo la funzione ‘o’ come se si trattasse dell’ ‘or ‘ di Excel, qualsiasi cosa si dica apparirò come valore accettabile di una proposizione elementare, qualora si volesse accostare questa con un'altra per formarne una complessa,es: ‘Maria o fuma o mangia e Giorgio cammina’, qui sia che Maria fumi o che mangi, se c’è Giorgio accostato a fare l’altra azione in una proiezione reale, la proposizione complessa è confermata .Per lui le affermazioni tautologiche sono insensate, ma NON nel senso che non hanno un senso compiuto, ma che è praticamente inutile esporle perché non contengono un contenuto informativo . Altri due punti che analizza Wittgenstein sono : L’ incapacità del linguaggio umano di riassumere perfettamente un concetto o una proposizione,quindi descriverne e denotarne ogni aspetto per verificarne il senso, questo punto è anche collegato al concetto importante che quindi per attribuire il senso a una qualsiasi proposizioni dovremmo conoscerne a pieno le condizioni di esistenza,mentre quando si formula una proposizione col linguaggio umano non si rappresenta ogni minima condizione perché questo ‘avvenga’.Il 2 punto di Wittgenstein invece parla di come esistano casi di ‘proposizioni’ attuabili solo materialmente e non formulabili teoricamente o a livello grammaticale /linguistico , insomma cose che possono solo essere fatte senza essere pronunciate. Il trattato primo di Wittgenstein non è visto di buon occhio da moltissimi filosofi moderni perché smonta praticamente ogni possibilità di instaurare una comunicazione o dare delle spiegazioni per qualsiasi cosa formulata o per lo meno ne mina il percorso considerevolmente. Il Verificazionismo neo-positivista: Una corrente che parte dal ‘circolo di Vienna’, formato da filosofi e scienziati primi rappresentanti del positivismo,i membri di questo circolo andavano contro la metafisica o comunque enunciati astratti e non dimostrabili; Andavano alla ricerca di un modus operandi per confermare la veridicità delle proposizioni ed enunciati ;Trovarono in Wittgenstein un tipo di idee compatibile. Furono molto influenzati da lui perché non pareva loro vero che qualcuno tirasse avanti il loro discorso sul ‘verificare’,quindi si appoggiarono alle sue idee presentate nel Tractatus .Il principio di verificazione di Wittgenstein per loro significava trovare finalmente un modo di verificare il valore di verità o falsità di una proposizione ,semplicemente basandosi sui dati disponibili e sulle esperienze (la sussistenza delle proposizioni). La loro idea empiristica della conoscenza si sposava perfettamente con le idee presentate da Wittgenstein. Andando anche contro la metafisica ,i neo-positivisti potevano così argomentare i difetti delle proposizioni metafisiche ,soprattutto per quanto riguardava l’incapacità ,NON di stabilirne la verità o no degli enunciati, ma di verificarne la sensatezza o l’insensatezza ,grazie al trattato di Wittgenstein . Per loro il concetto era : comprendere una proposizione vuol dire sapere che accade se essa è vera e a loro questo bastava (si riagganciava al discorso di conoscere le condizioni di esistenza di un dato enunciato/ proposizione).Ma questo criterio comportava vari difetti o possibilità :Comprendere le condizioni di esistenza non voleva dire per forza saperle simulare propriamente o tutte quelle necessarie ,oppure conoscerle ma non sapere come applicarle /verificarle. Un individuo rivelarsi incapace di sapere come misurare il diametro della terra per verificarne un enunciato o una proposizione , o addirittura non sapere cosa fosse letteralmente un ‘diametro’ ;Questo secondo il principio di verificazione poteva apparire come ‘insensato’ .Un caso invece e dire che quest’uomo,per accertare la proposizione sulla terra ,sappia semplicemente le condizioni di esistenza che comportino la sua verificazione,senza però necessariamente scendere nel dettaglio o provarlo di suo .Quindi conoscere le condizioni di validità di un enunciato era diverso dal saperlo verificare propriamente . Il principio di veridicità abbracciato e difeso con le unghie e coi denti dal circolo di Vienna perse così piano piano attendibilità ed interesse ,persino lo stesso Wittgenstein si rese conto di alcune sue fratture mentre lo confrontava . portare l’opera di Tarski alla logica modale, lui parte dai principi di Wittgenstein sulle sussistenze degli stati di cose, riprende l’idea delle condizioni di verità di Wittgenstein( secondo Witt . appunto le condizioni erano dettate dall’ insieme di sussistenze o non sussistenze delle proposizioni basilari che componevano una proposizione complessa per poi arrivare allo stato di cose vero e proprio), ma Carnap sostituisce il concetto di ‘stato di cose’ con il concetto di ‘mondi possibili’,un concetto preso da Leibniz(Gottfried Wilhelm von Leibniz, pronuncia tedesca, latinizzato in Leibnitius, e talvolta italianizzato in Leibnizio; tedesco e francese desueto Leibnitz, è stato un matematico, filosofo, scienziato, logico, teologo, glottoteta, diplomatico, giurista, storico, magistrato tedesco di origine soraba.). Schematizza il suo pensiero in due valori:’Necessità ‘ e ‘possibilità’, dove la necessità è uno stato di cose vero in ogni mondo possibile ,e la ‘possibilità’ uno stato di cose vero almeno in uno di questi mondi. Per lui gli unici stati di cose ‘veri’ in tutti i mondi possibili non sono fatti ordinarti o altro, ma le verità ‘logiche’ che non hanno nessun dato riguardante il ‘mondo’ ma informano sulla struttura del linguaggio. Queste affermazioni logiche per lui sono quelle analitiche ,ovvero dove la realtà non dipende da chissà quale fondamento ma dalla struttura stessa con cui esse son formulate (regole semantiche del linguaggio),quindi per Carnap, le verità necessarie sono quelle logiche,che a sua volta non possono altro che essere quelle analitiche. Il concetto di logica come ‘analitica’ era già stato coniato da Wittgenstein. E’ importante ricordare che la filosofia neo-positivista era stata sempre segnata da questa capacità di usare la matematica rigida ed incontestabile per comunicare linguaggi piu ‘elastci ‘ed empirici ,ma senza cadere nel fallimento di ammettere che la matematica dipendeva da verifiche materiali per risultare sensata. Il succo della questione è che Frege e Russle avevano già capito che la matematica era di per se ‘logica’ , e Wittgenstein aveva chiarito che la matematica non era altro che un linguaggio ; Carnap mise insieme i pezzi e arrivò alla conclusione che la matematica era un tipo di linguaggio ‘analitico’ un linguaggio che si reggeva sulle convenzioni che lo componevano e che quindi risultata fissato senza però nessun bisogno di una dimostrazione di uno stato di cose reale,appunto come detto prima le nozioni analitiche servono a ben poco nel mondo ‘dell esperienza’. Un altro concetto che pone Carnap è quello di ‘intensione’ ed ‘estensione’ dove per intensione intende l’insieme di mondi possibili in cui un dato enunciato è vero, mentre per estensione intende la sua condizione di verità . Quel che poi si dimostrò è che le verità necessarie non per forza erano logiche o analitiche , l’esempio riguardava due enunciati ,intesi entrambi come veri, solo che uno di essi doveva la sua veridicità ad un enunciato prima di esso che ne fissava alcune condizioni, alla fine entrambi risultavano veri ed esistenti i tanti mondi possibili ,quindi entrambi possedevano intensione ed estensione, solo che uno di essi, non essendo possibile in ogni mondo possibile ma solo in alcuni (data la sua provenienza da un pre-enunciato) risultava differente di ‘intensione ‘ dall’ altro;La ‘veridicità’ che denotavano i due enunciati non era autentica ma era solo frutto dell’ impressione che davano i due enunciati se usati autonomamente,senza nessun ‘background’,questo poi veniva connesso al ‘ principio di sostituibilità’ di Wittgenstein .Carnap ne concluse che la violazione del principio di sostituibilità appariva tale ma era solo apparente inoltre sostenne che enunciati aventi un intensione inferiore a quella prefissata ,ovvero di TUTTI i mondi possibili, potessero,se accostati ad un'altra magari per formarne una complessa finale, risultare quindi falsi .Lui si fece tutto questo per portare l ‘ opera ti Turski nel contesto della logica modale, ma concluse che i contesti modali più che a basarsi sulla condizione di verità nel “nostro mondo” dipendevano dalla loro effettiva realizzazione o verità in tutti i mondi , che quindi non si trattasse di estensione ma di intensione !Il tentativo di Carnap di portare il discorso di Turski alla linguaggio modale fu non troppo soddisfacente, ma il suo concetto di estensione ed intensione ‘semantica dei mondi possibili’ fu cruciale più avanti per continuare quel che lui aveva iniziato. Uno dei filosofi che continuò la semantica di Carnap fu Jaakko Hintikka (vedi) ,lui si dedicò ai ‘mondi possbili ‘ introducendo anche la variante del ‘credere’ e non solo dell’ assoluto e non assoluto, quindi secondo lui,c ‘ era la possibilità che molti individui non avessero una conoscenza certa o onnisciente di cosa potesse essere vero in tutti i mondi possibili o solo in alcuni di essi o solo nel loro e che quindi questo poteva sensibilmente cambiare l’intensione e l’estensione .Di fatto un individuo poteva affermare che secondo lui esistesse un tot di mondi in cui una cosa potesse avvenire o esistere ed un tot in cui invece non potesse avvenire,basandosi semplicemente su una opinione a bruciapelo. Carnap anche in quel caso concluse che si trattava comunque di una logica basata sull’intensione’ e non sull’ estensione’ ,perché questi enunciati del credere e non credere, se posti come funzioni di una proposizione più complessa, avrebbero comunque determinato il principio di sostituibilità solo in base alla loro effettiva ‘necessità’. Il principio di sostituibilità non valeva per gli enunciati di ‘credibilità’. Di fatto, se poniamo degli enunciati nella loro forma di estensione come abbiamo fatto prima, ovvero facendoli partire da una ‘sorgente’ di enunciato che fissa alcune condizioni o premesse, ci accorgiamo che qualsiasi ‘fatto’ che parta però da un ‘lui crede ,ecc’ ha cinquanta e cinquanta percento di possibilità di esistere in un modo o nell’altro in vari mondi . Un altra problematica della semantica dei mondi possibili,salta fuori col confronto della variante presentata da Hintikka:’Cosa succedeva se un enunciato proposto come ‘creduto’ e con tutte le sue conseguenze ,comunque sarebbe sempre e comunque risultato vero nella sua intensione,in base ad altre conoscenze?’ Tipo ‘tizio crede che ci siano infiniti numeri primi’ ,però di fatto in ogni mondo possibile ci sono numeri primi ,non è che solo perché lui lo crede che c’è ne possano essere finiti in un tot ed infiniti nell’ altro! Lo scetticismo semantico di Quine: Quine arriva con delle ide che smontano completamente molti punti espressi fin ora ma lo fa in una maniera molto efferata e argomentata,i punti che presenta verranno presi in considerazione a lungo e offriranno molti motivi di dibattito; Willard Van Orman Quine è stato un filosofo e logico statunitense. Quine ha ricoperto la cattedra Edgar Pierce di filosofia della Harvard University dal 1956 al 2000. Chiamato da taluni "il filosofo del filosofo", è il modello quintessenziale del filosofo analitico, nella seconda metà del novecento dirige lui le danze della filosofia analitica,il primo documento con cui parte è ‘I due dogmi dell’ impericismo’ ‘Two dogmas of impericism’ dove cerca di smontare due punti importanti che hanno caratterizzato l’impericismo neo- positivista. Per prima cosa lui si dedica al discorso di verità ‘analitiche’ e verità ‘sintetiche’. Lui parte dal concetto di verità analitica già fissato, ovvero :Una verità che dipende dal significato delle espressioni; Quine qui dice che già l’idea di significato è altamente soggettiva e non si tratta di una nozione ben definita,quindi già smonta il ‘significato’ attribuito a ‘verità analitica’. Inoltre lui critica la ‘circolarità’ degli enunciati analitici,in pratica per enunciati analitici si intedeva (come già detto) quel tipo di enunciati prettamente ‘fini a loro stessi’ che non avessero per forza una applicazione nel ‘mondo dell’esperienza’, ma Quine sostiene che molti di questi,per essere giudicati tali hanno bisogno di ‘pre’ enunciati che ne fissino alcune condizioni importanti per renderli tali,e che quindi questi ultimi abbiano bisogno di un continuo rimando ai precedenti per funzionare,perdendo la loro ‘strettezza’ ,es: Tutti gli scapoli non sono sposati, questa è un affermazione vera ma solo se si è già fissata l’informazione che ‘scapolo’ vuol dire privo di moglie; Quindi solo ponendo quella condizione, la affermazione finale risulta analitica, Quine quindi probabilmente intende che non c’è una vera differenza tra una realtà analitica ed una sintetica. Quine dice: ‘ok una volta stabilito questo bisogno di un enunciato analitico del ‘fratello minore’ ,per me andrebbe anche bene se per ogni fratello minore noi avessimo la possibilità di conoscerlo o accertarne la veridicità per poi arrivare alla proposizione vera e propria, il problema è che il fratellino minore appare a noi vero o falso in base alle nostre esperienze di vissuto, ma non singolarmente legate alla proposizione, ma a tante di esse!Che si contagiano e che si polarizzano a vicenda spingendoci o no a dare per buona l’affermazione che poi darà vita alla proposizione analitica vera e propria’. Nella molteplicità dei contesti in cui viviamo, questi ‘fratelli minori’ possono facilmente essere giudicati veri o falsi a seconda di cosa sta succedendo o delle ottiche .Per Quine capita spesso nella vita di tutti di negare una proposizione osservativa mettendola successivamente a confronto con la sua data esperienza oppure addirittura negare una verità matematica sempre per condizioni simili, quindi per lui la linea netta che avevano posto i neopositivisti sulle proposizioni sintetiche da quelle analitiche,proprio non c’è. Il secondo punto di Quine nei dogmi del suo trattatosi concentra su questo concetto:’Per ogni stato di cose ci fosse per forza un corrispondente di esperienza possibile o no per verificarlo vero o falso’, lui qui risponde appunto con questo ragionamento:’ Anche se fissati, certi legami tra teoria e fatto, possono essere aggiornati e variati col tempo. Il documento esposto da Quine non cambia radicalmente le cose ma certamente allenta molto tutta la fiducia che avevano i neopositivisti nel concetto di verità analitica, o del fatto che le verità matematiche,essendo logiche fossero anche analitiche. Dieci anni dopo il suo primo documento Quine pubblica ‘Parola e oggetto’ ‘ Word and object’ ,qui lui affermava che fosse possibile realizzare più manuali per una data lingua straniera,consapevoli che quella lingua sconosciuta potesse contenere termini diversi racchiusi nella stessa parola ,es :‘Coniglio’ (vivo) o coda di coniglio o coniglio morto ma intatto ,con la stessa identica parola ; Il manuale in questione quindi potrebbe prendere in considerazione una o più delle varianti proposte e usarne una come contro parte tradotta; Si avrebbero così diversi manuali di traduzione incompatibili tra loro ma tecnicamente adeguati. Viene mossa una critica a questo ragionamento:’ Ok, ci son più manuali che traducono adeguatamente diversi significati di una cosa con una stessa parola,anche inserendoli nel giusto contesto e specificandone il senso ,ma andranno bene per un uso pratico ? pare che per quello non siano corretti’. Questa critica in pratica dice che ci siano significati o parti di essi nascosti o sottointesi ,mentre questi ‘parlanti’ della così detta “lingua straniera” formulano quel vocabolo ; Quine risponde che i significati ‘nascosti’ sono un illusione e che le uniche cose che succedono nella mente di un possibile ‘straniero’ sono solo le emozioni e le reazioni che un dato vocabolo richiama in un individuo all’ interno di un contesto , e che di come questo lo spinga a continuare la sua parte di dialogo ,Quine vede quindi un aspetto molto comportamentali stico del linguaggio,senza seconde dimensioni nella mente degli interlocutori .Quindi per lui un manuale che tenga conto di tutte le varianti di ‘reazioni comportamentali’ al variare dei vocaboli o varianti di esso,è piu che adeguato. Lui chiama questa ‘pluri-validità’ dei manuali ‘indeterminatezza della traduzione’ .Un altra cosa che puntualizza Quine è la nostra incapacità certa di stabilire cosa ci da il diritto di considerare la traduzione che abbiamo dato ad un dato termine,perfettamente fedele;Secondo lui non disponiamo di un modo lecito di formulare i criteri per farlo (insomma come noi assumiamo che loro, gli ‘indigeni/stranieri’intendano esattamente quella idea associata a quel termine),lui chiama questo aspetto ‘inscrutabilità del riferimento’. La forma mentale nostra e quella che potrebbero avere degli stranieri appare diversa a Quine ,in sostanza dice:’Come ci permettiamo noi a tradurre ‘pezzo di coniglio’ quando magari questi stranieri il concetto di ‘pezzo’ non ce l’hanno neanche nella loro testa? ‘.Questo discorso può anche essere applicato al contrario. Bisogna ricordare che quando Quine pubblica il suo II, la scienza del comporta mentalismo anglosassone stava già morendo e quindi questo aiutò la critica generale verso i suoi studi . Altri filosofi misero invece da parte la critica ed ammisero che in effetti lui avesse sollevato una questione importante e che meritasse considerazione (tutt’ ora se ne parla). Verità e verificazione: Kripke dice : ‘Ci sono due elementi separati, la descrizione ed il nome rigido; una descrizione di un individuo è un sunto di condizioni che un dato individuo potrebbe avere in un mondo possibile, ma es:’Il re di Francia’ in un mondo potrebbe avere un nome e nell‘ altro un altro ancora; Mentre il secondo elemento (i nomi rigidi) ,separati dalle descrizioni, descrivono solo loro stessi.Il proprio nome ’Aristotele è Aristotele (parola) ‘ in tutti mondi possibili anche se magari questo nome in mondi possibili differenti richiama a personaggi differenti. E’ stato presentato un tentativo di ‘indebolimento’ di questa idea di Kripke o per lo meno si è cercato di arrivare ad un compromesso, ammettendo che un nome non costituisce una descrizione definita in tutti i mondi possibili ma lo fa almeno nel mondo reale perché l’individuo ne fissa una, ma qui Kripke risponde: ‘Spesso noi usiamo nomi propri per richiamare ad individui di cui neanche ne conosciamo un capello, neanche un pezzo di vita, neanche l’aspetto ‘.Es: ‘la sorella di Lucia si chiama Lidia, (senza sapere chi essa sia), Lidia è andata all’aereoporto’. Diciamo che alla critica a lui rivolta Kripke spunta una lancia a favore affermando :’Non possiamo noi per forza fissare una descrizione propria di un nome che pronunciamo, ma se questo nome è stato dato da una persona che conosceva e che sapeva descrivere quest’individuo, anche se entrambi sono morti, possiamo comunque avvalerci della facoltà di usare questo nome che ci è ‘arrivato’ per rimandare a questa data persona di cui non sappiamo niente direttamente;Questo è l’unico modo che abbiamo di fissare nel presente una descrizione ad un individuo, secondo i nostri limiti e con l’ausilio presente o passato di terzi ‘. Ovviamente per individuo si intende anche oggetto ,questo ragionamento si riassume in due condizioni:1)Atto di battesimo 2) Nome non modificato nel tempo ,(prima di arrivare a noi che lo usiamo). Un altra cosa importante su cui Kripke si concentra e l’argomentazione riguardante ‘nomi rigidi’( un nome rigido presuppone un enunciato) es: ‘Francesco è Francesco’ .Questo enunciato è ‘necessario’ ovvero esistente in ogni mondo possibile, ma cosa succede se si assegna ad un nome ,un altro diverso dal nome originale? Qui il concetto di ‘esistenza in ogni mondo possbile ‘ può incontrare delle difficoltà; Mettiamo ‘Espero e Fosforo’ sono entrambi Venere ma uno dei due nomi si usa per il mattino ed uno per la sera , magari nel mondo reale si conoscono entrambe le due varianti per chiamare Venere e quindi questo enunciato è reale nel mondo di adesso, ma chi ci dice che in altri mondi si conoscano entrambi i nomi o uno dei 3? Magari Venere viene riconosciuto come tale sia di mattina che di sera ,o in un altro mondo la gente non può o non si è resa ancora conto che il corpo celeste che vede la mattina e che vede la sera è il medesimo , quindi la conclusione è: “ Non per forza i nomi rigidi sono ‘validità necessarie’ perché non sono conoscibili a priori ,ovvero la gente non per forza sa che… “. Kripke ammette che un enunciato come questo si potrebbe conoscere solo ‘ a posteriori’ ovvero solo dopo aver capito es:’ Che si tratta dello stesso pianeta’, ma respinge l’idea che questo valga sempre e che una verità necessaria debba anche essere a priori,ovvero che si debba sapere da sempre. Lui denota una differenza tra ‘necessari’ ed ‘ a priori’, (ricorda che secondo Carnap un enunciato analitico è necessario ,per forza necessita di una conoscenza a priori )e che quindi Kripke si ritrova in disaccordo. Secondo Kripke, oltre all’esempio dei pianeti, c’è ne sono molti altri che sottolineano questa esistenza di ‘verità necessarie a posteriori’; Questo discorso si riaggancia a quello delle ‘proprietà essenziali’ ovvero informazioni che indipendentemente da posteriori o priori sopravvivono in ogni mondo possibile diventando necessarie, l’esempio : ‘Marco è figlio di Lucia e Giovanni’ secondo Kripke, solo Lucia e Giovanni potrebbero generare Marco per quel che Marco è, e che quindi una verità necessaria sia un dato tipo di genitori per un dato individuo generato, questa verità secondo Kripke è una verità a posteriori, perché il nome dei due genitori (solo il nome) potrebbe essere sconosciuto nel mondo reale o specificato solo successivamente, ma è anche una verità necessaria perché di fatto solo quei due (Lucia e Giovanni) ,genererebbero Marco in tutti i mondi possibili . In oltre Kripke sostiene un'altra cosa riguardo ai nomi rigidi, dice che comunque un nome che si crede descriva solo un dato oggetto,in realtà ne possa descrivere più di uno, es:Per motivi di ignoranza ‘un gioielliere antico non riconosceva le differenze tra oro e materiali molto simili di genere’ e si limitava a riassumere tutto ciò che avesse queste caratteristiche in ‘oro’ , o ad esempio ‘una tigre’ per tigre si intende sempre l’animale tigrato arancione ma alcuni ignorano che esistono anche tigri albine. Questo serve ancora di più a smontare il fatto che un nome descriva (nella bocca delle persone) per forza quel dato oggetto/cosa/animale ecc. Kripke puntualizza anche: ‘Un nome può descrivere adeguatamente quello che è battendo dimensioni temporali,spaziali o di cultura, quando è introdotto nel modo ‘giusto’ o adeguato, e questo non significa elencando ogni proprietà dell’oggetto /sostanza/individuo in questione passando ognuna di queste proprietà in una comunità super istruita. Significa darli un punto di partenza fermo che poi assicuri la sua ‘appropriata distribuzione’;Se uno scienziato di adesso per ‘oro’ intendesse una sostanza con quel colore, quella data consistenza ecc… E poi passasse il termine al resto delle persone non necessariamente così istruite, il termine poi ,per motivi e ragionamenti più basilari, verrà comunque usato per descrivere quel materiale. Kripke sostiene che soprattutto,una introduzione adeguata farà si che anche se in mondi possibili diversi, si presenti lo stesso materiale oggetto ecc… Anche con delle varianti, in quei mondi possa comunque essere riconosciuto con quel dato nome .Quindi anche i termini di sostanza e genere sono ‘designatori ‘ rigidi secondo Kripke; Un altro esempio che fa è :‘Il numero atomico dell’oro’ conosciuto qui, ma in un altro mondo, pur non essendo conosciuto a priori e magari che necessiti un ulteriore chiarimento, risulterà una nozione acquisita a posteriori ma comunque, se vera, NECESSARIA. (ovvero esistente in ogni mondo possibile)Perché non ci sono altri mondi possibili dove l’oro abbia un numero atomico differente. La metafisica introdotta da Kripke risulta più leggera e meno negativa rispetto a quella appartenente alla filosofia analitica prima di lui. Questa sua ‘leggerezza’ nel esporre le sue idee fu una cosa mai vista prima e anche a volte motivo di critica, certo che le sue idee,messe in relazione con le ossessioni di Wittgenstein o ai pensieri un po’ pesanti di Dummett, può risultare estremamente ‘calma’. Osservazioni: Kripke fa quadrare i suoi ragionamenti servendosi di espressioni e quindi ‘nomi’ già coniati nel nostro tempo (a molti potrebbe risultare ‘semplificarsi le cose’), in oltre i discorsi trattati sono volutamente tenuti lontani dalla metafisica pesante e si limitano ad un campo di ‘azione’ limitato, in difesa alla critica ,si sappia che lui dall’ inizio ha espresso le sue idee come personali e non come tesi drastiche che pretendessero di cambiare letteralmente le cognizioni sulla filosofia . Osservazioni, bilancio e conclusioni: La prima cosa che c’è da dire è che dopo gli anni settanta ,discipline come la Filosofia del linguaggio ,la Linguistica , le scienze cognitive e la filosofia della mente , hanno avuto modo di confrontarsi molto e stringere rapporti ,scambiandosi influenze e dandone vita a nuove ‘ mischiando i colori’. Alcuni aspetti che caratterizzavano la filosofia antica come una certa componente di rigidità o l’anti- mentalismo se ne sono andati col tempo ed hanno lasciato spazio ad una predisposizione ad essere più elastici.In oltre i filosofi hanno smesso di concentrarsi troppo sulla struttura del ‘vuoto’ e basandosi su discorsi troppo astratti,soprattutto per quanto riguarda l’analisi del linguaggio. Un tipo di ‘filosofia’ che è nato da questi incroci di discipline è la ‘Semantica modellistica/formale’ è l’equivalente di quel che oggi viene considerato semplicemente ‘Semantica’;Richard Montague ne è il probabile fondatore( Richard Merett Montague è stato un matematico e filosofo statunitense. La sua semantica modellistica è stato uno dei primi tentativi di approccio al linguaggio naturale con gli strumenti della logica), segue l’ idea del trattato di Wittgenstein sul significato di un enunciato dettato dalle sue nozioni di verità e si riaggancia anche al discorso dei mondi possibili, verrebbe da dire che questa semantica modellistica sia una continuazione della ‘Semantica dei mondi possibili’(Carnap),ma non si può perché quest’ultima ha preso una via un po’ diversa : si accostò alla ‘Grammatica generativa’ che presentava l’ ideale che lo scopo ultimo del linguaggio fosse quello di creare’ una capacità mentale altamente specializzata’;Essendo questa idea nuova per i vecchi filosofi del linguaggio ,questa Semantica modellistica risulta differente; Noam Chomsky mise la pulce all’orecchio per questo fine della Grammatica generativa(Avram Noam Chomsky è un linguista, filosofo, scienziato cognitivista, teorico della comunicazione, accademico, attivista politico e saggista statunitense). Il fatto che, ci sia una forte componente di teoremi e tracce introdotte della filosfia analitica passata, nelle idee formulate dai ‘nuovi filosofi’ può essere vista in due modi: O i filosofi nuovi sono rispettivamente deboli di immaginazione ed originalità, oppure semplicemente i fondatori di tutto questo vanno riconosciuti per la loro’chiaroveggenza’ riguardo all’applicazione che i loro pensieri avrebbero lasciato negli anni a venire.