Scarica introduzione alla letteratura greca e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Greco Antico solo su Docsity! La periodizzazione greca La letteratura greca copre un periodo che va dal IX-VIII sec. a.C. al 529 d.C. (anno della chiusura dell'Accademia platonica ad Atene per ordine di Giustiniano), durante il quale fu prodotta una vastissima quantità di opere letterarie. All'interno di questo lungo arco temporale si distinguono convenzionalmente quattro età: arcaica (o ionica, VIII-VI sec. a.C.), dalla comparsa dei poemi omerici all'inizio delle guerre persiane (500 a.C. ca.); classica (o attica, V-IV sec. a.C.), caratterizzata dall'egemonia di Atene; ellenistica (323 a.C.-31 a.C.), dalla morte di Alessandro Magno alla battaglia di Azio, nella quale Ottaviano Augusto sconfisse Antonio e conquistò l'Egitto; imperiale o greco-romana (31 a.C.-529 d.C.), in cui la Grecia divenne parte dell’Impero romano, che a sua volta assimilò numerosi aspetti della cultura ellenica. Una lingua senza letteratura: dalla Lineare A alla Lineare B La civiltà minoica “dei palazzi” conosceva la scrittura. Alcuni dei suoi membri spinti dalla necessità di catalogare ed archiviare quantità e tipologie di averi, conoscevano un sistema di scrittura probabilmente di tipo sillabico, definito lineare A da Evans. Non siamo ancora giunti a decifrare questo sistema di segni, che sembra non avere alcuna parentela con il greco che conosciamo. Uno straordinario manufatto è costituito dal cosiddetto “disco di Festo”, ritrovato sull'isola da archeologi italiani nel 1908. La sua origine è dibattuta: si tratta di una pietra circolare e di poco spessore, incisa su entrambi i lati con più di 200 segni disposti a spirale, alcuni accostabili a quelli della Lineare A. Una delle figure più importanti all'interno della civiltà palaziale micenea è senza dubbio quella dello scriba. L'immagine di interruzione presso alcune realtà di palazzo è fissata per sempre nell'argilla di tavolette che ad un certo punto segnano un improvviso arresto delle attività da registrare. Queste tavolette ci restituiscono il riflesso di un mestiere che doveva essere di pochi, privilegiati impiegati. Gli strumenti dello scriba erano costituiti da uno stilo appuntito in osso o in metallo e da una superficie d'argilla inumidita che poteva essere di forma rettangolare o a forma allungata con scrittura in orizzontale. Ma in che lingua si esprimevano gli scribi? Il miceneo, nella sua forma scritta, fu chiamato da Evans come “Lineare B”. Possiamo collocarlo cronologicamente in una fase che va grosso modo dal 1450 al 1150 a.C. La straordinarietà di questa variante dialettale è costituita dal fatto che rappresenta il punto estremo delle nostre conoscenze sul greco: non riusciamo cioè a risalire più indietro nel tempo. La lingua incisa sulle tavolette ricorre ad una scrittura di tipo sillabico, accanto all'utilizzo di ideogrammi, segni di cifre decimali e unità di misura. La caratteristica principale di questo sistema è data dal fatto che spesso il segno adoperato crea sillabe in cui nella scrittura ad una consonante viene appoggiata, senza essere pronunciata, una vocale identica a quella che segue. Siamo in grado di leggere le iscrizioni della Grecia dell'Età del bronzo soltanto dalla metà del secolo scorso: prima di allora, la nostra capacità di interpretare quel mondo si basava sostanzialmente sulle fonti antiche e sui reperti archeologici, In particolare sull'iliade l'odissea. Verso Omero I Greci di età classica hanno popolato la loro letteratura di vicende piene di eroi capaci di azioni grandiose. La società consegnataci da questi fragilissimi fogli d'argilla è sospesa fra culto dell'eleganza in palazzi sontuosi dall'architettura raffinata e miti cupi, lotte di successione per il potere, scontri e alleanze fra dinastie, guerre anche d'oltremare. Un senso più profondo a questa fitta rete di connessioni lo rintracciamo soltanto se si prova a pensare a una continuità culturale che sembra non interrompersi mai, dal mondo delle élites micenee attraverso il medioevo ellenico e fino all'età storica. Questa eredità sembra resistere al tempo. Il più delle volte fatichiamo a ricostruirla, perché i dati trasmessi da una tavoletta o i pur straordinari reperti archeologici potrebbero sembrarci completamente muti e lontani da qualsiasi forma espressiva che noi modernamente chiamiamo “letteratura”. alfabeto La prima testimonianza scritta collegabile ai poemi omerici è offerta da un vaso noto con il nome di Coppa di Nestore. Rinvenuta in tempi relativamente recenti (1953) in una tomba di Ischia/Pithecusa, la coppa è fra i più antichi reperti che ci dicono dell'esistenza di una nuova scrittura. I Greci, dopo il loro medioevo, erano quindi tornati a scrivere: intorno al IX secolo a.C. avevano adattato ai suoni della loro lingua i segni di un sistema alfabetico fenicio. La coppa di Nestore dimostra l'effettivo successo di un genere che si andava cristallizzando e che metteva al centro del racconto non soltanto gli dèi, ma anche e soprattutto le donne e gli uomini, le loro azioni e imprese, i loro sentimenti, le loro morti. È questo che fa dell’Iliade e dell’Odissea qualcosa di veramente speciale, tale da muovere un'intera memoria culturale e da spingere prima o poi a una loro fissazione in una forma non fluttuante e orale, ma definitiva e scritta. La trasmissione dei testi letterari La vita di un testo letterario presuppone tre momenti: la composizione, cioè l'atto creativo dell'autore; la pubblicazione (o diffusione), il modo in cui il pubblico conosce il testo; la trasmissione, il processo con il quale l'opera viene tramandata nel tempo. A differenza dei testi letterari moderni, cui tre momenti sono prevalentemente affidati alla scrittura, in un primo tempo le opere della Grecia antica furono composte, diffuse, tramandate in forma orale e destinate ad una ricezione "aurale", cioè ad essere ascoltate e non lette (dal latino auris "orecchio"). In seguito, dal VII al V sec. a.C., la composizione e la trasmissione furono affidate alla scrittura, ma la pubblicazione avvenne sempre oralmente. Solo dal IV sec. a.C. la scrittura fu impiegata per la diffusione e si cominciò a concepire il destinatario dell'opera letteraria come un lettore. Purtroppo, non è pervenuto nessun originale dell'antichità: il più antico manoscritto d'autore in lingua greca è di Dioscoro di Afroditopoli in Egitto, poeta vissuto nel VI sec. d.C. Pertanto, per la conoscenza delle opere classiche, bisogna basarsi sulla "tradizione diretta" e sulla "tradizione indiretta". Si considera tradizione diretta l'insieme delle testimonianze (papiri, codici, edizioni a stampa) tramandate di copia in copia, più o meno fedeli all'originale. Per tradizione indiretta, invece, si intendono le citazioni contenute nel testo di un altro autore. Grande importanza ebbero i dotti alessandrini, che, dal III secolo a.C. in poi, raccolsero nella Biblioteca di Alessandria tutte le opere letterarie greche, selezionandole, correggendole e pubblicandole in edizioni commentate. I poemi omerici venivano recitati presso le coorti dei grandi signori o nelle piazze attraverso l’accompagnamento della phorminx, uno strumento a corde dell’antica Grecia. La musica aveva un ruolo determinante nella poesia greca. Esistevano però vari modi di resa del parlato: una musica di grado zero, che interviene con il teatro; una musica di grado ridotto, che interviene nei poemi omerici, dove troviamo l’accompagnamento di uno strumento insieme al “παρακαταλογή”, “resa recitativa del parlato” (Archiloco). Ma se il recitativo già esisteva nei poemi omerici, che differenza c’era tra questo e quello archilocheo? Non esiste una vera e propria risposta. La poesia lirica In età ellenistica, con il termine “lirica” si intendeva propriamente un canto eseguito al suono della lira. In realtà anche altri strumenti a corda potevano accompagnare il canto, talora in combinazione con l’αὐλός. La poesia cantata veniva chiamata, però, “lirica” dal nome della lira, lo strumento usato con maggior frequenza. Più anticamente, questa forma di poesia in musica veniva designata con il termine generico di μέλος, “canto”, per distinguerlo dall’epica. Erano considerati lirici, dunque, solo componimenti melici sia che fossero intonati da un unico artista (melica monodica) sia che venissero affidati alle voci di più coristi (melica corale). Nel costruire il canone dei poeti lirici, si tramandano i nomi dei maestri di questo genere: Alceo, Saffo e Anacreonte per la lirica monodica; Alcmane, Stesicoro, Ibico, Simonide, Bacchilide e Pindaro per la lirica corale. La lirica monodica è la lirica che viene eseguita nel simposio e nel tiaso saffico, due istituzioni speculari. Gli studiosi più recenti tendono a considerare il simposio come ruolo di pubblicazione e trasmissione dell’opera. Il simposio, prettamente maschile, poteva essere “ristretto” o “grande”, detto “dei tiranni”. Nella prima parte, il simposio è una riunione tra gruppi di persone che condividono le stesse idee politiche, che si riuniscono dopo il pasto serale. È una riunione che ha un suo rituale, in onore del dio Dioniso. Nella parte iniziale, si versavano delle gocce di vino puro in onore del dio, di Zeus Salvatore, e venivano fatti entrare nella sala i crateri, in cui il vino veniva mescolato con l’acqua perché “bisognava tornare a casa con le proprie gambe”. Ubriacarsi era proprio dei barbari: Anacreonte distingue, in un frammento, il bere ionico al bere degli sciiti. Durante il simposio, veniva nominato il simposiarca, colui che dirigeva il simposio stesso e che dava il tema alla serata. Su quella tematica, i convitati dovevano improvvisare delle poesie. Ecco perché è considerato il luogo di composizione, pubblicazione e trasmissione della poesia. I frammenti venivano poi