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INTRODUZIONE ALLA LETTERATURA GRECA - LEZIONE 12, Sbobinature di Letteratura Greca

INTRODUZIONE ALLA LETTERATURA GRECA - LEZIONE 12

Tipologia: Sbobinature

2020/2021

In vendita dal 15/04/2021

Clarissa.RFr
Clarissa.RFr 🇮🇹

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Scarica INTRODUZIONE ALLA LETTERATURA GRECA - LEZIONE 12 e più Sbobinature in PDF di Letteratura Greca solo su Docsity! LETTERATURA GRECA Lezione 12 (Durata 1:25:44) Oggi leggiamo un po' di testi. BREVE RIPEILOGO: Abbiamo visto come in epoca classica oltre all’epica ci sono altri generi poetici che fioriscono: uno è l’epigramma che troviamo in maniera elaborata soltanto in epoca classica che vive come epigramma funerario inciso su blocchi di marmo oppure come epigramma dedicatorio. Poi ci sono tre generi poetici che i Greci distinguevano, lirica, elegia e giambo e che, in seguito alle pulsioni del Romanticismo tedesco, tra la fine del 700 e l’inizio dell’800, sono stati unificati nell’immaginario moderno e contemporaneo perché hanno come potente denominatore comune la forte presenza dell’Io ovvero una persona poetica che racconta di sé e al tempo stesso esprime anche una forte consapevolezza di quello che è il proprio statuto poetico. Una consapevolezza che l’aedo epico esprimeva in maniera minore in quanto considerato un artigiano umile che aveva una funzione importante in una cultura di tradizione orale ma che non era riconosciuto a livello sociale. Tutto questo muta con l’affermarsi della polis, con il sorgere di aristocrazie potenti che hanno bisogno di affermare il proprio ruolo in una determinata città e di trasmetterlo ai posteri. La parola diventa uno strumento formidabile che pesa più di una statua (Pindaro) in quanto vola di bocca in bocca mentre la statua rimane ferma. L’istituzione primaria di questa poesia è il simposio, regale, aristocratico, allargato ecc… Il genere più articolato è quello della poesia lirica perché è originato da una pluralità di occasioni che determinavano la nascita stessa del canto (i diversi componimenti della lezione precedente). Un altro componimento importante è l’encomio, un canto di gloria non legato ad una vittoria atletica. Nella dimensione del decesso di una persona famosa vi era un tipo di componimento poetico chiamato “threnos”. C’è poi un componimento lirico più breve, lo “scoglion”, un componimento scherzoso di breve lunghezza tipico del simposio legato ad un’ambientazione festiva e giocosa. Per i matrimoni i Greci avevano due specie poetiche:  l’imenèo, canto licenzioso che allude alla prima notte di nozze  l’epitalamio, il canto che viene cantato sulla soglia del tàlamo In questi componimenti possiamo notare una forte differenziazione in base all’età di chi viene celebrato cioè una persona adulta poteva essere lodata maggiormente rispetto ad un giovane con pochi anni di vita e di esperienza. Re, tiranni e principi non gareggiavano mai in prima persona negli agoni panellenici, mentre Ierone di Siracusa, tiranno della città, per rafforzare la propria posizione politica gareggia sia a Olimpia (Zeus) che a Delfi (Apollo). Gli agoni panellenici erano 4: -i giochi olimpici fondati nel 776 a. C. (data più antica che abbiamo della storia della Grecia); -i giochi delfici fondati nel 582 a. C. di grande prestigio anche se inferiori rispetto a Olimpia perché qui vi era il santuario di Zeus, la massima delle divinità; -i giochi istmici a Corinto perché avvenivano nell’Istmo di Corinto fondati nel 583 a.C.; -i giochi nemèi dove tutt’oggi vi è un bellissimo stadio, fondati nel 573 a. C.; Il quinto agone per importanza erano le panatenaiche di Atene. Ierone vince sia a Olimpia che a Delfi. Già nell’VIII sec vi erano forme primitive di elogi, un ritornello corale, un testo banale e ripetitivo ma balzando ai tempi di Pindaro possiamo notare epinici di una ricchezza e di una complessità strutturale enormi. Ierone, dopo aver vinto, incarica Pindaro di comporre qualcosa che rimanga; Pindaro compone la prima pitica nella quale unisce l’encomio della vittoria splendida della quadriga di Ierone a Delfi, ad un elogio della potenza militare e politica di Ierone. Se a vincere fosse stato un giovane di vent’anni, Pindaro non avrebbe avuto tutto questo materiale da raccontare ma, nel caso del tiranno, lo stesso Anacreonte (lettura dei vv al min. 53:11) o anche Ibico. Questi poeti celebrano l’intensità e la ciclicità di un’esperienza amorosa; quello che conta è la precisione e l’intensità con la quale descrivono queste esperienze. Il “di nuovo” che troviamo spesso ci fa capire che non sono esperienze irripetibili ma che, esprimendo questo traboccare della prima persona, il poeta intende parlare all’intero gruppo di giovinetti radunato nel simposio comunicando delle esperienze che sono condivise da qualsiasi persona di quella fascia sociale. L’Io poetico ha un valore di capacità di trasmettere esperienze che sono nella vita di tutti. Abbiamo visto come la prima pitica di Pindaro sia priva di questi elementi intimi in quanto parla di un tiranno a cui importa poco dell’elemento erotico quindi il livello si innalza e possiamo immaginare che quell’ode fosse cantata da un coro per dare maggiore solennità davanti alla città che recepisse il messaggio subliminale di Pindaro. Tale era la fama di gloria di questi tiranni che Ierone, per quella vittoria a Delfi del 470 a. C., chiede a un altro poeta, Bacchilide, di comporre uno scoglio più breve. Bacchilide compone un encomio grazioso di 20/30 versi (non lo abbiamo intero) nel quale mensiona la vittoria di Ierone ma soprattutto i compagni di simposio di Ierone, così capiamo che Ierone aveva un’idea precisa: fare cantare la prima pitica davanti ad un uditorio allargato che cogliesse il duplice messaggio epinicio e politico che innalzava Ierone; a Bacchilide chiede un componimento più breve, più leggero, il quale fosse cantato nello spazio ristretto di un simposio. Capiamo che la destinazione di quest’ultimo componimento è diversa. Ierone chiede anche a Pindaro un altro componimento poetico più breve! Questo fanno i personaggi politici ricchi nel mondo greco! Alcibiade, il bellissimo e dissipato ateniese oggetto del simposio di Platone, concorre a questi agoni panellenici e una volta manda tre o quattro quadrighe così vince il primo, il secondo e il quarto posto; non è un re, non è un tiranno ma è un arrogante protagonista della vita politica ateniese quindi vuole essere ricordato come vincitore supremo. Dopo aver vinto, alla fine del V sec a. C. quando non ci sono più i grandi poeti lirici panellenici, incarica un grande poeta tragico, Euripide, autore della Medea, delle Baccanti…, di comporre un epinicio per lui. Così oggi sappiamo che Bacchilide aveva compiuto questa vittoria! Se risaliamo più indietro nel tempo, a Ibico, nel 520 a. C., vediamo una forma di encomio in cui l’elemento erotico è presente ma in modo molto delicato, con una estrema sapienza compositiva. Ibico è poeta di Reggio ma ad un certo momento emigra e compie un viaggio opposto rispetto a quello della maggioranza dei poeti che viaggiavano verso ovest; Ibico arriva alla corte di Policrate, il tiranno di Samo, l’isola con il santuario di Era. La parola “tiranno” in greco ha un valore diverso rispetto a quello che gli attribuiamo noi: “turannos” per i Greci ha una accezione molto più neutra, il tiranno è colui che sale al potere senza averlo ereditato per diritto monarchico, condiviso con un gruppo aristocratico oppure dopo un consenso oligarchico. Il “turannos” esprime l’homo novus che si impadronisce del potere ma non necessariamente in forma negativa. Quel Pisistrato ateniese che noi accreditiamo come il probabile organizzatore delle recitazioni continue dei poemi omerici che verranno poi fissate nella scrittura, è una figura di grande statura intellettuale che trasforma la vita e il potere di Atene. Ibico arriva alla corte di Policrate e gli viene chiesto di comporre un encomio per lui, all’epoca giovinetto che aveva uno status politico importante. Abbiamo una copia di papiro dell’encomio a Policrate, di cui mancano alcuni versi dell’inizio; ci ritroviamo in piena guerra di Troia (lettura dei vv al min. 1:05:16) che Ibico narra, ma ad un certo punto si interrompe dicendo di non voler parlare di questa guerra anche se continua a dilungarsi nella sua descrizione. Evidenzia i Greci più emblematici, Agamennone capo supremo dell’esercito, Achille dal piede veloce, Aiace che si suicida dopo essere stato privato dell’onore delle armi di Achille. Ibico fa qualcosa di insolito (lettura dei vv dal min. 1:07:50): pretende di non parlare di Troia anche se in realtà si appoggia alla storia dei Greci, seleziona i tre eroi più rappresentativi e, dovendo elogiare Policrate, passa dall’elogio di questi universali guerrieri greci all’elogio di due eroi giovani che in Omero non troviamo, Zeuxippo e Cianippo. Sono due greci di cui Ibico elogia la bellezza; un terzo personaggio di cui elogia la bellezza è un Troiano (“Troio quel giovinetto”). Quindi Ibico dal tema della guerra, alla fine dell’opera si distacca, per far capire che quello che gli interessa è altro in quanto vuole rovesciare il paradigma di valore in guerra dell’epica omerica per celebrare la bellezza e sceglie due eroi greci e uno troiano (ideologia pacifista perché accomuna la bellezza dei nemici). Dopo aver selezionato questi tre giovani arriva al committente del suo poema, Policrate e lo innalza sul piano di questi eroi celebrandone la bellezza. Qual è l’importanza fondamentale di questo poema? È che trasferisce il “kleosaftiton” (? Min. 1:12:02) dal piano del valore in battaglia, della bella morte, al piano della bellezza ma soprattutto fa un’operazione molto sottile (lettura dei vv al min. 1:12:14) cioè Ibico si associa al committente, gli fa capire che la sua fama dipende dal valore della poesia di Ibico; questo significa che Ibico è perfettamente consapevole della forza della sua parola poetica ma che al tempo stesso è bene sempre ricordarla al committente. Vediamo, allora, come può essere utilizzato il mito che trascende sempre un genere letterario, qui il mito della guerra di Troia viene convogliato ad un altro fine. La stessa cosa vediamo in un poeta che non è lirico ma elegiaco, Teònide; un poeta che finisce in esilio, che compone una serie di versi elegiaci in cui parla di svariati temi, molto di amore in quanto poeta simposiale. Teònide è sfortunato perché ha un giovinetto che ama e concupisce, ma Cirno il giovinetto, non ha questa reciprocità per questo motivo troviamo nei versi una commistione tra disprezzo e consapevolezza del valore della sua poesia. Sono rimasti più di 1200 versi della sua poesia nei quali esprime una concezione del valore della parola poetica non diverso da quello di Ibico (lettura dei vv dal min. 1:16:05): associazione del volo con il canto, grazie alla parola alata travalicherai dalla città in cui vivi, l’essenza del simposio cioè Teònide dice che grazie al proprio canto il nome di Cirno correrà di bocca in bocca (“nome inestinguibile”). Vediamo la consapevolezza della parola poetica, Teònide esprime certezza assoluta del fatto che Cirno, non solo quando è ancora in vita finirà sulle labbra di molti, ma anche quando non ci sarà più: questa è la ricerca del “kleos” nell’epica. Quindi la parola poetica diventa strumento di kleos, non è più solo il comportamento in battaglia ma è questa nuova dimensione privatizzata e individualizzata della parola del poeta che permette a qualcuno di sopravvivere alla propria morte. Per questo motivo suona patetico l’ultimo distico che Teònide fa seguire a questa potente dichiarazione di consapevolezza, quando dice: “eppure io non ottengo da te se non scarso onore, tu mi inganni con le tue parole quasi fossi un fanciullino”. Questo è un esempio della potenzialità della parola poetica fuori dall’epica, la ritroviamo sia nella lirica sia nell’elegia. Nell’elegia troviamo molti altri spunti narrativi, all’inizio si pensa che abbia una connotazione funebre ma troviamo anche spunti differenti (Mimnermo). Per questo motivo risulta difficile scegliere tra elegia e poesia lirica nell’antica Grecia, molto spesso vediamo identità di contenuto, identità di toni e non capiamo perché un poeta scegliesse di comporre un’elegia piuttosto che un poema lirico (non lo scopriremo mai).