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Jung - Appunti - Psicologia Dinamica , Appunti di Psicologia Dinamica

appunti generali su jung

Tipologia: Appunti

2012/2013

Caricato il 30/03/2013

eleonora30111
eleonora30111 🇮🇹

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JUNG
Jung condivide inizialmente con Freud l' ipotesi che le manifestazioni delle malattie
mentali, per essere comprese, richiedono il riferimento alla storia individuale del
paziente e ai processi di rimozione che che l'accompagnano. Successivamente, però,
egli comincia a dubitare che i contenuti rimossi siano di natura esclusivamente
sessuale e arriva a formulare l' idea che i fenomeni psichici siano manifestazioni di
un' unica energia presente nella natura e non riducibili alla sola sessualità: la libido .
Alla nozione di libido Jung attribuisce caratteristiche che richiamano lo slancio vitale
di Bergson: essa è una pulsione dinamica della vita, che garantisce la conservazione
degli individui e delle specie. Secondo Jung, Freud privilegiava eccessivamente la
componente biologica di essa a scapito di quella spirituale e ne dava una
rappresentazione intrisa di pessimismo: si trattava invece, di una forza essenzialmente
sana, protesa verso il futuro, dalla quale dipendono le realizzazioni più alte della
cultura occidentale. La libido, infatti, è suscettibile di evoluzione, e può essere
spostata su oggetti immateriali ed è, dunque, spiritualizzabile; solo quando tale
evoluzione è bloccata e avvengono regressioni, si originano le nevrosi . La nevrosi,
infatti, è prodotta non tanto da avvenimenti risalenti alla prima infanzia, quanto da un
conflitto presente, ovvero dall' incapacità di adattarsi alle richieste dell' ambiente o di
trasformarlo: in questa situazione vince l' inerzia, particolarmente forte nei bambini e
nei primitivi, e si regredisce a forme più arcaiche di funzionamento della libido .
Grazie all' attività di produzione dei simboli , l' uomo primitivo riuscì a trasferire l'
energia psichica da manifestazioni pulsionali immediate, a manifestazioni mediate,
orientate verso fini creativi e, in tal modo, effettuò la transizione dal piano della
natura a quello della cultura. I simboli della libido manifestano contenuti che
trascendono la coscienza e aprono, dunque, al mondo dei valori religiosi; la
religione , a sua volta, attraverso i suoi simboli, sposta la libido fuori dall' ambito
strettamente familiare, a cui Freud la restringeva, e la rende disponibile agli usi
sociali. In tal modo, Jung veniva ad attribuire alla religione una funzione decisiva
nello sviluppo della civiltà. Nell' ultima fase della sua attività, egli condannerà la
massificazione e la perdita di spiritualità del mondo moderno, nonchè il predominio
incontrastato della scienza, e guarderà con crescente interesse alle culture e alle
religioni orientali e all' esegesi delle simbologie presenti in esse. Il simbolo,
svolgendo una funzione mediatrice fra l' inconscio e la coscienza può operare come
agente trasformatore della natura stessa dell' uomo, conducendolo ad individuarsi
sempre più articolatamente come un Io. Ogni cosa può essere impiegata e funzionare
da simbolo, ma alcuni simboli hanno una ricorrenza universale, che rimanda all'
esistenza di quelli che Jung chiama archetipi , cioè letteralmente modelli: i simboli
non sono altro che trasformazioni della libido, nelle quali si esprimono gli archetipi.
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JUNG

Jung condivide inizialmente con Freud l' ipotesi che le manifestazioni delle malattie mentali, per essere comprese, richiedono il riferimento alla storia individuale del paziente e ai processi di rimozione che che l'accompagnano. Successivamente, però, egli comincia a dubitare che i contenuti rimossi siano di natura esclusivamente sessuale e arriva a formulare l' idea che i fenomeni psichici siano manifestazioni di un' unica energia presente nella natura e non riducibili alla sola sessualità: la libido. Alla nozione di libido Jung attribuisce caratteristiche che richiamano lo slancio vitale di Bergson: essa è una pulsione dinamica della vita, che garantisce la conservazione degli individui e delle specie. Secondo Jung, Freud privilegiava eccessivamente la componente biologica di essa a scapito di quella spirituale e ne dava una rappresentazione intrisa di pessimismo: si trattava invece, di una forza essenzialmente sana, protesa verso il futuro, dalla quale dipendono le realizzazioni più alte della cultura occidentale. La libido, infatti, è suscettibile di evoluzione, e può essere spostata su oggetti immateriali ed è, dunque, spiritualizzabile; solo quando tale evoluzione è bloccata e avvengono regressioni, si originano le nevrosi. La nevrosi , infatti, è prodotta non tanto da avvenimenti risalenti alla prima infanzia, quanto da un conflitto presente, ovvero dall' incapacità di adattarsi alle richieste dell' ambiente o di trasformarlo: in questa situazione vince l' inerzia, particolarmente forte nei bambini e nei primitivi, e si regredisce a forme più arcaiche di funzionamento della libido. Grazie all' attività di produzione dei simboli , l' uomo primitivo riuscì a trasferire l' energia psichica da manifestazioni pulsionali immediate, a manifestazioni mediate, orientate verso fini creativi e, in tal modo, effettuò la transizione dal piano della natura a quello della cultura. I simboli della libido manifestano contenuti che trascendono la coscienza e aprono, dunque, al mondo dei valori religiosi; la religione , a sua volta, attraverso i suoi simboli, sposta la libido fuori dall' ambito strettamente familiare, a cui Freud la restringeva, e la rende disponibile agli usi sociali. In tal modo, Jung veniva ad attribuire alla religione una funzione decisiva nello sviluppo della civiltà. Nell' ultima fase della sua attività, egli condannerà la massificazione e la perdita di spiritualità del mondo moderno, nonchè il predominio incontrastato della scienza, e guarderà con crescente interesse alle culture e alle religioni orientali e all' esegesi delle simbologie presenti in esse. Il simbolo, svolgendo una funzione mediatrice fra l' inconscio e la coscienza può operare come agente trasformatore della natura stessa dell' uomo, conducendolo ad individuarsi sempre più articolatamente come un Io. Ogni cosa può essere impiegata e funzionare da simbolo, ma alcuni simboli hanno una ricorrenza universale, che rimanda all' esistenza di quelli che Jung chiama archetipi , cioè letteralmente modelli: i simboli non sono altro che trasformazioni della libido, nelle quali si esprimono gli archetipi.

Gli archetipi non sono idee, ma possibilità di rappresentazioni, ossia disposizioni a riprodurre forme e immagini virtuali, tipiche del mondo e della vita, le quali corrispondono alle esperienze compiute dall' umanità nello sviluppo della coscienza. Essi si trasmettono ereditariamente e rappresentano una sorta di memoria dell' umanità, sedimentata in un inconscio collettivo , non puramente individuale, ma presente in tutti i popoli, senza alcuna distinzione di luogo e di tempo: la mia vita è la storia di un' autorealizzazione dell'inconscio , afferma Jung. Gli archetipi lasciano le loro tracce nei miti, nelle favole e nei sogni, che contrariamente a quanto pensava Freud, non sono appagamento di desideri puramente individuali legati alla sessualità infantile, ma espressioni dell' inconscio collettivo. Un' analisi comparata di questi materiali è in grado di portarli alla luce: Jung menziona tra gli archetipi più importanti quello del vecchio, della grande madre, della ruota, delle stelle e così via. Essi, però, non si presentano mai all' analisi allo stato puro, ma attraverso loro manifestazioni in simboli: ogni individuo li avverte come bisogni e li può esprimere in modo storicamente variabile, secondo le diverse situazioni etniche, nazionali o familiari. In tal modo, l' inconscio collettivo, attraverso gli archetipi, può condizionare e dirigere la condotta dell' individuo nei suoi rapporti col mondo, inducendolo a ripetere esperienze collettive e, quindi ostacolandolo nel suo ulteriore sviluppo, oppure guidandolo nei suoi progetti. A proposito dell'inconscio collettivo, dice Jung in una conferenza tenuta nel 1936:

L'inconscio collettivo è una parte della psiche che si può distinguere in negativo dall'inconscio personale per il fatto che non deve, come questo, la sua esistenza all'esperienza personale e non è perciò un'acquisizione personale. [...] l'inconscio personale consiste soprattutto in "complessi"; il contenuto dell'inconscio collettivo, invece, è formato essenzialmente da "archetipi". Il concetto di archetipo, che è un indispensabile correlato dell'idea di inconscio collettivo, indica l'esistenza nella psiche di forme determinate che sembrano essere presenti sempre e dovunque. La ricerca mitologica la chiama "motivi"; nella psicologia dei primitivi esse corrispondono al concetto di raprésentations colletives di Lévy-Bruhl; nel campo della religione comparata sono state definite da Hubert e Mauss "categorie dell'immaginazione.

I complessi di rappresentazioni che mediano questa interazione fra coscienza e inconscio e fra inconscio individuale e inconscio collettivo sono strutturati secondo coppie di opposti. Una di queste coppie è costituita dall' Io , inteso come il complesso di rappresentazioni coscienti e permanenti, in cui è riposta la propria identità, con tutti i principi e valori accolti e riconosciuti, e dall' Ombra , intesa come l' insieme delle possibilità di esistenza respinte dal soggetto come non proprie in quanto considerate negative. Sul piano dell' inconscio collettivo, una variante dell' archetipo

La causa maggiore della rottura tra Jung e Freud fu il rifiuto da parte di Jung del "pansessualismo freudiano" ossia il rifiuto della concezione per cui al centro del comportamento psichico degli esseri viventi vi è l'istinto sessuale. Nella concezione junghiana dell'uomo il tratto caratteristico più importante è la combinazione della "casualità" con la "teleologia". Il comportamento dell'uomo non è condizionato soltanto dalla sua storia individuale e di membro della razza umana (casualità), ma anche dai suoi fini e dalle sue aspirazioni (teleologia). Sia il passato come realtà, sia il futuro come potenzialità, guidano il nostro comportamento presente. Jung sostiene che entrambi le posizioni sono necessarie in psicologia per giungere a capire perfettamente la personalità. Il presente, infatti, è determinato non solo dal passato (casualità), ma anche dal futuro (teleologia). Un atteggiamento puramente casuale porta l'uomo alla disperazione perché lo rende prigioniero del passato. L'atteggiamento finalistico, invece, dà all'uomo un senso di speranza e uno scopo per cui vivere.La concezione junghiana della personalità considera la direzione futura dell'individuo e nello stesso tempo è retrospettiva, nel senso che si rifà al passato. Jung vede nella personalità dell'individuo il prodotto e la sintesi della sua storia ancestrale. Egli pone l'accento sulle origini razziali dell'uomo. L'uomo nasce già con molte predisposizioni trasmesse dai suoi antenati e queste lo guidano nella sua condotta. Quindi esiste una personalità collettiva e razzialmente preformata che è modificata ed elaborata dalle esperienze che riceve.

  1. La struttura della personalità

La personalità consta di un certo numero di istanze e sistemi separati ma interagenti. I principali sono: l' Io, l'Inconscio Personale e i suoi Complessi, l'Inconscio Collettivo e i suoi Archetipi, la Persona, l'Animus e l'Anima, l'Ombra.

IO è la mente cosciente

INCONSCIO PERSONALE è formato dalle esperienze che sono state rimosse, represse, dimenticate o ignorate, e da quelle troppo deboli per lasciare una traccia cosciente nella persona. Complessi: il complesso indica un contesto psichico attivo i cui elementi molteplici (sentimenti, pensieri, percezioni, ricordi) sono unificati dalla comune tonalità affettiva. Un esempio è il complesso materno.

INCONSCIO COLLETTIVO appare come il deposito di tracce latenti provenienti dal passato ancestrale dell'uomo. Esso è il residuo psichico dello sviluppo evolutivo dell'uomo, accumulatosi in seguito alle ripetute esperienze di innumerevoli generazioni. Così, dal momento che gli esseri umani hanno sempre avuto una madre, ogni bambino nasce con la predisposizione a percepirla e a reagire ad essa. Tutto ciò che si impara dall'esperienza personale, è sostanzialmente influenzato dall'inconscio collettivo che esercita un'azione diretta sul comportamento dell'individuo sin

dall'inizio della vita. Archetipi: un archetipo è una forma universale del pensiero dotato di contenuto affettivo. Tale forma di pensiero crea immagini o visioni che corrispondono, nel normale stato di veglia, ad alcuni aspetti della vita cosciente. Il bambino eredita una concezione preformata di una madre generica, che in parte determina la percezione che egli avrà dalla propria madre. In tal modo l'esperienza del bambino è la risultante di una predisposizione interna a percepire il mondo in un determinato modo e dell'effettiva natura di tale realtà. Vi è di regola corrispondenza tra le due determinanti, poiché l'archetipo stesso è un prodotto delle esperienze del mondo compiute dalla razza umana, e tali esperienze sono in gran parte simili a quelle di ogni individuo.

PERSONA la persona è una maschera che l'individuo porta per rispondere alle esigenze delle convenzioni sociali. E' la funzione assegnatagli dalla società, cioè il compito che essa attende da lui. Questa maschera spesso nasconde la vera natura dell'individuo. La persona è la personalità pubblica, quegli aspetti che si palesano al mondo o che l'opinione pubblica attribuisce all'individuo, in opposizione alla personalità privata che esiste dietro alla facciata sociale.

ANIMA E ANIMUS l'archetipo femminile nell'uomo è detto anima, quello maschile nella donna animus.

OMBRA è costituito dagli istinti animali ereditati dall'uomo nella sua evoluzione. Di conseguenza l'ombra simboleggia il lato animale della natura umana.Nella teoria della personalità di Jung occupa un posto centrale il Sé ("Selbst") che è il punto centrale della personalità, intorno a cui si raggruppano tutti gli altri sistemi, esso li mantiene uniti e dà alla personalità l'equilibrio, la stabilità e l'unità. Il Sé è lo scopo della vita, un fine per cui l'uomo lotta costantemente ma che di rado riesce a raggiungere. Jung concepiva la personalità o psiche come un sistema dotato di energia e parzialmente chiuso, perché a esso si deve aggiungere l'energia proveniente da fonti esterne, per esempio dal mangiare. Per spiegare la dinamica della personalità, Jung ricorre, come Freud, al concetto della libido, ma mentre per Freud la libido è un concetto collettivo delle tendenze sessuali dell'uomo, per Jung il termine libido è sinonimo di energia psichica e a seconda che la libido sia diretta preminentemente verso l'interno o verso l'esterno, Jung distingue tra introversione ed estroversione. L'atteggiamento introverso tende ad orientare la sua energia psichica verso il mondo interiore (pensieri ed emozioni) mentre l'atteggiamento estroverso orienta la sua energia verso il mondo esteriore (fatti e persone). Ambedue questi opposti atteggiamenti sono presenti nella personalità, ma di regola uno di essi è dominante e cosciente, mentre l'altro è subordinato e inconscio. Vi sono quattro funzioni psicologicamente fondamentali: il pensiero, il sentimento, la

verso il mondo o estroversi, di conseguenza regredirà verso l'inconscio legandosi a valori introversi. Tuttavia Jung ritiene che uno spostamento in senso regressivo non debba avere necessariamente effetti negativi permanenti: esso infatti può aiutare l'Io a trovare il modo di aggirare l'ostacolo e riprendere il suo cammino. Il fine ultimo dello sviluppo è rappresentato dall'autorealizzazione. Per raggiungere tale scopo è necessario che le diverse istanze della personalità si differenzino ed evolvano completamente. Una personalità sana ed integra si otterrà solo consentendo a ogni istanza di raggiungere il più alto grado di differenziazione e di sviluppo. Il processo attraverso il quale si raggiunge tale stato è detto processo di individuazione. La "funzione trascendente" è in grado di conciliare gli indirizzi opposti dei diversi sistemi e di operare per il raggiungimento del fine ideale della totalità perfetta. L'energia psichica può essere spostata, cioè trasferita da un processo di un dato sistema ad un altro processo dello stesso o di un sistema diverso. La "sublimazione" è lo spostamento dell'energia dai processi primitivi, istintivi e meno differenziati, a processi altamente spirituali , culturali e maggiormente differenziati.

La separazione da Freud e il nuovo orientamento della psicoanalisi

Nel 1912 Jung pubblicò il suo testo fondamentale Trasformazioni e simboli della libido, dove erano presenti i primi disaccordi teorici con Freud assieme al primo abbozzo di una concezione finalistica della psiche. I disaccordi continuarono nelle conferenze sulla psicoanalisi (Fordham lectures) tenute da Jung lo stesso anno a New York. L'aspetto centrale delle differenze teoriche risiedeva in un diverso modo di concepire la libido: mentre per Freud il "motore primo" dello psichismo risiedeva nella pulsionalità sessuale, Jung proponeva di riarticolare ed estendere il costrutto teorico di libido, rendendolo così comprensivo anche di altri aspetti pulsionali costitutivi "dell'energia psichica".

La "sessualità" passa così a essere da costrutto unico e centrale nella metapsicologia freudiana a costrutto importante ma non esclusivo della vita psichica in quella junghiana. La libido è l'energia psichica in generale, motore di ogni manifestazione umana, compresa la sessualità. Essa va al di là di una semplice matrice istintuale proprio perché non è interpretabile solo in termini causali. Le sue "trasformazioni", necessarie a spiegare l'infinita varietà di modi in cui si dà l'uomo, sono dovute alla presenza di un particolare apparato di conversione dell'energia, la funzione simbolica. Il termine "simbolo" è poi inteso secondo una concezione del tutto opposta a quella di Freud, il quale aveva assimilato il concetto di simbolo a quello di segno, sulla base dell'elemento comune del rinvio. Ma mentre il segno compone in modo puramente convenzionale qualcosa con qualcos'altro (aliquid stat pro aliquo), il simbolo è un caso particolare del segno in cui, pur rimanendo l'elemento genericamente semiotico del rinvio, questo rinvio non è diretto a una realtà determinata da una convenzione,

ma alla ricomposizione di un intero, come vuole l'etimologia della parola. Ecco qui un'altra differenza con Freud: se egli interpretava le fantasie inconsce alla stregua di meri segni di pulsioni, inaccettabili per la coscienza, per Jung esse sono, se interpretate adeguatamente dall'Io, simboli di nuove realizzazioni psichiche. Solo così si rende conto del carattere costitutivamente aperto al nuovo della psiche, invece di ancorare quest'ultima al passato in un'inarrestabile coazione a ripetere. La funzione trascendente è capace di superare le opposizioni di cui la psiche è costituita proprio attraverso la produzione di simboli. Essa opera affinché possa avere luogo l'individuazione, cioè quel processo sintetico che coinvolge gli opposti che costituiscono l'uomo, e nel quale l'individuo si riconosce nella sua autonomia dagli stereotipi culturali. L'adattamento trova la sua ideale prosecuzione in questo processo, diviso in un momento di distinzione degli opposti (da cui si fa un "passo indietro") e in uno di integrazione di questi ultimi. Il conflitto tra Freud e Jung crebbe al quarto congresso dell'Associazione Psicoanalitica, svoltosi a Monaco nell'agosto del 1913 contro le posizioni psicoanalitiche espresse da Janet durante la sessione dedicata alla psicoanalisi. Nell'ottobre successivo si ebbe la rottura ufficiale, e Jung si dimise dalla carica di direttore dello "Jahrbuch". Ad aprile 1914 si dimise da presidente dell'Associazione e uscì definitivamente dal movimento psicoanalitico. La psicoanalisi, quale creatura i cui meriti di gestazione erano ascritti al solo Freud, per la cui nascita aveva pagato con l'isolamento e l'ostracismo da parte del mondo accademico ufficiale, questa psicoanalisi quale nuova via della conoscenza, per Jung era divenuta più importante dello stesso padre che l'aveva generata. Era nata dal lavoro di Freud, ma adesso si trattava di farla crescere.

L'aspetto che li differenziava di più era la concezione dell'inconscio. Freud affermava che l'inconscio alla nascita era un contenitore vuoto e durante la vita si riempiva delle cose che la coscienza riteneva "inutili" o dannose per l'Io, attraverso la rimozione. Al contrario, Jung asseriva che la coscienza nasceva dall'inconscio, che aveva quindi già una sua autonomia. Inoltre, secondo Jung, la psicoanalisi di Freud era schematica e teneva poco conto della persona nel suo contesto vitale. Invece Jung, che dava importanza alla persona e al suo contesto, diede via alla sua "psicologia analitica", che voleva essere non solo uno strumento per guarire da patologie psichiche, ma anche una concezione del mondo, o ancor meglio uno strumento per adattare la propria anima alla vita e poterne cogliere tutte le potenzialità di espressione e specificità individuale. Egli chiamò questo percorso "individuazione".

Al concetto di individuazione si lega la nozione di archetipo. Jung ipotizza che alla trasformazione della libido e ai suoi simboli sia sottesa una pluralità indeterminata di "immagini primordiali", collettiva e immutabile, intese come una sorta di kantiane "forme a priori" che concorrono, come serbatoio originario dell'immaginazione, alla

analitica si consacrerà. Diventa così possibile il confronto con le funzioni arrestatesi ad uno stadio arcaico dello sviluppo, integrandole in un'individualità dinamicamente matura.

Archetipi

La psiche è composta oltre che dalla parte inconscia, individuale e collettiva, anche dalla parte conscia. La dinamica tra la parte conscia e quella inconscia è considerata da Jung come ciò che permette all'individuo di affrontare un lungo percorso per realizzare la propria personalità in un processo che egli denomina "individuazione". In questo percorso l'individuo incontra e si scontra con delle organizzazioni archetipe (inconsce) della propria personalità: solo affrontandole egli potrà dilatare maggiormente la propria coscienza. Esse sono "la Persona", "l'Ombra", "l'Animus o l'Anima" e "il sé". L'archetipo è una sorta di "DNA psichico": il concetto deve molto a Platone e alle sue "idee".

La Persona (dalla parola latina che indica la maschera teatrale) può essere considerata come l'aspetto pubblico che ogni persona mostra di sé, come un individuo appare nella società, nel rispetto di regole e convenzioni. Rispecchia ciò che ognuno di noi vuol rendere noto agli altri, ma non coincide necessariamente con ciò che realmente si è.

L'Ombra rappresenta la parte della psiche più sgradevole e negativa, coincide con gli impulsi istintuali che l'individuo tende a reprimere. Impersona tutto ciò che l'individuo rifiuta di riconoscere e che nello stesso tempo influisce sul suo comportamento esprimendosi con tratti sgradevoli del carattere o con tendenze incompatibili con la parte conscia del soggetto. È, in un certo senso, l'evoluzione junghiana dell'Es freudiano.

Animus e Anima rappresentano rispettivamente l'immagine maschile presente nella donna e l'immagine femminile presente nell'uomo. Si manifesta in sogni e fantasie ed è proiettata sulle persone del sesso opposto, più frequentemente nell'esperienza dell'innamoramento. L'immagine dell'anima o dell'animus ha una funzione compensatoria con la Persona, è la sua parte inconscia e offre possibilità creative nel percorso di individuazione.

Il Sé è il punto culminante del percorso di realizzazione della propria personalità, nel quale si portano ad un'unificazione tutti gli aspetti consci ed inconsci del soggetto.

Altri archetipi rappresentano immagini universali, che esprimono contemporaneamente positività o negatività: la Grande Madre, il Vecchio Saggio, l'Apollo, numerose figure della religione ecc

Dalla psicoanalisi alla psicologia analitica

Si ritiene erroneamente che la psicologia analitica di Carl Gustav Jung sia nata da una costola della psicoanalisi di Freud e che lo stesso Jung fosse allievo del maestro viennese: in realtà Jung elaborò una propria visione dell'inconscio autonomamente da Freud essendo entrato in contatto con Pierre Janet a Parigi alla fine dell'800, e lavorando presso l'ospedale psichiatrico di Zurigo (il Burgholzli) sotto la guida di Eugen Bleuler nei primi anni del '900.

Le ricerche condotte da Jung sul cosiddetto "esperimento associativo" contribuirono enormemente allo studio dei fenomeni inconsci, e portarono Jung a contattare nel 1906 Freud per confrontarsi sulle reciproche scoperte circa l'inconscio. Il padre della Psicoanalisi pensò di trovare in Jung il suo erede, ma dopo alcuni anni di collaborazione costruttiva ed intensa, arrivarono nel 1913 ad una rottura dolorosa per entrambi.

In quell'anno, con la pubblicazione del libro "Libido. Simboli della Trasformazione", Jung si distaccò da Freud sostenendo che la libido non è solamente energia sessuale, che mira a scaricarsi con il raggiungimento dell'oggetto desiderato, ma è invece l'energia psichica in toto; l'inconscio, inteso da Freud (almeno inizialmente) come mero ricettacolo del rimosso, è visto invece da Jung come una porzione della psiche che contiene altri contenuti che non sono mai stati parte della coscienza ed i cosiddetti "complessi" a tonalità affettiva, articolatisi nel corso delle relazioni significative; complessi che l'"esperimento associativo" era in grado di evidenziare.

L'osservazione empirica dei contenuti dei sogni, dei deliri di pazienti psicotici e del vastissimo materiale offerto dalla mitologia e dalla storia delle religioni spinse Jung a ipotizzare un ulteriore dimensione dell'inconscio che definì "inconscio collettivo", i cui contenuti chiamò archetipi. Il Sé, struttura superiore che include l'Io ed alcune istanze degli archetipi rimossi, è stato visto come motore e scopo del cosiddetto "processo di individuazione".

Per la psicologia analitica junghiana, tale processo di individuazione archetipica costituisce la finalità dell'esistenza di ogni persona.

La psicoanalisi freudiana riconosce all'attività dell'inconscio ed al disturbo psichico delle cause, applicando all'indagine psicologica il modello concettuale ed il metodo di indagine meccanicistici tipici del positivismo ottocentesco. In questo senso, essa si

rigidamente un "metodo meccanico", ma nel porre attenzione alla "storia di vita" del paziente ed alle storie che egli stesso raccontava:

"Il solo studio della psichiatria non è sufficiente. Io stesso ho dovuto lavorare ancora molto prima di possedere il bagaglio necessario per la psicoterapia. Fin dal 1909 mi resi conto che non potevo curare le psicosi latenti se non capivo il loro simbolismo, e fu allora che mi misi a studiare la mitologia."

Jung si convinse presto, infatti, anche osservando i propri sogni, che nel sintomo nevrotico come nel delirio psicotico affiorino immagini e idee che non sono proprie personali del paziente, ma che gli pervengono da un "fondo arcaico", e le cui figure possono desumersi da culti, religioni e mitologie antichi appartenenti a tutti i popoli: sono gli archetipi, forme alla base dell'inconscio collettivo, condivise da tutta l'umanità, che costituiscono, nel campo psicologico, l'equivalente di ciò che in campo antropologico sono le "rappresentazioni collettive" dei primitivi, o, nel campo delle religioni comparate, le "categorie dell'immaginazione".

Le cause del disturbo psichico

L'archetipo, in quanto forma, non agisce direttamente sulla psiche individuale, cioè sull'inconscio personale, ma attraverso l'emergere di azioni, pensieri e impulsi il cui simbolismo può non essere compreso e integrato dall'individuo, che lo pongono in conflitto con la società a cui appartiene e lo espongono ad una esclusione non desiderata e temibile come il manicomio e lo stigma di "follia".

La dinamica dualistica ed esclusiva tra Eros e Thanatos in cui Freud aveva individuato e confinato il motore energetico della nevrosi, in Jung si articola e si moltiplica in funzione della pluralità delle figure archetipiche che popolano l'inconscio.

Il sintomo non richiede più una spiegazione in chiave di causa-effetto, ma viene considerato esso stesso una "domanda di significato" rispetto al disagio soggettivo che esprime.

Il disturbo psichico smette così di essere considerato una malattia, e l'intervento analitico non viene più considerato solo una "cura"; ne consegue che la pratica psicologico-analitica junghiana non mira più ad una "guarigione", ma ad individuare il senso simbolico e archetipico del disturbo, e ad aiutare il suo portatore ad utilizzarne l'energia ai fini della "trasformazione" e della propria individuazione.

Lavorare con gli archetipi richiede certamente, come lo stesso Jung notava, molte conoscenze di tipo non clinico, perché richiede anche molta immaginazione: non nel

senso del "fantasticare", ma nel senso dell'immaginazione creativa - quella che Giambattista Vico definiva la "logica poetica".

Poiché accompagnare il paziente in questa esplorazione richiede da parte del terapeuta un'attenzione non solo intellettuale, ma anche empatica (diceva Jung: "Se il medico e il paziente non diventano un problema l'uno per l'altro, non si trova alcuna soluzione"), è evidente che, in un'analisi junghiana, la psiche del terapeuta è "messa in causa" dall'analisi non meno di quella del paziente. Da questo punto di vista, la teoria della tecnica junghiana ha prefigurato alcuni dei più recenti sviluppi della psicoanalisi intersoggettiva.

Proprio in relazione a questa consapevolezza, Jung fu convinto fin dall'inizio della sua ricerca che il "mettersi in gioco" del terapeuta necessitava assolutamente di trovare supporto nell'analisi didattica e di controllo:

Il trattamento del paziente comincia, per così dire, dal medico: solo se questi sa far fronte a sé stesso ed ai suoi problemi, sarà in grado di proporre al paziente una linea di condotta.

Allo stesso modo, la riflessione sulla necessaria continuità del processo di supervisione, che dovrebbe essere una costante regolare del lavoro anche dei terapeuti più esperti, era stata efficacemente indicata con l'osservazione per cui: "Perfino il Papa ha bisogno di un Confessore."

Il problema della psicosi

Anche in medicina l'idea che il paziente debba partecipare alla propria cura sforzandosi di assumere consapevolezza della propria malattia è la base di qualsiasi trattamento terapeutico, anche di tipo farmacologico.

Tutto ciò, con la maggior parte dei pazienti psicotici non è possibile, almeno nella fase delirante, durante la quale qualsiasi discorso interpretativo viene fatto loro non può essere recepito, ed anche gli interventi farmacologici devono a volte essere coattivi.

Rispetto a queste situazioni, l'intervento esclusivamente psicoterapeutico (della psicologia analitica, della psicoanalisi freudiana o degli approcci cognitivo- comportamentali) rischia frequentemente l'impasse. Pur essendo nate in contesti psichiatrici e dal confronto con pazienti psicotici, infatti, le varie correnti psicodinamiche, al pari di quelle cognitivo-comportamentali, in molti casi di grave sofferenza psicotica devono trovare spazi di integrazione con l'uso degli psicofarmaci.