Scarica L'arte contemporanea, un panorama globale e più Sintesi del corso in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! riassunto L'ARTE CONTEMPORANEA un panorama globale Tony Godfrey Introduzione L'arte e gli artisti contemporanei Che cosa significa? È davvero arte? Perché costa così tanto? sono alcune delle domande che vengono rivolte a Godfray molto spesso riguardanti l’arte contemporanea. Queste sembrano essere domane a cui Gombrich nel libro Storia dell’arte pubblicato nel 1950 non pone troppa attenzione. In effetti, non si sentiva in grado di integrarla nell'ambito di una storia più vasta: persino nel 1994, quanto mise mano a quella che sarebbe stata l’ultima revisione del testo, le uniche opere contemporanee che decise di inserire furono un dipinto di Freud e un lavoro fotografico di Hockney. Senza dubbio Gombrich non avrebbe ritenuto di grande interesse White Flower (1960) e The Pencil Story (1972-73) rispettivamente di Agnes Martin e John Baldessari. Dove sta, si sarebbe chiesto, la bravura di tali opere? Il punto del lavoro di Baldessari sta proprio nel non mostrare alcuna destrezza manuale: ciò che costituisce un’opera d'arte non è il mezzo, che per Gombrich avrebbe significato esclusivamente il disegno, la pittura o la scultura, ma il modo in cui mette in discussione che cosa sia davvero l’arte. Baldessari, per mostrare una rottura netta con tutto ciò che aveva fatto prima di questa perdita della fede, organizzò una cremazione ufficiale di tutte le sue opere appartenenti all'espressionismo astratto, e dalle ceneri di questo gesto distruttivo realizzò un nuovo lavoro. Nonostante il disprezzo che senz'altro Gombrich avrebbe mostrato per l'opera di Agnes Martin, dubito non si sarebbe trovato d'accordo con lei quando scriveva che pensando all'arte, pensava alla bellezza. La presenza qui di Martin e delle sue parole mostrano due cose considerevolmente rare nel libro di Gombrich: le artiste donne e le parole che gli artisti dicono o scrivono. Il punto fondamentale di questo testo è mostrare come la percezione che l’arte sia frutto esclusivamente di uomini bianchi provenienti dall'America del Nord e dall'Europa occidentale si sia allargata fino a comprendere che è realizzata da uomo e donne di ogni etnia e di ogni parte del mondo. Viviamo in un mondo sempre più globalizzato. Artisti di molti paesi, provenienti da culture e tradizioni diverse ora espando le loro opere in tutto il mondo. Shahzia Sikander cominciò a studiare miniatura tradizionale a Lahore, quasi nessuno dimostrava interesse verso questa forma d'arte. Sikander non era motivata dalla nostalgia né dal desiderio di preservare la tradizione per mantenere un legame con le proprie origini; era invece un tentativo di espanderla, di utilizzarla per dire qualcosa sulla sua esperienza attuale. All'età di 23 anni decide di trasferirsi a New York; Sikander non si è focalizzata su un luogo o un'identità bensì comincia a considerare la sua identità come fluida, qualcosa in un flusso. Questo è un periodo in cui molti artisti sono diventati nomadi, spostandosi da un paese all’altro, confrontandosi con nuovi contesti e modi di pensare. Al contrario di Sikander, l'artista indigena australiana Emily Kame Kngwarreye ha sempre dipinto il suo paese d'origine: l’Alhalkere, nell’Australia centrale, la terra della sua famiglia e dei suoi antenati. Laddove Sikander cercava di unire, trasformare o metamorfizzare le tradizioni, Emily desiderava salvare una, seppure con il tocco dei materiali dell’arte astratta occidentale, di cui condividere le forme. Con i viaggi aerei, le pubblicazioni internazionali e Internet, gli “antichi maestri’ possono ispirare artisti di ogni parte del mondo. Oggi si molto più liberali nel decidere chi considerare un antico maestro. Quando la pittrice filippina Geraldine Javier si è messa alla ricerca per motivi personali, di una figura del passato per conforto e ispirazione, è alla pittrice messicana Frida Kahlo che ha rivolto lo sguardo. Javier come molti artisti di oggi, è felice di adattare immagini fotografiche alle sue esigenze, così come di utilizzare materiali non tradizionali come ricami e insetti preservati. Due domande a cuì Gombrich tentò di rispondere erano in primo luogo Perché l’arte è spesso novità? L'arte come persegue l’espressività?. All’inizio l’arte concettuale era considerata difficile, una moda che la stampa dileggiava e scherniva, ma a partire dagli anni Ottanta molti artisti concettuali cominciarono a farsi notare da un pubblico più ampio. La loro opera era nuova ma si occupava di problemi reali, in cui chiunque poteva identificarsi: Damien Hirst, per esempio, era ossessionato dalla morte, mentre Kiki Smith si interessava al modo in cui esperiamo il corpo. Il loro lavoro sembrò una novità sconvolgente: Hirst e Smith mettevano in scena la nostra paura della morta e il disgusto per le funzioni corporali. In A thousand years (1990) di Hirst le mosche nascono, mangiano zucchero, fanno sesso, depongono uova nella testa di mucca e prima o poi finiscono uccise da una griglia elettrica; un interno ciclo vitale si svolge davanti agli occhi dello spettatore. In Untitled (1990) Smith mostra un uomo e una donna che, in contrapposizione alle eleganti figure di Michelangelo e altri, sono esseri abietti, senza scopo, attraversati da fluidi corporei. Smith rende tangibile il trauma che proviamo nel vedere i nostri corpi, o quelli dei nostri genitori, invecchiate o iniziare un deperimento inarrestabile. Oggi, non è possibile definire l’arte a partire dalle forme o dai materiali. Per esempio, cos'hanno in comune un paio di scivoli a spirale di Carsten Héller e un quando di Beatriz Milhazes, a parte il fatto che entrambi sono classificati come “arte”? Entrambi offrono la possibilità di vivere un'esperienza particolare/estetica. Héller è uno degli artisti che, a partire dagli anni ‘90, cominciò a enfatizzare l’importanza dell'esperienza più che dell'oggetto. Chiunque di noi, bambino o adulto, si diverte a scendere giù dallo scivolo. L'opera di Milhazes va osservata con attenzione: spostandosi in avanti e indietro, se si entra in sintonia con i colori e i ritmi, se si apprezzano le trame, diverse e complesse, allora si comincia a pensare che non si tratti di un’esperienza così dissimile. Come ha detto Rotchko “Un quadro non è su un'esperienza; è un'esperienza.” Naturalmente hanno molta importanza il dove e il come l’opera d'arte viene installata. Gli scivoli di Héller sarebbero riconosciuti come arte se non fossero preservati in una galleria? Non c'è d stupirsi quindi se molti artisti hanno sviluppato un'ossessione per il modo in cui il loro lavoro viene esposto. Nel 1982 l'artista Donald Judd scriveva “gli allestimenti e il contesto sono modesti e inadatti all'arte di oggi”. Per gli artisti l'ambiente dovrebbe essere uno degli elementi che, per ragioni storiche, sociali o poetiche, entra a far parte dell’opera. Alla Biennale di Sydney del 2008 l'artista di origini scozzesi, Susan Philips faceva ascoltare in loop ai visitatori la registrazione dell’Internazionale, da lei interpretata, in un'enorme fabbrica navale abbandonata, in cui erano rimasti solo pochi macchinari arrugginiti. In contrasto con il mondo dell’arte familiare a Gombrich l’arte non è più confinata nelle gallerie, nei musei o negli edifici sacri. Queste nuove sedi non hanno soltanto cambiato il modo in cui noi percepiamo l’arte, ma anche il modo in cui gli artisti fanno arte. Nonostante le fiere possano sembrare a qualcuno affascinanti e divertenti, per altri diventano il posto peggiore per godere delle opere. Quando gli fu commissionata un'opera per la fiera d'arte di Londra, Richard Prince, il cui lavoro era stato spesso celebrato come prodotto della cultura americana, portò in fiera una macchina costosa con una donna succintamente vestita appoggiata alla portiera: pur prendendosi gioco delle fiere e del nuovo sfarzoso mercato dell’arte, è proprio da lì che Prince trae i suoi consistenti guadagni. Nel 2013 l’opera The Last Supper (2001) dell'artista cinese Zeng Fanzhi viene venduta da Sotheby's Hong Kong per una cifra record. L'arte, com sempre, rispecchia la società nel suo complesso in un'epoca di estrema diseguaglianza economica: è davvero un buon dipinto The Last Supper? | cinesi si riferiscono, con un certo buon senso, a ciò che alcuni definiscono “la tradizione occidentale” nei semplici termini di “pittura a olio”. Il mezzo, la sua storia e tradizione, persino immagini come l'Ultima cena di Leonardo, su cui si basa l’opera dell’artista cinese, non appartengono esclusivamente a una sola cultura. Nel dipinto, Gesù e i suoi fedeli discepoli indossano il fazzoletto rosso dei Giovani Pionieri (un movimento giovanile comunista) mentre Giuda porta una cravatta giallo oro: la cravatta dorata rappresenta il denaro e il capitalismo occidentale, e in Cina le cravatte sono arrivate dopo la metà degli anni '80. | testi religiosi alle pareti, reminiscenze di un'altra era, indicano qualcos'altro che è andato perduto nella nuova Cina. Nel 1987, il critico americano Donald Kuspit affermò che l’arte oggi vuol rendere il mondo un posto migliore, però poi ponendo la domanda se questa sia solo un “divertimento sofisticato”. Per Kuspit, Andy Warhol stava da un parte, mentre Joseph Beuys dall'altra. Warhol rappresentava il narcisismo e la necrofilia; al contrario Beuys si occupava di un'arte che aveva a che fare con i processi psicoanalitici, in grado di curare e guarire. Beuys era un utopista che voleva cambiare il mondo; Warhol si interessava alla fama e al mondo dell’arte. In che cosa bisogna credere? È la stessa cosa oggi, come alla fine degli anni ’80. L'arte contemporanea, in tutte le sue manifestazioni, riecheggia i problemi che affrontiamo nel quotidiano. CAPITOLO 2 Il ritorno alla pittura Gli anni Ottanta Agli albori degli anni ottanta ricompare nuovamente la pittura nello specifico con due mostre, A new Spirit in Painting (Royal Academy di Londra, 1981) e Zeitgeist (Berlino Ovest, 1982). Queste mostre sembravano suggerire non solo che la pittura fosse una forma plausibile d'arte, ma anche, in effetti, che fosse infusa di un nuovo spirito vitale. Uno dei due curatori di A New Spirit, Christos Joachimides, dichiara che gli studi degli artisti siano di nuovo pieni di tubetti di pittura. Ovunque si guardi, in Europa o in America, si trovano artisti che hanno riscoperto la “pura gioia di dipingere”. I quadri di Baselitz, Ansel Kiefer e Sigmar Polke furono quelli a conferire all'esposizione un lato più crudo, assertivo e spesso sgradevole. È importante notare che ciò che questi artisti offrivano non era solo una pittura espressiva, ma un modo di riconnettersi al mito e alla storia. Questo desiderio di storie, sia romanzesche che reali, era stato prefigurati da un certo numero di eventi accaduti al di fuori dell’arte visuale, compresa la realizzazione di pellicole cinematografiche come Apocalypse Now o Alien, entrambe uscite nel 1979. Gli anni '80 diventano un momento importante per la proliferazione di gallerie d'arte e musei di arte contemporanea (a partire dal 1945) nella zona della Germania; la sede della mostra Zeitgeist era simbolica ovvero un edificio proprio accanto al Muro di Berlino. Il contesto e l’energia delle opere presenti la rendevano viva e assolutamente al passo coi tempi; sulle mura dell'atrio erano appesi i dipinti di questi giovani artisti, commissionati appositamente per la mostra, mentre al centro si trovava un'installazione immensa, tentacolare, Hirschdenkméler (1) di Joseph Beuys. A prima vista sembrava un gigantesco laboratorio dove l'artista si muoveva tra banchi di lavoro e oggetti che parevano grandi salsicce. Questa installazione, intrisa di spiritualità e quotidianità, pareva quasi volesse deridere la pittura protagonista dell'esposizione: provocazione e controversie invece avevano segnato l’inizio della carriera di Baselitz nel 1963. Sei anni più tardi comici a a dipingere i suoi soggetti a testa in giù. Il pittore sosteneva fosse il modo migliore per svuotare di contenuti ciò che si dipinge; l'oggetto non esprime nulla, dipingere non è un mezzo per raggiungere uno scopo ma al contrario la pittura era autonoma. Le opere di Anselm Kiefer invece tendono all’ambivalenza, spesso contrapponendo agli emblemi della creatività quelli delle forze distruttive: lo scopo dell'artista era di risanare la cultura tedesca, non di accusarla. Laddove Kiefer e Baselitz sono eccessivamente seri, Sigmar Polke è divertente e giocoso. Negli anni '60 realizzò dipinti in stile Pop art che ridicolizzavano in modo arguto il modernismo; trascorse invece gli anni ‘70 viaggiando e scattando fotografie. Il giovane pittore americano Julian Schnabel poteva essere eclettico e deciso quanto Polke: i suoi grandi quadri mettevano insieme riferimenti a Caravaggio, al mondo dei fumetti, materiali e oggetti inusuali come piatti rotti o corna di cervo. AI contrario di Polke, i suoi lavori erano emotivi quasi operistici. | quadri di Schnabel non volevano esibire superfici aggressive, bensì un'inarticolatezza centrata sull’immaginoso, che si manifesta come agitazione. È un'artista particolarmente inventivo; i suoi dipinti su velluto o piatti rotti, per esempio, erano e restano memorabili ed accattivanti. Nel mercato di NY Schnabel era una star: fu invitato sia alla mostra A New Spirit che a Zeitgeist. Uno dei cinque quadri che espose nella seconda era The Sea,1981 (2), realizzanti con frammenti di vasellamente messicano su cui poggiava un tronco carbonizzato. Altrettanto importante come modelli per la pittura più figurativa e poetica dell’epoca sono due artisti americano più anziano di Schnabel, il primo Philip Guston. Era stato espressionista astratto ma alla fine degli anni '60 era totalmente disilluso dall'arte astratta: “Arrivati gli anni 60 mi sentivo scisso, schizofrenico. La guerra del Vietnam, ciò che stava accadendo in America, la brutalità del mondo. Che razza di uomo sono, seduto qui a casa, a leggere riviste, a precipitare in una rabbia frustata per tutto quanto, per poi andare nel mio studio a cambiare un rosso in blu...” Il dipinto Paiting, Smoking, Eating (3) è chiaramente influenzato dal mondo dei fumetti e anche imbevuti di una profonda coscienza della storia dell’arte. Insegnante carismatico, Guston teneva lezioni sopratutto sul pittore quattrocentesco Piero della Francesca. Ciò che rende l’opera di Guston così diversa dalla Pop Art è l'abilità di mettere insieme l’arte alta con quella bassa, e di parlare direttamente allo spettatore. Cy Twombly nato in Virginia, viaggiò molto, stabilendosi poi in Europa a partire dal 1957. Le sue opere evocano spesso la poesia, non separando mai la pittura dalla letteratura perché aveva sempre fatto uso di citazioni. Ciò che artisti come Baselitz, Kiefer, Polke e Twombly hanno dimostrato è che la pittura poteva ancora provocare discussioni e dibattiti. Oltre a essere suggestiva, può incarnare emozioni complesse e sfaccettate. Questi artisti hanno dimostrato che ci sono altri tipi di pittura possibili rispetto all’astrazione formalista o alla pittura figurativa tradizionale. Ma che dire della presenza femminile? In retrospettiva è difficile capire perché la pittrice Maria Lassnig non venne inclusa negli eventi. L'opera di Lassnig era ancora più focalizzata sul cosa voglia dire occupare il proprio corpo; aveva iniziato a realizzare questi dipinti sulla “consapevolezza del corpo” nel 1951. Negli anni ’70 si trasferì a NY, dove venne ignorata: i suoi quadri erano considerati patologici. Se uno degli aspetti del movimento femminista nell'arte era la protesta contro l'esclusione delle artiste donne dalle mostre più importanti, un altro aspetto rilevante fu la riscoperta di artiste del passato dimenticate: Artemisia Gentileschi, Berthe Morisot, Gwen John, Helene Schjerfbeck. Forse la riscoperta più notevole fu Frida Kahlo, che era morta nel 1953. La mostra dedicata alle sue opere tenutasi nel 1982 a Londra, alla Whitechapel Gallery, fu la prima ad aver luogo fuori dal suo paese natale, il Messico. Gli anni ’80 sono stati anche l’epoca in cui in Europa si ricominciò a pensare in termini di scuole di pittura nazionali. Perché in una mostre come Zeitgeist non includeva artisti provenienti da altri luoghi che non fossero gli Stati Uniti o l'Europa occidentale? A nessuno venne in mente per esempio di guardare ai albori dei molti artisti in America Latina e Asia che erano impegnato in ugual misura nell'utilizzo espressivo e immaginati vo della figura. Il pittore messicano Julio Galàn non sarebbe forse stato adatto alla mostra Zeitgeist non l'avrebbe forse arricchita? Come Kahlo, anche Galàn attingeva a piene mani dal retaggio messicani, dagli abiti alle decorazioni, agli ex voto, così come dalla cultura popolare e dal kitsch. In Me quiero morir (4) l'artista appare in manette, davanti alla bandiera messicana: ma davvero crediamo che voglia morire? C'erano naturalmente anche artiste donne al di fuori dell'Occidente che avrebbero potuto essere incluse a pieno titolo nella suddetta mostra, come per esempio l’indiana Nilima Sheikh. Nel 1984 completò una serie di dodici quadri su carta, When Chamoa Grew Up (5) dove racconta la storia vera di una ragazza che successivamente ad un matrimonio combinato in temerà età, venne in seguito uccisa. Nonostante la serie contenesse un elemento di campagna sociale, i dodici quadri, presi individualmente, erano poetici e simbolici, più che realisti. Sheikh faceva uso dei messi tradizionali della pittura miniaturizzata rajasthani e pahari. Proprio come gli artisti europei andavano attingendo a fonti diverse, sia all’interno che all’esterno dell'Europa, Sheikh si rifaceva a una gamma di forme culturali tradizionali indiane. Eric Fischl dipinge del 1981 Bad Boy (6) che era iniziato come una natura morta, e che solo gradualmente, quasi per intuito, si è trasformato nella scena freudiana di un ragazzino che ruba dalla borsa della madre mentre la guarda, nuda e sdraiata sul letto. Per l’artista questo quadro è anche il dipinto con il portafrutta e la luce che filtra dalle persiane socchiuse. Godfrey conclude sostenendo: “Ma quanto sono bravi davvero? Man mano che le loro opere crescevano e si sviluppavano, come reggevano il paragone con i “maestri”, con Rembrandt, Cézanne o Turner? Possiamo affermare che Baselitz e compagnia siano davvero così bravi?”. CAPITOLO 4 SCULTURE, INSTALLAZIONI O MERCI? 1987 Pochi scultori ad oggi si sentono parte della tradizione di Michelangelo fino a Rodin; la comparsa del minimalismo sembrò rappresentare una frattura totale con tale tradizione. Come tornare alla scultura dopo ciò che era accaduto? Il gallese Richard Deacon basa tutta la sua opera sull’esplorazione dei materiali: legno, argilla, stoffa, carta e di processi quali curvare, fissare, smaltare. Nel 1986 dichiara che le sculture sono fatte dalla mano dell’uomo per l’uomo, dall'uomo e sull'uomo. La sua produzione a parte dagli anni 80, vedono le sculture aperte o cave, incoraggiando lo spettatore a immaginare lo scopo, o a vedere se stesso lì dentro. La superficie fungeva da pelle, anche se formava la struttura stessa. La serie di piccole sculture intitolata Art for Other People (1) è stata realizzata come se l'artista stesse scrivendo lettere a persone diverse. Non erano situabili in alcun contesto, l'ameno questa era l'intenzione, e quindi poteva o essere interpretate in qualsiasi Modo. La numero 24, dichiara l’artista, li ricorda la dentiera della nonna, che cadeva sempre (anche se l’opera in questione è di dimensioni maggiori). La scultrice tedesca Katharina Fritsch ha investigato nei suoi lavori un tema tradizionale della storia dell’arte: l'iconografia, ovvero quale può essere il significato delle immagini. Per la Sku/ptur Projekte del 1987, realizzò una versione a grandezza naturale della Madonna di Lourdes. A grandezza naturale ma giallo fosforescente. Nel bel mezzo di una delle piazze principali di Munster, nelle intenzioni avrebbe dovuto suscitare le ire della gente e, in una cittadina devota al cattolicesimo, l'impresa riuscì. Poco dopo, la stessa Fritsch realizzò una versione in miniatura della Madonna gialla, e la mise in vendita in un'edizione illimitata a prezzo fisso. Questo lavoro non giocava solo sul tema degli stereotipi. ma anche su quel confine scivoloso tra arte e merce. Gli Skulptur Projecte del 1987 furono solo uno degli eventi e mostre che alla fine degli anni ’80 celebrarono la rinascita della scultura in Europa. Anche Jeff Koons prese parte all'evento di Munster. Tanto gli artisti precedenti erano affascinati dal creare, quanto Koons disprezzava l’uso delle mani: a lui interessavano le merci. All’inizio degli anni 80 era diventato famoso innanzitutto per i suoi oggetti prodotti in serie presentati non nella loro semplicità, come in Duchamp, bensì trasformati in icone scintillanti del consumismo: il banale trasformato in spettacolare. Il lavoro di Koons diventò un'icona dei materialistici anni '80 con il concetto di brand che si fece strada fino a diventare l'elemento chiave della vendita. Appropriarsi delle immagini di altri rimaneva tuttavia un problema, e Koons ha dovuto affrontare numerose controversie legali. Alla fine degli anni Ottanta capitali culturali come New York e Londra furono devastate dagli effetti drammatici dell'Aids: il corpo sembrò di colpo vulnerabile, un luogo di malattia e sfacelo. Le due figure a grandezza naturale in cera di Kiki Smith, risalenti al 1990 (2) sembrarono cristallizzare le paure e la fascinazione per le ferite, la malattia e il decadimento. Smith emerse come artista a New York durante l'epidemia di Aids (una delle sue sorelle era morta a causa di questa malattia nel 1988). Sempre negli anni ’80, l'installazione prese piede come forma d’arte a sé stante, un modo diverso di pensare agli oggetti e allo spazio. Un’arte dove, come ha dichiarato Boltanski, innanzitutto “il corpo dello spettatore è all’interno dell’opera”. Nel 1991, Ann Hamilton prese parte a Place with a Past, una mostra in cui un certo numero di artisti sono stati invitati a realizzare opere site-specific a Charleston, nella Carolina del vecchio Sud, ricca di meravigliosi edifici settecenteschi. Ordinò più di sei tonnellate di indumenti usati da lavoro blu, 48.000 tra pantaloni e camicie. Questi abiti, si rese conto, erano stati indossati da operai licenziati, o le cui fabbriche avevano chiuso. Come sempre nelle sue installazioni ogni cosa è stata toccata da una mano umana. Quando gli spettatori entravano (3), potevano trovare anche una persona seduta alle spalle della montagna di abiti blu intenta a cancellare le parole nelle pagine di alcuni libri foderati di blu. Perché l'installazione è emersa come una pratica dominante negli anni '80? Gli artisti erano sempre più preoccupati di come e dove le loro opere sarebbero state installate. La scultura minimalista in particolare rende lo spettatore estremamente consapevole dello spazio da essa abitato. Fu dunque inevitabile che artisti come Donals Judd e altri iniziassero a concentrarsi sullo spazio, le distanze. Tra i primi lavori di Christian Boltanski, che sono tutti considerati una reazione ai traumi della sua infanzia, si trovano centinaia di piccoli oggetti fatti a mano, palle di fango o coltellini esposti in vetrine di cristallo simili a quelle che si trovano nei musei, oppure serie di fotografie convenzionali di persone non famose, appese al muro, o sistemate in album fotografici. Nel 1989, fu invitato ad esporre al vecchio Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, dove scelse di esporre non in una delle gallerie ma in un sottoscala abbandonato e fatiscente. Entrando in questo spazio senza finestre, lo spettatore per prima cosa si trovava davanti a una rete metallica con cinquanta ingrandimenti sfocati di fotografie che ritraevano bambini morti, illuminati soltanto da una piccola lampadina sul soffitto: si trattava chiaramente di un’opera sulla memoria, la morte e l'archiviazione. Ma cosa compra un museo quando acquisisce un’opera di Boltanski? Che succede se gli scaffali non si adattano alla stanza? Se le lampadine si bruciano? | vestiti marciscono? Compratene altre suggerisce l'artista, è l’idea che conta, non gli oggetti in sé: ciò che l'artista fa è comporre una partitura, una musica che sarà reinterpretata a ogni esecuzione. I suoi lavori come Snow White and the Broken Arm (2) sono pareti a molte interpretazioni: bisogna immedesimarsi con Biancaneve? Dumas sostiene di avere utilizzando figure religiose o favolistica per dare al pubblico un punto d'accesso semplice alle loro stesse reazioni. Alla fine degli anni Ottanta, Gerhard Richter veniva ormai considerato ben più rilevante, forse il più importante artista del mondo. Il suo approccio metodico piaceva a colore che non si interessavano alla pittura. Nel 1989 mise in mostra un gruppo di quindici dipinti basati sulle fotografie dei componenti della Rote Armee Fraktion, il gruppo terroristico noto come banda Baader-Meinhof. Nelle molte interviste che ha rilasciato, Richter si è sempre astenuto da grandi dichiarazioni politiche, o rivendicazioni sull'arte, la sua o quella degli altri, definendola come indifesa e sottolineando la necessità della pittura e dell’arte stessa. Intorno al 1990, lo scozzese Peter Doing, all'epoca studente post-laurea, cominciò a dipingere paesaggi, in alcuni casi popolati da persone o case. L'artista voleva rappresentare scene che fossero affascinanti per lui, anche se potevano sembrare nostalgiche o fantastiche. Doing afferma che i suoi dipinti sono ispirati da tutte le cose che vede, che ricorda come una carta da parati o anche piccoli dettagli nei dipinti degli altri. Chiaramente, ricerca un'interezza del lavoro, e non che assomigli ad una sorta di collage. In conclusione, il 1989 non comportò solo l’avvento della globalizzazione, ma anche una più ampia diversità. Il mondo dell’arte diventò più vario e diffuso, frastagliato; fu in questi anni che il ruolo dei curatori diventò prominente e, in questo senso, la Biennale Whitney del 1993 fu sintomatica. Questa manifestazione era stata criticata non solo per aver incluso gli artisti sbagliati, ma per essere incongruente come un mercato rionale o una vendita di cianfrusaglie. Alla curatrice Elisabeth Sussman fu chiesto di sistemare le cose. Lei e i suoi assistenti organizzarono si una mostra più coerente, ma anche più controversa: una selezione privilegiava gli artisti neri, ispanici, gay o femministi. Con questo, il museo era diventato la sede di una guerra di culture, non soltanto deposito di oggetti. CAPITOLO 6 _ PER LA COMUNITÀ, PER SE STESSI 0 PER LA PROPRIA ANIMA? I TARDI ANNI NOVANTA Ma gli artisti per chi fanno arte? Alla fine degli anni Novanta si discuteva molto di estetica relazionale, di arte come attività condivisa piuttosto che come produzione di oggetti o concetti. L'espressione Arte relazionale fu utilizzata per la prima volta dal teorico Nicolas Bourriaud nel 1996 nel catalogo della mostra Traffic da lui curata per il Museo d’arte contemporanea (CAPC) di Bordeaux. All'evento presero parte Maurizio Cattelan, Carsten Héller e l'artista che più di ogni altro rappresentava quel momento storico, Rirkrit Tiravanija nato in Argentina da genitori thailandesi. La mostra che presentò nel modo più cogente questo nuovo modo di fare arte fu Cities of the Move; si concentrava sugli artisti asiatici e sullo sviluppo delle megalopoli in Oriente. L'inaugurazione si tenne a Vienna nel 1997, poi la mostra si spostò in diverse città, compresa Bangkok, e in ciascun luogo era completamente diversa. Un visitatore inconsapevole aveva due possibilità: o pensare che Cities of the Move presentasse un nuovo, energico approccio all'arte, oppure che non si trattasse affatto di arte, bensì di antropologia urbana. Per molti l'oggetto più significativo era un tuk-tuk, un risciò motorizzato decorato da Tiravanija e dal suo conterraneo thailandese Navin Rwasanchaikul, presentato insieme ad un manifesto realizzato che pubblicizzava un film fittizio, diretto da loro stessi, in cui un autista di tuk-tuk viaggia fino a Vienna e lì si innamora di una ragazza austriaca (1). Due artisti in opposizione tra di loro sono sicuramente Maurizio Cattelan e lo scultore thailandese Montien Boonmai il primo era interessato a beffeggiare il mondo dell’arte e a sovvertirlo, quanto il secondo era concentrato sul senso spirituale dell'essere. L'incontro nel 1989 con l'opera di Beuys, le riflessioni sul suo sciamanesimo, su come avesse umanizzato le scatole rettangolari del minimalismo aggiungendovi grasso e feltro avevano suggerito a Boonma un legame possibile tra Oriente e Occidente. Secondo l’artista, chi creava l’opera doveva percepire, sentire, ciò che accade e ciò che potrebbe aiutare gli individui e la comunità. Deve avere reazioni più veloci, una sensibilità più raffinata. Non è compito dell'artista stare a pensare troppo al processo e agli avanzamenti, bensì la qualità della vita. Bill Viola sarebbe d'accordo con lui che le religioni sono tutte connesse e compatibili, e condivide questo desiderio che le sue opere possano essere comprese da un musulmano, da un buddista o da un cristiano. Uno dei messaggi più consolidati dell’arte contemporanea è che l’esperienza Spirituale è ecumenica, non settaria. L'arte devozionale italiana è senz'altro la fonte di ispirazione più evidente: alcune sue opere ricostruiscono scene tratte dai quadri di Giotto e dei pittori rinascimentali. Nonostante sia stato accusato di creare opere emotivamente manipolatorie, o di non essere altro che un vecchio hippy, non c'è dubbio che Viola sia oggi uno degli artisti più popolari. Nel 1992 Nalini Malani ebbe modo di ripensare al suo focus sulla pittura. Come ha raccontato lei stessa: “A seguito della distruzione in quell’anno della moschea Babri Masjid di Ayodhya, in India, per mano degli estremisti hindu, e degli scontri successivi, molte artiste donne hanno sentito il bisogno di cercare nuove forme”. Nella prima delle sue rappresentazioni The Sacred and the Profane (1998) (2) Malani modernizzò e complicò il mezzo stesso: arte alta e bassa fuse insieme, con figure tratte dalle sculture tradizionali indiane mescolate con quelle dei popolari dipinti Kalighat, una scuola d'arte fondata a Calcutta nel XIX secolo. Il lavoro dell'artista non vuole essere uno slogan, bensì un'esperienza fisica che possa condurre a un’altra, di tipo interiore, e vada oltre la trasmissione di conoscenza. Non si pensi infatti che le sue creazioni riguardino esclusivamente l'India: la violenza settaria e quella contro le donne riguardano molto altri luoghi del mondo. CAPITOLO 8 STORYTELLING E ASTRAZIONE 2005-2009 Gli artisti del XX secolo sono stati sempre affascinati da quella che si può definire come la più grande tra le forme narrative: il cinema. Non a caso il sogno di molti artisti era di dirigere un film, e alcuni, tra cui Cindy Sherman e Shirin Neshat, ci sono riusciti. Ma il budget necessario per girare un film era ed è fuori dalla portata di molti di loro. Sarebbero riusciti a raccontare storie allo stesso modo? Nel 1989 l'artista sudafricano William Kentridge realizzò il primo dei suoi Drawings for Projection (1). Si trattava di animazioni che duravano dai tre ai sette minuti; erano i cartoni animati più distanti possibile dal modello tradizionale, con i segni visibili dell’infinita ripetizione del disegno e le cancellazioni a ricordare allo spettatore di essere fatti a mano. Per realizzarne uno, ci volevo nove mesi. Apparentemente semplici, ben disegnati ed evocativi, questi cortometraggi hanno avuto grande successo popolare. Kentridge è cresciuto in Sudafrica all’epoca dell’apartheid. Vive ancora lì, e tra le righe, confessa che le sue opere non vogliono documentare l’apartheid, ma come ha osservato lui stesso “sono state covate e nutrite dalla società brutalizzata che è seguita”. Ci sono altri modi in cui gli artisti, che di solito dispongono di risorse limitate, possono fare film o video che non sembrino dilettanteschi in confronto a ciò che si vede in televisione o cinema? L'artista inglese Isaac Julien crea una video-installazione Ten Thousand Waves (2), un’opera che prevede nove schermi, inaugurata alla Biennale di Sydney del 2010. Un elemento chiave per la sua fruizione era l'allestimento in una grande stanza priva di finestre, dove l'unica luce proveniva dai nove proiettori; quando andavano in pausa, la stanza piombava nell’oscurità. Julien è stato fortemente influenzato, come artista, dalla teoria cinematografica, tuttavia non vuole che i suoi lavori siano aridi: “Vorrei realizzare opere che possano si contenere idee intellettuali inserite nella teoria culturale e artistica viste dal più numero di persone possibile. La sfida sta nel fare qualcosa che porti gli spettatori a guardare, che parli a un pubblico, ma allo stesso tempo riesca a far riflettere sulle istante lì sollevate”. Le migrazioni e l'esilio sono temi cari anche a Shirin Neshat. Nata nel 1957 a Qazvin, in Iran, si è trasferita negli Stati Uniti nel 1975. Nel 1990 tornando per la prima volta nel suo paese dopo oltre dieci anni, sentì il bisogno di esplorare la cultura iraniana a partire dalla Rivoluzione islamica: il risultato è Women of Allah (1993-97), una serie di fotografie ipnotiche in bianco e nero di donne in posa da martire, armate e con indosso il chador. Sui volti e le parti scoperte del corpo compaiono dei testi in farsi. Man mano che il suo lavoro si faceva più maturo, l'artista si è sempre più dedicata ai film, che spesso riguardavano la condizione femminile in Iran. In Rapture (1999), per esempio, mette a confronto un uomo che canta di fronte a molti spettatori, e una donna che canta in un teatro vuoto: alle donne era proibito cantare in pubblico. In confronto alla serie del Il capitolo When Champa Grew Up, le opere più recenti di Nilima Sheikh non offrono allo spettatore quella stessa chiarezza narrativa. Un riferimento costante nel suo lavoro è il Kashmir, regione in cui l’artista ha trascorso gran parte dell'infanzia, e che ha esplorato a piedi con la madre. Sheikh lo ricorda come un luogo di grande bellezza; da allora è stato teatro di violenti scontri e continue tensioni tra i musulmani e gli indù. Tra il 2003 e il 2010 Sheikh realizzò nove grandi dipinti simili a pannelli pubblicitari mettendo insieme diverse immagini del Kashmir; quando le mostrò tutte e nove insieme, l’opera aveva assunto la forma di un'installazione, con ciascun quadro appeso al soffitto, in modiche gli spettatori dovessero camminarci in mezzo. Anche Shahzia Sikander aveva appreso le tecniche per la creazione delle miniature moghul e le aveva adattate al mondo moderno. L'animazione di The Last Post (2) è ispirata al suo interesse per la storia coloniale del subcontinente asiatico e del commercio dell'oppio a Shanghai. Il protagonista è un uomo della Compagnia delle Indie Orientali che compare sotto diverse sembianze. Nel costruire l’opera, Sikander ha utilizzato sia le tecniche tradizionali delle miniature, sia i software moderni di montaggio delle immagini per combinare, tagliare e trasformare le singole scene. The Bodies (III) (2005) (3), un dipinto dell'artista belga Michaél Borremans, è palesemente l'immagine di due uomini addormentati in un letto. Come molti pittori, Borremans parte spesso da delle fotografie. Non vuole tuttavia che i suoi quadri sembrino delle fotografie, quindi mostra l'immagine originaria su un monitor a poca distanza dal quadro. Non sembra esserci una storia, soltanto una situazione che potrebbe presagire un corso. | suoi quadri includono spesso oggetti appartenente casuali, alcuni presi dal suo studio, che vengono poi trasformati, in un processo che l'artista paragona alla campionatura dei suoni in musica. Borremans fa anche film; non video, film: la distinzione è cruciale. La pellicola possiede una qualità tattile che l'artista ritiene fondamentale anche nei suoi quadri. The Storm (2006) è un tipico cortometraggio di un minuti in loop, dove si vedono soltanto tre uomini seduti. Borremans racconta che erano tre ragazzi tornati da una notte brava a base di droghe; vedendoli seduti lì per caso chiese al cameraman di lasciar perdere tutto e di riprender loro. Il pittore tedesco Neo Rauch è nato e ha studiato nella Germania Est, ragione per la quale molti danno per scontato che la sua opera si concentri sulla dissoluzione ufficiale del paese del 1990. Il vero grande cambiamento nella vita è stata la nascita del figlio sempre nel 90, è stato in quel momento che ha cominciato ad affrontare le responsabilità, e allo stesso tempo ha potuto ritornare alla dimensione giocosa dell'infanzia. Nel dipinto Warten aut die Barberen? (4) vediamo figure tipicamente germaniche che sono rappresentate dopo gli orrori del 1945, anche se l'atmosfera del paese suggerisce il contrario. Nessuno degli artisti precedenti produce storie nel modo diretto di Michelangelo o Rembrandt, con i loro episodi di vicende note, o facilmente deducibili. Se lo storytelling nell'arte è cambiato, forse anche il suo presunto opposto, l’astrattismo, non è più lo stesso? Tuttavia molto artisti emersi negli anni Settanta Ottanta volevano rendere l’astrazione più dinamica. Volevano da una parte riconnettersi all'insieme della ricca tradizione della pittura astratta, dall'altra dipingere il mondo contemporaneo in continuo cambiamento. Ne sono emerse diverse personalità importanti, ciascuna con posizioni distinte. Tra di loro, Jonathan Lasker, noto per voler tracciare una strada tra la solidità degli espressionisti astratti e l'ironia dei neo concettualisti. Questo artista realizza schizzi di tutte le sue opere, scarabocchi tracciati in modo istintivo. Significativamente, Lasker pone la relazione tra figura e sfondo nel modo astratto, cosicché quando guardiamo i suoi quadri spesso ci troviamo a cercare di rintracciare le forme sulla tela e decederle come persone che si muovono all'interno di una stanza o di un paesaggio. Cambiando area geografica, in Australia troviamo Emily Kame Kngwarreye che diventa artista senza aver frequentato nessuna scuola d'arte in gioventù, all’età di 80 anni. A partire dall'inizio degli anni Settanta si era assistito a una straordinaria effervescenza di opere di artisti aborigeni in Australia centrale. Nonostante molta della loro arte fosse indirizzata ai turisti, altri invece erano artisti originali e straordinari: perché nessuno di loro è mai stato inserito nel contesto più ampio della pittura astratta, invece che restare confinato nel ghetto dell’arte aborigena? Parlando di Emily, la sua arte si è evoluta a partire dai motivi e dai segni cerimoniali, ma nel suo rapido sviluppo ha affrontato molti dei problemi formali della pittura modernista e contemporanea, di cui sapeva molto poco. Big Yam Dreaming è uno dei suoi dipinti più grandi composto da una fitta rete di linee bianche distese come le radici dell’albero di yam. Le ceramiche da studio hanno avuto una storia importante nel XX secolo, ma sono state considerate una categoria a parte, distinta dall'arte e legata alla tradizione artigianale. Dagli anni Sessanta in poi assistiamo a una reazione contro questa classificazione da parte di artisti che volevano fare ceramiche sperimentali, divertenti e inventive. Il primo in questione De Waal comincia a produrre ceramiche dall'età di cinque anni. Dopo l'università tentò di guadagnarsi da vivere come ceramista, creando ciotole e piatti personalizzati per un pubblico di collezionisti. Andò a studiare in Giappone e la cerimonia del tè gli fece ripensare molte cose. Il titolo dell’opera A Bad Day for the Sung Dynasty (un riferimento a un volume di poesie di Frank Kuppner) disorientò e irritò il normale intenditore di ceramiche, come anche l'insistenza nel vendere i suoi pezzi in un lotto indivisibile, all'alto prezzo ritenuto più consono al mondo dell’arte. In seguito ha lavorato in modalità site specific, oppure provvedendo a un contesto mobile, sistemando i vasi in scaffali da lui stesso disegnati come in Predella (2007) (5), un riferimento alla fascia dipinta con figure di santi o di Cristo poste sotto gli altari del pre- Rinascimento. L'opera di di Perry è iconoclastica, fa riferimento alla società come alla storia, alla storia dell’arte e alla tradizione artigianale. La forza dei suoi primi vasi si deve in parte alla commistione del background suburbano, nella sua banalità, e di un comportamento sessualmente oltraggioso, ma soprattuto dalla sua pura inventiva. In entrambe questi artisti, l'elemento del fare è cruciale; Perry si scandalizzava dell’oziosa confortevolezza di classe della tradizione artigianale, oggi è più irritato da artisti che si fanno produrre da altri le opere: per lui l'uso delle mani è il fattore chiave della realizzazione artistica. AI centro della sua idea di artista c'è l’amore per la materia, un amore rilassato, umile e perennemente curioso, punto focale di tutti gli artisti presentati in questo capitolo che mettono l'accento sul fare, sull'avere una visione estremamente personale e una spinta verso la complessi CAPITOLO 10 L'ARTE NELL'EPOCA DEL CAPITALISMO DELLA SORVEGLIANZA DAL 2015 IN AVANTI Negli ultimi anni si è diffuso un profondo disagio rispetto alle ambizioni e agli effetti di Google, Facebook e altri social media. Internet offriva così tanto: comunicazione globale; libertà di informazione; una comunità internazionale in armonia. Tutte queste illusionismo state spazzate via. AI fine, Internet era un porto sicuro per l'odio razziale e le teorie del complotto, e che, sopratutto, Google e Facebook non sono che una facciata, un modo per estrarre dati personali. Abbiamo capito che non siamo noi i clienti di Google, bensì i suoi inserzionisti. Nel recente // capitalismo della sorveglianza la studiosa americana Shoshana Zuboff affronta la questione di come Google e Facebook sono diventanti parte di una forma di capitalismo ossessionato dal controllo: in questa epoca, guadagniamo nuove libertà oppure siamo soltanto più controllati? La nuova modernità (il nostro tempo) è anche flagellata da leader populisti e nazionalisti ottusi, che fanno appello alla paura e al pregiudizio invece che alla buona volontà e alla speranza; da disparità economica, sovrappopolazione, cambiamento climatico e dalla reale minaccia di un disastro ecologico. Per gli Skulptur Projekte Munster del 2017, Hito Steyerl installa alcuni monitor che trasmettevano video animazioni di robot creati per salvare le persone nelle zone colpite da disastri. Su un altro monitor dei bambini in una zona di guerra chiedono a Siri quando arriveranno i robot a salvarli. | video di Steyerl sono più dei saggi provocatori. collage di riprese di documentari, computer-generated imagery, l'artista stessa che parla. Utilizza gli strumenti della post produzione per aggiungere elementi di complessità, per riconfigurare e sovvertire le immagini. Il pubblico si chiede chi sono i grandi artisti dei oggi: si ha presente quando si dice stile tardo di un pittore come Tiziano, Rembrandt, Guston e altri che ce ne hanno offerto un esempio valido. Ma cosa possiamo dire degli artisti che lavorano con le installazioni, la fotografia o la performance? Come raggiungo uno stile maturo? Nonostante Cindy Sherman negli ultimi decenni non abbia fatto più nulla che abbia abuso lo stesso impatto dei suoi primi Untitled Film Stills il suo lavoro ha continuato a evolversi, dal grottesco alla parodia. Le sue opere, come quelle di Baselitz e Lassnig, hanno a che fare, almeno in parte, con l'invecchiare. Quando Marina Abramovic a 64 anni mise in scena la performance The Artist Is Present al MoMa di New York nel 2010, immobile e silenziosa a un tavolo indossando un favoloso vestito da sera rosso, 750.000 persone fecero la fila per sedersi di fronte a lei e guardarla negli occhi. C'è chi pensò fosse pomposo più che potente, e cominciarono a pensare a lei come un'egocentrica, non più un'artista, ma come una celebrità e basta. Abbiamo iniziato, nel primo capitolo, con un viaggio in Indonesia e a New York per cercare di vedere le cose da una prospettiva più globale rispetto agli altri testi di storia dell’arte. Chiudiamo dunque dicendo che nonostante il mercato e i media siano iperattivi a New York e nelle altre capitali occidentali, ci sono opere interessanti in tutto il mondo. Fin dal 1984 la Biennale dell’Avana ha cercato di essere un forum per gli artisti del Terzo Mondo, inevitabilmente con una preponderanza di artisti latino-americani, e così è stato nell’edizione del 2019. Questa ultima, è diventata anche un sito di protesta. Avendo partecipato alla campagna contro il decreto 349 del 2018 che conferiva al governo cubano poteri di censura straordinari, Tanoa Bruguera ha invitato gli artisti stranieri che avrebbero esporto a manifestare contro il decreto, per esempio indossando all’inaugurazione magliette che dichiaravano la loro opposizione. Pare che nessuno abbia accettato per via della paura di qualche ritorsione dopo che avevano fatto tanta strada per poter esporre alla Biennale.