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L'arte del XX secolo Denys Riout RIASSUNTO, Appunti di Storia dell'Arte Moderna

Protagonisti, temi , correnti dell'arte del ventesimo secolo. Riassunto di 51 pagine

Tipologia: Appunti

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Caricato il 27/04/2018

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Scarica L'arte del XX secolo Denys Riout RIASSUNTO e più Appunti in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! L'ARTE DEL VENTESIMO SECOLO Denys Riout L’arte del ventesimo secolo Protagonisti, temi, correnti Premessa La legge negli USA prevedeva la tassazione di prodotti manifatturieri, ma permetteva la libera circolazione delle opere d’arte. Nel 1926 sono sbarcate delle opere di Brancusi a NY, da qui nacque una disputa sul valore artistico di questi lavori, che nel 1928 vennero considerati come opera d’arte. “Uno dei traguardi del moderno è proprio quello di aver definitivamente messo in crisi le certezze più consolidate”. 1- Avanguardie e grandi miti: L’avanguardismo sancisce l’esistenza di una rottura: promulga valori sostitutivi, analizzando il presente, propone manifesti artistici e sollecita alleanze. “Gli sconfitti di oggi sono destinati a diventare i trionfatori di domani… l’arte tenderà a scomparire una volta raggiunto il suo scopo”. 2- Un campo allargato: dagli anni ’70 la nozione di avanguardia tende a scomparire, andando a formare una nuova categoria, quella delle “arti plastiche”; dai Papier colle cubisti, i ready-made duchampiani, oggetti dadaisti e costruttivisti, gli happening, il video e la fotografia, l’uso del corpo. La nuova definizione è “arte contemporanea” al posto di avanguardia o di arte moderna: è il “post-moderno: morte dei grandi miti e la fine delle ideologie. 3- Vedere e leggere le arti del ventesimo secolo: Le belle arti discendono dalle arti visive, le arti plastiche sono un’altra cosa, restano invisibili, o offrono enunciati verbali. Picasso stabilisce due modi di guardare l’opera: A- guardare senza nulla da capire; B- opera d’arte che si prolunga nell’indicibile. L’arte non comincia dove finisce la razionalità, essa la prolunga nell’indicibile, per condurci là dove regna l’emozione. 4- Costruire un racconto: rendere comprensibile l’arte del XX secolo, un’arte che ha dedicato tutte le sue energie alla distruzione. Il libro si dedica alle opere dei musei d’arte moderna che suscitano meraviglia, stupore e indignazione. Le prime due parti trattano l’abbandono della rappresentazione, l’astrazione come rivoluzione capitale. Il quadrato nero di Malevic che fa tabula rasa del passato e del concetto di “mimesis”. 1 La terza parte cerca di fornire modelli alternativi Le ultime due parti sono dedicate alla diffusione delle arti plastiche, con nuovi rapporti tra l’arte e il pubblico. Parte prima: L’arte astratta Dalle arti primitive al cubismo l’arte rimane sempre legata al mondo visibile. Platone: l’arte e in particolare la pittura, la quale, essendo imitazione di un’imitazione, allontanerebbe dalla verità. Al contrario, per esaltare la mimesis ricordiamo la figura di Aristotele: esalta la mimesis e i piaceri che essa procura. L’imitazione è sempre stato un fatto imprescindibile nei secoli, rifiutarne la necessità è stato un fortissimo elemento di rottura: l’arte astratta si pone in contrasto con l’arte figurativa. CAPITOLO PRIMO - La nascita dell’astrazione. Kandinskij vede nell’oscurità la bellezza di un suo quadro che si fa astrazione. Tra il 1910 e il 1912 con lo “Spirituale nell’arte” viene definito il concetto di astrazione. Vi è una rottura definitiva tra l’arte del passato, posta sotto il segno della mimesis, e l’arte dell’avvenire, da essa emancipata. Kandinskij constata che è proprio la rappresentazione a nuocere ai suoi quadri. L’arte non figurativa libera in tutta la loro intensità le virtualità alle quali l’imitazione degli oggetti del mondo impedisce di manifestarsi. 1- Un’astrazione per decantazione: assenza di continuità tra arte figurativa e arte astratta (l’arte si allontana dal visibile). Per Kandinskij è un passaggio progressivo verso l’astrazione: impressioni (ispirate alla natura), improvvisazioni (autonome) e le composizioni ( maturazione delle esperienze precedenti). Per Mondrian si ha avuto uno stesso processo progressivo dal 1912, con la scomparsa dell’oggetto. “L’astrazione da sola non basta ad escludere il naturale; occorre anche una composizione delle linee e dei colori diversa da quella naturale”. Picasso e Braque non hanno mai rotto con la mimesis, si tengono a distanza dall’astrazione. Delunay frammenta e moltiplica piani luminosi. (l’oggetto dell’opera d’arte sparisce) 2- Apologia della rottura: Malevic ha un posto di primo piano tra gli apologeti della rottura, processo verso l’astrazione. 1914, si depura dai 2 segno dei mestieri che sono i soli che possono riportare a un mondo dove si costruisce: “non c’è differenza tra artista e artigiano, l’artista è solo un artigiano potenziato. Si trasferisce a Dessau nel 1925, poi a Berlino con Mies, fino al ’33 in cui chiude. New Bauhaus fondato nel 1937 negli USA (Chicago) da Moholy-Nagy. 7- Fine della pittura, fine dell’arte?: rapporto tra arte e arti applicate porta alla volontà di costruire un mondo nuovo. Malevic nel suprematismo vuole abbandonare la pittura: “non si può parlare di pittura, il pittore è solo un pregiudizio del passato. Rodcenko fa nel 1921 tre piccoli quadri dipinti con un solo colore: giallo, rosso, blu. Per Tarabukin, l’agonia del quadro divenuto solo oggetto da museo non determina la morte dell’arte. Si tende a collegare l’arte al lavoro, il lavoro alla produzione e la produzione alla vita quotidiana. L’artista è colui che sa mettere forma a un materiale. L’arte diventa elemento in grado di cambiare la vita. 8- Scultura aperta e quadro assoluto: Strzeminski (inventore dell’unismo): l’astrazione è un’acquisizione definitiva: la riproduzione delle forme del mondo non ha nulla a che fare con l’arte, che egli definisce come creazione di unità formali la cui organicità è parallela a quella della natura. La rinuncia delle contrapposizioni cromatiche, il rifiuto dei contrasti luce/ombra, l’abbandono dell’autonomia colore e linea consentono la creazione di un quadro omogeneo che esalta le proprie qualità intrinseche, nel rigoroso rispetto della sua autosufficienza plastica. Il pensiero di Strzeminski si collega direttamente a quello di Lessing. Arte puramente spaziale, la pittura si vede costretta a rifiutare qualunque tipo di movimento e dinamismo, qualunque tensione direzionale in quanto introdurebbero un fenomeno temporale.L’opera trova in se stessa il proprio fine, non ha nulla da decifrare, deve solo risultare attraente, quindi, tutt’altro che vuota. Unismo: oppone l’integrazione degli elementi plastici nella totalità pacificata di un’attività priva di pathos, esente da psicologismi, indipendente dalle idiosincrasie dell’artista. Esso mira alla “pittura assoluta” esclusivamente destinata allo sguardo. L’Unismo tenta di salvaguardare l’esigenza di una pittura non oggettiva e autoreferenziale senza tuttavia ripudiare la tradizione dell’arte da cavalletto. Per Strzeminski la forma dell’esistenza genera la forma della coscienza; infatti difendeva l’autonomia dell’arte nel sociale. Poi si sposta 5 l’attenzione sulla scultura e il suo dispiegarsi nello spazio, mentre il quadro si ritira solo in se stesso. Lo spazio diventa esigenza, avviene un’unione con lo spazio attorno alla scultura, ma anche la totalità dello spazio illimitato, uniforme in ogni suo punto. Spazio come vera e propria esigenza, mentre gli artisti del passato hanno ridotto il problema dello spazio a quello del volume, l’unione non deve realizzarsi solo con la parte di spazio occupata dalla scultura ma anche con la totalità dello spazio illimitato, senza che vi sia distinzione tra spazio interno e spazio esterno, essendo lo spazio uniforme in ogni suo punto. L’Unismo, fondato su una concezione monista dell’arte, mirava così a creare la ‘pittura assoluta’, esclusivamente destinata allo sguardo. Il colore si irradia nello spazio che si estende all’infinito, nelle composizioni spaziali di Kobro, piani colorati definiscono una versione scultorea dell’Unismo. L’astrazione fatica trovare un riconoscimento pubblico, malgrado le tematiche spiritualiste per costruire un mondo migliore. Eppure gli sforzi si moltiplicano in questa direzione. CAPITOLO SECONDO - Sviluppi e mutamenti dell’astrazione. Dagli anni ’30 agli anni ’50. Anni ’10-’20, gli artisti astratti cercano di diffondere l’arte astratta e far conoscere le proprie intenzioni: desiderio di chiarimento e di sperimentazione concettuale. Ma comunque in questo periodo gli artisti astratti non sono stati avari di spiegazioni, volevano far conoscere e intendere le proprie intenzioni. 1- Realismi di stato: Dottrina ufficiale del realismo socialista nell’Unione Sovietica, come educazione dei lavoratori nello spirito socialista: immagini realiste, popolari, edificanti. L’arte astratta è giudicata troppo ermetica, e solo borghese. Hitler fece lo stesso in Germania, espone opere espressioniste alla derisione del popolo, come aborti della follia (mostra Entartete Kunst che girò per quattro anni la Germania). Secondo l’ottica nazista, l’intera modernità artistica è la manifestazione di una degenerazione. 2- New York, nuova partenza: formazione di società per l’arte astratta, sulla base dell’arte astratta e del surrealismo. Il nuovo slancio impresso 6 all’astrazione degli artisti americani affonda le proprie radici in due tradizioni a quel tempo generalmente ritenute in contraddizione tra loro: l’arte astratta dalle tendenze più o meno geometriche e il surrealismo. Janis sottolineava la differenza tra arte surrealista, “emotiva, intuitiva, spontanea, soggettiva”, e la corrente dominante dell’astrattismo americano, “disciplinato, architettonico, oggettivo, rigoroso”. Ma notava anche che nel lavoro di artisti come Gorky, Gottlied, Rothko, Motherwell o Pollock si manifestava una qualche aspirazione alla sintesi. Avanguardia USA privilegia la superficie piana perché distruggono l’illusione e rivelano la verità; nessuno riuscì mai a realizzare questo ideale. Pollock fu il primo a rappresentare questo ideale programmatico con il “dripping” (sgocciolare): dipinge direttamente sul pavimento , così da girare attorno al quadro, essere dentro al quadro. Quindi le tele di Pollock erano di formato molto grande e anziché essere disposte su un cavalletto o accostate ad un muro, erano stese per terra. Poi “action painting” di Harold Rosemberg che pone l’accento sull’atto del dipingere più che sull’esito formale; la tela diventa un evento, il pittore usa la materia per trasformare la materia che ha di fronte, il quadro è il risultato di tale incontro. L’action painting implica una piena disponibilità e un impegno totale da parte dell’artista, il quale lavora direttamente sulla tela senza un disegno prestabilito o un’idea prefissata. In queste condizioni, vita e pittura intrattengono tra di loro un rapporto strettissimo, infatti la pittura risulta inseparabile dalla vita dell’artista, ogni separazione tra arte e vita è tolta. Clement Greenberg si interessò alla struttura “all over” dei quadri e al particolare tipo di spazio da essi creato, più visivo che tattile, in cui prevaleva l’illusione di una profondità indefinita, ma in qualche modo definitivamente limitata, che richiamava ciò a cui erano pervenuti Picasso e Braque con le sfaccettature piane del loro cubismo analitico. Greenberg coniò l’espressione all-over per definire quel genere di pittura che, evidentemente, fa a meno di un principio, di una parte centrale e di una fine e la cui superficie è tenuta strettamente unita e consistente di elementi identici, o rigorosamente simili fra di loro, che si ripetono senza variazioni marcate da un’estremità all’altra del dipinto. Per cui il pittore all over rende ogni elemento e ogni zona del dipinto equivalente nell’accentuazione e nell’enfasi. Dunque i quadri creano uno spazio in cui 7 più che dipinti disegnati. Hartung (opere gestuali) e Wols (quadri cupi, macchiati e graffiati): la loro astrazione viene definita “lirica”, evoca uno stato d’animo più che disegnare un registro formale. Il rifiuto di forme chiaramente delimitate, dai colori netti, levigati e omogenei, accomuna un’intera generazione di artisti, per i quali la creazione non è tanto un problema di concezione intellettuale quanto di contatto con i materiali (parentela con Action Painting). [1996 Bois e Krauss rilanciano il dibattito sull’informe, essi hanno segnalato la possibilità di una diversa genealogia di una parte della pittura europea degli anni cinquanta]. Informe tende a squalificare l’esigenza che ogni cosa abbia la sua forma; informe equivale a dire che l’universo è uno ragno o uno sputo, afferma Bataille in un articolo del Dictionnaire critique. “Tachisme”:offre invece una visione combattiva per riconciliare l’astrazione gestuale e l’automatismo surrealista. Mathieu diffonde una nuova astrazione in Francia: rifiuta di assegnare all’uomo un totale affrancamento metafisico, dal momento che la libertà è il vuoto, egli si rifiuta di diluire le singole sensibilità nell’universalità cosmica. Nel 1956 Mathieu porta in scena “l’estetica dalla velocità” (folgorazione del gesto). L’arte astratta diventa fenomeno di società. Per la sua diffusione si allestivano gallerie e si fondavano riviste specializzate, mentre l’editoria pubblicava le prime storie dell’arte astratta. Nel 1950 Dewasne e Pillet aprono un atelier riservato all’insegnamento dell’astrattismo. Critica di Robert Ray all’arte astratta che apre la strada a ogni imperizia tecnica, i segni sono diventati la garanzia del genio. Ha procedimenti del tutto empirici e può ignorare il saper disegnare o scolpire, etc. 5- Astrazione e libertà: l’accademizzazione vedeva lo sviluppo artistico come un processo lineare. Gli astrattisti credono nell’estinzione definitiva della creazione figurativa (Accademismo astratto). Un fatto evidente che fa intendere meglio il percorso di artisti innanzitutto preoccupati della propria libertà. Se infatti Kandinskij Mondrian e molti altri hanno rotto definitivamente con la mimesis, Delunay, Klee, Picabia, invece, hanno sempre eluso, nel loro lavoro, la 10 divaricazione tra arte figurativa e arte astratta. Malevic ritorna alla figurazione, alla fine degli anni venti, ma se alcune sue opere danno l’impressione di una costrizione, altre esprimono al contrario la vitalità, l’incontenibilità di una sorta di ebrezza. Pollock nel ’51 espone una serie di quadri bianchi e neri, alcuni dei quali nettamente figurativi. “L’arte è una grande zuppiera nella quale basta affondare le mani per trovare qualcosa per sé”, affermava De Kooning e aggiunse anche che ognuno deve procedere all’operazione da solo e senza preconcetti. Negli anni ’50 crisi dell’arte astratta con rifiuto di quadro monocromo di Ives Klein al Salon del Realites nouvelles. Per l’artista era il primissimo tentativo di far conoscere il proprio lavoro nel mondo dell’arte, ma i membri del comitato organizzatore non seppero risolversi a considerare l’opera come un quadro, o quantomeno un quadro compiuto, completo(“un solo colore non basta”). Klein non accettò di aggiungere una macchia di colore al suo quadro affinchè potesse essere accettato. CAPITOLO TERZO - L’astrazione dopo i tempi eroici. Gli anni Sessanta e oltre. Klein aveva più volte dichiarato, alla fine degli anni cinquanta: ”I miei quadri sono solo la cenere della mia arte”. La svalutazione del quadro, il tema della morte della pittura, tornavano allora di attualità. Più in generale, l’edificio secolare delle belle arti cominciava ad implodere sotto l’effetto di pratiche che non dipendevano né dalla pittura né dalla scultura. Ad Reinhardt, in pittura, trasse da questo dato di fatto le conclusioni più nichilistiche. Altri artisti come Rothko, Newman, Soulages continuarono a sviluppare il loro discorso artistico. Comunque torna d’attualità il tema della morte della pittura e delle svalutazione del quadro. 1- Le “Ultimate Painting”: Ad Reinhardt, apparteneva alla generazione degli espressionisti astratti, membro dell’AAA, non rinnegò mai l’astrazione. Dopo gli Abstract Paintings degli anni ’30, dai ’40 passa ad una tecnica più libera, infatti troviamo gli All-over (evita la monocromia, utilizza chiaroscuri tonali e sfumature timbriche). Un’evoluzione che lo 11 porta ad eliminare le suggestioni cromatiche: nel corso degli anni cinquanta, Reinhardt dipinse solo quadri scuri, quasi neri. Il loro formato era ancora variabile, spesso rettangolare; poi, all’inizio degli anni sessanta, pose fine anche a questo arbitrio e dedicò gli ultimi anni di vita a dipingere, sempre in nero, quadri che sembravano tutti identici. Una pittura pura, astratta, non oggettiva, atemporale, senza spazio, senza cambiamento, senza riferimento ad altro, disinteressata. Soprannominato “il monaco nero” Reinhardt professava la religione dell’arte in quanto arte (art as art), scissa dalla vita, priva di funzione e significato; pittura autosufficiente, non articolabile, ne riproducibile, invendibile, inesplicabile; è un “non-divertissement”: non fatto per l’arte commerciale, ne per la massa, né per se stesso. Egli infatti rivendicava l’autosufficienza dell’arte. L’unico posto dell’opera è il museo, dove viene messo definitivamente messo in quarantena, la presentazione delle opere al pubblico non è necessaria, non vi è un contatto tra pubblico e opera. Le opere dovevano semplicemente essere conservate nel museo e non per forza ammirate dal pubblico. I suoi “Black Paintings” hanno eliminato tutto ciò che poteva esser pittura prima di sperimentare il monocromo “muro assurdo, muto, cieco”, presentato poco prima in questi termini da Tarabukin. Ecco perché sono davvero le “Ultimate Paintings” realizzabili. (in realtà questa corrente ebbe seguaci). 2- Pura visività: op art (optical art), Agam, Riley, Vasarely; artisti interessati alle tecniche più disparate, illusionismo e altri giochi ottici, “l’obiettivo non è il cuore ma la retina, lo spirito diventa soggetto della psicologia sperimentale”. Agam si rifà alle distorsioni del XIX secolo. Vasarely, variazioni seriali con ambiguità ottiche. La loro seduzione si esercita al di fuori di qualsiasi preoccupazione di contenuto, ma non è priva di finalità sociali. Secondo l’artista, infatti, le opere cinetiche alimentano una concezione umanistica e filosofica delle arti plastiche; integrazione delle arti nell’universo urbano (erede del Bauhaus). Egli sognava un’arte sociale, capace di soddisfare, grazie all’immedesimazione dello spettatore con il quadro, in grado di soddisfare “le naturali aspirazioni dell’uomo al godimento dei sensi”. Vasarely contribuisce nell’esperienza innovatrice con i suoi “multipli”, opere 12 trarne piacere. Quindi il contenuto dell’opera diventa allora l’insieme delle procedure utilizzate. Il termine lavoro indica insieme l’attività dall’artista e il risultato ottenuto. Si sostituisce l’opera con il lavoro, sconsacrando la creazione artistica. (Praxis). Marc Devade: estensione a problemi filosofici e teorici di questa sovversione formale. Claude Viallat: l'oggetto della pittura è la pittura stessa, i quadri esposti si rapportano solo a se stessi; non fanno minimamente un appello a un “altrove”. Artisti del gruppo Supports/Surfaces operano a volte con materiali propri dell’arte tradizionale, decompongono gli elementi del quadro e ne scompongono gli elementi costitutivi; Buraglio (lavora su cornici di finestra senza tela); Dolla espone tele libere senza cornici; Dezeuze inchioda un foglio di plastica su una cornice trasparente per rivelarne la struttura nascosta; Arnal incolla e dipinge 500 quadri che ripiega e dispone a mucchi sul pavimento. Sono collezioni di oggetti che non rimandano ad alcuna categoria dell’arte tradizionale. Una combinazione seriale che Barré fa una conseguenza poetica: serialità diventa modo di produrre opere tra loro il più differente possibile. Tutti i lavori trovano l’esito in una realizzazione compiuta, come un vero e proprio “microcosmo”. Un la serie chiama a raccolta l’intera nostra memoria, evita l’atteggiamento puramente contemplativo. Sol Lewitt, “artista seriale”: evita qualsiasi soggettività, non tenta di produrre un oggetto bello. La scomparsa del soggetto o del contenuto porta alla scomparsa dell’artista in quanto operatore singolo e insostituibile. Claude Rutault, 1973, ogni opera risponde a regole che le sono proprie, ma tutte richiedono, per esister pienamente – accedere al visibile - , la complicità attiva dei loro acquirenti, i quali possono scegliere fra tre soluzioni; sono “Definizione/Metodo”: 1-ridipingere la tela con il colore del muro; 2-ridipingere il muro con il colore della tela; 3- ridipingere entrambi con lo stesso colore; 15 l’infinita varietà converte la monocromia in un punto di partenza. Ryman: la pittura appartiene alla sfera delle emozioni, deve essere una sorta di rivelazione, un sentimento di benessere. Riprende Matisse: “la pittura pittorica apre qui lo spirito al puro piacere”. 4- La grata, il quadrato e la prigione: caduta delle teorie di supporto all’astrazione porta alla rinuncia in ogni fede di progresso per l’umanità. Radicalismo astratto: la grata e il quadrato (o cubo) La grata: una struttura con le caratteristiche del mito, si giova di infinite variazioni: ha un successo quantitativo (molti lo hanno utilizzato), qualitativo (migliori opere del secolo) e ideologico (impronta di modernità). Per Krauss la grata assume l’aspetto anti-mimetico dell’arte ed è per questo emblema della modernità. Il quadrato e i suoi derivati partecipano di un’analoga valorizzazione dei segni in cui si riconosce la modernità artistica. In effetti, dal quadrato nero di Malevic alla lunga sequenza degli Homage to the square di Albers agli Ultimate Paintings di Reinhardt, l’elenco delle opere importanti che assegnano al quadrato un ruolo essenziale sarebbe imponente. Numerose furono le mostre dedicate al quadrato, promosso a tematica pittorica a tutto campo. Per Van Doesburg “il quadrato è per noi quello che fu la croce per i primi cristiani. Mondrian considerava il mondo intero nei suoi quadri. Morellet: l’astrazione serviva a camuffare la figurazione per meglio “de-figurarla”. Le opere di Peter Halley introducono, su un registro più serio, una confusione dello stesso tipo. I suoi quadri quadrati con campiture uniformi dai colori contrastanti, passano per astratti, espressione di una tendenza geometrica radicale. Ma in realtà per lui rappresentano delle prigioni, delle celle, dei muri. Qui, il quadrato ideale diventa una prigione. La geometria diventa internamento; nel suo pensiero iniziale, la morte di Dio ha comportato la morte dell’arte; poi si ricrede: Dio non è morto del tutto, ma vive in un’agonia interminabile che prosegue tuttora (l’arte è sempre nella stessa condizione moribonda, già resuscitata da Preraffaelliti, postimpressionisti, espressionisti astratti, postminimalisti, ecc. la magia non fa più effetto). Egli dipinge la prigione con il Day-Glo, pitture fluorescenti, la cella è il luogo per eccellenza dove si consuma un’attesa interminabile. La cella sotterranea è il luogo per eccellenza in cui si consuma un’attesa interminabile, una sorta di non-vita. 16 Gerhard Richter: passa da una “cosa all’altra”, parte da foto, paesaggi, personaggi, nudi, finestre, tutto chiuso nella geometria di una grata, rappresenta il tutto in grandi monocromi grigi, senza intenzione di rappresentare o di esprimere alcunché. Richter assegna alle opere figurative e alle opere astratte una finalità analoga. Entrambe concorrono a una conoscenza del mondo, creando “modelli senza i quali ignoreremmo tutto della realtà e saremmo ancora a uno stadio animale”. In altre parole l’arte astratta ha la stessa finalità dell’arte figurativa, entrambe concorrono a conoscere il mondo creando modelli senza i quali saremmo ancora allo stato animale. L’arte astratta è destinata a sostituire quella figurativa, rende percepibile una realtà invisibile. L’arte astratta non ha ripudiato la mimesis, anzi è piuttosto un tentativo di preservare le ambizioni dell’arte del passato. L’arte astratta inoltre offre all’artista la possibilità di rendere percepibili “realtà che non possiamo né vedere ne descrivere ma di cui possiamo intuire l’esistenza”. Parte seconda: La seduzione del reale L’astrazione rompe con le arti visive e quindi con la rappresentazione del reale. Viene dato il nome di “non figurativo” o “non oggettivo”, dato che l’arte di Mondrian è ciò che di più concreto possa esserci, ma anche non figurativo, nei quadri sono dipinti figure, oppure non oggettivo, l’arte guarda agli oggetti non come semplice mezzo espressivo. Van Dousburg e altri optano, alla fine degli anni Venti, per “l’arte concreta” e firmarono assieme un manifesto che proclamava che il quadro era fatto da elementi puramente plastici: piani e colori. Inoltre un elemento pittorico non ha altro significato che “se stesso”; di conseguenza il quadro non ha altro significato che “se stesso”. Successivamente Van Dousburg dopo i Pier collé, il ready-made confermò la possibilità, per l’arte, di intrattenere rapporti fondamentali con il reale senza ricorrere all’imitazione. CAPITOLO PRIMO - Rappresentare, presentare 1- Braque e Picasso: “la battaglia è iniziata”: già Turner inseriva dei personaggi precedentemente ritagliati da un foglio di carta nelle proprie tele. Picasso nel 1908 incolla un pezzo di carta, ricavato da un rèclame 17 una macchina apposita, per eliminare qualsiasi contatto manuale, possibile veicolo dell’interiorità dell’artista. Ricordiamo inoltre Raoul Hausmann nel ’19 sostituisce delle parti in un’immagine fotografica. Infatti il “Kunstkritiker” i cui occhi soo sostituiti da altri, troppo piccoli per la taglia del suo viso – un’immagine fotografica- mentre la bocca appare disegnata come una cavità spalancata. Troppo grande, stizzosa, essa mostra i denti dietro due labbroni sgraziati. In mano, il sinistro personaggio tine una penna marcata Venus, sulla fronte, dove dovrebbe risiedere il pensiero, c’è la riproduzione di un frammento di scarpa. Poi Dubuffet con le sue trasformazione di oggetti in paesaggi, Picabia con i suoi oggetti minimi come bottoni, stuzzicadenti, riveste i suoi ritratti femminili. Tutto fa collage. Una tecnica accessibile a chiunque (critica della perdita del mestiere di Levi-Strauss, il “bricoleur” capace di eseguire vari compiti, con un universo strumentale chiuso). 5- Varianti: papier découpé e fotomontaggi: Matisse, negli anni Quaranta, utilizza una variante tutta personale dei papier collé, il papier découpé. Contrariamente ai papier collé cubisti e ai collage surrealisti o di altro tipo, che impegnano un materiale neutro, i papier décupé sono precedentemente dipinti a tempera secondo le istruzioni dell’artista, egli ritaglia direttamente dal colore (dentro il colore), come uno scultore, si disegna direttamente nel colore. I papier décupé richiedono la semplice efficacia del gesto, impongono l’accordo infallibile tra una forma e un colore tecnica. Ulteriore variante dei collage, i fotomontaggi o collage di foto o di frammenti, utilizzano un materiale che intrattiene un rapporto particolare con la realtà e il mondo dell’arte; può esser opera in sé, o suscettibile di sviluppo successivo, c’è chi lo considera solo come successiva manipolazione di foto, distinguendo dal Photocollage che sono semplici assemblaggi di prove fotografiche. La tecnica fotografica non apparteneva di diritto al mondo dell’arte, ne entra a far parte solo dopo l’esplosione del collage. 20 Raoul Hausmann e i dadaisti utilizzano il “fotomontatore”. Essi puntavano alla distruzione di tutti i valori. Il fotomontaggio dadaista, sovversivo nella forma e rivoluzionario nel contenuto, ha un potere di propaganda. L’uso del fotomontaggio si è diffuso anche in Russia, dove El Lisickij e Rodcenko hanno concepito immagini la cui potenza plastica fa supporto all’ambizione militante con procedimenti di associazione. Mentre Moholy- Nagy fa fotoplastiche nel 1925 che sono foto differenti compenetrate tra loro, si attinge all’immaginario utilizzando uno strumento che attinge dal real, infatti possono essere narrative, più vere della vita stessa. 6- Ready-made e oggetti: Ruota di bicicletta di Duchamp (1913), ruota su uno sgabello da cucina, rappresenta un autentico collage tridimensionale. All’inizio fatta non per l’esposizione ma “era semplicemente un passatempo” fatta per il solo scintillio dei raggi in movimento. Duchamp inoltre adottò il termine “ready-made”, un oggetto quotidiano viene elevato a qualità artistica. Nel 1917, utilizzando lo pseudonimo di Richard Mutt, Duchamp invia alla Society of Indipendent Artists un orinatoio, presentato con il titolo di Fontana, perché sia esposto alla mostra newyorkese di quell’anno: mai prima di allora un artista aveva osato tanto. Fontana è in sostanza nient’altro che un orinatoio maschile capovolto e appoggiato su un lato. Tutti questi oggetti originali sono andati perduti, ma per Duchamp la replica di un ready-made ha lo stesso significato e trasmette il medesimo messaggio dell’originale. Oggetto banale, votato all’indifferenza estetica, in rottura radicale con la tradizione della manualità artistica, il ready- made punta sull’efficacia dell’intenzionalità. La scelta dell’oggetto si basava su una scelta di indifferenza visiva, combinata con l’assenza di buono o cattivo gusto. Le opere richiamano a oggetti specifici e quotidiani, esso promuove un’arte generica. Inoltre il ready-made pone il problema di cosa sia arte e quali caratteristiche deve avere un oggetto per appartenere alla categoria artistica. A volte Duchamp aggiungeva all’oggetto prescelto alcuni segni grafici, ad esempio nella “Gioconda” del 1919, un pizzetto e dei baffi; esso è un ready-made aided (rettificato) che attira l’attenzione su uno degli esiti essenziali delle sue opere, rivoluzionarie non per i loro risvolti burleschi ma in sé e per sé. 21 Duchamp fa anche giochi verbali scritti sui suoi ready-made, frasi brevi ed enigmatiche. L’amico Picabia usa un dispositivo analogo nei suoi “disegni meccaniformi”. Egli, dal 1915, utilizza un ready-made ironico aggiungendo ad esso un ready-made grafico. Poi ricordiamo anche il ready-made testuale, prolungamento del collage improntato a un’ispirazione sarcastica, che diventa “anti-arte”. Per la prima volta nel ‘20 sono esposti quadri dada, Picabia li definiva antiarte, in maniera più dissacratoria che argomentativa trattandosi più di uno slogan provocatorio che di un concetto. A proposito dell’aggressività anti-arte che caratterizzava le manifestazioni dada negli Stati Uniti, Duchamp precisa: “Si trattava soprattutto di rimettere in questione il comportamento dell’artista quale era concepito dalla gente comune.” La nozione di anti-arte conobbe un ritorno d’attualità quando il neodadaismo s’impose sulla scena internazionale, grazie al movimento Fluxus. L’anti arte rimette in causa le definizioni standard dell’opera d’arte e le loro modalità istituzionali d’impiego. George Maciunas, uno dei principali esponenti di Fluxus dice che anti-arte è la vita, la natura, la realtà vera. Sono artisti che cercano di rompere con le forme canoniche, di rappresentare i particolari e ciò che non è mai stato considerato “arte”. Molti oggetti di Man Ray sono accompagnati da titoli che concorrono pienamente all’esistenza dell’opera.Essi presentano aspetti tipici del ready-made aided (rettificato), nel senso che questa arte/anti-arte del montaggio poetico fonde elementi visivi e elementi linguistici insieme. CAPITOLO SECONDO - Il puro e l’impuro L’arte occidentale ricorse per un lungo periodo a un numero limitato di materiali, legittimati dal loro impiego quotidiano. Nel XX secolo c’è stata l’emancipazione dei materiali, “qualsiasi tipo di materiale”. Dal ’12 Boccioni utilizza vari materiali, “non esistono materiali che non possano concorrere all’elaborazione di un’opera. Dalle arti visive (collage, readymade) si passa ad altri settori, la musica e “l’arte dei rumori” (1913, Modena) con Luigi Russolo: rumore familiare al nostro orecchio. 22 visibili, come fossero una tavolozza. Egli opera con tutti i materiali che gli capitano sotto mano, anche ciò che non aveva un buon odore (fascinazione per il pattume, il lirismo del sordido, “l’arte è un mucchio di merda”. Egli accumulava nelle opere tutto quello che trovava, la materia non conta, ciò che conta è darle forma. Costruisce il Merzbau che cresce su se stessa negli anni fino a esplodere in tutta la sua casa, è il work in progress, egli non mira a una forma definitiva., è l’estetica del non-finito. Negli anni ’50 USA si lavora con materiali di recupero fino alla formazione della Junk Sculture (rottame), John Chamberlain (pezzi di auto alla rottamazione). Mark Di Suvero usa vecchi cavi, catene, materiali abietti. Arte critica alla società dei consumi. (eredità dal papier collé). CAPITOLO TERZO - L’assemblaggio: l’arte e la vita 1961, mostra al MOMA, “the art of assemblage” di oggetti del quotidiano: Arman, Tinguely, César, Spoerri, Baj, Burri, Dubuffet, Chamberlain, Cornell, Johns, Kienholz, Nevelson, Rauschemberg, Stankiewicz (150 artisti). Assemblage designa la categoria delle opere tridimensionali a partire da oggetti e materiali eterogenei. A- Neodadaismo e Pop Art: dal ’51 si riattualizza il dada, da Duchamp e John Cage, New Dada; Jasper Johns, opere con humor corrosivo, materia manipolata con la spatola, opere di oggetti di evidente banalità. Robert Rauschemberg, critica all’estetica espressionista, chiede un disegno di De Kooning (si presta al gioco) che gli cancellerà, l’altra estremità della matita è altrettanto buona. L’espressionismo può essere fabbricato a tavolino. Produce serigrafie di fotografie e dipinge quadri in bianco e nero o su carta di giornale. Introduce il Combine painting, opere miste di tecniche pittoriche tradizionali e assemblaggio di oggetti reali. “quando una tecnica diventa un luogo comune, l’arte è morta”. Egli è per l’arte che non ha niente a che vedere con l’arte, ma ha tutto a che vedere con la vita; la pittura è legata sia all’arte che alla vita; egli vuole introdurre la vita nell’arte (contrario a Mondrian e costruttivismo che portano al dissolvimento dell’arte nella vita). Leo Steinberg delinea il flatbed, quadro che allude a superfici piane, piano superiore di un tavolo. Dalle Ninfee di Monet, ai Drip Painting di Pollock, ai Fletbed di Rauschemberg, la radizione cambia volta e prospettiva. Claes Oldenburg, nel ’61 affitta un locale “The Store” e lo apre al pubblico, un autentico magazzino: “una discarica vale più di tutti i depositi di forniture del mondo”. Pop art, 25 artisti che hanno attinto dal mondo del mercato e del consumo di massa. Andy Warhol, strategie complesse: tela sulla strada per raccogliere i passi delle persone, il vero è frutto di una registrazione; urinare sulle tele coperte di pittura metallizzata sul pavimento; fino alle opere che rappresentano immagini pescate da rotocalchi: Campbell’s, Brillo, Ketchup Heinz. Utilizzo della serigrafia, somiglianza con ready-made, ma interamente per il mondo dell’arte. B- Appropriazione: un “nouveau réalisme”: mostra riferita al dada, anche in Europa, a Parigi (1961), i Noveau realistes: Arman, Dufrene, Hains, Klein, Raysse, Spoerri, Tinguely, de La Villeglé, firmatari di una dichiarazione di Pierre Restany, organizzatore dell’evento. Questo movimento propone nuovi approcci percettivi al reale. Deschamps, Mimmo Rotella, Niki de Saint-Phalle, Christo. I nouveau realistes considerano il mondo come un quadro, si appropriano di frammenti come parti di un’opera. Dada e Merz come modelli con rifiuto di esuberanza, ma piacere per lo humor. Arman si rifà a Schwitters. Daniel Spoerri incolla oggetti a un supporto senza la minima possibilità di sceglierne la posizione. Realizza i tableau-piege (quadro trappola): servono, come provocazione a dirigere lo sguardo verso qualcos’altro; chiunque lo può creare, egli emette certificati di garanzia che autorizzano chiunque a fabbricarli. “L’epicerie” Spoerri compra oggetti in una drogheria, ne cambia il nome e li firma dopo “attenzione opera d’arte”, poi rivenduti allo stesso prezzo del negozio. I tableau-piege fanno parte dei detrompe- l’oeil, contrario del trompe-l’oeil, prodezza tecnica che porta l’imitazione al suo culmine (vallata con ruscello a cui aggiunge un rubinetto e una doccia). Opere volutamente derisorie, il riso si è insediato nell’arte, con un senso di spaesamento. Il decollage di Raymond Hains, ’49, strappa, con de La Villegle, pannelli da affissione e staccionate, dando valore al gesto artistico, “il mondo è divenuto quadro”. Anche Mimmo Rotella espone manifesti pubblicitari strappati dai muri (linea duchampiana). La lacerazione è il rifiuto di ogni scala di valori tra l’oggetto creato e il ready-made. Esposizione sala decollagiste a Parigi nel ’59 di Hains, La Villegle e Dufrene. Nel ’60 Cesar espone le Compressions, relitti industriali saldati ad arco, carrozzerie pressate. Altri amalgamano materiali diversi: Dechamps, le stoffe e la biancheria intima femminile; Martial Raysse i prodotti della società dei consumi e la pubblicità che li accompagna; Tinguely e Saint-Phalle, il ciarpame dei mercatini delle 26 pulci; Chisto impacchetta piccoli oggetti, poi più grandi; Ives Klein, contrario ai nouveau-realiste; Piero Manzoni, criterio dell’approprazione, trasforma le persone su cui pone la propria firma in “sculture viventi” e ne rilascia dei certificati di autenticità. CAPITOLO QUARTO - L’arte del reale Mostra a Parigi “L’art du réel” (’68) del MOMA, non c’era nulla che somigliasse a qualcosa di reale: artisti americani sostengono che le loro opere si avvicinano al reale. Essa non riproduce gli oggetti del mondo, non li integra più al proprio interno, costruiscono semplici artefatti che ci propongono di vivere l’esperienza empirica di un confronto con la realtà fisica, inscritta nella spazio reale in cui ci muoviamo. A- Specific Objects, opere letterali: nell’arte astratta Stella rifiutava ogni simbolismo nei suoi black paintings del 1958-59, sono solo aggetti che mette in mostra. Poi fa i shaped canvas, adotta per le sue cornici le forme più diverse, il dipinto si presenta come un’opera a tre dimensioni. Per Donald Judd questa collisione tra pittura e scultura non è isolata: Rauscenberg, Oldenburg, Flavin, Stella, Judd, cercano una via d’uscita alla crisi del quadro che imponeva una forma piana. Nasce lo specific objects di Judd: più somiglianti a sculture che a pitture, sono il tentativo di risolvere i problemi di bidimensionalità del quadro che si rifiuta di riproporre uno spazio immaginario e che non si accontenta più della pura monocromia. Tutti hanno un punto in comune: rifiutano l’opposizione tra l’illusione di uno spazio fittizio e la realtà dello spazio nella quale l’opera trova posto. Si elimina il problema dell’illusionismo e dello spazio letterale; le limitazioni della pittura non esistono più. Sono opere che possono assumere qualsiasi forma e materiale, sono come finestre aperte su spazi immaginari, si dispiegano nello stesso spazio dello spettatore. Robert Morris gioca sulla varietà delle possibili situazioni, volumi geometrici disposti differentemente all’interno della stanza. Sono artefatti non costruiti personalmente, Judd li faceva costruire in fabbrica, Tony Smith ha ordinato per telefono Die, un cubo in acciaio di 183X183X183. Si scinde ogni rapporto diretto tra artista e oggetto. Già Moholy-Nagy nel ’22 con i Telefonbilder che sono ordinati in fabbrica. Queste opere rinunciano all’Aura di Benjamin e alla loro autenticità. Per Judd “basta che l’opera sia interessante”. Per Morris l’opera non è altro che quello che è: sono forme unitarie che si offrono allo spettatore per la 27 Maurice Denis regrediscono all’infanzia, giocano all’ignoranza “in quel momento era la cosa più intelligente da fare Per Klee l’arte ha origine nei musei etnografici e in casa nostra, nella camera dei bambini. Klee, Mirò, Picasso, Dubuffet, Baj non disegnano come bambini, ma ci insegnano a vedere e apprezzare quello che fanno i bambini quando li si lascia liberi. B- I Graffiti: scritte o disegni tracciati in spazi pubblici senza autorizzazione, oggetto di riprovazione sociale, condanna sancita dalla legge che li vieta. Nella storia ci sono stati gli eroi dell’Ariosto con le iniziali scritte sull’albero. Il segno può essere ridondante o trasgressivo, come rottura con l’ordine costituito. Mutazione concettuale nel XX secolo: graffiti come fonte d’informazioni sul risvolto nascosto dei pensieri e delle pulsioni umane. Nel ’44 Dubuffet adotta uno stile ispirato ai graffiti, in cui tiene conto dei valori della naturalità: istinto, passione, violenza, delirio. Nei ’50 Asger Jorn fonda la Cobra (istituto scandinavo vandalismo comparato), per rispondere alle accuse di vandalismo. Legittimazione dei graffiti dopo la seconda guerra mondiale; opere di Cy Twombly, Tapies, Joan Mirò, Roland Barthes. Gérerd Zlotykamien salda una frattura considerata impossibile con i suoi Ephemeres che sorgono sui muri delle città d’Europa, sono ombre leggere, ma persistenti, pone un ponte tra l’universo urbano e l’arte, li espone alle intemperie e anche nelle gallerie; le autorità lo citano in giudizio. Grande movimento graffitista USA negli anni ’70, con firme pseudonime nei vari ghetti di NY, le Tag, un marchio che invade la città e si diffonde fino a prendere forme monumentali che diventano graph: complesse elaborazioni grafiche di dimensioni impressionanti; il nome dell’autore può rimanere l’unico elemento conduttore. Suscitano interesse delle gallerie d’arte lavorando anche su tela. Ma il loro posizionamento li rende antitetici all’arte, posti in un museo se ne perde il significato, essi sono intrasportabili. Sviluppo della Street Art con una serie di artisti che opera in atelier e in strada, senza committenti a loro rischio e pericolo. Richard Ambleton disegna i suoi personaggi sui muri più sordidi. Il muro di Berlino prima dell’abbattimento diventa sfogo per la street art. Lavorano artisti come Jenny Holzer, Barbara Kruger, Charles Simonds, oggi riconosciuti nel mondo dell’arte; con accanto Keith Haring e Jean-Michel Basquiat che fonda con gli amici SAMO, con scritte che inondano la strada, con messaggi di stampo giovanilistico con un tono ribelle. Basquiat continua a scrivere slogan, poi collabora con Warhol e diventa leggenda. 30 C- L’art brut: dalla fine del XIX sec. si raccolgono le produzioni degli alienati, l’arte dei folli da parte dei medici, per illuminare i meccanismi del genio, come per i bambini; cercano di individuarne l’idea. Nuovo atteggiamento nei confronti della follia, si trova un parallelo nelle mostre del Blaue Reiter. Nasce lo studio dell’Art Brut, analisi di Jean Dubuffet (la sua arte non può appartenere all’art brut data la sua cultura): opere eseguite da persone prive di cultura artistica, il mimetismo non ha alcuna importanza, gli autori attingono da loro stessi e non dagli stereotipi dell’arte e delle moda. Atto artistico puro e bruto, arte come funzione di invenzione. Un’opera è interessante solo se è proiezione immediata e diretto di ciò che si agita nella profondità dell’essere (Dubuffet), sono posizioni anticulturali. Le opere che escono dalla sfera artistica possono rientrare sotto la definizione dell’art brut che non è un movimento in sé. Essa si fonda sullo statuto del creatore e non sui criteri stilistici delle sue opere. D- Il museo immaginario: dal Rinascimento in poi si raccolgono gli elementi visivi di una cultura artistica universale; le illustrazioni diventano un museo portatile. Nozione di “museo immaginario” proposta da Malraux, le opere acquisiscono un dono di ubiquità, immagini su cd- rom, ciccabili e visibili in ogni momento (come i cd per la musica). La riproducibilità delle opere porta alle conseguenza descritte da Benjamin sulla perdita dell’aura (fluido sottile che si ritiene emani da un corpo), è ciò che appartiene propriamente ad una storia sedimentatasi nel tempo, è l’apparizione unica di una lontananza. Per Malraux la storia dell’arte degli ultimi cent’anni era diventa la storia fatta dagli specialisti che potevano scegliere e fotografare quello che volevano (la storia di quanto è fotografabile), tutto muta le proprie dimensioni: l’arazzo diventa tascabile e la miniatura enorme; se ne falsa la scala. Per Jean Bazaine è la confusione tra immagine e quadro; tante buone intenzioni minacciano la pittura nella sua stessa essenza. Duchamp sfrutta la fotografia e le potenzialità del museo immaginario, riproducendo le immagini per le riviste (Gioconda con pizzetto e baffi). I ready-made originali sono andati perduti. Ives Klein gioca con l’idea di museo immaginario; egli senza aver mai esposto fa un museo immaginario per saggiare le reazioni del pubblico. I minimaliste gli happening danno vita a esperienze intrasportabili, i concettuali sostituiscono l’oggetto artistico con il documento. Diventa impossibile esporre in un museo l’opera in sé. Foto di 31 Lawler giocano sull’incontro tra diversi livelli di realtà: foto che facevano vedere la stessa mostra che era a pochi metri di distanza, riconoscendo le stesse opere, “il museo è sempre parte di una finzione”. Capitolo secondo Dalla casualità al fallimento Ricerca di modelli alternativi, bisogno di costruire una nuova storia dell’arte allargata, grido contro l’Accademia. Importanza del caso, del fallimento, aprono nuove possbilità. A- La casualità: Casualità nel processo creativo indica la perdita del controllo nel proprio mestiere; nasce con l’inizio del XX sec. con i dada che ne celebrano le virtù. Nel ’16 Arp strappa un disegno e sparge i brandelli sul pavimento rincollandoli su un nuovo supporto, nell’ordinevoluto dal caso. L’abbandonarsi all’inconscio è il creare la vita allo stato puro. Anche Duchamp ne è interprete con “erratum musicale” (1913): tre persone cantano contemporaneamente su note estratte caso da un cappello, John Cage. La nozione di gioco entra in relazione con quella di caso. Anche i surrealisti sono cultori della “casualità oggettiva”, fanno il “cadavere exquis”: un foglio piegato su cui ciascuno scrive qualcosa senza vedere il resto dei contenuti, la prima frase scaturita ne diede il nome “le cadavere exquis boira le vin nouveu”. Breton assegna un posto decisivo all’automatismo psichico nell’ambito del surrealismo, non si identifica con la casualità, ma concorre con la casualità a modificare l’atteggiamento nei confronti della padronanza operativa dell’artista. Anche Dalì che dipingeva “accademicamente” dava grande importanza al caso. Usa un metodo “paranoico-critico” fondato sull’associazione sistematica propria dei fenomeni deliranti. La casualità bandisce ogni razionalismo, è legata al gioco e alla fortuna. Per Dubuffet è inadeguato parlare di caso, dato che l’uomo dà questa definizione a tutto ciò che non conosce, si può parlare piuttosto di velleità e aspirazioni di un determinato materiale che fa resistenza. (dripping controllato da Pollock). Per Tzara l’artista mantiene un ruolo fondamentale nel mettere in moto le forze del caso e accoglierne o meno le risultanze, assumendone la responsabilità e firmando col proprio nome. B- L’effimero: gli artisti hanno sempre desiderato che le loro opere sfidassero il tempo. Hanno lavorato su materiali e supporti preparati con cura. Le maggior parte delle cose è andato perduto. Si distingue tra 32 statuto delle belle arti. Si amplia sempre più la gamma di materiali e metodi Capitolo primo Artisti senza atelier Gli artisti sono sempre stati rappresentati nel loro atelier, o sul posto in cui lavoravano; nuova concezione da fine ‘700 che stacca le opere (affreschi) dal muro per portarle nei musei; interi monumenti demoliti per essere disposti in spazi ad hoc. Brancusi crea oggetti trasportabili; Buren rivendica l’assenza di un atelier. A- Lontano dai musei: legami evidenti tra minimalist e land artist: entrambi inventano dai ’60 un’arte che non dipende dal disegno o da pitture, architettura, non si può nemmeno parlare di sculture. Mostra con Andre, Morris, Le Witt, De Maria, Heizer (dissipate, 5 tagli sul fondo di un lago asciutto; una graduale dissipazione dell’opera agli attacchi climatici), Oppenheim, Smithson; “earthworks” (NY, 1968). Sono opere intrasportabili, realizzate in un luogo preciso che l’opera trasforma come parte di sé. La forma della scultura non può essere separata dal terreno che occupa. I procedimenti cambiano tra gli artisti. E’ indispensabile esporre queste opere nei musei, causa il grande costo realizzativi. Nasce la “land art”. Oppenheim può solo fotografare il suo tornado nel cielo fatto da un aereo a reazione (1973). Vengono studiate le inquadrature per restituire il senso dello spazio; oppure fanno le opere dei lavori in corso, presentando i macchinari con cui sono state svolte; l’istante esatto del momento (De Maria; the lightning field). Foto che circolano su riviste, o montaggi didattici per far conoscere l’opera. Spiral Jetty di Robert Smithson, visibile solo con la bassa marea, o dal cielo, difficile da vedere in loco; ne fa un film di lui che corre lungo la spirale. Per De Maria l’essenza della land art è l’isolamento. Smithson fa dei site e nonsites, materiali prelevati dal luogo dell’opera esposti. B- L’arte, la natura: siti migliori per Smithson sono quelli sconvolti dall’industria, divenne land art per fini sociali, recupero di spazi degradati. Alcuni contrari a questo aspetto sociale, cresce il tema della sopravvivenza; oppure sculture lavorate direttamente dentro la natura; Goldsworthy ammassano fiori, foglie in composizioni create sul posto. Giuseppe Penone dà forma alla natura modellando patate in calchi di bronzo. Richard Long fa delle camminate nel quale struttura le sue impronte; oppure fa rettangoli e cerchi di pietra. 35 C- Installazioni “in situ”: estrema cura da sempre nell’installazione delle opere; la cornice serve a isolare il quadro. Interazione tra luogo e opere che diventano intrasportabili. Daniel Buren trasforma la biografia personale in “Buren vive e lavora in situ”che pone l’accento sia sul rapporto tra opera e sito, sia del suo inserimento. “In situ” diventa il modo, come avviene per i reperti archeologici, per comprendere l’opera. I suoi lavori rovesciano la tradizionale autonomia dell’opera; egli lavora raramente sulla natura e spesso in paesaggi urbani; espone spesso nei musei. Tony Cragg esibisce la propria precarietà strutturale, reversibile. Se il ready-made induceva a fare attenzione all’integrità fisica dell’oggetto. Le installazioni separano l’opera dalle sue componenti materiali, comporta una messa in scena degli elementi che la costituiscono. Le opere di Carl Andre non sono concepite per una sede specifica, ma devono essere installate in funzione del luogo. Mostra a Berna del ’69. Beyus modella nell’angolo di una stanza un cumulo di grasso facendo scandalo, nel ’69. Heizer sventra una parte di marciapiede di fronte all’esposizione grazie a un’impresa di demolizioni. Buren venne arrestato la notte per un’affissione selvaggia nel centro urbano. Serra riattualizza un’opera dell’anno prima, una saldatura in piombo che congiunge muro e pavimento. D- Opere senza forma fissa: mostra “art in process”, 1966 NY, la process art, movimento polimorfo che non si incarna in una forma definita e durevole. Morris interviene ogni giorno su porzioni di terra, bidoni, lampadine; egli scrive di “anti form” (1968) nel quale attacca i principi della tradizione occidentale: la preservazione della forma è una sorta di idealismo funzionale. Nell’opera in cui forma e pensiero sono indissolubili, la forma è l’unica cosa che ne garantisca la possibilità di esistere. Dall’action painting, si passa ai work in progress di Schwitters, Morris si batte per l’antiforma, gli happening e le performance. E- L’invisibile è reale: le belle arti sono le opere dello sguardo, “l’arte è qualcosa che si guarda” per Judd. Per Hegel la forma creata dall’artista non trova la propria finalità in se stessa, in quanto provvede alla soddisfazione di interessi superiori. Lo stesso per Kandinskij, la delimitazione esteriore è utile quando si fa risaltare il contenuto interiore della forma. Logica simbolista che chiede di incarnare all’opera un fondo di invisibilità che la trascende. La creazione dell’artista deve essere a un 36 livello immateriale, quello dell’intelletto. Per Klein il segreto del quadro è l’indefinibile; egli propone una materializzazione dei propri quadri monocromi blu. Poi organizza una mostra in cui i quadri sono pagabili in oro che per metà tiene e metà nasconde in un luogo sconosciuto, restituendolo alla natura. Artisti tentati dall’invisibile: Claes Oldenburg scava un buco che riempie in Central Park. Warhol crea la scultura invisibile in un locale, nell’85. Walter De Maria fa un monumento immaginato nel ’70 a Monaco, un pozzo sotto un disco di bronzo profondo 120 metri, invisibile, sulla collina fatta dai detriti della guerra. Oppure un’opera irrealizzata, un buco di un km di profondità con un barra di ottone che affiora di qualche millimetro dalla terra: invisibilità del nucleo, grandi mezzi utilizzati. Jochen Gerz disselcia di nascosto una piazza, sul retro di ogni pietra incide i nomi dei cimiteri ebraici, e ripone al proprio posto. La piazza diventa Monumento invisibile. Brancusi fa una scultura per cieco (1916). Ruttmann fa nel ’30 un film composto da soli fotogrammi neri. Robert Barry lavora sulle radiazioni elettromagnetiche emesse da un frammento di bario. Anche Claudio Parmiggiani si chiede se fosse indispensabile offrire l’arte ala vista, fa “terra”, una scultura sepolta, nell’89: rifiuta il suo destino pubblico,accettando solo quello spirituale. Capitolo secondo L’arte e le parole Rapporto privilegiato delle “belle arti” con i testi scritti. Per Poussin l’arte appartiene alle cose mute, anche per Matisse per fare pittura bisogna tapparsi la bocca. I testi proliferano nel XX sec. A- Territori più verbali: L’esigenza di spiegare delle opere moderne, accresce l’importanza della mediazione. Per Rosemberg si sacrifica il concreto per la parola che diventa elemento vitale e stimolante. Opera come centauro, fatto per metà di materiali artistici e metà di parole. L’arte moderna ha sconvolto le abitudini, Klee scriveva sul quadro, il titolo, per Magritte le parole sono fondamentali e diventano un confronto con l’immagine (ceci n’est pas une pipe). Duchamp parla di “retinico”, egli si batte perché l’arte sia almeno in parte concettuale, concezione che si riallaccia alla tradizione. B- Vedere e leggere: i testi assumono importanza nei ready-made quando non solo spiegano, ma introducono un fattore di turbamento e sconcerto, 37 inserita all’interno di allestimenti, già nei ’50 Vostell impiega il mezzo televisivo, con la nozione di ”de-coll/age”, una giustapposizione, (prima nel ’58), parte dal paradosso che un aereo cade decollando. Nam June Paik (membro di Fluxus) nel ’69 la tv fa il suo ingresso trionfale sulla scena artistica. Egli fa anche “videosculture”: piramidi di tv che dissemina tra le piante del giardino. Poi fa un sistema chiuso “Buddha’s catacombs, posto su un rialzo di fronte a una tv su cui c’è l’immagine di lui stesso (paradosso dell’immagine tv fissa). Fabbrica egli stesso le immagini da far scorrere sullo schermo; lavora con la propria videocamera portatile. B- Un nuovo strumento: la videocamera: innesto di un video che viene assemblato, utilizzato per happening e performance. Il video prolifera in qualsiasi sala espositiva. Kobota dispone tv in file nel quale c’è una donna che scende le scale. Gary Hill fa uscire i tubi catodici dalle sue scatole di proiezione, l’impianto è messo a nudo. Il video esce dal suo uso domestico con gli happening e gli “event fluxus”, con dispositivi di video sorveglianza che facevano partecipare il pubblico all’expò. Opere di Nauman in cui la persona volge le spalle alla telecamera e vede se stesso nella ripresa allontanarsi. Dan Graham, nel ’74 fa opera a fini ludici, il visitatore si vede in tempo reale in uno specchio, poi c’è una telecamera, ma l’immagine compare leggermente in differita, uno scarto di 8 secondi che provoca atteggiamenti ludici, l’opera è più complessa perché viene registrata anche l’immagine del monitor nello specchio. C- Mostrare, raccontare: cinema sperimentale che si inserisce nelle arti plastiche, piuttosto che nei circuiti riservati al cinema. Alcuni lavorano sulla colonna sonora, altri direttamente sulla pellicola vergine, graffiandola e bruciandola. Dick Higgins individua l’Intermedia art, modo nuovo di porre l’accento sul rapporto coi media; la polverizzazione delle frontiere estetiche. Warhol incontra il cinema, nel ’63, i suoi film mostrano azioni elementari, o una durata priva di eventi; anche se non rifiuta mai il cinema hollywoodiano commerciale. Boltanski realizza un cortometraggio che vuole legare arte e vita, ma estremamente violento, tanto che viene censurato e trovò rifugio nei musei. Joel Bartolomeo si riferisce al cinema in chiave parodia, incanta il pubblico con scene di vita quotidiana familiare, scene che chiunque avrebbe potuto filmare. Pierrick Sorin mette in scena se stesso in azioni burlesche e frustranti: rovescia una tazza, gioca a pallone, defeca, inventa passatempi. Patrick Corillon 40 racconta le storie di Oskar Serti, personaggio immaginario; Eric Duyckaerts registra conferenze che sono la parodia di discorsi scientifici. La comparsa del videoproiettore dà la possibilità di una monumentalizzazione delle immagini. Bill Viola giustappone grandi proiezioni simultanee. Tony Oursler proietta sul volto di bambole che si animano. Pipilotti Rist ricostruisce un bar con immagini inquietanti. Keun Byung Yook fa un occhio che fissa l’osservatore. Antoni Abad fa un cuore divorato da topi, o sul soffitto un funambolo. Nuove tecnologie porta alla fondazione nel ’66 dell’ Experiment in Art and in Technology, di Rauschenberg, Withman e Kluver. Nuove tecniche avanzate che utilizzano internet e il computer. Si fanno installazioni interattive. Bus (1984), passeggeri di fronte a schermi che sono le finestre del bus, si può schiacciare il pulsante e visitare il posto in cui ci si trova,di Boisser. Ikam fa “l’autre” (1992) incontro con un’immagine virtuale tridimensionale. Graumann mostra un pittore in uno schermo che cerca l’ispirazione, a un certo punto lascia la stanza e viene stampata la tela, sempre diversa, con migliaia di soluzioni. In Black box (’98) si può interagire e parlare d’arte con un computer, l’arte è considerata come solo mezzo di comunicazione; senza l’informazione l’opera è solo un oggetto tra i tanti, essa è gioco di comunicazione. L’immagine contemporanea gira in rete ed ha un potere generativo. Con il multimediale il museo del XXI sec. diventa un parco divertimenti. D- Fotografia come arte plastica: fotografia si è imposta lentamente nel mondo dell’arte, anni ’60-’70, come documento per opere o eventi che non potevano essere esposti direttamente, come le “azioni effimere” o gli interventi sulla natura. Acconci fa primi piani delle sue morsicature, 1970, che diventano impressionanti grazie alla fotografia. Rousse delinea i suoi calchi in funzione della ripresa fotografica. Negli anni ’80 la fotografia entra direttamente nelle gallerie con immagini considerate opere d’arte e non solo più documenti. Quindi si apre una dicotomia tra coloro che documentano le opere con la fotografia (fotografia creativa) e i “fotografi puri”. Rapporti complessi con la pittura, provocò un terremoto nel XIX sec. A favore della pittura c’era il non mostrare tutto e il potere dell’immaginazione che non si accontenta di copiare la natura (per Delacroix). La fotografia per Delaroche non condannava la pittura, ma ne liberava dai suoi compiti esecutivi, stessa cosa viene propugnata dai fautori dell’astrazione. Il pittorialismo sfrutta la fotografia, Delacroix la 41 utilizza come modello; Degas si ispira alle proprie sedute fotografiche; Malevic ne pubblica parecchie. Richter trasferisce nella sua pittura il “flou fotografico”. Warhol ricicla le foto dei rotocalchi e i ritratti di personalità note, con la serigrafia. L’artista per Delacroix diventa la macchina di un’altra macchina. Diventa “iperrealismo” negli anni ’70, un “duplicato che nega l’entropia”. Bacon sfrutta la fotografia: non si hanno più gli stessi motivi di una volta per dipingere; il pavimento del suo atelier era coperto da riproduzione di malati di bocca; utilizza foto come promemoria, quando si dipinge non si ha voglia di vedere gente, né modelli. Fotomontaggi, fotografia surrealista, fotogrammi, si distinguono dalle istantanee del fotogiornalismo. Non più arte sacro, ma arte plastica. Rucha, nel ’62, 26 gasoline stations, oggetti in serie o tecnica del libro stampato, “è solo una “raccolta di fatti”; documenti fotografici che non si differenziano dalle comuni foto. Becher presentano grandi serbatoi industriali come sculture; rinuncia agli effetti fotografici: “il mezzo non conta, è l’idea che costituisce l’essenziale”. (XIX sec.). Un secolo dopo Boltanski dice quasi la stessa cosa: i pittori hanno sempre avuto le stesse cose da dire, desiderio di catturare la realtà e la esprimono in modi diversi; video e foto sono solo due altri trucchi per fare ciò. Wall e Bustamante (fa paesaggi che illustrano la composizione dei materiali nei paesaggi, come un pittore, vuole far riconoscere la propria tecnica e far dire “è un Bustamante”) negano la differenza foto e pittura. E- Un’arte postmoderna: Fotografia ha a che fare con l’installazione: disposte in serie, con scritte, etc. La foto avviene per contatto del flusso di fotoni. Non c’è alcun bisogno di sottolineare la veridicità del “veduto”. Si fa leva sul carattere “documentario” della foto: come Sophie Calle; Boltanski nelle pseudo fotografie; o Cindy Sherman nei film stills. Ritorno alla fiction e alle narrazioni: Bertrand Lavier, fa la foto di un paesaggio e ne fa dipingere metà da un pittore. Eric Rondepierre attinge dalle immagini del cinema che fissa; oppure proietta i fotogrammi su una tela che poi l’artista dipinge con colori acrilici, quando viene finito, il quadro è ancora fotografato e poi distrutto. F- Il postmoderno, generalizzato: Il postmoderno, dagli anni ’80 indica una profonda mutazione; esso trascende le arti plastiche, impiegato in architettura per designare pratiche eclettiche. Esso sancisce la fine dell’Avanguardia, rottura col moderno; raggruppa pratiche estetiche 42 gradi, si cammina sulle pareti. GRAV organizza (’63 , Biennale di Paris) manifestazioni che vogliono far uscire lo spettatore dalla sua apatica dipendenza che gli fa accettare in modo passivo; essi vogliono coinvolgere lo spettatore, rilassarlo, farlo partecipare, porlo al centro di una situazione che può trasformare, che interagisca con gli altri spettatori; lo spettatore cosciente del suo potere d’azione potrà compiere da sé la vera rivoluzione dell’arte. “vietato non partecipare, non toccare, non rompere”. Soto nei “penetrables” (1968) organizza una formula per creare complicità con il pubblico; la loro efficacia è inversamente proporzionale alla loro semplicità (pioggia di fili nel quale lo spettatore entra). Nei penetrables gli spettatori diventano una delle componenti, “l’opera è davvero completa solo quando la persona ne fa realmente parte”. Warhol lavora su quadri di “pittori della domenica” che integra con colori. Kaprow espone nel ’51 insiemi di materiali nel quale il visitatore aveva l’obbligo di passare; egli dà responsabilità al visitatore che svolge un ruolo all’interno dello spazio. Collage→assemblage→environment: può essere composto da qualsiasi tipo di materiale, il visitatore è immerso nell’arte, si distingue dalle installazione a cui non è possibile l’accesso. Kienholz trasforma il visitatore in voyeur, una camera da letto con una coppia riflessa nello specchio, con teste che escono dalle lenzuola come mostruose caricature; i suoi environments sono indipendenti dal luogo in cui sono posti. Haacke fa Germania (1993) con documento storico di Hitler e desolazione completa in una stanza. C- Più vicino al pubblico: nel ’58 l’action painting di Pollock si è accademizzato. Fa enormi tele tendenti all’environment, si trasforma il confronto con le sue opere con un inglobamento. Kaprow critica ciò e pone due soluzioni: giocare sulla sua estetica variando, o smettere di dipingere, egli inventa L’happening, eventi che non vengono più riprodotti, che incarnano valori antitetici a quelli delle belle arti, promuovono l’effimero, il mutevole, il sorprendente, riavvicina l’arte alla vita. Kaprow vuole creare un’arte totale, estendendo pittura e collage, finisce con il rifiutarli. Collage→assemblage→environment→ Happening che è un environment esaltato dalla partecipazione degli spettatori. Egli lo distingue dal teatro, partecipa al processo di trasformazione da “belle arti” ad arti plastiche. Happening si diffondono negli USA con Kaprow, Jin 45 Dine, Oldenburg, Whitman, Red Grooms; in Francia con Lebel; poi in tutta Europa e oltre, negli anni ’60. Cage nei suoi “pieces” da delle istruzioni alle sequenze temporali. Rauschenberg proietta diapositive. Cunningham e ballerini percorrevano le gallerie. Ciascuno era libero di fissare l’attenzione su diversi aspetti, tra eventi, a partire dal materiale della vita. Happening si svolgevano entro spazi culturali, il pubblico, precedentemente informato, era accuratamente selezionato. Restany e Guido Le Noci organizzano il decimo anniversario dei nouveau realistes, Christo impacchetta il monumento a Vittorio Emanuele, costretto a cambiar statua da ex-combattenti. Saint-Phalle spara con una carabina su vasetti di colore. Tinguely espone davanti al Duomo un fallo dorato che si autodistrugge con un fuoco d’artificio. D- Spettatori partecipanti: happening da un lato sono aggressivi, dall’altro mantengono le distanze, chi assiste è raramente chiamato a intervenire. Piero Manzoni nel ’60, ognuno è chiamato a collaborare alla consumazione delle opere, egli preme la sua impronta su una serie di uova che dà in pasto al pubblico. Anche Spoerri trasforma ogni sera la galleria in ristorante, con la proposta di diversi menu, lui era ai fornelli, mentre critici d’arte servivano ai tavoli (avvicina l’opera al pubblico); utensili e ingredienti messi in bella mostra. Abraovic e Ulai, uno di fronte all’altro, nudi, riducono al minimo lo spazio entro cui passare, dobbiamo per forza infilarci tra i loro corpi (leben, 1974). Orlac, posta dietro una figura di donna nuda fa pagare 5 franchi al visitatore per farla uscire e dare un bacio (le baiser de l’artiste, 1977). Anni ’60-’70 più brutale, Nauman mette altoparlanti in una stanza vuota, nascosti, ingiungono, senza sosta e in tutti i toni possibili. Smith, nuda in un letto si faceva nutrire dai visitatori. E- Ognuno è artista: si mantiene ancora la distanza tra l’opera e lo spettatore partecipante. Nella città di Dubuffet non ci saranno più regardeurs, ma solo attori, niente più cultura, niente più sguardo. Anche Beyus tenta di superare la dicotomia tra arte e pubblico; da quando venne abbattuto il suo aereo, lui venne salvato da una tribù di Tartari, da allora utilizza materiali simbolici, diventa artista-sciamano, con una funzione terapeutica più che estetica egli aiuta il corpo sociale a guarire dalle sue ferite, per il ripristino di un’armonia spirituale. Per lui ognuno è artista, egli si rifà alle grandi utopie delle avanguardie per la costruzione di un 46 mondo migliore. Beyus elabora la “scultura sociale” che attività stessa di lui-scultore, e la forma progressiva di molteplici legami. Capitolo secondo L’artista espone il suo corpo Prestando il suo corpo il pittore trasforma il mondo in pittura. Le filosofie del soggetto sono messe in dubbio, nei ’60, dallo strutturalismo, decostruttivismo e arte minimalista. Artisti della “body art” espongono la propria persona; sconvolgono i valori tradizionali del rapporto tra uomo e pubblico; anche se il pubblico ha accesso ad esse tramite una mediazione documentaria. L’opera e il corpo dell’artista sono un tutt’uno. A- Ai confini con il teatro: strategie per rendere più labile il confine tra arte e vita che porta alla separatezza delle arti. Si esibisce il corpo e la propria sessualità. Happening e “event” (Cunningham e Event Fluxus – Muciunas) si riferiscono al retroterra USA, performance e azioni hanno significati diversi a seconda del momento storico. Successo fulmineo di queste tecniche. Rauschenberg prepara uno scenario, come pièce teatrali a cui il pubblico può partecipare attivamente; realizza “quadri viventi”. L’event era una forma di performance, è rappresentazione e spettacolo. Burden realizza azioni violente e spettacolari, fa dei “pieces”. Duchamp apprezzava gli happenging come contro dell’opera da cavalletto. B- Violenze e trasgressioni: Arnulf Reiner, austriaco (gruppo del cane , ’50) si lascia andare a discorsi aggressivi, non disdegna l’abbaiare. Fa una pittura par “lasciare la pittura”, fa i “dipinti ricoperti”, dipinge lentamente i suoi quadri sotto uno strato di pittura monocroma nera. Harold Rosemberg descrive la tela come un’arena in cui agire. Brus fa dei suoi quadri un brandello di mondo, dipinge anche se stesso,nel ’65 deambula come un tableau vivant per le strade di Vienna. Otto Muhl scavalca l’action painting con la Materialaktion, ricorso a tutte le sostanze corporee, sangue e escrementi; lotto contro la repressione sessuale. Nitsch utilizza riti sacrificali pagani, con componente dissacratoria e blasfema, “festa del naturalismo psicofisico”, 1963, diffonde un programma in cui si taglia, si insozza, va nel letto con delle budella, piscio di vacca, appende un agnello morto al soffitto, etc. Sono gli “azionisti” viennesi che arrivano alla violenza più insostenibile. Brus realizza la sua “follia pura” (1968) urina e defeca in pubblico, si incide con un rasoio, il corpo stesso diventa medium. In un’altra beve la sua 47 nello stesso luogo della foto. Sculture che hanno preso vita nelle strade, Simonds fa Little People, folletti della città per cui preparava rifugi provvisori in miniatura (200 a NY, anni ’70). Matta-Clark utilizza tecniche violente a NY, fa a pezzi i pavimenti degli alloggi non più abitabili. Wodicko a Cracovia nel ’96 invita la gente davanti al Municipio sul quale proietta immagini di mani che giocano con oggetti banali e ci sono voci che raccontano di vite mancate. Proiezioni che fa dagli ’80, rivendica la possibilità di una comunicazione democratico all’interno di spazi pubblici. Altre azioni sono svolte sulla strada, con la nozione di soglia tra spazio pubblico e privato (Gina Pane a Bruges, costituisce una sorta di doppio pubblico, invitati e addetti ai lavori e i curiosi presenti per caso). Buren, nel ’77, issa dei vessilli fatti da stoffe colorate sui tetti delle case, visibili attraverso telescopi del Centre Pompidou, la gente guarda anche se non ha i mezzi per comprendere; essi traggono significato dal loro centro attorno a cui sono disposti, il Beabourg. Asher interpreta alla rovescia il luogo comune secondo il quale le sculture urbane sono radicate nel luogo in cui si trovano. Gaudibert sottolinea l’antagonismo tra gli artisti e le istituzioni, per l’idea di un possibile recupero: processo sociale nel quale l’aggressività viene addomesticata, metabolizzata dall’ideologia e dalla cultura dominante. Guerriglia contro le istituzioni diventa anche complicità, nella logica demolitrice entrano anche i curatori, Hoet è consapevole del potere anestetizzante del museo. D- Finzioni e musei personali: gli artisti hanno spesso provveduto in prima persona all’organizzazione delle loro mostre. Nel ’68 Buren affittava uomini-sandwich che portavano in città le sue opere. Dimitrijevic installa un dipinto di suo padre sulla gabbia dei leoni dello zoo. Installazioni, environment e video necessitano di nuove strutture espositive nei musei. Kounellis propone di attaccare 12 cavalli vivi appesi ai muri. Oppure Anselmo che appende una stele di pietra a una pianta di lattuga che marcisce e ogni volta va sostituita. Organizzazione dei musei è sempre stata oggetto di dibattito: storia cronologica o sulle affinità elettive delle opere. Smithson critica i musei come delle prigioni per le opere che smarriscono la loro funzione: critica museo-asilo-cimitero; la sorte delle arti plastiche rientra in una tradizione secolare. Broodthaers, nel ’68, analizza il rapporto che non andava nel mondo artistico belga, tra arte e società, trasformando la propria abitazione in un “museo fittizio”; scrive sulle finestre “museo”, proseguendo il gesto duchampiano di “questo è un 50 oggetto artistico”, lui dice “questo è un museo”, qui l’opera non sono più gli “object trouvé”, ma la mostra stessa. Confronto tra museo immaginario e reale provoca un impasto divertente. Ci sono vari atti che testimoniano questo atteggiamento, Dimitrijevic fa dei trittici a cui abbina un manufatto comune o un prodotto naturale. O Derain, il suo quadro è posto su quattro noci di cocco; Malevic, accosta il suo quadro a una bicicletta e a un melone. E’ l’associazione tra il banale, il deperibile, e un’opera giudicata senza tempo, ha l’effetto di un cortocircuito percettivo dei quadri manipolati. Dove la modernità faceva dell’originalità una virtù, certi artisti cercavano di stabilire rapporti più diretti tra l’opera e il suo pubblico. Per Boltanski i musei d’oggi vogliono avere un Mondrian, che è simile alle reliquie che si volevano nel medioevo. Vari artisti si sono espressi a favore della scomparsa dell’autore e delle sue prerogative: Duchamp firma oggetti che non ha realizzato, Moholy-Nagy delega la sue opere alla fabbrica. Morellet rimane l’unico dei GRAV a voler abbandonare ogni segno distintivo. Buren, Mosset e Toroni si scambiano il segno pittorico, ognuno realizzo a proprio nome la pittura degli altri. Broodthaers, Yoon Ja e Devautour (diventano operatori artistici, considerano l’arte un gioco in cui il fine sarebbe solo quello di modificarne le regole, è inutile proporre il proprio piccolo oggetto brevettato su un terreno che ne è già pieno, la formidabile elasticità dell’arte non ha più bisogno di dimostrazioni) hanno sostituito una figura nuova, quella dell’artistacollezionista-presentatore. Menard abbandona l’attività artistica per quella di collezionista. L’elasticià del concetto d’arte è stata ininterrottamente messa alla prova da moderno e postmoderno; e nulla ci fa ritenere che questa avventura sia finita. 51