Scarica "L'immaginazione melodrammatica", Brooks e più Traduzioni in PDF di Letterature comparate solo su Docsity! L'IMMAGINAZIONE MELODRAMMATICA C'è all'inizio del primo grande romanzo di Balzac, “La Peau de chagrin”, un passaggio che indica come dovremmo leggere Balzac, come individua e crea il suo dramma e, più in generale, come l'immaginazione melodrammatica concepisce le sue rappresentazioni. Quando Raphael de Valentin entra in una casa da gioco per giocare alla roulette con il suo ultimo franco, una figura sdolcinata accovacciata dietro un bancone si alza per chiedere il cappello del giovane. Il gesto di arrendersi al proprio cappello fa sorgere una serie di domande dal narratore: è una parabola scritturale e provvidenziale? Non è piuttosto un modo per concludere un contratto diabolico esigendo da te una sorta di sicurezza? O potrebbe essere per obbligarti a mantenere un comportamento rispettoso verso coloro che stanno per vincere i tuoi soldi? È la polizia, in agguato nelle fogne della società, che cerca di scoprire il nome del tuo cappellaio o il tuo, se l'hai scritto sulla fascia? O è, infine, per misurare il tuo cranio al fine di compilare una statistica istruttiva sulla capacità cranica dei giocatori d'azzardo? | gesti della vita suscitano una serie di interrogativi volti a scoprire i significati impliciti in essi. La voce narrativa non è contenta di descrivere e registrare il gesto, di vederlo semplicemente come una figura nell'interazione delle persone l'una con l'altra. Piuttosto, il narratore applica pressione al gesto, pressione attraverso l'interrogazione, attraverso l'evocazione di possibilità sempre più fantastiche, per fargli dare significato, per fargli rinunciare alla coscienza il suo pieno potenziale come "parabola". Attraverso queste pagine di apertura de La Peau de chagrin, possiamo osservare il narratore che preme sulla superficie della realtà (la superficie del suo testo) per far sì che produca i termini pieni e veri della sua storia. Di fronte al vecchio che prende il cappello, ci viene detto che possiamo leggere "la miseria dei reparti ospedalieri, vagabondaggi senza scopo di uomini in rovina, inchieste su innumerevoli suicidi, condanne a vita in lavori forzati, esili in colonie penali". La stessa casa da gioco suscita un contrasto tra la "poesia volgare" dei suoi abitanti serali e la "passione tremante" dei giocatori d'azzardo durante il giorno. La folla di spettatori è come la popolazione in attesa di un'esecuzione in Place de Grève. Finalmente arriviamo a questo giudizio: "ciascuno degli spettatori ha cercato un dramma nel destino di questo singolo pezzo d'oro, forse la scena finale di una vita nobile". L'uso della parola tragedia è autorizzato proprio qui dal tipo di pressione che il narratore ha esercitato sulla superficie delle cose. Di fatto siamo stati testimoni della creazione della tragedia - una storia eccitante, eccessiva, parabolica - dalla roba banale della realtà. Gli stati dell'essere al di là del contesto immediato della narrazione, e al di là di essa, sono stati portati a fondo, per accusarla di significati più intensi. La voce narrativa, con le sue grandiose domande e ipotesi, ci conduce in un movimento attraverso e oltre la superficie delle cose verso ciò che sta al di là, verso la realtà spirituale che è la vera scena della tragedia altamente colorato da recitare nel romanzo. Siamo entrati nel dramma dell'ultimo pezzo d'oro di Raphael; quella moneta è diventata il segno di un superdramma che coinvolge vita e morte, perdizione e redenzione, paradiso e inferno, la forza del desiderio catturata in una lotta di morte con la forza vitale. Il romanzo è costantemente teso per catturare questo dramma essenziale, per andare oltre la superficie del reale fino alla realtà più vera e nascosta, per aprire il mondo dello spirito. Si potrebbe aggiungere una moltitudine di altri esempi. C'è sempre un momento nelle descrizioni di Balzac del mondo in cui la visione fotografica degli oggetti cede allo sforzo della mente di perforare la superficie, di interrogare le apparenze. In Le Père Goriot, dopo alcune prime righe di descrizione di MIle Michonneau, il narratore si sposta nell'interrogatorio: "quale acido aveva spogliato questa creatura delle sue forme femminili? Deve essere stata una volta carina e ben costruita: era stato il vizio, il dolore, l'avidità? Aveva amato troppo, era stata una via di mezzo, o semplicemente una prostituta? Aveva espiato i trionfi di una gioventù insolente?”. La realtà è per Balzac sia la scena del dramma che la maschera del vero dramma che si cela dietro, è misterioso e può essere solo accennato, messo in discussione e poi gradualmente chiarito. Il suo è il dramma del vero, strappato dal reale; le strade e le mura di Parigi, sotto pressione dell'insistenza del narratore, diventano gli elementi di una visione dantesca, portando il lettore in circoli infernali: "come, passo dopo passo, la luce del giorno svanisce e il canto della guida diventa vuoto quando il visitatore scende nelle catacombe”. Lo stesso processo può essere osservato nelle drammatizzazioni di incontri umani di Balzac. Tendono a rappresentazioni intense ed eccessive della vita che spogliano la facciata delle buone maniere per rivelare i conflitti essenziali sul lavoro - momenti di confronto simbolico che articolano pienamente i termini del dramma. In Gobseck, ad esempio, la peccatrice Contessa de Restaud, che lotta per preservare un'eredità per i suoi due figli illegittimi, è intrappolata nell'atto di cercare di estorcere i segreti del marito dal figlio maggiore (il figlio legittimo) quando il conte si alza dal suo letto di morte: "Ah!" gridò il conte, che ha aperto la porta ed è apparso all'improvviso, quasi nudo, già secco e avvizzito come uno scheletro ... "hai innaffiato la mia vita con dolori, e ora disturberesti la mia morte, pervertendo la mente di mio figlio , trasformandolo in una persona malvagia ", gridò con voce roca. La contessa si gettò ai piedi di quell'uomo morente, che le ultime emozioni della vita rendevano quasi orribile, e versò le sue lacrime. "Perdono, perdono!" pianse. "Hai un po' di pietà per me?" chiese. "Ti ho lasciato divorare la tua fortuna, ora vuoi divorare la mia e rovinare mio figlio". "Va bene, sì, nessuna pietà per me, sii inflessibile", ha detto. "Ma i bambini! Condanna tua moglie a vivere in un convento, obbedirò; per espiare i miei sbagli nei tuoi confronti farò tutto ciò che comanderai; ma lascia che i bambini vivano felici! Oh, i bambini, i bambini Ho solo un bambino" rispose il conte, allungando il braccio raggrinzito verso suo figlio in un gesto di disperazione. Ho deliberatamente scelto un esempio estremo qui, e citandolo fuori dal suo contesto, corro il rischio di confermare semplicemente l'opinione, resa popolare da Martin Turnell e altri, che Balzac sia un volgare melodrammaturgo le cui versioni della vita sono economiche, opprimenti, e vuote. L'uso da parte di Balzac di figure iperboliche, eventi luridi e grandiosi, relazioni mascherate e discendenze disconnesse, rapimenti, veleni ad azione lenta, società segrete, parentele misteriose e altri elementi del repertorio melodrammatico sono stati ripetutamente oggetto di attacchi critici, come lo sono stati, ancora di più, la sua forzatura della voce narrativa al tono senza fiato del melodramma, la sua insistenza sul fatto che la vita sia vista sempre attraverso lenti altamente colorate. "Il suo melodramma", commenta Turnell, "non ci ricorda tanto di Simenon e neppure della signora Christie quanto del serial quotidiano del programma Light della BBC". Nel suo modo più scrupoloso di Scrutinio, Turnell aggiunge, "bisogna confessare che la nostra esperienza nella lettura di Balzac non è sempre molto elevata e che i suoi interessi non sono affatto quelli dell'adulto". Nella misura in cui gli "interessi dell'adulto" implicano la repressione, il principio del sacrificio del piacere e il rifiuto di vivere oltre l'ordinario, Turnell ha ragione, ma i suoi termini di giudizio lo rendono cieco alla caratteristica spinta di Balzac a spingere le buone maniere verso fonti più profonde di essere. Rappresentazioni come la scena che ho citato da Gobseck sono il culmine necessario per il tipo di tragedia che Balzac sta cercando di evocare. Il progresso della narrativa suscita e autorizza tali articolazioni terminali. La scena rappresenta una vittoria sulla repressione, un momento climatico in cui i personaggi sono in grado di confrontarsi con piena Il fatto che questa visione sia attribuita alle "raffiche di fantasia" di Strether non copre realmente la scommessa. James fa esistere la visione "ingiustificata", fa emergere "oltre" le facciate di Parigi dalle sinistre implicazioni di imminenti disastri e caos, e pervade l'incontro finale di Strether e Madame de Vionnet con "l'odore del sangue". La loro relazione è sempre stata basata sull'impegno "esorbitante" di Strether di "salvarla" se potesse. Qui, l'evocazione di un sanguinoso sacrificio, suscitando uno stato di esorbitanza morale, autorizza l'intensità dell'incontro, dove Strether vede la signora de Vionnet come simile alla signora Roland sul patibolo e dove si sposta nella sua visione più penetrante del regno delle forze morali in cui lei lotta. "Con questa percezione ancora più acuta, per lui era come un brivido nell'aria, quasi spaventoso, che una creatura così bella potesse essere, con forze misteriose, una creatura così sfruttata". Strether. e James, hanno perforato un mezzo in cui la signora di Vionnet può essere vista come una figlia della luce catturata negli artigli dei misteriosi uccelli in preda. Dopo questa percezione, quando Strether parla, è per dire "hai paura della tua vita!" - un'articolazione che colpisce casa, fa sì che la signora de Vionnet rinunci a "tutti i tentativi" e scoppi in lacrime. Questa severa articolazione, che chiarisce e semplifica la posizione e la passione di Madame de Vionnet, che la mette in contatto con l'umanità elementare ("come una cameriera che piange per il suo giovane", pensa Strether) e con le devastazioni del tempo, infine differisce poco dagli scambi dai Comte e Comtesse de Restaud in Gobseck. La modalità jamesiana è più sottile, più raffinata, ma mira alla stessa cosa: un'articolazione totale dei grandiosi termini morali della tragedia, un'affermazione che ciò che viene riprodotto sul piano delle buone maniere viene addebitato dal reale dell’occulto morale, che i gesti all'interno del mondo ci rimandano costantemente a un altro insieme iperbolico di gesti in cui sono in gioco vita e morte. C'è un brano del saggio di James del 1990 su Balzac (ne ha scritti cinque in totale) che tocca da vicino il problema della rappresentazione melodrammatica. Un punto notevole sul passaggio è che costituisce una riparazione, poiché nel suo saggio del 1875, in French Poets and Novelists, James aveva individuato, come esempio dell'inettitudine di Balzac nel ritratto dell'aristocrazia, l'episodio di Illusions perdues in cui Mme de Bargeton, sotto l'influenza della sua relazione parigina, la Marchesa d'Espard, lascia cadere il suo giovane attaccamento provinciale, Lucien de Rubemprè. Le due donne abbandonano Lucien, il cui vestito è ridicolo e la cui parentela plebea è diventata di dominio pubblico, nel mezzo dell'opera e sgattaiolano fuori dal loge. Le donne aristocratiche non violerebbero così le buone maniere, sostiene James nel saggio precedente, non si comporterebbero in modo così frustato ed eccessivamente drammatico. Il suo punto di vista nel 1902 è più sfumato e segna uno sforzo per venire a patti con quelle caratteristiche della rappresentazione balzaciana che aveva precedentemente criticato: L'intero episodio, in "Les Illusions perdues", di Mme de Bargeton, di "lanciare" Lucien de Rubemprè, mentre arrivava a Parigi con lui, sotto la pressione della scioccabilità di Mme d'Espard per il cappotto, i pantaloni e altre cose del genere, è sia un magnifico documento lurido o un tessuto senza fondamento di una visione. La grande meraviglia è che, come mi rallegro per dirla, non possiamo mai davvero scoprire quale, e che percepiamo mentre leggiamo, che non soffriamo per mano di nessun altro autore questa particolare impotenza dell'immersione. È fatto - siamo sempre respinti su questo; non possiamo uscirne; tutto ciò che possiamo fare è dire che il vero in sé non può essere altro che fatto e che se il falso in questo modo lo eguaglia, dobbiamo rinunciare a cercare la differenza. Soltanto Balzac tra tutti i romanzieri ha il segreto di un'insistenza che in qualche modo rende la differenza nulla. Riscalda i suoi fatti nella vita, come testimonianza della certezza che l'episodio che ho appena citato ha assolutamente la stessa proprietà, come se fosse stato raggiunto il perfetto abbinamento. Se le grandi signore in questione non si fossero comportate, non avrebbero potuto comportarsi, come un paio di snob nervose, perché peggio ancora, diciamo a noi stessi, per le grandi signore in questione. Le conosciamo così - devono il loro essere al nostro vederle in questo modo; mentre non possiamo mai dirci come avremmo altrimenti dovuto conoscerle o quale quantità di essere avrebbero potuto mettere su una base diversa. L'ammirazione un po' sconcertata di James qui sembra derivare da una percezione di "surrealtà" nella rappresentazione dell'episodio di Balzac: il fatto che la sua modalità iperbolica e la sua intensità lo rendano più perfetto di quanto non sarebbe una rappresentazione accurata dei modi, che è davvero in gioco per i personaggi e nelle loro relazioni. Se la realtà non consente tali autorappresentazioni, sembra dire, tanto peggio per la fiducia. Dal modo in cui la cosa viene "fatta" - dalla qualità della rappresentazione narrativa - conosciamo essenzialmente i personaggi; siamo, se non nel dominio della realtà, in quello della verità. James pone l'alternativa di giudicare l'episodio di Balzac come "o un magnifico documento lurido o il tessuto senza fondamento di una visione", solo per concludere che non possiamo dire quale sia. Questa alternativa, e l'ammissione della sconfitta nel tentativo di scegliere, colpisce vicino al centro del problema del melodramma. L'immaginazione melodrammatica ha bisogno sia di documenti che di visione, e si occupa in modo centrale dell'estrapolazione l'una dall'altra. Quando il narratore balzaciano fa pressione sui dettagli della realtà per rendere i termini della sua tragedia, quando insiste che i gesti di Raphael si riferiscono a una storia parabolica, o quando crea una scena iperbolica della sconfitta sociale di Lucien de Rubemprè, sta usando le cose e gesti del mondo reale, della vita sociale, come tipi di metafore che ci rimandano al regno della realtà spirituale e ai significati morali latenti. Le cose cessano di essere semplicemente se stesse, i gesti cessano di essere semplicemente un segno di rapporti sociali il cui significato è assegnato da un codice sociale; diventano i veicoli delle metafore il cui tenore suggerisce un altro tipo di realtà. In The Ambassadors, la scoperta di Strether della relazione di Madame de Vionnet con Chad, è essenzialmente un veicolo per la scoperta del suo intrappolamento e sfruttamento da parte di "forze misteriose". I.A. Richards ha dato una definizione comprensiva della metafora come "transazione tra contesti", e in tutti questi casi esiste una tale transazione: la pressione sul contesto primario è tale che le cose e i gesti sono fatti per rilasciare significati occulti, per trasferire significato in un altro contesto. Sia Balzac che James tessono una ricca trama di metafora nella loro prosa, e le metafore spesso creano un contesto morale espanso per la narrazione. Ma non è solo una questione di trama metaforica; è piuttosto che, per l'immaginazione melodrammatica, cose e gesti significativi sono necessariamente di natura metaforica perché devono riferirsi e parlare di qualcos'altro. Tutto sembra avere il marchio del significato, che può essere espresso, estromesso da esso. Il dandy de Marsay, rifiutando di riconoscere Lucien de Rubempràè in Illusions perdues, fa cadere il suo occhialetto "così singolarmente da sembrare la lama della ghigliottina". In Le Lys dans la vallèe, il narratore legge nel "sorriso forzato" della morente Mme de Mortsauf "l'ironia della vendetta, l'anticipazione del piacere, l'intossicazione dell'anima e la rabbia della delusione". Se con James siamo tentati di credere che i gesti ricevano la loro carica dai modi sociali - questa è in fondo la visione classica di James - scopriamo che, al contrario, il significato sociale è solo il punto di partenza più semplice per un'immensa costruzione di connotazione. Si potrebbe aggiungere questo momento in The Wings of the Dove, quando Merton Densher apprende dal servitore di Milly Theale che Milly non può riceverlo, la sua e la nostra prima indicazione che la crisi è a portata di mano: (Eugenio) ora, come al solito, gli sorrise un po' nel processo, ma ancora una volta, questa volta, anche i suoi modi erano in sintonia, il nostro giovane si rese conto della cosa, qualunque cosa fosse, che costituiva la rottura della pace. In questo modo, mentre rimasero per un lungo minuto l'uno di fronte all'altro per tutto ciò che non avevano detto, giocarono un ruolo anche nel barattolo improvviso allo stato protetto di Densher. Era una Venezia tutta malvagia che si era scatenata allo stesso modo per loro, così che erano insieme nella loro ansia, se davvero avessero potuto incontrarcisi; una Venezia di pioggia fredda e sferzante da un basso cielo nero, di vento malvagio che imperversa attraverso passaggi stretti, di arresto generale e di interruzione, con la gente impegnata in tutta la vita acquatica rannicchiata, incagliata e senza vagabondi, annoiata e cinica, sotto gli archi e ponti. La prestidigitazione jamesiana è in piena evidenza qui. Il lieve, troppo leggero sorriso di Eugenio è il segno dettagliato che indica un modo più ampio che a sua volta indica una "rottura della pace" - già il vocabolario sta assumendo una forte colorazione - e questa rottura diventa quindi il passaggio per un diluvio di male, evocando in esistenza una nuova Venezia di tempesta, oscurità e violenza repressa. In seguito perseguiremo più in dettaglio le domande poste da questa metaforicità del gesto che evoca significati al di là della sua configurazione letterale. Potremmo già essere colpiti dall'apparente paradosso che l'espressività totale assegnata al gesto è collegata all'ineffabilità di ciò che deve essere espresso. Il gesto viene letto come contenente tali significati perché è postulato come l'approccio metaforico a ciò che non può essere detto. Se spesso ci avviciniamo pericolosamente, nel leggere questi romanzieri, alla sensazione che il mondo rappresentato non sopporterà il peso dei significati posti su di esso, questo è perché il mondo rappresentato viene spesso usato metaforicamente, come segno di qualcos'altro. Se consideriamo in questa luce le implicazioni di opere come The Beast in the Jungle e The Sacred Fount, scopriamo che più diventa sfuggente il tenore della metafora - più diventa difficile mettere il dito sulla natura della realtà spirituale allusa- più il veicolo è molto carico, maggiore è la pressione esercitata per suggerire un significato oltre. La violenza e l'estremismo della reazione emotiva e delle implicazioni morali che troviamo nella prosa sia di James che di Balzac possono in parte derivare dalla loro mancanza di chiare fondamenta, dalla loro collocazione in una coscienza etica che non si può dimostrare che corrisponda evidentemente e necessariamente al modo in cui la vita è vissuta dalla maggior parte delle persone. All'incertezza del tenore corrisponde l'esagerazione, l'innalzamento del mezzo. L'intensificarsi e l'iperbole, il conflitto polarizzato, la minaccia e la suspense delle rappresentazioni possono essere resi necessari dallo sforzo di percepire e immaginare lo spirituale in un mondo privo del suo tradizionale Sacro, dove il corpo dell'etica è diventato una sorta di deus absconditus che deve essere ricercato, postulato, portato nell'esistenza dell'uomo attraverso il gioco dell'immaginazione spiritualista. Non possiamo, tuttavia, andare oltre senza dire altro sul melodramma, sulla nostra comprensione del concetto e dell'uso della parola, della sua situazione storica e ideologica e della sua natura. GLI USI DEL MELODRAMMA Ho cercato, nelle pagine iniziali, di suggerire il pervasivo melodrammatismo di due importanti romanzieri come Balzac e James - la sostanzialità del melodramma con il modo e la visione della loro narrativa. Ma non ho ancora detto nulla nella spiegazione o nella giustificazione della parola melodramma, la sua adeguatezza come termine critico, i motivi per scegliere un'etichetta che ha tradizionale e delle sue istituzioni rappresentative (Chiesa e Monarca), la frantumazione del mito della cristianità, la dissoluzione di una società organica e gerarchicamente coesa, e l'invalidazione delle forme letterarie - tragedia, commedia delle buone maniere - che dipendeva da una tale società. Il melodramma non rappresenta semplicemente una "caduta" dalla tragedia, ma una risposta alla perdita della tragica visione. Nasce in un mondo in cui gli imperativi tradizionali di verità ed etica sono stati violentemente messi in discussione, eppure la promulgazione della verità e dell'etica, la loro instaurazione come stile di vita, è di interesse immediato, quotidiano, politico. Quando il rivoluzionario Sain-Just esclama, "Il governo repubblicano ha come principio la virtù; o in caso contrario, il terrore", sta usando i termini manicheistici del melodramma, sostenendo la sua logica del mezzo escluso e immaginando una situazione - il momento della sospensione rivoluzionaria - dove la parola è chiamata a rendere presente e imporre una nuova società, per legiferare sul regime della virtù. Un mondo nuovo, una nuova cronologia, una nuova religione, una nuova moralità erano alla portata del legislatore rivoluzionario e, in particolare, nel potere delle sue rappresentazioni verbali. La Rivoluzione tenta di sacralizzare la legge stessa, la Repubblica come istituzione della moralità. Eppure produce necessariamente il melodramma, incessante lotta contro i nemici, dentro e fuori, marchiati come cattivi, dominatori della moralità, che devono essere confrontati ed espulsi, ancora e ancora, per assicurare il trionfo della virtù. Come l'oratoria della Rivoluzione, il melodramma fin dall'inizio prende come preoccupazione e ragion d'essere la posizione, l'espressione e l'imposizione dell'etica di base e delle verità psichiche. Li dice ripetutamente con un linguaggio chiaro, prova i loro conflitti e combatte, ricostruisce la minaccia del male e l'eventuale trionfo della moralità reso operativo ed evidente. Mentre le sue implicazioni sociali possono essere variamente rivoluzionarie o conservatrici, è in ogni caso radicalmente democratico, cercando di rendere le sue rappresentazioni chiare e leggibili per tutti. Possiamo legittimamente affermare che il melodramma diventa la modalità principale per scoprire, dimostrare e rendere operativo l'universo morale essenziale in un'era post-sacra. Questa affermazione necessita di ulteriore attenzione. La Rivoluzione può essere vista come l'ultimo atto convulso in un processo di desacralizzazione che è stato messo in moto durante il Rinascimento, ha attraversato il momentaneo compromesso dell'umanesimo cristiano e ha raccolto slancio durante l'Illuminismo - un processo in cui la forza esplicativa e coesiva del mito sacro ha perso il suo potere e le sue rappresentazioni politiche e sociali hanno perso la loro legittimità. Nel corso di questo processo, la tragedia, che dipende dalla partecipazione comunitaria del corpo sacro - come nella massa - è diventata impossibile. Il momento cruciale del passaggio potrebbe senza dubbio essere localizzato da qualche parte nel diciassettesimo secolo. Racine si distingue in modo emblematico come l'ultimo tragico drammaturgo (Milton come l'ultimo poeta epico) e la sua carriera ha molto da dirci sulle crescenti difficoltà incontrate nell'apprensione e nella rappresentazione degli imperativi sacri comuni. Il Litigio degli Antichi e dei Moderni, alla fine del diciassettesimo secolo, fu l'annunciazione simbolica del divorzio della letteratura dal mitico substrato che l'aveva sostenuta, la sua incipiente privatizzazione e desacralizzazione. Tuttavia, alla fine dell'Illuminismo, c'era chiaramente una rinnovata sete di sacro, una reazione alla desacralizzazione espressa nel vasto movimento che pensiamo come Romanticismo. La reazione ha riaffermato la necessità di una versione del Sacro e ha offerto ulteriore prova dell'irrefrenabile perdita del Sacro nella sua forma tradizionale, categorica e unificante. La mitografia ora poteva essere solo individuale, personale; e la promulgazione di imperativi etici doveva dipendere da un atto individuale di auto comprensione che sarebbe poi - con un balzo immaginario o addirittura terroristico - offerto come fondamento di un'etica generale. In effetti, l'entità che rivendica con forza il sacro status tende sempre più a essere la personalità stessa. Dal collasso di altri principi e criteri, l'ego individuale dichiara il suo valore centrale e prevalente, la sua richiesta di essere la misura di tutte le cose. L'inizio della modernità è la prima pagina delle Confessioni di Rousseau, con la sua insistenza sull'unicità del suo essere interiore individuale, la sua differenza rispetto a tutti gli altri uomini e sulla necessità di esprimere quell'essere nella sua totalità. L'importanza attribuita da Rousseau alla sua decisione di "dire tutto", tout dire, è una misura della personalizzazione e interiorità dell'etica post-sacra, la difficoltà della loro posizione ed espressione. Un analogo maniacale può essere trovato nello sforzo di Sade di "dire tutti" i possibili crimini che sono permessi in natura, al fine di dimostrare che l'unico principio da osservare è quello del piacere totalistico dell'individuo. Il melodramma rappresenta sia l'impulso alla risacralizzazione sia l'impossibilità di concepire la sacralizzazione se non in termini personali. Il bene e il male melodrammatici sono altamente personalizzati: sono assegnati, abitano persone che in realtà non hanno complessità psicologica ma che sono fortemente caratterizzate. In particolare, il male è malvagio; è un uomo magro, avvolto in un mantello con una voce profonda. Bene e male possono essere nominati come le persone sono nominate - e i melodrammi tendono infatti a spostarsi verso una chiara nomina dell'universo morale. Il rituale del melodramma prevede il confronto di antagonisti chiaramente identificati e l'espulsione di uno di essi. Non può offrire alcuna riconciliazione terminale, poiché non c'è più un chiaro valore trascendente a cui riconciliarsi. C'è piuttosto un ordine sociale da eliminare, una serie di imperativi etici da chiarire. Di particolare pertinenza in qualsiasi discussione sulla desacralizzazione e la risposta ad essa sono due forme romantiche ("pre-romantiche") che si nutrono a vicenda, melodramma e romanzo gotico. Il romanzo gotico si pone chiaramente in reazione alla desacralizzazione e alle pretese del razionalismo; rappresenta, in D.P. La frase di Varma, una "ricerca del numinoso". Riafferma la presenza, nel mondo, di forze che non possono essere spiegate dalla stessa luce del giorno e dalla mente autosufficiente. Tuttavia, i gotici in genere scoprono che questa riaffermazione delle forze spirituali e dei problemi occulti nascosti nel mondo fenomenico non può portare alla risacralizzazione dell'esperienza. Lo status del Sacro come "completamente altro" - nella frase di Rudolf Otto - come regno dell'essere e del valore riconosciuto come separato e superiore all'uomo, è scomparso ed è irrecuperabile. Del mysterium tremendum, che Otto definisce come l'essenza del Santo, solo il tremendum può essere resuscitato in modo convincente. A questo problema, infatti, viene data una drammatizzazione in M.G. Lewis 'The Monk (insieme a Frankestein di Mary Shelley, il più interessante e intelligente dei romanzi gotici) in relazione al problema della colpa e alla sua definizione. La tentatrice del monaco, Matilde, propone di invocare un aiuto diabolico nella seduzione della verginale Antonia; e Ambrosio, che conserva ancora una credenza rudimentale nel paradosso cristiano della salvezza, resiste: "No, no, Matilde, non mi allineerò con il nemico di Dio". In risposta, Matilda è fervidamente logica nella sua descrizione della mutata ontologia del soprannaturale e della relazione alterata di Ambrosio con esso: sei allora amico di Dio al momento? ... Non stai pianificando la distruzione dell'innocenza, la rovina di una creatura che ha formato nello stampo degli angeli? Se non dei demoni, quale aiuto invocheresti per abbandonare questo lodevole disegno? | serafini la proteggeranno, condurranno Antonia tra le tue braccia e sanzioneranno con il loro ministero i tuoi piaceri illeciti? Assurdo! Ma non sono illusa, Ambrosio! Non è la virtù che ti fa rifiutare la mia offerta; la accetteresti, ma non osi. Non è il crimine che ti tiene la mano, ma la punizione; questo non è rispetto per Dio che ti trattiene, ma il terrore della sua vendetta!” Nella sua logica del mezzo escluso (la stessa logica del melodramma), Matilda dimostra che Ambrosio si è allontanato da sotto il mantello del Sacro e che l'etica è ora determinata non dalla virtù, ma dal terrore. Il suo argomento immagina un mondo in cui Dio esiste ancora, ma non più come un santo mistero e un principio morale che suscita amore, adorazione e rispetto. Non più la fonte e il garante dell'etica, "Dio" è diventato un'interdizione, una forza primitiva nella natura che colpisce la paura nei cuori degli uomini ma non li spinge alla fedeltà e al culto. La colpa, nel senso più ampio, può derivare essa stessa da un'ansia prodotta dall'incapacità dell'uomo di aver mantenuto una relazione con il Sacro; ora deve essere ridefinita in termini di auto-punizione, che richiede terrore, interdizione di trasgressione, punizione. Come per il legislatore rivoluzionario Saint-Just, abbiamo una nuova base alternativa per la comunità etica: una virtù sentimentale (del tipo spesso esposta nell'estetica di Diderot) oppure un terrore purgante e retributivo. La natura dell'idea tradizionale del Sacro è chiarita nella definizione di Clifford Geertz dello status che mantiene nelle culture "primitive"- "il sacro porta ovunque al suo interno un senso di obbligo intrinseco: non solo incoraggia la devozione, la richiede; non solo induce il consenso intellettuale, ma impegna l'impegno emotivo ". Un vero Sacro è evidente, persuasivo e avvincente, un sistema sia di spiegazione mitica che di etica implicita. La concezione tradizionale del mysterium tremendum richiede il senso di dipendenza dell'uomo in relazione a un "completamente altro", e la sua sensazione di essere coperto da esso. L'origine del sentimento religioso, secondo Otto, risiede nel "timore reverenziale primitivo", in un terrore religioso che può avere alla radice il "terrore demoniaco". L'emozione radicale è un sentimento "inquietante" e "perturbante", quindi elaborato in un concetto in cui l'idea di terribile e maestà esiste in relazione al numen. La teologia di Matilde parte dallo stesso punto, ma poi evolve verso ciò che un teologo cristiano vedrebbe come una perversione, la credenza nei fantasmi e negli spiriti, in cui "Dio" è semplicemente una figura in una demonologia manicheistica. È come se, uscendo dall'illuminismo, l'uomo dovesse reinventare il senso del Sacro dalla sua fonte - ma scoprì che era un po 'distorto e narcisisticamente affascinato dal suo punto di origine. C'è una riaffermazione di magia e tabù, un riconoscimento delle forze diaboliche che abitano il nostro mondo e il nostro essere interiore. Poiché queste forze non ottengono uno status sacro come del totalmente altro, sembrano piuttosto rimanere nella natura e, in particolare, nella creatura della natura, l'uomo. Se il tremendum ha riaffermato la sua presenza e la sua forza contro le riduzioni del nazionalismo, il mysterium che dovrebbe modificarlo, è stato spostato dall'esterno all'interno. Siamo ricondotti alle fonti dell'"inquietante" nei processi di desiderio e repressione analizzati da Freud. La desacralizzazione e il sentimentalismo dell'etica ci portano - come scoprì Diderot nella lettura di Richardson - nei "recessi della caverna", lì per scoprire "l'orrendo Moro" nascosto nei nostri motivi e desideri. Il castello gotico, con i suoi pinnacoli e sotterranei, merlature, fossati, ponti levatoi, scale a chiocciola e porte nascoste, realizza un'approssimazione architettonica del modello freudiano della mente, in particolare le trappole posate per la coscienza dall'inconscio e dal represso. Il romanzo gotico cerca un'epistemologia delle profondità; è affascinato da ciò che giace nascosto nei sotterranei e nel sepolcro. Suona in profondità, portando alla luce violenta e alla messa in atto le forze nascoste e intrappolate qui. The Monk - in cui tutti i personaggi principali sono poi costretti a scendere nel sepolcro di Santa Chiara, lì per compiere i loro atti più estremi - appartiene a un momento di letteratura "claustrale", affascinato dai vincoli e dai segreti, determinato a liberarsi le sue energie. Il contenuto delle profondità è una versione dell'"occulto morale", il regno degli imperativi interiori e dei demoni, e il romanzo gotico drammatizza ancora e ancora l'importanza di portare questo occulto nella veglia umana, nell'esistenza sociale, di dire il suo significato e agire fuori dalla sua forza. La frenesia del gotico, il tuono della sua retorica e l'eccesso delle sue situazioni rappresentano sia la difficoltà che l'importanza della rottura della repressione, in cui la vittoria si ottiene, come nel melodramma, trovando la vera posta in gioco del dramma. The Monk, questo romanzo gotico esemplare scritto nel vicolo cieco dell’Age of Reason, all'intersezione di rivoluzione e reazione, offre una drammatizzazione particolarmente potente del passaggio in un nuovo mondo ansioso in cui il Sacro non è più praticabile, ma la riscoperta degli imperativi etici che tradizionalmente dipendevano da esso sono di vitale importanza. La riscoperta sarebbe BALZAC: RAPPRESENTAZIONE E SIGNIFICATO L'inizio de “La Peau de chagrin” (La pelle di zigrino), il primo dei romanzi di Balzac presenta, come abbiamo visto, un narratore che preme sui dettagli della realtà, martellandoli per farli cedere, rilasciare i termini e i segni di un dramma più vero, intenso, un super-dramma sia suggerito che nascosto dalla superficie della realtà. Abbiamo notato lo sforzo del narratore di andare attraverso e al di là delle superfici, al locus di questo conflitto fondamentale, per cercare le grandiose entità di un dramma cosmico disegnato dal dramma umano di Raphael de Valentin. Analogamente, l’azione dei romanzi di Balzac tende a risolversi da sola nei momenti di crisi, nel quadro del confronto, dove gli attori si trovano al centro del palcoscenico e raccontano i loro stati dell'essere, usando un vocabolario che definisce le loro posizioni e il senso delle loro vite, il quale riassume tutto ciò che sono in relazione l’uno con l’altro, in ampi gesti verbali. Il potere della nomina - di sé e degli altri - che ottengono consente di chiarire il loro dramma attraverso la sua risoluzione in puri segni verbali e drammatici. | gesti dei personaggi chiariscono la vera posta in gioco della tragedia; e i gesti del narratore - in particolare la sua costruzione di significato sul gesto - suggerisce la carica di straordinario e iperbolico significato postulato attraverso azioni dell’universo di tutti i giorni. Il gesto è essenzialmente metaforico, in quanto è il veicolo simbolico di un tenore grandioso e talvolta ineffabile. Afferma di far riferimento a un mondo nascosto e al di là del mondo apparente, nel regno delle forze morali occulte, forze nascoste ma anche operative, che devono essere strappate al linguaggio. Balzac ha affermato riguardo a La Peau de chagrin - e avrebbe potuto affermare di qualunque dei suoi romanzi, inclusi quelli considerati i più meticolosamente “realistici”: “tutto è mito e figura”. La tecnica melodrammatica di Balzac e la visione nella sua narrativa non sono estranei al letterale melodramma teatrale. La sua iniziale ambizione letteraria era di scrivere una tragedia di successo, e per tutta la vita è tornato con insistenza quasi compulsiva all'idea che la vera gloria letteraria doveva essere conquistata solo sul palcoscenico. | suoi numerosi progetti teatrali sono stati ben documentati, e nel complesso sono essenzialmente nel regno del melodramma. La sua prima opera completa, Le Nègre: melodramma in tre atti - proposto al Thèatre de la Gaitè - dal 1822, quando stava perseguendo la relativa impresa di narrativa gotica nel romanzo. Molti romanzi di Balzac hanno attratto altri drammaturghi i quali li hanno adattati al teatro. Le sue tragedie che vennero rappresentate - Vautrin, Pamèla Giraud, Les Ressources de Quinola, La Maratre - sono state generalmente etichettate come fallimenti. Quella di maggior successo fu probabilmente La Maratre (“La matrigna”) la più lugubre di tutte, la più fedele al melodramma. Il problema qui - e ancora più esageratamente il caso con Vautrin - è che la visione complicata di Balzac, la sua preoccupazione di cosa deve essere trovato al di là dei gesti del reale, rende il palcoscenico letterale troppo limitato. La battaglia di Balzac di raggiungere questa area porta a un'inestricabile complicazione, molteplici travestimenti, un'esposizione di relazioni nel quale lo spettatore perde la propria strada. Il romanzo è un mezzo di maggior successo per Balzac, in parte perché riesce ad offrire una visione di ciò che succede, come disse Renè Guise, “dietro la tragedia offerta allo spettatore”; può esibirsi nella sua “autopsia”. Tuttavia, il tessuto di riferimenti al teatro suggerisce una consapevolezza che stava scrivendo per un pubblico i quali responsi e gusto sono stati formati dal teatro, e soprattutto dal melodramma - l’unico genere che è riuscito a insinuarsi nel silenzio del periodo post-rivoluzionario e ha offerto un'estetica coerente ad un pubblico non addestrato. Se nei romanzi di Balzac predominano i mezzi espressivi e le premesse del melodramma è perché l'immaginazione melodrammatica è autenticamente centrale nella sua concezione di vita e nella sua rappresentazione artistica. Come Victor Hugo, vede nella polarizzazione morale dell’esistenza, una legge fondamentale e un principio estetico. L'uomo è “l’uomo doppio”, la vita “è il risultato del gioco di principi polari”, e l’arte ordina un confronto di contrari. La legge di contrasto potrebbe essere considerata infatti una dei più importanti canoni estetici di Balzac e le drammatizzazioni che crea sono nate da opposizioni assolute e radicali. Ne La Peau de chagrin si evince il conflitto manicheo: Rastignac definisce come creare una “nuova sorte di morte nel lottare contro la vita”; il significato di questa “profonda dissoluzione” è dapprima suggerita dalle stanze di Rastignac, dove Raphael aspetta che il suo amico ritorni dalla spedizione vita-o-morte. Il principio organizzativo della descrizione è suggerito dal suo primo dettaglio: la decorazione della stanza rivela un sottostante gioco di contrasto tra l'eleganza e il disordine, ricchezza ottenuta attraverso l’amore o il caso e una povertà e un’improvvisazione fondamentali. “Opulenza e miseria accoppiate ingenuamente nel letto, sulle mura, ovunque”. Avresti detto un palazzo napoletano, delimitato da baraccopoli. Era la stanza di un giocatore d'azzardo o un personaggio sospetto...che vive lontano dalle sensazioni e non bada alle incoerenze. L'immagine inoltre non mancava di poesia.” Questa poesia è precisamente derivata dall’opposizione, “l'accoppiamento” di estremi senza fiato, le immagini di una vita che ha attivato la ruota della fortuna. La frase finale si riassume: “Come ha potuto un giovane uomo naturalmente affamato di emozioni, resistere alle attrazioni di una vita così ricca di opposizioni, che gli ha fornito il piacere della guerra in periodo di pace?” La porta viene quindi aperta, e Rastignac si precipita dentro con il suo cappello pieno d’oro, ventisette mila franchi. Il passaggio descrittivo, invocando la poesia e la seduzione della vita fatta di contrasti violenti e drammatici, di frequenti peripezie ed eccitazione costante, prepara l'esperienza di dissoluzione di Raphael, e la teoria di dissolutezza che ne viene da questa. “La dissolutezza è sicuramente un'arte come la poesia e richiede anime resistenti”. Uno deve rifare il proprio corpo, fortificarlo, e forgiare una nuova anima. La dissolutezza è piu’ profondamente uno sforzo per trascendere il quotidiano, creando “una vita drammatica nella vita di una persona”, un'esistenza melodrammatica. Come avrebbe più tardi scritto Balzac a un critico - “Grandi opere...resistono alla loro dimensione appassionata. E la passione è eccesso, demonio”. “Tutti gli eccessi sono correlati”, dice Raphael. Il loro significato è già quello del baudelairiano “golfo” o abisso, nel quale si tuffa per trovare chissà cosa, ma almeno qualcosa di nuovo, qualcosa per reintegrare il dramma nel grigio dell’esistenza. “Forse l'idea delle infinite bugie in questi precipizi?...” In modo tale che il tuffo nella dissolutezza diventi un mezzo di presa-se può essere preso, se esiste-alcuni arcani principi della vita. “La dissolutezza comprende qualsiasi cosa. E’ un abbraccio perpetuo e stretto di tutta la vita, o meglio, un duello con un potere sconosciuto, con un mostro”. La dissolutezza, come l’ubriaco di Baudelaire di “ubriacarsi”, sfida le leggi della natura ordinaria (in particolare le leggi del suo organismo fisico) e, nella sua ricerca della rara ed eccessiva sensazione, si ricrea come anti-natura, come una creatura che, come l'elegante balzachiano o il dandy baudelairiano, fa sì che la vita lo incontri ai propri termini, il quale rompe la natura in un mondo dove sensazione, artificio, tragedia, il senso di infinito e morte, si mescolano. Nella dissoluzione sistematica, l’uomo diventa artefice di se stesso: si auto- crea “una seconda volta, come per ammutinare contro Dio”. E’ il drammaturgo della sua esistenza. E' prima di tutto la condizione finanziaria di molti dei suoi personaggi che gli interessa maggiormente, specialmente quello di giovani uomini in ascesa, i quali sono sempre in debito per l'allestimento della loro apparenza nel mondo, a tal punto che sembrano veri e propri speculatori, la cui fortuna sarà un matrimonio o un legame ricco. | sarti, cappellai, calzolai, gioiellieri, che preparano gli accessori necessari, loro stessi comprendono che stanno accumulando una sorta di capitale rischioso che verrà ripagato quando e se il successo sarà imminente. (Il sarto di Rastignac ne Le Père Goriot, si considera un “trattino” tra il presente di un giovane uomo e il suo futuro). Ma vivere al di là dei propri mezzi non è soltanto inteso in ambito finanziario: si intende una vasta gamma di condizioni morali, dove persone, attraverso passione, la volontà di alimentare, o la poesia, cerca di vivere oltre ciò che è normalmente assegnato all'uomo. L'eccesso è necessario per avvicinare l'essenziale e la verità, nascoste come da una tenda da ciò che gli uomini chiamano ordinariamente “realtà”. L'ultima figura del genere nella “Comèdie Humaine” è forse l’usuraio Gobseck, che, attraverso il suo controllo del flusso di denaro, può far passare tutti i drammi della vita attraverso la sua nuda camera, e godersi la vita come un perfetto spettacolo nel quale egli è sia uno spettatore distaccato sia il motore principale, il perfetto demiurgo. Vivere al di là dei propri mezzi significa sposare una delle metafore sottostanti della vita, creando una “tragedia” nella propria esistenza dalla percezione di una vita dietro e oltre il sipario. Ma vedendo dietro il sipario, trovando la visione significativa, incontra il problema dell'espressione. Si può dire, si può incarnare ciò che si è intravisto nell'abisso? Si può raggiungere, nella vita e nell'arte, quella vittoria sulla repressione che in Balzac appare di più come una vittoria sui termini ordinari di “vita” e “realtà”? L'intero lavoro di Balzac si sforza di raggiungere questa domanda, questione che per sua natura non è direttamente rappresentabile, ma è anche la più significativa. La “Recherche de l’Absolu” elabora pienamente la figura che trascura i veicoli della rappresentazione nella ricerca di un ineffabile tenore. Attraverso il lavoro di Balzac. c'è una minaccia ossessiva di espressione bloccata e prevenuta, l’incontro sempre minaccioso con l’afasia. La sua corsa verso l'abisso è forse meglio raffigurata in “splendeurs et misères de courtisanes”, dove troviamo lo strato superiore della società implicato nella più oscure macchinazioni della malavita, e dove troviamo la lettera di addio di Lucien de Rubemprè, scritta prima di suicidarsi nella prigione di Conciergerie, datata 15 maggio 1830- due mesi prima di una rivoluzione che apparirebbe a Balzac sia inevitabile, sia un'ulteriore conferma di decadenza. La Comèdie Humaine è un monumento paradossale per un corpus in dissoluzione, e Balzac ritorna ancora ed ancora alle difficoltà di rappresentazione di una società dove quegli stessi principi di una tragedia tradizionale - distinzioni di classi, gerarchia, educazione - sono stati appiattiti e sono diventati idiosincratici e intricati: un “tempo nel quale...restano solo sfumature, dove le grandi figure sono sbiadite, dove le distinzioni sono puramente personali”. Questa situazione richiede l'atto di riorganizzazione individuale, sia dal punto di vista politico, che da quello artistico. L'artista, il quale deve vedere e rappresentare, ha il dovere di cercare nella realtà disorganizzata e appiattita, i termini della rappresentazione significativa. In altre parole, questo suggerisce il suo bisogno di uno strumento per i personaggi di ritorno: ciascun romanzo sarà popolato da esseri che portano con sé un certo spessore acquisito da altri contesti. Non è sufficiente rimanere sul livello degli “effetti sociali”, dice Balzac nel suo avant-propos nella Comèdie Humaine; bisogna anche studiare “le ragioni o la ragione di questi effetti sociali, rilevare il senso nascosto in questo vasto insieme di figure, di passioni, di eventi”. Le cause, e poi i principi alla base delle cause, dovevano essere l’esplicito dominio degli Etudes philosophiques (dove le opere degli artisti sono in gran parte raggruppati) e degli Etudes analytiques (dove abbiamo formulazioni frammentarie della teoria di Balzac sul significato). Come scrisse Balzac in difesa all’accusa che i suoi personaggi erano toccati con “gigantismo”, che la sua tragedia non era nella natura: “Come può qualcuno attraversale un tale affresco (la Comèdie Humaine) senza le risorse del racconto arabo, senza l’aiuto di titani sepolti? In questa tempesta di metà secolo, controllando le onde. Ci sono giganti nascosti sotto gli assi del terzo strato sociale”. L'immagine si riferisce al macchinario del teatro, nascosto, ma capace di grandiosi effetti. Lo sforzo per una rappresentazione significativa è presentato in modo tematico, ancora ed ancora, come la preoccupazione per il macchinario nascosto, le forme della sua manifestazione e l'estensione della sua rivelazione. Ogni lettore di Balzac è colpito dalla prevalenza di società segrete e poteri occulti: organizzazioni come la Confrèrie de la Consolation, Les Grands Fanandels; e organizzazioni più libere di cospiratori, i banchieri di Cèsar Birotteau, i fratelli Cointent e i loro associati nella terza parte di Illusions perdues, le varie forze di polizia segrete e contro-polizia e la figura singola, benefattore o eccessive dichiarazioni, le antitesi estreme, iperbole, e ossimori. Così, ne Le Père Goriot, dopo il dantesco approccio del narratore alla Pension Vauquer, come nelle catacombe: “Un vero confronto! Chi decide cosa sia piu’ orribile da vedere, cuori essiccati o teschi vuoti?”. La domanda retorica insiste che noi sposiamo la comprensione delle rappresentazioni del narratore. La sollecitazione del lettore in molte istanze chiama una procedura di pseudo- spiegazione ben descritta da Gèrard Genette, la formulazione di una perfetta pseudo-legge che sembra motivare dettagli di comportamento, inserendoli in un tessuto esplicativo. Il tessuto “effettivamente” (referenzialmente) non spiega nulla; ma contribuisce al presagio interno di significazione e significato nel dettagli testuali. La metafora lavora essenzialmente in due modi: creando transizioni da parte a parte, e dalla superficie al nascosto. Riorganizza quindi entrambi, in una nuova provvisoria totalità, e (talvolta l'una è una conseguenza dell'altra) rivela, mette a nudo le cause e i principi degli effetti. Attraverso il gioco costruttivo della metafora, si può accedere al nascosto immediato - dal palcoscenico alle ali - per scoprire basiche strutture sociali e controllare poteri nascosti. Costruendo metafore su metafore, si può andare ancora piu’ indietro, fino a raggiungere il regno del vero occulto spirituale. Tematicamente, Lucien de Rubemprè si presenta come l’anti-immagine della ricerca, per spostarsi tra gli effetti e le cause, il tipico esempio di fallimento nella Comèdie Humaine. L'immagine positiva la cui carriera, pienamente esemplare come quella di Lucien, offre lo stesso tipo di successo, è Eugène de Rastignac. La voce narrativa di Le Père Goriot adotta apertamente l'affanno del melodramma già dalle pagine introduttive, rivendicando per questo racconto l'etichetta di "tragedia" nonostante "il modo abusivo e contorto in cui è stato usato in questi tempi di letteratura dolorosa". Ma la tragedia, aggiunge il narratore, non è un’esagerazione: “questa tragedia non è né una finzione, né un romanzo. E’ tutto vero.” Questa è esplicitamente la tragedia del reale; e nelle pagine introduttive (come l’inizio de La Peau de chagrin) possiamo osservare come il narratore lavori sui dettagli della realtà i quali ha incorniciato nella sua “cornice di bronzo”, per far si che rilascino significati latenti. La stessa famosa mobilia della Pension Vauquer, diventa il primo simbolo del conflitto: la mobilia è “proscritta”, messa nella Pension “come i detriti della civiltà sono messi nell’Ospedale degli Incurabili”; le sedie sono “smembrate”, o, in una serie di aggettivi che si spostano dall'obiettivo al completamente animato, "vecchie, incrinate, marce, traballanti, rosicchiate, con un braccio, un occhio, invalide, in scadenza”. Poi le figure individuali - Mlle Michonneau, Poiret - portano a interrogativi più audaci del passato drammatico che giace dietro la faccia devastata: “Quale acido aveva spogliato questa creatura dalle sue forme femminili?...”; “Quale lavoro poteva averlo così avvizzito? Quale passione aveva annerito la sua faccia bulbosa?...”. L'azione della trama, dopo la lunga introduzione di ambientazioni e personaggi, prende il via tra oscurità e mistero. Rastignac, tornato dal suo primo ballo in Società e persegue ambiziose fantasticherie mentre tenta di studiare i suoi libri di legge, sente un gemito proveniente dalla stanza di Goriot e guardando attraverso il buco della serratura, trova l'anziano uomo a torcere ciotole d'argento in un lingotto. La trama si sviluppa quindi come una serie di incontri melodrammatici che legano le linee più strette, spiegando posizioni e relazioni e creando un alto grado di suspense sulla loro risoluzione. La tentazione di Rastignac da parte di Vautrin e il suo interesse per Victorine Taillefer, vengono messi in crisi nello stesso momento del corteggiamento di Delphine de Nucingen e anche della rivelazione e dell'arresto di Vautrin; il ballo di Mme de Beausèant, il suo addio alla Società, coincide con l'agonia della morte di Goriot, e la scena finale “nell'educazione” di Rastignac. Tutto si muove verso, prepara, alcune scene fragorose e decisive. La rappresentazione melodrammatica infatti tocca la centrale esperienza del romanzo; costituisce gran parte di ciò che tratta il libero. Possiamo coglierlo al meglio attraverso la prima "scena" principale presentata; succede quando Rastignac, lasciandosi alle spalle i sordidi misteri della pensione, va a combattere per l'ingresso in "le monde". La sua prima chiamata sociale, all'hotel de Restaud, è strutturata in due gesti verbali, il primo del quale apre le porte, produce un senso di appartenenza e un’inondazione di luce sulla società; il secondo, oscurità, rifiuto, e un permanente blocco di passaggi. Se il suo arrivo è un fastidio per la Comtesse Anastasie de Restaud- che sta ricevendo il suo amante, Maxime de Trailles - quando entra il Comte de Restaud, introduce Rastignac con la frase "magica" che è "imparentato con la Mme Vicomtesse de Beausèant attraverso Marcillac": una formulazione che è come un “colpo di bacchetta”, aprendo “trenta scomparti” nella mente di Rastignac, ripristinando "tutto il suo ingegno preparato" e fornendo una "luce improvvisa" per fargli "vedere chiaramente nell'aria dell'alta società". Il conte è quindi tutto educato e discute degli antenati fino a quando Rastignac non annuncia la sua conoscenza di qualcuno che ha appena percepito lasciare l'hotel de Restaud, Père Goriot: "Alla citazione di questo nome, premiato con il titolo di père, il conte, che si stava occupando del focolare, gettò le pinze nel fuoco come se gli avessero bruciato le mani e si alzò. "Signore, avresti potuto dire monsieur Goriot", gridò”. In un momento, Rastignac nota che ci fu di nuovo un colpo di bacchetta, ma questa volta con “effetto inverso” del “imparentato con la Mme la Vicomtesse de Beausèant”. Il soggetto è cambiato, la partenza di Rastignac si affrettò; e prima di lasciare l'hotel, sentiamo il conte dare al suo cameriere l'ordine che non sarebbero mai più andati a casa di Monsieur de Rastignac. La comprensione di ciò che è realmente accaduto in questa scena può portarci a una comprensione più chiara del tipo di drammatizzazione che interessa Balzac: a prima vista, sembra che Rastignac abbia trasformato (senza che lui o noi sapessimo il perché) un gesto sociale scortese, ciò che definisce una "gaucherie". Un simile risultato di una prima avventura nella società da parte di un giovane provinciale sembrerebbe normale fino al limite della banalità. Potremmo pensare di essere nel mezzo della commedia delle buone maniere, assistere a una scena che potrebbe essere trovata, senza dubbio con molta più finezza, in Stendhal, Jane Austen - uno di quei romanzieri la cui attenzione e gli sforzi di rappresentazione sono diretti alla trama della vita sociale, ai gesti significativi degli attori sul palcoscenico pubblico della società. Balzac ci fa riferimento a questo stadio e a questa trama quando nota | "effetto magico" delle formule sociali, la presunta importanza di un "monsieur" omesso. La gaffe di Rastignac è un'altra, viene caricata in un modo diverso. È più che sociale: è rivoluzionaria e rivelatrice. Per capire ciò, bisogna capire il motivo per il quale Balzac non sta scrivendo una commedia rozza e disuguale di buone maniere, ma qualcosa di molto diverso, un melodramma di buone maniere. Il vero "codice parigino" che Rastignac deve padroneggiare è solo in superficie un codice di buone maniere. Rastignac inizierà a scoprire perché nel corso della sua prossima chiamata sociale, su Mme de Beausèant: Goriot è ovviamente la pubblicità ripudiata e sfruttata segretamente di Anastasie de Restaud (come Delphine de Nucingen), un uomo che è stato bandito dai salotti delle figlie, dove appariva, nella frase della Duchesse de Langeais, "una macchia di grasso", ma che viene spesso chiamato al piano di sotto per denaro. La citazione di Rastignac di Goriot nel salotto di Restaud è quindi come la creazione della macchia di grasso. Segna uno stile sociale pubblico con ciò che sta dietro, con il suo inconfondibile backstage. La gaffe di Rastignac ha infatti l'effetto di una metafora che contrappone superficie e profondità, prima e dietro attraverso una "transazione tra contesti". Ha violato il singolo contesto di modi sociali codificati, ha coniugato insieme due contesti che i Restaud e tutti i ceti alti desiderano mantenere separati ermeticamente. Sembra che il gesto verbale di Rastignac, così pesante di conseguenza, suggerisca dapprima l'inclusione, l'approccio alla totalità della percezione nell'analisi della società. Scoprire la struttura della società è contemporaneamente scoprire i veri termini etici della tragedia: lo sfruttamento e il tradimento di Goriot da parte dei suoi figli. Non vi è alcuna separazione per Balzac tra la verità sociopolitica e la verità etica: la sinistra struttura rivelata nel primo dominio indica direttamente un degrado morale. La bozza della metafora di Rastignac punta, sul piano etico, al luogo della vera tragedia. La scena della sua gaffe nell'hotel de Restaud quindi tematizza il metodo metaforico di Balzac e il suo rapporto con la rappresentazione melodrammatica. La misura della realizzazione percettiva di Rastignac nel romanzo è la sua chiara articolazione finale della metafora, che esprime la chiara visione della vita e della società che ha acquisito e su cui deve fondare il suo comportamento futuro. La formulazione più decisiva della percezione arriva durante il ballo d'addio di Madame de Beausèant, dove Anastasie e Delphine vengono addobbate con diamanti acquistati o riscattati con gli ultimi soldi del padre, che sta morendo nella stanza più misera della Pensione: Rastignac "vide poi là sotto i diamanti delle due sorelle il pallet su cui giaceva Goriot disteso dal dolore”. Le parole essenziali qui sono “sotto”, che esprime il rapporto tra sovrastruttura e sottostruttura, il modo in cui la rappresentazione del settore sociale superiore dipende dallo sfruttamento di quello inferiore, la superficie dipendente dalla cosa sinistra e sordida, il dramma della paternità tradito; e “vedere”, il che suggerisce che la sottostruttura è implicita nella sovrastruttura, la società quindi minacciata dalla struttura della società e che la cosa nascosta, il conflitto più rivelatore, può diventare visibile. L'esperienza di Rastignac, in antitesi con quella di Lucien de Rubemprè, sarà quella di apprendere a comprendere e padroneggiare il melodramma sociale piuttosto che semplicemente recitarci. Ciò significa innanzitutto comprendere polarità ed estremi. Quando la sua prima lezione sull'etica del successo parigino, fornita dagli esempi della società Faubourg Saint-Germain - Mme de Beausèant e la Duchesse de Langeais - riceve immediata conferma nella lezione offerta da Vautrin dal profondo sociale, la forma dell'apprendimento necessario è chiaro. "Mi ha detto rozzamente quello che mi ha detto Mme de Beausèant osservando le forme”. Le strade di Parigi sono letteralmente un buco nel fango e se, come Rastignac, devi attraversarle a piedi, le tue scarpe si sporcano. Ciò ha implicazioni morali: "Coloro che diventano fangosi in una carrozza sono uomini d'onore, quelli che si sporcano a piedi sono truffatori", dice Vautrin. AI quale potremmo contrapporre il commento di Mme de Beausèant secondo cui Delphine de Nucingen "leccherebbe via tutto il fango" delle strade tra la sua casa e il Faubourg Saint-Germain per essere ammessa nel salotto aristocratico. Quando le figlie di Goriot si recano alla pensione in cerca di denaro, gli estremi melodrammatici si toccano. La pensione stessa è il fondo, il sotterraneo; strutturalmente, il romanzo riposa sui suoi due termini polarizzati più ampiamente separati, sia in orizzontale che in verticale: la Pension Vauquer e il Faubourg Saint-Germain. Il paesaggio urbano è già manicheistico, espressivo di interi esclusivi che si respingono a vicenda ed è Rastignac che vive quasi ogni giorno la distanza tra i due, che viaggia come una navetta dall'uno all'altro. L'esperienza etica del romanzo si costruisce sui suoi ritorni dal mondo superiore a quello inferiore, i viaggi (principalmente viaggi nottumi) che portano alla coscienza le sue scelte morali e le possibili formule per lasciare permanentemente un mondo per l’altro. Con il suo ritorno dalla sua prima chiamata a Mme de Beausèant, esitando tra la carriera in legge per la quale è stato mandato a Parigi e gli splendori della Società a cui è appena stato esposto, decide di "aprire due trincee parallele che conducono alla fortuna, a prepararsi sia all'apprendimento che all'amore, a essere un dottore in giurisprudenza e un giovane alla moda”. A cui il narratore risponde che le linee parallele non si incontrano mai. La polarità strutturale è infatti raddoppiata da una polarità morale. Rastignac si trova di fronte a una scelta di mezzi che, secondo l'esposizione della situazione di Vautrin, è un impegno assoluto e totale del sé. "La virtù, mio caro studente, non è divisibile: o lo è o non lo è". Quindi offre a Rastignac la scelta tra due posizioni riassuntive e integrali per la vita: Obbedienza o Rivolta. AI centro del romanzo, Vautrin - certamente il villano, ma allo stesso tempo quasi il saggio e comprensivo genio del melodramma - è un’assolutista morale che offre un'immagine completamente manichea della realtà morale. Critico spietato di "una società in cancrena", discepolo di Rousseau che protesta contro "le perversioni del contratto sociale", articola un'etica "puritana" che fa sì che la scelta di atto attraverso la stessa metafora: Rastignac come bellezza e ambizione tradotte come denaro e potere (dote di Victorine). Tuttavia, la sua relazione con la sua metafora della creatura sarà vanificata: l'uomo cadrà dal suo creatore, sarà ineguale rispetto alle sue concezioni (o libero dalle sue intenzioni) e istituirà una distanza tra loro. Anche Goriot è tradito dalla sua creazione, e nel suo monologo sul letto di morte questo "genio della paternità" reinventa l'interdizione del matrimonio di Amleto: "Padri, dite all'Assemblea di fare una legge sul matrimonio! ... Niente più matrimoni!". Il matrimonio è maledetto perché distrugge il rapporto genetico verticale di padre e figlio, creatore e creatura, per sostituirlo con un rapporto sociale orizzontale che, come ampiamente dimostrato dal romanzo, è un contratto denaturato, un baratto, un commercio, una prostituzione istituzionalizzata. Nelle sue ultime dichiarazioni, Goriot ritorna a un'altra precedente organizzazione sociale primaria: "Protesto. La nazione perirà se i padri vengono calpestati. È chiaro. La società, il mondo accende la paternità ...". La società non perisce, si muove semplicemente sempre più nel caos. Obbedendo alla legge di disorganizzazione di Louis Lambert, soccombe alla secolarizzazione, alla stratificazione di classe, al commercialismo, al legalismo, alle contraddizioni della sottostruttura e della sovrastruttura: l'intera rete di relazioni che il romanzo ha cercato di esprimere con metafore. La complessità e la carica del piano di rappresentazione stesso - nella sua trama e nel suo movimento - compensano la natura sommaria dei segni che indica. Balzac è rozzo, e mai più di quando si sforza di essere raffinato (dove dà l'impressione di un elefante che danza in punta di piedi), ma non è semplicistico o semplice. La posizione e l'atteggiamento semplicisticamente melodrammatici sono infatti ripetutamente visti ironicamente, come quando il giudizio di Rastignac sul sequestro di Vautrin è che l'azione di una giustizia divina è giustapposta alla vera causa nella somministrazione di droghe da parte di MIle Michonneau. Quando Rastignac pone il suo enigma morale melodrammatico a Bianchon, la questione della morte del mandarino, la risposta immediata di Bianchon è rinfrescantemente cinica e deflazionistica: "Bah, sono all'altezza del mio trentatreesimo mandarino". Balzac non ci lascia ingannare dal gesto e dall'atteggiamento sublimi: il loro riferimento può essere egoista, sinistro o banale. Per Balzac la coscienza melodrammatica e le modalità di rappresentazione non significano una riduzione della complessità etica della realtà, ma una sua chiarificazione. Il dispositivo del "retour de personnages" è allo stesso modo complicante e chiarificante, creando un ricco intreccio di persone e destini in un modello leggibile. Il dispositivo è melodrammatico nella sua insistenza sul fatto che la coincidenza è il destino, che gli stessi benefattori e gli stessi cattivi tornano come in un incubo, che nel cercare l'Altro troviamo lo Stesso. Le trame di Balzac sono come quelle di Pixerècourt, nelle quali la realtà è sempre una macchinazione, una vera trama che collega ogni cosa in un cappio. Si potrebbe riflettere qui sul destino della fortuna di Gobseck, forse la più notevole della Comèdie Humaine, che unisce storie, persone e situazioni sociali diverse (appare in una dozzina di romanzi o racconti). Dal suo itinerario complesso emerge un chiaro modello simbolico nella realtà. La narrativa balzachiana tende a spostarsi verso momenti che chiariscono i segni che utilizza, momenti di confronto e spiegazione in cui la significazione coincide, momentaneamente, con la rappresentazione. Possono essere semplicemente istanti di nomination spettacolari, come quando Vautrin, alla fine di Splendeurs et misères, si presenta davanti al conte di Grandville, l'incarnazione della magistratura, per annunciare: "Signore, sono Jacques Collin e mi arrendo!”. Le scene possono avere la qualità della rivelazione. Un esempio è Vautrin al momento del suo arresto, quando la sua parrucca viene eliminata e la sua vera fisionomia diventa visibile: "tutti hanno visto il significato di Vautrin, interamente: il suo passato, il suo presente, il suo futuro, le sue dottrine implacabili, la sua religione di piacere egotistico, la regalità conferita dal cinismo delle sue idee, dei suoi atti e dalla forza di una costituzione pronta a tutto ". | significati latenti e mascherati sfondano la maschera della rappresentazione in un istante di espressionismo esagerato. Se ci siamo più volte riferiti al ruolo del gesto nel rendere presente il significato, è perché gli sforzi di Balzac nella rappresentazione culminano qui. L'intero di quel curioso testo appartenente alle analisi degli “Etudes analytiques”, la "Théorie de la dèmarche", offre una base "teorica" per la lettura del significato nel gesto. "Per me, da quel momento in poi, il Movimento includeva il Pensiero, l'azione più pura degli esseri umani; la Parola, traduzione dei loro pensieri; poi Andatura e Gesto, una realizzazione più o meno appassionata della Parola". Il linguaggio un po' tortuoso suggerisce un vocabolario non del tutto adeguato a descrivere la scoperta di Balzac di ciò che ora potremmo chiamare "la presentazione di sé nella vita di tutti i giorni" o addirittura "cinetica". Tutto, sottoposto allo sguardo interrogativo del narratore visionario, parla, rivela. Un altro tipo di esempio si presenta con l'arrivo di Anastasie sul letto di morte di suo padre, troppo tardi per chiedere perdono: “In questo momento, Goriot aprì gli occhi, ma solo a seguito di una convulsione. Il gesto che rivelò la speranza della contessa non fu meno orribile da vedere dell'occhio dell'uomo morente ". Il gesto è completamente non specificato, esiste solo attraverso la sua pesante carica di significato. Eppure il significato non poteva essere gestito se non apparentemente estrapolato dal gesto e realmente basato sul gesto, poiché non potrebbe essere articolato direttamente. Come forma di rappresentazione che si trova nella relazione di un trofeo con il sistema di parole e segni, il gesto è l’espressione più diretta della comunicazione, o il tentativo di comunicazione, con il mondo dietro. Il fatto che dovesse scegliere la modalità melodrammatica anche in questo modo, che dovesse rielaborare e sfruttare i suoi mezzi espressivi, suggerisce che sapeva di non poter fare a meno del melodramma. La problematica del significato come lo ha concepito Balzac, postula un mondo di rappresentazione e un mondo di significazione che non coincidono e non offrono necessariamente accesso l'uno all'altro. Lo sforzo di far sì che l'uno ceda all'altro appartiene a un'estetica ambiziosamente espressionista che si basa sull'acuirsi e sull'iperbole del melodramma. Possiamo infatti interpretare le affermazioni di Balzac sulla difficoltà di creare significato dalla realtà disorganizzata e appiattita come percezioni riguardanti la difficoltà stessa di scrivere un romanzo: il problema di mettere in moto l'azione e il motivo umani in una forma significativa, in modo che possano essere intelligibili. Il melodramma fa quindi parte del presupposto semiotico del romanzo per Balzac, parte di ciò che permette al "romanzo balzaciano" di nascere. Possiamo comprendere meglio questo romanzo quando percepiamo che le sue rappresentazioni immaginarie si riposano su un substrato teatrale necessario perché un certo tipo di significato non potrebbe essere generato senza di esso. È un romanzo dal quale la maggior parte conserva una serie di atteggiamenti e gesti sommari in grande sollievo, un'insistenza senza fiato sul drammatico potenziale semantico di tutte le nostre azioni. Le sue parole e le sue azioni sono concepite sulla scala di attori come Marie Dorval e Frèdèrick Lemaitre e confondono il riferimento a un contesto naturalistico. Un'ultima dimostrazione dell'impegno di Balzac con la sostanza del melodramma potrebbe essere trovata in una struttura ripetuta dei suoi racconti e romanzi. Non è mai stato molto osservato come la breve narrativa di Balzac ricorra costantemente al tradizionale dispositivo del racconto incorniciato. Il primo narratore può diventare egli stesso l'ascoltatore di un racconto (il racconto principale) collegato da un altro, per riapparire alla conclusione con il narratore del racconto. Così come nell'impresa teatrale di un Pixerècourt, c'è nel racconto di Balzac una coscienza di azione su un ascoltatore, di una vita colpita. Con Balzac, questo non è un moralismo semplicistico, ma piuttosto un riconoscimento che le finzioni sono, o dovrebbero essere, invocate con la sostanza etica della vita e dovrebbero assumere un bilancio morale sul lettore. "Considera questo: questa tragedia non è né una finzione né un romanzo. Tutto è vero, è così vero che chiunque può riconoscere i suoi elementi vicino a casa, forse nel suo cuore". Questa chiacchierata dall'inizio di Le Père Goriot ha molti echi in tutta la trama del discorso del narratore. Non dovremmo essere imbarazzati dal suo eccesso, ma considerarlo come un segno necessario che punta all'impresa melodrammatica, coinvolgendoci in una lettura melodrammatica del testo da seguire. Sainte- Beuve accusò Balzac di aver conquistato il suo pubblico attraverso le sue infermità segrete, come se avesse portato (come Freud avrebbe annunciato arrivando in America) una sorta di irresistibile piaga. È certo che questa è una letteratura che vuole agire su di noi, non nel modo predicativo, ma attraverso un’attiva sollecitazione del lettore a entrare nella tragedia colorata che si è sviluppata dietro le banalità dell'esistenza quotidiana. Sappiamo che Balzac è ossessionato dalla sensazione che la sua eccessiva creazione fosse quasi una sacrilega imitatio dei, un'impresa prometeica per la quale ci sarebbe sicuramente una punizione. Questo non avrebbe potuto essere il caso se non avesse creduto nell'importanza delle finzioni e i loro pericoli. La produzione di finzioni è diventata di per sé un'impresa pericolosa proprio perché significava lavorare nel dominio della scoperta, rivelazione, mettersi a nudo. Il lavoro doveva andare avanti: la scoperta, lo smascheramento, la pressione sulla realtà per rivelare i termini della sua tragedia, catturare la tragedia attraverso grandi gesti sommari, riorganizzare gli effetti in termini delle loro cause, strappare significato dal caos, proclamare un mondo abitato per significato.