Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

L'opera interminabile, Vincenzo Trione (riassunto), Sintesi del corso di Storia dell'arte contemporanea

Riassunto completo de L'opera interminabile del prof. Vincenzo Trione

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 26/06/2020

beatricemantelli
beatricemantelli 🇮🇹

4.6

(281)

15 documenti

1 / 44

Toggle sidebar
Discount

In offerta

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica L'opera interminabile, Vincenzo Trione (riassunto) e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'arte contemporanea solo su Docsity! L’opera interminabile - un museo senza mura Vincenzo Trione L’arte contemporanea ha rappresentato una profonda rivoluzione formale che si annuncia soprattutto con Picasso e poi va a avanti con le avanguardie. Il XX sec, finché si sono avuti i “movimenti”, ha avuto una sua linearità benché sia stato un secolo sconvolgente dal punto di vista formale che ha determinato una cesura radicale con quello che è successo prima. Nonostante questo il 900 è stato dominato da alcune grandi esperienze principali che sono i movimenti artistici: da un lato l’arte del XX secolo ha messo in crisi le caratteristiche formali tradizionali dell’arte e dall’altro o ha sentito il bisogno di trovare un modo “comune” di operare degli artisti ed è qua che fuoriesce il fenomeno centrale dei movimenti. La transavanguardia (anni 80) è stata l’ultima esperienza di gruppo (Emilio Mazzoli e Bonito Oliva maggiori esponenti), dopodiché i movimenti hanno iniziato a dissolversi, come se ogni artista fosse diventato una figura isolata che tende a mettersi poco in comune con gli altri. Questo scenario si è radicalizzato nel XXI secolo: lo studio dell’arte del XXI secolo è complicatissimo in quanto è molto difficile parlare del presente mentre il presente si sta facendo. 2 sono le domande si fondo del libro: 1.esiste una coerenza sottesa all’arte contemporanea? 2. come si guarda un’opera d’arte contemporanea? ormai sono pochissimi gli artisti contemporaneai che ragionano con le tecniche tradizionali di pittura e scultura. L’opera interminabile cerca di offrire una cartografia dell’arte del XXI secolo, ma una semplice cartografia avrebbe solamente fotografato una situazione caotica dell’arte senza aiutarne la lettura; non si vuole partire dunque da teorie astratte ma dare centralità all’opera in sé. Ogni capito dunque si basa su una sola opera e si cerca di guardare l’opera come una persona tentando di iscriverla nel percorso dell’artista. Un opera di arte contemporanea inoltre ha bisogno della sua genealogia per essere capita; conoscere i suoi riferimenti per capirne il senso profondo; il fatto è che spesso nemmeno l’artista è completamente consapevole dell’origine della sua opera; per questo un’opera di grande importanza non smette mai di essere letta e se la si sa leggere bene si possono far emergere riferimenti che nemmeno l’artista aveva compreso. Nell’op interminabile si incontrano opere apparentemente molto diverse; si trovano opere di artisti visivi, musicisti, set designer, scrittori: tutte figure lontane tra di loro; la grande sfida del libro è trovare punti di congiuntura tra le varie opere. Si cerca di costruire un museo senza pareti (e dunque immaginario); composto da opere pensate specificatamente per mi luogo e quindi intrasportabili in altri, oppure opere dalla vita molto breve; il tempo di essere installate e poi mai riallestite. Uno dei punti fondamentali del libro è fare luce su opere che portano all’interno di uno stesso lavoro esperienze di tipo di diverse (cosa differente dal XX secolo quando gli artisti facevano esperienze diverse ma sempre divise tra loro) facendo saltare completamente il confine tra i diversi linguaggi. KIEFER ANSELM, I SETTE PALAZZI CELESTI, 2004-2015 - BARJAC Il luogo di origine di questa complessa installazione è Barjac, sud della Francia, dove Kiefer si è stabilito nel ’92 è ha installato il suo spazio di lavoro. Qui ha trovato gran parte dei materiali utilizzati per creare questo monumentale altare laico, un autoritratto, un’opera mai finita e continuamente modificata composta da instabili container posti gli uni sugli altri per oltre 20 m e sormontati da giganteschi libri di piombo. - MILANO, HANGAR BICOCCA Dal 2004 i Sette Palazzi Celesti sono sopitati all’Hangar Bicocca a Milano. Essi figurano un paesaggio triste, in bianco e nero; ritratto di una bellezza finita in desolazione. il titolo è ispirato ai palazzi descritti nell’Antico Testamento ebraico Sefer Hekhalot nel quale si racconta il cammino compito da colui che vuole avvicinarsi a Dio. 1. Sefiroth: La prima torre è la più bassa (14 m), è sormontata da una pila di 7 libri ricoperti in piombo affiancati da neon recanti i 10 nomi (ebraici) delle Sefiroth che nella Cabala rappresentano le espressioni, virtù, strumenti di Dio. 2. Melancholia melancholia: Sormontata da un poliedro ripreso dall’omonima incisione del 1514 di Dürer rappresentante l’allegoria della figura contemplativa dell’artista. Alla base le “stelle cadenti”: lastre di vetro e strisce di carta numerate con la classificazione dei corpi celesti usata dalla NASA. 3. Ararat: Sulla sommità un modellino dell’Arca di Noè, simbolo di salvezza ma anche di guerra e distruzione. Pagina di 1 44 4. Linee di campo magnetiche: Torre più alta (18m), percorsa interamente da una pellicola di piombo, materiale che non può essere attraversato dalle radiazioni luminose e non permette la riproduzione di immagini; allude al tentativo nazista di cancellare gli ebrei e all’impeto iconoclasta (che torna ciclicamente) della società occidentale. Suggerisce inoltre l’idea cara a Kiefer che “ogni opera d’arte cancella la precedente”. 5/6. JH&WH: Due torri con alla base meteoriti numerati in piombo fuso. Evidente riferimento alla Cabala nella quale si parla dei cocci dei vasi nei quali Dio infuse la vita generando i popoli e la diaspora. Complementari, accostate da due scritte al neon “JH” e “WH”: formano il nome di Dio in ebraico. 7. La torre dei quadri cadenti: Intorno cornici di ferro con lastre di vetro infrante, prive di icone; di nuovo tema dell’immagine mancante. Nel 2015 l’opera è stata arricchita con 5 tele (2009-13): le opere di Kiefer, come la vita che non è mai lineare, non sono mai terminate, persino le opere di collezioni (pubbliche o private) si modificano tramite processi chimici applicati da K alle stesse. Le tele, dai toni grigi e bruni, sembrano difendere le torri: 1. Japuir (2009): scenario notturni indiano dominato da una piramide capovolta che rappresenta il vano tentativo dell’uomo ad avvicinarsi al divino 2. Cette obscure clartè qui tombe des étoiles- Questo oscuro chiarore che cade dalle stelle (2011): pianura desertica punteggiata da semi di girasole. 3/4. Alchemie - dittico (2012): distesa di terra arida mossa da pioggia e divisa in due e collegata da una bilancia; su un piatto sale, sull’altro semi di girasole: rinvia al gioco tra sterilità e fertilità 5. Die deutsche Heilslinie (2012-13): riflessione sulla storia della salvezza tedesca dall’illuminismo al marxismo. All’interno della traiettoria di un arcobaleno (ponte terra-cielo) troviamo i nomi di filosofi tedeschi che hanno sostenuto una concezione leaderistica forte della politica: si può giungere alla salvezza solo riconoscendo l’identità individuale. Alla base un uomo solitario osserva il paesaggio. I quadri e l’installazione sono un palinsesto di differenze: architettura “superomistica”, natura sovrana. -CELAN, PREMIO BÜCHNER, 1960 Uno dei poeti che più hanno ispirato Kiefer è Paul Celan che in occasione del conferimento del premio Büchner aveva parlato della propria idea di poesia: è tensione verso l’altro, colloquio tra trascendente e terrestre, attraversa territori differenti li raccorda in un’unità possibile. Queste riflessioni si traspongono nell’opera di Kiefer che pensa le sue opere come spazi di dialogo con l’altrove: rinvii culturali non del tutto consapevoli e poco manifesti. Le sue opere sono “meridiani” tra mondi non continui che mettono in contatto elementi diversi e antitetici. MERIDIANO I: TRA POLITICA E MITO Kiefer non crea mai solo per creare (respinge il concetto di art pour l’art): per creare deve partire da uno choc: accade questo nei 7 palazzi celesti che raccontano di uno degli avvenimenti più decisivi della storia contemporanea: 11 settembre 2001. In quell’attimo troviamo la fusione tra realtà e finzione: lo spettacolo si compie, nel reale, in maniera atroce, clamorosa, solenne, ma il tutto ha qualcosa di sublime: mescolanza di sgomento e piacere. Kiefer, sempre in ascolto, viene provocato da quell’avvenimento. In segreto è animato da sincera sensibilità politica per questo l’arte per lui deve partire da un’urgenza testimoniale e si discosta così da ogni forma di intrattenimento. L’artista deve farsi coscienza critica del presente e avere il coraggio di evocare il passato; non ha mai eluso il confronto con alcune delle tematiche più dolorose della seconda metà del ‘900 (nasce nel ’45) e ha sempre sentito il bisogno di entrare in contatto con figure/episodi del passato e presente. “Mi interessa la mia vita. Pittura e scultura sono strumenti per cogliere il senso di questo mondo. Difficile dire in che misura la nostra era si rifletta nella mia ricerca, perché mi muovo sempre nell’oscurità dell’istante. So solo una cosa: l’arte è una necessità. Senza l’arte non c’è nulla. Quando tutto sarà finito, l’arte continuerà”. Pagina di 2 44 deposita ai suoi piedi, fino a una bobina cinematografica e una cinepresa sempre in piombo: sembra anticipare l’opera del 2012 Bavel Balal Mabul: vecchia macchina tipografica da cui escono pellicole di piombi impazzite e senza immagini. I 7 pc forse sono anche un esercizio cinematografico che rivela l’interesse di K verso la più evoluta forma di scrittura per immagini: il cinema. Egli sembra guardare soprattutto alla tradizione della science fiction 900esca; con questa installazione ci consegna un’atmosfera da the day after, episodi di una fine che non finisce mai. L’apocalisse presentata non è la fine ma una tappa necessaria che non porta verso un’ulteriorità, ma che si è insediata nella nostra quotidianità. ESSERE CONTEMPORANEI Con quest’opera K ci invita inoltre a riflettere su cosa voglia dire “essere contemporanei”: non significa pensare al presente come il vertice di un’unica linea, ma come una geografia complessa, estesa e unitaria che assimila in sé antinomie. Essere contemporanei (questo viene suggerito da Benjamin) vuol dire rompere le continuità mescolando ciò che è stato e ciò che è. Bisogna unire il bisogno di essere moderni con una segreta spinta anacronistica. Non coincidere con il proprio contesto ma metterlo in discussione, aderire alle emergenze della quotidianità e insieme conservare margini di distanza dalle stesse. Scrutare quello che si nasconde dietro l’evidenza. Guardare analiticamente la realtà per mettere in relazione il nostro tempo con altri tempi. WILLIAM KENTRIDGE, THE NOSE, 2005-10 DANTE, PURGATORIO Partiamo ad analizzare l’opera di Kentridge da un suo tributo a Dante; egli nel 2016 ha realizzato un manifesto con tutti i canti della Divina Commedia, sposando nel Purgatorio la scena della traghettazione delle anime del terzo canto dell’inferno e assemblando ritagli di carta nera ha fatto emergere i contorni della barca di Caronte; forse all’usione al destino dei migranti contemporanei. GOGOL’, “IL NASO” Progetto più ambizioso però nasce dalla scoperta da parte di K dell’opera letteraria “Il naso” di Gogol’, classico dell’umorismo moderno, nel quale la quotidianità viene avvolta dall’assurdo; una mattina l’assessore di Collegio del Caucaso, Kovalëv, si sveglia senza il naso che prende vita propria e se ne va in giro in uniforme da alto ufficiale, verrà anche insignito della carica di Consigliere di Stato, tenterà anche una fuga verso Riga per non dover ritornare in “quel terribile spazio vuoto in mezzo alla faccia”. Dopo diverse peripezie comiche tornerà al suo posto. K rimase colpito dal senso dell’illogico e dal misto tra autoironia e autoriflessione, dichiarando di ritrovarsi molto vicino a quel tipo di sensibilità. Il Direttore del Metropolitan Opera di NY (Peter Gelb) tempo dopo gli propose di realizzare un spettacolo; K accettò e dopo aver riflettuto propose di riadattare “Il naso” di Dmitrij Šostakovič. ŠOSTAKOVIČ, “IL NASO” Šostakovič propose il suo “Il naso” per la prima volta nel 1930 a San Pietroburgo mescolando avanguardia e significati politici; riprendendo Gogol’ a un secolo di distanza Svuole dimostrare come la situazione politica della Russa non sia così cambiata, anzi sia peggiorata, e per mettere l’accento su ciò rende il suo “Il naso” ancora più deformante di quello di G; lo rende una spietata satira alla burocrazia sovietica che riduce gli uomini a non-uomini, ma dopo 14 repliche viene sospesa dalla censura; rientrerà sulle scene solo nel 1974. L’OFFICINA DEI MEDIA 2005-10: Questo è il lasso di tempo durante il quale K analizza l’opera di Gogol’ passando per tutte le forme artistiche possibili. 2006: K inizia a produrre proto animazioni e incisioni che raffigurano le vicende del naso accompagnate da commenti ironici e provocatori dello stesso artista; in alcune incisioni il naso incontra donne famose dell’arte (com la bevitrice d’assenzio e la bagnate di Degas, L’Olympia di Manet, l’Odalisca di Picasso) 2007: pubblica un libro a tiratura limitata “Everyone their own projector” nel quale le pagine sono costellate di collage di enciclopedie, libri, testi antichi della collezione di K e vi sovrappone disegni rapidi nei quali spesso compare Stalin e tanti schizzi di nasi in diverse pose ispirati a quelli che si trovano nei dipinti die più importanti artisti italiani (Simone Martini, Antonello da Messina, Paolo Uccello, Mantegna, Andrea de Castagno, Lorenzo Lotto). Nello stesso anno approfondisce la sua conoscenza dell’opera di Gogol’ tramite la scultura; inizialmente lavora con cera e cartone che può maneggiare da solo, poi si affida a un artigiano Pagina di 5 44 per realizzare delle sculture in bronzo. L’intento è quello di dare fisicità a quello che prima aveva abbozzato con parole, collage, disegni. 2008: presenta alla Biennale di Sydney una videoinstallaizone su 8 schermi dal titolo I Am Not Here, The Horse Is Not Mine nella quale combina la narrazione con proiezioni video e tracce musicali. 2009: nell’ultima tappa gli arazzi rappresentati la storia vengono esporti nella mostra Strade della Città organizzata al Museo di Capodimonte a Napoli. In questo lavoro innanzitutto K riflette sul “doppio”; sfida l’immagine di sé filmandosi nel suo studio x diversi documentari e dichiarando che, in questo modo, il confine fra il lavoro e la presentazione dello stesso si fa labile. Nella videoinstallaizone I am not here, the horse is not mine svela la genesi di The Nose proiettando video che hanno come protagonista il naso e sullo sfondo immagini della Russia del periodo di Šostakovič in bilico tra Rivoluzione e terrore che evoca secondo i modi del costruttivismo. NY, METROPOLITAN OPERA Dunque per lo studio dell’opera teatrale K si serve di media differenti, crea un’opera totale. The Nose con regia di K e direzione d’orchestra di Gergiev debutta al Met Opera il 5 marzo 2010; 4 repliche e poi il tour in Eu. La scena realizzata è costruttivista, composta di scale, passerelle, palchetti sopraelevati e sullo sfondo viene proiettato un film composto dal montaggio di materiali diversi come disegni d’animazione, mappe, materiali d’archivio ecc. K parte da Šostakovič e espone una Russia appena uscita dalla Rivoluzione d’Ottobre quando molti artisti sono ancora illusi della possibilità di una palingenesi romantica e lo fa evocando proprio le avanguardie artistiche che in questo periodo invadono la Russia (costruttivismo, suprematismo, cubofuturismo). Inoltre egli si rifiuta di usare il montaggio invisibile proprio del cinema e mostra il teatro all’opera facendo uso di metodi rudimentali e manuali e sceglie di non nascondere il naso dell’interprete di Kovalëv, dichiara che dopo aver provato a nasconderlo si sono resi conto che fosse mostruoso e abbiano preferito che egli immaginasse di non averlo; in alcune scene infatti si copre il volto cin un fazzoletto, rendendo l’opera accorpa più assurda. Fondamentale è anche il video che ha la funzione a volte semplicemente di quinta, altre volte di integrazione del racconto o come ampliamento della dimensione del racconto verso dimensioni narrative ulteriori. ANTI-ENTROPIA K ha spiegato la sua opera d’arte totale nelle lezioni tenute ad Harvard nel 2014, spiegazioni che poi sono confluite nel libro Sei lezioni di disegno; spiegando la sua opera K riprende una pratica tipica degli artisti della prima metà del 900, quella di accompagnare all’opera artistica una profonda riflessione teorica, pratica che più o meno dalla metà degli anni 60 è andata persa, mantenuta da pochi artisti come Kiefer (L’arte sopravvivrà alle sue rovine) e Kentridge. In quest’opera egli sottolinea spesso l’importanza del collage in quanto modo x tenere insieme distruzione e ricostruzione; per K infatti fare arte è sfidare i modi dei processi entropici: quei processi che partendo da un pensiero coerentemente costruito lo disintegrano. K infatti ammette l’illogicità dei passaggi che mette in scena, egli non li fa mai succedere con un senso logico ma intromette elementi di disturbo, sempre facendo attenzione, però, a non ricadere nel caos. FILOSOFIA DEL COLLAGE Il collage x K non è solo un processo du taglio e incollatura, ma è un principio estetico che permette di unire insieme significati lontanissimi tra di loro, dando vita a collisioni semantiche e effetti dinamici. Il collage innanzitutto è connotato da 2 atti fondamentali: la scomposizione e la ricomposizione. Prima l’artista fa vedere la realtà in modo diverso decostruendo la linearità della rappresentazione classica, poi riassemola le parti con spazialità e temporalità distanti, riportando episodi diversi all’interno di un discorso unitario. Il collage, dunque, non è riproduzione ma ricostruzione ed è un processo dinamico e non statico. Grazie al collage si possono far emergere da qualcosa di noto significati imprevisti. RITORNALE AL COSTRUTTIVISMO Anche la scenografia stessa di The Nose è un collage; essa non lascia spazio al vuoto ed è costellata da disegni, videoanimazioni, film d’archivio, giornali russi degli anni 30 ecc. Ed essa si configura come collage tra media diversi che si ispira al costruttivismo russo il quale sentiva il bisogno di andare oltre la pittura tradizionale, oltre la tela, per creare un’arte informativa, che celebrasse il presente. Pagina di 6 44 INTERMEDIA In The Nose K realizza un progetto facendo confluire insieme media diversi; da un lato vuole estrarre da essi possibilità nuove, dall’altro vuole creare tra di loro legami. In questo senso concepisce l’arte in modo dinamico e non statico, creando un sistema che ha la possibilità di crescere e riorganizzarsi e allineano del quale tante voci diverse sono in dialogo, ma non si fondono mai. GENEALOGIE: LETTERATURA Abbiamo detto che K parte da diverse pratiche artistiche, una di questa è la letteratura. Esplicito il riferimento all’opera Il Naso di Gogol’, ma non si limita a questo, si ricollega alla tradizione degli scrittori umoristici moderni di cui il racconto di G è passaggio decisivo. Soprattutto è influenzato dalla vicenda del Tristan Shandy di Sterne nella quale si incontra un personaggio con un naso tanto grande da suscitare sentimenti contrastanti nei suoi concittadini che si dividono in “nasiani” e “antinasiani”: i primi credono che quel naso sia naturale, i secondi no. Da qui prende anche il gusto per le digressioni, le variazioni e il ritmo mobile e continuamente interrotto. Altro libro centrale nell’opera di K è il Don Chisciotte di Cervantes. In ogni caso i modi letterari vengono si ripresi, ma sono poi resi irriconoscibili, dimenticati. K dice: “nel mio lavoro voglio sempre tutelare la struttura narrativa. La storia, però, non è data in partenza: ma si fa strada facendo”, “quello che mi interessa del narrare è che implica una trasformazione. Le circostanze modificano ogni pianificazione”. GENEALOGIE: TEATRO I riferimenti letterari poi si riversano nel teatro che K concepisce come luogo ibrido aperto a contaminazioni, sulla scia di quello che hanno fatto alcuni protagonisti delle avanguardie primonovecentesche. Vediamo ad esempio il Bauhaus che si configura come ricerca atta a superare l’idea di opera come autosufficiente e in sé conclusa, usando tecniche come la soppressione della divisione fra scena e platea, lo sconfinamento dell’azione in mezzo al pubblico ecc. È vero infatti che quasi nessun altro campo artistico è polivalente quanto il teatro che comprende tanti elementi che favoriscono la creazione di un’opera d’arte totale. GENEALOGIE: CINEMA Per comprendere l’opera di K sono fondamentali anche i rapporti con alcuni dei padri del cinema moderno: - Méliès: è il padre del cinema “a quadri” o “a stazioni” nel quale ogni scena si conclude in sé stessa e ha un senso isolata dalle altre e ogni episodio viene accostato a quello successivo. - Vertov: rende la macchina da presa vero e proprio personaggio; soggetto e insieme oggetto di visione in modo da estendere l’esperienza sensoriale umana. Secondo V il reale non va accolto semplicemente ma rielaborato e il cinema non è solo documentazione ma organizzazione di motivi. - Ejzenštejn: egli teorizza il montaggio delle attrazioni secondo il quale il significato delle singole immagini è dato dalla loro concatenazione in sequenza che crea nello spettatore un choc percettivo. L’”attrazione” per lui è momento aggressivo che esercita un effetto sensoriale e psicologico sullo spettatore. Il suo fine è proprio quello di agire sugli spettatori tramite stimoli attuando una “psicoterapia per mezzo di procedimenti spettacolari”. K facendo rifermento a queste esperienze sembra il racconto eliminando ogni coerenza spazio-temporale e narrativa; isola i singoli momenti trattandoli come elementi a sé stanti e facendo questo tenta di agire sulle emozioni degli spettatori. EXCURSUS SUL DISEGNO Il disegno per K è punto di partenza di ogni sua analisi; è un metodo per trascrivere rapidamente le intuizioni e per conoscere. Il disegnatore infatti va oltre i modi consueti del vedere e mette in dialogo la dimensione evidente della realtà con quella segreta, segue un automatismo grazie al quel fa emergere l’inconscio affidandosi a gesti rapidi e istintivi, Disegnando di analizzano e studiano le strutture dei fenomeni, le si vedono davvero. E inoltre è un modo per trattenere quello che abbiamo visto, che c’è stato e ora non c’è più. K si affida inizialmente al disegno, poi fotografa e pone le foto in piani sequenza senza eliminare le cancellature e riscritture; facendo così unisce tecnologia e fisicità introducendo il moto nella stasi. “Il disegno è un modo di pensare attraverso i muscoli della mano piuttosto che un semplice modo di rappresentare”. Egli parla anche del suo amore per in non-finito e la molteplicità delle prospettive; solo un’immagine imperfetta ci può dire la verità sulla natura dell’artista. Fare arte dunque significa dare spazio all’incertezza e far emerge dall’immagine dubbi, sofferenze, desideri. L’artista concepisce dunque delle composizioni che aspirano ad essere immediate e al contempo sempre in progress. Pagina di 7 44 TRA LETTERATURA E VISIONARIETÀ P non vuole cancellare le differenze tra i vari linguaggi, ma elaborare percorsi dinamici che li attraversino e considerare il testo scritto come un palinsesto che egli può rispettare o radicalmente cambiare; talvolta può sottrarre eliminando parti difficili da rendere x immagini o aggiungere presenze nuove. P comunque si accosta al DC con prudenza consapevole che un grande romanzo non si faccia interpretare un volta x tutte lasciandosi sempre aperto a diverse letture e configura la sua opera come omaggio e come “ironia” del DC che a sua volta faceva ironia delle opere cavalleresche. Compie una lettura del tutto personale della fonte evitando ogni citazionismo e offrendo una rilettura rispettosa ma anche arbitraria; lo considera una cornice all’interno della quale si muove con libertà. Prende episodi conosciuti da tutti e li cita liberamente tenendo a mente che l’arte non deve mai prendere vie razionali, così deostruisce un racconto già in sé mobile; crea in questo modo un mondo illusionistico in cui fonde simboli (il cavallo, il mulino, gli scudi, i cavalieri ecc) con dati fantastici e pezzi del suo universo affettivo e poetico. Si sottrae da una narrazione lineare e combina insieme tessere diverse prediligendo salti logici, anacronismi e discontinuità, forse mimando l’andamento illogico e non lineare, libero dei sogni. Questo gusto per le incongruenze comunque già emergeva nelle opere degli anni 70-80 dove realizzava costruzioni impastare con la materia del colore facendovi confluire immagini concrete, imprendibili, consce e inconsce, riconoscibili ed ermetiche. Nella sua rilettura del DC cerca di porsi in una via di mezzo tra reale e onirico e lo fa affidandosi all’immaginazione che “scompone tutto e con i materiali raccolti e disposti secondo regole di cui non si può trovare l’origine se non nel profondo dell’anima produce la sensazione del nuovo” (Baudelaire). Insomma filtra quelle che sono le impressioni e poi le ricombina cogliendo corrispondenze tra il conosciuto e l’ignoto. Per lui inventare è un modo x vedere intensamente e x evadere dalla prigione della realtà presente e leggerla in modo poetico; l’artista non può rappresentare solo ciò che vede ,a deve dare voce alle cose effimere che voglio un’altra vita; deve squarciare il velo delle apparenze e fondere elementi noti con quelli che risiedono nel profondo. P pensa che fare arte significhi prima di tutto questo; dare voce alle tendenze interiori e provare ad addomesticarle; esito di questa filosofia è Quijote fatto di allucinazioni ma anche ancorato alla realtà e alla storia personale di P. TRA ARCHETIPI E PRESENTE P cerca di porsi in un luogo altro senza tempo e dai confini incerti dove possa scorgere le ombre dell’interiorità e lontano dai modelli razionali guardare nel buio: egli è insofferente alle regole del sistema dell’arte. Comunque gli archetipi di cui parla P non sono rappresentazioni dell’interiorità del singolo ma sono principi a priori presenti sempre e ovunque; nuclei originari dell’umanità depositati nell’inconscio collettivo; radunano in sé la pluralità delle diverse interiorità e si sottraggono a ogni definizione; solo gli artisti hanno la capacità di interpretare questi archetipi riuscendo a leggere i simboli. P viene molto guidato dalle ricerche dell’antropologo Claude Lévi-Strauss e soprattutto dalla teoria del pensiero selvaggio: modalità del pensiero umano propria di tutte le culture, che posta a concentrasi sui dati sensibili e a leggerli come simboli, ruolo centrale di tutto ciò è svolto dalla magia che secondo l’antropologi andremo confrontata con la scienza in quanto modalità conoscitiva che seppur abbia esiti diversissimi ha il medesimo procedimento di operazioni mentali in quanto entrambe sfruttano il mondo reale. Comunque siamo lontani dagli anacronismi; P aspira a creare una forma con valenza universale, senza tempo nella quale xo convergano varie e diverse suggestioni; in questo lavoro in particolare arriva al risultato di un tempo contaminato dalle voci del presente. Innanzitutto lo contamina con dati autobiografici ambientandolo in un Sud Italia arcaico e rurale, inoltre si sottrae alle regole dei film storici e sostituisce i mulini a vento con pale eoliche e fa spostare i personaggi non a cavallo ma con camion e moto Ape, riprende strutture razionaliste e un edificio dal quale cadono libri infuocati in memoria di coloro che si erano gettati dalle torri gemelle l’11/09. Inoltre inserisce diverse citazioni artistiche: richiama a celebri opere delle neo avanguardie, crea corrispondenze con le ambientazioni sospese di De Chirico e Hopper, cita frammenti della storia del cinema. Dimostra così che il passato non è solo mio che precede il presente ma ne è parte ed è parte del futuro: la contemporaneità non è solo un’epoca che viene tra antichità e modernità ma indica la competenza di tempi diversi in ogni fase della storia. TRA AUTONOMIA ED ETERONOMIA Altra oscillazione dell’opera di P è quella tra autonomia e eteronomia dell’arte; innanzitutto P dà centralità alla pittura e alla scultura come conoscenze tecniche e lavoro artigianale; x P il lavoro dell’artista deve svolgersi lontano dall’art system e modularsi nel silenzio dello studio senza voci disturbanti in sottofondo: “Il compito dell’artista è provocare rumore e poi tornare nel silenzio”. È sempre rimasto fedele a questa filosofia ma sente i generi artistici tradizionali come una prigione dalla quale evadere: concepisce da un lato la pittura come una forma di disegno colorato e la scultura come una disegno plastico, dall’altro avverte il bisogno di deostruire le regole, ancora diversamente vuole sconfinare in altri linguaggi e queste oscillazioni Pagina di 10 44 sono al centro di Quijote nel quale ci imbattiamo in quadri, installazioni, sculture fotografate con cura, in alcune scene però questa riconoscibilità viene aggredita: “io non sono mai stato interessato all’opera chiusa nel rettangolo della tela. Lo sconfinamento è una dimensione che mi appartiene da sempre”, “Pittura e scultura devono aprirsi, dimostrando una sincera disponibilità nei confronti di esperienze diverse come architettura, musica, teatro, cinema”. IL CINEMA, L’APPRODO È proprio nel cinema che confluiscono le varie esperienze, si fa sintesi di pratiche non contigue; x P ogni film si fonda sulla collaborazione tra diversi linguaggi e riunisce in un unicum organico arti diverse. Ma comunque per lui esso non è solo somma, non dissolve pittura scultura e installazione fino a renderle irriconoscibili e ma ne conserva l’identità. Spesso poi le opere che vediamo nei suoi film sono state create ad hoc e dichiara che alcuni film gli hanno dato la possibilità di creare opere che altrimenti non avrebbe mai realizzato. Per lui inoltre queste opere che entrano nel film sono veri e propri attori, che non si fanno guardare impassibili ma ci osservano. Per P dunque il cinema è un modo diverso di dipingere: “Un film non si sostituisce alla pittura, è un’altra cosa, ha un inizio e una fine. Nello stesso tempo però se guardi nel rettangolo della macchina da presa puoi immaginare che quello sia lo spazio della tela”. In sostanza egli reinventa il cinema portandolo in luoghi dove non era mai stato. È anche molto attento alla fotografia e usa luce, suono e movimento come materie plastiche da modellare: concepisce le scene come tableaux vivants disponendo con cura ogni elemento e costruendo plasticamente personaggi e ambienti. Poi asseconda e non evita gli imprevisti, addomestica la casualità evitando di sottostare a campioni definiti trattando la sceneggiatura come un tessuto a maglie larghe dentro il quale possono entrare sorprese varie. NANNI BALESTRINI, Tristanoil, 1965-2012 DOCUMENTA Nel 2012 alla Documenta 13 di Kassel Balestrini, poeta e scrittore, espone un piccolo colossale cinematografico: Tristanoil in un luogo nescosto. L’opera è fondamenta per capire la parabola di uno tra gli ultimi interpreti dell’avanguardismo novecentesco. TRA AVANGUARDIA E SPERIMENTALISMO B riprende dell’avanguardia alcune istanze fondamentali: il gusto per la provocazione, la volontà du fare tabula rasa del passato, l’amore per il Nuovo in senso assoluto e non inteso come novità delle tendenze, l’ermetismo, il rivoluzionarismo, il non-finito. B riprende questa tradizione fin dalla gioventù assumendosi una sfida radicale:ridefinire gli strumenti linguistici e elaborare altri paradigmi. B pensa a ogni suo lavoro come esito di un progetto estetico più ampio dando centralità alla fase ideativa e meno a quella della creazione concreta. APOCALITTICO E INTEGRATO B con il presente ha un rapporto complicato; da un lato vi si allontana criticandolo profondamente, dall’altro utilizza i mezzi tecnologici e mediali da questo messi a disposizione. Crea allo stesso tempo prodotti difficili de fruire e cerca di immetterli nel circolo del consumo artistico di successo; queste sono le stesse contraddizioni che si possono trovare nelle opere di molti protagonisti dell’avanguardia del XX secolo. BALESTRINI L’INCENDIARIO Nei suoi libri B deostruisce il sistema comunicativo imposto dalla società capitalistica e sfida l’inerzia del linguaggio comune proponendosi di restituire una nuova energia e significato alla lingua, liberandola dalla sua funzione di mediatore tra significato e significante e trattandola come un soggetto che rimanda solo a se stesso. “Il linguaggio inteso come fatto verbale, impiegato cioè in modo non-strumentale, ma assunto nella sua totalità, sfuggendo all’accidentalità che lo fa di volta in volta riproduttore di immagini ottiche, narratore di eventi, somministratore di concetti”. Per B ogni parola è un frammento che attende di essere accostato ad altri per assumere significati barcollanti che possono muoversi verso direzioni inaspettate e hanno come meta ultima l’entropia, ovvero la messa un crisi del messaggio. B rifiuta l’ornamentale e contraddice ciò che è evidente, rompe l’ordine razionale del linguaggio poetico tradizionale, si porta oltre le regole grammaticali e sopprime ogni significato “prevedibile”. Frantuma e rimonta creando frasi contorte e immagini sconnesse: Vuole distruggere i contenuti x arrivare a un altro tipo di significato rispetto a quello della normale comunicazione verbale, un significato più profondo e irrazionale che genere emozioni mentali come fatto pittura e scultura. B preleva Pagina di 11 44 materiali da fonti eterogenee: il parlato, i giornali, discorsi politici, volantini, testi scientifici ecc: frantumi dotati di autonomia vengono collegati tra loro, cercando di rendere la poesia una pratica critica della poesia stessa. Questa volontà di contestare si manifesta in modi diversi: già dalla meta degli anni 70 cerca di violare consuetudini consolidate e vuole scollarsi dalla “gabbia” del libro rilegato esplorando i territori dell’auditivo e del visivo: afferma che x continuare ad avere un valore la poesia debe invadere lo spazio e il tempo e offrirsi in mill maniere diverse. BALESTRINI L’INTEGRATO Il progetto di B sembra però ambiguo: si allontana dalla mentalità neocapitalistica ma al contempo vi è legato e persino subalterno; denuncia la società del suo tempo ma ritiene anche che integrarvisi sia l’uni modo per rivoltarsi: “Una poesia come opposizione al dogma e al conformismo che minaccia il nostro cammino. Oggi il muro contro cui scagliamo le nostre opere rifiuta l’urto, molle si schiude senza resistere ai colpi. È perciò necessario essere più furbi e avere presente che una diretta violenza è del tutto inefficace in un’età tappezzata di viscide sabbie mobili”. Bisogna dunque dialogare con la società dei media e affrontare direttamente la crisi di quella umanistica, abbandonare il conflitto in favore della mimesi. B dunque decide si integrarsi con la società industriale sfruttandone le opportunità. La sua sfida è giungere a una sintesi tra poesia e scienza, x farlo bisogna togliere alla tecnologia la sua neutralità e la poesia potrà invece acquisire virtù non umanistiche come funzionalità ed efficienza: questo determina un parziale declino della spiritualità. POESIA “EX MACHINA” Appena a 20 anni B rimane affascinato dalla musica elettronica e pensa che lui allo stesso modo avrebbe potuto combinare le parole; utilizza x uno dei primi esercizi il calcolatore elettronico di una banca e usando poche regole elementari scrive poesie impossibili inserendo frasi tratte da giornali ottenendo rime e strofe. Negli anni questa tecnica si sviluppa, inizia a usare un Ibm 7070 attratto dalla possibilità di usare l’intelligenza artificiale. Queste sono le promesse della poesia “ex machina” che nel 61 porteranno a esperimenti come Tape Mark I e II nei quali integra frammenti comunicativi attuali con un’elaborazione impersonale “a macchina” affidandosi proprio all’ibm: quello che voleva era usare uno strumento capace di effettuare combinazioni velocemente e in maniera casuale. TRISTANO: IL ROMANZO Queste esperienze portano al romanza “Tristano” inviato alla metà degli anni 60. 1965: viene pubblicato l’anti-romanzo Tristano: protagonista è una coppia, entrambi si chiamano “C.” e in realtà sono un unico personaggio senza sesso, volto, che ha tutte le età, tutti i sessi, tutti i volti possibili; esso non è soggetto ma forma vuota capace di riempirsi di ogni contenuto. C è sottoposto a progressive metamorfosi e nel frattempo compie azioni quasi casuali e indifferenti, spesso si sente la presenza del silenzio, prevale la monotonia di una trama senza sviluppo immersa in una città senza nome ( C ) dai contorni indefiniti. STORIE DI NOMI: RITORNO ALLE “CHANSONS DE GESTE” Il romanzo di B sembra un ritorno alle origini della letteratura e al contempo esito delle più avanzate seconde avanguardie. Per definire la composizione si affida a una griglia rigida ripresa dalle Chansons de gente medievali: 10 capitoli ognuno di 10 paragrafi da 34 righe. Egli è affascinato dalla letteratura medievale anche perché in questa prevale un senso dell’avventura e del mistero, si combatte con coraggio per amore, per il re, per la gloria e la fede. Il motore di questa letteratura è l’amore nel quale convertiti sogni, sentimenti raffinati e ideali morali; Tristano alla fine non è un vero personaggio ma l’incarnazione di questi ideali. GENEALOGIE T poi è anche confluenza delle ricerche di diversi esponenti delle neo avanguardie artistiche e letterarie, in particolare in arte vediamo l’influenza della scultura dada di Hans Arp volta a sgretolare il senso comune e poi i collage di Schwitters: rompimenti di immagini e parole. In Tristano B elimina ogni personalità e ricorre a una scrittura fredda e impersonale mettendo in discussione le nozioni di tempo, luogo e personaggio. Il racconto diventa illeggibile, non ha contenuto né significato, celebra l’impossibilità comunicativa e una ripetitività ossessiva. “Il romanzo non è più conoscitivo e ne farebbe un uso improprio chi volesse con esso toccare la realtà. È un fatto artificiale”. Pagina di 12 44 questa è costellata da specchi neri che riflettono le immagini dei visitatori in maniera opaca, rendendoli intangibili come fantasmi, essi inoltre trasmettono voci amplificate da altoparlanti che sussurrano frasi banali, quotidiane, che avrebbero potuto pronunciare le vittime della strage. Dal soffitto cala una pioggia di 81 lampadine, una per ogni vittima, che pulsano al ritmo di un respiro. 10 contenitori neri di diverse grandezze racchiudono gli effetti personali dei passeggeri del volo, essi sono sigillati in segno di rispetto; prima di essere qui raccolti essi però sono stati fotografati e schedati in un opuscolo, Lista degli oggetti personali appartenuti ai passeggeri del volo IH870, introdotto da un testo du Sebaste: una preghiera che diventa parte integrate dell’installazione, una lista di oggetti che avendo perso ogni funzionalità sono diventati sacri. OLTRE I MEDIA Per realizzare questa installazione B mette insieme pratiche non contigue racchiudendole entro una stessa cornice, senza però sovrapporle e mantenendo la loro identità: “Non credo che vi siano differenze tra i media. Si ha un’idea e si cerca il modo migliore per esprimerla. Penso che i pittori abbiano sempre avuto lo stesso desiderio di catturare la relata, solo che lo esprimono ogni volta in un modo un p’ diverso e con mezzi un po’ diversi”. “La vita genera più sentimenti di quanto possa fare l’arte, che è come una frase sottolineata. Tutto quello che faccio è solo arte. Ma mi piace illudermi che di fronte a essa il visitatore pensi sia vita”. Dunque, i vari linguaggi usati da B sono solo messi x elaborare un’estetica della consapevolezza, umanistica, retrospettiva, la quale raggiunge il suo culmine proprio in questa installazione. MNEMOSYNE: CONTRO L’OBLIO B è radicato nella tradizione delle avanguardie primonovecentesche, ma, comunque, rifiuta ogni ideologia progressista: pensa che il presente sia difficile da afferrare e il futuro sia un’invenzione senza fondamento. L’unica dimensione che ci appartiene davvero e che possiamo provare a comprendere è il passato, il quale può essere reso attuale e presente grazie al ricordo, anche se diverso. Solo interrogandosi consapevolmente riguardo a quello che “non è più”, infatti, possiamo farci un’idea del qui ed ora, se invece si guarda solo il presente o il futuro si rischia di perdere le proprie radici. La memoria è inconsistente e per alimentarla basta pochissimo (un gesto, un suono, un odore ecc), ma senza di essa tutto crollerebbe; essa è capace di far cogliere il senso intero dell’esistenza. Infine fa percepire il peso della durata e rende chiaro quanto siano effimere le nostre azioni al contempo xo ha in sé i caratteri fondamentali del passato e quindi si proietta nel futuro; trattiene frammenti di vissuto salvandoli dalla dispersione. La memoria però ha subito anche cancellazioni, in quanto è impossibile conservare tutto ciò che abbiamo vissuto e questi determina disagio; l’oblio dunque è l’altra faccia del ricordo. Al centro delle opere di B non è però la memoria in sé, ma la perdita: l’obbiettivo è rendere visibile ciò che non lo è più tramite segni minimi. MNEMOSYNE: PATRIMONI DI SOFFERENZA A proposito di Ustica poi nasconde diversi riferimenti culturali all’arte anti-monumentale e povera: - Tadeuz Kantor: dà voce ai totalitarismi del 900, in particolare ne La classe morta ci fa incontrare soggetti senza tempo che tornano dall’aldilà “Kantor è uno tra gli artisti che mi ha maggiormente influenzato. Aveva una grande povertà di mezzi. Tutto il suo lavoro è basto sulla memoria dell’Europa cenatale ed è legato alla guerra. È anche la mia storia, che mescola tragicità e derisione, sofferenza, musica popolare, clownerie e orrore in un universo impressionista”. - Danilo Kiš: in particolare un racconto nel quale si parla di un’Enciclopedia dei morti nella quale si raccolgono i nomi delle persone non segnate in nessun altro registri; ci si sofferma non sui grandi eventi della storia ma sull’interiorità e gli affetti. Riesce così a cogliere la tristezza delle tragedie silenziose, a trasformare lo strazio di un popolo in poesia. - W. G. Sebald: nel libro Austerlitz non si tiene conto del tempo con la consapevolezza che questo non sia un’assoluto ma che possa essere più veloce o più lento a seconda delle situazioni e, inoltre, che può essere percorso all’indietro; insegue i momenti del passato che non riescono ad essere distrutti e che risplendono ancora di vitalità. Pee B le sue opere sono una meditazione su quello che la sofferenza ci lascia, luoghi dove confluiscono dolore, memoria, infanzia, egli infatti non si sottrae alla rappresentazione della morte e vede l’arte come confronto con la verità del dramma per poter così elevare il dolore alla dignità della poesia. Egli pero sa Pagina di 15 44 anche che il dolore quando si fa insostenibile è anche irrappresentabile e intraducibile in immagini e corre dunque il rischio di ricadere nel caso dell’informe. “MAL D’ARCHIVE”: PER UN’ALTRA ARCHEOLOGIA Nella sua opera B estrae relitti apparentemente insignificanti ma capaci di rimandare a contesti più ampi e ormai dissolti, usa resti che si riferiscono a diversi passati in modo incompleto amplificando così l’enigma e la potenza. Nelle tracce che raccoglie si possono riconoscere tutti e il loro valore sta in quello che non che più e non in quello che si vede. L’archivio per B non è pero solo una metafora, ma un vero e proprio gente a sé stante; lo pensa come modo di confrontarsi con emissioni decisivi del passato, ma non la grande Storia, bensì quella di cui potremmo esse tutti protagonisti, le “storie piccole”. La sua ossessione in particolare è la Shoah (Personnes al Grand Palais di Parigi). Le cose che raccoglie sono povere ma uniche, ormai inutilizzabili, hanno perso la loro funzionalità in modo da suscitare emozione con oggetti o volti sconosciuti; segni minimi con un valore fortemente simbolico. Si puo dire che B spiritualizzi le materie povere e tratti reliquie insignificanti come preziosi reperti. “MAL D’ARCHIVE”: L’INFORME E LA FORMA Cerca inoltre di la sua volontà testimoniale con una rielaborazione formale, la conservazione e la composizione; accosta frammenti di quotidianità tenuti insieme da architetture misurate che sono come delle specie di recipienti che contengono elementi disgregati alludendo ancora pero a una totalità. Le sue opere pero sono condannate a rimanere incompiute: “Legata alla perdita, la mia ricerca è come un’archeologia dalla quale si percepisce più l’assenza che la presenza di individui scomparsi. I miei lavori sono inventari simili a vetrine contenenti oggetti che erano stati una volta di qualcuno. E, tuttavia, posta all’interno di una teca, una cosa qualsiasi perde la sua funzione originaria. Se conservi qualcosa, uccidi quella cosa” La sua però è una sfida impossibile xche l’oblio incombe su ogni cosa; da qui il senso del tragico che attraversa sempre le sue proposte: “il tempo è una battaglia persa in partenza”. “MAL D’ARCHIVE”: TRA MATERIALITÀ E SMATERIALIZZAZIONE L’oscillazione tra desiderio di conservare e impossibilità di farlo si manifesta nella sua scelta di muoversi tra materialità e smaterializzazione; da un lato tra templi monumentali (A proposito di Ustica e Personnes), dall’altro crea effimeri altari che potrebbero essere testimonianza del caduco destino dell’uomo. Tra le due dimensioni di materialità e smaterializzazione si pone proprio l’installazione “A proposito di Ustica”; da un lato la fisicità due rottami, dall’altro intangibilità delle voci e delle nostre ombre nei vetri neri. METAFISICA: LA PIETÀ DEL DOMANDARE “A proposito di Ustica” poi chiarisce il senso profondo della poetica di B: da un lato è risposta al kitsch postmoderno, dall’alto esercizio di meditazione metafisica. Si pone come polemica a gran parte dell’arte contemporanea, incline al disimpegno e alla provocazione, le opere di B sono invece strumenti x misurarsi con domande “assolute”: significato di vita e morte, potere del dolore, dramma della perdita, ineluttabilità dell’oblio ecc. Non sono concetti che possono essere colti solo da pochi esperti, ma evocano eventi epocali e affrontano questioni ultime che riguardano tutti, inoltre sono preghiere: “L’arte muove sempre da interrogazioni definitive che ci poniamo tutti. Io vorrei comprendere i nostri errori senza un diretto impegno politico. Le tematiche che le mie opere toccano sono comuni, universali: appartengono a tutti. Del resto non esistono molti soggetti in arte. L’artista per me è un solitario che senza mai trovare risposte si pone domande esistenziali e in seguito le pone agli altri. Sono domande che generano altre domane. Talvolta in grado di stimolare sentimenti. Di modificare i nostri comportamenti. Di cambiare il mondo”. SOPHIE CALLE, Prenez soin de vous, 2007 PER UN’ANTROPOLOGIA VISUALE C crea in varie tappe la sua “antropologia visuale”: 1979: Torna a Parigi dopo 7 anni di viaggi e non si sente più parte di quella città; così inizia pedinare degli estranei per provare a cogliere le “tragedie minori” delle loro vite, la quotidianità. Nascono i Jornaux intimes dei resoconti fotografici dei pedinamenti+ dei brevi testi. Sempre nel 79 realizza Les Dormeurs: chiede a degli estranei di dormire nel suo letto, 8 ore ciascuno per tutta la giornata; una di queste è la moglie di Pagina di 16 44 un critico d’arte che parla a suo marito dell’incontro; Così C diventa un’artista. 1980: The Shadow: chiede alla madre di assumere un investigatore che la pedinasse mentre lei si comportava come se non ci fosse nessuno a guardarla. Poi, L’Hotel: si fa assumere in un hotel di Venezia come addetta alle camere, riesce così a intrufolarsi nella vita altrui, fotografa e documenta quello che più l’ha colpita; le foto verranno poi esposte. 1983: L’homme au carnet: chiama a caso i numeri privati su un’agenda smarrita per strada e chiede alle persone di descrivere l’uomo che possedeva quest’agenda, ogni giorno sul quotidiano “Liberation” viene pubblicata una foto seduta dia un breve testo. 1999: Double Game: Lavora sul tea del doppio partendo da un romanzo la cui protagonista è ispirata a lei; si immedesima in questo personaggio ricreando le sue vicende. 2006: Raquel, Monique: documenta gli ultimi attimi della madre ponendo una videocamera ai piedi del suo letto; vuole essere presente anche quando non può e con quest’opera tenta di riallacciare i fili con la madre e di sanare il dolore x la sua perdita. C vuole vivere e far emergere la quotidianità delle persone, spesso sconosciuti, senza entrare in contatto diretto con loro, inoltre cerca di far rivivere persone che non ci sono più tramite le tracce che hanno lasciato. Sembra dirci che noi tutti esistiamo solo tramite la percezione altrui e che, dunque, nulla è come sembra; serve uno sguardo in grado di andare oltre le apparenze. GENEALOGIA DI UN DOLORE Nel 2007 alla Biennale di Venezia espone l’esito ultimo di questa sua filosofia autoriflessiva: Prenez soin de vous: l’origine dell’opera si ha nell’85 con “doleur exquise”, realizzata in seguiti all’abbandono tramite telegramma da parte del suo amato: ricostruisce il suo dolore e chiede ad amici e sconosciuti di evocare dei traumi; il suo è un gesto catartico, cerca di curarsi relativizzando il suo dolore con quello altrui. Poi, Prenez soin de vous: nel 2004, Grégoire Bouiller pubblica un romanzo ispirato a un fatto vero: una sua ex gli chiede di accompagnarlo a una festa; in queste feste l’organizzatrice chiede sempre che venga invitato 1 sconosciuto in modo da far coincidere il n degli invitati con l’età compiuta: è la C. Con G inizierà un amore che poterà poi al dolore. IL TRAUMA DELL’ADDIO G. la lascia con una lettera fredda ed asettica che termina con “abbi cura di te”: C lo fa in modo originale; invia la lettera a 107 donne di diversa età, etnia, lavoro ecc e chiede loro di reinterpretare e personalizzare la lettera a modo loro. In questo modo riesce ad affrontare lo stesso tema - l’abbandono - tramite media e forme artistiche le più diverse. Il lavoro è imprescindibilmente accompagnato da un libro che si conclude così: “Questo è tutto riguardo alla lettera. Non riguardo all’uomo”. DIARIO/OPERA COMUNE/REALITY SHOW L’opera di C muove da alcuni fondamenti dell’arte concettuale; parte da Kosuth, il teorico dell’art as idea as idea; egli riteneva l’arte non un prodotto ma una riflessione teoretica su un’idea; una sua opera tipica è composta da un oggetto, la foto dello stesso e la definizione data dal dizionario: triplice lettura della realtà. C da un lato sceglie il tema - l’abbandono - dall’altro rende “caldi” i modi freddi e impersonali dell’arte concettuale; soggettivizza il metodo di K inserendo frammenti di quotidianità. Inoltre rifiuta la menzogna e si presenta a noi lacerata e contraddittoria esattamente com’è; si espone infrangendo il limite tra intimità e indecenza. In quest’opera, x proteggersi dalla solitudine, usa un metodo diverso; non va lei verso gli altri ma chiama gli altri verso di sé, non cerca di preservare il dolore ma di dissolverlo e non si presenza come un individuo integro e consapevole ma come un io che si riconosce solo negli altri: quest’opera si configura come un laboratorio nel quale l’artista si cura e metabolizza il suo odore mettendolo il comune con gli altri. ROMANZO/OULIPO/AUTOFICTION Prenez soin de vous è un’opera nella quale le parole hanno valenza di immagini e viceversa; C infatti secondo una tipica tradizione 900esca entra in contatto con diversi scrittori e dà centralità alla parola e al concetto; fondamentale in questo è la sua passione per la scrittura. C si comporta come un direttore d’orchestra facendo suonare insieme armoniosamente media diversi; infatti benché sembri che si limiti a trascrivere la sua biografia tramite il lavoro altrui, essa la decostruisce, la disintegra, la rimodella, mescolando autentico e inautentico per dimostrare che le opere d’arte possono nascere anche da ragioni private e intime. MIXED MEDIA Pagina di 17 44 Per capire il senso profondo di questo lavoro si può fare riferimento a un libro, “Il canone occidentale” di Harold Bloom; egli ritiene che il canone sia un modo x cercare di dare confini, criteri a eventi che possono essere diversissimi tra loro e anche dissonanti, coglierne la logica sottesa; il canone non è però statico e condiviso da tutti ma si modifica e ridefinisce continuamente. 10 classic paintings revisited in quest’ottica è come in canone dell’arte occidentale, un museo immaginario che accoglie episodi capitali della storia dell’arte. INFLUENZA G con questo lavoro inoltre vuole andare oltre i dogmi delle avanguardie novecentesche, vuole abbandonare il loro dinamismo e nichilismo che le ha portate spesso a creare una frattura tra artista e osservatore facendo diventare l’arte una pratica elitaria non sempre in grado di comunicare; l’artista di avanguardia usa un linguaggio criptico ed oscuro che sembra addirittura non avere + bisogno di spettatori. G capisce che ogni dissennata fuga verso il futuro rischia di condurre verso il vuoto ed è proprio questo il destino dell’avanguardia. Cos’ nasce il progetto di G che vuole superare il concetto di modernità come culto del nuovo: non si può pensare di fare tabula rasa del passato bisogna invece riappropriarsene. G non è interessato ai concetto di originalità e autenticità, ma diversamente vuole riaffermare la centralità della continuità; partendo da iconografie classiche ritiene che l’arte sia una rivisitazione critica e dunque si visita con episodi storici adottando prospettive inaspettate. Decisiva è la strategia della distanza che consiste nell’avvicinare a noi cose lontane conservando xo la lontananza: solo questo può intensificare un rapporto. G tenta di liberarsi dall’assedio dell’attualità e pensa che la memoria sia qualcosa da integrare nel presente. Pensa inoltre che l’arte non progredisca ma si rinnovi, che non distrugga la sua memoria ma ci costruisca sopra. Il passato, dunque, non è qualcosa di remoto ma si insinua nel presente condizionandolo ma non costringendolo. La storia dell’arte dunque è qualcosa da esplorare continuamente x reinventarla, non per delimitare il suo campo di intervento ma x ampliarlo; esplora le innografie antiche e al contempo ne inventa altre e così facendo rende giustizia all’ambizione di ogni classico che desidera che quello che rappresenta sia eterno e che succeda in ogni epoca come è successo nella sua. E libera il significa ancora inespresso delle opere; così nascono 10 classic paintings revisited, opere nelle quali la storia dell’arte si fonde con la postmodernità. PITTURA G vuole poi riaffermare la centralità della pittura, tecnica che nella postmoderni è stata in larghissima misura accantonata in favore di una tendenza provocatoria postdadaista. Nonostante questo la pittura di oggi non è morta e alcuni artisti l’hanno portata avanti con scopi comuni; reagire a un certo fragile duchampismo moderno, contrapporre alla smaterializzazione dell’arte una sua rimaterializzazione, il bisogno di pensare al proprio mestiere come un mix tra artigianato, abilità tecnica, immaginazione, originalità e audacia e si pongono così sul limite tra omaggio e profanazione portando rispetto per l’antica tecnica ma al contempo cercando delle interruzioni per reinterpetarla. Hanno il bisogno di sottolineare la dimensione necessaria della pittura, tipologia narrativa alla quale l’uomo non può in alcun modo rinunciare e allo stesso tempo di riarticolarne le modalità utilizzando i media e svelarne nuove potenzialità anche partendo dal confronto con altre pratiche: 10 classic paintings revisited parte dalla stessa volontà poetica e fa un elogio della pittura cercando di unire filologia e spettacolo. CRITICA: VERE PRESENZE Dunque i capolavori della storia non vanno solo studiati ma riattivati e questo è il compito dell’artista-critico tenta di proiettare il passato verso l’avvenire cogliendo le espressioni e i modi attraverso i quali un testo si è formato e dopodiché smontarlo. FILOLOGIA: BLOW-UP 10 classic paintings revisited si fonda su alcuni decisivi passaggi: scelta dell’opera, attenzione agli aspetti conservativi, ricerca, approfondimento degli aspetti simbolici, confronto con storici dell’arte e restauratori, studio dall’interno, ricorso alla tecnologia. G cerca di dare una vita ulteriore a questo quadro e usa vari metodi; speso proietta sull’opera un fan simile ma con sempre lo stesso intento: drammatizzare l’icnografia dell’opera originale affidandosi alla decostruzione. L’obbiettivo è didattico: aiutare a comprendere meglio i dipinti mettendoci nelle condizioni per fruirne bellezza e misteri. SPETTACOLO: RI-LOCAZIONI G con questo lavoro tenta di immaginare il destino della pittura che per avere ancora senso deve essere contemporaneamente uguale e diversa da sé; deve continuamente reinventarsi, cambiare pelle ma non anima e lo può fare estendendosi verso territori linguistici diversi, per offrirsi non come apparato chiuso ma come assemblage, spazio dilatato. Gli eventi quando assumono nuove possibilità espressive al contempo Pagina di 20 44 pero perdono anche qualcosa di se stessi; è vero però che la pittura viene proposta quasi nella vedessi maniera mantenendo alcuni aspetti, perdendone altri, acquisendone altri ancora; così ci appare “altra da sé” ma comunque riconoscibile nella sua identità originaria. La meta di 10 classic paintings revisited non è la perdita dell’aura dell’arte, cui sembra mirare, ma la sua riaffermazione e, dunque, la meraviglia. MULTIMEDIA 10 classic paintings revisited analizzano e decostruiscono le iconografie e al contempo le enfatizzano usando immagini ulteriori. La sfida più difficile di G è tenere insieme dentro la stessa cornice tutti questi linguaggi diversi (in primis pittura e cinema ma poi anche teatro musica letteratura videogames…); fatto ciò però lo spettatore non dovrà limitarsi a guardare ma sarà chiamato a partecipare attivamente attraversando ambienti interattivi e coinvolgenti. G è un eclettico postmoderno che unisce il rispetto della storia dell’arte al gusto per le sperimentazioni tecnologiche e si fa così profeta di opere totali onnicomprensive e interdisciplinari. MATTHEW BARNEY, Cremaster Cycle, 1994-2003 ATTRAVERSO CREMASTER B è un ex atleta, interessato all’anatomia e alla biotecnica che si è formato alla facoltà di Medicina di Yale; nel 92 alla Documenta di Kassel presenta OTTOsharf; opera pensata come omaggio a Jim Otto giocatore di football celebre x le sue ginocchia artificiali, realizza un’installazione che unisce scultura e video: già qua vi è il tentativo di realizzare una personale mitologia che metta insieme elementi autobiografici, fantascientifici e storici. Nel 93 realizza Drawing Restraint 7; esercizio linguistico ibrido composto da 3 monitor, alcuni disegni e frammenti scultorei a comporre un paesaggio surreale. Bisogna fare riferimento a queste esperienze x capire l’opera-mondo Cremaster Cycle alla quale B si dedica dal 94 al 2003: momento fondamentale della postmodernità. - 1994, Cremaster 4: B evoca il momento in cui gli organi genitali si definiscono assegnando un sesso al bambino e questo diventa lo sfondo di un film che si moltiplica in diversi sentieri; l’attore principale è B che interpreta il Candidato Loughton (il nome deriva da una razza di ariete tipica dell’Isola di Man nel mar d’Irlanda); egli è un androgino dotato di 4 corna. Si mette in scena un’atmosfera nella quale si mischiano mitologia e folclore; assistiamo a gare di motociclette nelle quali si sfidano una squadra blu (allude al moto discendente dei testicoli) e una gialla (ascensionale delle ovaie): metafore del processo di differenziazione sessuale, alla fine vince il team blu. B poi affianca ai film delle sculture che racchiudono il suo senso-non senso: in questo caso realizza The Isle of Man: 2 sidecar: la punta di quello giallo è coperta da una specie di preservativo, quello gli ha una strana appendice scrotale: l’universo meccanico e quello biologico si combinano insieme. - 1995: Cremaster 1: Ambientato nello stadio di Boise in Idaho dove B ha passato la sua adolescenza, si mette in scena un musical che rimanda alle atmosfere di Broadway: colori eccessivi, costumi curati, scenografie sontuose in un tripudio di pura visività: forse un modo x alludere alla fase più indeterminata dello sviluppo sessuale dell’embrione. Anche in questo caso il film è accompagnato da sculture polimateriche che ne spiegano il significato. - 1997: Cremaster 5: ambientato all’Opera di Budapest, luogo di nascita di Houdini che diviene l’alter ego di B (lo interpreta lui stesso). Troviamo personaggi diversi e fantasiosi; B interpreta Houdini, la Diva, il Gigante, inoltre troviamo personaggi che provengono dall’inconscio come incarnazioni di desideri e pulsioni. - 1999: Cremaster 2: Riadatta un romanzo di Norman Mailer, Il canto del boia, che tratta il periodo che va dal 1893-1977 e narra l’omicidio di un benzinaio compiuto da Gary Gilmore che in seguito decide di accettare la pena di morte secondo la tradizione mormone per la quale solo il sangue può lavare il sangue. In questo caso ambienta il film nello Utah, mette come protagonista Gilmore e fa muovere intorno a lui diverse avventure illogiche: oggi avvenimento realmente accaduto narrato nel libro viene riletto in chiave fantastica; ad es Gilmore si reincarnerà nel suo presunto antenato Houdini; la trama è trasposta in un ciclo di sculture The cabinet of G Gilmore and Nicole Baker che rievoca la storia d’amore tra Gilmore e la sua fidanzata e The Drones’ Exposition che richiama a Dali. - 2002: Cremaster 3: Ci troviamo a NY al Chrysler Building sul quale si arrampica l’apprendista massone che cerca di slegarsi dal peso della vita materiale per dedicarsi alla riflessione concettuale; all’interno di questo palazzo troviamo decine di personaggi impegnati in atti feticisti e incomprensibili. Ci spostiamo poi al Guggenheim all’interno del quale si succedono scene eccessive, oscene, kitsch: B si arrampica sulle spirali fino alla conclusione durante la quale assistiamo allo scontro fra B e il suo modello artistico di riferimento, Richard Serra che interpreta Hiram Abiff (personaggio immaginario, ideato sull'interpretazione da figure tratte dalla Bibbia, indicato come l’architetto del tempio di Salomone), egli incastonerà nella bocca di B una protesi metallica dando vita a un mostro, un “altro” B nato dell’incastro di componenti Pagina di 21 44 umane e meccaniche. Vediamo poi momenti della storia usa degli anni 30 con citazioni all’immaginario massonico. Nasce inoltre una scultura in più pezzi, Cremaster Imperial in cui frammenti eterogenei vengono assemblati mischiando freddezza industriale e stucchevoli modalità neobarocche. - 2003: Cremaster viene presentato al Guggenheim: il museo viene interamente occupato e i 5 episodi vengono riallestiti su megaschermi, l’ambiente vuole ricreare quello delle palestre (ad esempio i parapetti della spirale sono rivestiti di gommapiuma), il tutto è accompagnato da fotografie e sculture che consentono di ripercorrere l’opera x intero. ENTROPIA Per cogliere il senso di quest’opera potremmo richiamare un racconto di Thomas Pynchon, Entropia; si parla della vita di 2 gruppi di amici che vivono nello stesso palazzo ma hanno stili di vita opposti: al pian inferiore un gruppo di musicisti dell’est eu che trascorre la propria vita tra droga e alcol, sopra una coppia silenziosa e affezionata alla propria privacy: primi espressione di disordine, secondi di ordine maniacale; hanno xo lo stesso destino: la minaccia continua del caos (dell’entropia). Cremaster sembra proprio il regno dell’entropia, un luogo dove ogni cosa ha significati sempre diversi e dunque inafferrabili, caratterizzato da relazioni transtestuali (all’interno della saga) e intertestuali (in ogni episodio). B usa insieme citazioni diversissime tra loro che allo stesso tempo arricchiscono e rendono più confusa la trama rendendo impossibile un’immediata leggibilità dell’opera. La narrazione di B è multiforme e indeterminata, B mette insieme elementi demoniaci e angelici e confonde tra loro tempi e spazi diversi nei quali governano leggi incomprensibili - non c’è prima né dopo, tutto è contemporaneo; è una favola dell’assurdo che non si può riassumere. IL RITORNO DI OMERO C riprende anche l’epica, da qualcuno considerata genere letterario originario, nel quale si fonde un raconto pieno di epifanie diverse ma comunque coeso, nel quale comunque l’inizio e la fine rimangono sempre incompiuti. Nel tempo l’epica è stata spesso reinterpretata mantenendo salde alcune costanti; da questo bisogno superare e riprendere l’epica sono nati alcuni classici: Faust, Moby Dick, l’Ulisse, testi nei quali i personaggi si spingono verso la totalità ma al contempo sanno che è una meta che sarà sempre mancata, soprattutto nel mondo moderno dove la totalità è frammentaria e contraddittoria. In queste opere si mescolano e si incontrano diverse figure, reali e fantastiche: “il senso di totalità nasce paradossalmente dal frammento elevato a sistema”. Anche B potrebbe essere inscritto in questo orizzonte culturale, egli inoltre ha sempre fatto presente lcil suo interesse x la letteratura: “Mi interessa il processo per cui nei libri l’immagine in movimento viene rallentata e si cristallizza in modo peculiare”. EPICA 1: COSMOLOGIE Innanzitutto in B troviamo la volontà cosmologica dell’epica che fin dall’antichità è viaggio di formazione; in Cremaster fa una metafora dell’origine della vita, quando il feto assume la propria sessualità abbandonando una fase di indeterminatezza: il titolo si riferisce al cremastere, un muscolo che regola il moto dei testicoli e quindi la sessualità. Troviamo in questo un riferimento al Grande Vetro di Duchamp; nel vetro superiore la sposa si spoglia, sotto gli scapoli mostrano il loro desiderio facendo girare la macchina che macina cioccolato e che esita una materia lattiginosa simile a sperma: da un lato la sposa provocante dall’altro gli scopi costretti a un’eterna masturbazione. EPICA 2: MITOGRAFIE Secondo punto è il mito; B gli assegna un ruolo centrale in quanto espressione di sapienza tradizionali, desideri e aspettative, legato alla religione ai riti, mezzo di comunicazione straordinario. EPICA 3: METAMORFOSI B poi pone attenzione alla metamorfosi: molte sono le figure mitologiche che si trasformano (Proteo creatura capace di diventare tutti gli animali o i compagni di Ulisse che vengono trasformati in porci da Circe). In Cremaster B inserisce figure fantastiche inventate da lui stesso in cui mescola un lato candido e uno spietato e li pone di fronte a mille ostacoli. I personaggi di B però a differenza di quelli di Omero non fanno guerre né compiono viaggi di ritorno, ma si smarriscono abbandonandosi ad infiniti pellegrinaggi. Al centro B pone se stesso travestito in tanti modi diversi. C diventa così un autoritratto mettendo in scena il volto mutevole dell’inconscio come luogo di un’individualità irregolare. IN BETWEEN: TRA IDENTITÀ E DIS-IDENTITÀ Il ricorso all’epica però diventa un modo x far convivere tante differenze: in primo luogo in rapporto tra riconoscibile e irriconoscibile, tra identità e dis-identità. Vediamo alcuni esempi: - In Cremaster 4 troviamo i 2 sidecar che si inseguono, inizialmente mostrando uan struttura geometrica pura, poi facendo affiorare visioni sinistre. Sempre in C4 vediamo i piloti in primo piano che indossano Pagina di 22 44 un qualcosa che deve scuotere e far male, esibire angoscia, morte, dolore. Ma nelle opere di H non si vede il dolore che c’è in quelle di Bacon: egli realizza opere ordinate tramite reperti della quotidianità che isola e immobilizza con calma coniugando caos e ordine per raggiungere una visione oggettiva. “Con le mie pecore, mucche, agnelli in formaldeide ho volto mettere in scena qualcosa dell’animo umano, la sua necessità di imporre un controllo e di farlo prima di tutto con la natura. Il titolo del mio lavoro con lo squalo è “The Physical impossibilità of death in the mind of someone living: tentativo di dare forma e immagine a qualcosa che non ne ha, in questo caso l’impossibilità dell’uomo di comprendere fino in fondo la morte”. In questo senso le opere di H sono delle “nature morte” in quanto hanno valore di memento mori e riflettono sullo scorrere del tempo. “Le mie opere navigano intorno alla questione della nostra mortalità: le installazioni con gli squali non sono che la rappresentazione della nostra paura della morte: ho usato carcasse di veri pescano che fossero abbastanza grandi x mangiarci, se fossero stati vivi”. Questa vocazione ha il suo approdo nell’opera For the Love of God; un calco in platino di un teschio di un uomo del 700 ricoperto di brillanti e con un diamante rosa in fronte: tentativo x unire memento mori e preziosità usando il cranio che indica l’essenza della vita e rendendolo sublime. Inoltre i riferimenti sono al Messico dove come dichiara H stesso c’è una concezione molto diversa della morte che più che negata viene celebrata. Per lui questo mettere in mostra la morte è l’unico modo per celebrare la vita. H dunque da un lato preserva l’immediatezza comunicativa mentre dall’altro si misura con questioni esistenziali che da sempre tormentano gli artisti. ALTRE USCITE DAL MONDO: VENEZIA, 2017 Cif Amotan II era un liberto di Antiochia che diventato ricco iniziò a collezionare opere d’arte e reperti che caricherà sulla nave Apistos che poi naufragherà; viene rinvenuta nel 2008 al largo della costa orientale africana; H viene in possesso della collezione e la presenta nel 2017 con una mostra a Venezia intitolata Treasures from the wreck of the unbelievable: a Punta della Dogana mette le sculture mentre a Palazzo Grassi il resto, una parte consistente, inoltre in una sala espone una ricostruzione in modello dell’Aspistos con disegni raffiguranti quello che trasportava e in altre stante ancora video e foto della spedizione subacquea. Non sembra però che questa storia sia completamente vera e ci può rispondere una frase all’ingresso di Punta della Dogana “Da qualche parte tra la menzogna e la verità sta la verità”, inoltre il nome di Cif Amotan potrebbe essere anagramma di “I’m a fiction”. L’opera creata comunque salda insonne territori, mondi e linguaggi diversi, rinviando a questioni comunicative contemporanee e fascinazioni mitologiche, spunti letterari e filmici. POST-VERITÀ Per capire quest’opera si puo partire da una questione attuale, quella delle fake news, che mettono in crisi il nostro rapporto con la verità la quale non è più un luogo segreto ma un “prodotto pop”, qualcosa di complesso che non può più essere controllata ma può essere “rifatta” da chiunque. Nella stagione della “post-verità” si intrecciano fatti e narrazioni diverse e diventa “piu vera una cosa inesatta a capace di circolare che una cosa esatta ma che si muove con lentezza”. RITORNO AL MITO Treasures from the wreck of the unbelievable è un monumento al mito che H ripercorre non vedendolo però come qualcosa dalla struttura fissa, ma come uno spunto da rielaborale e reinventare tutelandone da un lato l’identità e dall’altro remigandolo e modificandolo. Crea così un racconto di finzione nel quale nulla è vero e tutto è possibile: i reperti antichi sono affiancati a fumetti in un’opera dove trionfa l’assurdo: in un passaggio H si rappresenta in un busto e accompagnato da Topolino suggerendo un’identificazione con Amotan ma anche la dichiarazione della finzione della storia inventata. PER UN’ARTE “LETTERARIA” e “CINEMATOGRAFICA” Per H fare arte vuol anche dire raccontare tramite immagini; egli ci fa riflettere in modo diverso sul rapporto arte-letteratura che, soprattutto nel 900, ha dominato la scena, portando a una contaminazione e collaborazione tra i 2 mondi, tradizione che sembrava essersi persa ma che molti oggi cercano di recuperare. La sfida è quella di recuperare certe atmosfere trasmesse dagli scrittori e farlo in modo indiretto. In questo senso l’opera di H si richiama al genere dei racconti fantastici, nel quale possibile e Pagina di 25 44 impossibile, familiare e assurdo convivono: l’ordine normale delle cose si rompe, e nella quotidianità irrompe l’impossibile, la meta ultima infatti è proprio staccarsi dalla quotidianità per entrare in mondi ulteriori. Segue i momenti tipici delle favole: equilibrio iniziale (Amotan liberto arricchito), rottura dell’equilibrio (viaggio in nave), peripezie (naufragio), ristabilimento dell’equilibrio (recupero dei reperti ed esposizione). Questa favola diventa anche soggetto di un film implicito il cui genere è di nuovo il fantasy, dominato da personaggi incantati e creative magiche dai poteri sovrannaturali. FILM, DISEGNI, RITRATTI H quindi realizza foto e video con sub che recuperano i reperti e poi disegni nei quali si rivela la passione di H x questa tecnica tanto che dichiara che le sue opere partono sempre da disegni. Infine crea i reperti, realizzati da artigiani uk in 10 anni ca. TRA MONUMENTALISMO E KITSH Proprio questi relitti sono esercizi plastici che oscillano tra monumentale e kitsch: da un lato il bisogno di H di reagire al minimalismo dell’arte contemporanea (es Demon with bowl: gigante di 18m che raffigura il dio Pazuzu che nella mitologia babilonie è il re degli spiriti malvagi dell’aria). Dall’altro lato è attratti la kitsch come inautentico: x H l’artista non deve creare da 0 né indagare l’ignoto ma rifare ciò che è già fatto , riutilizzarlo, citando in maniera disinibita. ECHI Per H ogni momento della sua installazione è autonomo ma anche collegato da tematiche e riferimenti: - il Sacro Bosco di Bomarzo, un giardino “presurrealista” nel quale l’incantato e l’orrido convivono in u ambiente fantastico, grottesco e paradossale. Fu molto amato da Dali, artista al quale H si richiama. - Bosh - Baltrušaitis, autore del Medioevo Fantastico, nel quale indaga le figure grottesche, mostruose e fantastiche del medioevo UN’OPERA SINCRETICA In Treasures from the wreck of the unbelievable H fa convivere citazioni letterarie, mitologiche e cinematografiche, vedendo la sua opera come un recipiente in cui fare convergere tutto. Egli infatti è convinto che le epoche viste da vicine sono diverse le une dalle altre ma se guardate più da lontano convergono; crea così un’opera totale nella quale media e pratiche diverse convivono. ORHAN PAMUK, Il Museo dell’Innocenza, 2012 LA VALIGIA E IL COMODINO L’opera di Pamuk, il museo dell’innocenza, va interpretata a partire da due ricordi dell’artista: 1. Una valigia alla quale il padre tiene molto e che l’ha accompagnato in tutti i suoi viaggi in Eu, egli la lascia nello studio di P e gli chiede di aprirla solo dopo la sua morte, dopo un po’ di giorni P la apre e vi trova manoscritti, poesie, analisi, visioni, appunti, taccuini ecc. 2. Un comodino, quello del padre, sul quale egli ricorda carte varie che simboleggiano il rapporto del padre con lo Stato e il denaro, oltre che oggetti qualsiasi, quotidiani, insignificanti che per un bambino possono essere avvolto da un’aura magica. PASSIONI NECESSARIE L’opera di P è l’esito di un percorso complesso fatto da una personalità dinamica, egli studia architettura, diviene pittore e calligrafo ma a 22 anni decide di abbandonare la pittura e diviene scrittore, continua comunque a studiare e frequentare il mondo dell’arte, compresa quella contemporanea che però spesso egli avversa, non per il suo carattere sperimentale ma per la sua difficoltà ad essere compresa; P ritiene che se un’opera è difficile da capre non dà gioia gratificante e quindi ha un problema comunicativo. Questa passione per l’arte emerge chiaramente nelle sue opere nelle quali si dà centralità assoluta ai colori e si creano delle finzioni letterarie che si connotano in maniera visiva. Egli inoltre segna una sottile divisione tra scrittori verbali e visivi: i primi ci coinvolgono con le parole, i secondi ci impressionano con immagini indelebili. Comunque le differenze sono labili perché scrivere un romanzo significa prima di tutto “dipingere con le parole”. Comunque a differenza che negli arti scrittori-pittori, per P l’arte non è curiosità né divertimento, ma un modo per parlare di sé e confessarsi senza filtri. Egli però fa una distinzione tra pittura e scrittura; dice che un pittore non è mai del tutto consapevole di quello che sta facendo, mentre lo scrittore muove da istanze profonde, e quando scrive sa esattamente cosa sta creando. BACKSTAGE Pagina di 26 44 Il culmine della sua passione x l’arte lo troviamo proprio nel Museo dell’Innocenza con il quale egli esprime al necessità che sente di tornare a fare l’artista. Fin da subito il progetto nasce con una doppia anima: un museo e un romanzo che tentano di unificare il passato da pittore e il presente da scrittore. Nell’82 inizia a lavorare a un museo all’interno del quale porre oggetti reali che parlino di una storia immaginaria e completare questo museo con un romanzo basato su quegli oggetti. In un primo momento pensa a una sorta di “dizionario fotografico” nel quale con intento enciclopedico avrebbe descritto dettagliatamente tutti gli oggetti presenti, ma presto abbandona questo proposito e decide di ritornare al genere letterario che gli è più congegnale: il romanzo, in quanto solo questo può analizzare nel profondo il senso della storia d’amore della quale voleva parlare; un uomo parla della sua passione x una donna traendo spunto da oggetti ordinari. Per dare inizio a questo progetto P esplora la città di Istanbul, la sua attenzione (99) è attratta da un edificio vecchio e cadente del XIX secolo, posto in una via nascosta della città, decide che qui avrebbe avuto sede il museo. IL ROMANZO, E OLTRE Nel 2008 nasce il romanzo: Ambientato ad Istanbul negli anni 70 parla di un uomo di 30 anni, Kemal, fidanzato con una ricca donna, Sibel. Un giorno entra in un negozio e si innamora perdutamente della bella commessa 18enne, Füsun, essi iniziano una storia d’amore molto passionale che trasgredisce le leggi morali della Turchia di quegli anni. Kemal però decide di non lasciare la fidanzata in quanto ancora legato ad alcuni valori tradizionali e perché vuole il matrimonio stabile e l’amore folle, così decide di sposarsi, sconvolta Füsun scompare. Per la nostalgia Kemal si isola dagli affari e dalla società decidendo alla fine di lasciare Sibel e cercare Fusun, i due si ritrovano ma questa è ormai spostare con Feridun, un regista, si invertono così i ruoli. Kemal comunque decide di continuare a frequentare Fusun x 8 anni durante i quali si dedica a raccoglier una moltitudine di oggetti che riguardano Fusun dai quali trae l’unico conforto e che gli parlano di una passione bruciante. La storia finisce dolorosamente; Fusun dopo un’ultima notte d’amore con Kemal muore in un incidente d’auto. Così Kemal chiede a un suo amico scrittore di costruire un museo all’interno del quale raccogliere gli oggetti, quell’amico è proprio Pamuk. Nel 2012 il romanzo diventa museo reale nascosto nel cuore di Istanbul. Appena entrati nel museo ci troviamo difronte a una bacheca nel quale sono sistemati decine di mozziconi fumate da Kemal e Fusun, andando avanti tantissimi altri oggetti disposti in tante vetrine quanti sono i capitoli del libro, esposte su 3 piani dell’edificio. Sono previste 79 vetrine, fino al 2019 ne sono state realizzate 62, le rimanente verranno allestire nei prossimi anni. Ci troviamo di fronte a un’opera in divenire nella quale finzione e realtà si incontrano e sfumano l’una nell’altra. P ci conduce in un mondo di finzione che però percepiamo come vero nel quale espone oggetti reali che rafforzano questo sentimento di realtà. Sempre nel 2012 il museo è divenuto anche catalogo (l’innocenza degli oggetti) che riprende in parte il progetto iniziale dell’enciclopedia fotografica. L’approdo di tutto è un film-documentario del 2016 (Istanbul e il Museo dell’innocenza di Pamuk). ESERCIZI INTERSEMIOTICI In quest’opera è chiaro come media diversi interagiscano tra loro in maniera aperta e sintetica, ma sempre mantenendo la propria specificità, infatti le operazioni di traduzione da un mezzo espressivo a un altro sono destinate a rimanere parzialmente incompiute in quanto è impossibile far coincidere esattamente un romanzo con un film, spettacolo teatrale, istallazione. quadro…Dunque mutano le modalità di rappresentazione ma permane la sostanza. Inoltre P non delega ad altri la trasposizione e riattivazione della sua opera ma la attua in prima persona e non lo fa in fasi successive nel tempo ma contemporaneamente; pensa il museo come fosse un romanzo e il romanzo come fosse un museo. Comunque nonostante le differenze c’è un forte legame sta il romanzo, museo, catalogo e film; essi sono capitoli diversi di un’unica composizione che va analizzata insieme. Al contempo vi è una distanza incolmabile: “c’è un abisso tra le parole e le cose, tra le immagini che le parole possono evocare nella nostra mente e i ricordi che può riportarci alla memoria un vecchio oggetto che usavamo un tempo”. P dunque sostiene che il museo abbia uno spirito proprio e che esso non sia illustrazione del romanzo come il romanzo non sia spiegazione del museo, i due infatti funzionano e sono comprensibili perfettamente indipendente l’uno dall’altro. MODELLI MUSEOGRAFICI Dietro a tutto questo spesso troviamo rinvii storico artistici e museografici: 1. Le Wunderkammer del 500-600, allestite come sintesi di conoscenze scientifiche e piacere artistico. 2. I micromusei; P predilige le realtà marginali, che riescono a far emergere realtà biografiche di singole personalità, storie e passioni. Spesso sono luoghi nascosti nelle grandi città all’interno dei quali si percepiscono vicende personali minime capaci di farci “battere il cuore”. Pagina di 27 44 attratti lo stesso. Sulle vetrate applica Out of focus Window (2013); pellicola adesiva che impedisce la visione degli spazi esterni e al contempo filtra quella degli interni, isolando e disorientando. La biglietteria è trasformata nell’istallazione Untitled (2013) composta d aut banco d’accoglienza retroilluminato dove il chiarore e l’oscurità dell’ambiente fanno in modo che si vedano le silhouettes dei corpi dei visitatori. - prime sale: l’illuminazione è composta da 56 luci a led verticali che si accendono e spengono: Flickering Lights (2013) riscrivono l’illuminazione dell’edificio e rimandano alle luci di Parigi e a quelle dei casino di LV; seguono il ritmo della Petruška di Stravinskij. Questa composizione lega i lavori tra loro solo apparentemente perché in realtà l’articolazione è più complessa, tramite uno show controller degli algoritmi regolano l’attivazione di installazioni, luci e proiezioni. Tutti i dispositivi di controllo sono rinuiti alla fine in una control room. Con il biglietto viene consegnato un dvd, Precognition (2012) contente 2 film: Continuosly Habitable Zones o C.H.Z. (2011) e Marylin (2012) ed è un chiaro modo per estendere i tradizionali confini di fruizione di una mostra. L’effetto dato dalla visione del dv è schizofrenico in quanto le soudtrack dei film sono diverse rispetto a quelle degli stessi film presentati in mostra, inoltre il dvd può essere visto solo una volta, poi si cancella. - TV Channel (2013): 5 film su uno schermo speciale che rende la visione più chiara da lontano e meno nitida da vicino. Comprende Fleurs (’87 - 52 min, unico piano sequenza di un bouquet di fiori), No More Reality, la manifestation (’91 - manifestazione organizzata da P con degli studenti di Nizza ai quali aveva chiesto uno slogan per una protesta - “no more reality”), Anna (’93 - piano seq di 4 min del primo piano della figlia di P, la gallerista Esther Schipper), Alien Season (2002 - 5 brevi passaggi con una seppia gigante del Pacifico che cambia colore a seconda dell’ambiente), The Writer (2007 - 4 min, riprende un automa progettato nel 72 che riesce a scrivere grazie a una piuma d’oca fino a 40 lettere, P gli fa scrivere “What do you believe your eyes or my word?”). - Flickering Labels (2013): didascalie talvolta illeggibili regolare dall’accensione/spegnimento della Petruška: sono schermi che oltre alle info delle opere trasmettono passaggi del libro di P Snow Dancing (95), seguendo le didascalie si può ripercorrere lo sviluppo della storia narrata. Nello stesso ambiente, Factories in the Snow (2007), opera di Gillick composta da neve nera e da un pianoforte che suona la Petruška. Poi, ancora, Secret Bookcase Door (2005-13), libreria progettata da P che accoglie un’installazione di Gonzalez-Foerster La bibliothéque clandestine (2013), 350 libri selezionati dall’artista. Questa opera è un varco segreti verso la sala in cui P organizza il reenactment di una mostra di Cage e Cunningham a NY nella quale ogni giorno 1 disegno di Cage era sostituito con 2 di Cu, P usa lo stesso sistema ma nei buchi lasciati dalle sostituzioni mette dei suoi disegni. Fade to Black (2013): poster fluorescenti realizzati con inchiostro glow-in-the-dark e che rivelano immagini di progetti di P. Snow Dancing (2013): groviglio di spine e adattatori elettrici composti in un insieme scultoreo. Autograph (2013) robot che riproduce la scrittura di M Monroe. 17 Marquee organizzate nell’installazione Danny the Street ispirato a un supereroe di fumetti di una saga degli inizi degli anni 90 “Doom Patrol, Danny the Street”:strada senziente posizionata in ogni paesaggio urbano senza modificarne l’ambiente. How can we know the dancer from the dance? (2012): pista da ballo bianca circolare e parete curva che si sposta lentamente, avvolta dal suono di passi di danzatori. C.H.Z. (2011); il concetto deriva dall’astrobiologia, gli scienziati hanno coniato l’espressione per indicare un pianeta abitabile; esplora un giardino progettato da P nei pressi di Porto, un paesaggio nero, l’audio mima la crescita delle piante e lo spettatore si illude che sia il giardino a produrre i suoi suoni. Marilyn (2012): film ambientato all’Astoria di NY ricostruisce la suite dell’attrice minuziosamente tramite i suoi occhi, lei dunque non viene mai vista ma percepita tramite la riproduzione della sua voce (descrive l’ambiente) e un robot che imita la sua scrittura. Terminato il film, oltre lo schermo, Snow Drift (2013); neve artificiale in una stanza con una temperatura inferiore: inverno newyorkese. Anywhere, Anywhere Out of the World, P e Pierre Huyghe acquistano da una multinazonale di manga giapponesi un personaggio economico, senza nome né personalità (99) e lo battezzano “Annlee” che viene poi adottata da 13 artisti che riscrivono la sua storia tramite media differenti facendo nascere una mostra collettiva monografica in costante evoluzione che mette in crisi i concetti di paternità dell’opera e diritto d’immagine. Per tutelarla P e H trasferiscono il copyright ad Annlee stessa; la sua scomparsa ufficiale viene celebrata il 4 dicembre 2002 alle 21.30 durante l’opening di Art Basel Miami: spiaggia di Miami, curano uno show in cui viene proiettata una sequenza di 4 minuti in cui Annlee racconta la sua vicenda: “Sono stata acquistata, ma stranamente non appartengo a nessuno. Appartengo a chi è in grado di riempirmi con qualsiasi tipo di materiale…Ovunque fuori dal mondo. Sono un personaggio immaginario. Non sono un fantasma, solo un guscio”. - ultimo ambiente: 17 schermi su cui è proiettato Zidane: a 21st century portrait: film “didattico” di 90 min - come un incontro di calcio - realizzato con Douglas Gordon, trasmette il match Real Madrid vs Villarreal del 23 aprile 2005 a Madrid, il calciatore è ripreso da 17 telecamere che lo seguono ovunque. Il progetto nasce dalla domanda su cosa sarebbe successo se al posto di concentrarsi sulla palla ci si fosse concentrati sul giocatore: volevano vedere il suo volto più da vicino. Si rifanno ai ritratti di Goya e Velásquez, ma anche agli Screen Test di Warhol. Del calciatore si colgono tutte le movenze. Il filmato è Pagina di 30 44 montato con i suoni della partita ripresa dalla tv spagnola: cronisti, cori, applausi, rumori del campo e in alcuni passaggi, come sottotitoli, le dichiarazioni di Zidane. Nella versione originale, nell’intervallo, si vedevano immagini “di contesto” di ciò che era accaduto quel giorno, nella versione per la mostra di vede il film No more reality, la manifestation. EFFETTO BUZZ Leggere la mostra: l’artista rilegge completamente l’architettura dell’edificio e la sfida, usando l’occasione per rimodulare alcuni artifici curatoriali; egli fa un’indagine sul proprio lavoro senza esporre molti dei suoi lavori ma comunque esponendo opere che utilizzano i suoi tipici rituali. All’interno di questa cornice troviamo rimandi letterari e fascinazioni architettoniche, rendendo il percorso fortemente immersivo e le cui parti si integrano tra loro come in un unico organismo contribuendo a confondere le nostre aspettative. Un’opera d’arte totale che integra percezione ottica e aptica. Si è parlato di “effetto buzz”: uno sciame di immagini che generano un brusio. Eventi, situazioni e accadimenti si mischiano in una galassia di azioni minime che alimentano un processo in divenire, oltre al quale emerge una possibile armonia. CINEMA COME METODO Molti artisti per concepire la propria opera si rivolgono alla cinematografia che tanto ha cambiato le modalità di fruizione e creazione e, così facendo, le arti figurative “classiche” ridefiniscono la propria identità. Il cinema è stato in grado di cambiare la natura del linguaggio artistico perché per primo ha rappresentato il reale al di fuori di ogni mediazione rivelando a noi qualcosa di evidente ma anche ignoto, svelando il mondo non come staticità ma come divenire costante e ha il potere di condurci nel presente. Può evitare di ricorrere a simboli e metafore perché è sufficiente che mostri le cose cosi come sono. Per P “l’arte plasma uno spazio in cui gli oggetti, le immagino e le mostre sono istanti, scenari da reinterpretare”, questa filosofia è testimoniata proprio da Anywhere, Anywhere Out of the World, P si comporta come un quasi-regista. L’ARTISTA COME REGISTA Per costruire la propria opera P si ispira ad alcuni rituali tipici della pratica registica; il regista è una figura totale, la troupe segue momenti particolari mentre il regista è l’unico che può controllare l’intera opera. La sua è un’arte della collaborazione che rifiuta l’isolazionismo: crea attraverso gli altri. TITOLI DI TESTA, TITOLI DI CODA L’unico responsabile del risultato finale di un film, malgrado l’immensa quantità di personalità che entrano in gioco, è il regista stesso. P usa lo stesso modus operando e si sottrae alla concezione dell’artista-dominus che lavora solo nel proprio atelier; in un’epoca come la nostra caratterizzata da diffusi individualismi,P riafferma l’importanza del dialogo, partecipazione, conversazione. P, come un regista, esplora le possibili interazioni tra linguaggi e saperi, ritiene che quando le nostre idee vengono spostate continuano ad evolversi e si influenzano assumendo configurazioni inaspettate, per questo progetta le sue mostre-opere come campi aperti a molteplici apporti, architetture visive che seguono l’estetica dell’”autorialità mulltipla”.Per P il lavoro di ciascun artista è una trama di rapporti con il mondo che genera altri rapporti, all’infinito. I SOPRALLUOGHI Prima di mettere in scena la sua opera P esplora attentamente Palais Tokyo e ricostruisce lo spazio in studio per poi elaborare strategie, sperimentare spostamenti e connessioni per modificare la percezione degli spazi dati. La sua sfida è mettere in movimento quello che sembra cristallizzato: “volevo che in questi caso fosse la mostra a costruire l’architettura”. IL SOGGETTO E LA SCENEGGIATURA P avversa la pratica comune per la quale l’arte è autoanalisi e si ricollega al bisogno di narrare e comunicare centrale nel nostro tempo e lo fa riprendendo la potenza dell’immaginario cinematografico. IL CASTING In questa fase P sceglie le opere da esporre; fondamentale è l’ascolto del caos prodotto dal sovraccarico informativo tipico di quest’epoca, dunque riprende le proprie e altrui installazioni reinterpretandole sempre in maniera diversa, cercando di oltrepassare la tradizionale distinzione produzione-consumo; usa materiali già in circolazione e li rilavora su altri registri chiedendosi perché il significato di un’opera non possa trovarsi anche nell’uso che se ne fa. LE RIPRESE Pagina di 31 44 Per P le opere in sé, se non vengono esposte, non esistono. Esse sono viste come “quasi-oggetti” che necessitano di un soggetto per acquisire consistenza, nonché di entrare in relazione con altre opere. Per acquisire significato le opere vanno poste all’interno di una narrazione, poste in dialogo. “Il più delle volte gli oggetti che produciamo dipendono dalla narrazione della loro mostra. Nelle mie esposizioni uso una serie di oggetti incoerenti; oggetti che non hanno i requisiti per essere singolarmente opere d’arte”. IL MONTAGGIO In questa fase mette insieme una serie di linguaggi diversi che esulano dalla classica produzione dell’opera: sottotitoli, editing, voci fuori campo, effetti speciali… In questa fase l’opera viene riscritta per far emergere un significato ulteriore, per riguardare il visibile in una luce diversa. Nella mostra Anywhere out of the world P se ne serve molto per legare insieme episodi che non hanno alcun legame immediato tra di loro. “Non esistono immagini belle, sono belli solo i concatenamenti” LA COLONNA SONORA Nella costruzione espositiva di P le musiche e i suoni sono parte fondamentale del tutto in quanto custodiscono un valore espressivo ulteriore e pronunciano quello che le immagini, da sole, non dicono. D’altronde il cinema non è immagine ma movimento e il movimento attiene anche al suono. IL FILM-MOSTRA P cerca di sfuggire all’immobilismo delle antologiche, cercando di attenersi a quella concezione per la quale “esporre è disturbare l’armonia, infastidire il visitatore nel suo comfort intellettuale, suscitare emozioni”. Fare una mostra per P è fare-mondo e l’artista deve sempre reinventarle affidandosi alle tecniche curatoriali. La mostra è un luogo dove lavori già prodotti vengono messi in scena in scenari differenti, è una struttura in movimento e non ferma. IL FILM-INSTALLAZIONE Anywhere out of the world è una megainstallazione enciclopedica, non finita, priva di inizio e fine e impossibile da risolvere nella sua interezza. A differenza delle classiche mostre non può circolare né essere venduta nella sua interezza; il suo unico supporto è l’edificio che viene riscritto facendo ricorso a media differenti che comunicano e non si distinguono. “PTYX”: PER UN’ARTE SENZA QUALITÀ P mira al superamento della dimensione oggettuale dell’arte, nella mostra le varie pratiche si contamina, ogni arte lavora sulle altre. Si parla di un’”arte senza qualità” fondata sulla sperimentazione di eterogenee modalità di produzione. Per dare un nomea questo tipo di arte P si rifà a un termine usato da Mallarmè in una lettera del 1868: PTYX; è un quasi-nome, suona bene ma non ha senso, così come un’arte che le racchiude tutte e non può essere definita. GLI SPETTATORI Per funzionare questa mostra, inoltre, ha bisogno del pubblico. Si sviluppa intorno a noi che non ci troviamo più di fronte all’opera ma siamo immersi all’interno. Gli spettatori di questo tipo di mostra devono avere tutti i sensi attivi esattamente come la vista. Nelson Goodman in questo senso fa una distinzione importante tar opere autografe e allografe; le prime, pittura e scultura, possono generare solo riproduzioni, le seconde, teatro, danza, musica, happening…ogni volta che vengono riprodotti generano effetti e interpretazioni diversi in quanto l’esecuzione rientra nel processo di creazione. In Anywhere out of the world lo spettatore si illude di avere libera circolazione, in realtà il suo movimento all’interno della mostra è condizionato da una serie di espedienti segreti che dettano la nostra percezione degli ambienti. NO MORE REALITY Il vero potere del cinema, infondo, è quello di portarci altrove, ci conduce nelle scene con continui movimenti e spostamenti, facendoci combinare le immagini proiettate con quelle interiori. Questo è esattamente quello che Anywhere out of the world fa; ci conduce verso altre dimensioni, ci fa evadere dal reale, seppur temporaneamente; il titolo allude proprio a questo; è ripreso da una poesia di Thomas Hood, The Bridge of Sighs (1844) e citato in un poemetto di Baudelaire, Lp Spleen di Parigi: alla domanda dove si meglio cercare l’anywhere B risponde “Non importa! Basta che sia fuori da questo mondo!” HERMANN NITSCH, IL TEATRO DELLE ORGIE E DEI MISTERI, 1962-2020 Pagina di 32 44 ESTASI La meta è l’estasi come risultato di vitalità intensa, distacco dalle regole. Sporgendosi fuori da sé si incontra un nuovo io. Il suo colore è il rosso che N mostra nelle sue infinite sfumature. Talvolta è sangue, altre volte pigmento; il rosso evoca aggressività violenta e perversa, tremori, gioie ed eccitazioni. Il sague sta sul confine tra puro e impuro. La voce dell’estasi invece sono le urla; dicono la disperazione davanti al male di vivere, il dolore, l’angoscia; nessuna parola, solo un grido che fende armonie. “Il grido è l’espressione più immediata del subconscio di quanto non sia la parola in sé. La necessita del grido affiora quando l’Es reclama i suoi diritti superando i controlli dell’intelletto e lascia trasparire gli elementari istinti di vita. Si tratta di un voluto regresso in direzione degli stadi primordiali dell’umano. La negazione della parola, questo ritorno nell’estasi del grido, è discesa consapevolmente analitica nell’inconscio”. COMMUNITAS Nel Teatro lo spazio di rappresentazione si dilata e coinvolge gli osservatori. Al centro pero troviamo attori passivi e attivi ; i primi subiscono le azioni dei secondi che agiscono sotto la guida dell’artista-regista. Questo si differenzia dalla tragedia greca nella quale vi era netta distinzione tra attori e spettatori. Nemmeno in N però la distanza è completamente eliminata; chi osserva guarda, ascolta, annusa, ma non tocca, questo è prerogativa degli attori che comunque non agiscono spontaneamente ma secondo un copione. Tra gli attori si creano communitates estetiche provvisorie, simili a quelle anarchiche degli anni ’60, libere all’apparenza ma progettate con cura dall’artista che non ingabbia i partecipanti; le comunità hanno durata limitata all’azione artistica, poi viene ristabilita la loro individualità. IL RITORNO DI APOLLO Al primo sguardo l’opera di n è senza centro, divagante, effettivamente materiali eterogenei sono inscritti in una cornice omogenea; tutte le drammaturgie sono definite da sceneggiature che indicano gli atti da svolgere. “La discesa negli istinti è effettuata in maniera ordinata, nel senso di purificazione della psiche attraverso la percezione d impulsi potenziali oppressivi”. Quello di N è un esercizio di sofferenza governato da un senso dell’esattezza e della simmetria. N evita che la sua opera diventi mera provocazione strutturandola con grande lucidità, non abbandonando mai la forma: “senza forma non c’è arte: tutto sta nella forma”. Si ispira alla filosofia della tragedia classica che non si dà mai solo come esibizione sfrenata e scomposta a si attiene sempre al senso dell’armonia conducendo l’esosi dionisiaca a forme di pura bellezza. Dunque in N permane un margine di illusione: i corpi, gli spazi, i tempi sono reali ma gli eventi rimangono teatrali. La violenza è simulata: la catarsi “mima” gli atti violenti (crocifissioni, squartamenti…), così come nelle tragedie gli omicidi si mostrano solo tramite la parola e mai si vedono in scena. ARTE-VITA N usa materia vera per mostrare come la sua opera sia la tensione dell’arte a farsi vita; una struttura-evento ripassata di continuo dalle imprevedibilità dell’esistere, dalla pagina di gesti impossibili da replicare. “Voglio progettare la festa più bella dell’umanità, che non abbia altro pretesto che la vita stessa. L’arte come propaganda per la vita che dev’essere celebrata così com’è”. SCRITTURE N lavora su diversi linguaggi: dà particolare importanza agli apparati testuali elaborando testi dove elenca le materie utili per le sue esibizioni, e altri di carattere teorico nei quali svela intenzioni poetiche, rinvii filosofico-religiosi, psicoanalitici, storico-artistici. Nei suoi copioni N non indugia sugli spetti interpretativi. MUSICHE Le musiche non sono separate ma scorrono nello spettacolo. I suoi sono concerti cacofonici suonati da orchestre con strumenti bizzarri e composti da N. Le sonorità crescono progressivamente, disorientano, fanno emergere la forma dal caos. VERSO LA CONFLUENZA Nell’estasi si perde se stessi e i linguaggi vanno in crisi, così nell’opera di N essi tendono a dissolvere la propria identità, contaminandosi. Nel Teatro pratiche diverse si incontrano e dialogano, ma conservano comunque le loro specificità e si collegano in virtù di segrete corrispondenze. GENEALOGIE: WAGNER, KANDINSKIJ, SKRJABIN Pagina di 35 44 La scelta poetica di N guarda ad alcune proposte 900esche. Prima di tutto si rifà al concetto di “opera d’arte totale” di Wagner: “L’opera, unione apparente tra le arti sorelle, diventa il punto d’incontro dei loro sforzi egoistici”. Di Kandinskij riprende l’idea per la quale le forme artistiche paiono tutte diverse ma coincidono nel proprio fondamento di suono, parola, colore e nel loro fine ultimo. Riprende inoltre un artista-drammaturgo-musicista russo, Skrjabin, che nella sua opera incompiuta, Mysterium, tramite rimandi teosofici e spiritualistici, raccontava la storia dell’umanità: dopo l’apocalisse uomini e donne riemergono come anime libere da ogni limitazione corporea e dalle differenze sessuali. Il fine era stimolare i sensi dei partecipanti spingendoli a un’esistenza superiore. L’epilogo, una danza orgiastica che spinge verso l’estasi. All’opera di S, della durata di 7 giorni, avrebbero preso parte attori psicologicamente e fisicamente addestrati (no pubblico) e sarebbe stato allestito in un tempio: sui gradini in ordine gerarchico gli iniziati, al centro il regista-profeta. Il teatro deve superare se stesso e le sue prerogative, così N coinvolge suono, colore, parola, spazio, azione in un processo sintetico volto a riattivare la totalità dell’esperienza fisica. LA PROFEZIA DI ODO CASEL N elimina il concetto di arte come monumento perenne arrivando a sancire la crisi dell’opera d’arte. Per capirne il senso ci si può richiamare a La liturgia come festa misterica scritto a un monaco, Odo Casel nel ’22: in dialogo con le provocazioni dadaiste, pone alla base della dottrina il fatto che la liturgia sia sostanzialmente mistero; il cristianesimo è performance liturgica, non si limita a celebrare riti, realizza il suo più alto compimento in quanto azione. N concepisce la propria opera innanzitutto come pratica rituale che risulta efficace per il semplice fatto di essere compiuta; non consegna quadri ma atti percettivi, non conta la “cosa”, ma l’azione che non cerca la sua compiutezza in un prodotto fuori di sè. APORIE Nonostante sembri che neghi la concezione classica di opera, N ne riafferma la centralità. A Napoli viene organizzato un museo in suo onore dal gallerista Peppe Morra: il Museo Nitsch non è solo esposizione ma anche laboratorio, archivio, scuola di formazione (musica, teatro, letteratura, cinema, cucina…). Non propone solo un’antologia dei suoi lavori ma li ripensa intendendo ogni frammento come episodio di una poetica corporale; le stanze sono piene di disegni, quadri, foto, reliquie delle azioni artistiche della 71 a oggi. L’epilogo: sala rettangolare con tela gocciolante di nero: ferite di dolore interrotte da squarci di luce. N è attore di performance iconoclaste in quanto una volta eseguite possono essere ricordate solo tramite reliquie. FOTOGRAFIE Le fotografie hanno ruolo importante per catturare momenti specifici delle azioni e permettere a chi non era presente di provare a rivivere quelle sensazioni. FILM Il film dell’azione viene curato da N che registra le varie fasi: ambiente bianco, attori che danzano e eseguono gli incarichi dati loro dal regista…N usa le immagini in movimento per restituire i valori del corpo su un altro registro; usa metodologie, azioni arcaiche ma al contempo si affida a tecnologie moderne per recuperarle. Nei suoi documentari la presenza alle regista è ridotta al minimo per tutelare la neutralità del video-recording, tecnica che permette di registrare il flusso di azioni senza cadere in complicazioni concettuali, restituendo tutta la spontaneità dell’azione senza tagli né cambi di angolazioni. Inoltre zoom e primi piani mettono in luce gesti ed espressioni che non noteremmo normalmente. QUADRI N “oggettualizza” la labilità delle azioni tramite dipinti; cerca di occupare la tela più spontaneamente possibile mettendosi davanti e usando pennelli larghi, spugne, scope, spruzzi, sgociolamenti senza arginare il colore in schemi. I suoi processi pittorici accolgono la spontaneità di processi emotivi irripetibili e vengono eseguiti sulla “soglia della coscienza”. RELITTI Uno dei relitti che rimangono dalle opere di N è il camice del pittore che diviene croce o tonaca e si configura come “involontario quadro” dell’azione. Il “relitto” allude ai brandelli di una catastrofe che c’è stata ma della quale ora rimangono solo i resti. Usa questo termine per definire le sue azioni “ambigue”: celebrano la vita attraverso la rappresentazione della morte. N poi non si limita a esibire questi relitti ma li compone con precisione chirurgica volendo quasi “raffreddare” il caos delle sue performances invitando lo spettatore a passare da partecipazione attiva ed eccitazione a riflessione. Alla potenza di Dioniso subentra Apollo. Pagina di 36 44 NATURE MORTE Nelle nature morte si rappresentano oggetti manipolabili dall’uomo nella loro immobilità, esplorati con paziente tranquillità, oggettività, oggetti immutabili e impersonali che ci rendono coscienti della complessità del mondo fenomenico. Il pittore di nature morte rappresenta la “vita silente” delle cose. I relitti-installazioni di N potrebbero essere letti come nature morte; modo per riaffermare la centralità dei riferimenti alla sorta dell’arte con la qual l’artista ha avuto un rapporto inquieto fin dalla giovinezza, ma è proprio a queste fascinarono giovanili che bisogna risalire per cogliere il senso del Teatro delle Orge e dei Misteri. BJÖRK - BIOPHILIA, 2011 UNA PAGINA DI KUNDERA Björk è una cantante-autrice-musicista islandese cresciuta da musicisti in una comune hippy, presti iniziata a suonare flauto e pianoforte e sente una profonda passione per il jazz. Durante l’adolescenza canta in diversi gruppi post punk e presto intorno alla sua figura fioriscono diverse leggende; parla poco, ama i lunghi inverni islandesi e considera ogni suono/rumore come note di una misteriosa musica che basta semplicemente saper ascoltare. ELOGIO DEGLI INCONGREGABILI B però è anche artista visiva, performer, attrice, scrittrice, ideatrice di videoclip e app; dunque una personalità totale che non si definisce con una sola identità ma nella moltitudine rifiutando l’immobilità e gli schemi rigidi e spingendosi sempre a sperimentare linguaggi e pratiche diverse. BJÖRKGRAPHY Anche dal punto di vista dell’immagine si distanzia dalle star che voglio dare una sola immagine unitaria di sé, reinventandosi tramite trucco, acconciature e abiti continuamente, così come nei comportamenti. Questi cambiamenti avvengono in ogni nuovo album; ella si plasma diventando tanti personaggi diversi, il suo obbiettivo è, infatti, essere sempre “altrimenti”. MASCHERATE E TRAVESTIMENTI Si traveste anche all’interno die videoclip nei quali appare come un cibori che non si cura delle differenze tra i generi e che combina elementi autobiografici con invenzione, elementi organici e inorganici, corpo vivo e dispositivi elettronici. È propri negli anni 90 che vetusti di generazioni diverse iniziano a sentire il bisogno di ripensare i rapporti tra artificiale e naturale, facendo nascere corpi dalle diverse identità nei quali non vi sono differenze di razze o sesso. In queste produzioni vi è il trionfo di forme di vita intermedie che possono superare l’uomo nei singoli aspetti funzionali ma che in realtà sono sempre inferiori ad esso: replicanti fantascientifici con organi umani sostituiti da apparecchi meccanici ma sempre dipendenti dalla natura. AVANGUARDIA 2.0 e LA NUOVA MUSICA Tutte queste mutazioni sono da leggere nell’orbita della tendenza avanguardista di B la quale ama spingersi verso territori di confine tra mondo classico, popolare e folk dimostrando il bisogno di non farsi classificare, di sottrarsi alla mercificazione. Questa avanguardia emerge anche nella sua musica dove sia avverte il bisogno da un lato di rimanere legati alla specificità della stessa e dall’altro di aprirla a linguaggi nuovi. In questo senso vi sono forti assonanze con la “Nuova Musica” della seconda metà del XX sec, una musica non orecchiabile che vuole essere dissonante per mettere in dubbio l’antico concetto di armonia. Alcuni degli artisti a cui B si ispira: - Vladimir Martinov - Meredith Monk: tra le animatrici dell’avanguardia ny anni 60-70, sa spingere la sua voce verso vette elevate - Karlheinz Stockhausen, vera ispirazione, inventa sempre nuove idee e in particolare B ammira la capacità di fondere musica e tecnologia comunicando istanze umane e spiritualistiche. Sulle orme di questi artisti B usa gli strumenti tradizionali spostandoli dal loro contesto originario e fondendoli con citazioni classiche e popolari, arabe, orientali e con altri infiniti generi (jazz, punk, dark, rock, techno, minimal, folk, dance, ambient, funky, trip-hop, new wave, new age). Progetta così composizioni ambigue che da un lato sembrano intimistiche ed emozionanti poi aggressive e graffianti, oppure basate sul recupero del quotidiano e della natura o ancora sintetiche e minimaliste. I DINTORNI DELLA MUSICA e AUTORIALITÀ MULTIPLA Pagina di 37 44 IPOTESI PER UN’AUTOBIOGRAFIA Sembra dunque che B utilizzi i vari mezzi sia per esplicitare che nascondere tracce di un’autobiografia; come se compisse perdite ci centro per tornare pero sempre a se stessa, unico centro necessario. E questo si vede in un’altro videoclip: - Bachelorette (1998); inizia come una favola; B trova sotto terra un libro dalle pagine bianche che magicamente anziano a riempirsi, quando il romanzo della sua vita è terminato ella si sposta dalla campagna dove vive alla metropoli, qui fa pubblicare il romanzo che diventa un successo; ella poi lo rivive sul palco, davanti a un pubblico acclamante, interpretando un musical ispirato alla sua vita, la favola pero si interrompe bruscamente e le parole del romanzo svaniscono; la gente butta via le copie infuriata e la natura selvaggia prende il sopravvento; tutto diventa deserto e le persone arbusti, la ragazza si ritrova nel suo ambiente naturale. Questo videoclip forse è ritratto più fedele di B, artista irregolare ed eccentrica che ama esplorare mondi e media diversi facendo dell’ibridazione il suo metodo ma comunque non smettendo mai di parlare di se stessa e del suo rapporto totalizzante con la natura e la sua Terra. ESMERALDA DEVLIN, U2: eXPERIENCE + iNNOCENCE Tour, 2018 ZOO TV TOUR Lo zoo tour degli u2, nel 93, si apre con la frase “everything you know is wrong”. Si configura come un evento multimediale composto da 4 megaschermi e 36 monitor, 11 macchine sospese in aria e in apertura una Trabant, simbolo automobilistico della Germania dell’Est. La narrazione lineare dell’evento si confonde in un flusso di luci e laser che danno forma a una rappresentazione fedele del caos dell’esistenza contemporanea; su quel palco tutto è vero e tutto falso; realtà e finzione si mescolano. Sui monitor vengono trasmesse immagini frammentarie e spesso Bono cambia in diretta canali della tv o chiama personaggi come il presidente Bush creando così un evento che esprime il sentimento di una realtà politica contraddittoria e disordinata. Questo dunque non fu solo uno dei tour storici del secondo dopoguera, ma un vero e proprio esempio di avanguardia postmoderna. INNOCENCE + EXPERIENCE TOUR, 2015 Nel 2104 esce uno degli album più intimi degli u2, Songs of Innocence, nel quale la band abbandona il campo politico per delinea ansie, affetti, perdite, mettendo insieme energia vitale e tensione spiritualistica. Tutto questo viene espresso nel tour iNNOCENCE + eXPERIENCE: Bono passeggia tra il pubblico con luci intime, quasi domestiche. Al centro vediamo una parete luminosa di led. Nel 2018 viene messo in scena il sequel: eXPERIENCE + iNNOCENCE che viene perfezionato dal punto di vista tecnologico, Bono viene trasformato in un gigantesco avatar di sé e al centro dell’arena viene posto un videowall che trasmette icone fisse che, utilizzando lappo “u2 Experience app” si animano in immagini e video; prima dell’inizio della performance compare un enorme iceberg che si sciogli e travolge il pubblico con un’inondazione virtuale; poi, l’avatar di Bono e lo show. Nella tappa milanese al Mediolanum Forum vengono proiettate immagini di città devastate dopo la IIgm e in sottofondo il discorso all’umanità di Charlie Chaplin ne Il Grande Dittatore. Alla fine del concerto Bono stacca la luce e riesca ricordi d’infanzia: l’innocenza incontra l’esperienza. MAIEUTICA Autrice di questo evento è Esmeralda Devlin, set designer inglese che negli anni 90 inizia collaborando con piccole compagnie teatrali per poi spostarsi a istituzioni teatrali europee importanti. Collabora anche alla realizzazione di sfilate (Chanel e LV) e di installazioni-concerti di pop e rock star di fama mondiale (Lady Gaga, Miley Cyrus, Adele, Beyoncè, Rolling stones, Kanye West, Jay-Z, Lorde, Muse). Per affrontare tali imprese D segue una metodologia precisa: prima ascolta le intenzioni, la biografia, le ispirazioni artistiche delle star, mettendosi al loro servizio per interpretare le volontà, poi comincia la fase del progetto nella sua factory londinese (ex fabbrica di vernici). La sua sfida è coniugare le confessioni degli artisti con la sia identità autoriale. PER UN’ESTETICA DEL PERFORMATIVO Il suo metodo, dunque, ha alcuni passaggi decisivi. Dapprima, curiosità, ricerca, stupore, poi definisce la cornice scenica; ella assegna un ruolo fondamentale allo spazio senza il quale non saprebbe come strutturare le sue opere. Dichiara: “È un percorso metodico: ascolto i testi, annoto e parti che mi colpiscono di più, poi cerco la storia. Ogni volta che un attore o cantante dicono o cantano qualcosa mi interrogo su cosa dovrebbe aver intorno mentre lo fanno. Cosa potrebbe rafforzare o contrapporsi a ciò che stanno facendo?”. Pagina di 40 44 Lo spazio va poi riempito e quello che fa D è pensare le sue opere come attraversate da presenze eterogenee. Crea così un’estetica del performativo che si fonda su una commistione tra progettualità e causalità: il set designer infatti se da un lato sa cosa sta facendo e domina le scelte, dall’altro non è completamente in possesso della situazione che può variare a seconda di condizionamenti esteri alla sua volontà. MODELLI Le suggestioni che influenzano D sono molteplici e diverse: - Ziggy Stardust Tour, 1972, David Bowie: crea uno spettacolo totale nel quale convergono fantasie, sogni e incubi insieme a immagini della Berlino espressionista. È la storia dell’ascesa e caduta dell’alter ego di Bowie, Ziggy Stardust che parla di sé e della sua coscienza e dei suoi lati più oscuri. - The Wall, 1980, Pink Floyd: dedicato ai muri fisici e ideali che limitano le esistenze e la libertà. Viene creato un muro di mattoni in cartone che progressivamente viene distrutto; non si tratta solo di un concerto, ma di un happening. A questo si sommano anche le esperienze di artisti visivi (Bruce Nauman, Bill Viola), minimalisti, esperienze artistiche e architettoniche postmoderniste (Tracey Emin, Damien Hirst), in lontananza anche echi shakespeariani. Partendo da tutto ciò D realizza spettacoli monumentali ed effimeri che si configurano come opere d’arte totali e multimediali durante i quali si fa incursione in diversi campi artistici e linguistici, facendo riferimento all’invasione delle immagini nella società contemporanea. D inoltre crea contatti tra “icone” e “persone”, credo giochi di proporzioni e mettendo a confronto oggetti piccoli con persone enormi e viceversa. OLTRE L’INTRATTENIMENTO Quello che fa D però non è solo intrattenimento, bisogna infatti andare oltre pregiudizi x analizzare il cambiamento estetico che sta avvenendo nella postmodernità e che ha portato a mettere in discussione la distinzione tra colto e popolare. Queste distinzioni fisse vanno abbandonate x cogliere le potenzialità dei luoghi di confine. Il lavoro di D si colloca proprio in questo prospettiva, ella crea opere artistiche complesse che si muovono tra piani diversi: reenactment, tragedia, assemblage. REENACTMENT Il reenactment è diffuso nell’arte contemporanea e in particolare tra gli artisti che realizzano happening e performance che spesso riallestiscono in alti luoghi e con altri pubblici riscontesulaizzandoli, mettendosi a metà tra la citazione e la revisione, la fedeltà e la sovversione: grazie a questa pratica diverse generazioni possono assistere a eventi messi in scena anni prima e possono che rinascendo acquistano altri significati. La stessa logica torna nel teatro e nella danza. Per quanto riguarda i concerti la questione è simile ma diversa: essi sono reenactment parziali in quanto vivono sempre e comunque nel qui ed ora e, anche se ricreati, rimangono unici e irripetibili in quanto condizionati da emozioni, situazioni e pubblici differenti. Il concerto live è esperienza centrale nel mondo della musica (pop e rock in particolare) in quanto non disperde l’aura delle canzoni ma anzi la rilancia ogni volta dandole sempre significati diversi, una nuova esistenza. Chi assiste ai concerti vede qualcosa di familiare ma al contempo nuovo e non si pone come semplice spettatore, ma ha ruolo attivo, l’energia si trasmette tra il palco e il pubblico. Ci si confronta anche con la corporeità del cantante che non è statico ma pone al centro la voce, la gestualità, il corpo spazializzando le sue canzoni. In particolare, avviene una drammatizzazione scenografica di queste canzoni che prendono vita tramite artifici coreografici (danza, gestualità), visivi (immagini, video), teatrali (scenografia); viene costruita una trama narrativa nella quale le singole canzoni fanno parte di un discorso più ampio. TRAGEDIA 2.0 D quindi basa molto del suo lavoro sulle modalità teatrali: il teatro, come il concerto è un luogo altro ed autunno rispetto alla realtà che permette alle persone di staccarsi per qualche ora dalla quotidianità. Le differenze, comunque, vi sono: nel teatro quello che viene raccontato è percepito come finzione, anche se verosimile, nel concerto viene messa in scena una finzione che però è percepita come reale. Altra ispirazione è la tragedia greca; entrambe sono forme di spettacolo polare che si rivolgono ai cittadini e sono situazioni nelle quali le persone possono rispecchiarsi e trarre piacere. D dice esplicitamente che vede i lavori x i concerti come rilettura arbitrarie delle tragedie in chiave postmodernista, deostruendo e riconducendo nel nostro tempo modelli lontani. Anche dal punto di vista spaziale i due modelli si ricalcano; nel teatro classico, infatti, i un primo tempo il pubblico si disponeva a cerchio introno all’altare di Dioniso, poi, la zona x il pubblico ha iniziato a ridursi a un emiciclo di gradinate concentriche mentre gli attori si esibivano su una pedana rettangolare che man mano ha iniziato a salire di livello mentre sul fondo iniziavano a comparire le prime contestualizzazioni sceniche tramite dipinti. Viene riattivata, nei concerti, la Pagina di 41 44 struttura delle tragedie che si fondavano su un alternarsi di episodi recitati e cori. Altro aspetto affine è la partecipazione collettiva e l’immedesimazione: anche nei concerti il pubblico e gli artisti interagiscono e vivono situazioni emozionali; tutto questo segna anche il bisogno di distanziarsi dall’autoreferenzialità di gran parte dell’arte contemporanea che tende ad essere elitaria. L’OMBRA DI DIONISO D cerca in particolare di riattivare la parte più perturbane delle tragedie che rivelano la presenza in ogni individuo di una “parte nascosta”, mascherata dal filtro della ragione; di questo parta Nietzsche ne La nascita della tragedia; delinea le personalità di Dioniso ed Apollo: il primo è dio della perdizione orgistica, dell’irrazionalità, del piacere estatico immediato, il secondo quello della razionalità, della misura, dell’armonia. I due convivono insieme nel caos del mondo anche se in continuo contrasto; dunque non sono stadi successivi ma principi metaforici che si ritrovano nella natura e nell’arte. DIONISO, DIO DELL’EBREZZA Dioniso in un certo senso racchiude il bisogno di liberare le sfere represse della soggettività, abbandonandosi al piacere del presente; egli è impulso contro norma e passione conto ragione, si porta oltre la logica di un tempo teso verso il futuro per godere dell’adesso (in una concezione ciclica del tempo). Questo viene riattivato nei concerti rap, pop e nei megashow rock che si danno come eventi in cui trionfano pulsioni animalesche e momenti di estasi collettiva, inoltre danno un significato nuovo all’ordinario, facendo prevalere per qualche ora il collettivo sull’individuale. I concerti esprimono uno dei tratti distintivi della postmodernità, tempo nel quale si vede la vita come un’unione di momenti unici e immobili dai quali si vuole trarre il massimo piacere e il più rapidamente possibile, vivendo attimi che si esauriscono nel momento in cui si compiono. DIONISO, DIO TOTALE Altro tratto di Dioniso che ricompare nei concerti rock è quello di essere “senza fissa dimora”; non ha templi o luoghi di culto e si nasconde negli spazi naturali assumendo sembianze illusorie. Allo stesso modo, i concerti vengono allestiti in una città e, esauritisi, vengono smontati e porta da qualche altra parte, non stabilendosi mai. Dioniso, inoltre, accoglie in sé “il diverso”, i vari aspetti del reale convivono mescolandosi e senza cesure, in modo da poter cogliere l’unitarietà della vita; questo sta al centro delle tragedie classiche nelle quali musica, danza, recitazione convivono; così fa D nei suoi lavori nei quali combina musica architettura cinema videoarte performance e happening un’esperienza sintetica totale. Crea così degli assemblage (avanguardie primo 900) nei quali pratiche diverse e continue si riarticolano non confondendosi in un ammasso informe ma tenendosi insieme. In tutto questo lo spettatore è parte decisiva. Assemblage come quello x gli u2 sono destinati a essere bruciati in una serata ma a rimanere memorabili; opere d’arte che non restano ma accadono aderendo all’ebrezza del presente riuscendo solo così a interpretare il carattere effimero della musica. “Ciò che che non è reale, Esiste soltanto quando il pubblico dello spettacolo è lì insieme con le mie creazioni. Le mie creazioni, quindi, esistono soltanto quanto la loro esistenza è percepita dal pubblico. Se le mettessi in una galleria d’arte non raggiungerebbero lo scopo per il quale sono state pensate. Accade solo in un preciso momento quando la luce e le proiezioni si riflettono in modi differenti, con persone diverse che usano parole diverse con effetti sono diversi. Chi lavora in teatro è consapevole del fatto che ciò che realizza è effimero. Alla fine, tutto vive solo nei ricordi delle persone”. ALEJANDRO GONZALEZ INÁRRITU - CARNE Y ARENA (VIRTUALLY PRESENT, PHYSICALLY INVISIBLE), 2017 MILANO, 2017 A Fondazione Prada viene presentata un’opera neo-realista del regista premio oscar Inárritu, Carne y Arena, “Sangue e arena”, ispirato all’omonimo film del 41 di Mamoulian e tratto esso stesso dal romanzo di Vincente Blasco (1909). -Si arriva in una stanza buia in cui l’autore spiega le modalità usate x raccogliere le testimonianze dei rifugiati messicani e centroamericani. La stanza è dominata da un logo: un cuore sospeso su un deserto, diviso in due da una linea: da una parte U.S dall’altra T.H.E.M. In seguito si accede a una hielera, una ghiacciaia, una stanza con temperatura di ca 8°C illuminata da una fredda luce al neon. Sotto una panchina si trovano oggetti impolverati, testimonianze di ciò che le persone hanno Pagina di 42 44