Scarica La dottrina dei sacramenti e più Dispense in PDF di Teologia II solo su Docsity! Franz-Josef Nocke DOTTRINA DEI SACRAMENTI Prima parte DOTTRINA GENERALE DEI SACRAMENTI Problematica odierna Nell’odierna coscienza religiosa la questione della salvezza ha assunto delle connotazioni un po’ diverse: in primo piano non sta la preoccupazione per il futuro dopo la morte, bensì più decisamente la preoccupazione per la buona riuscita della propria vita e per i destini della storia dell’umanità su questa terra. Questo cambiamento influenza anche la concezione dei sacramenti. Terminologia Esistono 2 vocaboli collegati alla parola sacramento, uno latino sacramentum e uno greco mysterion, i quali hanno una lunga storia all’interno della tradizione cristiana, nel corso della quale il loro significato è notevolmente cambiato fino ad arrivare ad una definizione molto più ristretta del concetto di sacramento dato nella prima scolastica. 2. BASI BIBLICHE La mentalità sacramentale Con tale termine, si intende la convinzione che la storia di Dio con gli uomini si verifica in eventi, azioni e incontri storicamente afferrabili, che diventano segni della vicinanza divina: in essi Dio si mostra agli uomini e si avvicina loro trasformandoli. Questa doppia struttura(mostrarsi-darsi) contraddistingue anche il concetto di rivelazione come auto comunicazione: Dio si dona – e mostra in questo modo chi è. Mentalità sacramentale significa: Dio si comunica corporalmente agli uomini, si fa corporalmente sperimentare. Il pensiero sacramentale è l’opposto di quel pensiero mitico, in cui gli eventi storici sono insignificanti, perché il divino si dà a conoscere temporalmente, nonché di quel pensiero intimistico, in cui gli incontri corporei non giocano alcun ruolo, perché la comunicazione col divino avviene unicamente nell’intimo del singolo uomo. 3. SVILUPPO STORICO-DOGMATICO La storia dei concetti Dal sec. II in poi nella teologia occidentale i termini mysterion e sacramentum tendono a fondersi è perciò bene dare uno sguardo alla storia dei 2 concetti. Mysterion I teologi della Chiesa antica in seguito al confronto con la gnosi e con i culti misterici compare negli Apologisti una nuova associazione: alle dottrine esoteriche degli gnostici e ai culti pagani, detti misteri, essi contrappongono i contenuti della fede cristiana come veri misteri. Da qui derivano 2 cambiamenti essenziali rispetto al Nuovo Testamento: primo, ora si parla di misteri al plurale, secondo si dicono ora misteri pure le azioni liturgiche. Sacramentum Il significato fondamentale della radice latina “sacr-” indica la sfera del sacro santo, del religioso; il sacramentum è sia l’azione consacrante sia il mezzo consacrante. Nel linguaggio concreto dell’antichità latina il termine ha un’accezione fortemente giuridica: sacramentum sono detti il giuramento nel processo civile, il giuramento di fedeltà in campo militare e la somma di denaro che le parti contendenti dovevano depositare come cauzione nei processi. Sacramentum come traduzione di mysterion Le prime traduzioni latine della bibbia rendono in modi diversi il termine greco mysterion: le traduzioni effettuate in Italia preferiscono il termine derivato latino mysterium, invece quelle effettuate in Africa preferiscono il termine sacramentum. Inoltre , Agostino adopera spesso come sinonimi le parole sacramentum e mysterium, con questi termini egli intende in senso più ampio “qualsiasi realtà sensibilmente percepibile, il cui significato non si esaurisce in ciò che essa dà direttamente a vedere di essere, ma rinvia al di là di questo a una realtà spirituale. 1 RIFLESSIONE TEOLOGICA Padri Greci Il pensiero di quasi tutti i Padri Greci della Chiesa si muove “entro l’orizzonte di comprensione del simbolo reale”. Uomo e mondo vengono interpretati in modo che la realtà sia simbolo di un’altra più alta; ma non simbolo semplicemente nel senso che noi vediamo una somiglianza e stabiliamo una relazione tra loro, bensì nel senso che la realtà superiore esprime se stessa in quella inferiore, è presente in questa e agisce mediante la medesima, sia pure in una maniera deficiente e debole. Il retroterra di questo orizzonte di comprensione è costituito dall’idea e dallo schema platonico del modello-immagine: il modello originario si mostra nell’immagine ed è presente, anche se in forma attenuata, in essa. Un’idea simile viene espressa con il termine imitazione; esso originariamente usato per indicare tutta l’esistenza cristiana, viene successivamente sempre + riferito alla liturgia. Agostino Grande influsso sulla teologia occidentale dei sacramenti esercitò la teoria del segno di Agostino. I sacramenti sono segni dati; essi sono segni sacri perché indicano una realtà sacra. Attraverso le cose visibili il credente è orientato alle realtà invisibili. Il segno decisivo è la parola, perché anche il sacramento è una specie di parola visibile. Attraverso la distinzione fra segno e realtà e l’accentuazione della parola, in Occidente guadagna terreno un modo di pensare che dà la precedenza alla parola, al concetto e alla distinzione dei vari elementi. SCOLASTICA Alla ricerca di una definizione Il concetto di sacramento della chiesa antica, rimane in vigore fino al sec. XII. Solo con l’interesse sistematico della prima scolastica nascono i primi trattati sui sacramenti e si hanno con essi alcuni tentativi di una loro definizione e la fissazione del numero settenario. Ugo di San Vittore(teologo della scuola dei canonici agostiniani di Parigi), cerca una definizione valida solo per i sacramenti in senso stretto; il concetto di segno è per lui troppo ampio,poiché per lui i sacramenti non sono solo simboli ma contengono anche la grazia. Causa della grazia Il termine e concetto di causa viene in un primo tempo accettato solo con titubanza e adoperato in forma modificata. Contro di esso depongono la preoccupazione teologica che si limiti la sovranità di Dio, qualora si parli di un influsso causale sulla sua grazia, nonché il problema antropologico di come un qualcosa di materiale possano influire su una realtà spirituale. “Ex opere operato” Il fatto che l’efficacia dei sacramenti dipenda dall’azione di Dio, viene espresso dalla scolastica con la formula secondo la quale i sacramenti opererebbero “ex opere operato” ( in virtù del rito celebrato) e non solo “ex opere operantis”( in virtù di colui che amministra o riceve il sacramento). In tal modo il sacramento acquista una certa oggettività: la grazia di Dio è fedelmente presente già prima del fattore soggettivo, prima della fede e dell’apertura dell’uomo che amministra e riceve il sacramento. “Res et sacramentum-character indelebilis” La scolastica nel suo periodo d’oro introduce un termine(res e sacramentum)= l’effetto sacramentale intermedio, un qualcosa che da un lato è già effetto dell’azione sacramentale, ma dall’altro lato non è ancora la grazia a cui il sacramento mira, bensì ancora una volta il segno e la causa di questa. Nel caso del battesimo, della confermazione e dell’ordine la scolastica identifica tale effetto intermedio con il character indelebilis, con il segno indelebile impresso dal sacramento, una realtà, questa, che segna in maniera permanente il soggetto che riceve il sacramento, anche se egli si chiude alla grazia o la perde con il peccato, quindi in merito a ciò il sacramento è irripetibile. “Materia sacramenti” e “forma sacramenti” Forma e materia non sono singole parti separabili, ma costitutivi di un tutto che si determinano a vicenda questi due concetti sono idonei a caratterizzare l’azione simbolica sacramentale come un evento complessivo e unitario. 2 PARTE SECONDA I singoli sacramenti IL BATTESIMO PREMESSA Il battesimo, assieme alla confermazione e all'eucaristia, è il primo sacramento della iniziazione cristiana, che può definirsi, essa stessa, come una sorta di unico sacramento in tre tappe. E' il sacramento fondamentale della vita cristiana, non soltanto perché la fonda, incorporando il credente a Cristo e accorpandolo alla Chiesa, ma anche perché costituisce la base essenziale per il ricevimento degli altri sacramenti, di cui è la " conditio sine qua non ...". Il Codice di diritto canonico al can. 96 lo individua come l'unico strumento per poter accedere alla Chiesa di Cristo: "Mediante il battesimo l'uomo è incorporato nella Chiesa di Cristo e in essa è costituito persona, con i doveri e i diritti che ai cristiani, tenuta presente la loro condizione, sono propri, ..." ; mentre il can. 204 evidenzia gli effetti che il battesimo opera sulla persona battezzata. Infatti, "I fedeli sono coloro che, essendo stati incorporati a Cristo mediante il battesimo, sono costituiti popolo di Dio e perciò, resi partecipi nel modo loro proprio dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, sono chiamati ad attuare, secondo la condizione propria di ciascuno, la missione che Dio ha affidato alla Chiesa da compiere". Quindi, se da un lato il battesimo incorpora il credente nella Chiesa di Cristo, costituendolo come persona, quindi come individuo titolare di diritti e doveri propri (can.96); dall'altra ne definisce la natura teologica: in quanto incorporato a Cristo, il credente non solo partecipa alla natura divina di Cristo, ma è anche investito dal suo triplice ufficio di sacerdote, re e profeta. IL BATTESIMO: LE BASI BIBLICHE IL SIMBOLISMO DELL'ACQUA Da un punto di vista antropologico, il battesimo può essere inserito nell'ambito di quei riti di iniziazione che sono propri delle comunità primitive, attraverso i quali la persona veniva introdotta in comunità, assumendone la configurazione di membro effettivo e, quindi, riconosciuto e tutelato dalla comunità stessa. L'elemento che caratterizza il battesimo è l'acqua, carica di simbolismi antichi a cui si agganciano esperienze umane antichissime, che si sedimentarono in racconti mitici e ne hanno costituito una sorta di archetipo. Al tema dell'acqua sono legati antichi racconti di caos primordiale e di esperienoe catastrofiche per il genere umano. Pensiamo, ad esempio, alle acque della creazione, sopra le quali aleggia lo Spirito di Dio (Gen. 1,2); o al diluvio universale ricordato non solo dal cap.7 della Genesi, ma anche dall'intera letteratura mesopotamica. Ma essa si costituisce anche una fonte di vita . Fu proprio attraverso il passaggio delle acque del mar Rosso che Israele conobbe la propria liberazione e l'inizio di una nuova vita. L'acqua che sgorgò, poi, dalla roccia lo salvò dalla morte. Lo stesso Egitto si considerò un dono del dio Nilo, mentre il fiume che sgorga da Eden porta benefici all'intera creazione. L'acqua, poi, nell'ambito sapienziale assume la figura della sete spirituale che viene placata dall'incontro con Dio. L'acqua, infine, è sentita come un elemento che purifica e vivifica . Se l'impurità porta all'esclusione dalla comunità e preclude al rapporto con Dio, l'acqua funge da strumento purificatore, che rigenera l'uomo alla comunità e a Dio. E' interessante vedere anche l'associazione dell'acqua allo Spirito: in essa si vede l'azione dello Spirito. 5 LE ABLUZIONI IN ISRAELE Le abluzioni, assai frequenti in Israele, trovano la loro origine nei capp. 11-25 del Levitico e nel cap. 19 dei Numeri. In questi testi vengono elencati tutti i casi di impurità che contaminano l'uomo e lo pongono fuori dalla comunità, escludendolo anche dal rapporto con Dio. Marco, al cap. 7 del suo vangelo, ci dà un saggio di queste continue e quasi maniacali abluzioni a cui gli ebrei si sottoponevano in ossequio alla Legge. La stessa comunità di Qumran, che viveva in una forte tensione escatologica, si assoggettava a quotidiani bagni rituali di purificazione prima di accedere al pasto messianico. In questo contesto va visto anche il battesimo dei proseliti, che entrano a far parte della comunità d'Israele. IL BATTESIMO DI GIOVANNI Legato idealmente alle continue e ripetute abluzioni giudaiche, il battesimo di Giovanni se ne distingue, tuttavia, radicalmente poiché esso esigeva, a differenza di quelle, un comportamento morale nuovo: si trattava di operare una conversione di vita in vista della venuta del Signore. E' una sorta di iniziazione di Israele alla nuova comunità messianica che si andava profilando con la venuta di Cristo e che introduceva il popolo negli ultimi tempi. Esso ha il carattere della irripetibilità, come irrepetibile la chiamata alla conversione. Esso è anche un battesimo che ne prefigura un altro: "Io vi ho battezzati con l'acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito Santo" (Mc 1,8), da cui si distingue nettamente. IL BATTESIMO DI GESÙ RICEVUTO DA GIOVANNI Il battesimo di Gesù da parte di Giovanni è un fatto storico, riportato da tutti gli evangelisti. Questo, nell'ambito di una certa rivalità che era successivamente sorta tra i discepoli di Gesù e quelli di Giovanni ( Mt 9,14; Lc 11,1; Gv 3,22-25 e 4,1-3), veniva letto da parte di questi ultimi come argomento di superiorità del Battista su Gesù. Ma nel quadro complessivo dei vangeli esso diventa un motivo di rivelazione della natura di Gesù, dei suoi rapporti con il Padre e dà senso e origine alla missione stessa di Gesù, qualificandola sotto l'egida dello Spirito. Inoltre, sotto il profilo cristologico, Gesù si rende solidale con i peccatori, accomunandosi a loro e con loro condivide la triste sorte della condizione umana segnata dal peccato. Il racconto del battesimo di Gesù, infine, consente agli evangelisti di evidenziare i tratti propri del battesimo cristiano, che lo differenziano da quello delle comunità battiste: in esso viene donato lo Spirito di Dio, quale dono di amore del Padre, grazie al quale, come Cristo, ogni battezzato è riconosciuto quale figlio di Dio e come Cristo inviato a compiere la propria missione di annuncio e di testimonianza. IL BATTESIMO CRISTIANO NELLE PRIME COMUNITÀ Le prime comunità cristiane legarono il battesimo all'ordine di Gesù di andare e ammaestrare tutte le nazioni "battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 28,20), nonché al modello della sua vita missionaria che ebbe inizio con il battesimo di Giovanni. Gli Atti degli Apostoli, poi, ci riportano il battesimo come una prassi indispensabile per poter accedere al perdono dei peccati e al dono dello Spirito: "Pietro disse: <<Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome d Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito>>" (At 2,38). Paolo, invece, ci presenta il battesimo come una prassi ormai gia acquisita e scontata per poter accedere nella nuova comunità messianica. Il battesimo non è mai un fatto individuale, ma comunitario. E' la comunità che dona il battesimo assieme alla fede e le formule usate inizialmente sono ad un membro: il battesimo viene dato nel nome di Gesù Cristo o si viene battezzati in Cristo Gesù, come indica Paolo, evidenziando l'incorporazione del credente in Cristo, per cui egli viene a 6 lui configurato e rivestito di lui come di un abito nuovo. Ma intorno agli anni 80 la formula battesimale è già trinitaria: "Andate ed ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28,19). Il battesimo, poi, non investe soltanto singole persone, ma abbraccia intere famiglie con i relativi servi. Pensiamo ad es. la casa di Lidia a Filippi (At 18,18); la casa di Crispo, responsabile della sinagoga a Corinto (1Cor 1,16 e 16,17); la casa di Stefana. Esso è vissuto come una netta cesura tra il vivere del prima e del dopo, e come scelta assai esigente di vita. E' preceduto da un periodo di catecumenato, la cui durata variava e che nella chiesa di Roma era di tre anni. Quanto al battesimo dei bambini, non abbiamo sufficienti testimonianze che ci indichino la sua pratica. Soltanto a partire tra il II e il III abbiamo testimonianze certe a riguardo (Tertulliano, Ippolito e Agostino). E', comunque pensabile che il battesimo ai bambini fosse praticato soltanto dopo il II secolo, cioè quando il cristianesimoincominciò ad affermarsi e cominciavano a nascere bambini da giovani coppie cristiane. Ma con il battesimo ai bambini incominciò anche perdersi gradualmente il senso del catecumenato fino alla sua sparizione. CHE COSA AVVIENE NEL BATTESIMO? Prima di rispondere a questo interrogativo, vediamo prima come si arriva al battesimo. Ci sono nel NT dei passi significativi che indicano le tappe fondamentali per giungere al battesimo: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 28,19-20); e ancora: "Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo ..." (Mc 16,16); ... "In lui anche voi, dopo aver ascoltato la parola della verità, ... e aver in essa creduto, avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo " (Ef 1,13). Dalla breve citazione di questi testi si evince come il battesimo è preceduto sempre dall'annuncio e dall'ascolto, che generano la fede che porta, poi, al battesimo. Senza annuncio, infatti, non vi può essere ascolto; e senza ascolto non si genera la fede; e senza la fede non vi può essere battesimo, che dalla fede è sempre preceduto. Una sequenza logica, questa, che ricorda anche Paolo nella sua lettera ai Romani: "Come potranno invocarlo senza prima aver creduto in lui? E come potranno credere senza prima aver sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi? E come lo annunzieranno senza essere prima inviati? ... La fede dipende dunque dalla predicazione" (Rm 10,14-15.17). Ma non è sufficiente essere battezzati per raggiungere la salvezza, bisogna anche che le realtà spirituali, inserite in noi dal battesimo, siano incarnate nella nostra vita. Infatti, Matteo non si limita a dire di ammaestrare e battezzare, ma anche ad "insegnare ad osservare", cioè conformare il proprio vivere quotidiano a ciò che si è crede. Ora siamo in grado di comprendere meglio il contenuto del battesimo. Esso viene somministrato " nel nome di Gesù Cristo" (At. 2,38). Una formula questa che indica che sul credente è stato imposto, quale segno indelebile, il nome di Gesù. Ciò significa che egli ha cambiato di proprietà: non appartiene più a se stesso, né alle realtà di questo mondo, ma soltanto a Cristo, a cui è stato conformato. Paolo parla di essere " battezzati in Cristo Gesù". Questo significa che il battesimo immerge il credente in Cristo, lo riveste di Cristo come di un abito nuovo; egli viene così cristificato al punto tale che Paolo esclama "non sono più io che vivo, ma Cristo vie in me" (Gal. 2,20). Ne consegue che il credente, avvolto e permeato da Cristo diventa una nuova creatura ed è rigenerato, in Cristo e per suo mezzo, alla vita stessa di Dio, a cui appartiene per sempre. C'è, inoltre, nel battesimo una piena condivisione della vita stessa di Cristo, che Paolo esprime con un linguaggio tutto suo, premettendo ai verbi che ci assimilano all'esperienza del Cristo morto e risuscitato la particella "sun"; per cui avremo che nel battesimo siamo "con-crocifissi", "con-morti", "con-sepolti", "con-risorti" e in lui "conviviamo". In altre parole, il battezzato è stato profondamente unito agli stessi destini di Cristo ed è chiamo, pertanto, a configurare la propria vita a quella di Cristo in cui e di cui vive. 7 Le recenti riforme circa il battesimo sono scaturite a seguito del Vaticano II (19621965) e riguardano prevalentemente il battesimo dei bambini o "pedobattesimo". La questione fu introdotta dal teologo riformato K. Barth (m. 1968) il quale evidenzia nel battesimo la sua natura "cognitiva", propria della dottrina calvinista: il battesimo è un segno per mezzo del quale noi testimoniamo la nostra fede e questo richiede da parte del battezzando una comprensione e un'accettazione. Per questo il battesimo dato ai bambini per Barth snatura il proprium del battesimo, riducendolo ad un semplice rito. Di posizione esattamente opposta è il teologo luterano Edmund Schlink che vede proprio nel battesimo dei bambini una nuova creazione operata per "sola gratia". In altri termini, proprio nel battesimo dei bambini appare chiaro come Dio accolga nel suo Regno l'uomo indipendentemente dalla sua collaborazione. Da parte cattolica, invece, agganciandosi alla prassi della Chiesa antica, si sottolinea l'aspetto di iniziazione della vita cristiana operata dal battesimo. Questo concetto di fondo ha portato la Chiesa a stabilire due riti di battesimo: l'uno proprio degli adulti, preceduto da un periodo di catecumenato finalizzato ad un graduale inserimento del battezzando nella comunità cristiana, che culmina, per l'appunto, con il battesimo. Nacque così nel 1975 il "Rito dell'iniziazione cristiana degli adulti". Quanto al battesimo dei bambini si stabilì che il rito fosse adattato alla loro condizione reale. Per soddisfare a questa esigenza nacque per la prima volta nella storia della Chiesa il "Rito del battesimo dei bambini" nel 1969, impostato prevalentemente sul dialogo con i genitori e la loro responsabilizzazione, nel far crescere il bambino nella fede da loro scelta e in cui il bambino, in virtù del battesimo, è inserito. Ma quali sono le motivazioni che in qualche modo giustificano il battesimo al bambino? Per poter rispondere alla questione, bisogna rifarsi alla dinamica stessa del battesimo, che prevede un precedente cammino di fede scandito a) dall'annuncio, b) dall'ascolto, c) dal battesimo e d) dalla vita comunitaria. L'annuncio e l'ascolto nel caso del bambino vengono compiuti all'interno della famiglia e della comunità e assumono, qui, la configurazione di una vera e propria educazione religiosa e cristiana. Essi vanno a completare il battesimo, che già è stato somministrato e di cui soltanto ora, nell'ambito dell'annuncio-ascolto, si prende reale coscienza, vivendo, ora, responsabilmente la vita di comunità, in cui già si è inseriti. Vediamo, dunque, come con il battesimo dei bambini si attui un processo inverso a quello degli adulti. In tale processo, come del resto per gli adulti, assume un ruolo fondamentale l'annuncio e l'ascolto, che nell'adulto precedono il battesimo, mentre nel bambino lo seguono, ma in entrambi i casi sono di vitale importanza. Il problema da porsi, tuttavia, non va posto sulla "liceità" del battesimo ai bambini, quanto piuttosto sulle condizioni ambientali particolari in cui esso si attua e che sono di un sostanziale paganesimo e di un ateismo pragmatico. UNA RIFLESSIONE SISTEMATICA SUL BATTESIMO IL BATTESIMO: INIZIAZIONE ALL'APPARTENENZA A GESÙ CRISTO E ALLA VITA DI COMUNIONE DEL DIO TRINO. La Scrittura stessa ci illustra quali effetti siano prodotti dal battesimo. Con il battesimo, in quanto accorpati a Cristo e divenuti un'unica cosa con lui, partecipiamo, di conseguenza, anche ai suoi destini; ci viene donato, poi, lo Spirito con cui veniamo rigenerati alla vita stessa di Dio, che è essenzialmente una vita trinitaria, in cui circola l'amore che qualifica il vivere cristiano, sicché esso diventa una sorta di sacramentalizzazione della vita stessa di Dio e una sua testimonianza in mezzo agli uomini; il vivere cristiano diventa, pertanto, un dire la vita di Dio. Grazie al battesimo, poi, ci sono rimessi i peccati in quanto che in Cristo e per mezzo dello Spirito siamo purificati e rigenerati alla vita stessa di Dio e in lui ricollocati. 10 Di conseguenza siamo generati ad una vita nuova che ci fa nuove creature in Cristo per mezzo dello Spirito e da cui scaturisce un nuovo modo di concepire la vita, ora, orientata definitivamente al Signore. Con il battesimo, poi, tutti i battezzati sono accorpati a Cristo e in lui soltanto riconoscibili; così qualificati essi costituiscono una nuova comunità messianica che annuncia i tempi nuovi e ne dà testimonianza con un nuovo stile di vita e un nuovo modo di relazionarsi, al cui interno tutte le differenze etniche, sociali, culturali e sessuali sono superate o, comunque, perdono di significato, poiché ciò che conta ora è l'essere tutti cristificati, cioè diventati un'unica realtà in Cristo. Configurati, pertanto a Cristo, nasce come esigenza primaria di conformare il nostro vivere quotidiano a queste realtà in cui siamo immersi e rivestiti come di un abito nuovo. Il battesimo, quindi, è il segno concreto che realizza la nostra accoglienza nella Chiesa e la nostra comunione con lei e tra di noi; tale comunione, poi, è sacramento della comunione con la vita di Cristo, che ci colloca nella vita trinitaria stessa e ce ne rende partecipi. ASPETTI ECCLESIOLOGICI Il Concilio Vaticano II, nei suoi documenti AG e SC, parla di "riti di iniziazione" ricollegandosi alla teologia battesimale della Chiesa antica, per la quale il battesimo, la cresima e l'eucaristia facevano parte dell'unico rito di iniziazione e dicevano l'introduzione del credente nella nuova comunità messianica salvata e configurata a Cristo. L'iniziazione era un processo di crescita e di maturazione spirituale che comportava l'abbandono del vecchio stile di vita per assumerne uno nuovo. Grazie ad esso il credente si inseriva gradualmente nella comunità e, nel contempo, la comunità si avvicinava al credente e lo accoglieva nel proprio seno. Ma il battesimo, proprio perché inserisce tutti i credenti in Cristo, facendone una nuova realtà e una sola cosa in lui, apre nuovi spazi ecumenici; per cui tutti i battezzati in Cristo sono in comunione con lui e ogni barriera storica è di fatto superata. Ognuno in Cristo parla lo stesso linguaggio di fede e di amore. Le divisioni, oltre che essere uno scandalo e una profanazione del corpo di Cristo, mentono sulla reale condizione dei credenti in Cristo. LA QUESTIONE DELLA NECESSITÀ DEL BATTESIMO PER SALVARSI Quanto è necessario il battesimo per la salvezza? E, similmente, quanto è necessario appartenere alla Chiesa per accedere alla salvezza? Si diceva anticamente "Extra Ecclesiam nulla salus". L'espressione, tuttavia, per ben comprenderla, va ricollocata nel contesto storico in cui è sorta. Essa voleva stigmatizzare l'apostasia dei cristiani che, perseguitati, spesso abbandonavano la fede. Non era, quindi, un'affermazione assoluta di principio. Se da un lato il battesimo incorpora il credente alla Chiesa e, per mezzo suo, a Cristo, decretandone in tal modo la salvezza, ciò non significa che il non battezzato non possa in alcun modo accedere alla salvezza, con modo suo proprio che, comunque, lo configura a Cristo, anche a sua insaputa. Proprio perché la salvezza manifestatasi in Cristo è universale, il suo ambito trascende la Chiesa visibile stessa e si lascia trovare ovunque l'uomo la cerchi con cuore sincero: "Pietro prese la parola e disse: <<In verità mi sto rendendo conto che Dio non fa preferenza di persone, ma chiunque lo teme e pratichi la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto>>." (At. 10,34-35). Un principio questo ormai ampiamente accolto anche nel magistero della Chiesa in cui si afferma che anche "quelli che non hanno ancora ricevuto il Vangelo, in vari modi sono ordinati al popolo di Dio" (LG 16a); e ancora "Dio non è neppure lontano dagli altri che cercano il dio ignoto nei fantasmi e negli idoli ... infatti, quelli che senza colpa ignorano Cristo e la sua Chiesa, e che tuttavia cercano sinceramente Dio ... possono conseguire la salute eterna" (LG 16b). La salvezza, quindi, non appartiene soltanto all'uomo cristiano, ma alla stessa nozione cristiana dell'uomo. Ciò che determina la salvezza dell'uomo è la sua unione con Dio, che si attua nell'amore verso l'altro, in cui Cristo stesso è sacramentato (Mt 25,40.45). Rispetto a questo sia il battesimo che l'appartenenza alla Chiesa sono soltanto strumentali e non essenziali. Paolo direbbe qui che il vero giudeo non è colui che appare all'esterno, ma chi lo è interiormente (Rm 2,28-29). A lui appartiene la salvezza. Nessuno si salva perché è battezzato, come nessuno si danna 11 perché non lo è. IL BATTESIMO DEI BAMBINI Per inquadrare bene la questione bisogna innanzitutto capire, da un punto di vista teologico, che cos'è il battesimo e che cosa avviene in esso; di conseguenza, esaminarne la legittimità. Che cosa avviene nel battesimo dei bambini La differenza tra il battesimo degli adulti e quello dei bambini risulta immediatamente dal diverso rito e dal diverso cammino che i due sono chiamati a fare. Nel caso dell'adulto, il cammino di fede che apre al battesimo è segnato da un periodo di catecumenato, scandito dall'annuncio, dall'ascolto, dal crescere e maturare gradualmente nella fede della comunità, in cui si è gradualmente inseriti. Esso comporta una scelta responsabile e viene richiesta una radicale adesione di vita ai principi della fede. Al momento del rito, poi, la comunità, nella persona del celebrante, svolge un dialogo diretto con il candidato. Nel caso del bambino, nulla di tutto questo. Il dialogo è svolto direttamente con i genitori, che a nome e per conto del figlio e in quanto unici responsabili della sua corretta crescita e educazione, chiedono il battesimo e si impegnano nella sua formazione. Sarà proprio quest'ultimo elemento determinante per la crescita cristiana e, quindi, per il recupero della coscienza dell'essere battezzati e inseriti nella comunità escatologica e degli impegni che da tutto ciò discendono. Il processo, quindi, proprio perché inversi sono i candidati (l'adulto è l'opposto del bambino) inverse sono anche le procedure e il cammino, ma identico è il risultato. Quanto alla legittimità del battesimo dei bambini, va detto che da un punto di vista scritturistico non vi è alcun impedimento. Nulla vieta poi che l'esperienza della fede possa partire proprio dalla coscienza dell'essere battezzati. In tale caso il battesimo si prospetta come il dischiudersi di uno spazio di fede. Non si può, poi, parlare di una violenza o di un atto coatto perpetrati su di un innocente indifeso. Nessuno, infatti, estorce al bambino il battesimo e nessuno ne approfitta del suo stato di incoscienza. Il bambino è per sua natura e per diritto affidato ai suoi genitori, che sono responsabili della sua crescita e della sua educazione e, quindi, forniti di naturale e legale autorità per disporre del bene del proprio figlio. 12 consacrazione e di infusione di potere, energia e investitura, che verranno accolti anche nella realtà neotestamentaria, in cui significheranno l'iniziazione del credente; mentre il sigillo diventa un termine per indicare la conseguenza dell'imposizione delle mani e dell'unzione: la consacrazione, cioè l'appartenenza a Dio, del credente. Lo Spirito funge, dunque, da sigillo con cui il credente è segnato e dice la sua appartenenza a Dio e al suo mondo. SVILUPPO STORICO-DOGMATICO Nella Chiesa antica non si conoscono riti di iniziazione di battesimo e confermazione tra loro separati, ma soltanto il battesimo, che avviene nell'acqua e nello Spirito (Mc 1,8; Gv 3,5; Tt 3,5; 1Cor 12,13). L'iniziazione cristiana nella Chiesa antica, dunque, è percepita come un fatto unitario, senza distinzioni. La teologia crismale si fonda ed è ricompresa in quella battesimale. Un fatto, pertanto, appare chiaro: il dono dello Spirito, proprio del tempo messianico è tale che caratterizza la nuova comunità, è comunicato ad ogni battezzato, benché il modo del conferimento, come abbiamo visto in precedenza, non sia uniforme (acqua, imposizione delle mani e ascolto della Parola). A partire dal IV sec. l'imposizione episcopale delle mani, comincia a separarsi dal battesimo. Il fattore determinante di questa separazione è il battesimo dei bambini. Ad essi non si può imporre un cammino catecumenale, non si può pretendere una scelta di vita e di fede. Per loro conto agiscono i genitori, che si assumono anche l'impegno di crescerli nella fede, in cui sono stati battezzati e grazie alla quale hanno ricevuto lo Spirito. Il "cammino catecumenale", quindi, avviene dopo il battesimo e si inserisce nell'ambito dell'azione educativa e di catechesi del bambino. In altri termini, la fede cresce con il bambino che viene portato a compiere naturalmente e di fatto la scelta di vita cristiana, in cui è stato allevato. Si rese, quindi, necessaria la dilazione del rito di iniziazione, che viene, così, spalmato lungo l'arco di vita e di crescita del bambino, segnandone i passaggi fondamentali. In tale orizzonte la confermazione assume anche il significato di una scelta personale e responsabile del proprio credere e del proprio impegno all'interno della comunità. Ma nel tempo, tre sono stati gli elementi che hanno influito sulla separazione: a) lo sviluppo della dottrina del peccato originale, che ha spinto a battezzare i bambini; b) la riammissione nella Chiesa degli eretici battezzati, ai quali il vescovo imponeva le mani; c) la diffusione delle comunità ecclesiali e la crescente distinzione tra le funzioni del presbitero e quelle del vescovo, per cui i presbiteri battezzano, mentre soltanto al vescovo compete l'imposizione delle mani, la quale assume il significato di "confirmatio", cioè di conferma, di ratifica e di completamento del battesimo. Questa separazione tra battesimo e cresima o "confirmatio" che si opera in Occidente, non trova successo in Oriente che, invece, continua a mantenere integra l'unità dei tre sacramenti dell'iniziazione cristiana. Ancora oggi si amministra al neonato il battesimo, l'unzione con il muron e l'eucaristia assieme in un unico rito. Con l'avvento del Vaticano II (1962-1965), benché non venga elaborata una specifica teologia e dottrina sulla confermazione, né venga attua alcuna riforma del sacramento in questione, pur predisponendola, tuttavia, viene enunciato un principio di capitale importanza: "... più intimamente appaia l'intima connessione di questo sacramento con tutta l'iniziazione cristiana" (SC § 71). Finalmente la confermazione ha ritrovato la propria abitazione originale. Concretamente la connessione con il battesimo viene attuata per mezzo del rinnovo delle promesse battesimali, posto all'inizio del rito, e con l'eucaristia, all'interno della quale viene celebrato il rito. Quanto al tempo della confermazione, l'età è fissata verso i sette anni, ma è lasciata alla discrezionalità delle Conferenze episcopali il fissare anche un'età più matura, se lo ritengono pastoralmente più idoneo. Ministro ordinario della confermazione è il vescovo, il quale, in caso di sua impossibilità, può anche delegare un semplice presbitero. Il riconoscere il vescovo come ministro ordinario della confermazione assume all'interno della Chiesa una notevole importanza. Infatti, vi è chiesa universale là dove c'è il vescovo. Egli è il pastore per eccellenza che dà garanzia alla fede e attorno a lui si costituisce la comunità. La confermazione, quindi, amministrata dal vescovo, assume una valenza tutta ecclesiale e dice l'introduzione e l'accoglienza ufficiali del credente all'interno della comunità, 15 sancendone i diritti e i doveri. E' il vescovo, quindi, che con la confermazione introduce ufficialmente il battezzato nella comunità, lo rende responsabile di fronte ad essa e ne sollecita l'impegno e la testimonianza. Circa il rito essenziale della confermazione, Paolo VI nel 1971 ha stabilito che "il sacramento della confermazione si conferisce mediante l'unzione del crisma sulla fronte, che si fa l'imposizione della mano e mediante le parole: ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono". Con tale nuova formulazione si è ripresa un'antica formula del IV sec., che vede la confermazione come il sigillo dello Spirito impresso sul credente. L'EUCARISTIA PREMESSA La celebrazione dell'eucaristia, in quanto azione di Cristo e del popolo di Dio, costituisce il centro della vita cristiana. In essa si coglie la presenza dinamica e irradiante del mistero di Cristo, sia nella globalità e unicità dell'atto redentivo; sia come presenza dei misteri di Cristo, colto nei suoi vari aspetti e momenti di unico atto salvifico. Essa, pertanto, diventa la fonte di grazia primaria da cui sgorga ogni altra grazia; è il mistero e il sacramento da cui defluiscono e trovano il loro senso e la loro ricomposizione tutti gli altri misteri e sacramenti. E' punto centrale e nevralgico di tutta la liturgia e della stessa vita della Chiesa e di ogni credente, scandita nel corso dell'intero anno liturgico e ritmato quotidianamente dalla celebrazione della liturgia delle Ore. L'EUCARISTIA: LE BASI BIBLICHE IL SIMBOLISMO DEL PASTO Il mangiare e il bere rientrano tra le attività quotidiane e obbligatorie dell'uomo, attraverso le quali egli mantiene il proprio contatto con il mondo, lo introietta e ne diventa parte. Grazie ad esse l'uomo si alimenta e sostiene la propria vita fisica. Il mangiare e il bere, dunque, sono, da un lato, un atto dovuto alla vita; dall'altro, un riconoscere che la vita non dipende da noi, ma abbisogna di qualcosa d'altro per sostenersi. Il mangiare e il bere, poi, quali atti quotidiani del vivere dell'uomo e quali espressione del suo essere, assumono aspetti di socialità che si fa convivialità; diventa un momento di incontro in cui si rafforza la comunione con gli altri. Il pasto in comune assume un altro significato: quello del ringraziamento del Creatore che, attraverso la creazione, sostiene la nostra vita, divenendo Lui la fonte primaria del nostro vivere. Il convivio, pertanto, diventa segno di comunione con Dio. IL CONVITO IN ISRAELE Come presso tutti i popoli antichi, ma anche nella nostra modernità, così anche per Israele il banchetto assumeva, al di là della necessità del sostentamento quotidiano, il significato di comunione, condivisione, accoglienza, ospitalità, un saluto di addio, ecc. Ma il pasto consumato sta ad indicare, talvolta, l'unione con Dio, come nel caso del racconto dell'ospitalità di Abramo presso il querceto di Mamre: l'ospite è sempre percepito come l'inviato di Dio, ospitarlo significa accogliere Dio che passa. 16 A conclusione, poi, dell'Alleanza ai piedi del Sinai, Israele compie un pasto alla presenza del Signore: "... essi videro Dio e tuttavia mangiarono e bevvero" (Es. 24,11). Rientrava nelle logiche del tempo: ogni alleanza e ogni patto si concludeva con un pasto che suggellava la comunione tra i partner. Nel nostro caso, il pasto suggellava l'unione di Dio con Israele. Il pasto consumato davanti a Dio, dunque, esprime la comunione tra Dio e gli uomini, ma anche la totale diversità tra i due partner: Dio, infatti, è presente al banchetto, ma non vi partecipa, non è un commensale fra gli altri. Ma a sigillare l'Alleanza , ancor prima del pasto, c'è il sacrificio. Alleanza, sacrificio e pasto, dunque, formano un'unica realtà che pone l'uomo in comunione con Dio. Ma in Israele non solo i pasti sacri hanno una dimensione religiosa, ma anche quelli della quotidianità: si incomincia con una preghiera di lode allo spezzare del pane e termina con una di ringraziamento. Ciò si accompagna spesso con una anamnesi, cioè con un ricordo delle azioni salvifiche di Dio. I pasti, così consumati, diventano, pertanto, non solo il segno dell'amore di Dio, ma anche il momento della comunione con lui. Nel culto del pasto, assume un aspetto fondamentale la Pasqua, una festa nomadica, che celebrava attraverso un sacrificio e un pasto in comune, la partenza dei popoli alla ricerca di nuovi pascoli, all'aprirsi della primavera. Essi avevano il significato di procurarsi le benedizioni e le protezioni di Dio, e il rinvigorimento dei rapporti di parentela e di amicizia. Una festa a cui si univa, dopo l'entrata nella terra promessa e l'inizio della vita sedentaria, quella del ringraziamento per il raccolto; era la festa di massot in cui si sacrificavano le prime spighe e si teneva un banchetto. Ancora una volta, pasto e sacrificio si uniscono e si fondono assieme. IL BANCHETTO NEL PENSIERO DI GESÙ Esso diventa il segno degli ultimi tempi, in cui Dio chiama a raccolta tutti gli uomini e li invita a rientrare nella casa del Padre, cioè a partecipare alla comunione di vita con Dio. Il banchetto per Gesù diventa, dunque, il segno degli ultimi tempi, il segno del venuto tempo di Dio, in cui Dio porta a compimento la sua opera di salvezza per mezzo del suo Cristo. E' il settimo giorno della creazione in cui Dio "...portò a termine il lavoro che aveva iniziato ... Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò" (Gen. 2,2-3). In questo settimo giorno, in questo spazio di Dio l'uomo è invitato ad entrare e a celebrare insieme a lui il suo ritorno in seno al Padre. Tutto questo viene espresso con il simbolo del banchetto messianico, in cui Dio e gli uomini fanno festa insieme perché, finalmente si sono ritrovati, fanno tra loro comunione di vita. L'ULTIMA CENA Alla luce del banchetto in Israele e del pensiero di Gesù, nonché della sua missione, anche l'ultima cena viene caricata di un senso tutto particolare: essa è il vertice di tutta la storia della salvezza, in cui Dio, dopo aver convocato gli uomini attorno ad un banchetto, si fa pane e vino, si fa cibo per loro, perché mangiando essi possano partecipare alla sua stessa vita. Ogni banchetto menzionato nel Vangelo era un segno e un annuncio di quest'ultimo banchetto divino. Esso è l'ultimo banchetto non soltanto perché, dopo di esso, Gesù sarà condannato a morte, ma anche perché esso è prefigurazione del banchetto escatologico in cui gli uomini sono convocati a mangiare assieme, cioè a partecipare alla comunione della vita stessa di Dio. Per questo, quest'ultimo banchetto diventa segno dell'amore di Dio in cui Dio, sotto la forma di pane e di vino, si consegna agli uomini e si fa cibo per loro, cioè condivide la propria vita con gli uomini. Cristo, infatti, diventa pane che si spezza per tutti, perché tutti possano partecipare alla comunione con il Padre. Ma questa cena, oltre che essere l'ultima, contiene in sé anche una promessa futura: "Da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui io lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio" (Mt 26,29). Essa diventa così una cena di addio in prospettiva escatologica, un segno di speranza di fronte alla morte. Con essa sono inaugurati i tempi escatologici, è inaugurato il tempo di Dio, il kairoV, l'ultimo tempo, il settimo giorno della creazione. L'INTERPRETAZIONE TEOLOGICA 17 IL PERDONO DEI PECCATI "In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per farci santi e immacolati al su cospetto nella carità, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo......nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia" (Ef 1,4-5.7). Esiste, dunque, un disegno eterno del Padre che egli attua in Cristo. Tale disegno prevede la nostra elezione in Cristo finalizzata a inserirci nella vita stessa di Dio, generandoci in essa per mezzo di Cristo. Tale progetto si attua proprio attraverso il sangue di Cristo, cioè la sua morte sacrificale in croce. Essa produce due effetti strettamente connessi l'uno all'altro: la redenzione, cioè la rigenerazione dell'uomo alla vita stessa di Dio e, di conseguenza, la remissione dei peccati. In altre parole, la morte-risurrezione di Cristo comporta per noi un essere definitivamente riconciliati con Dio e resi partecipi della sua stessa vita. Infatti, afferma Paolo che "Non c'è più nessuna condanna per coloro che sono in Cristo Gesù" (Rm 8,1). SVILUPPO STORICO-DOGMATICO I Padri della Chiesa, nella loro riflessione teologica, evidenziano i vari aspetti della celebrazione eucaristica. S.Ambrogio (m.397) si sofferma sulla trasformazione dei doni in corpo di Cristo; mentre S.Agostino ne sottolinea il carattere sacramentale e della comunione della Chiesa nel corpo di Cristo. La teologia medievale si concentra sulla presenza reale del corpo di Cristo nel pane e nel vino. Essi non sono più simboli del reale, ma sono essi stessi realmente corpo e sangue di Cristo. Pertanto, la consacrazione del pane e dl vino diventa il tema principale della teologia eucaristica medievale. Pertanto, ricorrendo alla filosofia aristotelica, si incomincia a parla di "sostanza" e di "accidenti". Questi sono la dimensione empirica percepibile, la forma del pane e del vino; mentre la sostanza è l'essenza metafisica, configurata negli accidenti. Si incomincia a parlare di "transustanziazione", c'è, cioè, un cambiamento di sostanza, mentre gli accidenti rimangono intatti. In tal modo si riesce a smorzare la tensione che si pone tra il segno reale (pane e vino) e la realtà in esso significata (il corpo di Cristo). Viene qui persa tutta la dimensione di cena del Signore e di comunione ecclesiale, mentre tutta l'attenzione viene posta sulla transustanziazione del pane e del vino in corpo e sangue di Cristo. Le infinite dispute medievali sull'eucaristia, l'avevano ridotta ad un trattato di teologia filosofica, perdendone tutto il contenuto di mistero. I Riformatori cercano di restituire all'eucaristia la sua natura originaria di "cena del Signore", riportandola alla sua origine storico-biblica. Contestano, pertanto, la messa romana e incentrano la polemica su tre aspetti fondamentali: il sacrificio, la presenza reale e il calice ai laici. Respingono la messa come "reiterazione del sacrificio della croce" perché contraddirebbe la lettera agli Ebrei che evidenzia, invece, l'unicità e l'irripetibilità del sacrificio di Cristo. Quanto alla presenza reale le posizioni protestanti divergono tra loro. Per Martin Lutero vi è presenza reale nel pane e nel vino; per Zwingli non vi è presenza reale del corpo di Cristo, poiché questo è alla destra del Padre; pertanto il "questo è il mio corpo" va inteso in senso metaforico e traslato. Calvino prende una posizione intermedia tra Lutero e Zwingli: sottolinea la reale presenza di Cristo nella cena eucaristica e nella comunione al corpo di Cristo, ma non collega la presenza di Cristo al pane e al vino. La vera comunione avviene nel complesso della cena del Signore in cui Cristo ci eleva a lui mediante lo Spirito. Quanto alla negazione del calice ai laici i protestanti vedono una chiara trasgressione al comando del Signore che dice "prendete e bevetene tutti". Un inganno e una truffa, quindi, perpetrati ai danni del popolo di Dio. L'affermazione da parte cattolica che nel corpo di Cristo si riceve anche il sangue, viene respinta come una giustificazione cavillosa. 20 Il Concilio di Trento ribatterà punto su punto. Quanto alla contestazione della messa come sacrificio, risponde che essa non è una ripetizione, ma una rappresentazione, farne memoria e un'applicazione dei meriti di quell'unico sacrificio di Cristo. Quanto alla presenza reale, il Concilio difende la presenza totale di Cristo sia nel singolo pane che nel singolo vino. Di conseguenza, perde di significato la polemica del calice ai laici, poiché Cristo viene ricevuto totalmente anche nel solo pane. Il Vaticano II ha sottolineato l'aspetto del banchetto in cui si attua la memoria dei misteri della nostra salvezza e in cui la presenza reale di Cristo avviene per mezzo della Parola e del pane; una presenza che si fa reale anche in mezzo all'assemblea liturgica che lo accoglie nella Parola e nel pane. Viene evidenziato l'aspetto della comunità e della sua comunione, che si attuano attorno all'unico Pane e all'unica Parola. Essa è una comunità di sacerdoti, il celebrante, infatti, ne è il presidente, che celebra e si rende partecipe degli eventi della salvezza. UNA RIFLESSIONE SISTEMATICA SULL'EUCARISTIA IL BANCHETTO COMUNITARIO L'altare, il pane, il vino, il calice, la tovaglia, la comunità che celebra, le parole di Gesù nell'ultima cena, dicono che ci troviamo alla presenza di un banchetto comunitario. Questa cena del Signore affonda le sue radici negli antichi banchetti di Israele, che univano i partecipanti tra di loro e li ponevano comunione con Dio. Riallacciandosi ad essi, Gesù imprime a loro un nuovo significato e un nuovo senso: essi sono una chiamata e una raccolta degli uomini nel Regno di Dio, in cui viene offerto gratuitamente il perdono e la riconciliazione con Dio stesso. Acquistano, dunque, un senso messianico ed escatologico, in cui l'uomo è rigenerato alla vita stessa di Dio e ad essa reso partecipe. La vita stessa di Cristo e la sua intera missione trovano la loro massima espressione nell'ultima cena, in cui la pro- esistenza di Gesù trova la sua sintesi nel dono di sé. Dall'esperienza del Sinai fino alla cena pasquale, è sempre il banchetto il segno dell'alleanza: l'alleanza di Dio con gli uomini è realizzata e significata nell'alleanza e nella comunione degli uomini tra di loro. Mangiando e bevendo il corpo e sangue di Cristo, gli uomini sono fatti partecipi di questa alleanza e chiamati ad attuarla in mezzo a loro. Tale alleanza trova la sua massima espressione nell'amore verso Dio che si sacramentalizza nell'amore verso il prossimo. Nell'ultima cena Cristo si è fatto pane che si spezza per tutti e tutti coloro che partecipano a tale comunione sono chiamati a fare della propria vita un pane spezzato per gli altri. In tal modo il credente celebra la propria eucaristia e ne diviene segno concreto in mezzo agli uomini. EUCARISTIA: IL RINGRAZIAMENTO Mangiando e bevendo l'uomo sperimenta la propria dipendenza dal cibo e scopre che la sua vita non dipende esclusivamente da lui, ma dal dono della creazione, di cui è parte viva ed integrante. Ecco che, allora, la cena del Signore diventa una eucaristia, cioè un ringraziamento a Dio per il dono del suo amore che si esprime nella creazione, ma ancor più nel dono di suo Figlio che, nel redimerci, ci ha rigenerati alla vita stessa di Dio che, grazie a lui, anche condividiamo. In essa, dunque, ci scopriamo creature e come tali siamo chiamati a relazionarci a Dio e ad occupare il nostro spazio 21 nella storia della salvezza. Non più, quindi, l'uomo in concorrenza con Dio, ma l'uomo in un rapporto figliale e creaturale con lui. In tal modo l'uomo riscopre il senso del proprio essere e il suo mistero viene illuminato. Riscopre il senso della creazione, che vive come dono e non più come propria conquista, la custodisce e non se ne appropria, se ne sente responsabile e non la disperde e rovina. LA VENUTA DI CRISTO E LA PRESENZA DEL SUO SACRIFICIO Se "fare memoria" vuol dire attualizzare, per mezzo del ricordo e del rito, l'evento di salvezza, allora significa che la comunità celebra la "venuta di Cristo" in mezzo ad essa. Tale venuta non va limitata alla semplice presenza nel pane e vino consacrati, ma acquista una dimensione più ampia. Tale presenza non è frutto di una manipolazione umana (pane,vino e formula consacratoria), ma di un processo più ampio e dinamico. E' una presenza, innanzitutto, frutto di una promessa: "Ecco sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20). E ancora: "Là dove due o più sono uniti nel mio nome, io sono presente in mezzo a loro" ( ). Una presenza che si attua nella parola, nel pane, nella memoria ritualizzata, nella stessa comunità che celebra. E quando viene, egli viene con tutta la sua storia e nella sua dimensione di umanità redenta e definitivamente collocata nel ciclo vitale di Dio. E' una venuta, dunque, che si fa presenza, una presenza che si fa dono, un dono che, se accolto, assimila e trasforma. 22 compie su di lui è il rimettergli i peccati, il secondo è guarirlo anche fisicamente. Questo sta a significare che la riconciliazione con Dio si riverbera positivamente anche sul vivere dell'uomo e nei suoi rapporti sociali. PERDONO E CONVERSIONE NELLE COMUNITÀ NEOTESTAMENTARIE La letteratura epistolare neotestamentaria, in particola modo quella paolina, ci presenta la comunità cristiana come il luogo privilegiato del reciproco aiuto per convertirsi, come spazio di reciproco perdono e di riconciliazione. La comunità viene vista da Paolo come il luogo dove dimora lo Spirito di Dio e l'amore di Cristo. Su questi due parametri fondamentali, su cui ruota l'intera comunità, deve attuarsi la reciproca accoglienza che si fa perdono e riconciliazione. Il credente deve avere la consapevolezza che lui per primo è stato perdonato da Cristo e riconciliato a Dio per opera sua. Pertanto, amato deve amare, perdonato deve perdonare, riconciliato deve riconciliare. LE REGOLE DELLA COMUNITÀ Una volta stabilita la base teologica, su cui si svolge l'intera dinamica del perdono all'interno della comunità, si tratta ora di stabilire una regola, una procedura per dare corpo al perdono e alla riconciliazione con la comunità. Chi pecca, infatti, si pone fuori dalla comunità ed è, quindi, la comunità, sacramento dell'amore di Cristo, la titolare del diritto del perdono e della riconciliazione. Matteo, che scrive il suo vangelo intorno agli anni 80, quando ormai la comunità cristiana ha già assunto una sua stabile struttura, ci riporta una procedura del perdono articolata in quattro gradi progressivi finalizzati, da un lato, al perdono e al recupero del fratello che ha sbagliato, dall'altro, alla salvaguardia dell'intera comunità: · Ammonizione personale e individuale, fatta a quattr'occhi; · Ammonizione fatta davanti a due testimoni; · Denuncia davanti all'assemblea; · Extrema ratio, espulsione dalla comunità. (Mt 18, 15-18) La comunità è vista come depositaria del perdono divino e dotata, in proposito, di uno speciale potere divino, per cui assolvere o condannare spetta alla comunità: "In verità vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato anche nel cielo e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto anche in cielo" (Mt 18,18). Allontanarsi, quindi, dalla comunità significa allontanarsi da Dio; riconciliarsi con la comunità significa riconciliarsi con Dio, poiché Cristo è presente nella sua comunità. Infatti, "... dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18,20). I SEGNI SACRAMENTALI DEL PERDONO Stabilito che depositaria del perdono dei peccati e della riconciliazione è la comunità; stabilita la procedura attraverso cui si esplicita la dinamica della riconciliazione; la comunità, ora, individua i luoghi concreti in cui si attua il perdono e la riconciliazione. Primo fra tutti è il battesimo, che inserendo il credente in Cristo, lo riveste come di un abito nuovo e lo rigenera alla vita stessa di Dio, facendone una nuova creatura in Cristo, rinnovata per mezzo dello Spirito. Un secondo luogo in cui si attua il perdono e la riconciliazione è l'eucaristia, vista come il momento privilegiato della remissione dei peccati e della ricostituzione del peccatore perdonato nell'alleanza di Dio, di cui la comunità è il segno visibile: "Questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati" (Mt 26,28). Altro segno di riconciliazione e di perdono è l'unzione degli infermi: "... i presbiteri ... preghino su di lui, dopo averlo unto con olio nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà l'ammalato e se ha commesso dei peccati gli saranno perdonati" (Gc 5,14-15). 25 SVILUPPO STORICO-DOGMATICO La storia della penitenza all'interno della Chiesa è ricca di sfaccettature. Essa comprende, oltre alle forme ufficiali del perdono e della riammissione nella comunità, molte altre forme come, ad esempio, la reciproca esortazione, l'opera di mediazione per avvicinare le parti, la reciproca confessione dei peccati, il perdono personale e la preghiera, digiuni, elemosine, ecc. Un cambiamento importante avviene nel passaggio dalla penitenza della Chiesa antica, molto dura e non ripetibile per più di una volta nella vita, alla confessione ripetibile introdotta nel tardo medio evo dai monaci irlandesi. Nella Chiesa antica la pratica della penitenza era scandita da tre momenti fondamentali: la scomunica, durante la quale al pubblico peccatore il vescovo imponeva una dura penitenza e lo rivestiva di un abito penitenziale davanti a tutta la comunità; il tempo della penitenza, che poteva durare anche diversi anni, talvolta anche tutta la vita, durante il quale il pubblico peccatore doveva compiere la penitenza impostagli dal vescovo. I penitenti possono partecipare alla vita di comunità solo in modo limitato, mentre la comunità sostiene la loro penitenza con preghiere di intercessione. La riconciliazione è il terzo momento, in cui i penitenti vengono riammessi in seno alla comunità e con essa riconciliati. Segno della loro riammissione è la partecipazione alla comunione eucaristica. Tuttavia, anche se riammessi, gli ex penitenti dovranno sottostare per tutta la vita a delle limitazioni; saranno, comunque, sempre cristiani di serie B. Una seconda ricaduta era per l'ex penitente fatale e veniva affidato soltanto alle preghiere della comunità della comunità e alla misericordia di Dio. Due i momenti rilevanti di questo processo: la penitenza, che doveva essere proporzionata alla colpa, era vista dalla Chiesa orientale in termini terapeutici, come una medicina che cura la malattia del peccato commesso; mentre la Chiesa occidentale la concepiva in termini giuridici, cioè come colpa che abbisognava di un'adeguata soddisfazione. Il secondo momento fondamentale è la comunità che con le sue preghiere e la sua costante presenza sostiene lo sforzo di conversione del peccatore. Ma è la riammissione del penitente nella comunità che sancisce sacramentalmente l'avvenuta riconciliazione e la pace con Dio. LA REITERAZIONE DELLA PENITENZA La durezza della penitenza all'interno della Chiesa antica, che durerà fino a tutto il VI sec., fece sì che molti rimandassero la riconciliazione alla fine della loro vita, così che ben presto la penitenza scomparve dalla vita della comunità. Tale vuoto venne riempito da una nuova forma di somministrazione della penitenza introdotta dai monaci iro-scozzesi, che riportarono la loro prassi conventuale: la confessione personale e segreta dei propri peccati al priore del convento, da cui venivano assolti. Inizialmente questa prassi venne condannata dalla Chiesa come atto di presunzione (Sinodo di Toledo 589), ma infine accettata con una condizionale: questa nuova prassi valeva solo per i peccati privati, mentre per quelli pubblici valeva ancora l'antica procedura penitenziale. Caratteristiche della nuova prassi sono: a) la ripetibilità, b) la segretezza e c) la progressiva scomparsa del periodo di penitenza. Con il passaggio dalla penitenza pubblica a quella privata, il ruolo della comunità lentamente si offuscò fino a scomparire; in sua vece venne posto in rilievo quello del sacerdote. Tale confessione, considerata la vergogna che il peccatore prova nello svelare i propri riprovevoli segreti, viene considerata già di per se stessa una penitenza. Nella scolastica del XII sec. l'elemento fondamentale e decisivo, tra i tre atti necessari al penitente (confessione, dolore e soddisfazione) per il perdono è il dolore dei peccati o pentimento. La scolastica del secolo d'oro, il XIII, 26 collegherà il dolore con l'assoluzione come elementi indispensabili per la remissione delle colpe. FORME PARTICOLARI DELLA PRASSI PENITENZIALE Forme particolari sono considerate le indulgenze e la confessione ai laici. Quanto alle prime, si muovono sullo sfondo dottrinale delle "pene del peccato", cioè delle dolorose conseguenze del peccato. Le indulgenze affondano le loro radici nella prassi penitenziale della Chiesa primitiva, la quale riteneva che con la cancellazione di una colpa davanti a Dio, le sue conseguenze nella vita di un uomo, come, ad esempio, il male causato o le inclinazioni a questo, non erano semplicemente scomparse, ma dovevano essere in qualche modo "pagate". Tali conseguenze, dunque, andavano eliminate attraverso la pratica penitenziale. L'indulgenza, storicamente apparsa intorno all'XI sec., significa appunto condono di opere penitenziali, in genere molto dure e caratterizzate da una lunga durata di tempo, che vennero sostituite da altri atti dal valore penitenziale, ma molto più contenuti. Alle indulgenze si arrivò anticamente attraverso tre passaggi fondamentali: a) con il passaggio dalla penitenza della Chiesa antica, che vedeva prima la penitenza della colpa e poi la sua remissione, a quella dell'assoluzione, che ha introdotto un cammino inverso, prima l'assoluzione poi la penitenza. Si rese, quindi, necessario espiare le pene dovute al peccato, dopo che questo era già stato perdonato. b) Dal primo medioevo in poi si collegò la purificazione dopo la morte con la penitenza ecclesiale, per cui le penitenze non operate in questa vita si sarebbero dovute compiere nell'aldilà, in un apposito luogo di purificazione: il purgatorio. c) Nel XIV sec. si andò formando il concetto del "thesaurus ecclesiae", secondo il quale i meriti acquisiti da Cristo e dai santi andavano a beneficio dell'intera Chiesa, la cui autorità deteneva le chiavi al fine di dispensarle ai fedeli. La cosa, però, andò degenerando nel tardo medioevo così che l'indulgenza divenne un simbolo del potere ecclesiastico e un affare commerciale, causando le forti e fatali reazioni di una parte della Chiesa. Quanto alla confessione fatta ai laici , nella Chiesa orientale, dalla concezione più terapeutica e meno giuridica della confessione e penitenza, si legò la penitenza e il perdono delle colpe alla santità della persona, ritenuta ripiena dello Spirito in virtù della sua santità, la quale accoglieva la confessione; questa non necessariamente doveva essere un sacerdote. Solamente nel XIII sec. l'idea di "portatore dello Spirito" fu legata nuovamente al ministro consacrato. In Occidente, tra l'XI e il XIII sec., la confessione fatta ai laici nacque come funzione sussidiaria e aggiunta a quella sacramentale: si confessavano i propri peccati ad un altro cristiano nel caso non fosse possibile raggiungere un sacerdote, convinti che anche in questo modo si otteneva il perdono divino. Infatti, anche se il laico non poteva impartire l'assoluzione, il sommo sacerdote Cristo provvedeva a colmare tale lacuna. Questo tipo di confessione venne a cadere dopo Duns Scoto, il quale riteneva che essenziale per avere il perdono dei peccati fosse l'assoluzione sacramentale. ALCUNE POSIZIONI MAGISTERIALI Il Concilio Lateranense IV (1215), indetto da Innocenzo III, stabilisce che ogni fedele ha l'obbligo di confessare fedelmente al suo parroco i propri peccati almeno una volta all'anno e di eseguire la penitenza assegnatagli. Da tale affermazione si possono rilevare due considerazioni: la prima riguarda la ormai consolidata prassi della confessione ripetuta, introdotta dai monaci iro-scozzesi nel primo medioevo; e il concetto di peccato, che qui è inteso come "peccato mortale". L'obbligo a confessarsi, dunque, va applicato soltanto nel caso in cui il fedele ha coscienza di aver commesso un qualche peccato mortale. Il Concilio di Trento (1545-1563) in risposta a Lutero che riteneva la confessione deformata dalla Chiesa, in quanto essa la legava ad atti del penitente e del sacerdote e non alla "sola gratia", ribadì che la confessione era stata istituita da Gesù Cristo stesso e venne motivata con Gv 20,22: "Ricevete lo Spirito Santo; a coloro che rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi". 27