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La Mafia, Centosessant'anni di storia, 2018, Sintesi del corso di Storia Sociale

Sintesi generale del libro di Salvatore Lupo, La Mafia 160 anni di storia Donzelli editore, 2018

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 10/12/2021

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Scarica La Mafia, Centosessant'anni di storia, 2018 e più Sintesi del corso in PDF di Storia Sociale solo su Docsity! I. Origini Prima dell’unificazione italiana, Camorra era il termine usuale per indicare forme di affarismo criminale radicate nella società. La prima apparizione del termine ‘MAFIA’ la ritroviamo nel 1863 attraverso la commedia dialettale i MAFIUSI DI LA VICARIA, di Giuseppe Rizzotto e Gaspare Mosca. In tale opera, si faceva riferimento a diversi ‘’camorristi’’ palermitani che in carcere furono invitati da un detenuto politico ‘’incognito’’ ad abbandonare la via del delitto per costituire una società a difesa dei loro interessi. Il regno delle due Sicilia rifiutava le idee liberali di costituzione e centralità della legge mentre l'Italia Unita si rifaceva piuttosto a queste prerogative. Un problema enorme: la periferia siciliana non era adatta ad accogliere quelle istanze liberali di cui l'unificazione italiana del 1861 promulgava. Fu così che la Destra Storica non ebbe mai grande appoggio, anche perché utilizzava metodi autoritari o eccezionali (se meglio vogliamo dirlo); rimase un partito più che altro settentrionale La sinistra quindi assunse sempre maggior risalto, facendo leva su un affare regionalista: i risultati arrivarono con l'elezione a presidente del consiglio di Agostino DepPretis prima (1876-78/ 78-79/81-87) ma soprattutto quando venne eletto Francesco Crispi (87-91 /93-96) 1. Eredità della rivoluzione Qualcosa di simile alla mafia la ritroviamo in un rapporto di un magistrato napoletano in servizio a Trapani Pietro Calà Ulloa, il quale denunciava l’esistenza di ‘’unioni o fratellanze, specie di sette che dicono partiti’, capitanate da ‘possidenti’ o ‘arcipreti’, che si configuravano come ‘piccoli governi nel governo’. Analizzando i fatti intercorsi dal ‘48 al ‘60, ovvero le insurrezioni contro l'oppressione borbonica, bisogna analizzare quale fosse la base sociale delle squadre.. secondo le fonti gli operai (nonché giardinieri e contadini) affluivano per dare vita allo scontro Leader : Corleone = nel 1848 il partito democratico era spinto da Francesco Bentivegna grosso proprietario con parentele aristocratiche che capitanò delle squadre verso Palermo a più riprese; fu catturato e poi fucilato nel 1862 troviamo suo fratello Giuseppe, tra i comandanti delle camicie rosse sull’Aspromonte (Rosario Bentivegna fu suo pronipote) Palermo= Giovanni Corrao: partecipò ai moti del ‘48, esiliato ritornò nell'isola nel 1860 con Garibaldi. * Emanuele Notarbartolo, figlio aristocratico di famiglia di fede borbonica, dapprima combattè al fianco dei garibaldini e successivamente entrò a far parte dell'esercito per combattere il brigantaggio meridionale. Divenne sindaco nel 1873 e nel 1876 direttore del banco di Sicilia. Si contrappose ad interessi mafiosi e venne assassinato, diviene il simbolo del primo movimento definibile come antimafia. * Napoleone Colajanni, in difesa della razza siciliana ‘maledetta’, critica coloro che provano a dare al siciliano quella propria natura intrinseca di rivoluzionario; a sostegno delle tesi portate avanti di NOTARBARTOLO Quanto a coloro che furono qualificati come capimafia dopo, in età post unitaria, troviamo nella loro biografia non pochi punti di contatto con l'esperienza rivoluzionaria. In questo senso si possa dire che la mafia rappresentò il frutto tossico di una stabilizzazione post rivoluzionaria. Un esempio vi è con Nicolò Turrisi Colonna (vedi pag. 399); il quale in un opuscolo intitolato Cenni sullo stato della sicurezza pubblica in Sicilia e spiegava che le rivoluzioni del 1848-60 erano formati da uomini di sette a cui si affiliarono contrabbandieri e trafficanti vari; dichiarò come manco una presa di potere da parte del governo: anni dopo testimoniando davanti la commissione parlamentare sulla rivolta del 66 definito alle sette come Mafia. * Antonio Giammona( pag.395) La mafia trae origine e modelli dalla massoneria, condivide con essa alcuni caratteri di fondo: le cosche mafiosa e le logge massoniche sono società di confratelli che si basano sull'idea del mutuo sostegno, usano rituali barocchi per l'ammissione dei neofiti, puntano sul mantenimento del segreto. 2. Mafia e politica atto primo A seguito dell'unificazione italiana, arriviamo al 1863 dove viene applicata anche in Sicilia la legge speciale Pica, pensata per contrastare il brigantaggio: dava ampia facoltà ai tribunali militari di comminare condanne anche a morte. A Palermo il partito garibaldino si divise in tre tronconi: il primo era filo governativo; il secondo cui massimo esponente era Crispi confluì nella sinistra storica; mentre il terzo di linea radicalmente repubblicana. Quest'ultimo era guidato da Corrao, il quale sull'Aspromonte fece sparare ai soldati regi. La parola maffia venne utilizzata per la prima volta in un documento governativo, una relazione riservata del prefetto di Palermo Filippo Gualterio, del 1865. Il funzionario spiegò : si trattava di una specie di ‘’camorra’’, di un' associazione malandrinesca in rapporto malinteso fra il paese e l'autorità. Poi però puntò sull’elemento politico, affermando che la maffia era stata a suo tempo guidata da Corrao, che il suo capo era ora Badia. Insomma, la faceva coincidere col partito repubblicano, col chiaro intento di delegittimarlo. Rudinì affermava : Palermo reagisce così perché con l'unificazione ha perso la supremazia che aveva sopra tutta l'isola; fuori di Palermo non ci sono autonomisti, la rivolta è cosa tutta quanta palermitana. La mafia non era un partito politico, piuttosto le varie fazioni che la componevano si collocavano all'interno dei vari partiti: sotto questo punto di vista possiamo distinguere importanti capimafia: Salvatore Licata e i fratelli Amoroso e Antonio Giammona. 3. Due prospettive Nel 1874 l'ultimo governo della destra storica, guidato da Marco Minghetti, propose una legge per l'ordine pubblico, straordinaria e specifica per la Sicilia; un intervento legislativo del genere veniva giustificato con l'impossibilità di contrastare, con metodi normali i sequestri di persona, le rapine ed altro. Le parole chiavi oltre a mafia e banditismo, erano omertà e manutengolismo. Con quest'ultimo, la polizia indicava la complicità di cui criminali godevano non solo tra contadini, popolani, trafficanti, ma tra imprenditori agricoli ovvero gabellotti(affittuari), professionisti e sindaci di paese, notabili, persino membri dell’establishment. Mentre per omertà la mancanza di denuncia o di collaborazione delle popolazioni. Fece impressione che fosse coinvolto, un innovatore agrario, intellettuale e patriota come Turrisi Colonna il quale lamentava la tristissima situazione in cui si trovavano gli imprenditori. Leopoldo Franchetti e Sydney Sonnino, intellettuali simpatizzanti della destra, programmarono il loro viaggio inchiesta in Sicilia e lo realizzarono nel 1876. Pubblicarono l’Inchiesta in Sicilia, opera più famosa sulla questione siciliana. Problema della mafia fu analizzato a fondo nella parte scritta da Franchetti, Condizioni politiche e amministrativa della Sicilia. Franchetti considera il comportamento mafioso come il frutto non solo di un insieme di rapporti di potere, ma anche di sintonie culturali tra classi dirigenti, ceti medi e popolo, tra le diverse parti di una società invischiata in un interminabile transizione post feudale. Ritiene che tale cultura renda i siciliani non in grado di intendere il concetto moderno della legge uguale per tutti. In poche parole il comportamento mafioso originava dalla natura stessa della società siciliana. 120 anni dopo l'Inchiesta, vennero pubblicati i diari di viaggio di Franchetti; nel quale troviamo due interviste importanti: la prima a Turrisi Colonna il quale spiego che era obbligato a certe ‘transazioni’ vista l'incapacità del governo nel mantenere l'ordine. La seconda a Tajani (procuratore generale del re a Palermo e deputato dell'opposizione) il quale denunciò Rudinì dicendo: ‘principiò a impiegare assassini contro assassini, per modo che per un assassino che distruggeva ne creava quattro’ Giuseppe di Menza, Alto magistrato palermitano orientato a sinistra e per diletto saggista: a suo dire la polizia aveva somministrato alla società una polpetta avvelenata, utilizzando certi criminali come strumento d'ordine-quasi fosse un rimedio omeopatico. Questi mafiosi o presunti in un primo tempo avevano fornito qualche utile chiave della sua opera, è di dar voce alla Sicilia profonda, di collocarla al meglio nell'Italia risorta a nuova vita nel 1861; nella fattispecie, di difendere i siciliani da uno stigma collettivo inteso a costringerli ai margini della vita della nazione. La parola mafia, dice Pitrè, È stata usata in età post unitaria, da parte di funzionari pubblici, giornalisti e pubblicisti d'occasione, magari continentali, quale sinonimo di brigantaggio, di camorra, di malandrinaggio, senza essere nessuna delle tre cose. Nel fare chiarezza l'autore spiega, l'uso originario del termine: quello che nel primo sessantennio del secolo era diffuso nel quartiere popolare palermitano del borgo, indicando bellezza o comunque qualità positive dei caratteri umani. Stessa cosa fa della parola omertà: non significa umiltà, come potrebbe apparire a prima vista, ma omineità: qualità di essere omu. Insomma, virilità. L'uomo vero, cioè serio, sodo, forte secondo i codici di una cultura popolare antica, non può rivolgersi alla legge dello Stato, deve farsi giustizia da solo. Dunque la mafia-omertà rappresenta l'esagerato concetto della forza individuale tipico di certi popolani, e qualche cosa di più: coscienza di essere uomo, sicurtà d’ animo e senso dell'onore. Di certo non è setta né associazione, non ha regolamenti né statuti, se non quelli appunto della cultura popolare. III. passaggio di secolo La fine dell’800 vede la Sicilia entrare in una forte crisi economica; vi è anche il fiorire del movimento socialista dei fasci siciliani (1892-93) Nel periodo di maggior crisi siciliana, tra il 1887 e 98, i governi del regno d’Italia sono stati quasi ininterrottamente affidati a due siciliani, Crispi e di Rudinì. Entrambi misero in atto politiche autoritarie: Crispi, grande leader della sinistra post- risorgimentale, per stroncare il movimento socialista dei fasci siciliani, nel 1984 fece ricorso allo stato d'assedio. Rudinì, nel 1898 l’esercito sparò coi cannoni su una dimostrazione di popolo, facendo centinaia di morti. Successivamente abbiamo la cosiddetta ‘svolta liberale’ di Giolitti; che riconobbe la legittimità dei movimenti collettivi, tra l’altro il diritto di sciopero; e la Sicilia si confermo un'area forte del movimento contadino. Abbiamo il periodo detto del decollo industriale; la Sicilia si accodò in parte alla ripresa poiché si venne ad instaurare quella frattura tra nord economicamente sviluppato e sud arretrato che sarà prerogativa di tutta il secolo. Iniziarono così le grandi emigrazioni verso gli Usa... 1. L'assassinio di Notarbartolo 1 febbraio 1893, mentre esplodeva la protesta dei fasci siciliani, un sicario assassinò Notarbartolo, su una vettura ferroviaria in corsa da Trabia a Palermo. Raffaele Palizzolo venne indicato dalla voce pubblicato come il mandante del delitto: per i suoi precedenti contrasti con il morto e per l'appartenenza all’Alta Mafia. Non si mosse nulla durante gli anni successivi poiché Palizzolo godeva di importanti e forti amicizie politiche e non solo. Nel 1896 Rudinì salì al governo e affidò l'isola al prefetto Codronchi il quale si mostrò determinato a fare pulizia ma in effetti fece il contrario: strinse rapporti di collaborazioni con il presunto assassinio, sia su questioni importanti e non. Il presunto killer è un tale Giuseppe Fontana: esponente di punta della mafia di Villabate, territorio nel quale Palizzolo aveva proprietà ed influenze. Dobbiamo attendere il 1898 quando, divenuto presidente del consiglio Luigi Pelloux (che fu contattato dal figlio di Notarbartolo, Leopoldo), il quale nominò come prefetto, il già citato Ermanno Sangiorgi. Sotto processo a Bologna nel 1902, furono condannati Palazzolo e Fontana. Colajanni nel 1900 pubblicò il pamphlet Nel Regno della mafia in cui affermava: ‘Per combattere e distruggere il regno della mafia è necessario che il governo italiano cessi di essere il Re della mafia’ 2.Lo sguardo del questore Ermanno Sangiorgi, lo specialista in inchieste sia su mafiosi che su sovversivi. Rilevante furono le indagini del 1984, quale questore di Bologna, su un attentato alla vita di Crispi. Perpetrato da un anarchico, dimostrò che dietro si celava una setta/ complotto di una società segreta appunto il movimento anarchico. Nell’arresto e successivamente la condanna del duo Palizzolo- Fontana, fu significativo come quest’ultimo fece la mostra di arrendersi al gentiluomo e non allo sbirro, presentandosi a casa sua e non in questura , sulla carrozza del principe accompagnato dal suo avvocato. Una trattativa da potenza a potenza. Rapporto Sangiorgi: stilato tra il 1898 e il 1901, e indirizzato alla magistratura, consta di una serie di relazioni per un totale di quasi 500 pagine. Si basava su un fulcro di informazioni provenienti dall'interno ovvero dagli sconfitti in una guerra di mafia. Un nome correva sulle labbra di tutti ed era ampliamente gridato : Francesco Siino. Membro influente del gruppo mafioso di Malaspina- Uditore- Passo di rigano (descritto allora come unico) su cui già indagava proprio l'allora ispettore Sangiorgi. Stando al rapporto, questo territorio era divietò tra tre diversi gruppi guidati da Siino, da suo fratello Alfonso e da Giuseppe Giammona. | Giammona si appoggiavano su amici e parenti che guidavano i gruppi di Perpignano e piana dei Colli. | territori era confinanti, e quando entrarono in conflitto ebbero la meglio i Giammona e Siino riuscì a fuggire a Livorno. Il rapporto addebita all'’organizzazione altri delitti come: ladri e spie da punire, indipendenti da mettere a posto, gerarchie interne da definire, qualche questione privata. Ai vertici troviamo gente abbastanza agiata come impressionò Franchetti. Il rapporto descrive una mafia articolata in gruppi che prendono il nome dalle singole borgate, operano nei loro territorio e su essi rivendicano una competenza esclusiva. Nessun cenno fa a giuramenti o rituali: memore dell sconfitte degli anni ‘80, Sangiorgi teme di indebolire anziché rafforzare l'impianto accusatorio, richiamandosi a essi. Sostiene che i vari gruppi sono organizzati secondo un unico modello, che tra loro c'è un forte legame (chiamandolo federale) e un forte coordinamento (governativo). ‘ ogni gruppo spiega è regolato da un capo, che chiamasi caporione.. E a questa compagine di malviventi è preposto un capo supremo. La scelta dei capi è fatta dagli affiliati, quella del capo supremo dai caporioni riuniti in assemblea’ Inoltre il questore afferma: "sgraziatamente, i caporioni della mafia stanno sotto la salvaguardia di senatori, deputati ed altri influenti personaggi che li proteggono e li difendono, per essere poi, alla loro volta, da essi protetti e difesi. La mafia è un'associazione di delinquenti forte dell'appoggio di autorevoli proprietari.’ Vicenda Ignazio Florio pag. 64 3. Pro Sicilia Nel 1901 si arrivò al procedimento penale, processo portato avanti da Sangiorgi. Un fiasco, miti condanne per aka maggioranza degli imputati e ben 20 assoluzioni. Un problema in senso lato politico. Il questore forse sperava che dall'Elite dei proprietari palermitani gli sarebbe venuto un qualche sostegno, e invece se la trovo contro, impegnata a negare la stessa esistenza di quella cosa là, la mafia, ancorata una linea definibile come negazionista. Un esempio vi è con Pietro Lanza di Scalea, alta aristocrazia e senatore del regno: il quale definì il capo mafia Giuseppe biondo onesto lavoratore. Il senatore argomento: nell'agro palermitano non poteva esserci un'associazione di malfattori visto che non si verificavano reati contro la proprietà. La difficoltà nel vigente codice penale di inquadrare un fenomeno come l'associazione mafiosa: la mafia in effetti esiste ma consta di gruppi piccoli, tra loro slegati; non è rappresentabile, come pretende la polizia, alla stregua di una grande organizzazione criminale. La sconfitta più pesante dell'antimafia di quel periodo fu: la sentenza che a Bologna aveva condannato Palizzolo e Fontana Venne annullata per un vizio di forma dalla cassazione, e il nuovo processo che si tenne a Firenze nel 1904, si concluse con una assoluzione di tutti gli imputati per insufficienza di prove. Palizzolo ritornò a Palermo, accollato da una folle infesta; scrisse un libro come fosse reduce da torture e tormenti in seguito ad una prigione senza senso. 4. Parente spirituali La mafia si materializza ai nostri occhi come struttura vicaria della pubblica sicurezza, come elemento intermedio tra legalità e banditismo. E’ parte di fluidi reticoli relazionali che fanno capo a notabili, proprietari, funzionari statali. Il reticolo peraltro ha nuclei più sodi, definibili come cosche. Queste riescono a far fronte ai loro nemici, e mantengono una capacità di contrattazione di fronte ai loro potenti protettori, mettendo sul tavolo non le debolezze dei singoli ma la forza del gruppo, sintetizzabile nel concetto di omertà ovvero omineità, virilismo poiché la famiglia di mafia come quella massonica è composta da soli maschi mentre società segreta era dato come umiltà Pitrè: la mafia non è organizzazione, è cultura e tradizione, si colloca in una sfera nella quale valori prevalgono sui disvalori. Fa riferimento al Comparato: funzione sociale, in quel tempo e in quei luoghi, della scelta del padrino della madrina destinati ad accompagnare il bambino nel rito cattolico del battesimo. Una scelta oculata consentiva alle persone di stabilire relazioni Inter familiari di alleanza, sull'asse verticale destinato a collegare il padrino o madrina e il figlioccio, sull'asse orizzontale tra il padrino o madrina e i genitori del battezzando, divenuti appunto Compari. L'autore spiega che il popolo siciliano giudica il comparato, parentele artificiale, più importante di quella naturale. Perché si tratta di una scelta strategica, che consente di allargare nella direzione più conveniente il raggio delle alleanze, ma conservando la forza della solidarietà, calda e coinvolgente dell'istituto familiare IV. Tra Sicilia e America: prima e seconda ondata La grande emigrazione otto-novecentesca portò milioni di italiani nelle Americhe; meta privilegiata gli Stati Uniti : in certe zone di New York si vennero a formare le Little Italy. Nel 1919-20 ci fu un’altra grande ondata del fenomeno; nel 1921 e soprattutto 1924 vengono varate delle leggi molto restrittive sull'immigrazione; analogamente il governo federale vara delle legge proibendo la vendita e produzione degli alcolici. Entrambe le leggi avranno effetti perversi: alimenteranno ancor di più il contrabbando, arricchendo le mafie e favorendo ancor di più l'immigrazione nascosta. 1. Complotto Straniero La New York di inizi ‘900 era un miscuglio di criminalità organizzata legata all'industria del gioco, scommesse, prostituzione. Gli imprenditori, per garantire il normale svolgimento, assoldavano dei gunmen(pistoleri) ma contavano anche su un occhio di riguardo della polizia. Gli Irlandesi erano già dentro questo giro, mentre gli italiani no. Quest'ultimi partecipavano al cosiddetto padrone system, una forma di racket sul lavoro. Questi padroni procuravano del lavoro ai connazionali, e lavoratori agli imprenditori americani attraverso tangenti o altre modalità. Molto spesso erano loro che finanziavano i viaggi dei propri connazionali. Si collocava sul lato estremo delinquenziale, la cosiddetta mano nera, nel 1903, a cui i giornalisti riferivano come il nome di un'associazione criminale o società segreta, originatasi nel vecchio mondo e trapiantatasi nel nuovo. Nel 1908 Palizzolo sbarcò a New York, accolto come fosse una star. Dichiarò che la mafia proviene dall'arabo e significa ‘perfezione’; cercò di sminuire tutti quelli che additavano la mafia come qualcosa di nocivo per la società anzi, disse che fosse nata con i vespri siciliani per proteggerli appunto dopo secoli di oppressione. Il New York police department creò una Squadra Italiana con a capo Joe Petrosino ( pag. 397). Petrosino, in un promo tempo, paragonò i black- handers a banditi di campagna malamente trapiantati nel luogo più moderno del mondo, destinati a essere eliminato appena gli ‘italiani agiati’ si fossero resi conto dei vantaggi della legalità americana. Poi, cavalcando il crescente allarme pubblico, dichiarò che new York stava divenendo il rifugio di criminali provenienti dalle più miserabili e barbare regioni del sud Italia. La sua ‘Squadra Italiana’ provvide a diverse espulsioni, ma poteva essere espulso solo chi aveva precedenti penali. Un maggiorente dell’amministrazione municipale decise allora di spedire Petrosino in Italia per una missione più da agente segreto che da poliziotto: cioè per acquisire riservatamente informazioni sulle fedine penali dei sospettati aderenti alla Mano nera. Così nel febbraio 1909 il detective partì da New egli sarebbe stato considerato solo un imprenditore di successo. Lui e suo fratello avevano in America importanti relazioni d'affari. 2. Villalba Che si trova a Caltanissetta, paese tipicamente latifondistico. Qui troviamo Calogero Vizzini detto Don Calò (pag. 399). Il mito lo indica come il capo dei capi della mafia siciliana. Nel 1960 un libro intitolato Mafia e politica, di Michele Pantalone, socialista di Villalba, dunque compaesano e avversario politico di Vizzini. Nel 1911 il paese aveva poco più di 4.000 abitanti; i contadini lavoravano gli ex feudi Micciche e Bèlici, di proprietà della famiglia principesca Trabia e del duca Thomas de Barberin che stava a Parigi. Un paese fortemente condotto dal partito clericale; al partito cattolico apparteneva appunto Don Calò, membro della piccola élite paesana. Nel 1908 la locale Cassa rurale cattolica chiese e ottenne l'affittanza del feudo Belici anche con il contributo di Don Calò. Nel 1909 il feudo Belici venne acquistato da don Matteo Guccione di Alia. Don Calò acquistò diversi ettari trasformandosi in latifondista, nel 1917 venne arrestato ma mai incriminato. A villalba organizzazioni combattentistiche volevano occupare gli ex feudi ed il nuovo latifondista, Guccione ne aveva perso il controllo. Don Calò intervenne risolvendo la situazione e cigliando un pre accordo di compravendita con la locale cooperativa cattolica, pilotando l'operazione. Ne trasse immensi benefici e riuscì a dividere dei beni un pò per tutti. Aveva anche potere nel settore solfifero. Ottenne grossi prestiti dal banco di Sicilia e partecipò a Londra alle trattative per un cartello internazionale dell’acido solforico (1922). Vizzini non fu il capo dei capi; la sua mafia era nuova, perché capace di stare al passo coi tempi. Don Calò strinse un legame importante con Lucio Tasca Bordonaro, anch'egli latifondista ma imprenditore vitivinicolo d'avanguardia. Il suo agrarismo aveva tinte accesamente sicilianiste : diceva che il popolo siciliano riuscì a conservare nell'animo la fiaccola secolare dell’indipendenzA. 3. Vecchia e nuova politica Con l’avvento di Mussolini al governo e l’instaurarsi di un regime dittatoriale, gli storici in genere collocano la Sicilia con qualche difficoltà. AI momento della marcia su Roma, il partito nazionale fascista era quasi inesistente nell'isola, se non nel siracusano. Era in vista un assalto trasformistico al carro del vincitore, e Mussolini diede ai prefetti il compito di regolare l'afflusso: decidere a quali dei gruppi già convertiti al nazionalfascismo posso opportuno affidare la gestione degli organismi del partito, a quale dei gruppi fiancheggiatori appoggiarsi. Il punto era: come evitare che la nuova politica fosse contaminata dalla vecchia? Come condizionare la nuova e guadagnarsi uno spazio di contrattazione? Se lo poneva certo, a Palermo, il fiancheggiatore più importante, Vittorio Emanuele Orlando, forte del suo prestigio di presidente della Vittoria, della sua statura politica e intellettuale. Tommaso Buscetta, nel suo libro- intervista edito nel 1994, ha evocato proprio Orlando, vantandosi che la mafia abbia annoverato nelle proprie file anche lui, un presidente del consiglio. Si dubita fortemente che orlando si sia sottoposto ai cosiddetti riti di affiliazione; piuttosto è probabile che abbia avuto a che fare con mafiosi quantomeno quando si presentava il parlamento nel collegio di Partinico, cioè sin dal 1987. Si può trarre la sua impostazione decisamente regionalista, essendo anche parente di Pitrè. Si dispone di una sua dichiarazione del 1949 nella quale spiegava come, in tempo di collegio uninominale, si sentisse in dovere di rappresentare tutti gli interessi esistenti nel suo collegio: ‘’ ora se questa unanimità di sentimenti e di voti includesse elementi che si qualificano come mafia, non per questo verrei mano alla solidarietà che mi stringe a tutta quella gente, anche se perciò dovessi io stesso passare come un mafioso.'' Fu il più importante leader dei liberal democratici siciliani a fiancheggiare Mussolini ,ma non certo l’unico. Visto che tutti costoro, nella Sicilia occidentale, erano in qualche modo connessi a elementi di mafia, quantomeno per trarne bassi servizi di galoppinaggio elettorale, possiamo dire che la mafia per questa via venne anch'essa a fiancheggiare il fascismo. Ma per molti aspetti anche ci entrò dentro. Elezioni municipali tenute a Palermo il 2 agosto del 1925 rappresentarono l'ultima votazione libera in Italia prima che calasse sul paese la cappa del fascismo. Nel suo discorso durante il viaggio in Sicilia del maggio 1924, il duce identifica nella lotta alla mafia il banco di prova dello Stato rigenerato dal fascismo: cerca di non urtare le sempre vigili suscettibilità regionalistiche. Però pensa di poter ottenere su questi terreno nuovi consensi, in Sicilia e anche su scala nazionale. Importante è una testimonianza, datata 1937, di un medico che esercitava la sua professione a Palermo di nome Melchiorre Allegra. Un mafioso del ceto professionale, istruito, laureato. Fu medico di guerra e proprio in quel periodo si avvicinò all’organizzazione e quindi poteva concedere esenzioni; nel 1916 entrò in contatto con Giulio d’Agati,boss di Villabate collegato a Giuseppe/Joe Profaci, personaggio rispettato e temuto. Questo e altri lo portarono dentro l’organizzazione. Frequenti erano i suoi incontri con Calogero Vizzini e Lucio Tasca Bordonaro che cercava di mediare tra famiglie palermitane intente a scannarsi. Punto cruciale della testimonianza riguarda uno Stato maggiore della mafia che si riuniva in un quartiere generale del palermitano, la birreria Italia, dove con i palermitani propriamente detti confluivano molti rappresentanti di paesi che essendo diventati benestanti mediante losche attività, s'erano trasferiti a Palermo. D'altronde, precisa il medico, a Palermo sempre ha vissuto la parte più importante nella mafia, camuffata sotto le più diverse forme, umili ed elevata. Dello Stato maggiore facevano parte, tra gli altri capi mafia che erano anche amministratori comunali in provincia, altri due personaggi: Ciccio Cuccia di Piana dei Greci; c'erano anche Francesco Motisi e Salvatore Maranzano di Castellammare del Golfo, rappresentante di Trapani ma che aveva una certa influenza su Palermo. In generale Allegra, dicendo degli assetti della mafia palermitana degli anni 20, molte informazioni ci dà sulla connection americana. Racconta ad esempio di una commissione giunta da New York per sanare una guerra di mafia insorto a Palermo per la spartizione di una grossa torta, quella dei lavori di ristrutturazione del porto cittadino. Francesco Motisi era anonimo del motivi detto u miricanu, noto per i suoi soggiorni a Liverpool e new york e ritornato a fine guerra. 4. Gente di Castellammare Castellammare del golfo, cittadina marinara metà strada tra Palermo e Trapani, era un centro di mafia di una certa importanza. Tra le due guerre divenne una vera capitale della mafia siculo americana: prima del famoso Salvatore Maranzano, erano già arrivati Magaddino e Peppino Bonanno(pag. 393), compaesani e parenti per via materna. Maranzano sbarcò nel 1925 in America; dichiarò di commerciare in pesce; comprò diverse auto di lusso e svariati appartamenti. In quella fase sosteneva di occuparsi di compravendita di aree fabbricabili. Di fatto era coinvolto in due tipi di attività illecite: contrabbando di liquori con l'aiuto del giovane Bonanno che fu incaricato della scorta amata dai suoi camion. Il secondo era quello dell'immigrazione clandestina. Gli inquirenti descrissero la mafia come un orribile pestilenza che spingeva non solo nella Sicilia occidentale, ma anche oltre oceano il suo lezzo ammorbante. Dissero quel traffico organizzato in maniera perfetta secondo il principio della divisione del lavoro: alcuni procuravano falsi documenti presso il municipio del paese e altri a Palermo, c'era chi organizzava viaggi via Tunisi-Marsiglia, chi nel luogo di arrivo attendeva i clandestini per provvedere alla loro sistemazione, e veniva addirittura Garantita in tutto o in parte la restituzione delle somme pagate a coloro che, incappati nella vigilanza USA, fossero stati rispediti indietro. Dunque la proibizione dell'immigrazione come quella degli alcolici, provocò effetti perversi; non spezzò la catena migratoria ma ne pose una parte importante sotto il controllo di gang mafiose intercontinentali.. Risultato finale: la loro influenza crebbe ancora. Bonanno trae insegna da Maranzano, non solo nel modo di operare ma anche nel vestire e nel saper dialogare. VI. Davanti al fascismo L'operazione antimafia del fascismo cominciò il 23 ottobre del 1925, quando Mussolini nominò prefetto di Palermo Cesare Mori. Con l'avvento del fascismo, lo stato stava cambiando e la mafia era cambiata. L'operazione mori fu forse, più di ogni altra, pensata per dare un senso al fascismo nel mezzogiorno. L'idea di base: nazionalizzazione delle masse e periferie ad ogni costo. Il tutto venne valorizzato, com'era nella natura di quel regime, sotto il profilo propagandistico. Fu garantita una massiccia copertura mediatica a livello nazionale, e internazionale. E con successo: anche il ‘New York times’ cantò le lodi della ‘guerra di Mori contro la mafia’, proclamò la ‘nascita della nuova Sicilia’, la rottura di un dominio mafioso fatto risalire addirittura dall'antichità classica greca. Quando nel 1929 Mori lasciò il suo incarico, il regime proclamò di aver ‘bonificato’ la società italiana. Di averla omologata a quella nazionale, tant'è che le porte di casa potevano essere lasciate aperte e i treni arrivavano in perfetto orario. Qualcuno ancora oggi è convinto che abbia annientato la mafia. Invece si sa che negli anni 30 vennero istituiti nuovi organismi speciali investigativi, avviare nuove operazioni repressive. Però stavolta in piena riservatezza, allontanando le manie di propaganda. La battaglia non è stata vinta: il nemico è forte quanto se non più di prima 1. Con la mafia ai ferri corti Nel 1917 Mori, col grado di vicequestore, fornì in Sicilia un grande contributo alla lotta contro il banditismo. Forte di questi successi, sempre nel 1917 divenne questore e nel 1920 prefetto. Il suo protettore politico era Francesco Saverio Nitri, presidente del consiglio di area liberal-democratica. Con l'avvento del Fascismo fu sollevato dall’incarico ma nel 1924 Mussolini aveva bisogno di uno esperto come lui e lo promosse come questore di Palermo. Si adattò perfettamente allo stile e agli intendi del fascismo. Si fece cedere a cavallo, armato di schioppo, anche in camicia nera. Invitò anche a un riarmo ideologico. 1) IL popolo: il superprefetto organizza oceaniche adunanze durante le quali risuona immancabile l'appello all'auto difesa individuale e sociale, l'esaltazione del coraggio di chi non cede e impugna le armi. .Cerca punti di contatto, un codice di comunicazione con la cultura regionale, richiamarsi alla fierezza per reagire alla prepotenza; al coraggio per reagire al delitto; alla forza per reagire alla forza; al moschetto per reagire al moschetto. 2) | Campieri: appone un distintivo sul loro petto singolarmente (con i siciliani ci vuole il rapporto personale) in cui sta scritto ‘la forza che difende la produzione’. Morì pensa che per guadagnarsela la fedeltà, o l'obbedienza, lo Stato fascista debba mostrarsi più mafioso dei mafiosi. 3) | PROPRIETARI: ribattezzati produttori secondo il linguaggio corporativo. Mori dichiara la propria simpatia nei loro confronti, i dipinge come vittima di uno stato di necessità, li invita ad abbandonare i mafiosi al loro destino. Sostiene le organizzazioni sindacali del regime che cercano di eliminare il sistema del grande affitto passando alla gestione diretta, in modo da annullare gli intermediari, insomma i gabellotti. Fa finta di non accorgersi che l'eliminazione del subaffitto programmata nei documenti resta lettera morta: sparirà solo quella parola(gabellati) ma non il sistema di relazioni economiche cui da sempre si riferisce. 1926-28 le grandi retate: consistenti nuclei di forza anche ottocento tra carabinieri, uomini della milizia e agenti di PS si spostarono dall'uno all'altro paese, occupandoli militarmente in successione. Commento consultivo fatto da un deputato liberale agrigentino in una lettera indirizzata a morì nel 1929, nel momento in cui costui lasciava il suo incarico di prefetto: l'azione nel complesso era ad aggiudicarsi positivamente, ma non potevano essere dimenticate le notti di San Bartolomeo, in cui per arrestare 50 malviventi si travolgevano nell'abisso altrettanti galantuomini. Accadeva che si deportassero in massa i parenti dei latitanti. 2. Gangi Qui avvenne una delle operazioni di Mori più massiccia del suo mandato; Gangi era da sempre la capitale del banditismo madonita, e del più spudorato manutengolismo dei latifondisti. La novità, stando agli inquirenti degli anni 20, consisteva nell'identificazione tra banditismo e mafia; fatto che non è poi così nuovo; le novità 2. Sotto processo anche in America Sino a quel momento, la criminalità di New York andata al potere col proibizionismo aveva goduto di sostanziale impunità. Può dirsi che le varie fazioni si selezionassero da sé, accumulando denaro e amicizia, eliminando i concorrenti a raffica di mitra. Nel corso degli anni 30 le cose cambiarono radicalmente, e non solo per l'abolizione del proibizionismo ma per un nuovo attivismo delle istituzioni pubbliche sul fronte della repressione. La legge, e non la concorrenza mise fuorigioco i top gangster di Manhattan nella fase successiva. Nei nuovi tempi, sopravvissero quelli che seppero evitare l'urto. Nel 1929 crollata la borsa, la grande d'espressione aveva colpito pesantemente il nuovo mondo; la popolazione era più restia a tollerare corruzione e pratiche di questo tipo. La svolta la si ebbe con Roosevelt presidente; avviato il new della elesse Herbert Lehmann come governatore di New York e sindaco Fiorello La Guardia. Il nuovo sindaco rappresentò una svolta dai precedenti, parlando italiano ed ebraico crebbe la sua popolarità anche per la vena anti-corruzione e criminalità. Fu eletto Thomas Dewey 1935 special prosecutor, ciò una figura che scavalcava le normali funzioni istituzionali che non avevano concluso un bel nulla. Il suo compito era quello di catturare il mafioso di origine ebraica Dutch Schultz; che però di lì a poco finì assassinato. Le attenzioni si spostarono su Luciano, nel 1936 fu arrestato e processato per sfruttamento della prostituzione aggravato dall'utilizzo di metodi costrittivi. Gli furono dati 30-50 anni di reclusione da scontarsi in un carcere di massima sicurezza. Nel 1937 Vito genovese, preferì scappare in Italia. Luciano viene definito capo dell’Unione Sicilian, organizzazione di gangster italiani, prima ancora che di una figura dominante nella criminalità organizzata America. Sembra che Unione Siciliana fosse la denominazione ufficiale di un'associazione di Chicago accusare di fiancheggiare AI Capone; la parola mafia era scomparsa con la guerra dal dibattuto pubblico americano. Ma il concetto scacciato dalla porta tornava alla finestra con un altro nome, e il retaggio del vecchio mondo, nonostante tutto, continuava ad aleggiare sul nuovo.. Nei primi anni trenta Luciano e i suoi alleati ebrei formavano sicuramente l’elite del crimine, mentre gli uomini della seconda ondata erano ancora all’inizio del loro percorso. Mangano rappresenta il tratto d'unione tra la mafia siculo americana della prima e quella della seconda. 4. Fronte del porto Era attraverso il porto di New York, che gli italiani importavano la morfina provenienti da fonti europee, andando ad alimentare l'intero mercato della costa orientale. Ben tre membri del gran consiglio o commissione avevano la loro roccaforte in quel punto di giunzione tra vecchio e nuovo mondo (Vincent Mangano, suo fratello e Joe Profaci) Vincent Mangano: dopo essere entrato in gir. importanti con il proibizionismo, si era convertito agli affari legali, venendo annoverato tra i più importanti e più inseriti esponenti dell'import export business tra Stati Uniti e Italia. Profaci: suo antico socio nel contrabbando, si era inserito nell'industria tessile di Manhattan ma soprattutto nel commercio dell'olio d'oliva. Entrambi soprattutto davano lavoro a immigrati legali e più spesso clandestini. Nel porto svolgeva un ruolo dominante il sindacato degli scaricatori, ILA che per 25 anni fu guidata da Joseph Ryana, irlandese. E si controllavano i moli del Nord o del’Hudson, mentre gli italiani controllavano i moli di Brooklyn, detti Camarda locals dal nome del vicepresidente dell’Ila Emil Camarda, strettamente imparentato con i Mangano Il sindacato concedeva o negava quotidianamente la possibilità di sbarcare il lunario a ben 30-40.000 lavoratori, in gran parte precari, inquadrati in 31 local sindacali. Questi local erano gestiti da boss che erano i proprietari di ben 31 moli. AI porto il duro per eccellenza era Alber Anastasio, della seconda andata proveniva dalla Calabria 1919 5. Ombre del fascismo nel nuovo mondo In barba ai codici omertosi, i mafiosi usano trescare con gli apparati di sicurezza. In barba all'antimafia del fascismo, i mafiosi italo americani tre scavano con gli apparati del fascismo, muovendosi tra luna e l'altra sponda: non ci stupiamo più di tanto nel trovare nel nome dello stesso grande boss castellammarese, Giuseppe Joe Bonanno, Tra quelli degli informatori stipendiati dal dell'ispettorato di pubblica sicurezza per la Sicilia nel 1938. Non credo lo facesse per denaro; lo faceva per una ragione politica, per mantenere i rapporti. La politica dei gangster d'altronde seguiva quella della larga parte degli italoamericani che considerava il fascismo come parte del legame di solidarietà con l'antica patria. Su questa linea c'erano i corner boy di Little Italy, come quello intervistato dal sociologo Whyte, secondo cui Mussolini aveva fatto più di ogni altro per ottenere che il popolo italiano sia rispettato. Poi la grande storia intervenne a cambiare radicalmente i termini della questione, tagliando gli equivoci con l'ingresso in guerra dell'Italia al fianco dei nazisti, l'aggressione giapponese a Pearl Harbour, la dichiarazione di guerra italiana gli Stati Uniti. A quel punto gli americani guardarono al Little Italy non più soltanto come luoghi di raketeer e politici corrotti, di povertà e crimine, ma come a enclave nemiche, dove c'era il rischio che la gente fosse più devota al fascismo e all'Italia che alla democrazia e agli Stati Uniti. Per gli italo americani, il filo fascismo non era più un'opzione plausibile. VIII. Tempo di guerra 1940-1941, siamo in un periodo di guerra che scombussolerà gli assetti mondiali. Gli Usa ne usciranno generati, vincitori. Mentre la guerra, ha falciato l’Italia; si prospettava una nuova democrazia repubblicana. Con l'operazione Husky, la Sicilia fu il primo luogo dove gli Usa entrarono e la Sicilia fu la prima regione in cui si avviò la transizione post fascista. La Mafia americana partecipò allo sforzo bellico; quella siciliana rinsaldò i propri legami transoceanici e prese posizione nella caotica transizione tra vecchio e nuovo Mondo—-> non di rinascita: anche durante il periodo fascista, essa non è mai morta 1. America: sovraprofitti di guerra Generoso Pope. Direttore del Progresso Italo Americano, negli anni 40 cerco di mantenere il piede in due staffe, quella del patriottismo americano e quella filo- fascista. Joe Bonanno( pag.393). Ottiene la cittadinanza America, strinse all’allenaze con gli eredi di AI Capone a Chicago, acquisendo proprietà di affari propriamente ‘legali’ Stefano Magaddino. Famoso per offrire lavori/ servizi essenziali ai cittadini di New York Carlo Gambino (pag.395) riuscì a fiorire negli affari dagli anni ‘40 in poi Frank Costello. Crebbe la sua influenza politica, riuscì a tener lontano la polizia dai suoi amici che gestivano attività 2. Gli americani incontrano la Mafia Secondo il Project Underworld: Luciano avrebbe funto da mediatore in vista di un accordo tra i servizi segreti americani e la mafia siciliana inteso ad agevolare lo sbarco degli alleati nell’isola, o addirittura per garantirne loro una facile vittoria nella battaglia di Sicilia. Nei referti Fbi nulla risulta di tutto ciò; non risulta che prima dello sbarco gli Alleati abbiano infiltrato nell'isola agenti segreti in grado di gestire trattative del livello presupposto dai sostenitori del grande complotto; si sa solo di un commando sbarcato a gela insieme ai reparti alleati di prima linea, e incaricato di contattare malavitosi già espulsi dagli Usa, i cui nomi erano stati forniti da contatti americani; peraltro nemmeno dietro questo episodio possono intravedersi progetti di vasto respiro, considerando che il gruppo in questione era stato formato un mese prima, allorché il comando della flotta aveva scoperto che <<hnon aveva ufficiali del servizio informazioni che parlassero italiano.>> La mafia di certo non ebbe niente a che vedere con l'andamento delle operazioni militari. La marina e le truppe italiane cedettero di schianto per ragioni legate alla crisi del fascino, dei suoi rapporti con la monarchia e la pubblica opinione; mentre per i tedeschi la battaglia di Sicilia, rappresentò un successo, visto che riuscirono a sganciarsi nonostante la schiacciante superiorità nemica. Invece la documentazione, sia sul versante dell’Oss sia su quello Amgot, dimostra che gli americani incontrarono la mafia dopo essere sbarcati nella sua terra d'origine; se ne dovette occupare Charles Poletti, tenente-colonnello, convinto che la mafia fosse solo una costruzione mentale. In alcuni paesi della Sicilia Occidentali, elementi di mafia o vicini alla mafia si proposero come interlocutori agli ufficiali statunitensi che cercavano qualcuno cui affidare il suolo del sindaco, e se ne conquistarono la fiducia: a Partinico i mafiosi liberarono i loro accoliti in prigione; a San Cipirello il capo-mafia Salvatore Celeste ‘’in occasione dell'arrivo delle truppe americane ha ritenuto che le leggi fossero interamente decadute ed a stretto di più le relazioni con i pregiudicati dal luogo, da lui dominati, e con i componenti del comitato amministrativo comunale, formato, in parte, da elementi dimessi dal confino di polizia.’’ L’ Amgot si rese conto quasi subito del problema e chiese ai carabinieri - che cos'è la mafia, chi sono i mafiosi? Ne ricevette un impressionante elenco dei curricula criminali di centinaia di individui. La rotta venne corretta, e fu Poletti in persona a ordinare che i sindaci con precedenti penali rassegnassero le dimissioni. Gli approvvigionamenti alimentari erano il problema del momento, e al crescere del mercato nero si accompagna una nuova ondata di banditismo. Il caso più gravido di futuro fu quello di Salvatore Giuliano (pag. 395), figlio di emigrati di ritorno da Brooklyn. Il 2 settembre del 1943 ucciso un carabiniere che l'aveva intercettato in campagna, si diede alla latitanza senza mai allontanarsi dal suo paese e dai territori circostanti montani, crea una banda dedita in particolare ai sequestri di persona. L'Amgot si chiedeva se fosse il momento di iniziare una massiccia operazione di repressione della mafia in stile Mori, o se non la si dovesse piuttosto utilizzare per contrastare il banditismo. 3. Separatismo siciliano All'indomani dello sbarco degli alleati, fu creato il Movimento per ‘l’indipendenza della Sicilia; leader Andrea Finocchiaro Aprile(figlio di Camillo) e Lucio Tasca Bordonaro: il Mis dipinse se stesso come un movimento di massa, rappresentativo dell'intero popolo siciliano; nella realtà esso apparve forte solo nella primissima fase, quando la politica di massa non esistesse non era anche possibile. Il Mis riuscì ad influenzare gli Alleati per le nomine dei sindaci: a Palermo abbiamo Lucio Tasca Bordonaro; a Villalba Calogero Vizzini. Vi fu una protesta quando nel febbraio del 1944 gli alleati riconsegnarono l'isola all'amministrazione del governo italiano (allora retta da Badoglio), il quale istituì un alto commissariato per la Sicilia. La vicenda del Mis È importante ai nostri fini perché in questo momento si schierano un po' tutti mafiosi che erano segnalati, o si sarebbero in seguito segnalati, all'attenzione della cronache. Possiamo dire che con il separatismo la mafia, per la prima e l'ultima volta nella sua storia, si identificò con un partito anziché inserirvisi strumentalmente. In un certo senso ne condivideva l'ideologia: invasione straniera, crisi catastrofica dello Stato nazionale, separazione di fatto della Sicilia dal resto d'Italia, collasso di molte strutture civili e chissà quali futuri rivolgimenti. Calogero Vizzini: aderì al movimento separatista senza mai abbandonare i suoi legami cattolici, con la nascente democrazia cristiana rappresentata a Villalba da suo nipote. Una svolta si ebbe nel settembre del 1944 quando Vizzini e i suoi a colpi di pistola attaccarono il leader comunista Girolamo Li Causi il quale stava tenendo un comizio e criticando l'operato di Vizzini. Alla fine del 1944 fu istituita da parte dello Stato italiano, una consulta regionale che aveva il compito di di disegnare l’istituenda autonomia per la questione siciliana, prima ancora che la collettività si esprimesse in libere elezioni, e riunitasi nel febbraio 1945. Composta da elementi del Con, notabili pre fascisti ma anche simpatizzanti del Mis. Di tutta risposta, in una proprietà di Tasca, fu istituita l’evie, una sorta di esercito clandestino separatista composta da bande brigantesche. Di certo la mafia fu chiamato a partecipare all'impresa; Salvatore Giuliano fu promosso a colonnello dell’Evis; il governo Parri (3 ottobre 1945) replico decretando l'arresto di Finocchiaro Aprile e di altri capi del movimento. Lo statuto regionale siciliano venne varato dalla consulta alla fine dell’anno, E nella primavera seguente recepito dallo Stato. E' tutt'oggi in vigore. si sentiva danneggiata da quel sistema; come non si sentiva danneggiata dall'altra attività di punta dei mafiosi, il contrabbando di sigarette. Tornando al sacco edilizio di Palermo; aveva meccanismi perversi che non potevano venire fuori. Li rivelò nel 1964 l'inchiesta ministeriale affidata al prefetto Bevivino: manipolazione dei piani regolatori, appalti truccati, licenze facili, società di comodo. l'Ora sarcasticamente parlò di un comitato d'affari VALIGIO (vassallo lima gioia). Bene insomma lo scambio tra le due nuove entità, la politica fanfaniana e la mafia più o meno imprenditrice, la loro sostanziale omogeneità. Nel 1962 quando Giuseppe D'Angelo, presidente del primo governo di centro sinistra della regione siciliana decise di dare un segnale il parlamento siciliano attraverso i suoi deputati chiese al parlamento nazionale l'istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta della mafia.. E nel dicembre 1962 la commissione venne in effetti costituita. Sull'altra sponda abbiamo la PRIMA GUERRA DI MAFIA X. La cosa nostra La testimonianza più importante fu quella resa nel 1963 dal gangster italo americano Joe Valachi, che ricordiamo membro della squadra di killer di Maranzano nel corso della guerra castellammarese di trent'anni prima. Il testimone indico con il termine Cosa Nostra l'organizzazione che negli Stati Uniti era stata in precedenza chiamata in varie maniere, oltre che mafia. Termine che mai era comparso sia nel vecchio che nel nuovo mondo; nel 1973 la confessione del mafioso palermitano Leonardo vitale, introdusse tale termine nel vecchio mondo. Nel 1984 Buscetta la utilizzò nella più importante confessione di un protagonista del sottomondo mafioso; egli preciso: è cosa nostra il nome vero, in Sicilia come negli Stati Uniti. Buscetta aveva esperienze sia in Sicilia che in America infatti veniva chiamato il ‘Boss dei due mondi’ 1. La svolta, 1957-1963 Quindi la svolta l'abbiamo nel 1957: viene ucciso il capo della commissione Vincenzo Mangano; lo sostituì Bonanno, boss castellammarese, esponente di una mafia che aveva capisaldi su entrambi i versanti dell’oceano.. Il piano era: a Palermo riorganizzare con la collaborazione dei siciliani i flussi del narcotraffico ed evitare di scannarsi a vicenda; sul versante americano mettere le élite criminale italo americana di fronte agli accordi siglati oltre oceano, e guadagnare in credibilità in una fase caratterizzata da grandi conflitti interni, da rivolgimenti di gerarchie. Con Hoover a capo del FBI, il quale diceva che oltre all'impegno contro il comunismo vi doveva corrispondere quello contro il crimine, nel 1959 venne imprigionato e sentenziato Vito Genovese che si trovò faccia a faccia in carcere con Joe Valachi : bisogna capire come mai quest'ultimo abbia chiamato l'organizzazione non mafia ma la cosa nostra 2. Uno sguardo nel sottosuolo È possibile che Cosa Nostra fosse un antico nome iniziatico della segreta società, rimasto sino ad allora ignoto ai profani; negli anni 30 però in Sicilia era venuta fuori la parola base del prima del dopo, sull'una e sull'altra sfondo: Famiglia = indica, quanto è più di cosa nostra, un valore indiscusso nella società, bene rappresenta la necessità di un'ampia legittimazione che caratterizza questo tipo di criminalità. Infatti negli anni 20 l'organizzazione mafiosa era definita unione siciliana dai giornali, però dagli affiliati era detta la famiglia Pare indicativo il fatto che il termine cosa nostra si sia materializzato prima in America e dopo in Sicilia. Diego gambetta, sociologo, : nel nuovo mondo i mafiosi sentivano il bisogno, più che nel vecchio, di un nome con cui definire se stessi, attraverso cui distinguersi dalle altre bande della criminalità etnica. Quello che salta di più nell'importante testimonianza/ confessione di Valachi del 1963 è che gli affari in cui si impegnava, i capitali che impiegava, gli oggetti che comprava e vendeva, gli avvocati cui faceva ricorso, erano proprio suoi, non della famiglia. Non descrisse se stesso come la rotella di un compatto ingranaggio, bensì come un imprenditore che gestiva per proprio conto e nel proprio interesse, che costituiva joint-Venture di varia natura con personaggi di varia estrazione, che si muoveva in un mondo variegato di affarò e clientele. Iniziò come un affiliato per scalare le vette; egli parla di ‘Mutual protection’ Interessante è citare la confessione del 1980 di un ‘associato’ della famiglia Lucchese: pressoché tutti gli affiliati erano impegnati, a un qualche livello, in affari di vario tipo. Erano tutti piccoli imprenditori; non indipendenti. La fonte utilizza il termine "associato": a indicare elementi che non sono stati ammessi al giuramento, e che si collocano sotto la protezione di un ‘affiliato’. La droga, il traffico di droga, era il principale problema delle famiglie: le polizie locali erano tolleranti verso le altre attività seppur criminali, ma la droga destava malcontento nell'opinione pubblica; volevano che la droga fosse un affare di famiglia, controllata solamente da essi. Ma la droga forniva immensa opportunità di profitto e quindi tutti volevano approfittare di essa dagli associati agli affiliati. 3. Narcotrafficanti Nella super testimonianza di Buscetta, nemmeno quest'ultimo avalla l'idea che gli affari dei mafiosi venissero gestiti da un'unica super organizzazione centralizzata. A proposito del contrabbando di sigarette, spiega che le famiglie palermitane consentivano ai contrabbandieri di tabacco di operare, in cambio di un diritto dei singoli mafiosi di entrare soci in quegli affari. Investigatori della Guardia di Finanza dicevano: le cosche imponevano sul contrabbando una tangente. Ne consegue che ogni mafioso, per usufruire in concreto del diritto di entrare in quegli affari, doveva avere del denaro da investire: impiegava risorse individuali e ricavava profitti individuali. Questo giro si allargava a più famiglie,, oltre che con soci, con fornitori, con clienti esterni: creando nuovi incroci e nuove alleanze. Buscetta negava il suo commercio di droga, dicendo che non era un'attività di rilievo per i mafiosi siciliani (riguardo gli anni 50 e 60); ammettendo invece di aver contrabbandato tabacco. Si era mantenuto anche sulla negativa per quanto riguarda i boss di cosa nostra americana: poco inclini alla violenza non erano solito impegnarsi in attività illegali, quindi era assolutamente vietato commerciare in droga. Stando a Buscetta, Bonanno insistette perché i Siciliani- sul modello americano - costituissero una loro Commissione Secondo gli inquirenti, i siciliani fungevano da intermediari tra i produttori della materia prima (localizzati in Estremo o Medio Oriente), i raffinatori ( che erano Marsigliesi), i distributori e i consumatori (statunitensi). Ogni partita di droga in partenza dalla Sicilia veniva finanziata in diverse percentuali da vari gruppi mafiosi. 4. Filologia La strage di Ciaculli del 1963 rappresentò uno spartiacque : una nuova pericolosità, una nuova arroganza; non si poteva ripetere più il mantra: tanti si uccidono tra loro. La commissione antimafia già era presente, ma solamente dopo tale strage si attivò proficuamente. Secondo il super testimone Nick Gentile, l'onorata società serve a evitare il bellum omnium contra omnes, sa regolare la violenza, compresa la propria. Dipinge il vero capo come colui che sa imporre il rispetto della legge mafiosa. Nel 1961 Sciascia pubblicò il Giorno della civetta: sullo sfondo c'è il precedente della repressione fascista, molto inquietante per un democratico: l'autore sottolinea, magari controvoglia, che è stata efficace proprio perché non condizionata dalla necessità di rispettare i diritti politici e civili. Nel 1964 scrisse Filologia, ambientata in quegli stessi anni: racconta del dialogo tra due personaggi che, per comodità chiameremo il notabile (più colto, più vecchio, socialmente più elevato) e il capo cosca (più giovane, meno istruito). Il notabile ammaestra il capo cosca nell'eventualità che sia interrogato dalla commissione antimafia. Dice: quando ti sarà chiesto che cos'è la mafia, dovrai rifare il ricorso a quella "scienza delle parole", ho appunto filologia, che per tanti anni al lavorato non a chiarire il significato della parola mafia, ma ad occultarlo; È tutt'oggi può fornire il suo contributo, ‘alla confusione, si capisce’. Dovrai in particolare fare riferimento agli argomenti di Pitrè. Noi sappiamo che avvocati e protettori dei mafiosi avevano citato il grande etnologo appunto per confondere i loro interlocutori, sostenendo: la mafia non esiste, ma se esistesse sarebbe una cosa diversa da quella che voi dite, sarebbe non criminalità ma cultura; non organizzazione ma comportamento. | capocosca non è convinto: vuole utilizzare il metodo a lui più congeniale ovvero quello della violenza; ma il notabile: se facciamo ricorso alla violenza ci scopriremo, noi siamo uomini d'onore e come tale dobbiamo agire. Sciascia con le sue opere cerca di registrare una dialettica interna alla mafia ed esterna destra: cioè l'avvio di un meccanismo sfida-risposta con lo stato del quale dobbiamo tener conto, se si vuole capire l'escalation successive. 5. Senza unghie La strage di Ciaculli rappresentò un trauma e un punto di discontinuità. Riassorbito però dal punto di vista politico; Salvatore Lima torno a fare il sindaco tra il 1965 e 68; dopo di lui nel 1970 Ciancimino anche se per un breve periodo. Lima nel settembre del 1969 dichiarava al Corriere della Sera: la commissione antimafia cerca di scoprire una cosa che non c'è; non esiste, nel modo più assoluto; era solo un modo di denigrare la città, che avrebbe fatto scomparire quel poco di turismo che c'è. Cesare Terranova fu il giudice istruttore che più si distinse nel mettere sotto pressione la mafia, portando alla sbarra nel 1968 l'establishment della mafia palermitana in massa: tra cui anche Buscetta. Ci furono molte assoluzioni, la maggior parte dei capi mafia poté tornare subito al centro della scena e quindi il saldo fu negativo. Cesare Terranova dichiarava: la mafia non è uno stato d'animo, è criminalità organizzata articolata in aggregati o gruppi o famiglie o meglio ancora cose; non esiste mafia vecchia e mafia giovane, buona o cattiva, esiste la mafia che è associazione delinquenziale. Così come nel periodo fascista, durante i processi Terranova lo strumento base rimaneva quello del periodo fascista: il rapporto di polizia con le sue fonti confidenziali che tuttora non volevano ne potevano essere nominate in giudizio. Logico che Natalia pubblicano, quel tipo di prova risultasse in tribunale ancor più fragile. Strage viale Lazio 1969 Entra in auge la figura di Gaetano Badalamenti; Assassinio Scaglione 1971; nel 1971 Sciascia pubblicò il Contesto, un romanzo che raccontava una sequenza di assassini di giudici, dovuti a un complotto politico, non mafioso. Lo scrittore negò di aver preso spunto dal delitto scaglione, eppure la connessione prese forma naturalmente nella mente di molti. 6. Altre rivelazioni Leonardo Vitale veniva da antica famiglia di mafia, ma era un giovane di fragilità emotiva, orfano fin da piccolo ed affascinato dalla figura dello zio e soprattutto dimostrare di essere un uomo vero per respingere il sospetto di omosessualità che covava in se stesso. Ma nonostante ciò per conformarsi, effettua quello che è il rito: quindi entra a far parte di un'organizzazione radicata in quel territorio attraverso le generazioni, che poi sono anche quelle della sua famiglia di sangue. Quindi inizio ad effettuare i crimini sotto la famiglia Altarello-Porta Nuova guidata da Pippo Calò (mai crimini individuali): era immischiato nel rapimento del figlio di Ciancimino; nel 1972 arrestato per sequestro di persona e rilasciato poiché non c'erano prove. Nel 1973 si presentò alla polizia e disse tutto: dei delitti commessi da lui e dagli altri della sua famiglia, della struttura di cosa nostra, dei suoi segreti e dei tuoi giuramenti. Lo fece spontaneamente, senza concordare la propria collaborazione con le autorità, di modo che le sue rivelazioni ci appaiono più genuina di quelle di Valachi e Buscetta. Lui stesso ci appare un pentito vero: rinchiuso in un manicomio e dichiarato pazzo, mostra in quella sua pazzia un metodo e un sapore di verità: si cosparge di escrementi per purgarsi dal peccato, brucia i vestiti acquistati con il prezzo del sangue, conserva il proprio affetto allo zio ma maledicendo il loro comune retaggio. Riflette sulla propria incapacità di percepirsi come singolo: "non mi è mai importato niente di me, della mia vita ossia davo solo importanza agli altri", "ammiravo tutti gli altri”. È consapevole di soffrire di un male psichico, provocato da un male sociale e da un male politico: la mafia. Si convince del carattere menzognero della mitologia mafiosa. Però l'occasione | corleonesi ordinarono l'uccisione di una quantità di parenti di Busetta. Vennero uccisi in gran quantità parenti dello stesso Badalamenti. Fu sterminato l'intero establishment della mafia di Castellammare; i corleonesi, o per meglio dire i loro alleati locali, posero fine per sempre l'antica connection siculo-americana castellamarese. 4. Terrorismo mafioso atto primo Quindi la mafia sta prendendo la strada del terrorismo mafioso: indichiamo una strategia omicida rivolta contro personaggi eminenti del mondo di sopra ovvero politici, giornalisti e uomini dell’istituzioni. Assassinio di De mauro 1970; quello di Scaglione 1971; 1977 uccisione del colonnello Giuseppe Russo, collaboratore di Dalla Chiesa. 1979 assassinio del cronista Mario Francese: nel giornale di Sicilia descriveva i contrasti tra le fazioni mafiose e l'ascesa dei liggiani(così chiamava i corleonesi), basandosi su informazioni dategli da Russo. Nel 1978 fu assassinato anche Di Cristina ( il boss di Riesi) il quale stava dando informazioni relative ai corleonesi e tra l'altro l'attentato che stavano perpetrando ai danni del magistrato Terranova. La Repubblica era e si mostrò ancora senza unghie: non protesse il magistrato Terranova il quale fu assassinato nel 1979. Nel 1980 ci fu l'assassinio del procuratore generale palermitano Gaetano Costa: per far fronte a alle esitazioni dei suoi collaboratori, aveva firmato da solo, contro la prassi, l'ordine di cattura contro i membri della gang Spatola-Inzerillo Nel marzo 1979 fu ucciso il segretario provinciale del partito della democrazia cristiana Michele Reina; e nel gennaio 1980 il presidente della regione Piersanti Mattarella. Poco si sa su mandanti e momenti specifici di questi delitti. Mattarella nel gioco delle correnti democristiane, era sempre stato sulla linea di Aldo moro, favorevole a un'apertura al Pci; il movente mafioso può essere spiegato così: bloccare lui ed evitare che altri fossero tentati dal suo esempio. | delitti di Reina e Mattarella ci fanno capire che all'interno della democrazia cristiana qualcuno stava provando a sottrarsi ai condizionamenti mafiosi. Pesanti restavano comunque le responsabilità passate e presenti degli uomini di questo partito, e i casi di fiamcheggiamento. Emblematici e famosi sono i casi di Lima e quello di Ciancimino: passarono dalla corrente fanfaniana a quella andreottiana. Giulio Andreotti era un grande leader democristiano ma la sua corrente personale non era consistente come le altre. In essa, l'incidenza percentuale della componente siciliana risultò consistente. 5. Il boss e lo statista Nel 1993 i magistrati di Palermo incriminano Andreotti per concorso in associazione mafiosa; accertata la fondatezza dalla sentenza di appello del 2004, poi confermata in Cassazione: Andreotti avrebbe in effetti sostenuto Cosa Nostra sino al 1980, e se ne sarebbe allontanato dopo. Alla fine è stato assolto solo perché i reati antecedenti al 1980 risultavano ormai prescritti; gli sarebbe toccato solamente rispondere dinanzi alla storia. Andreotti rappresento sin dal dopo guerra, al massimo livello, la democrazia cristiana il suo governo. È un fatto che Andreotti proteggeva, tra gli altri, Sindona: in cambio magari del sostegno fornito dal banchiere alla democrazia cristiana e forse anche alla finanza vaticana. Questo peraltro lo portava anche nei territori della mafia siciliana e newyorkese. E poi ce l'altro versante, quello di Lima e dei Salvo. Andreotti non ho potuto negare la propria intimità con Lima; con i secondi ha del tutto negato relazioni anche davanti a Foto in cui lo ritraevano in presenza di essi. Mannoia, killer narcotrafficante al seguito di Bontate, confessò del famoso incontro tra Bontate, lo stesso Andreotti, Lima e i Salvo, all'indomani dell'assassinio di Mattarella: il boss uscito dalla riunione avrebbe comunicato che avrebbe levato i voti della Sicilia avrebbero operato fatti gravissimi se si fossero attuate delle leggi in seguito al delitto Mattarella Mattarella ha sempre negato o almeno si è mantenuto sulla negativa, negandoci qualsiasi informazione in merito a questo incontro importante. In incontri avvenuti tra il generale Dalla Chiesa ed Andreotti, il carabiniere esortava il politico a prendere le distanze, proponendo in estrema sintesi una sua interpretazione dell'intera questione: 1. Andreotti aveva una relazione molto mediata con la mafia che si riduceva a un problema elettorale. 2. | suoi grandi elettori come Lima e Martelucci li ha definiti come la famiglia politica più inquinata dell’isola. 3. L'elettorato dei suoi grandi elettori, le famiglie di mafia distinte appunto da quelle politiche. Andreotti rispose a tono a queste insinuazioni, dimostrando una grande conoscenza piuttosto che sembrare disinformato. HA voluto suggerire una pista, ma il grande investigatore non lo ha capito (forse non era informato quanto lui?). Gli ha spiegato che il pericolo vero veniva dalle fazioni mafiose in conflitto intorno al nodo del narcotraffico siculo americano, non da Lima e dai politici più o meno collusi. XIII. Sfida e risposta Cosa nostra non ha un consiglio d'amministrazione e non è nemmeno un partito, non ha ottenuto storicamente il consenso per se stessa, ma mettendosi al servizio di partiti essi sì in grado di proporre idee e programmi, di attivare scambi anche simbolici di vasto raggio con gli elettori. In età liberale | mafiosi agivano come galoppini elettorali di grandi notabili. In vista del fascismo cercarono vanamente di tenere il piede in due staffe. AI momento dello sbarco anglo-americano molto si identificarono con il Mio; il quale durò poco, perché il suo bluff venne scoperto al momento delle prime consultazioni elettorali. Poi appoggiarono monarchici e liberali, e solo quando la democrazia cristiana già trionfava confluirono nella sua macchina politica: per convenienza personale. Non sono mai stati in grado di giocare quel gioco da soli. Per questo, al passaggio tra anni 70 e 80, i mafiosi scelsero il gioco del terrore, forti dai propri narcodollari, speculando sulla debolezza materiale e morale del potere ufficiale. 1. Terrorismo mafioso atto secondo -la mafia uccide persone da cui si sente minacciata sul piano politico-generale; * uccide persone che la minacciano nell'immediato, nelle sue attività. Sono di tipo politico generale le motivazioni che la portano ad uccidere Pio Latorre il quale ha fatto parte della commissione antimafia e nel 1975 ne ha firmato una relazione finale, di grande rilievo. Sì è a lungo, seppur vanamente, impegnato in parlamento nella elaborazione di una legge contro l'associazione a delinquere di stampo mafioso, privilegiando la tematica fondamentale del sequestro dei beni dei boss. Verrà assassinato nell'aprile del 1982 Il giorno dopo, ovvero il 1 maggio, Dalla Chiesa viene nominato prefetto di Palermo; prefetto più generale viene spedita a Palermo più che altro per fare da simbolo, e subito viene simbolicamente eliminato. Cade in un agguato, insieme alla moglie è un agente di scorta, il 3 settembre. L'opinione pubblica si convince che sia stato volutamente sacrificato da uno Stato incapace e o complice. Il terrorismo mafioso sembra invincibile Meno di due mesi dall'assassinio di Dalla Chiesa, viene approvato il decreto sulle associazioni mafiose proposto da La Torre; il vicequestore Cassarà Ninni (morto nel 1985) e dal giudice Rocco Chinnici , sono una spinta incredibile alla lotta alla mafia. Il giudice viene ucciso nel 1983; Palermo come Beirut, qualcuno commenta stavolta. Il fragore dell'esplosione conferma che è finita l'era della convivenza pacifica tra mafia e apparati statali. Per sostituire Cassarà viene mandato a Palermo Caponnetto: il quale conferma la scelta per un Pool antimafia quotiamo a partecipare quattro magistrati: Falcone che assurge al leader del gruppo, Paolo borsellino, Di Lello e Leonardo Guarnotta. Analogamente vengono presi Badalamenti e Buscetta; il primo viene indicato come il principale imputato nel processo pizza connection, cominciato a New York nel 1985; il secondo invece si decise a parlare: si intese prima con il superpoliziotto Gianni De Gennaro e poi con Falcone. | colloqui andarono avanti per tre mesi, nessuno all'esterno ne seppe niente e ma i sotterranei di cosa nostra si scoperchiarono davanti agli inquirenti. 2. Antimafia come movimento Vicenda Leoluca Orlando Il ragionamento più usuale era questo: per combattere la mafia non c'è bisogno di polizia, ma di maggiori finanziamenti pubblici alle imprese e al lavoro siciliano. Non mancarono i richiami alla vecchia teoria della mafia come costume regionale tradizionale, impossibile da sottoporre a repressione penale.. 3. Maxiprocesso 10 febbraio 1986 Pizza Connection 30 settembre 1985 —> United States vs Badalamenti ; United States vs Salerno, che si incentrava sui delitti organizzati dalla Commissione di Cosa nostra, anche se di fatto metteva alla sbarra i capi di tre delle cinque famiglie Newyorkesi (i Gambino e i Bonanno ne rimasero fuori). L'accusa si avvalse dei testimoni: Angelo Lonardo jr, capo mafia è figlio di capomafia di Agrigento- Cleveland , Joe Pistone e anche Joe Bonanno. Un parallelo tra le confessioni di Joe Bonanno e Buscetta: entrambi propongono un'idea fantastica di mafia come sicilianità (con un esplicito riferimento di Bonanno al padrino), come strumento secolare di difesa. Entrambi si appellano al mito della tradizione antica da contrapporre alle degenerazioni del tempo presente, alla pochezza morale degli epigoni. Entrambi respingono con indignazione l'accusa di aver commerciato in droga. 4. Professionisti dell’antimafia La polemica di Sciascia sull’antimafia—-> i Professionisti dell’antimafia, articolo del Corriere della Sera= critica all'antimafia, elezione di Borsellino L'ultima parte dell'articolo sui professionisti dell'antimafia era davvero sproporzionata e sbagliata: la nomina di borsellino corrispondeva alle sue capacità professionali, di cui c'era necessità vista la gravità dell'ora. Il resto invece merita un'attenta riflessione, nei suoi due aspetti: quello storico e quello attuale. Quanto all'uso politico della giustizia, gli ammonimenti di Sciascia mi sembrano più validi oggi, che l'emergenza è passata, di quello che mi sembrava allora. L'antimafia può farsi professionismo, risolversi in strumento di lotta e di potere e di affermazioni personali; tali meccanismi non hanno necessariamente un carattere antidemocratico. 5. Falcone Anche lui era convinto che vi fosse una nuova e vecchia mafia, ma le due erano collegate da un filo comune che immancabilmente si influenzavano; nei famosi colloqui con il PENTITO (egli non si definì come tale —> vedi pag 328) Buscetta, il quale incarna il prototipo del pentito moderno, Falcone ribadisce che l'esigenza primaria era quella di rassicurarlo, di stabilire con lui un ‘codice comunicativo’ Falcone ribadì il punto: se i terroristi avevano motivazioni ideologiche , anche i mafiosi, contrariamente all'opinione comune, non ne erano privi. E agli uni e agli altri bisognava lasciare la possibilità di dire che l’idea in sé era stata giusta ma il mezzo si era rilevato controproducente. Così Buscetta spiego che la mafia in sé rifletteva un nobile ideale e nel passato aveva anche funzionato bene; ma di fatto si era allontanata dalle proprie finalità originarie a causa dell’avidità di potere e della ferocia animale dei corleonesi. Bisognava uscirne. Nel libro-intervista pubblicato insieme a Padovani, Falcone riformulò il discorso. La mafia, rissa, esprime un sia pur distorto <bisogno di ordine e di Stato>, cui occorre dare la giusta risposta. ‘’ io credo nello Stato", aggiungeva polemizzando con Sciascia < che sentiva il bisogno di Stato, ma nello Stato non aveva fiducia.> spiegò il proprio rapporto con Busetta a partire dalla sicilianità, vista come un codice simbolico e culturale che consentiva all'uomo delle istituzioni e a quello della mafia di comprendersi e di costruire una reciproca fiducia.