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La riforma degli enti locali e il federalismo fiscale in Italia - Prof. Minesso, Sintesi del corso di Storia Delle Istituzioni Politiche

Le principali riforme degli enti locali e del federalismo fiscale in italia a partire dalla legge rattazzi del 1859 fino alle più recenti modifiche costituzionali del titolo v. Vengono descritti i passaggi chiave di questo processo, come l'istituzione delle regioni, l'evoluzione del ruolo di comuni e province, l'introduzione del principio di sussidiarietà e del federalismo fiscale. Vengono inoltre evidenziati alcuni aspetti problematici, come la sovrapposizione di competenze tra stato e regioni e il contenzioso che ne è derivato. Quindi una panoramica approfondita sull'evoluzione del sistema di governo locale in italia, con particolare attenzione alle riforme degli ultimi decenni.

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

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Scarica La riforma degli enti locali e il federalismo fiscale in Italia - Prof. Minesso e più Sintesi del corso in PDF di Storia Delle Istituzioni Politiche solo su Docsity! 1 STATO E POTERI LOCALI IN ITALIA INTRODUZIONE: AMMINISTRAZIONE ALLA FRANCESE Francia napoleonica divisa in • Dipartimenti o Un prefetto → perno, figura di controllo e gestione del paese o Un consiglio generale dipartimentale → funzione di rappresentanza delle popolazioni locali e di censimento e mediazione dei loro interessi o Un consiglio di prefettura → funzione di rappresentanza delle popolazioni locali e di censimento e mediazione dei loro interessi o • Distretti o Un sottoprefetto o Un consiglio distrettuale • Cantoni • Comuni o Un sindaco o Un consiglio municipale Tutti nominati dall’alto. PIEMONTE SABAUDO Sindaco designato dal governo. Articolazione dei livelli di governi in quattro tipi di circoscrizioni amministrative a gradazione scalare: • Divisioni • Province • Mandamenti • Comuni Dal 1848 questioni giuridico amministrative per necessità di armonizzare due logiche confliggenti: parlamentarismo e centralismo. Governo Alfieri 1847: • Divisioni: o Sindaco (organo monocratico di designazione statale) come ufficiale di governo e vertice dell’amministrazione comunale. Attribuzioni comunali (spese) divise tra obbligatorie e facoltative; o Consiglio (organo monocratico di natura elettiva). Poteva scegliere un proprio presidente ma i rappresentanti periferici dell’amministrazione statale poteva intervenire nelle loro sedute. • Province • Comuni CAPITOLO 1 L'UNIFORMITÀ DELL'ORDINAMENTO: L'AMMINISTRAZIONE DEI "NOTABILI" (1848-65) Cavour 1853 riforma dell’amministrazione centrale che introduceva il “modello ministeriale, abrogando il precedente ordinamento: 2 • Attribuzione piena ed esclusiva del potere decisionale, politico ed esecutivo a favore dei titolari dei diversi dicasteri, che godevano adesso della fiducia parlamentare. Con annessione Lombardia (1859) viene insediata la Commissione Giulini con l’incarico di progettare un ordinamento amministrativo ad hoc. Si formarono due schieramenti: 1. Filolombardo: non potendo difendere fino in fondo l’ordinamento austriaco si rifacevano al sistema amministrativo del napoleonico Regno d’Italia (enorme contraddizione perché se si voleva ispirarsi al sistema napoleonico bastava accettare quello del regno di Sardegna). L’attaccamento all’esperienza austriaca da parte delle elites lombarde (media grande possidenza terriera) era dovuta alle difese degli interessi politici e socio-economici garantiti dalle riforme teresiane. 2. Filopiemontese Decreto 8 giugno 1859: nasce ordinamento provvisorio per la Lombardia: • A livello comunale e distrettuale veniva conservato il modello austriaco; • A livello provinciale vengono abolite le antiche delegazioni e si introducono gli intendenti generali di derivazione piemontese; • Al vertice viene posto un Governatore affiancato da una commissione consultiva; Ottobre 1859 Rattazzi pacchetto di riforme politiche e amministrative con nuova legge comunale e provinciale da applicare anche alla Lombardia: • Istituzione di nuovi codici: penale, procedura penale, procedura civile; • Diversa legge elettorale per camera (blando allargamento del suffragio) e senato; • Istituzione corte dei conti con compiti di controllo finanziario preventivo sugli atti delle pubbliche amministrazioni e giurisdizione contabile; • Riforma del consiglio di stato attribuendo il compito di giudice d’appello del contezioso amministrativo; • Istituzione di una commissione composta da lombardi e piemontesi per redigere riforma enti locali (Ponza di San Martino): o Creazione delle regioni; o Possibilità per i piccoli comuni rurali di tenere il modello teresiano; o Pubblicità delle sedute dei consigli; o Stessi livelli di governo: ▪ Le divisioni diventano Province • Consiglio provinciale con controllo di legittimità sui provvedimenti amministrativi dei comuni; • Governatori, vicegovernatori e intendenti; ▪ Le province diventano Circondari • Consiglio elettivo (in sostituzione del consiglio provinciale): o Sceglie una deputazione presieduta dal governatore o Governatore di nomina statale e di designazione politica (sostituisce l’intendente generale) o Deputazione si occupa di controlli di merito sugli atti degli enti comunali; ▪ Comune: 5 • Attribuzione alle GPA di funzioni circoscritte di giustizia amministrativa; Di Rudinì, 1896: • anche i comuni con meno di 10.000 abitanti possono eleggere il sindaco. • Istituzione del Commissario civile per la Sicilia: o Figura amministrativa in cui si cumulavano le figure di prefetto di Palermo e di ministro senza portafoglio; o Delega per l’esercizio in loco delle attribuzioni di cinque dicasteri Non passano invece le proposte di Di Rudinì per: • Introduzione a livello municipale del referendum; • Rafforzamento ruolo prefetti; • Esclusione dei membri elettivi dalle GPA; • Scioglimento dei consigli comunali e provinciali; Modalità elettive consiglio comunale (e provinciale): • 1865: lista maggioritaria (l’elettore sceglie un numero di nomi uguale a quelli degli eligendi) con durata 5 anni (rinnovo parziale di 1/5 ogni anno); • 1888: voto limitato (cittadino esprime preferenze per i 4/5 dei candidati) che permette la rappresentazione delle minoranze; • 1894: restrizione del suffragio (dovuta ad una revisione straordinaria delle liste) e diverso criterio di rinnovo (1/2 ogni tre anni) e durata estesa a 6 anni; • 1904: rinnovo ogni due anni di 1/3 dei membri; Disciplina normativa sulla finanza locale (legge comunale e provinciale del 1865): Tre tipi di cespiti tributari: 1. Imposte indirette; 2. Dazio consumo; 3. Sovrimposte su quelle erariali; 4. (dal 1868 anche tassa di famiglia); CAPITOLO.3 LA SOCIALIZZAZIONE DEGLI APPARATI: L'AMMINISTRAZIONE DEGLI "INTERESSI" (1900-22) Governo Nitti 1919: proporzionale e suffragio universale maschile Ottobre 1901: fondazione dell’Associazione dei Comuni Italiani Giolitti, legge del 1902 sulla figura del segretario comunale: • Fissazione norme puntuali su: o Esame di ingresso; o Condizioni per la nomina; o Periodo di prova; 6 o Stipendio; o Controlli gerarchici; • Obbligatorietà per i comuni di emanare appositi regolamenti organici relativi agli altri impiegati comunali e alla loro carriera; Giolitti 1903, legge sulla municipalizzazione dei pubblici servizi: tutti i comuni possono creare specifiche aziende (aziende municipalizzate) per la gestione, in regime di monopolio o concorrenza, di pubblici servizi definiti in un elenco pubblico non tassativo. Nascono cosi le amministrazioni parallele, strutture tecniche dipendenti da autorità statali o locai ma dotate di un certo livello di autonomia gestionale e in grado di produrre beni e fornire servizi di particolare interesse pubblico e collettivo. Per costituire un’azienda municipalizzata era necessario: • Intervento delle autorità tutorie (prefetto e GPA); • Parere di un ufficio centrale denominato Commissione reale per il redito comunale e provinciale e per le municipalizzazioni. • Referendum (prima volta nell’ordinamento italiano): la delibera di assunzione pubblica di un servizio doveva essere sottoposto al giudizio diretto dei cittadini; Una volta costituita l’azienda operava al pari di un’azienda privata del medesimo comparto merceologico: • Era governata da una Commissione, nominata dal consiglio comunale; • Era guidata da un direttore scelto dall’autorità comunale; Municipalismo cattolico e socialismo municipale Socialisti Cattolici Richiesta di una legge sulla municipalizzazione dei pubblici servizi Richieste di attenuazione del regime dei controlli prefettizi Richieste di maggiori risorse economiche destinate a enti comunali e provinciali Richieste di una prioritaria difesa delle classi lavoratrici Richieste di una riforma autonomistica dell’assetto tributario Introduzione del referendum come meccanismo alternativo alla GPA Obbligatorietà e laicità dell’istruzione elementare Abolizione del dazio consumo e dell’imposizione diretta Affidamento della pubblica sicurezza agli enti locali Ruolo centrale delle strutture ecclesiastiche nel sistema educativo scolastico Ruolo centrale degli enti caritativi religiosi nel settore dell’assistenza e beneficenza Necessità dell’aiuto comunale alle associazioni cooperative ed artigiane Protezione degli interessi del mondo agricolo Ventaglio degli interventi pubblici durante la rinascita comunale: • Aziende municipalizzate; • Sostegno alle cooperative; • Costruzione di case popolari; • Predisposizione di doposcuola per i bambini poveri; • Apertura dei mercati rionali; • Realizzazione di spacci comunali; • Istituzione degli uffici del lavoro; • Tutela patrimonio artistico; • Prevalenza della tassa di famiglia sui dazi consumo; • Limitazione spese di lusso; 7 Interventismo prefettizio assume connotati rutali per orientare, se non costruire, il risultato delle elezioni politiche e amministrative. Giolitti, legge del 1908: • suddivide gli impiegati statali in: • Tre categorie: ▪ Amministrativi ▪ Di ragioneria ▪ D’ordine • Due ruoli: ▪ Centrali ▪ Periferici • Regolamenta aspetti delicatissimi come procedimenti disciplinari e cessazione dell’incarico (es dimissioni d’ufficio per sciopero); Regio decreto 1911: si restringe l’autonomia degli enti locali in materia di • requisiti per il concorso di segretari comunali • sanzioni disciplinari a carico degli impiegati e dei salariati • formalizzazione al centro delle condizioni economiche e giuridiche delle periferie Punto che esprime meglio il riformismo giolittiano è il superamento della monoliticità, rigidità e uniformità degli apparati di origine liberale, territorialmente omogenei e gerarchicamente organizzati. Ad essi si preferisce affiancare strumenti più agili e flessibili con articolazione direttamente mutuata dall’impresa privata. Rientrano in questa categoria: • Provvedimenti settoriali: istituzione dell’Ente autonomo dell’acquedotto pugliese, Consorzio del porto di Genova, Magistrato delle acque, del commissariato civile per la Basilicata; • Amministrazioni parallele: aziende municipalizzate analizzate in precedenza rappresentano una dimensione minore e locale; • Enti pubblici “Economici”: aziende vere e proprie che verranno mantenute in era fascista e repubblicana, costituendo l’ossatura del nostro sistema amministrativo contemporaneo (INA e Ferrovie dello Stato); • Consigli superiori: sviluppo o introduzione a livello ministeriale di specifici consigli con lo scopo di razionalizzare i processi decisionali interni, accostando dalla tradizionale gerarchia verticale uno staff orizzontale composto da funzionari di elevata capacità tecnica; Entrata in guerra e periodo postbellico rafforza, compatta e irrobustisce l’interventismo dello Stato nell’economia, portando alcuni elementi di novità: • Decreto Nitti sui cosiddetti “ruoli aperti" • Istituzione di nuovi ministeri (Lavoro, Industria e commercio, Armi e munizioni, Trasporti marittimi e ferroviari) L’arco di tempo che va dall’inizio del nuovo secolo alla marcia su Roma assume notevole importanza sotto il profilo delle tendenze politico istituzionali: 1. Dallo stato monoclasse si passa quasi compiutamente allo staro pluriclasse: difronte a una borghesia ancora aliena all’idea di dotarsi di un proprio strumento partitico, si assiste al definitivo imporsi e svilupparsi di movimenti politici adeguatamente organizzati e ideologicamente cementati. Si incrina 10 2. Nella sostanziale inutilità dell’operazione vista la costante possibilità per l’esecutivo di orientare ed egemonizzare il Senato attraverso la nomina governativa e mirata, dai senatori, ricorrendo all’antica e mai cessata prassi delle “infornate”. Va detto che il senato riuscì comunque a mantenere un certo grado di autonomia e indipendenza e fu al suo interno che si udirono le poche voci contrarie al regime e furono talvolta sollevate aperte critiche alla legislazione e alla politica fascista. La vittoria del fascismo segnerà anche la riconquistata egemonia della classe borghese alta e media e la formazione di un nuovo blocco di potere, moderato e conservatore, che affiderà le proprie sorti ad un partito ritenuto l’unico capace di: • Garantire la stabilità istituzionale; • Mantenere l’ordine pubblico; • Fronteggiare le tendenze rivoluzionarie e anticapitalistiche presenti nelle forze di estrazione proletaria e socialista; Compiuta la riforma autoritaria dello Stato, battuti e neutralizzati i gruppi di opposizione e costruito il nuovo ordinamento politico, il fascismo riuscirà seppur parzialmente a modernizzare la società civile, a conquistare il consenso di larghi strati popolari, ad erigere un sistema tendenzialmente totalitario. Tale processo sarà reso più semplice da: • un imponente apparato di propaganda ideologica e culturale; • intervento statale in numerosi settori economici e sociali; • costante protagonismo dell’amministrazione pubblica, specialmente nei comparti più dinamici e ancora permeabili alle dottrine riformiste di stampo tecnocratico. Fra i principali ostacoli che il fascismo incontrò agli esordi per il raggiungimento dei propri obiettivi di dominio politico vi fu certamente il diffuso e radicato tessuto degli enti municipali, alla cui guida erano saldamente insediati esponenti del Partito popolare e della Sinistra, nonché rappresentanti delle vecchie elitès liberali. Furono così le amministrazioni comunali e provinciali a diventare non solo le antagoniste di una legittima competizione elettorale, ma il bersaglio di uno scontro violento e illegale. L’azione degli squadristi coinvolse: • cooperative; • associazioni sindacali; • strutture territoriali e solidaristiche del movimento operaio socialista e del movimento cattolico; • istituzioni del potere locale: o Sindaci o Giunte o Consigli Una volta salito al governo, il fascismo utilizzerà ampiamente i tradizionali sistemi di controllo e sorveglianza ereditati dal sistema liberale: • Scioglimento dei Consigli; • Revoca dei sindaci; • Nomina commissari straordinari; L’ideologia sottesa alla riforma degli enti locali, ancorché assunti in mancanza di uno schema organico e razionale, è di rendere l’intero sistema delle autonomie locali adeguato e conforme alla nuova visione centralistica e autoritaria sostenuta e propugnata dal fascismo. Con il regime a partito unico perdeva senso il criterio della presenza di organi elettivi e rappresentativi, mentre l’esaltazione del modello gerarchico e 11 burocratico ben si confaceva con l’adozione di formule organizzative di tipo monocratico. Gli organi amministrativi periferici si avviarono verso una sostanziale supremazia sull’articolazione decentrata del partito fascista (i cosiddetti RAS provinciali). EVENTO PERIODO CONSEGUENZE Legge 3 dicembre 1922 n. 1601 1922 Pieni poteri concessi al Governo Regi decreti 1923 • Semplificazione e razionalizzazione del sistema amministrativo nel suo complesso e riduzione dei costi; • Contrazione degli organici; • Restrizione del numero dei dicasteri: o Il ministero del Lavoro confluisce in quello delle Finanze e Tesoro; o Ministeri dell’Industria e dell’Agricoltura fusi in un unico Ministero dell’Economia nazionale; • Le ragionerie generali dei singoli ministeri vengono poste, in maniera vincolante, alle dipendenze della Ragioneria generale dello Stato; • La ragioneria generale dello Stato viene posta sotto il controllo diretto del Ministero del Tesoro • Passaggio dal meccanismo dei “ruoli aperti” (Nitti) a quello più rigido e selettivo dei “ruoli chiusi”; • Nuovo criterio di classificazione dei dipendenti statali, con accentuazione dei gradi gerarchici; • Privatizzazione del servizio telefonico nazionale; • Superamento del monopolio concesso all’INA; Decreto dicembre 1923 1923 Intervento sui segretari comunali e sugli altri impiegati minori: • Il segretario comunale ottiene la qualifica di funzionario dello stato; • Vengono modificate le GPA con eliminazione della componente elettiva; • Viene meno la distinzione tra “visto di approvazione” e “visto di legittimità” ora fusi in un unico e onnicomprensivo “visto di esecutività”; Legge del 1925 1925 Accentuazione ed esasperazione delle caratteristiche autoritarie e gerarchiche del modello dello Stato liberale. Prevista la possibilità per l’amministrazione di dispensare dal servizio quei funzionari che non risultassero ideologicamente allineati con le direttive politiche del governo. Legge 4 febbraio 1926 n. 237 1926 Revisione della legislazione vigente in tema di enti locali. Previsto inizialmente soltanto per alcune categorie di Comuni, prevede: 1. Cancellati i tre organi fondamentali (Consiglio, Giunta, Sindaco) azzerando il principio dell’elettività e della rappresentanza; 2. L’intero potere decisionale (prima suddiviso in tre) viene concentrato nella figura monocratica del podestà, nominato con decreto reale. • I podestà erano pensati come strumento di mediazione e acquisizione del consenso ma non si mostrarono all’altezza del compito; • Quando non si mossero sul piano dell’illegalità, del clientelismo e della corruzione manifestarono sostanziale incapacità gestionale; 12 3. Al fianco del podestà viene posta una Consulta, dotata di semplici e innocui poteri consultivi, composta: • 1/3 da cittadini prescelti direttamente dal prefetto; • 2/3 da membri designati da enti economici, sindacati e associazioni locali; Estensione legge 237 del 4/2/26 Agosto 1926- giugno 1927 Estensione della legge a tutti i comuni Circolare di potenziamento dei Prefetti 1927 Nuovo ruolo per i Prefetti: • Massima autorità dello Stato nella Provincia; • Fedele esecutore della volontà politica proveniente dal centro del sistema istituzionale; Riforma delle province 1928 1. Cancellazione dei tre organi esistenti; 2. Direzione politica e burocratica affidata ad un Preside nominato dall’alto; 3. Al fianco del Preside viene posta una struttura collegiale detta Rettorato; Il modello mostrò grandi debolezze alle quali contribuì la progressiva erosione di funzioni amministrative dovuta alla continua crescita degli enti settoriali, spesso di natura statale e dimensione nazionale alle cui diramazioni periferiche erano devolute attribuzioni rientranti nella sfera di competenza delle province. Intervento sui segretari comunali 1928 Con riferimento ai segretari comunali, fissazione dei principi inerenti: • all’ingresso in carriera; • ai ruoli organici; • ai gradi burocratici; • alla determinazione dello stipendio; Testo unico sulla finanza locale 1931 • Si sottopongono le spese facoltative ad un regime di autorizzazione ancora più rigido e severo; • Le spese vengono ancorate alle condizioni di bilancio degli enti locali ancora più rigidamente; • L’attivazione di nuovi tributi prevede la richiesta di approvazione dalle autorità ministeriali; Testo unico della legge comunale e provinciale 1934 • Rimane in vigore fino alla riforma del 1990; • Tutta la regolamentazione del pubblico impiego viene unificata e tecnicamente perfezionata, rendendo omogeneo ed esaustivo il corpus delle prescrizioni normative precedenti; Circolare del ministro dell’interno Agosto 1939 • Comuni e province vengono considerati “enti ausiliari” dello Stato, alla stregua di suoi semplici strumenti; Burocratizzazione e moltiplicazione degli apparati. È soprattutto il variegato mondo delle cosiddette “amministrazioni parallele” che conosce fenomeni indiscutibili di crescita e di dinamismo. Saranno proprio le esperienze positive fatte da questa “terza burocrazia” (quella che si pone accanto a quella di tipo tradizionale e a quella più recente del partito) e l’efficienza dimostrata dalle nuove strutture pubbliche a garantirne la continuità, nel regime repubblicano, dell’amministrazione “per enti”. 15 Si aprì cosi la breve stagione della solidarietà nazionale (1976-1979) che dopo lunghi e vivaci dibattiti sull’opportunità e praticabilità di un “compromesso storico” fra la tradizione cattolica e l’ideologia marxista, vide la maggior forza di opposizione sostenere, sul piano parlamentare, i governi Andreotti. Tuttavia, superata la fase più acuta dell’emergenza, l’irriducibile conflittualità tra i partiti di Centro-sinistra e il PCI portò al precoce fallimento della formula delle larghe intese, sostituita a sua volta dai cosiddetti gabinetti di “pentapartito” (con inclusione dei liberali), i quali per la prima volta nella lunga storia parlamentare, furono guidati anche da esponenti “laici”: Spadolini (PRI) e Craxi (PSI). Si confermava così l’anomalia del regime politico italiano che non riusciva a funzionare secondo i dettami classici dei modelli parlamentari e a garantire una vera alternanza al governo fra schieramenti contrapposti. Il blocco del sistema venne ulteriormente rafforzato dal potere di ricatto che il PSI era in grado di esercitare, nei confronti degli alleati, non essendo possibili al momento soluzioni di ricambio. Negli anni novanta il sistema politico-costituzionale scosso dalle iniziative della magistratura contro la corruzione nella pubblica amministrazione (inchiesta “mani pulite”), sottoposta ad una forte pressione popolare e referendaria per il cambiamento dell’assetto istituzionale (referendum sulla preferenza unica del 1991 e legge elettorale per il senato del 1993) e indebolito dall’irruzione sulla scena di nuovi movimenti alternativi a cospicuo radicamento territoriale (Lega lombarda nelle elezioni del 1992, parve sull’orlo della paralisi e i partiti furono costretti ad imboccare precipitosamente la via del “maggioritario”, restando però sul terreno della modificazione della legge elettorale (1993). Dopo due governi “tecnici e/o del Presidente” (Amato e Ciampi) le elezioni politiche del 1994 e 1996 hanno consentito, per la prima volta nella storia d’Italia, a due formazioni ideologicamente contrapposte (centrodestra prima con il Governo Berlusconi I e centrosinistra poi con il Governo Prodi I) di avvicendarsi alla guida del paese, ma il precoce sfaldamento del Polo delle libertà e del buon governo (dovuto al ritiro dalla maggioranza da parte della Lega Nord prima della conclusione ordinaria della legislatura) e la stessa natura di gabinetto di “coalizione” del governo sorto dalle ultime consultazioni (Ulivo più Rinnovamento italiano, con sostegno parlamentare di Rifondazione comunista), virtualmente esposto al pericolo di un’analoga e prematura dissolvenza, rendono comunque urgente una riforma costituzionale che consenta finalmente di ottenere quella stabilità dell’esecutivo che si insegue da troppo tempo e la cui mancanza ha sinora prodotto il succedersi di ben 50 governi in 50 anni. Le condizioni dell’amministrazione statale dal dopoguerra ad oggi. • Per quanto concerne i ministeri, il disegno ottocentesco non subisce, nella seconda metà del secolo XX, radicali trasformazioni. Come in passato, essi variano nel numero e nella denominazione ma, ad esclusione di quelli legati alle contingenti esigenze del dopoguerra (ministero per la Costituente, per la Ricostruzione, per l’assistenza post bellica, ecc) ed eccezion fatta per lo strumento giuridico utilizzato (che adesso è quasi sempre la legge ordinaria), presentano una sostanziale stabilità normativa e organizzativa. Un certo dinamismo si riscontra con l’avvento del Centro-sinistra, che procede ad una ristrutturazione del ministero per il Bilancio (a cui viene aggiunta nell’intitolazione la “programmazione economica”) e più in generale, con la creazione, tra la fine degli anni cinquanta e la metà degli anni Ottanta, di dicasteri tendenzialmente monotematici come: o Ministero della Sanità (1958); o Ministero del turismo e dello spettacolo (1959); o Ministero dei beni culturali e ambientali (1974-86); o Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica (1989); • Si accresce il numero dei “Comitati interministeriali”, fra cui primeggia quello per la programmazione economica (CIPE); • Le “amministrazioni parallele” sorte nell’età giolittiana e sviluppatesi durante il fascismo non subiscono variazioni di rilievo. Le imprese pubbliche non vengono smantellate ma si rafforzano e si 16 incrementano, in ossequio alla nuova filosofia dell’intervento statale nell’economia e di correzione delle storture del mercato capitalista. Inoltre, a partire dagli anni sessanta, spessano diventano uno dei principali canali per il finanziamento occulto dei partiti politici e per il mantenimento di vaste clientele (IRI, ENEL, ENI, ecc.); • Elemento di novità nell’amministrazione pubblica è costituito dal proliferare delle cosiddette “autorità amministrative indipendenti”: o Garante per l’informazione e l’editoria; o Garante della concorrenza e del mercato; o Agenzia per la contrattazione nel pubblico impiego; • Il rapporto tra la burocrazia (specie quella dirigenziale) e la classe politica e governativa resta facilmente inscrivibile nella tradizionale categoria del “baratto” (fedeltà politica in cambio di relativa autonomia “corporativa”). Tuttavia, con il rafforzamento e l’espansione delle organizzazioni sindacali negli anni sessanta e settanta, il quadro è destinato a subire graduali ma significativi mutamenti: o Con decreto varato nel 1972 viene riconosciuta per la prima volta la specificità delle mansioni “direttive” e data qualificazione giuridica separata ai vertici della burocrazia statale (cosiddetta “dirigenza) attraverso: ▪ L’attribuzione di speciali funzioni operative; ▪ Delega di maggiori responsabilità gestionali; o 1978 si introduce il criterio della contrattazione collettiva (inizialmente per il comparto dei lavoratori ospedalieri); Nel corso degli anni ottanta-novanta sembrano aprirsi ulteriori e importanti riforme nei campi: • Del pubblico impiego: con una più marcata tendenza alla sua privatizzazione; • Delle procedure: con una loro semplificazione ed emanazione di normativa sulla “trasparenza”; • Dell’organizzazione interna agli uffici statali: dipartimenti ministeriali e controllo di gestione; Se la storia costituzionale dell’Italia repubblicana assume connotati di indubbia discontinuità con il regime fascista, altrettanto non può dirsi degli apparati amministrativi, centrali e periferici. La stagione costituente. L’autonomia diventa un’idea guida, un valore politico fondamentale da attuare e perseguire non appena si è in grado di gestire e amministrare le zone e le città che via via vengono sottratte al controllo nemico. Il CLN della Toscana, a differenza di quanto avvenuto in altre parti dell’Italia del Nord liberata, si rifiutarono esplicitamente di nominare il prefetto, ritenendolo un organo indissolubilmente legato all’ordinamento amministrativo dello Stato Centralista che, al contrario, dev’essere smantellato e completamente ricostruito. Il CTLN sarà poi costretto a cedere alle pressioni del governo di Roma. Si dispose l’allontanamento dei cosiddetti “prefetti politici” (quelli designati dal CLN) e la loro sostituzione con più malleabili e fedeli prefetti di carriera e il personale burocratico fu mantenuto in servizio pressoché nella sua interezza. L’Assemblea costituente diede vita ad un testo normativo fondamentale caratterizzato da un indubbio e ampio riconoscimento dei principi autonomistici, ma il peso degli atti assunti nel periodo della transizione e gli effetti delle mancate riforme saranno cosi consistenti da influenzare negativamente, negli anni della Repubblica, la legislazione sugli enti locali e il loro rendimento. Per quanto riguarda la tematica autonomistica va registrato il ritorno delle ipotesi mentre meno avanzate appaiono, invece, le posizioni assunte sulla questione comunale e provinciale, che si limitano spesso ad un mero ritocco di principi giuridico-amministrativi tradizionali o ad una semplice istanza di ristabilimento del consolidato e rassicurante impianto ottocentesco dei poteri locali. 17 • Cattolici e repubblicani si fanno sostenitori più di tutti di un’ideologia autonomistica incondizionata e risalente nel tempo; • Le sinistre (socialisti e comunisti) risultano più interessate alle riforme strutturali del sistema economico e sociale e diffidano, in realtà, di quelle istituzioni intermedie e garantiste che potrebbero ostacolare un pieno dispiegamento della sovranità popolare; • I movimenti di ispirazione liberal-conservatrice si accontentano di un aggiornamento del modello amministrativo di matrice risorgimentale; • Gli esponenti del PDA sono più combattivi e radicali ma non esprimono un pensiero omogeneo; Mentre in una prima fase le forze di sinistra si erano sostanzialmente opposte ad un avanzato modello regionale nel timore che, attraverso tali istituzioni, dotate di autonomia anche legislativa, si potessero svuotare o indebolire le grandi riforme economiche e sociali, esse mutarono d’opinione quando, allontanate dal governo nel maggio 1947, il nuovo ente regionale apparve come una solida garanzia contro l’involuzione politica che il gabinetto avrebbe verosimilmente imposto. Sotto il profilo della disciplina costituzionale, la quota più consistente degli articoli fu riservata alle Regioni (a statuto ordinario e a statuto speciale), mentre per Comuni e Province si fece ricorso ad un sostanziale rinvio della legislazione ordinaria. Il postulato autonomistico trova nel testo costituzionale alcune dichiarazioni vincolanti e di indiscusso valore democratico: • Articolo 5, volutamente collocato fra i principi fondamentali, parla esplicitamente di riconoscimento e promozione delle autonomie locali e obbliga lo Stato ad adeguare la sua legislazione alle loro esigenze specifiche; • Articolo 128 definisce le Province e i Comuni quali enti autonomi pur stabilendo il rimando a leggi generali della Repubblica per la determinazione dei principi essenziali all’interno dei quali essi devono operare. Il tradizionale modello dei poteri locali trova, nella stessa Costituzione, una sostanziale conferma più che subire una effettiva e consistente correzione, si pensi alla “costituzionalizzazione” dell’Ente Provincia. • Articolo 129 ribadisce il principio secondo cui Comuni e Province vanno ancora ritenuti quali circoscrizioni di decentramento statale e regionale. Stupisce il silenzio che circonda la figura del prefetto, mai esplicitamente richiamata nel testo a neppure formalmente ripudiata e che negli anni del dopoguerra fu oggetto di pesanti contestazioni per la sua drastica incompatibilità con un sistema autonomistico più democratico e arricchito, ora per la prima volta, della previsione degli enti regionali. L’ordinamento regionale La Costituzione si occupa in maniera approfondita e particolareggiata degli enti regionali, riservando ad essi una quota preponderante degli articoli inseriti nel Titolo V della parte 11: • Accanto ad un Consiglio elettivo, si prevedeva la creazione di una Giunta con funzioni esecutive, guidata da un Presidente la cui designazione era demandata ai consiglieri stessi; • L’elemento innovativo è l’attribuzione di una vera e propria potestà legislativa: alle regioni ordinarie veniva dunque concessa la facoltà di emanare leggi, e non soltanto atti o regolamenti amministrativi, sia pure all’interno di un periodo piuttosto circoscritto di materie predeterminate e tassativamente elencate. Tale potestà doveva però: o Esplicarsi nei limiti dei “principi fondamentali” fissati dalla legislazione statale (le cosiddette “leggi cornice”); 20 Dopo il ripristino nell’immediato dopoguerra della legislazione vigente in età liberale, si ebbero negli anni cinquanta alcune correzioni in senso maggioritario ma le riforme approvate nel 1960-1964 portarono invece a un rafforzamento, pressoché definitivo, del sistema proporzionale. In realtà nei comuni con meno di 5.000 abitanti il Consiglio era eletto con il maggioritario ed era il cosiddetto panachage (‘’si pronunci all’inglese’’, der. di panache «pennacchio (variopinto), facoltà di votare candidati di più liste) mentre alle minoranze veniva comunque riservato un quinto dei seggi; negli altri comuni si applicava però un congegno di tipo puramente proporzionale. Il capo dell’amministrazione comunale tornava ad essere scelto come la Giunta e il Consiglio. Tuttavia, occorre attendere il 1993 per vedere finalmente accolta la richiesta di elezione diretta e popolare del sindaco stesso. Per le funzioni svolte dagli enti locali, nessuna di esse è collocabile interamente nella sfera “propria” ed “esclusiva” dell’ente stesso. La tardiva messa in opera dell’ordinamento regionale degli anni settanta produce ulteriori effetti destabilizzanti nel campo delle attribuzioni comunali e provinciali. L’autonomia locale non sarebbe tale se non fosse costantemente accompagnata e sorretta dal conferimento di adeguate risorse finanziarie e, specialmente, dalla capacità di determinare senza eccessivi controlli esterni, il flusso delle entrate e delle uscite. Dal 1931 (testo unico fascista) sino alla riforma tributaria del 1971, si può dire che le condizioni strutturali del modello della finanza locale non siano sensibilmente mutate. Questo tipo di finanza comporta una ridotta autonomia impositiva e viene definito tecnicamente di “trasferimento”. Sono le autorità di governo a stabilire quanti e quali flussi economici debbano essere convogliati verso gli enti locali. Dovendosi poi fissare una base di partenza, si utilizza il principio della cosiddetta “entrata storica”, vale a dire della commisurazione delle future assegnazioni sulla base della fotografia dell’esistente, cioè di dati grezzi e di parametri falsamente oggettivi. Va tenuto presente che la rigidità sull’entrata è comunque controbilanciata da una discreta flessibilità sul lato delle uscite e viene sostanzialmente consentito un ampio ricorso all’autofinanziamento attraverso l’accensione di mutui e l’accesso al prestito bancario. Già a partire dagli anni sessanta la pressione della domanda sociale su comuni e province si fa sempre più intensa e ravvicinata e su di essi si scaricano le tensioni indotte dai poderosi ed epocali processi di trasformazione economica del Paese. A tale sfida, e alla crescente richiesta di servizi pubblici, molte amministrazioni (specialmente dell’Italia centro-settentrionale rette dalla sinistra e/o dal centro-sinistra) rispondono con una generosa dilatazione della spesa che finirà ben presto per scontrarsi con i vincoli del bilancio statale e, in un clima di rallentamento dello sviluppo economico, richiederà robusti e “dolorosi” interventi centrali di correzione e stabilizzazione finanziaria. La congiuntura economica della seconda metà degli anni settanta costringerà i governi a serrare i cordoni della borsa e, con una serie di decreti annuali, si procederà ad un consolidamento dell’esposizione debitoria, all’imposizione dell’obbligo del pareggio di bilancio alla fissazione di pesanti vincoli alla spesa e al divieto parziale dell’accensione dei mutui. La quota più cospicua del flusso in uscita resta la spesa per il personale burocratico. Maggior dinamismo ha sinora dimostrato la lobby trasversale del “partito dei sindaci” (amministratori elettivi), formatosi spontaneamente negli ultimissimi anni, e che si è mossa nella direzione di una chiara rivendicazione dei diritti delle autonomie e delle libertà municipali. Tornando al modello giuridico-istituzionale dell’autonomia locale, esso subisce un primo serio tentativo di innovazione globale con la legge 142/1990 sul nuovo ordinamento delle autonomie locali: 1. Concessione dell’autonomia statutaria (facoltà data ai Comuni e alle Province di dotarsi di uno strumento specifico per disciplinare la loro organizzazione interna); 2. Diversità dei meccanismi di elezione della giunta, del sindaco e del presidente della provincia (con la possibilità di nominare assessori esterni) e individuazione di termini perentori per la loro scelta, a scrutinio palese e maggioranza assoluta; 21 3. Previsione della “sfiducia costruttiva” (che rende inammissibile revocare gli organi di governo se non esiste già l’indicazione di una maggioranza alternativa); 4. Differente distribuzione delle funzioni tra organi comunali e provinciali (con attribuzione al Consiglio di un compito di indirizzo e controllo e affidamento alla Giunta della cosiddetta “competenza generale e residuale”; 5. Estensione del campo delle attività del Comune (con introduzione del criterio delle “generalità); 6. Modifica dei controlli sugli atti (con riduzione, soprattutto, di quelli relativi agli atti della Giunta); 7. Nuova disciplina del personale burocratico (con valorizzazione e responsabilizzazione della dirigenza); 8. Politica di accorpamento dei Comuni (ricorso a procedure incentivanti le fusioni e determinazione di apposite “unioni”); 9. Prefigurazione di “aree metropolitane” (quali organismi sostitutivi delle attuali Province, da applicarsi in contesti geografici espressamente enumerati; 10. Sviluppo e ampliamento della partecipazione popolare (con eventuale utilizzo del referendum e garanzia di accesso ai documenti); Nel marzo 1993 viene approvata una legge di modifica dei congegni elettorali, che contiene però soluzioni tecniche piuttosto macchinose e talvolta inutilmente complesse: • Viene sancita l’elezione diretta del sindaco e del presidente di provincia; • Vengono rivisti i metodi di designazione dei consiglieri comunali e provinciali, con adozione del principio maggioritario; • Per i comuni con più di 15.000 abitanti viene previsto il “doppio turno”; • Viene fissato un premio di maggioranza (2/3 o 60%) per le liste collegate con il sindaco o con il presidente della provincia; CAPITOLO.6 LA SFIDA PER L’AUTONOMIA: L’AMMINISTRAZIONE DEI CITTADINI (1995-2008) In vista delle nuove elezioni, la maggioranza adotterà nel dicembre 2005 una diversa legge elettorale (il porcellum) con il non troppo velato intento di rendere difficoltosa per l’opposizione la riconquista dell’esecutivo. Il sistema prescelto era di tipo proporzionale, con soglie di sbarramento e con premio di maggioranza alla lista o alla coalizione vincente. Il meccanismo delle liste bloccate comportava l’esclusione della facoltà per i cittadini di esprimere delle preferenze. In questo periodo si accentua il ruolo del Presidente della Repubblica e si rafforza quello del Presidente del Consiglio, si registra una tendenziale emarginazione del parlamento dal circuito decisionale. Alcune istanze riformatrici si concretizzeranno nella riformulazione dell’articolo 111 (magistratura) e del titolo V che fu votata dalla sola maggioranza di centrosinistra verso il chiudersi della legislatura, ovviamente crearono un precedente che si ripeté qualche anno dopo. Infatti, il nuovo profetto di riforma costituzionale elaborato da camera e senato, tra il 2004 e il 2005, e poi respinto nel 2006, fu criticato perché nasceva in risposta a una duplice e poderosa spinta: quella della lega per la realizzazione della devolution e quella di Forza Italia e Alleanza Nazionale per l’attuazione di una nuova forma di governo imperniata su un primo ministro dotato di estesi poteri politici e costituzionali. L’amministrazione pubblica Due sono le ragioni principali che, dalla fine degli anni ’90, sollecitano la classe politica a mettere in cantiere un cospicuo riassetto degli apparati amministrativi: 1. La necessità di tener conto dei sempre meno eludibili vincoli derivanti dalla legislazione dell’UE; 2. L’aggravarsi della crisi fiscale e finanziaria dello Stato. 22 EVENTO PERIODO CONSEGUENZE Decreto n. 80 del 1998 1998 • Introdotto il principio dello spoils system Decreto Legislativo 30 luglio 1999, n. 300 1999 • Riorganizzazione delle prefetture che si trasformano negli uffici territoriali di governo; • Nuovo prefetto, coadiuvato da conferenza permanente e dotato di un potere sostitutivo, spetta il compito di: o coordinare l’attività di gran parte degli apparati decentrati dello stato; o farsi garante dell’osservazione dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione con gli enti locali; o sostituire il commissario del governo e svolgere funzioni di rappresentante dello stato per i rapporti con il sistema delle autonomie; LEGGE 26 marzo 2001, n. 81 2001 • Viene creata la figura del viceministro, un sottosegretario cui è conferita una delega riguardante tutta l’area di competenza di uno o più dipartimenti o di più direzioni generali; • Si concedono maggiori poteri ed una più accentuata autonomia organizzativa al premier ma, l’idea di farne un’istituzione snella e di programmazione genere viene di fatto accantonata con un riassorbimento in capo alla stessa presidenza di numerose attribuzioni di amministrazione attiva; Decreto 165 del 2001 2001 • Limitata la revocabilità degli incarichi per cambio di governo ai ruoli non apicali; Modifiche alla legge n. 241 del 1990 2005 • Modifiche relative alla partecipazione dei cittadini al procedimento amministrativo; 2006 • Viene limitato l’ambito della legislazione integrata che è affidata alla cura del prefetto; Legge delega n. 59 del 2007 2007 • Emanati due decreti legislativi sull’organizzazione del governo e sull’ordinamento della presidenza del consiglio; • Si procede ad una riduzione e accorpamento dei dicasteri; Il periodo indicato, pur prevedendo la trasformazione delle “amministrazioni parallele” in società per azioni, non ha comportato un’effettiva cessione ai privati di tutto il pacchetto azionario e quindi il settore pubblico dell’economia del Paese resta ancora molto consistente ed esteso. L’ordinamento regionale EVENTO PERIODO CONSEGUENZE Legge delega del 1997 1997 • Legge relativa al federalismo fiscale; • Introduce il principio di sussidiarietà verticale (Si parla di sussidiarietà verticale quando i bisogni dei cittadini sono soddisfatti dall'azione degli enti amministrativi pubblici, e di sussidiarietà orizzontale quando tali bisogni sono soddisfatti dai cittadini stessi, magari in forma associata e\o volontaristica); Legge delega del 13/05/1999 n. 133 1999 • Perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale LEGGE COSTITUZIONALE 22 novembre 1999, n. 1 1999 • Elezione diretta del Presidente della Giunta regionale; • Autonomia statutaria delle Regioni. 25 o è previsto un controllo sostitutivo del governo, a tutela del carattere unitario della repubblica e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali; o spetta poi alla legge statale fissare le relative procedure in modo che siano osservati il principio di sussidiarietà e di leale collaborazione; o La Regione non può istituire dazi di importazione o esportazione o transito tra le Regioni, né adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni; • La riforma non ha potuto risolvere il problema della creazione di una sola sede istituzionale di rango costituzionale atta a mediare fra le istanze settoriali delle regioni e degli enti locali e gli interessi nazionali dello stato; • L’idea di una trasformazione del senato in camera rappresentativa delle regioni e delle autonomie territoriali non è mai giunta in porto; • La riforma ha sensibilmente accresciuto e rafforzato il potere delle regioni ordinarie; • Per quanto riguarda quelle ad autonomia differenziata, oltre a quanto previsto dalla legge costituzionale n. 2/2001, viene introdotta la cosiddetta clausola della condizione favorevole, in modo tale che si possono applicare alle regioni a statuto speciale le norme da essa previste per le regioni ordinarie, ove queste contemplino forme di autonomia più ampia rispetto a quelle già attribuite; Legge 131 del 2003 2003 • Gli ambiti della potestà legislativa regionale possono essere anche desunti dalla legislazione statale; • Attribuzione alla Corte costituzionale, in via cautelare, la facoltà di sospendere gli effetti di una norma regionale contestata, in attesa della sua pronuncia definitiva; 2006 • Emanati alcuni decreti legislativi per fornire un primo quadro ricognitivo e orientativo dei principi statali presenti in alcuni campi specifici; • La forma di governo subisce una torsione in senso latamente presidenzialista; • La tendenza verso una stabilizzazione forzata dei governi regionali favorisce l’adozione del principio dell’elezione diretta del presidente, cui spetta la nomina e la revoca degli assessori; • Questa disciplina standard si applica anche alle regioni che non hanno ancora redatto un nuovo statuto. Le regioni, in occasione dell’elaborazione dei nuovi statuti, possono discostarsi dal modello indicato; Gli enti locali L'ultima fase del secolo è contrassegnata dal susseguirsi ravvicinato di diversi interventi legislativi volti a potenziare ulteriormente il ruolo e le funzioni degli enti locali. Si devono citare • Legge delega n. 59 del 1997: in applicazione del principio di sussidiarietà trasferisce molte funzioni amministrative ai comuni e alle provincie. • Legge n. 127 del 1997: riduce i controlli e prescrive nuovi meccanismi di semplificazione amministrativa e di snellimento delle procedure; 26 • Legge n. 120 del 1999: modifica i congegni elettorali e prolunga il mandato del sindaco a 5 anni. • Decreto legislativo 18 agosto 2000 n.267: queste disposizioni saranno poi coordinate dal nuovo testo unico sull’ordinamento degli enti locali (TUEL). La riforma del titolo V completa e chiude questo virtuoso ciclo legislativo iniziato almeno 10 anni prima: • Art. 114 La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. Più rilevante: o viene previsto uno schema ascendente che parte dal basso, dai comuni, per arrivare in alto allo stato. o Il verbo ripartire è sostituito da costituire per rimarcare un'esplicita volontà di rifondare e iniziare dalle istituzioni più vicine ai cittadini, l'intero ordinamento della repubblica. o Comuni e province sono enti autonomi e con propri poteri, funzioni e statuti secondo principi fissati dalla costituzione. o Alla città di Roma è riconosciuto un assetto particolare, da stabilirsi mediante un'apposita legge statale. o L'inserimento delle città metropolitane ha portato a una loro costituzionalizzazione. o Maggior autonomia per gli enti locali ma anche esplicita riserva alla potestà esclusiva dello stato per ciò che attiene alla legislazione elettorale. o Il rovesciamento operato dall'art. 114 non è puramente nominale o simbolico, ma produce conseguenze sostanziali; • Art. 118 Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. Le funzioni amministrative sono assegnate quindi in prima battuta ai comuni, salvo che si renda necessario collocarle su un livello superiore. • Art. 119 autonomia finanziaria: a differenza delle regioni, che dispongono della potestà legislativa, gli altri enti locali devono agire nei limiti della normazione statale e regionale di riferimento. • legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, con l'abrogazione dell'art. 130 della Costituzione: è stata sancita l'abolizione espressa dei controlli di legittimità e di merito sugli atti degli enti locali da parte dell'organo regionale di controllo. Ci si affida ai controlli interni, mentre permangono quelli sugli organi. È opportuno fare qualche accenno alla figura del segretario comunale: • Sulla scorta delle disposizioni contenute nella legge n. 127 del 1997 il sindaco è libero di scegliere il segretario, sia pure all'interno di un apposito albo nazionale; • È un funzionario a cui sono demandati, secondo il TUEL del 2000, precisi compiti di collaborazione professionale e assistenza tecnica nei confronti del sindaco e degli altri organi di governo. • La legge del 1997 ha previsto la possibilità per le province e per i comuni con più di 15.000 abitanti di nominare un direttore generale che può essere affiancato allo stesso segretario e che dovrebbe contribuire a far raggiungere alla macchina amministrativa livelli ottimali. Il TUEL ha cambiato le modalità di erogazione dei servizi pubblici, identificando tre ipotesi alternative: 1. l'affidamento diretto a società a capitale pubblico; 2. l'affidamento diretto a società miste; 3. l'affidamento mediante gara aperta a qualsiasi operatore. 27 Gli enti locali hanno preferito far ricorso agli affidamenti in house. Il progetto di legge di liberalizzazione dei pubblici servizi ha incontrato a lungo tenaci ed estese resistenze. Il mantenimento dello status quo è dipeso dal timore che venissero sacrificati posti lavoro. Il problema non è tanto o non solo quello della predisposizione di una normativa moderna, organica e adeguata ai problemi dell'Italia, bensì quello dell'applicazione pratica dell'implementazione, della legislazione stessa. Questo è visibile a proposito della revisione costituzionale del 2001. Le difficoltà, le remore e gli ostacoli che queste politiche pubbliche incontrano sul loro cammino derivano dalla posta in gioco che è di natura politica, attiene alla distribuzione del potere.