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La scoperta della prima infanzia-Volume 2, Sintesi del corso di Storia Della Pedagogia

Per una storia della pedagogia 0-3. ''Da Locke alla contemporaneità'' -Dall'empirismo di Locke alla rivoluzione pedagogica di Rousseau. -Dalla pedagogia della madre alla nascita delle prime istituzioni per la cura e l'educazione infantile.- Il primo 900 e le vie dell'educazione nuova. -La rivoluzione Montessori. -Le principali pedagogie della prima infanzia nel secondo Novecento.

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica La scoperta della prima infanzia-Volume 2 e più Sintesi del corso in PDF di Storia Della Pedagogia solo su Docsity! Capitolo 1 Dall'empirismo di John Locke alla rivoluzione pedagogica di Rousseau: Per arrivare alla progressiva presa di coscienza delle esigenze proprie dell'infanzia occorre confrontarsi con gli studi di Philippe Arìes che hanno acceso i riflettori sullo sviluppo sistematico di un <sentimento dell'infanzia>. Crebbe l'influenza della medicina sulla conoscenza dei più piccoli e dei principali processi fisiologici, ma anche educativi dei primi anni di vita. Una fonte storica in grado di illustare i cambiamenti è costituita dalle Mèmories (memorie nobiliari) scritte a partire dall'osservazione quotidiana di neonati e infanti. Un esempio che evrebbe dato vita ad un nuovo genere letterario e ad un vero e proprio habitus educativo è costituito dal "diario della salute" (journal de Jean Hèroard) in cui venivano condotte le osservazioni sul futuro sovrano Luigi XIII, sull'evoluzione dei malanni e sul piano pedagogico in cui erano presenti tutti gli accorgimenti previsti per rendere il suo sviluppo migliore possibile. Esso costituì il primo abbozzo di riflessione pedagogica che rappresenta una fonte importante perchè nella Francia dei Seicento il periodo di vita fra 0 e 7 anni era ancora un ambito animato da sole donne e governato da leggi non scritte ed offriva anche una testimonianaza diretta dell'avvenuto sviluppo di una coscienza dell'infanzia umana, in quanto venivano descritte le prime conquiste del piccolo Luigi che vanno dalla comparsa dei denti da latte, al fiorire del linguaggio e alla deambulazione autonoma, correlata dal cambio del vestiario. E' stato quindi possibile per la prima volta illustare, attraverso la narrazione di episodi di vita quotidiana, lo svolgimento del progetto educativo del Institution du Prince. Va ricordato che non appena il piccolo iniziò a farfugliare le prime parole fu inviato a perfezionare la sua capacità di articolare le singole lettere fino alla formulazione di intere frasi. Se nella prima infanzia di Luigi XIII non si riscontrava la presenza educativa della madre sostituita in queste sue funzioni dalla madre, nel corso del Seicento/Settecento, la madre, essa cominciò a preoccuparsi della sua crescita fisica, della sua prima formazione religiosa, fino all'apprendimento della lettura-scrittura. Tutto ciò in attesa che il bambino dai quattro anni in poi imparasse il cerimoniale e le regole di corte. Lo sviluppo di un sentimento dell'infanzia non deve però far pensare che venissero abbandonate quelle forme di intervento centrate su punizioni fisiche e psicologiche, anzi notiamo con la nascita della cultura borghese una certa diffusione della Pedagogia Nera; che si tradusse nell'esercizio di forme di controllo del corpo e della psiche dei più piccoli ricorrendo all'utilizzo di immagini spaventose, racconti terrificanti, punizioni umilianti. Jhon Locke consente di cogliere il rapporto di interdipendenza fra il processo di formalizzazione del sapere pedagogico e l'affermazione del processo di educazione individuale borghese lontano dalle esperienze collegiali. Il profilo antropologico al centro della sua idea di educazione fu quello del Gentelmen, riletto in maniera innovativa come figura di uomo dai buoni natali che grazie alle doti personali aveva saputo affermarsi come membro di una nuova classe dirigente, potendosi definire come un'uomo che si è fatto da solo. Ricordiamo l'opera "Pensieri sull'educazione" su richiesta di un suo amico che cercava suggerimenti su come educare il proprio figlio, riuscendo ad offrire una serie di riflessioni pedagogiche date da esempio riguardanti la vita quotidiana delle famiglie frequentate da Locke. Il nucleo portante della sua teoria dell'educazione trovava come punti d'origine la cura e l'educazione promosse durante la prima infanzia, in cui il neonato era considerato come una tabula rasa sulla quale l'esperienza avrebbe introdotto le conoscenze attraverso le impressioni ricevute dai sensi. Locke negò qualsiasi forma di innatismo , sostenendo l'acquisizione delle conoscenze da parte degli esseri umani, anche nel suo Saggio sull'intelletto nel quale illustrò che non vi fosse nulla di apriori nella mente umana, ma che tutto entrasse aposteriori attraverso l'esperienza. Locke dedicò spazio alle migliori pratiche di cura del corpo del neonato e dell'infante per garantire quei caratteri di robustezza, forza e resistenza senza i quali non sarebbe stato possibile preparare un buon terreno per l'educazione. Le madri aristocratiche ed alto-borghesi non dovevano più far crescere i loro piccoli fra agi e troppe tenerezze poichè anche i loro figli, al pari di quelli dei contadini, dovevano poter vivere all'aria aperta, con il capo e i piedi non troppo riparati dal freddo e inoltre per Locke era ben educato un uomo che fin da piccolo aveva imparato a sopportare privazioni e contraddizioni di ogni genere. Espliciti furono i richiami all'educazione Spartana come paradigma educativo centrato sulla fortezza, ovvero dal coraggio interiore. Con Locke parliamo di <teoria dell'indurimento> per la quale la libertà era frutto della vittoria sulla natura umana con i mezzi stessi offerti dalla natura , grazie allo sviluppo di una capacità di resistenza ai condizionamenti prodotti dall'ambiente. Mise al centro della sua teorizzazione educativa la pratica del disciplinamento come forma di regolazione da parte dei genitori di ogni azione di cura dei propri figli. La disciplina assumeva la valenza di "scuola della libertà" in quanto libertà non era un dato biologico ma una suprema aspirazione dell'uomo maturata attraverso l'esperienza e la sorveglianza da parte dei genitori e degli educatori. La disciplina venne così considerata il pilastro sul quale poggiare l'esercizio del self-government, facendo sì che ogni uomo possa essere padrone di se stesso fin da piccolo e per farlo era indispensabile offrire ai piccini numerosi esempi virtuosi. Locke era contrario all'esercizio della violenza nei confronti dei più piccoli, perchè le punizioni corporali o verbali non facevano altro che inasprire i vizi e le azioni malvagie comportando una soppressione della personalità del fanciullo. L'educazione pensata per i più piccoli era di tipo pratico fondata sui buoni esempi , sull'imitazione di azioni virtuose e sull'utilizzo di maniere dolci; i genitori avrebbero dovuto abbandonare i metodi tradizionali di apprendimento basati sulla memorizzazione di precetti astratti e il ricorso alle punizioni e ai rimproveri costanti. Fra gli aspetti pratici, secondo Locke, avere troppi balocchi a disposizione provocava nel picciono una confusione di percezioni sul livello sensoriale, acompagnata sul piano morale da una smania di possesso e di continua richiesta di nuovi giocattoli. Sarebbe stato auspicabile costruire giocattoli con la propria inventiva. La pratica del lavoro manuale venne presentata da Locke come una delle migliori strategie per il governo educativo dei fanciulli, che richiedeva la presenza dell'autorità paterna, governandoli facendo percepire loro ma mano severa del padre, quasi fosse un principio naturale. La preparazione di un buon genitore doveva saper dosare al meglio la ragione e l'esercizio della virtù, nella consapevolezza che le buone abitudini acquisite si sarebbero integrate nella natura stessa. Fènelon ebbe un ruolo di primo piano nel panorama pedagogico internazionale fra Seicento e Settecento nel sostenere l'importanza di educare le fanciulle fin dalla più tenera età come un antidoto ad una cattiva educazione della donna con tutti i pericoli che ne conseguivano sia sul piano individuale sia sul piano della conservazione della solidità e della bontà delle relazioni familiari. Nel trattato "L'educazione delle fanciulle" Fènelon prese spunto dal suo magistero pedagogico e dalle considerazioni ricavate dalla lettura di Platone e Agostino. Questo trattato diede un ampio contributo sull'educazione dell'infanzia e sulla natura umana in cui il bambino non veniva più inteso come un essere deficitario ma come un essere in evoluzione stadiale. La relazione educativa avrebbe avuto il compito di seguire e assecondare la natura nel suo sviluppo, preservandola fin dalla nascita da capricci e disordini grazie all'acquisizione di buone abitudini. Fènelon riteneva indispensabile superare la consuetudine di affidare i piccini alle mani di donne non in grado di promuovere al meglio la loro sensibilità. Egli considerava la donna-madre la figura ideale di educatrice della prima infanzia, descrivendola come previdente, laboriosa, dedita al marito. Era necessario orientare in modo indiretto le prime impressioni dei piccini con parole accompagnate da adeguati toni e gesti per far maturare in loro una naturale inclinazione ad intrattenersi con le persone buone. In Fènelon vediamo una sorta di anticipazione di alcuni caratteri della pedagogia rousseauiana, in particolare l'idea di natura come una physis fin dalla nascita. Forte fu l'accento da lui posto sulla salute dell'infante con la raccomandazione di una corretta alimentazione, una regolarità dei pasti, un utilizzo degli alimenti più convenienti e non troppo vari. Il richiamo che Fènelon fece rinvigorito dal riconoscimento della "plasticità" cerebrale e della "recettività" dell'intelligenza infantile testimoniava il persistere di una tradizione educativa centrata sull'imitazione come canale di apprendimento per i più piccoli.Nel 700 l'infanzia iniziò a non essere più considerata come un periodo transitorio in preparazione all'età adulta , ma come una fase a sè stante. Iniziò a diffondersi l'idea della famiglia come luogo di affetto necessario per i bambini, si verificò una progressiva riduzione del tasso di mortalità infantile e vediamo il miglioramento delle condizioni igenico- sanitarie. La fasciatura fu combattuta come una pratica barbara per i danni provocati alla libertà di movimento, all'assunzione di una corretta postura e allo sviluppo spontaneo della deambulazione. Si diffuse pedagogica incentrata sull'amore materno, considerato quel fattore indispensabile per realizzare un'educazione dell'uomo secondo natura. Prova ne fu la difesa nel saggio Sull'infanticidio, come intervento a difesa delle donne condannate a morte perchè avevano ucciso i loro neonati, consentì a Pestalozzi di trovare una soluzione all'infanticidio attraverso una riforma sociale in cui fosse rivisto il concetto di responsabilità personale. Ogni fanciullo secondo Pestalozzi possedeva in sè alcuni germi invisibili da far crescere; era una sorta di bocciolo non ancora dischiuso e di tenero arboscello affidato alle cure amorevoli della madre. La famiglia costituiva una realtà intermedia fra la comunità e il singolo individuo senza ridursi ad un luogo di privatizzazione del bambino. La rivoluzione pedagogica soggiacente al pestalozzismo rappresentò una sorta di nuova rivoluzione protestante in grado di riproporre i migliori fermenti del pensiero luterano sul piano educativo. Pestalozzi desiderò pubblicare un testo pensato come guida teorico- pratica per le madri alla presa con l'educazioni dei loro piccini dai primi giorni di vita; quest'ultimo prese il nome "Il libro delle madri o istruzioni per le madri per insegnare ai propri figli a parlare" in cui venne affermata l'importanza dell'azione ducativa materna nell'attivare i germi vitali dello sviluppo presenti nel bambino, attraverso la promozione delle due capacità fondamentali dell'osservare e del parlare grazie al libero movimento. L'idea di sviluppo che animava la proposta pedagogica di Pestalozzi-Krusi non era riducibile alla mera crescita fisiologica-biologica del corpo e della mente del bambino, bensì in senso ampio e integrale come funzione di tutte le dimensioni dell'essere umano, a partire dalla constatazione che l'intervento materno avrebbe aiutato il piccolo ad imparare gradualmente da solo. Dieci furono le serie di esercizi messi a punto per guidare la maturazione progressiva delle forze presenti per natura del fanciullo, tra cui insegnare e al figlio a indicare e nominare le diverse parti del corpo ed imparare la posizione in cui si trovano, insegnare al bambino le proprietà comuni a certe parti del corpo e così via. Nell'opera Madre e figli; L'educazione dei bambini pubblicata nel 1827 la cura materna venne presentata come una conditio sine qua non per avviare quel processo di rigenerazione morale e sociale. Vediamo che il legame madre- figlio in tutta la sua naturalità era uno specchio di quel sentimento primordiale di amore e fiducia che legava ogni uomo al suo Creatore e che vedeva la madre come colei che faceva da "sentinella" nell'osservare e cogliere le prime espressioni dello sviluppo fisico, sensoriale, razionale e spirituale del bambino. L'educazione dei bambini, contribuiva a rafforzare nella madre la consapevolezza di essere investita della responsabilità di condurre con cuore, mente e mano ferma la crescita e l'educazione del proprio figlio. La figura materna risultava protagonista di una progettualità pedagogica che richiedeva l'esercizio sistematico costante di un <amore pensoso> ovvero di un amore regolato con e dalla riflessione sulla natura dei propri doveri educativi volti a condurre al bene i propri figli. La madre aveva come asso nella manica la pratica dell'osservazione quotidiana, raccomandata da Rousseau nell'Emilio per cogliere i caratteri principali del gènie di ciascun uomo, riprese poi da Pestalozzi per seguire la gradualità dello sviluppo psico-fisico morale dei figli nella veste di custode dell'amore, della fede di Dio e dell'ordine familiare. Necker de Saussure: Nel panorama pedagogico europeo si formò anche il profilo intellettuale di Albertine che fu artefice di una pedagogia dell'infanzia fondata sui principi della benevolenza reciproca, della giusta serietà e dell'ordine. Il padre rappresentò una figura centrale nella sua formazione culturale e personale; si premurò di seguire direttamente l'educazione della figlia, guidata da un medoto educativo attivo capace di farle assaporare la bellezza delle occupazioni intellettuali realizzate quotidianamente secondo un ordine armonioso. Il contributo di Albertina Necker risultò centrale nell'ambito della pedagogia post-rousseauiana grazie alla sua principale opera "L'educazione progressiva, o studio sul corso della vita". Il corso della vita della persona umana era concepita come un processo di costante perfezionamento in termini di autoeducazione per tutta la vita, senza fissare alcun limite di sviluppo alle facoltà. La Necker de Saussure venne definita un "Rousseau cristiano", perchè seppe criticare dall'interno e superare la pedagogia dell'Emilio, riducendo la sua visione educativa alla verità cristiana senza dimenticare di soddisfare i bisogni ideali, educativi e religiosi affrontati nell'opera rousseauiana. La studiosa partì dall'affermazione che la vita umana era di per sè educazione, che si fondava sullo studio sperimentale del fanciullo e dell'uomo nella forma dell'analisi "romantica" di esperienze significative. La studiosa ginevrina raccomandò di affiancare alle forme di educazione accidentale una forma di educazione premeditata, frutto dell'esercizio della volontà dell'uomo in quanto forza misteriosa finalizzata a fondare l'impero durevole della coscienza e dare una direzione costante alla volontà nel bambino. Nei primi tre anni di vita questo tipo di educazione doveva essere uguale sia per le femmine che per i maschi. Il coinvolgimento protagonistico del fanciullo o della fanciulla non poteva fare a meno di fonfarsi sulla morale e sull'educazione del cuore, che trovavano un loro terreno elettivo nel sentimento religioso: da qui sgorgava il riconoscimento della centralità della legge dello spirito nell'educazione integrale dell'uomo. L'educatore era chiamato a porsi di fronte al suo educando come la Provvidenza si poneva di fronte all'uomo, volendo il suo bene presente e futuro. L'attenzione e la cura con cui la Necker affrontò i temi dell'educazione della prima infanzia celavno dietro di sè un interesse epistemologico nei confornti dell'educazione poichè intese analizzare il processo messo in atto da un essere perfetto, ovvero compiuto (l'educatore che nella prima infanzia era la madre) nei confronti di un essere in corso di perfezionamento con l'obiettivo di conoscere la natura e i limiti dell'educazione attraverso lo studio sistematico dell'infanzia. La migliore strategia metodologica suggerita dall'autrice consisteva nel praticare un'oservazione costante e accurata dei neonati e dei fanciulli, indispensabili per poter studiare il loro sviluppo. L'osservazione costituiva lo strumento privilegiato per scoprire e identificare i caratteri dell'infanzia. Due furono nello specifico; la prima un'osservazione individuale e come tale condotta dalla madri con la stesura costante di un giornale dello sviluppo del bambino, e la seconda un'osservazione dei fanciulli riuniti in un gruppo considerevole, condotta dai maestri quando i piccoli avrebbero cominciato a frequentare la scuola. L'antropologia pedagogica della Necker non ricalcava l'idea di uomo buono secondo natura, ma promuoveva fin dalla prima infanzia le buone disposizioni naturali che erano però difficili da distinguere dalle buone abitudini, soprattutto nel primo anno di vita perchè il neonato non era ancora in grado di esprimere un atto di guidizio capace di condurlo a trarre lezioni dall'esperienza. Per cogliere al meglio la portata della pedagogia dell'infanzia elaborata dall'autrice, occorre partire dalla genialogia dell'intenzionalità della persona umana che descrisse partendo dal mistero della nascita. La sua attenzione si soffermò sulla folla di sensazioni di sofferenza, stordimento e vertigine che accoglievano il piccino durante e dopo il parto. Il primo istinto che guidava l'agire del neonato era quello di suzione, quando a sei settimane iniziava a manifestare i primi bagliori di affetto, egli era spinto da una sensazione interna che la Necker attribuì al sentirsi amato. Comparivano in questo modo il pianto, il riso e un dolce mormorio. A partire dai 6 mesi di età il piccolo non era più concentrato su se stesso ma iniziava ad interssarsi ad una serie di relazioni con il mondo esterno. A partire dal compimento del primo anno di età iniziava in maniera del tutto naturale a balbettare le prime parole ed a fare i primi passi, prorogative fondamentali che lo contraddistinguevano dal percorso di crescita del cucciolo animale. La promozione di un'educazione puramente sensoriale costituiva la prima palestra di esercizio delle abilità cognitive e linguistiche nascenti. L'adozione di uno stile educativo sereno assumeva una valenza pedagogica personalizzante, capace di fronteggiare la diversità nei tempi di sviluppo delle varie dimensioni dell'essere umano . Con l'apparire del linguaggio, il bambino entrava in un mondo di parole e si trovava coinvolto nel suo utilizzo come strumento del pensiero attraverso modalità di tipo ludico. Il dono della loquacità non era direttamente proporzionale allo sviluppo cognitivo del bambino, ma era strettamente legato al piacere che provava nell'esprimere le sue sensazioni di gioia. Da queste osservazioni sullo sviluppo continuo e progressivo dei più piccoli la studiosa ginevrina affermò che i principi di ordine, armonia ed equilibrio dovevano saper dominare l'educazione intellettuale nella prima età; l'ordine delle stimolazioni avrebbe evitato di distrarre o addirittura stordire il bambino a causa dell'intensità delle sensazioni fisiche. Altrettanta cura doveva essere esercitata anche nei confronti dell'educazione emotiva; la nutrice con il suo comportamento, la sua voce, i suoi atteggiamenti poteva influire sull'umore del fanciullo per tutta la vita e per questo motivo sottolineò anche l'importanza di circondare il bambino di volti ridenti, espressioni di dolcezza e benevolenza. Un'azione educativa amorevole avrebbe avrebbe garantito quello stato di completa calma interiore, che costituiva la conditio sine qua non di uno sviluppo del piccino secondo natura. Lambruschini: Si connotò per la forte centratura attorno al tema dell’educazione familiare, quasi a farne una sorta di “pedagogia della famiglia“. Anche la sua pedagogia era legata alla sua concezione morale e religiosa. Particolarmente accentuato fu il legame fra la riforma religiosa la riforma politica e sociale, per promuovere una nuova fondazione del cristianesimo.Lambruschini Fu indirizzato dal pensiero degli illuministi, a proposito della costruzione di una scienza la educazione fondata sull’esperienza e sull’osservazione, finalizzato a promuovere la felicità dell’individuo e il progresso della società. Nell’intento di valorizzare la famiglia Lambruschini riconobbe la madre un ruolo di particolare rilievo, animata com’era dalle gioie da sacrifici che il suo compito richiedeva, in continuità con la rilettura del pensiero pestalozziano. Questi suoi interessi peculiari nei confronti dell’agire educativo materno erano presenti nell’intervento: “ipiaceri delle madri“ pubblicato nel 1838 nella “guida dell’educatore“, A proposito delle finalità educative delle funzioni materne.in nome di un cristianesimo evangelico in grado di realizzare l’unità degli uomini su basi morali Lambruschini Parti dal presupposto che la madre rappresentasse un veicolo di “incivilimento dell’umanità” e in quanto educatrice secondo natura, fosse sempre la prima e più che potesse la sola ad educare i piccini, Fermo restando il fatto che la responsabilità di istruire ed educare i figli appartenesse ad entrambi i coniugi.In particolare suggerì come strategia educativa l’esercizio di una vigilanza accorta ma non molesta al fine di cogliere ogni occasione propria per instillare nel più piccolo un buon pensiero è un buon sentimento.un sentimento di soave compostezza avrebbe così animato il suo stile educativo. La figura della donna-madre delineata da Lambruschini, Siri richiamava alla donna-madre Geltrude di Pestalozzi, nella sua volontà schietta e perseverante di sacrificarsi per i propri figli e mettendosi al servizio della loro educazione integrale, in quanto in possesso della “chiave“ loro cuore. La discussione attorno alla figura della madre-educatrice e della madre-maestra fu ripresa nell’opera “dell’istruzione elementare e di secondo grado” Per ribadire il carattere imprescindibile della responsabilità genitoriale e dell’educazione familiare nel porre le fondamenta dell’istruzione del popolo, che trovava nell’auto educazione e nella congiunzione di lavoro manuale ed istruzione dell’intelletto e pilastri portanti di un progetto pedagogico più ampio di rigenerazione umana sociale e civile.in questo modo il rinnovamento dei metodi educativi sarebbe coniugato con un rinnovamento sul piano sociale e politico. Diversi furono i richiami per sollecitare i genitori ad esercitare nella semplicità e nella concretezza delle loro pratiche di insegnamento quella autorità che sola poteva Fortificare l’autorità del futuro maestro che avrebbe accolto loro figli a scuola. La valorizzazione del ruolo educativo genitoriale, in special modo quello materno, si accompagnò ad un altro “nodo scottante” della pedagogia risorgimentale, L’istruzione femminile, richiamata quale “necessità grave, convivente e manifesta“ per consentire ad ogni futura madre del popolo di occuparsi della prima educazione ed istruzione dei propri figli, a garanzia di una tenuta sociale fondata su una stretta continuità educativa tra famiglia e scuola. La forza educativa della madre avrebbe costituito il principale motore di un processo di insegnamento-apprendimento fondato sulle occasioni di vita quotidiana e.in una delle sue ultime opere si concentra sull’insegnamento della lingua, Secondo metodo di apprendimento fondato sulla “graduazione“ che si richiamava alle prime modalità di apprendimento del bambino. La madre era rivestita dal compito di “custodia della lingua“ e della formazione della coscienza morale delle nuove generazioni in nome di una concezione della lingua come prodotto naturale il cui apprendimento fungeva da base del patrimonio di sapere che ogni fanciullo. Capponi: Rappresenta una delle voci più autorevoli attente al miglioramento delle condizioni morali ed economiche italiane.Fece i conti con la lettura di Rousseau e la “rivoluzione pedagogica“ introdotta dall’educazione negativa discussa nell’Emile. Egli era convinto del fatto che i metodi innovativi della pedagogia costituivano soltanto dei “beni surrogati” alla mancanza di contenuto morale, con il conseguente rischio di far prevalere una educazione artificiale su un’educazione legata alla vita. Il suo maggior contributo consistette nel carattere utopico del suo discorso, volta ad affermare sul piano filosofico le conseguenze di un’educazione secondo natura “azione intensa continua dell’educazione dell’educatore sul fanciullo, dell’uomo sull’uomo”. Capponi riconobbe la centralità della figura materna come “ministro della sapienza ancora più eterogeneo, sia nei toni, sia nelle capacità di reagire alle parole che sentiva. Mise in luce come solamente una conoscenza approfondita ed appropriata della persona umana fin dalla sua età avrebbe consentito la realizzazione di un’educazione integrale dei sensi, dell’intelletto e della volontà. Interessante notare come da alcuni manoscritti emerge in maniera ancora più esplicita l’intenzionalità pedagogica di Tommaso.si vedono a tal proposito le considerazioni espresse attorno alla funzionalità delle mani della neonata. Le mani della piccola Caterina costituivano una sorta di “trait d’union” fra le prime forme di apprendimento per esperienza e lo sviluppo della sua mente poiché è grazie a loro costante utilizzo le fu possibile imparare il concetto di causa e iniziare ad applicare al particolare i principi generali. Frobel: Iniziò a gettare i pilastri di una vera e propria “pedagogia dell’infanzia“, cioè di una teoria di una pratica dell’educazione pensata espressamente per rispondere al meglio ai bisogni, alle esigenze e alle dinamiche evolutive dei primi anni di vita dell’essere umano.per far ciò meditò e perfezionò alcune delle proposte educative e delle suggestioni pedagogiche veicolate da Pestalozzi nei suoi ultimi testi rivolti alle madri. Frobel rimasto orfano di madre ad appena un anno di vita fu trascurata dal padre impegnato come pastore protestante trascorrendo l’infanzia abbandonata ai fratelli più grandi, o a persone strane.la situazione non migliorò quando il padre si sposò in seconde nozze: Froebel si sentì respinto e messo in disparte dalla matrigna, nonostante la sua ricerca continua di affetto. Queste esperienze favorirono in lui una tendenza a ripiegarsi su se stesso E a ricercare per tutta la vita “l’eterno femminino” simboleggiato dal giglio che, se sul piano personale assunse la forma di una romantica nostalgia nei confronti della donna- madre, sul piano pedagogico si espresse nel riconoscimento della centralità educativa della figura materna fin dai primi istanti di vita del bambino. Frobel intuì di avere una vocazione educativa. Esso era convinto del fatto che l’educatore, pur animata da buona volontà, non potesse essere per i suoi allievi un sostituto del padre o della madre, nel contempo era però consapevole di quanto contasse per l’educatore aver maturato una buona formazione in grado di fargli comprendere l’importanza di “restituire“ i figli ai loro genitori, e non di “strapparli“ forte del riconoscimento del primato educativo della famiglia.per poter promuovere al meglio tali finalità, iniziò ad occuparsi dell’educazione della prima infanzia. Riteneva che che essa non poteva basarsi solo su un’applicazione del metodo elementare pestalozziano, perché con i bambini di età inferiore agli otto anni rischiava di diventare una “grandissima menzogna“. Occorreva quindi elaborare un nuovo metodo, “più vivo, più naturale, più infantile“, finalizzato a far acquisire intuizione ed esperienza la natura. Frobel Inizia riflettere attorno alla centralità dell’osservazione nel favorire una conoscenza profonda del mondo esterno e della lingua come rappresentazione del mondo.per questo motivo affidò la “prima scuola dell’uomo“ Alla madre, in quanto responsabile della costruzione del futuro culturale del suo piccolo attraverso l’osservazione del mondo esterno e l’insegnamento della lingua. In particolare, la proposta di esercizi di osservazione, pensati per i bambini fin dal primo anno di vita, avrebbero contribuito a stimolare le loro capacità di riconoscimento, intuizione e linguaggio. (Legge sferica= regolava l’unità esistente fra essere e divenire, costituiva la base per la formazione spirituale degli uomini.)Nella sua opera principale: “l’educazione dell’uomo“ inizia a delineare i contorni di un’educazione come scienza della vita per il suo compito di unificazione della natura delle cose e della natura umana.si trattava della medesima legge che Frobel pose al centro della sua teoria educativa del gioco, concepito come occupazione in grado di mettere in contatto il bambino con il divino insito in tutte le cose, Non più come perdita di tempo o fonte di ozio e di vizio.a attività ludica andava promossa con l’ausilio di materiali di auto educazione del valore simbolico i cosiddetti: “Gaben=doni”, Che nella loro stessa struttura riproducevano l’unitarietà di tutte le cose. La cura materna e lo sviluppo infantile risultavano per Frobel Complementari, senza per questo richiedere una “istruzione scolastica precoce” dei fanciulli fin dalla primissima età, poiché si fondavano sulla valorizzazione della naturale ed è rinunciabile “missione educativa” delle donne in famiglia. Frobel mostró di mantenersi lungo la scia Pestalozziana per quanto riguardava l’affermazione della centralità e dell’insostituibilità dell’amore materno sul piano educativo, così come del suo carattere “naturaliter’’ dolce, caritatevole ed attento alle esigenze di cura, In contrasto con il tradizionale primato dell’amore paterno considerato paradigmatico. La concezione di “germanicità” rimase +1 ideale etico-religioso di umanità all’interno del contesto gruppo del romanticismo, che la fonte d’ispirazione è una forma di nazionalismo politico, religioso e culturale. L’interesse di Frobel ad aprire una “scuola delle madri” era cresciuta di pari passo con le sue acquisizioni in tema di sviluppo psicofisico dei fanciulli dai 2 ai 6 anni. La svolta definitiva nel pensiero di Frobel si verificò nel 1836, quando formulò una prima descrizione del “Kindergarten”, Come “rinnovata vita della famiglia, in grado di consentire ad ogni fanciullo la conquista della sua piena umanità. Il kindergarten, Rappresentava nella sua concezione una sorta di paradiso dell’infanzia, poiché era stato pensato per dare la possibilità ai più piccoli di imparare a costruire e godere già su questa terra del “regno di Dio“, guidati da un giardiniere accorte di esperto nella scienza dell’arte della vita: la donna-madre. Non a caso Frobel coniò un nuovo termine, “Kindermutter”, Per indicare le madri educatrici dei loro bambini, le maestre giardiniere. La figura della Kindermutter era una delle peculiarità del suo progetto pedagogico e culturale di una “scuola delle madri“ ispirata all’ideale di germanicità, insieme alla cura per l’ambiente interno ed esterno, all’utilizzo di materiali per l’auto educazione (i doni) con i relativi esercizi ed occupazione. In altre parole, era un “tassello“ di un puzzle contenente una teoria dell’educazione infantile è una didattica in grado di corrispondere al meglio ad una visione metafisica dell’uomo e ad una concezione dell’infanzia come periodo privilegiato per far esercitare attraverso il gioco l’impulso vitale. La strutturazione degli spazi del Kindergarten prevedeva un ampio “giardino“ esterno, suddiviso in due spazi pensati per le attività di giardinaggio e di allevamento di piccoli animali e per i giochi di movimento. Sul giardino si affacciavano edificio con due locali per ogni e 20 o 30 bambini da utilizzare in caso di avverse condizioni meteo.L’aria per la coltivazione delle piante è l’allevamento di animali era suddivisa in due zone una in cui erano presenti piccoli appezzamenti individuali la cui coltivazione era affidata la responsabilità di ciascun bambino e una con un grande apprezzamento ad uso collettivo.la cura delle piante e degli animali era considerata fondamentale poiché il fanciullo nell’imparare a curare e proteggere la vita degli altri imparava a curare e proteggere anche la sua vita.I fanciulli si dedicavano al gioco con l’ausilio dei doni. I primi doni erano costituiti dalla sfera, dal cubo dal cilindro, costruiti con materiali naturali (cuoio, stoffa, legno) che rimandavano alle forme di base. Essi venivano introdotti gradualmente, uno alla volta, come occasioni di gioco, accompagnati sempre da filastrocche o canzoni, secondo regole ben precise. Questi canti e filastrocche servivano anche per favorire lo sviluppo linguistico e lessicale del fanciullo. Gli arredi all’interno erano strutturati in funzione dell’attività ludica da svolgere con i doni. Il giardino d’infanzia, inizialmente presentato come giardino di Dio, doveva coltivare nell’uomo il germe del divino. Frobel non considerava e giardini d’infanzia come fine a se stessi, giacché sapeva bene che essi non avrebbero mai potuto sostituire completamente la vita familiare, bensì solo come mezzi per conseguire lo scopo di avviare all’attuazione della condizione ideale di cose. Egli voleva educare il mondo femminile al compimento della sua alta missione. Le donne non dovevano lavorare allo sviluppo della nuova generazione umana isolatamente, ma unita, in intimo contatto, sollecitandosi l’una con l’altra.Nel 1844 Frobel pensó ad un valido ausilio per attrezzare dal punto di vista pedagogico-didattico le donne, in vista di una progressiva assunzione di consapevolezza del loro ruolo di “modalità educante“ si trattava della pubblicazione di un volumetto:”Mutter-und Koselieder”.Il lavoro venne concepito come guida teorico-pratica per le madri educatrici, a partire da una serie di osservazioni e di costellazioni effettuate da Frobel. La prospettiva pedagogica seguiva il neonato nello sviluppo delle prime abilità, in particolare della forza esercitata per esempio con il pestare con i piedi oggetti ed afferrare ciò che la mano toccava, per poi guidarlo nel manifestare sentimenti verso gli altri, attraverso il sorriso il piacere, e iniziare a volgersi verso la luce e l’aria. Divenuto fanciullo era condotto ad acquisire e perfezionare l’uso della parola, come primo canale di comunicazione fra il mondo interiore ed esteriore. Secondo Froben era la “parola materna” a costituire il principale veicolo per favorire l’interazione del piccino con il mondo esterno e la costruzione della sua visione della realtà.Aldilà delle comprensibile difficoltà di impiego dell’opera rimane assoldata la sua natura di libro di autoformazione delle donne-madri educatrici della prima infanzia. L’osservazione risultava essere lo strumento principe nelle mani della donna-madre-educatrice per identificare le modalità di insegnamento più adatte ad introdurre il piccolo nella vita reale, a stimolarlo ad amare la natura, a far sbocciare lui un sentimento religioso è un comportamento morale.Il rapporto madre-figlio lasciava intravedere uno spirito di “Comunione continua con la libra natura“, all’interno di un contesto rurale in cui, giorno dopo giorno, si svolgeva una crescita armonica dei bambini alla ricerca di un’”amorosa“ Continuità fra ordine naturale e ordine sociale, di cui era garante il ruolo educativo materno. Owen: Il nascente movimento europeo degli asili infantili offrì un contributo decisivo della cosiddetta <<seconda infanzia>> (corrispondente alla fascia 3-6 anni) di cui si occupò Robert Owen. Non bisogna però dimenticare l'importanza che gredualmente si diede anche ai primi tre anni di vita del bambino, come ambito di sviluppo delle conquiste che aprivano alla seconda infanzia: la deambulazione autonoma, lo sviluppo del linguaggio e il completamento della dentizione da latte. Una rinnovata attenzione alla malleabilità e alla plasmabilità del corpo e della mente dei piccini comportò un progressivo intervento educativo volto alla canallizzazione del loro bisogno di movimento; gli esercizi di ginnastica dolce, le marce accompagnate furono fra le principali attività proposte ai piccini degli asili infantili. Nacque così una pedaogogia del movimento, dell'amore, della gioia, ovvero una pedaogogia formulata secondo i ritmi e le esigenze della natura infantile. Owen fu difensore del valore dell'educazione e nel villaggio industriale delle Scozia propose di avviare con l'istituzione della prima scuola infantile d'Europa un esperimento finalizzato a realizzare una forma di educazione razionale dei bambini fin da piccolissimi, per combattere l'ignoranza, la superstizione. Nei quattro saggi intitolati Una nuova visione della società pubblicati nel 1816 Owen entrò nel vivo del suo progetto pedaogogico riflettendo come l'uomo fosse una creatura delle circostanze o delle condizioni in cui si trovava a vivere. La sua idea di educazione naturale assunse pertanto un carattere universale ed utopico, in quanto finalizzata a realizzare il principio di felicità dell'io presente in ogni fanciullo dalla nascita, a prescindere dalla lingua, dal sentimento, dal credo religioso. La constatazione della plasmabilità tipica della prima infanzia si accompagnava in Owen con l'interesse unitario di promuovere un'educazione in grado di combattere miseria e pauperismo. La riforma dell'educazione infantile si sarebbe accompagnata in questo modo ad una riforma della sistemazione domestica della comunità per raggiungere l'obiettivo comune di migliorare la compagine sociale a partire dall'educazione delle nuove generazioni. Nel 1816 Owen aprì la prima infant school con il proposito di farne un baluardo educativo di promozione del carattere in un ambiente educativo appositamente pensato per l'acquisizione di buone abitudini comportamentali e igieniche, riuscendo nell'impresa delicata di offrire un'educazione pubblica a bambini in età compresa fra 2 e 6 anni. Uno degli ambienti pensati per la loro crescita e il loro divertimento era un terreno recintato situato di fronte alla parte anteriore dell'edificio che venne pensato come un campo di gioco per tutti i bambini del villaggio. Owen fu particolarmente attento a curare l'educazione della prima infanzia anche sul piano degli spazi, consapevole che il piccino era in grado di formare la sua indole e le sue principali disposizioni a partire dalle impressioni durature percepite dall'ambiente. Grande importanza venne data a tutte le possibili esperienze di vita quotidiana pensate come occasione per far trascorrere ore felici, impegnati a prendersi cura dei compagni più piccoli e inesperti. In questo modo il principio della felicità dell'io avrebbe trovato uan sua realizzazione concreta in proporzione all'accrescimento e all'estensione della felicità degli altri. Uno dei punti chiave della infant school risiedette nella promozione di una formazione culturale e pedaogogica adeguata dei maestri. La rapida diffusione del modello della infant school in istituzioni simili in contesti sociali differenti ebbe come suo pilastro portante una formazione pedagogica e didattica degli insegnanti e delle bambinaie favorite dalla pubblicazione di un volume che forniva indicazioni di carattere metodologico su come avviare un'educazione fisica, intellettuale e morale dei più piccoli, facendo attenzione alla formazione del carattere, all'abolizione delle punizioni corporali. In Italia il modello della infant school venne importato dall'abate Ferrante Aporti noto per aver aperto il primo asilo infantile italiano per bambini fra i 2 anni e mezzo e i 6 anni. Nella sua opera l'idea di Cristianesimo dell'amore si intrecciò con una concezione del popolo come protagonista diretto del processo di conquista della coscienza della propria dignità. La pratica di un'alimentazione adeguata, il divieto di ricorrere a fasciature o abiti stretti, l'importanza dell'esercizio del corpo, era frutto di un portato che divenne parte integrante di pratiche educative pensate per la crescita armonica di tutti i fanciulli. Da queste L'adozione di una didattica povera, fondata su un impiego intenzionalmente educativo delle cosiddette cianfrusaglie presenti nelle tasche dei piccoli, era strettamente legata ad un'opzione antropologica attenta ai caratteri di creatività. Si trattava di un metodo in cui il lavoro manuale era visto come un modo per promuovere un apprendimento volto alla costruzione di un ordine personale interiore, attraverso la manipolazione e la messa in ordine delle cose reali. La scelta di ricorrere alle vie dei sensi per favorire lo sviluppo dello spirito infantile celava il duplice scopo di far maturare i bisogni educativi dei più piccoli. Ne era testimonianaza lo svolgimento degli esercizi di vita pratica volti alla cura della persona, degli esercizi di socievolezza, del giardinaggio e dell'allevamento dei piccoli animali. Il puerocentrismo delle sorelle Agazzi fu realizzato nella concretezza dell'azione educativa capace di partire dall'educazione sensoriale e dall'ambiente domestico per giungere a portare in una linea di contiuità educativa la vita all'interno della scuola. Capitolo 3. Il primo 900 e le vie dell’educazione nuova: L’educazione nuova si diffuse in diverse zone dell’Europa e del Nord America, venne descritta dal filosofo e pedagogista americano John Dewey alla stregua di una ‘’RIVOLUZIONE COPERNICANA’’ per aver comportato un radicale ribaltamento del posizionamento dei soggetti implicati nella relazione educativa, mettendo al centro dell’azione educativa l’educando e non più l’educatore, il programma, la disciplina o il metodo.I pilastri pedagogico-didattici sui quali si resse il movimento dell’educazione nuova comprendevano, oltre al puerocentrismo: 1-l’adozione di metodi di insegnamento-apprendimento ‘’attivi’’ che coinvolgevano in maniera protagonista l’educando, 2- il rispetto della spontaneità e della naturalità del suo sviluppo, 3-l’individualizzazione dei processi di insegnamento-apprendimento, 4-la ricerca di una stretta continuità fra scuola e società e scuola e famiglia. Brunetiere indicò con il termine ‘’bancarotta della scienza’’la crisi irreversibile del positivismo, da cui scaturì la progressiva avanzata di nuove correnti come il neoidealismo, la psicoanalisi, il femminismo. Il primo ebbe particolare sviluppo nel panorama italiano, grazie a Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Gentile formulò un’idea di educazione come ‘’autoctisi’’ ovvero auto-svolgimento dello spirito. Di diverso genere si deve a Freud il contributo offerto dalla psicoanalisi allo studio dei più piccoli. Sarebbe stata sua figlia Anna ad occuparsi maggiormente del rapporto fra psicoanalisi ed educazione nei primi anni di vita. Da parte sua, il movimento di emancipazione femminile che vide fra le scrittrici ELLEN KEY e MARIA MONTESSORI, pose al centro della discussione la creazione di un processo di reciproca interdipendenza fra alcuni temi cari alla cultura femminile (maternità, sfera pubblica e privata, autonomia individuale..) e l’impegno per il riconoscimento dei diritti dei più piccoli. Come noto, fu la Key a coniare la definizione del ‘900 come ‘’secolo dei fanciulli’’ e affermò l’importanza di porre l’infanzia al centro dello spazio pubblico e non solo di quello privato. Rivolgendosi direttamente ai genitori dei bambini ‘’nuovi’’ di inizio secolo, Ellen Key pose l’accento sulla corrispondenza biunivoca esistente fra il miglioramento delle condizioni di vita dell’infanzia e il miglioramento dell’umanità intera a partire dal riconoscimento della centralità del fanciullo. Sullo scenario delineato dalla Key ebbe un certo peso Herbert Spencer che ispirò dei progetti di intervento sociale e di prevenzione. Il movimento dell’educazione nuova assunse una configurazione peculiare rispetto ad altri territori europei ed extraeuropei, poiché ebbe fra i suoi maggiori interpreti maestri, educatori e pedagogisti impegnati a rinnovare dall’interno le pratiche educative in ‘’scuole comuni’’ mettendo al centro del loro agire la ‘’popolarità della cultura’’ di cui erano portatori i fanciulli fin dai primi anni di vita trascorsi in famiglia. I principi del puerocentrismo, libertà, autoeducazione ed auto-disciplina trovarono un terreno fertile di sviluppo in una scuola aperta alla promozione della molteplicità dei mezzi di espressione della personalità del fanciullo, una ‘’scuola-vita’’ definita dal pedagogista Lombardo Radice ‘’scuola serena’’ per fare riferimento ad una scuola ‘’per ragazzi vivi, veri.’’ L’adozione di una strumentalizzazione didattica ‘’povera’’ basata su oggetti di uso comune o su cianfrusaglie (sorelle Agazzi) nacque dall’intento di offrire un ambiente educativo che fosse il più vicino possibile a quello domestico, ma che sapesse offrire ampie occasioni di apprendimento e di stimolazione dei sensi. Dewey, Ferriere, Steiner, Korczak, Montessori continuarono a riporre fiducia nel carattere imprescindibile della pedagogia come scienza in grado di studiare e promuovere un’educazione dalla nascita quale processo di autoeducazione, grazie ad un intervento educativo indiretto e ‘’su misura’’ da parte di adulti pronti a riconoscere l’umanità che veniva alla luce di giorno in giorno nel nuovo nato. Tale presa di posizione avrebbe garantito lo svolgimento di un’azione educativa in grado sia di far comprendere meglio il neonato e il bambino molto piccolo sia di operare a sua difesa e favorire l’affermazione dei suoi diritti passando attraverso la ‘’valorizzazione spirituale di ogni suo gesto, come espressione interiore ed universale dell’uomo’’: la libertà. In tale conteso John Dewey divenne uno dei maggiori interpreti a livello internazionale dell’educazione nuova presentata in una delle sue prime opere come parte integrante dell’intera evoluzione sociale, a partire da un’idea di apprendimento come processo promosso attraverso l’esperienza intesa come azione reale con oggetti reali. Dewey sostenne che il pensiero si costruisse nell’azione e rappresentasse il miglior strumento nelle mani dell’uomo per poter intervenire nella realtà e modificarla in vista della costruzione di piani futuri. Laboratory school = 1896 presso l’uni di chicago, frutto dello spostamento del ‘’centro di gravità’’ in campo educativo e di una visione della conoscenza umana come prodotto dell’indagine condotta dall’uomo nelle sue interazioni con l’ambiente. In vista della promozione di processi di istruzione fondati sul principio del learning by doing (imparare facendo.), Dewey si occupò di ricostruire la genealogia dei processi logici ed intellettivi e dell’apprendimento umano a partire dalla nascita, in vista della preparazione di nuove generazioni in grado di vivere in una società democratica. Egli studiò le radici del pensiero umano nei primi anni fi vita all’interno dell’opera How we think. Le argomentazioni sviluppare a riguardo furono poi riprese in uno dei suoi testi di maggiore successo, Democracy and Education nel quale attribuì un nuovo significato all’immaturità infantile, presentandola come condizione indispensabile per lo sviluppo delle potenzialità di crescita dei piccini. Dewey avviò il suo discorso sottolineando che i processi educativi si verificano fin dalla nascita grazie alla dinamica plasticità dell’esperienza individuale.Inoltre Dewoy sosteneva che il bambino imparava per imitazione, perché quanto gli era fornito come stimolo delle attività degli adulti sotto forma di parole, gesti, atti, lo metteva nelle migliori condizioni per un più rapido sviluppo del suo pensiero. La presenza degli adulti risultava fondamentale per l’arricchimento dell’apprendimento dei più piccoli. Fra le attività che favorivano maggiormente tali processi Dewey annoverò il gioco e il lavoro. Puntò su un’idea di educazione come sviluppo volto a superare la tradizionale visione antropologica dell’infanzia come periodo di immaturità per affermare che la vita era una crescita continua. Fra le conditio sine qua non di una buona educazione, Dewey pose la promozione di un atteggiamento di libertà poiché il piccino trattava le cose come veicoli di suggestione. Per quanto riguarda la valenza educativa del lavoro consisteva nel costruire significati nello stesso tempo in cui il bambino li controllava con l’applicazione alle condizioni esistenti. Ferrière: offre la possibilità di confrontarsi con una prospettiva pedagogica che si interessò anche dell’educazione nei primi anni dell’infanzia e della formazione ad una nuova genitorialità. Ferriere dal filosofo francesce Bergson riprese la concezione della realtà come èlan vital (slancio vitale) come principio di autoconservazione e sviluppo, come energia vitale primaria presente in ciascun neonato. In linea con il pensiero rousseauiano raccomandava di conoscere la natura profonda del bambino. Ferriere ritenne fondamentale lasciare la natura libera di agire, quando essa era sana senza sostituirvi un’autorità arbitraria come quella dell’educatore. La strategia migliore per evitare un cortocircuito nel rapporto fra autorità e libertà consisteva nella pratica di un’educazione indiretta, in grado di garantire al piccino di passare dallaa fase eteronoma cioè quando da neonato dipendeva in tutto dall’adulto a quella autonoma in famiglia e poi in tutti gli ambienti di vita poiché lo metteva nelle condizioni di avere a disposizione un buon terreno. Sarebbe stata poi l’esperienza vissuta nella vita quotidiana a fecondare il ‘’germoglio’’ della natura infantile, se fatto vivere in un ambiente da esplorare con agio e in cui erano presenti anche altri fanciulli. Ferriere indirizzò diversi discorsi ai genitori con il duplice obiettivo di promuovere un’ ‘’educazione dei genitori’’ da avviarsi prima del matrimonio e di mettere il luce i risvolti individuali e sociali dell’educazione dei più piccoli realizzata all’interno del contesto familiare. Propose inoltre l’istituzione di corsi di educazione familiare nelle scuole elementari. Ferriere si rivolse ai padri e alle madri, ricordano che su di loro gravava quasi interamente il compito dell’educazione della prima infanzia. Per ferriere il buon genitore doveva saper vigliare costantemente affinchè la spontaneità dei più piccoli seguisse la via maestra e tutto si svolgesse in maniera tale che si abituassero essi stessi all’ordine, spinti dal desiderio di fare bene. I genitori dovevano adoperarsi con ogni sforzo per contribuire alla costruzione del carattere del proprio figlio sulla base di una solida acquisizione di buone abitudini, finalizzate alla liberazione dello spirito. In particolare Ferriere suggeriva loro di ricorrere ad una strategia educativa che ricordava il criterio pedagogico della ‘’serenità’’. Le tre virtù cardinali per Ferriere erano l’amore, la chiaroveggenza e la pazienza del buon genitori capace di rivolgersi all’’io superiore’’ del fanciullo anche molto piccolo per poter agire meglio.L’educazione della prima infanzia in capo alla famiglia doveva assumere le fattezze di un’educazione per mezzo della vita e per la vita. Steiner: Costituì un caso a sé stante, per il legame culturale del suo pensiero filosofico, esoterico e pedagogico sia con la cultura orientalistica e classica, sia con il romanticismo tedesco di Goethe e di Schelling.La sua concezione del mondo, della vita era di tipo estetico, dominata da un motivo di armonia cosmica che ispirò direttamente il suo ideale educativo, reso ancora più originale dall’adozione di uno “stile profetico sa pensare“.Steiner mostro di essere attratto da interessi intellettuali fuori dal consueto.Steiner elaborò “l’antroposofia“ pensata come scienza dell’uomo spirituale in quanto sintesi compiuta di scienza, arte e religione, e secondo quanto illustrato nel volume teosofia dal quale trasse indicazioni educative, sociali e scientifiche per uno studio dell’uomo nella sua tripartizione di corpo fisico, corpo animico e corpo spirituale.Steiner inizio a sistematizzare il suo pensiero pedagogico, come si può evincere dal saggio: “educazione del bambino dal punto di vista della scienza dello spirito”, nel quale presentò la sua idea di educazione come arte dell’educazione. Educazione non poteva essere ridotta a “grigia“ e teoria o “vuota“ astrazione, perché il suo compito principale consisteva nel coordinare lo sviluppo naturale globale del bambino, per aiutarlo ad orientarsi nel mondo. L’azione educativa avrebbe influito su tutta la vita dell’uomo, nel rispetto delle leggi evolutive della natura umana scandita da stadi evolutivi di durata settenale.Il primo settennio di vita corrispondeva per Steiner Al periodo tra la nascita del feto e la seconda dentizione (la crescita dei denti permanenti). Da zero a sette anni il piccolo aveva un corpo fisico, ma non ancora eterico perché, come nell’utero materno era stato circondato dall’involucro fisico materno. Durante la seconda dentizione l’involucro eterico avrebbe rilasciato il corpo eterico, dopodiché sarebbe rimasto l’involucro astrale fino all’epoca della pubertà. Per questi motivi, il bambino piccolo si presentava come un’unità fra corpo, anima e spirito.Per far sì che l’educazione nel primo settennio di vita si sarebbe rivolta ad un bambino concepito come “organo di senso esteso”, essa avrebbe avuto il fine principale di valorizzare il rapporto privilegiato del piccolo con l’ambiente, non l’esercizio e la sua memoria, una facoltà che avrebbe sviluppato più avanti, quando le sarebbe stato dato un adeguato nutrimento. L’opera dell’educatore consisteva nell’osservare il lavoro nel corpo fisico del bambino delle potenze di vino-spirituale che avrebbero portato alla costruzione del corpo animico-spirituale. Per questo motivo, nei primi anni di vita era importante incentivare limitazione e l’esempio, cioè le modalità con cui il piccino entrava in relazione diretta con l’ambiente e plasmata attraverso le impressioni ricevute dall’ambiente i muscoli della mano, il cervello e gli altri organi. L’educatore sarebbe impegnato a predisporre un ambiente fisico adatto ad “esemplare“, capace di agire sugli organi fisici del bambino affinché si plasmassero nelle giuste forme. Come gli occhi, gli orecchi, eccetera si sviluppavano nel feto durante la gestazione senza l’azione della luce esterna, così le abitudini, le rappresentazioni, la memoria, eccetera dovevano svilupparsi da sé prima della seconda dentizione nel corpo eterico. Un ambiente con una giusta proporzione di colore e luce avrebbe favorito lo sviluppo di una vista sana, ma anche una buona circolazione sanguigna e la ricezione di buona impressione nel cervello. Grande rilevanza venne data al rapporto fra corpo e carattere del bambino e, per lo stretto legame esistente fra il nutrimento del corpo e il nutrimento della mente: ogni stimolo esercitato dall’ambiente, sarebbe ricomparso più tardi e. Questo avveniva perché l’anima del bambino era legata ai processi di ricambio, cosicché Ogni emozione passava nella circolazione, nel respiro, nella digestione. A tali contate volete ci sarebbero tradotti sul piano educativo-didattico, nella scelta di attribuire particolare importanza all’attività espressive ai colori dati lizzare a seconda del carattere del piccino: per la scienza popolari romani, in cui alcune realizzazioni nel campo del welfare sociale videro la promozione di una nuova idea di “maternità sociale“ come punto di riferimento per le madri del popolo. La casa dei bambini venne pensata come un’istituzione educativa e di assistenza per i fanciulli dai due ai sei anni collocata all’interno del loro stesso complesso residenziale come una sorta di asilo infantile nella casa. Gli spazi e tempi dell’attività educative promosse nella casa dei bambini furono organizzati a misura dei più piccoli per favorire uno sviluppo sano e armonico grazie all’adozione di materiale didattico, poi ridenominato come “materiale di sviluppo” strutturato per promuovere la loro auto educazione. Questo materiale consentiva analisi di una caratteristica alla volta per meglio stimolare i sensi del piccino, era un materiale auto- correttivo, perché per la sua particolare conformazione struttura agevolava l’identificazione dell’errore e la sua successiva correzione, era anche un materiale attraente dato che per forma colore e lucentezza stimolava il fanciullo ad afferrarlo.Il suo utilizzo consentì esercizi di: educazione sensoriale come gli esercizi per il tatto, per il senso barrico, per il senso termico, per la vista e l’udito.per il perfezionamento della motricità furono introdotti Piccoli telai che presentavano tutto quanto era necessario per imparare ad abbottonare, allacciare, annotare, mentre per migliorare il senso di equilibrio i bambini seguivano tracciati segnati con il gesso sul pavimento. Le aule furono sgombrata dai tradizionali banchi, vennero rese invitanti e decorate con colori vivaci, arredate con poltroncine tavolini trasportabili direttamente dagli allievi con armadietti e attaccapanni raggiungibili. Anche la toilette ebbe arredi ed accessori a misura di bambino. Il punto fermo dell’ambiente montessoriano era la maestra, denominata con l’espressione “direttrice“, perché aveva il compito di dirigere lo sviluppo fisiologico e psichico del fanciullo mostrando particolari doti di pazienza e umiltà nello “stare sullo sfondo“ ad osservare gli accadimenti legati al suo apprendimento.la Montessori formulò una prima illustrazione del suo metodo adottato nella casa dei bambini all’interno del volume: “il metodo della pedagogia scientifica applicato all’educazione infantile nelle case dei bambini“. Il rapido successo del volume consentì alla Montessori di diffondere una nuova concezione di “pedagogia scientifica“ come “pedagogia della libertà“, finalizzata a promuovere il pieno sviluppo del bambino liberandolo da tutti quei condizionamenti che ostacolavano. Gli anni della prima guerra mondiale la videro impegnata in Spagna dove ebbe modo di perfezionare il suo pensiero, soprattutto sul piano dell’educazione religiosa; il figlio Mario divenne uno dei suoi più assidui collaboratori. Nello stesso periodo pubblicò un’altra opera dove nelle prime pagine delineó un’analisi pedagogica in edita della vita del bambino piccolo, per affermare l’importanza di un’educazione neonatale ispirata al principio della libertà e al riconoscimento della sua “physis” di essere umano separato dalla madre e dotato di carattere, intelligenza e sentimento fin dal primo vagito. La descrizione è svolta in quest’opera di alcune pratiche diffuse di allevamento e disciplinamento fisico dei più piccoli (fasciatura, taglio del filetto della lingua, applicazione di orecchini d’oro subito dopo la nascita per acutizzare la vista…) Servì alla Montessori per mostrare come la sua prospettiva si ancorasse il principio del “lasciare fare alla natura il più liberamente possibile”. Da qui deriva la raccomandazione di abolire le fasce, mantenere il piccino il più possibile in una situazione in tranquillità in posizione di riposo, evitare di sforzarlo a camminare prima del tempo, perché quando sarà la sua ora e gli si alzerà e camminerà. La Montessori intraprese una prima sistematizzazione organica delle sue idee attorno all’educazione dalla nascita nei primi anni 20, nell’ambito di alcune conferenza rivolta a genitori di Bruxelles e Vienna. L’interesse della Montessori per una fascia età così precoce può essere ricollegato ad un dato biografico come la frequente presenza in Spagna del figlio Mario, Che comprendeva la primogenita Marilena è il mio nato Mario junior. L’osservazioni svolte nel ruolo di nonna in ambito familiare si intrecciarono con la ricerca scientifica.la Montessori focalizza la sua attenzione soprattutto sul dissidio venutosi a creare fra l’adulto e il bambino, tale da porre il bambino fin dai primi istanti di vita in uno stato di oppressione, di repressione. I genitori, pronti a sostituirsi a lui in ogni cosa pensando di proteggerlo, non erano in grado di scorgere con un’accurata osservazione come dietro i suoi gesti, I suoi sguardi, i suoi movimenti si celasse un insopprimibile ricerca di indipendenza. Nulla era più dannoso per il pieno sviluppo della personalità infantile che ignorare questo bisogno psichico di indipendenza. L’esperienza educativa montessoriano aveva mostrato come il fanciullo mostrava di essere “costruttore di se stesso“ attraverso processi di auto educazione stimolati dal riconoscimento della sua vera natura.(aiutami a fare da solo). La questione sollevata dalla Montessori sulla scarsa conoscenza della natura del neonato e del bambino piccolo aveva molteplici implicazioni sul piano pedagogico ma anche sociale, poiché l’incapacità di riconoscere quanto il bambino avesse bisogni diversi rispetto all’adulto rappresentasse ancora una pagina bianca nella storia dell’umanità.il contributo della psicoanalisi non era sufficiente per risolvere tale problematica, essa richiedeva la formulazione di una prospettiva pedagogica: tout court. La Montessori propose ai genitori di dedicare spazio attenzione all’educazione del neonato come percorso di aiuto alla vita, a partire dalla preparazione di un’accoglienza su misura in un ambiente per del tutto nuovo. Tale accoglienza si sarebbe esplicata nell’adozione di modalità di assistenza e cura che avrebbero assunto un’educazione per la vita. L’attenzione venga dalla Montessori ad una nascita non violenta e alla vita post- Natale non fu solo il portato della sua formazione medica, Ma scaturì dalla finalità pedagogica di mostrare ai genitori l’importanza di comprendere quanto il distacco dal corpo materno rappresentasse per il neonato un dramma. Il neonato era lasciato dalla società della civiltà umana da solo ad affrontare le difficoltà provocate dal brusco adattamento ad un ambiente per lui sconosciuto. Nessuno sembrava aver preso in considerazione la sofferenza provocata da tale distacco. Fin dal primo giorno di vita il bambino era un essere attivo e in quanto tale portava in sé le direttive del suo sviluppo futuro. Era anche un essere obbediente all’adulto ecco perché nel momento in cui non si sentiva rispettato nei suoi bisogni psichici naturali si difendeva con un atto vitale, dagli adulti letto come capriccio. Questo spirito creatore esistente in ogni essere umano era presente attivo fin dalla nascita, perché già nel neonato piangente e affamato virano quell’energia che avrebbero provocato la cosiddetta incarnazione, cioè la progressiva acquisizione della deambulazione autonoma, del linguaggio, della tua non mia nell’alimentazione e nella cura di sé. Per questo motivo i genitori erano chiamati ad accogliere ed assecondare con amore e accortezza tutte le forme di attività ragionevole del bambino e cercare di intenderla. I pilastri della teoria infantile di Maria Montessori si arricchirono negli anni 30, Quando si allontanò dall’Italia fascista. Nel volume: “L’enfant=segreto dell’infanzia) introdusse il concetto di “periodo sensitivo“. Le sensibilità legata ai diversi periodi sensitivi erano finalizzate a determinati e definitive apprendimenti benché fossero specifiche dell’essere umano. La loro presenza confermava che ogni nuovo nato era tutto fuorché un essere passivo come si era erroneamente creduto in passato. La prima infanzia continuava a costituire per la Montessori il miglior palcoscenico di manifestazione della ricchezza di energia in possesso del bambino e il suo studio era in grado di indicare una via nuova all’educazione. Quelle leggi di costruzione psichica dell’essere umano di cui la Montessori si stava occupando trovarono il loro maggior alleato nella scoperta delle peculiarità della mente infantile la cosiddetta “mente assorbente“ si trattava di una mente di tipo inconscio che nei primi tre anni di vita permetteva ad ogni bambino di essere nelle condizioni di poter creare dal nulla la propria intelligenza, il linguaggio e gli organi che lo consentivano, qualsiasi altra facoltà che lo potesse rendere indipendente in ogni azione.quindi una menta in grado di fargli assorbire quanto offerto dall’ambiente. Il piccino assimilava tutte le impressioni dell’ambiente con la propria vita, attraverso l’esercizio dei cinque sensi.A fianco di questa mente vi era una particolare propensione al movimento e all’esercizio della manualità.le mani costituivano il principale strumento di sviluppo dell’intelligenza infantile il bambino si faceva uomo attraverso le mani. Quello che lavorava con le sue mani entrava direttamente nella sua coscienza. Da qui l’importanza di offrire ad ogni fanciullo dei compiti di sviluppo, cioè attività in grado di fargli perfezionare le facoltà che stava via via acquisendo, In maniera concreta, nella realtà di tutti giorni. Le “nebule“ erano energie creative che guidavano il bambino nel costruirsi assorbendo l’ambiente. Costa Gnocchi: Contribuì a promuovere un’intensa attività di formazione di educatrici, maestre e genitori.a partire dalla metà degli anni 30 la Costa Gnocchi inizio ad incrementare il suo interesse scientifico e didattico nei confronti della pedagogia montessoriano. Mantenne vivo in quegli anni difficili il movimento montessoriano nell’Italia centro-meridionale, quando tutte le scuole pubblica indirizzo Montessori furono chiuse per volere di Mussolini. Continuò lavorare per la casa dei bambini e per il corso Montessori con una buona partecipazione da parte del “futura montessoriani“ della capitale. Sperimentò per la prima volta presso la “scuoletta“ Alcune attività educative montessoriano e per bambini di due anni in orario mattutino (9.00-12:30). La Costa Gnocchi si occupò particolarmente dell’educazione del neonato E del bambino nel primo anno di vita, un periodo “particolarmente plastico“ della sua esistenza. La Gnocchi parlava del bambino secondo le osservazioni della Montessori, non tanto in forma di lezioni, quanto con una originale abilità maieutica tirar fuori dalla live aspetti anche minimi nelle reazioni dei più piccoli. Seppe accogliere al meglio l’appello rivolto alla Montessori a favore del “farsi ambasciatori del neonato, perché è da lì che bisogna cominciare per un mondo nuovo” esso divenne per lei una sorta di leitmotiv A favore di un intervento educativo volto a liberare il fanciullo dal “carcere“ in cui era stato rinchiuso a causa dei pregiudizi e delle molteplici disattenzioni. Significativa fu l’apertura di un reparto Montessori presso lo stesso brefotrofio provinciale, con la presenza di 20 bambini fra i 6 mesi e 3 anni seguiti da 6 assistenti all’infanzia. Accanto alle madri anche durante parti notturni le giovani allieve si occuparono di “umanizzare“ i momenti del travaglio, del parto e del successivo puerperio. Si prendevano cura delle donne e dei neonati. Fra le attività maggiormente praticata è vera il primo bagnetto del neonato. La preparazione montessoriano a maturata dall’assistente all’infanzia guidate dalla costa gnocchi fece sì che ogni momento di presenza a fianco delle puerpere e dei loro bambini venisse “sfruttato” come occasione di attenta e continua osservazione delle risposte fisiologiche, sensoriali e motorie dei piccolissimi, che si esprimevano nella diversità dei ritmi di suzione, di sonno-veglia e di digestione. Il rapporto di fiducia che si veniva a creare fra le puerpere e le montessorine poteva proseguire con l’assistenza a domicilio nella prima settimana di vita del bambino. Il lavoro a domicilio dell’assistente montessoriane si focalizzava sulla costruzione di un ambiente domestico a misura del bambino piccolo, per esempio allestendo un locale o un angolo della casa con arredi ed oggetti rispondenti al suo bisogno di esplorazione. Le allieve della Costa Gnocchi vennero invitati a costruire da sé i materiali di sviluppo da sperimentare con i più piccoli, come giochi in legno, cartone stoffa. Oggetti che furono pensati per favorire uno sviluppo sensoriale secondo natura, che nella fascia 03 anni richiedeva di abbandonare tutti quegli aiuti inutili, Che fungevano da ostacolo. Di particolare interesse fu un promemoria lasciato da Costa Gnocchi ai genitori, educatori e medici per ascoltare i bisogni dei più piccoli: (vedi pagina 207).Con questi suggerimenti mostro come realizzare quanto suggerito dalla teoria pedagogica montessoriano per i neonati e piccolissimi raccomandando la limitazione degli interventi diretti e, la cura dei gesti e delle parole, lo studio di un ambiente adatto al bambino. In questo modo tutti neonati avrebbero potuto raggiungere il traguardo dell’indipendenza senza alcuna forma di anticipazionismo, ma nel rispetto della propria capacità naturale di autoregolazione. Allieve Di Costa Gnocchi: L’impegno della costa gnocchi con le sveglie va continua anche attraverso la fondazione del centro nascita Montessori (CNM). Esso si occupó dello studio del bambino prima e dopo la nascita e dell’assistenza educativa domestica di madri. Molte assistenti all’infanzia iniziarono una collaborazione professionale con il CNM Per l’assistenza alla nascita ma anche per la consulenza domiciliare.si trattava di esperienze rivolte ad un’utenza a medio-alto borghese, sia per i costi economici che per i pregiudizi e gli stereotipi riguardo la gravidanza, nascita ai primi mesi di vita. Temi come l’alimentazione, l’arredamento, le cure igieniche, l’abbigliamento furono al centro dei corsi formazione offerti dal CNM, E dietro la possibilità alle future mamme di impratichirsi con la gestione del neonato mettendo a disposizione una stanza contenente tutto l’occorrente, dalla culla al fasciatoio , all’angolo per bagnetto, al corredo al materiale per l’igiene e all’allattamento. Le attività del CNM si ampliarono all’inizio degli anni 70 Con l’approvazione della legge n. 1044 del 6 dicembre 1971, che definì l’asilo nido come un “servizio sociale di interesse pubblico nel quadro di una politica per la famiglia”. Tutti i piccolissimi furono considerati i titolari di un diritto all’educazione sin dei primi anni di vita in quanto soggetti autonomi portatori di bisogni. La comunità di bambini che abitava questi nidi non era più separata nel secondo età, nel secondo i tradizionali criteri dietetici che comportavano la classificazione in: lattanti, semidivezzi, divezzi, Ma identificandoli in base alle stanze in cui erano collocati, o in grandi, piccoli e piccolissimi. I gruppi di bambini si sfidavano reciprocamente fra loro e nessuno era escluso dall’attività collettiva, neonati compresi. Inoltre per garantire la massima continuità fra il nido d’infanzia e l’ambiente di vita quotidiana dei bambini in famiglia erano previste uscite frequenti all’esterno, per strada, nei negozi, al parco. Le allieve