Scarica Le Istituzioni di Gaio: un antico manoscritto riscoperto - Prof. Briguglio e più Appunti in PDF di Diritto Romano solo su Docsity! LE ISTITUZIONI DI GAIO La storia di Gaio, un giurista romano del II sec. d.C., è ancora oggi un mistero perché di lui non sappiamo quasi nulla, egli è importante perchè è l’autore del testo “Le Institutiones" che costituisce l’unico testo quasi completo di diritto classico romano giunto a noi senza essere modificato da Giustiniano. Nonostante la fama di Gaio abbia attraversato i secoli, le informazioni sulla sua vita sono pochissime (Casavola parla di “enigma gaiano”). Grazie ad alcuni punti di riferimento nei suoi scritti siamo in grado di sapere che: - operò quasi certamente sotto Adriano (117 d.C.- 138 d.C.), come si capisce dall’espressione “nostra aetate” (contenuta nel Digesto) - lavorò alle Institutiones sotto il regno di Antonino Pio - visse almeno fino al 178 d.C. perché realizzo un commento al Senatoconsulto Orfiziano, che venne emanato in quell’anno. Il resto della vita di Gaio è avvolto nel mistero. Ci è noto solo tramite il praenomen, mentre al tempo l’identificazione personale prevedeva anche nomen e cognomen. Ciò ha portato numerosi studiosi a ipotizzare che “Gaio” potesse valere sia come nomen che cognomen, mentre altri hanno pensato si trattasse di uno pseudonimo. Anche le origini di Gaio sono al centro di un dibattito: - Mommsen ha ipotizzato una sua origine orientale, ellenistica, basandosi sul fatto che Gaio tratta il diritto provinciale arrivando sempre in ritardo nell’affrontare i dibattiti, dato che lì arrivavano dopo - Huschke ha invece ipotizzato un’origine romana di Gaio, sarebbe stato un insegnante di diritto formatosi alla Scuola dei Sabiniani (a cui egli stesso dichiarava di appartenere). Sempre riguardante le sue origini Giovanni Pugliese, un grande studioso di diritto romano scrisse un lavoro sul cosiddetto “paradosso gaiano”, paradosso in quanto Gaio: - non è mai citato da nessun autore contemporaneo alla sua epoca; - figura tra i cinque giuristi della legge delle citazioni che introdusse principi sulle citazioni dei giuristi che si potessero fare durante i processi (solo 5: Papiniano, Ulpiano, Paolo…e anche Gaio; - venne preso come modello da Giustiniano per creare il proprio testo istituzionale per gli studenti del primo anno di diritto. I contemporanei lo ignorano ma è al tempo stesso uno dei grandi giuristi della legge delle citazioni. Secondo Max Kaser egli è un giurista classico per aver vissuto in età classica ma non nel metodo, infatti secondo lui Gaio a differenza dei contemporanei si sarebbe dedicato esclusivamente a opere di tipo didattico. A differenza dei coetanei che si basano sul metodo casistico e a condizioni più difficili, per questo è stato ignorato da loro. Un grande nemico di Max Kaser critica questa ipotesi, qualcun’altro ha ipotizzato invece che sotto il nome di Gaio ci sia qualcun altro. L’opera principale di Gaio sono le Institutiones, ritrovate nel 1816 all’interno del Codex rescriptus XV (13) della Biblioteca Capitolare di Verona. Il ritrovamento ha permesso di ottenere informazioni fino a quel momento sconosciute, grazie anche all’attenzione che Gaio riserva all’origine storica degli istituti. Sono un’opera suddivisa in quattro libri o “commentari” , importante è che dal punto di vista sistematico quest’opera presenta una suddivisione di tutto il diritto vigente in tre parti: 1. personae (istituti che concernono gli istituti legati alla persona e la loro capacità di agire, ildiritto di famiglia) 2. res (diritti patrimoniali, di obbligazione e di successione) 3. actiones (diritto processuale). Nel manuale gaiano non vengono trattati alcuni istituti di grande importanza, mentre altri vengono solamente accennanti. Ciò può derivare sia da un’effettiva incompletezza del testo originario sia da possibili lacune dela trascrizione del Codice Veronese, l’unico manoscritto delle Institutiones a nostra disposizione. Del Codex mancano otto pagine, cinque delle quali complete. Questa incompletezza ha dato portato dubbi sulla genuinità del testo gaiano. È un testo alterato. Il latino di Gaio era fluido e scorrevole, egli usava un’esposizione semplice e gradevole. Le Istituzioni di Gaio sono contenute nel Codice Veronese, è un codice particolare definito “palinsesto”, nel senso che si tratta di un codice nel quale all’originaria scrittura di testo giuridico sono state sovrapposte una o più scritture contenenti altre scritture di epoche successive, questa tecnica nell’antichità era molto diffusa dato che la pergamena costava tanto e aveva un valore enorme, quindi quando una parte era inutile veniva raschiata via e ci si riscriveva sopra riciclando il foglio e lo spazio. FRAMMENTI DELLE ISTITUZIONI DI GAIO RITROVATI DOPO LA SCOPERTA DEL CODICE VERONESE 1. frammenti di Oxford= frammenti di papiro egiziano pubblicati nel 1927, si ricava che il testo presente nel papiro coincide nel contenuto con quello del Codice di Verona, prova a favore della genuinità dell’opera di Gaio, 2. frammenti fiorentini= ritrovamento del 1933 dalla papirologa Medea Norsa in Egitto, questa signora si accorse di due fogli di pergamena che contengono una scrittura antica e da brava papirologa capì che si tratta di un testo antico. Lo porta in Italia e si capì che si trattava di una parte delle Institutiones di Gaio. L’importanza di queste pagine risiede nel fatto che, se confrontati con il Codice Veronese, risultano più completi (in particolare contengono una parte relativa al consortium, assente nel Gaio Veronese). I frammenti fiorentini hanno permesso di capire che il Codex XV (13) ha probabilmente subito delle mutilazioni Teoria dell’Urgaius= affonda le proprie radici intorno alla fine del 3 sec d.C. in cui avvenne una rivoluzione del materiale su cui scrivere, prima si scriveva su fogli che si arrotolavano poi si passò al codice. Tutto quello che era su rotolo non si è trascritto sul codice, molte parti sono andate perdute, ecco perchè le Institutiones sono considerate un po’ incomplete. 06/03/23 Nel 1712 vive a Verona Scipione Maffei, uno studioso che frequentava la biblioteca capitolare di Verona, qui leggendo Panvinio si accorge che la biblioteca capitolare di Verona conteneva veri e propri manoscritti antichissimi tra i più importanti e rari del mondo. Nell'epoca di Scipione questi manoscritti erano spariti, non c’erano, egli facendo delle ricerche e delle indagini si accorge che nei diari degli umanisti che lo precedevano non c'era traccia di questi manoscritti. Scipione quindi si dà da fare e inizia a cercarli. Ipotesi di Scipione Maffei: L’ultima persona che ebbe a che fare con i manoscritti prima della loro scomparsa fu il canonico Agostino Rezzani. Nel 1625 la stanza in cui sorgeva la Biblioteca venne del il catalogo con la scoperta da Maffei 80 anni prima. Savigny non la conosceva, inizia quindi a balbettare, la lezione si interrompe e lui esce. IL RESOCONTO DEI RITROVAMENTI VERONESI E LE INDICAZIONI CONTENUTE NEL CATALOGO DELLA BIBLIOTECA CAPITOLARE DI VERONA Subito dopo il ritrovamento Niebuhr si trovò al centro di numerose polemiche, principalmente per il fatto di non aver dato conto delle opere di Maffei. Dando per scontata la buona fede del filologo danese è necessario constatare la sua grande disinformazione: gli Opuscoli ecclesiastici non avevano avuto grande diffusione in Germania, ma il Traité era molto conosciuto ed era stato anche tradotto in tedesco. Vanno in biblioteca dove nell’opera dei padri maurini si capisce che quello che aveva detto il ragazzo era la verità. Witte gli comunica che non era lui da solo a sapere del codice di Verona ma che c’era anche un altro professore che lo sapeva (Haubold) e stava per pubblicare un articolo sul ritrovamento di Maffei. Savigny scrive a Niebuhr, Witte in tanto si deve presentare al concorso per diventare professore davanti alla cattedra di cui faceva parte anche Savigny, per questo subisce le conseguenze di quello che aveva fatto e non viene preso. Savigny scrive all’altro professore e gli dice che sarebbe stato lui a dare l’annuncio delle Istituzioni di Gaio e di mandargli il lavoro che aveva fatto fino a quel momento. Il professore davanti a Friedrich Carl Von Savigny e alla sua grandezza ubbidisce. Witte intanto perde il concorso e non diventa professore, scappa in Italia dove diventerà professore più tardi a 21 anni. Sarà uno dei più grandi studiosi di Dante Alighieri. 14/03/2023 Niebuhr si difende dicendo che il libro in Germania non ci fosse e neppure a Berlino, si dice di conoscere Maffei ma di non aver letto l’opera in cui comunica quelle scoperte ma solo quelle importanti, per questo sosteneva che Maffei non avrebbe detto nulla di quel tesoro scoperto di giurisprudenza. Niebuhr di Maffei dice che non avrebbe nemmeno letto l’opera data alle stampe e lo accusa di aver usato un collaboratore di basso livello per pubblicarle, venne invece pubblicato un foglio e anche un apografo che gli servì per arrivare a quel manoscritto. Bisogna però riconoscere a Niebuhr il merito di aver visto e letto al di sotto della scrittura superiore, cosa che Maffei non era riuscito a fare. Bluhme descrisse il ritrovamento mettendo in ordine gli eventi: Haubold fu il primo a mettersi sulle tracce dei tesori veronesi segnalati da Maffei (era in procinto di scrivere un Programma sul frammento sugli interdetti), Witte fece una scoperta analoga e infine Niebuhr rinvenne il Codice presso la Capitolare. La scoperta di Niebuhr fu solo l’ultima di una serie, ma è chiaro che questi non poteva ever ricevuto da Savigny particolari indicazioni sui manoscritti della Capitolare (neanche Savigny conosceva l’Istoria teologica). Niebuhr potrebbe aver intercettato autonomamente alcune delle voci fatte circolare da Haubold e da Witte, ma non ci sono prove. Haubold e Witte non reagirono bene alla notizia della scoperta: Haubold scrisse ironicamente a Savigny che, nonostante il frammento de interdictis fosse edito fin dal 1742, nessuno se ne era mai occupato fino a quel momento, nel quale veniva pubblicato due volte. Le polemiche sui ritrovamenti si basarono principalmente su due ragioni: - gli studi di Maffei erano stati pubblicati circa 80 anni prima e fornivano importanti informazioni sui testi veronesi ma Niebuhr non ne aveva dato conto - Niebuhr rivolse critiche pesanti a Maffei, il primo a dare notizia delle pergamene sciolte e a definire il Codice XV (13) rescritto. I LAVORI DI TRASCRIZIONE DELLE INSTITUTIONES DI GAIO. LA PRIMA FASE DELLA SPEDIZIONE: L’ARRIVO A VERONA DI GÖSCHEN E BEKKER Bravissimi studiosi guidati da Savigny da Berlino fanno una spedizione a Verona e si presentano anticipati da una lettera scritta in latino per il vescovo Liruti, erano Goschen (Ghescen), giurista e professore di diritto romano e il suo socio Immanuel Bekker un filologo. Bekker e Göschen furono presentanti al bibliotecario della Capitolare, il quale stabilì che gli studiosi avrebbero potuto lavorare in biblioteca per tre ore al giorno sotto i suoi occhi. I rapporti fra i due studiosi erano difficili e inoltre le ore erano poche. Le fonti principali sui lavori svolti alla Capitolare sono il resoconto di Göschen e la lettera di Bekker all’Accademia delle Scienze di Berlino in cui si diceva che il Codice XV (13) consisteva di 127 fogli in pergamena, 125 dei quali erano stati rescritti con le lettere di San Girolamo. Fin dal principio si manifestarono due ostacoli: - gli antichi caratteri arano stati dilavati o grattati, alterazioni talvolta talmente ingenti che le poche righe che rimanevano non formavano senso compiuto. I due studiosi intuirono che fosse necessario un rimedio, ovvero l’impiego di reagenti chimici. Una volta ottenuto il permesso dal Capitolo spennellarono le pagine con l’infuso di noce di galla ottenendo effetti vantaggiosi. - le righe dell’antica e della nuova scrittura seguivano la stessa direzione e spesso si sovrapponevano. Inoltre, almeno 63 pagine erano bis rescriptae: la scrittura gaiana era stata raschiata per lasciar posto a un’opera di teologia, la quale aveva subito la stessa sorte. I due studiosi non si sopportavano e iniziarono a litigare, finchè Bekker se ne andò e venne sostituito da Savigny con il giovanissimo Bethmann-Hollweg, uno studente del secondo anno di giurisprudenza. Hollweg fu molto bravo, gli vengono attribuite diverse scoperte del codice. Utilizzarono il metodo basato sulla cross examination dove mentre uno leggeva l’altro scriveva ed in seguito cambiavano ruolo in modo che chi avesse letto facesse modifiche necessarie a ciò che l’altro aveva scritto. Nonostante la fretta i lavori vennero portati avanti con metodo rigoroso. Nel 1820 a seguito di un cospicuo finanziamento di Savigny avviene la pubblicazione delle Istituzioni di Gaio, la notizia fece il giro del mondo anche se si era consapevoli dei numerosi errori e del fatto che fosse incompleta e trascritta molto in fretta. (soli 5 mesi) Si decide quindi di realizzare una nuova edizione dato che I lavori compiuti nell’estate 1817 non erano stati del tutto soddisfacenti, viene mandato a Verona un nuovo prodigio di nome Friedrich Von Bluhme, allievo ambizioso di Savigny con l’obbiettivo di trascrivere quei fogli. Bluhme giunse a Verona nell’estate 1821 con l’obiettivo di decifrare la parti del manoscritto che Göschen, Bekker e Bethamm-Hollweg non erano riusciti a trascrivere. Per giungere a questo risultato Bluhme impiegò reagenti chimici più potenti come la tintura giobertina, danneggiando vistosamente il manoscritto: la pergamena, già provata dalla noce di galla, divenne in alcuni punti bluastra e poi nera. I reagenti di Bluhme si mescolarono alle sostanze utilizzate in precedenza, creando una miscela che nel tempo ha deteriorato ulteriormente il manoscritto. Bluhme scrive i risultati su alcune schede e manda tutto a Berlino tramite una lettera. La lettera non arriverà mai e lui sostiene di non averne fatto una copia, cosa strana. . Bluhme si giustificò sostenendo che la lettera era stata probabilmente intercettata, Le cosiddette schede di Bluhme furono ricostruite ed utilizzate nella seconda edizione delle Istituzioni curata da Göschen e nel primo apografo del Codice Veronese. Viene realizzata una nuova e terza edizione e si decide di fare un apografo di queste Istituzioni, di fare una nuova trascrizione (apografo). Göschen iniziò negli anni successivi i lavori ma non potè portarli a termine perché morì prematuramente. →Viene realizzato un primo apografo al 50esimo anno dal ritrovamento delle Istituzioni nel 1866, dal professore universitario Bocking. L’apografo fu pessimo perché basato sulle prime schede che avevano portato a Berlino Goschen e Bluhme piene di errori. L’apografo contiene oltre 16 mila errori ma rimane di grande interesse perché basato sulle prime trascrizioni fatte. Il 5 maggio 1866 Theodor Mommsen scrisse una lettera al prefetto della Capitolare Carlo Giuliari in cui gli rivolge una raccomandazione per un suo giovane allievo: Wilhelm (Guglielmo) Studemund. Mommsen desiderava inviare Studemund a Verona con l’intento di compiere una nuova lettura del Codice 15-13. Scoppia la guerra che vedeva Italia e Prussia alleate contro l’Austria, il giovane studioso si recò a Verona comunque e trascrisse lo stesso. Mentre lavora alla trascrizione osserva la dislocazione delle truppe austriache e comunica informazioni militari come agente segreto, viene beccato dai servizi militari e durante la notte scappa lasciando lì le trascrizioni. Trascorso quasi un anno e finita la guerra, Studemund tornò alla Capitolare: il 6 marzo del 1867 il filologo scrisse a Giuliari il suo proposito di terminare i lavori nei due mesi successivi. Anche Studemund utilizza i reagenti chimici e realizza il suo apografo, infinitamente migliore perché le modifiche che vengono realizzate sono tantissime. Nel corso degli anni Studemund torna più volte a Verona e non smise mai il lavoro di revisione del proprio apografo, che giunse a compimento nel 1884 con la pubblicazione dei “Supplementa”, delle ampliazioni all’interno dei Supplementa ad Codicis Veronensis Apographum, nel quale la maggior parte degli errori venne emendata e vennero aggiunte molte integrazioni. L’apografo di Studemund e i suoi Supplementa del 1884 furono considerati un punto di partenza fondamentale da tutti gli editori successivi delle Istituzioni di Gaio. L’apografo portò a un miglioramento rispetto alla trascrizione di Böcking ma non fu del tutto soddisfacente perché Studemund ebbe poco tempo a disposizione e perché, pur essendo uno straordinario filologo, non era un giurista. Lavorò fino all’ultimo giorno della sua vita. A poco più di 40 anni morì per aver respirato troppi agenti chimici. Anche dopo la revisione l’apografo continua a presentare passaggi che danno perplessità. Oggi, nell’esaminare il palinsesto con le più sofisticate tecniche di text recovery, ci si imbatte spesso in passaggi in cui la decifrazione è molto ardua LE PRINCIPALI TECNICHE MODERNE USATE PER RECUPERARE IL TESTO DELLE ISTITUZIONI DI GAIO NEL CODEX XV (13) DELLA BIBLIOTECA CAPITOLARE DI VERONA Oggi il Codice XV (13) si trova in pessime condizioni a causa dei danni arrecati dai reagenti chimici utilizzati nel passato. Inoltre il restauro del manoscritto eseguito tra il 1899 e il 1902 non è stato eseguito perfettamente e ha alterato ulteriormente lo stato dei fogli: la pergamena, un tempo rugosa e piena di pieghe, appare oggi spianata e rigida. La gelatina del restauro ha poi formato un sottile velo che ha la tendenza a