Scarica Le origini della letteratura, la Scuola siciliana e Giacomo da Lentini e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! LETTERATURA ITALIANA LE ORIGINI DELLA LETTERATURA E LA SCUOLA SICILIANA I primi testi, scritti in Italia, che iniziano ad avere maggiore rilevanza si iniziano ad affermare nel corso del XIII secolo. Rispetto agli altri contesti europei, l’Italia è in ritardo, tuttavia riconobbe quasi un immediato successo a parte da lì a pochi anni. Le prime testimonianze letterarie hanno un riferimento legato alla tradizione latina, ma con alcuni temi di produzione medievale. Oltre alle opere scritte in latino, si inizia ad affermare anche il volgare, in particolare durante il Duecento. Si può dunque iniziare a parlare, con l’affermazione del volgare, ossia una forma arcaica di lingua italiana, di letteratura italiana. L’Italia del 200 era divisa in vari stati, uno di questi era il regno di Napoli che si trovava sotto il dominio dei Normanni. Il re al comando di quel regno era Federico II, che era anche imperatore del Sacro Romano Impero. Al centro della penisola, invece, vi era lo Stato Pontificio e nella zona dell’Umbria si diffuse la cosiddetta lirica religiosa, i cui maggiori esponenti furono Francesco d’Assisi e Iacopone da Todi. La lirica religiosa era caratterizzata da poesie e canzoni i cui i temi erano la fede e la religione scritte in un latino popolare. Al sud, però nacque, più precisamente in Sicilia, la cosiddetta Scuola siciliana nata nel 1230 circa. I poeti che aderirono alla scuola siciliana erano solitamente cortigiani oppure intraprendevano lavori nelle cariche pubbliche per conto del re, erano quindi dello stesso ceto ed accomunati dalla lingua del siciliano illustre, si ritrovarono anche ad avere in comune, nei loro componimenti, lo stile e i temi. È possibile che questa sia stata creata con la volontà, da parte di Federico II, di avere un regno unito e stabile tramite alcuni elementi, tra questi, anche la fondazione dello studium a Napoli, che è oggi l’Università. Tuttavia erano considerate di maggiore rilevanza tradizioni letterarie classiche, come il latino e il greco, poiché di “alta cultura”, di per sé, quindi, la Scuola siciliana non aveva molta importanza ai fini politici dell’imperatore. Il tema predominante della Scuola siciliana è l’amore, più propriamente del rapporto che c’è tra l’amante e l’amata, mentre temi come la politica erano esclusi. Ciò che viene descritto nei componimenti è l’esaltazione della bellezza e della virtù della donna amata e i forti sentimenti dell’amante di un amore che è quasi di natura anche timorosa. I siciliani cercano però di analizzare il tema dell’amore nella sua completezza, nei suoi aspetti più universali, focalizzandosi sulle emozioni individuali. Il maggior rappresentante della Scuola siciliana è Giacomo da Lentini. I siciliani non sono più, come ancora i poeti tedeschi, da ritenere come dei musicisti, nonostante in alcuni testi si avverte una maggiore propensione verso la musica. Iniziò così a formarsi uno spirito più autonomo del testo poetico che si discostò dalla musica, e la poesia autonoma è molto vicina rispetto a quella che è l’idea di poesia lirica. I temi, lo stile e la metrica siciliana si diffusero, nei primi anni del Duecento nella penisola, in particolare, a Bologna e in Toscana. Gli autori che presero influenza dalla Scuola siciliana sono Guittone d’Arezzo e Guido Guinizzelli, l’iniziatore dello Stil Novo. GIACOMO DA LENTINI Giacomo da Lentini faceva il notaio di professione ed era particolarmente attivo nelle corte di Federico II. Egli probabilmente nacque in una famiglia di origini normanne. Secondo alcuni lui fu l’iniziatore della Scuola siciliana, anche se il fondatore fu probabilmente l’imperatore stesso, è più corretto, invece, sottolineare che fu uno dei primissimi poeti ad aderire a questa scuola. Egli fu, inoltre modello di ispirazione per gli altri poeti successivi, in particolare, per la scelta del tema amoroso e per il rapporto con gli altri poeti di corte. A lui è attribuita la creazione del sonetto, ossia una forma metrica costituita da 14 endecasillabi fatti da un fronte, di otto versi e da una sirma di sei versi, mentre lo scherma delle rime è variabile, l’endecasillabo fu fondamentale nel prosieguo della poetica italiana. La Scuola siciliana però fa affidamento anche alla canzone. IO M’AGGIO POSTO IN CORE A DIO SERVIRE (Giacomo da Lentini) Io m’aggio posto in core a Dio servire, com’io potesse gire in paradiso, al santo loco ch’aggio audito dire, u’ si manten sollazzo, gioco e riso. Sanza mia donna non vi voria gire1, quella c’ha blonda testa e claro viso2, ché sanza lei non poteria gaudere1, estando da la mia donna diviso. Ma non lo dico a tale intendimento, perch’io peccato ci volesse fare; se non veder lo suo bel portamento e lo bel viso e ’l morbido sguardare: ché lo mi teria in gran consolamento, veggendo la mia donna in ghiora stare. PARAFRASI Io ho fatto proponimento, promessa, di servire Dio, affinché io possa andare in Paradiso. A quel santo luogo di cui ho sentito parlare, dove dura ininterrottamente divertimento, gioco e riso. Non vorrei andarvi senza la mia donna, quella dalla chioma bionda ed il volto luminoso, la carnagione chiara poiché senza di lei non potrei aver gioia, essendo diviso dalla mia donna. Ma non lo dico (non sto dicendo tutto questo) allo scopo di voler peccare con lei, bensì soltanto perché vorrei vedere il suo comportarsi bene, la sua dignitosa condotta, e il suo bel viso e il dolce sguardo; considererei ciò una grande consolazione, vedere la mia donna nella gloria del paradiso. COMMENTO Nella poesia “Io m’aggio posto in core a Dio servire” ci sono delle correzioni dei copisti toscani come ad esempio, la rima gire-gaudere1, Secondo Dante, che definiva da Lentini “il notaro”, la rima non è perfetta, è appunto una rima “preziosa”. Nella I quartina la prima rima è alternata (AB- AB), così come nella II (CD-CD). Le ultime due terzine invece presentano una composizione delle rime alternate, ma nella loro composizione le rime si ritrovano in posizione opposta nelle terzine. Dal punto di vista linguistico si notano alcuni termini siciliani e meridionali (m’aggio) che equivale a (ho). Nella I quartina della poesia, il poeta si pone come un servitore di Dio, egli cita anche il Paradiso, anche se fa riferimento al Paradiso dei piaceri terreni. Nella II quartina invece il poeta dimostra la sua contrarietà di fronte all’idea di andare in Paradiso senza la sua donna amata che rispecchia inoltre i connotati di bellezza dell’epoca: blonda testa e claro viso2. Ci sono anche alcuni elementi di maliziosità, precisamente nella I terzina, dove specifica di non voler peccare con lei,