Scarica Le pedagogie del novecento Franco Cambi e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! -LE PEDAGOGIE DEL NOVECENTO- -CAPITOLO 1. L’AVVENUTA DELL’ATTIVISMO- Nel XX sec. La scuola subisce processi di profonda e radicale trasformazione: si apre alle masse, si afferma sempre più come centrale nella società. Questa visione rinnovata fu massima nell’ambito della tradizione ATTIVISTICA. L’attivismo ha realizzato un rovesciamento radicale dell’educazione, mettendo al centro: 1. Il bambino, i suoi bisogni e le sue capacità; 2. Il fare che deve precedere il conoscere, il quale si evolve dal globale al distinto e che si matura inizialmente su un piano “operatorio”; 3. L’apprendimento che pone al centro l’ambiente e non il sapere codificato. 1. LE “ SCUOLE NUOVE” E L’EDUCAZIONE ATTIVA Tra il 1890 e il 1930 si affermarono, nella pedagogia mondiale, alcune esperienze educative di avanguardia. Alla base stavano sia le scoperte della psicologia, che affermava la radicale diversità della psiche infantile rispetto a quella adulta, sia il movimento di emancipazione di larghe masse popolari nelle società occidentali. Anche se le “scuole nuove” nacquero e si svilupparono come esperimenti isolati, legati a condizioni particolari ed a personalità eccezionali di educatori, esse avviarono una serie di richieste nel campo dell’istruzione, rivolte a trasformare profondamente la scuola, non solo nel suo aspetto organizzativo e istituzionale ma soprattutto in quello connesso agli ideali formativi ed agli obiettivi culturali. Il carattere comune e dominante di queste scuole nuove va individuato nel richiamo all’attività del fanciullo. L’infanzia secondo questi educatori, va vista come un’età pre-intellettuale e pre-morale, nella quale i processi cognitivi si intrecciano strettamente all’operare e al dinamismo, anche motorio oltre che psichico, del fanciullo. Il fanciullo è spontaneamente attivo e necessita quindi di essere liberato dai vincoli dell’educazione familiare e scolastica, permettendogli una libera manifestazione delle sue inclinazioni primarie. La vita della scuola dovrebbe, quindi, essere allontanata dall’ambiente artificiale e costrittivo della città; l’apprendimento deve venire a contatto con l’ambiente esterno, rispettando in tal modo la natura “globale” del fanciullo, che non tende mai a separare conoscenza e azione, attività intellettuale e attività pratica. Alla base delle scuole nuove c’è quindi un comune ideale di educazione o di “scuola attiva”. Le scuole nuove sono, inoltre, anche una voce di protesta contro la società industriale e tecnologica. Esse si alimentano in prevalenza, di una ideologia DEMOCRATICA e PROGRESSISTA, ispirata ad ideali di partecipazione attiva dei cittadini alla vita sociale e politica, di sviluppo in senso libertario dei rapporti sociali stessi, anche se connessa ad una concezione individualistica dell’uomo, secondo la quale i rapporti di comunicazione con gli altri sono certamente essenziali, ma senza che vengano ad intaccare l’autonomia della coscienza e la libertà personale di scelta. REDDIE: l’esperimento delle scuole nuove fu avviato in Inghilterra da Cecil Reddie (1858-1932) che nel 1889 aprì una scuola per ragazzi dagli 11 ai 18 anni che diresse fino al 1927. Secondo Reddie l’insegnamento andava mutato per renderlo più idoneo alle esigenze della società moderna. 1 Il ragazzo deve diventare un uomo completo per essere in grado di assolvere tutti gli scopi della vita. A tal fine la scuola deve divenire “un piccolo mondo reale, pratico” e collegare sistematicamente l’intelligenza e l’energia, la volontà, la forza fisica, l’abilità manuale, l’agilità. BADLEY: una seguace di Reddie, Haden Badley fondò una “scuola-internato” che si organizzava secondo principi ancora più radicali, in quanto valorizzava al proprio interno un sistema di autogoverno e il principio di coeducazione. DEMOLINS: all’esperimento di Reddie si richiamò esplicitamente Demolins nella sua “ecole des roches”. La scuola è posta “in campagna” in un parco ancora semiselvaggio. In esso i bambini si muovono in piena libertà ed abitano in case confortevoli che richiamano l’ambiente casalingo, in modo che sia mantenuta in tutto la sensazione della vita reale come in una famiglia sana e felice. L’obiettivo della scuola fondata da Demolins, e proseguita poi da Bertier, è quello di attuare una formazione globale del fanciullo, tanto intellettuale che fisica, morale e sociale. WYNEKEN: elaborò un modello educativo antiborghese e libertario che esercitò larga suggestione sulla gioventù tedesca fino alla prima guerra mondiale. Il suo ideale pedagogico, di carattere anarchico, poneva al bando l’autorità della famiglia, la tirannia degli adulti, i metodi scolastici conformistici e valorizzava invece la libera iniziativa dei giovani che dovevano organizzarsi in maniera autonoma ed esigeva una formazione scolastica che desse più spazio alle lingue moderne e alle conoscenze scientifiche. Con la rivista “Il Principio”, fondata a Berlino nel 1913, diffuse il suo messaggio rivolto alla gioventù tedesca e venne organizzando la “protesta” giovanile, alla quale aderirono specialmente giovani borghesi e che si caratterizzava per l’esaltazione di un senso romantico della vita, per l’avversione alla vita della città, per il richiamo al popolare, al semplice, al naturale. KERSCHENSTEINER: elaborò un modello di scuola nuova che chiamò “Scuola del lavoro”. La formazione pedagogica di questo autore avvenne attraverso Dewey e il suo richiamo alla manualità in educazione. Il lavoro è l’attività fondamentale dell’uomo e come tale deve esser posto al centro dell’educazione infantile, ma deve essere un lavoro preciso e serio, svolto collettivamente e dotato di valore reale. Il lavoro risulta educativo quando è pienamente consapevole delle proprie finalità complessive. La scuola pubblica rinnovata sulla base del lavoro deve mirare a raggiungere una formazione professionale, una formazione morale ed una educazione sociale del fanciullo e del giovane. La formazione sociale è vista come l’obiettivo fondamentale della scuola popolare. 2. LE SCUOLE NUOVE IN ITALIA In Italia le scuole nuove si svilupparono nell’ambito di quella che GIUSEPPE LOMBARDO RADICE definì come “scuola serena”. Tale scuola si ispirava ad un ideale di continuità tra la scuola e la famiglia, ad una valorizzazione delle attività artistiche e ad una visione del fanciullo come artista spontaneo. L’insegnamento in essa veniva a perdere ogni rigidità e si sviluppava secondo i principi della “serenità, equilibrio, attività, spontaneità”. LA BOSCHETTI ALBERTI: nei suoi volumi “I diari di Muzzano” e “La scuola serena” descrive la sua esperienza di insegnante elementare che prende gradualmente coscienza dell’insufficienza dell’insegnamento tradizionale e chiarisce i presupposti educativi e didattici di una scuola rinnovata. La sua “scuola serena” si svolge in un ambiente non attrezzata, secondo criteri didattici di avanguardia, ma essa dipende essenzialmente dal ruolo che assume il maestro, dal suo impegno e dalla sua coscienza pedagogica ed educativa. 2 4. I TEORICI DELL’ATTIVISMO: DECLORY, CLAPARÈDE, FERRIÈRE, MONTESSORI Il lavoro dei teorici e quello svolto dalle “scuole nuove” si saldarono formando un progetto di educazione “attiva”, che ha avuto un ruolo fondamentale nella pedagogia del Novecento. Il movimento attivistico collegava strettamente la pedagogia alle scienze umane (psicologia e sociologia) e contemporaneamente ne indicava anche le implicazione politiche ( caratterizzate da un forte orientamento democratico) e antropologiche (dirette a formare un uomo più libero e felice, più intelligente e creativo). I grandi temi della pedagogia dell’attivismo possono essere indicati in : • Nel “puerocentrismo”, cioè sul riconoscimento del ruolo essenziale ed attivo del fanciullo in ogni processo educativo; • Nella valorizzazione del “fare” nell’ambito dell’apprendimento infantile, che tendeva di conseguenza a porre al centro del lavoro scolastico le attività manuali, il gioco e il lavoro; • Nella “motivazione” secondo la quale ogni apprendimento reale e organico deve essere collegato ad un interesse da parte del fanciullo e quindi mosso da una sollecitazione dei suoi bisogni emotivi, pratici e cognitivi; • Nella centralità dello “studio di ambiente”, poiché è proprio dalla realtà che lo circonda che il fanciullo riceve stimoli all’apprendimento; • Nella “socializzazione”, vista come un bisogno primario del fanciullo che va soddisfatto e incrementato; • Nell’ ”antiautoritarismo”, sentito come un rinnovamento profondo della tradizione educativa e scolastica, che muoveva sempre dalla supremazia dell’adulto sul fanciullo; • Nell’ “antintellettualismo”, che conduceva alla svalutazione di programmi formativi esclusivamente culturali e alla conseguente valorizzazione di una organizzazione più libera delle conoscenze da parte del discente. I grandi “maestri teorici” dell’attivismo vanno riconosciuti in Dewey e Decroly, in Claparède e Ferrière, oltre che in Maria Montessori. OVIDE DECROLY: medico belga, arrivò ad occuparsi dei problemi educativi muovendo dalla “pedagogia differenziale” (o dei deficienti). Estese poi quei metodi educativi anche ai ragazzi normali e aprì a bruxelles l’ ”Ecole dell’Ermitage”, una scuola nuova pilota. Come psicologo studiò a lungo la psiche infantile, proprio muovendo dagli anormali, che egli riteneva assai interessanti per l’educazione anche per conoscere meglio il fanciullo in generale. Conoscendo meglio il fanciullo sarà possibile avviare in educazione quel processo di individualizzazione capace di rispettare sia i tempi di maturazione dei vari fanciulli, sia gli atteggiamenti affettivo-cognitivi tipici della mente infantile. Il carattere dominante della psiche del fanciullo è quello della “globalizzazione”: la conoscenza e la sensazione si rivolgono verso un tutto. Ogni attività di apprendimento muove nel fanciullo da un approccio globale rispetto all’ambiente, che deve essere rispettato nell’insegnamento. Per Decroly l’attenzione che il fanciullo rivolge ai fenomeni del reale naturale e sociale è spinta da un interesse che si caratterizza per il legame che stabilisce con i bisogni fondamentali dell’uomo. Questi sono il bisogno di nutrizione, di lottare contro le intemperie, di difendersi dai pericoli, di agire e lavorare, e devono trovare posto in ogni processo di apprendimento-insegnamento, in modo che l’attività di studio si organizzi secondo “centri di interessi” legati strettamente a questi bisogni fondamentali. In particolare vanno sviluppati gli argomenti che riguardano il rapporto del fanciullo con gli altri uomini e con la natura. Decroly mise l’accento sulle basi psicologiche di ogni apprendimento e sulla necessità di una partecipazione non passiva da parte dei fanciulli, che viene stimolata dall’interesse. 5 I processi di apprendimento si sviluppano poi in 3 momenti fondamentali: 1. L’ “osservazione” che è il punto di partenza di ogni conoscenza e che va posta al centro dell’attività scolastica, attraverso l’uso di un materiale assai vario che deve essere manipolato ed osservato direttamente dal fanciullo; 2. L’ “associazione” che organizza l’ambiente che il fanciullo ha osservato nella direzione dello spazio e del tempo, dando luogo alle conoscenze fondamentali della geografia e della storia; 3. L’ “espressione” che può essere concreta (lavori manuali) o astratta (linguaggio, cioè lettura o scrittura). Una delle applicazioni più importanti del “metodo globale” di Decroly si ebbe sul piano dell’insegnamento della lettura, nel quale è necessario seguire 2 fondamentali principi: associare le denominazioni scritte delle cose alle immagini delle cose e, quindi, alle cose stesse; facilitare la decomposizione delle parole per aiutare il riconoscimento delle immagini del linguaggio scritto. Secondo il metodo globale il fanciullo prima conosce le cose, poi comprende le frasi ed infine isola le parole. L’insegnamento della lettura deve avvenire attraverso “giochi educativi”. CLAPARÈDE: Con Edouard Claparède si venne creando a Ginevra una scuola ( la cosiddetta “Scuola di Ginevra”). L’opera pedagogica di Claparède si svolse soprattutto in relazione alle nozioni di “educazione funzionale” e di “scuola su misura”. L’educazione deve essere sempre sostenuta da un bisogno ed è quindi necessario rivedere profondamente i programmi di studio ed i metodi d’insegnamento tipici della scuola tradizionale, in quanto escludono ogni partecipazione motivata dall’interesse del fanciullo, direttamente connesso ai suoi bisogni. Di conseguenza la scuola deve organizzarsi “su misura” del bambino, deve rispettarne la natura e soddisfarne i bisogni, organizzando anche processi di apprendimento capaci di essere individualizzati, attraverso l’offerta di una serie di opzioni di attività tra le quali il fanciullo può liberamente scegliere. FERRIÈRE: Certamente la figura della “Scuola di Ginevra” che fu più direttamente impegnata sul piano della scuola attiva e di una teorizzazione dell’attivismo, va riconosciuta in Adolphe Ferrière. Ferrière si ispirò alla filosofia di Bergeson e ne assunse la nozione di élan vital, capace di organizzare una concezione attivistico-creativa dei processi vitali e quindi anche dell’attività di crescita e formazione umana dell’individuo. Ferrière si pose in atteggiamento di difesa dei “diritti” del fanciullo e dei suoi “bisogni” fondamentali, che sono connessi all’esercizio della libera attività. Questa difesa va posta al centro della scuola rinnovata, “attiva”: essa deve accettare e sviluppare le funzioni essenziali della psiche umana, e infantile in particolare, cioè quelle dello slancio spirituale, del progresso, dell’eredità dei tipi psicologici da un lato, e della ricapitolazione biogenetica dall’altro. In tal modo la scuola attiva potrà essere “liberatrice”, ovvero educare alla libertà attraverso la libertà. La scuola dovrà trasformarsi, mettendo al centro delle sue attività sia il gioco che il lavoro. In tale scuole si incoraggiano anche la formazione del carattere e dell’autonomia, in quanto la vita scolastica si organizza secondo il principio dell’autogoverno. La lezione di Ferrière si caratterizzò soprattutto per il lavoro di sintesi ed interpretazione della ricerca dei fondamenti comuni alle varie esperienza di educazione e per aver dato a questi principi comuni una accezione bio-psicologico-spiritualistica, che si collegava direttamente a quel richiamo all’uomo e ai valori, al bisogno di rinnovamento della civiltà, che aveva investito la cultura europea. MONTESSORI (1870-1952): Nata ad Chiaravalle (Ancona), si laureò in medicina a Roma, dedicandosi poi alla cura dei bambini subnormali. 6 Nel 1906 organizzò asili presso alcune case popolari a Roma e nel 1907 fondava la prima “Casa dei bambini”. Dai primi scritti, Il metodo della pedagogia scientifica e Antropologia pedagogica, ispirati alla lezione del positivismo, si spostò nei successivi scritti verso una difesa dei diritti dell’infanzia, sottolineando i caratteri di attività e di intrinseca religiosità di questa età dell’uomo. Alla base del “metodo Montessori” vi è uno studio sperimentale della natura del fanciullo che pone l’accento sulle sue attività senso-motorie, che vanno sviluppate sia attraverso gli “esercizi di vita pratica” sia attraverso un materiale scientificamente organizzato. La Montessori si fece promotrice di un rinnovamento dei metodi ortofrenici (rivolti alla rieducazione dei subnormali) e il suo pensiero accompagno una riflessione generale sull’educazione, che si sviluppò intorno ai principi della “liberazione del fanciullo”, del ruolo formativo dell’ambiente e della “concezione della mente infantile come mente assorbente”. Il fanciullo deve svolgere liberamente le proprie attività per maturare tutte le sue capacità e raggiungere un comportamento responsabile, ma tale libertà non va confusa con lo spontaneismo. La “liberazione” è crescita ricca e armonica, sviluppo della persona, e quindi deve avvenire sotto la guida attenta dell’adulto, che deve essere consapevole dei bisogni dei fanciulli e degli ostacoli che si frappongono alla loro liberazione. Così il ruolo dell’ambiente, se pur fondamentale è indubbiamente secondario nei processi di crescita e di apprendimento. L’ambiente deve essere reso adatto al fanciullo e riorganizzato secondo le sue esigenze fisiche e psichiche. La mente infantile è vista come una “mente assorbente”, dotata di uno straordinario potere si assimilazione e anche di partecipazione-comunicazione, che si manifesta nell’ “immaginazione creativa”, nel “piacere dei racconti”, nell’ “attaccamento alle persone” e ne “gioco”. L’impegno sociale della Montessori si sviluppò, in particolare, nella sua valorizzazione dell’educazione alla pace e alla solidarietà tra i popoli. -CAPITOLO 2. NUOVE TEORIE PEDAGOGICHE: L’IDEALISMO ITALIANO- In Italia all’inizio del Novecento Gentile critica il positivismo e ogni tipo di pedagogia scientifica, sottolineando invece l’identità soltanto filosofica della pedagogia, poiché “scienza dello spirito”. Con il suo attivismo dà il via ad una pedagogia incentrata intorno all’identità spirituale del soggetto umano, ad una pedagogia di opposizione ai modelli dominanti e restauratrice di un ordine educativo e scolastico che privilegia l’autorità e la tradizione. Così facendo Gentile impone un modello organico e in parte nuovo in pedagogia che molto a lungo ha pesato in Italia. • IL PENSIERO PEDAGOGICO DI GENTILE GIOVANNI GENTILE ( 1875-1944): L’ATTUALISMO è la filosofia elaborata da Giovanni Gentile che muove dall’atto di pensiero come principio unico e fondante di tutta la realtà. 7 Le figure però più eminenti e rappresentative del neorealismo pedagogico italiano, furono, con Gentile, Lomabardo, Radice e Codignola. LOMBARDO RADICE: Giuseppe Lombardo Radice (1879-1938), nato a Catania, fu promotore di una cultura pedagogica attraverso varie riviste (la più famosa fu “L’educazione nazionale”). Dopo il ’24 i suoi rapporti con il fascismo si rompono, si ritira dalla vita pubblica ed assume sempre più chiare posizioni antifasciste. Sul piano teorico Lombardo Radice si attenne ad un rigoroso idealismo gentili ano, quindi legato alla concezione dello spirito come svolgimento attivo e dinamico, pensato solo in termini filosofici e caratterizzato come un processo auto educativo. Tuttavia emergono alcuni aspetti di dissenso rispetto all’attualismo gentiliano, come ad esempio il rapporto tra “io individuale” e “io universale” che viene risolto da Lombardo Radice con una maggiore attenzione ai diritti del “me”. L’aspetto fondamentale della riflessione di Lombardo Radice resta, però, quello rivolto alla didattica, specialmente della scuola primaria e pre-elementare. Essa si caratterizza come una “didattica viva”, creativa e come una “critica didattica” che opera contro l’eccessiva specializzazione. La didattica neoidealistica di Lombardo Radice: • in primo luogo reclama che la figura del maestro si apra alla collaborazione con il fanciullo, così il maestro è confluenza dell’umanità passata e futura quindi visto come “spirito creatore”; • In secondo luogo tale didattica postula una nuova concezione della lezione, che deve essere un atto creativo e comunicativo; • Infine, in terzo luogo, c’è alla base una specifica concezione dell’infanzia, come un’età creativa ed attiva, intensamente affettiva e rivola ad una conoscenza magica del mondo. Il fanciullo è “poeta”, in lui è fortissima la fantasia e manifesta se stesso nell’espressione artistica. Da questi principi si sviluppa l’attenzione che Lombardo Radice rivolge all’educazione artistica e all’educazione linguistica, che è vista come il baricentro di tutto l’insegnamento. Il modello di scuola che Lombardo Radice venne sviluppando prese il nome di “Scuola serena”, una scuola di tipo attivistico che poneva al centro l’espressione artistica e la collaborazione spirituale tra maestro e scolaro. Tale scuola, come quella teorizzata da Gentile, non può essere laica, ma deve vivere intensamente i valori religiosi, legandosi alla tradizione religiosa specifica dei vari popoli e che quindi in Italia prende il volto di una religiosità cristiano-cattolica. CODIGNOLA: Ernesto Codignola collaboratore di Gentile, critica i principi autoritari e astratti dell’orientamento gentiliano. Attraverso Codignola si realizza uno spostamento culturale che interessa i primi anni della Prima Guerra Mondiale e l’immediato dopoguerra, e che riguarda il passaggio dall’egemonia dell’idealismo al pragmatismo americano. 10 -CAPITOLO 3. TRA PRAGMATISMO E STRUMENTALISMO: LA PEDAGOGIA DI JOHN DEWEY- DEWEY: è stato il più grande pedagogista del Novecento, egli era molto sensibile al ruolo politico della pedagogia e dell’educazione, viste come chiavi-di-volta di una società democratica. Il pensiero pedagogico di Dewey si è diffuso in tutto il mondo, ma egli oltre che un grande pedagogista è stato anche (e prima ancora) un grande filosofo che ha sviluppato la lezione del pragmatismo americano legata ad una idea di ragione aperta posta come strumento nella complessa dinamica dell’esperienza, individuale e storica. Dewey nasce negli USA nel 1859. Si perfeziona alla Johns Hopkins University, dove studia con Hall e Peirce, fondatore della “ psicologia dell’adolescenza il primo”, del “pragmatismo metodologico” il secondo. Dewey influenzato dall’evoluzionismo e dall’hegelismo elabora una filosofia centrata sull’esperienza, sviluppandola in senso dinamico e aperto, ma anche secondo prospettive organicistiche. Nelle molte opere che Dewey ha dedicato al problema educativo elaborò una pedagogia attenta ai problemi della società industriale moderna. In generale la pedagogia di Dewey si caratterizza: • Come ispirata al pragmatismo e quindi ad un permanente contatto del momento teorico con quello pratico, in modo tale che il “fare” dell’educando divenga il momento centrale dell’apprendimento; • Come intrecciata con le ricerche delle scienze sperimentali alle quali l’educazione deve ricorrere per definire correttamente i propri problemi, ed in particolare alla psicologia e alla sociologia; • Come impegnata a costruire una filosofia dell’educazione che assume un ruolo molto importante anche in campo sociale e politico, in quanto ad essa viene delegato lo sviluppo democratico della società. Tali caratteri generali renderanno la pedagogia deweyana un po’ come il modello-guida all’interno del movimento della “scuola attiva”. 11 La filosofia di Dewey si articola intorno a una “teoria dell’esperienza”, vista come l’ambito dello scambio tra soggetto e natura, scambio attivo, che trasforma entrambi i fattori e che resta costantemente aperto, poiché caratterizzato da una crisi, da uno squilibrio sul quale interviene il pensiero come mezzo di ricostruzione di un equilibrio(nuovo e più organico). Lo sviluppo e il controllo dell’esperienza è affidato all’uomo e alla sua “intelligenza creativa”, attraverso l’uso della logica, definita come “ teoria dell’indagine” e caratterizzata dal metodo scientifico e dai suoi principi della sperimentazione, della generalizzazione e dell’ipotesi, della verifica. Viene assegnato un ruolo fondamentale, per la crescita dell’esperienza, anche all’arte e all’immaginazione e alle sue procedure simboliche. Nella prima grande opera della sua produzione pedagogica, Scuola e società (1899), Dewey fissa i caratteri fondamentali del proprio pensiero educativo. L’opera si inseriva all’interno di un ampio processo di trasformazione produttiva e di crescita politico-sociale che gli Stati Uniti stavano vivendo in quegli anni. La scuola per Dewey, non può restare estranea a tale profonda trasformazione della società, anzi deve legarsi al “progresso sociale”, mutando radicalmente il proprio volto. Essa deve diventare una “comunità in miniatura, una società embrionale”, attraverso un più stretto contatto con l’ambiente e con la realtà sociale del lavoro. Così, nella scuola, dovranno essere costruiti laboratori di vario tipo che colleghino le attività scolastiche con quelle produttive. Dewey riconosce con chiarezza la funzione innovatrice e formativa del lavoro manuale. L’altro grande tema dell’opera è quello della valorizzazione in ambito scolastico della “vita del fanciullo”, cioè dei suoi reali interessi e del suo bisogno di attività. In particolare, nella scuola dovranno trovare uno spazio adeguato i 4 interessi fondamentali quello per la conversazione o comunicazione, per l’indagine o scoperta delle cose, per la fabbricazione o costruzione delle cose, per l’espressione artistica, e tutto il lavoro scolastico dovrà essere rinnovato introducendo accanto ai laboratori, spazi per la creazione artistica e per il gioco. Successivamente, con l’opera Democrazia e educazione, Dewey sviluppa in maniera più organica il proprio discorso intorno all’educazione. Sviluppa alcuni temi in parte nuovi, in particolare quello della funzione democratica dell’educazione e quello della valorizzazione della scienza come metodo specifico di un’educazione democratica. La scuola non deve soltanto adeguarsi alle trasformazioni nell’ambito sociale, ma deve promuovere la democrazia, cioè la capacità di partecipare da protagonisti nella vita sociale, con una mentalità aperta al dialogo con gli altri. Alla scuola viene affidato anche il ruolo di trasformare politicamente il volto della società, di renderlo meno repressivo e autoritario e di svilupparne invece i momenti di partecipazione e collaborazione. La democrazia quindi non viene vista come una forma di governo, ma come abbattimento di barriere di classe, di razza che impediscono agli uomini di cogliere il pieno significato della loro attività. Per fare questo bisogna porre al centro della formazione intellettuale e morale il metodo della scienza. Un ruolo fondamentale ha la capacità immaginativa del fanciullo che coinvolge la produzione artistica e la produzione del bello. In tale processo di apprendimento un ruolo nuovo spetta al maestro, egli non è più la figura autoritaria, non è nella scuola per imporre certe idee al fanciullo, ma è lì come membro della comunità per selezionare le influenze che agiranno sul fanciullo e per assisterlo a reagire a queste influenze. Dewey assegna un posto centrale a quella che oggi chiamiamo educazione cognitiva, cioè alla formazione dell’intelligenza attraverso un curriculum di studi che pone a propria base la scienza. il metodo scientifico viene descritto in termini di “indagine” che è un processo costante di organizzazione controllata e di revisione critica dell’esperienza. 12 dopo il ’17 Russo, e le contro-rivoluzioni preventive e autoritarie presenti nei vari stati europei, a cominciare dall’Italia col fascismo. Questa revisione è stata affidata ai Quaderni del carcere rivolti a ridefinire il marxismo e la strategia verso il comunismo culturale, sviluppata attraverso una pedagogia di cui è interprete il “Partito nuovo”. In questo ripensamento del marxismo operato da Gramsci, l’aspetto pedagogico è dominante: l’egemonia culturale si costruisce attraverso l’azione di molte istituzioni educative: la scuola, deve farsi “scuola unica” senza latino fino ai 14 anni e deve iniziare una cultura storica e scientifica che permetta di superare il folklore e la concezione religiosa del mondo. La concezione della scuola elaborata da Gramsci sottolinea l’inevitabile nozionismo, il ruolo di guida ad un apprendimento sistematico della cultura, l’impegno nello studio e la disciplina, contro quindi ogni spontaneismo e ogni attivismo pedagogici. Il pensiero pedagogico di Gramsci influì profondamente –dal secondo dopoguerra- sulla pedagogia italiana. - CAPITOLO5. LA PEDAGOGIA CRISTIANA E IL PERSONALISMO- Se nell’Ottocento in campo pedagogico-educativo si ha un’egemonia laica, nel corso del Novecento invece si afferma un’educazione di matrice cristiana, dato che il Cristianesimo e la 15 stessa Chiesa cattolica hanno assunto una maggiore attenzione verso il mondo moderno, verso i suoi ideali antropologici e sociali e verso tutti i problemi che vengono sollevati nell’epoca novecentesca. La Chiesa si è impegnata a definire gli elementi essenziali di un’educazione di orientamento cristiano e ha adottato posizioni ora tradizionali, ora aperte all’esperienze dell’attivismo. Il magistero ufficiale della Chiesa rivolse una prima attenzione al problema educativo sotto il pontificato di LEONE XIII. Questi mentre si occupava di una rinnovata cultura teologica e della questione sociale, diede importanza alla materia educativa, sottolineando il ruolo primario della famiglia e il principio della libertà di educazione per la Chiesa stessa. La posizione cattolica si fece più rigida sotto PIO X, il papa dell’antimodernismo, che varò il testo astratto ed esclusivamente da memorizzare, del catechismo per i fanciulli. Con Pio X si ebbe l’enciclica DIVINI ILLIUS MAGISTRI, la quale sosteneva l’importanza della Chiesa Romana in campo educativo, ritenendo che solo la Chiesa Romana potesse garantire una formazione integrale dell’uomo in relazione al creato e alla salvezza attraverso la fede. La Chiesa accanto alla famiglia ha il diritto di educare la prole sia in campo morale, religioso che fisico e civile. L’enciclica di PIO XI, però condanna molti aspetti dell’educazione moderna, quali la coeducazione dei sessi e l’educazione sessuale. Solo col VATICANO II, le prospettive della pedagogia cattolica mutano; l’educazione non è più vista come un diritto della Chiesa, ma deve formare la persona per il bene della società, si avvia una prudente educazione sessuale, e si decide che la Chiesa deve dirigere le scuole di qualsiasi ordine e grado. Già nel corso dell’Ottocento una eccezionale figura di educatore, GIOVANNI BOSCO aveva aperto nuove prospettive all’educazione cristiana, dedicandosi alla cura dei bambini poveri, sbandati e vagabondi. Nel corso del Novecento un orientamento significativo di “dialogo” con la pedagogia laica, è stato rappresentato dall’ “attivismo cristiano” i cui più importanti interpreti sono stati Andrés Manjon in Spagna e Eugène Devaud in Svizzera. MANJON: nelle sue “Scuole dell’Ave Maria”, attraverso l’educazione religiosa mira a salvare l’anima dei fanciulli poveri ed elabora un modello di educazione popolare cristiana vicino all’ideologia delle “scuole nuove” europee, dedite all’educazione all’aria aperta, a contatto con la natura, alla valorizzazione del gioco, alla centralità del lavoro. DEVAUD: si oppose al naturalismo pedagogico, colpevole di non tener conto di tutti i bisogni e di tutte le finalità della vita del soggetto umano, comprimendo in tal modo le sue esigenze spirituali. Egli riconferma la superiorità del maestro sull’allievo, e il ruolo positivo dell’autorità e in tal modo si allontana dal “messaggio” attivistico, puerocentrico ed antiautoritario. Tuttavia lo sforzo più importante e organico, per affermarsi come caratterizzata da una forte autonomia teorica, fu compiuto dalla pedagogia cristiana con il “personalismo”. Questo indirizzo pedagogico intende sviluppare una concezione totale dell’esperienza educativa, ponendo al centro i valori oggettivi e trascendenti, e vede attuarsi l’unità concreta tra esperienza e valore nell’ambito della persona. La persona è considerata quindi valore trascendente, per cui il compito del personalismo è quello di svolgere il valore della persona, affermarlo, realizzarlo interamente in ogni aspetto della vita. Il neokantiano FRIEDRICH W. FORSTER (1869-1966), influenzato dagli ideali politici del socialismo polemizzò contro la pedagogia tedesca poiché dall’età di Bismarck, è approdata troppo 16 al nazionalismo e al militarismo. La pedagogia deve orientarsi ai valori trascendenti, deve avere un legame indissolubile con la filosofia e con la teologia. Forster sostiene una “educazione integrale”, che dà importanza alla coeducazione dei sessi, all’affermazione dell’importanza dell’educazione fisica e del lavoro, l’impegno sociale della scuola; dà importanza all’obbedienza, poiché solo essa educa il fanciullo a subordinare i propri impulsi disordinati ad un principio superiore; l’obbedienza trasforma un’individualità in personalità. Il personalismo di Forster fondato sull’appello alla responsabilità e all’impegno sociale, vuole porsi soprattutto come uno strumento capace di risolvere la “crisi” spirituale contemporanea, connessa all’esasperato individualismo e all’anomia del soggetto. HESSEN: Anche Hessen si formò a contatto con la “filosofia dei valori”, che sottolineava l’eternità e la supremazia dei valori, ma soprattutto la loro unità fondamentale. Hessen propose un’immagine della pedagogia come teoria della cultura, rivolta a rendere l’individuo partecipe ai valori del gruppo sociale, a quelli spirituali, ad avere atteggiamenti di apertura verso gli altri, ad ascoltare il richiamo dei valori spirituali e realizzarli nella vita. La pedagogia deve alimentarsi delle varie scienze educative, tra cui la filosofia intesa come teoria della morale e della cultura. Hessen si oppone alla pedagogia del naturalismo biologico, all’individualismo, al sociologismo, accusati di allontanarsi da una concezione armonica ed integrale della personalità; propone una scuola contemporanea in senso democratico, e ritiene che ci debba essere una scuola unica obbligatoria fondata su tre principi in ogni tipo di apprendimento: il tutto, la gerarchia e l’autonomia. MARITAIN: il suo pensiero filosofico è legato ai principi dell’umanesimo integrale ed è contro il mondo moderno e contro la cultura moderna, poiché troppo carichi di soggettivismo e di naturalismo. Secondo Maritain la pedagogia deve ritrovare il proprio fondamento nella metafisica e dare importanza ai valori spirituali, alle virtù morali, intellettuali. L’educazione deve aiutare il soggetto a conoscere la verità in ogni suo sapere e deve sviluppare la capacità di pensare e di avere giudizio personale. L’educazione deve essere liberale e per tutti, orientata verso la sapienza, e tale educazione liberale dovrebbe protrarsi fino ai 18 anni e trovare il proprio baricentro nella filosofia e nelle grandi opere della letteratura. Essa deve ispirarsi anche all’”idea cristiana dell’uomo”, valorizzando la funzione di una disciplina severa e di un certo timore, viste come condizioni necessarie per attuare una “disciplina volontaria” che è volta a perfezionare le virtù naturali sia intellettuali che morali attraverso l’amore di Dio. SCHEDA JACQUES MARITAIN, UMANESIMO INTEGRALE (1936). Maritain nel suo testo propone una nuova cristianità, e delinea una filosofia pratica rivolta all’agire umano. Egli pone le basi di un nuovo umanesimo per risolvere la crisi storica verificatasi tra le due guerre, e questo umanesimo è eroico e religioso, rispetta la dignità umana, si ispira all’uomo integrale: uomo che si apre al mondo, a Dio, che dà vita a una nuova cristianità caratterizzata dal pluralismo, dalla libertà delle persone, da una comunità fraterna, dall’impegno sociale, dalla solidarietà, partendo soprattutto da quella operaia. MOUNIER: Il personalismo di Mounier manifesta un’esplicita valenza pedagogica, dà importanza alla responsabilità personale, all’impegno sociale, alla creatività. Il suo ideale di uomo deve essere totalmente impegnato, sia verso la storia che verso i valori spirituali, deve favorire un’educazione in senso comunitario, attraverso l’armonizzazione delle tre tensioni che la compongono: verso il basso che è il corpo; verso l’alto che è lo spirito; verso il largo che è comunione. La pedagogia di Mounier pone al centro il momento dell’ “amore”, come incontro genuino con l’altro uomo e l’impegno nella prospettiva di un dialogo costruttivo e comune, e quello dell’attività “integrale” vista come il momento in cui ci si sviluppa in senso interiore donandosi agli altri. 17 Se il fascismo italiano per primo abbozzò un sistema educativo conservatore poi esplicitamente ideologico-totalitario dell’educazione nazionale, fu poi il nazismo che realizzò un’educazione ideologica di massa, ispirata a principi razzistici e militaristici, capace di coinvolgere tutta la nazione, attraverso, la famiglia, la scuola, le agenzie educative, ecc. Il Socialismo sovietico solo con STALIN e la sua riforma scolastica, solo con la pedagogia del “collettivo” di MAKARENKO, manifestò tendenze totalitarie, ma poi nel complesso mantenne viva una scuola di cultura e un sistema educativo extrascolastico meno soffocante e meno oppressivo. Il Fascismo italiano, dal 1922 al 1943, venne elaborando una teoria sistematica della scuola, della pedagogia, dell’educazione extrascolastica e della cultura. Inizialmente il suo programma scolastico-educativo di stampo conservatore fu elaborato da Gentile che nel 1923 attuò la Riforma della scuola. Con questa riforma rigida si ebbe un sistema differenziato, il quale separava le scuole secondarie umanistiche per le classi dirigenti, da quelle tecniche per le classi subalterne, e indicava come cultura formativa solo quella letterario-storico- filosofica, che permetteva accessi all’università solo dai licei; introduceva l’insegnamento religioso nella scuola elementare e stabilì che alla conclusione di tutti i cicli secondari bisognava sostenere l’esame di stato. La scuola uscì da questa riforma profondamente rinnovata nelle strutture e nei contenuti, ma venne subito attaccata dentro e fuori il fascismo, per la sua selettività e per il blocco che produceva nell’ascesa sociale dei ceti inferiori. Così dal 1925 con l’avvio del Fascismo-Regime, la scuola venne nuovamente rinnovata e ridimensionata, ci fu un processo di fascistizzazione che riguardò: il varo di un testo unico per le elementari (1929); l’insegnamento della religione anche nelle scuole secondarie ; il giuramento anche dei professori universitari; infine si arrivò alla “bonifica fascista” della scuola intrapresa dal Ministro De Vecchi e poi alla Carta della Scuola del Ministro Bottai, dopo aver militarizzato la vita scolastica e ideologizzato i programmi di studio (in senso fascista e razzista). Nel 1939 ci fu poi una vera riforma della scuola fascista, la RIFORMA BOTTAI, pensata negli anni dell’ autarchia e quindi sensibile al ruolo da assegnare al lavoro già nelle scuole elementari. Come nuovo aspetto si ebbe la scuola media unica, e il biennio di “scuola del lavoro” nelle elementari (4a e 5a classe). Il fascismo formulò delle riforme anche sul piano Extrascolastico, creando associazioni per i ragazzi (Opera Nazionale Balilla, 1928) e per i giovani (Gioventù del Littorio, 1937) in modo da attuare una conformazione agli ideali del regime attraverso feste, gare, riunioni di propaganda, parate militari, durante le quali esaltava i principi fascisti, la disciplina sociale. Caratteri assai simili a quelli del fascismo italiano, ma più marcatamente razzista, militarista, autoritaria fu la politica educativa del Nazismo in Germania. HITLER, nel suo manifesto Mein Kampf, aveva sottolineato il suo intento di volere uno Stato totalitario “non basato sulla sapienza ma sulla formazione di un corpo fisicamente sano fino al midollo”. Così durante il nazismo si ebbe un indebolimento della cultura a favore dell'ideologia e delle attività di carattere fisico e a favore della discriminazione delle razze. Si impose agli insegnanti l’iscrizione alla “Lega Nazionalsocialista”, e il giuramento di fedeltà al FUHRER. Inoltre anche nel tempo libero, il nazismo si occupò di organizzare la vita dei ragazzi a partire dai 6 ai 18 anni, promuovendo gare ginniche, campeggi, sedute di propaganda, preparazione all’arte bellica. Ad ogni iscritto veniva dato anche un libretto personale, in cui erano registrati i progressi (anche ideologici) fatti dal ragazzo. Nel sistema formativo nazista ciò che appare in primo piano è l’intento di “condizionamento ad ogni costo” da parte del Partito-Stato, di aperta manipolazione e di conformazione coatta, che lo individuano come il caso estremo di modello educativo totalitario. 20 In URSS si ebbe solo con STALIN un sistema educativo totalitario. Prima di lui, la pedagogia sovietica si era mostrata aperta alla sperimentazione delle “scuole nuove”, nell'ottica di creare l'uomo nuovo (collaborativo, socializzato, non individualista, laico, con mentalità scientifico- tecnica, puerocentrico, ecc.). La creazione più significativa della pedagogia sovietica fu la “Scuola politecnica” del lavoro, impegnata a saldare insieme istruzione e lavoro di fabbrica. Negli anni della NEP (Nuova Politica Economica), collettivista e capitalista, l’istruzione fu ridotta da 9 a 7 anni, si crearono scuole tecniche e professionali e università con “facoltà operaie”, dando vita a un pluralismo di scuole, articolato tra scuole di cultura e scuole professionali. Negli anni di Stalin si ritorna alla scuola di cultura, che esalta lo studio sistematico, subordina il lavoro allo studio e condannata la pedologia dell'attivismo. Nel 1937 si abolì il lavoro nelle scuole, ci fu tuttavia un'espansione fortissima della scolarità e un miglioramento dell'efficienza delle strutture scolastiche,l’affermarsi di voci pedagogiche originali come quella di Makarenko. Nella società sovietica venne organizzata la “Gioventù Comunista” articolata in diversi raggruppamenti per classi di età, riuniti in locali nei quali organizzare il tempo libero con gare, feste, lavori di gruppo, conferenze, giochi, sempre impregnati di ideologia, intenta a formare il giovane comunista irreligioso, socializzato. I totalitarismi, sebbene sono asimmetrici tra loro, presentano comunque alcuni caratteri comuni, tipo l'educazione di massa, l’educazione che esce dalla sola scuola e famiglia per chiamare in causa lo Stato e la sua capacità di gestire pure il tempo libero delle giovani generazioni. Lo Stato è il garante e l’organizzatore dell’educazione; attraverso lo Stato l’educazione non si elabora a partire dall’individuo, esaltandone la singolarità, ma si parte dalla società, dalla massa, si condizionano le masse considerate come unico corpo. I totalitarismi diedero vita ad un sistema formativo rigidamente conformistico ed esplicitamente illiberale. -CAPITOLO 7. LA CRESCITA SCIENTIFICA DELLA PEDAGOGIA- Nel Novecento la pedagogia si arricchisce sul piano teoretico attraverso il contributo delle filosofie (idealismo, pragmatismo, marxismo) e della scienza. Difatti la pedagogia del ‘900 si mette al servizio del bambino e della donna, realizzando così nuovi modelli pedagogici (puerocentrismo attivistico, pedagogia della differenza femminile, ecc). La pedagogia passa da una identità filosofica ad una identità scientifica. Nel ‘900 infatti si sviluppa la pedagogia sperimentale, crescono discipline nuove come la psicopedagogia o la sociologia dell’educazione, si attua una ricchissima indagine scientifica sul bambino e sull’apprendimento, ridisegnando in tal modo tutto l'orizzonte del sapere educativo, innervandolo di conoscenze scientifiche e di pratiche cognitive di tipo scientifico-sperimentale, avviando così il passaggio dalla pedagogia alle scienze dell'educazione. La Pedagogia sperimentale si espande in Europa e USA. Negli USA si avranno ricerche sperimentali sull’insegnamento dell’aritmetica e del linguaggio, e si avranno con Jeedd i test d’intelligenza, che serviranno a misurare le capacità intellettuali del bambino. Gli studiosi americani criticano la rigidità dei programmi in uso, mostrandone l’inefficienza e favorendo la costruzione più organica e razionale di curricoli. 21 In Germania, Lay e Meumann fondano nel 1905 la rivista “la pedagogia sperimentale” e producono studi sull’insegnamento, sulla didattica e sugli aspetti psicologici dell’educazione. In Francia, in Belgio, la pedagogia sperimentale si istituzionalizza con Binet, con Thomas Simon, il quale condusse ricerche sulla didattica, sulla scrittura, lettura e ortografia. Invece per quanto riguarda l’Inghilterra, la Scozia e l’Italia, la pedagogia sperimentale fu molto debole. Nell’ambito della ricerca scientifica in pedagogia un posto rilevante occupa la Psicopedagogia, cioè una pedagogia basata sulla conoscenza del bambino in generale o dell’adulto, sulla conoscenza individuale e sugli studi dell’ambiente nel quale egli si evolve. La Psicopedagogia, si occupa della crescita del bambino, della formazione dell’adulto, dell’apprendimento specifico; studia le componenti psicologiche dell’azione educativa, e si serve degli studi della psicoanalisi, della psicologia sociale. . La Sociologia dell'educazione si è sviluppata soprattutto attorno alla scuola e al suo ruolo sociale, affrontando i temi dell’integrazione sociale, i pregiudizi, lo studio dei sistemi scolastici, l’aspetto politico, il rapporto scuola e immissione nel mercato del lavoro, lo sviluppo economico, ecc. E’ stato esaminato dunque il nesso educazione-società. La Sociologia dell'educazione si pone come tecnologia al servizio dell’attività educativa e addestramento per operatori scolastici. Importanti sono state anche le scoperte della Psicoanalisi con Freud e della psicologia dell'età evolutiva con Piaget. SIGMUND FREUD: (1856-1939), ha contribuito a diffondere nella pedagogia 1. una ridefinizione dell'infanzia; 2. una descrizione nuova dei rapporti familiari; 3. un ruolo centrale all'emotività/affettività. L’Infanzia è considerata da Freud pulsione libidica, caratterizzata da un’eros incontrollato e dal narcisismo. L’infanzia ha una forte carica vitale e sessuale, pregenitale, (prima orale, poi anale, infine genitale); l’infanzia è perversa-polimorfa, senza alcuna regola, è libera, e ha una sessualità diversa da quella adulta ma è altrettanto centrale per lo sviluppo della personalità infantile e che può subire repressioni o sublimazioni attraverso l'educazione. Tale opera è affidata prima di tutto ai genitori, e costoro hanno col bambino un rapporto complesso e conflittuale. Freud parla difatti del complesso edipico, rifacendosi al mito di Edipo, connotato di amore verso la madre e di conflittualità verso il padre. Emerge poi nella personalità il SUPER-IO, che è la coscienza e tende di reprimere la libido (energia vitalistica ed erotica) del bambino. Fondamentale nel complesso processo tra sessualità e rapporto edipico è l’emotività, gli affetti, poiché proprio attorno agli eventi affettivi viene ad elaborarsi la personalità (nevrotica o equilibrata) del soggetto, e ciò avviene nei primi mesi di vita attraverso il rapporto con le figure parentali. Dopo Freud ci furono analisi psicologiche condotte da Klein, Bowlby, Winnicot, i quali elaborarono la teoria dell'infanzia fondata sul rapporto con la madre e con il suo seno, centrale per ostacolare l’istinto di morte del bambino e sui bisogni ludici e affettivi dell’infanzia. Sull'apprendimento lavorano sia i comportamentisti che i gestaltisti, e ritengono che l’apprendimento infantile debba essere collegato all’attività motoria, debba basarsi sul gioco, sull’esplorazione dell’ambiente, sui processi di socializzazione familiare prima e extrafamiliare dopo. In campo educativo un aspetto centrale è il rapporto tra motivazione e apprendimento. Per i comportamentisti l’apprendimento è attivo e si verifica attraverso un feed-back (retroazione o rinforzo); per i gestaltisti l’apprendimento è l'approccio globale che va dalle strutture di diverse discipline ai loro particolari. Ecco che si determina una nuova immagine della pedagogia, regolata 22 La pedagogia è entrata in crisi come sapere unitario e nel frattempo si sono formate tante scienze ausiliarie. È scomparso il sapere ora scientifico ora filosofico della pedagogia, quindi il sapere pedagogico si è pluralizzato al suo interno dando vita ad una serie di competenze settoriali che hanno spazzato via la figura del pedagogista. Pertanto oggi la pedagogia è sfociata in buona parte nelle scienze dell’educazione che affrontano la complessità dei fenomeni educativi, si occupa di problemi specifici, tipo l’apprendimento di una lingua, la formazione della coscienza civile in una società democratica, e le scienze dell’educazione tengono conto dell’aspetto psicologico, metodologico, didattico, e dei contenuti. Il sapere pedagogico è un sapere ipercomplesso costituito da molti elementi da sottoporre a un coordinamento riflessivo e autoriflessivo. Le scienze dell’educazione colgono la specificità e la varietà dei problemi, per sottoporli a procedure di analisi e di intervento che permettono soluzioni verificabili ispirate a una logica della sperimentazione e del controllo scientifico. Ad ogni modo tale passaggio ha attivato resistenze e critiche, ma nonostante tutto, il passaggio dalla pedagogia alle scienze dell’educazione è stato un evento epocale della pedagogia contemporanea, dato che la pedagogia è cambiata rispetto al suo passato; si è articolata su varie scienze, è nata una pedagogia che vive attraverso il filtro scientifico-tecnico il suo stretto rapporto con la pratica; si dà importanza all'azione educativa, alla centralità della filosofia accanto alle scienze dell'educazione, come discorso generale sull'educazione, come elaborazione razionale di fini e mezzi. -CAPITOLO 10. ‹‹GUERRA FREDDA›› E PEDAGOGIA- La pedagogia nel secondo Novecento si avvicina sempre più all'ideologia delle due facce di un mondo contrapposto, ideologia scaturita dalla guerra fredda. Assistiamo dunque all’opposizione Ovest ed Est, Democrazia e Socialismo, Libertà e Totalitarismo, alienazione ed emancipazione, capitalismo e economia di piano; la logica della divisione dopo la guerra, ha dominato la visione del mondo. La guerra fredda, imposta con la nascita dei blocchi (tra il 1948-1980), ha condizionato tutti, ha plasmato le coscienze umane, le abitudini degli uomini, ha prodotto armi, uccisioni di migliaia di uomini, ha suscitato entusiasmi, paure e sofferenze. Anche la pedagogia quindi, come la filosofia e addirittura le scienze, si è schierata in quegli anni a supporto di una delle due ideologie e civiltà: • ad Ovest la pedagogia ha difeso i principi della democrazia liberale e dell'organizzazione capitalistica (cioè della proprietà privata, del mercato, della concorrenza, della libertà d'impresa, dell’autonomia dell’individuo, della libertà dei popoli, dei ceti, delle minoranze), e si è posta, negli USA, come in Europa, in Italia e in Germania al servizio dei principi di educazione liberal-democratica. • All’ Est si è elaborata una pedagogia di Stato, spesso rigida e dogmatica sulle tesi marxiste. I due modelli pedagogici hanno avuto storie parallele: la pedagogia Occidentale coincide con la storia dell’attivismo deweyano-americano, assieme alle istanze più o meno reazionarie del personalismo cattolico, metafisico-religioso. E’ la pedagogia che si richiama a Dewey, a Kilpatrick, a Washburne, a Claparède, Cousinet e sul fronte cattolico, Maritain e Mounier. 25 La pedagogia Orientale o comunista si colloca dentro la storia del marxismo pedagogico, anche se tra molte difficoltà lo viene rielaborando in relazione a condizioni storiche nuove. L’Italia invece fu un vero e proprio paese di frontiera: retta da governi filo-occidentali e schierati a fianco degli USA, inserita in uno sviluppo economico neocapitalistico e riorganizzata politicamente secondo un modello democratico, caratterizzata dalla presenza del partito comunista, guidata spiritualmente dalla Chiesa cattolica, che esprimeva il partito chiave del governo: la democrazia cristiana. In queste condizioni di pluralismo ideologico e di conflitto culturale, la pedagogia venne delineandosi su tre fronti che per molto tempo hanno continuato a combattersi: • Al potere c’è stato il fronte cattolico, che ha governato la scuola ed ha espresso la pedagogia ufficiale, ispirandosi ai principi dello spiritualismo e del personalismo che richiede una pedagogia filosofica di impianto metafisico. Più chiuso e integralista negli anni ’50, si è poi aperto dopo il concilio Vaticano II, con Ernesto Balducci e don Milani. • In aperta opposizione al fronte cattolico, ma legato all’ideologia liberal-democratica occidentale, si è collocata la pedagogia laico-progressista, che si è venuta elaborando attraverso il ripensamento dell'educazione democratica di Dewey, con gli interventi di Codignola, di Borghi, di Visalberghi, di Laporta). I laico-progressisti attivi un po’ in tutta Italia e con il loro centro ideale a Firenze, hanno delineato una pedagogia attivistica, attenta agli apporti delle scienze, all’impegno politico, alla trasformazione della scuola e alla didattica, con l’obiettivo di avviare il bambino a costruirsi come personalità democratica, capace di comunicare con gli altri, di collaborare, di impegnarsi in un progetto comune, come pure di emanciparsi da pregiudizi e da comportamenti irrazionali attraverso lo studio delle scienze e l’esercizio del lavoro scientifico. • Infine il fronte marxista, legato al PCI, con una sua rivista “Riforma della scuola”, con i suoi teorici (Manacorda, Lucio Lombardo Radice, Dina Bertoni Jovine, ecc.), ha criticato sia gli altri fronti e ha difeso sia la specificità marxista dell'educazione connessa al lavoro, all’emancipazione, all'unità di cultura umanistica e scientifica, e a uno stretto dialogo tra scuola e società per ridefinire gli obiettivi del fare pedagogico nel senso della trasformazione sociale, rispetto a quanto chiedono mediamente, sia laici che cattolici alla scuola. Dopo la seconda guerra mondiale la pedagogia marxista si era venuta trasformando. In URSS, con l’avvento dell’era KRUSCIOV, l’aspetto educativo subisce profondi cambiamenti. Con la riforma del 1958 si crea una scuola obbligatoria di 8 anni e non più di 7, si reintroduce il lavoro manuale accanto allo studio intellettuale, e ci si orienta verso una scuola più equa e democratica. Ma va precisato che sono state elaborate anche altre vie nazionali di orientamento marxista ma abbastanza diversi rispetto a quello sovietico. Ricordiamo la Cina di Mao e la Cuba di Fidel Castro, il PCI. I paesi dell’Est europeo (Ungheria, Albania, Bulgaria, Cecoslovacchia, ecc.), tra il 1945-1949 avviano un processo di riorganizzazione dell’istruzione in senso democratico basato sull’unità della scuola, della cultura, sul lavoro. Un caso assai significativo è costituito dalla Polonia, infatti il pedagogista Bogdan Suchodolski (1947) ha tentato in campo educativo di saldare i principi dell'etica cristiana con l'impianto teorico e pratico del marxismo. Il pedagogista polacco ha proposto un umanesimo socialista; “l’uomo nuovo” deve interagire con la società, deve valorizzare il progresso, deve sforzarsi e impegnarsi personalmente, deve avere una personalità poliedrica capace di cooperare. La sua proposta pedagogica appare spesso come una pedagogia dell’utopia. 26 La pedagogia cinese dopo il 1949 fu caratterizzata da un forte slancio di diffusione dell’istruzione e da un accentramento dell’istruzione stessa nelle mani dello Stato, smantellando le scuole private, confessionali, e realizzando due tipi diversi di scuola secondaria, quella generale e quella specializzata (professionale e tecnica). In Cina dopo il ’56 ci fu una battaglia intensa contro l’analfabetismo, un progetto di estensione dell’istruzione obbligatoria. Nel 1966 Mao Ze-dong, rompe gli steccati che separano cultura, lavoro e politica e invita i ragazzi a lottare contro le concezioni borghesi; li invita a lavorare i campi nelle comune agricole e li fa lottare contro la cultura ufficiale e tradizionale, arrivando ad opporsi alla tradizione religiosa confuciana. La rivoluzione culturale cinese si oppone al vecchio sistema didattico ed afferma un’educazione di tipo proletario, fondata prioritariamente sul lavoro. Anche la rivoluzione Cubana (1962), si è ispirata ai principi della teoria marxista, sostenendo l’alfabetizzazione delle masse per una prima emancipazione dopo l'epoca coloniale. Si sono diffusi alcuni principi classici del marxismo: Importanza del lavoro produttivo, formazione dell'uomo nuovo, diffusione universale delle cultura superiore. Al tempo stesso è stata avviata anche una campagna per l’educazione degli adulti. In Europa il PCI si è occupato dei problemi educativi, basti pensare a Gramsci che nei suoi scritti del carcere aveva affrontato in vari punti anche il problema pedagogico, portando avanti due obiettivi ben precisi: la critica della tradizione scolastica italiana (ossia critica alla riforma Gentile considerata culturalmente arretrata), e la riaffermazione di un nuovo principio educativo quello basato su connubio istruzione e lavoro produttivo, secondo i richiami già elaborati da Marx e da Lenin. Contemporaneamente Gramsci aveva avanzato la proposta di una Scuola media unica senza latino, obbligatoria per tutti fino ai 14 anni, e organizzata secondo un metodo che privilegiasse lo sforzo e l'impegno allo spontaneismo del fanciullo. L’educazione è per Gramsci non un processo di crescita naturale, ma di conformazione alle regole sociali; è un processo di socializzazione. L’obiettivo di questa educazione è quello di fare di ogni uomo un intellettuale organico; in modo che ogni individuo possa essere ad un tempo governante e governato. Sulla scia della lezione gramsciana il PCI tra gli anni ’50-’70 ha elaborato una organica riforma della scuola media, ha diffuso maggiormente la cultura, ha reso la scuola più democratica. -CAPITOLO 11. LA PEDAGOGIA COGNITIVISTA DA PIAGET A GARDNER- Verso gli anni ’50 si venne a costituirsi la psicologia cognitivista, grazie alle opere psicologiche di Bruner e alle ricerche linguistiche di Chomschy. La pedagogia degli anni ’50 dovette allora prendere nuova forma, avvicinarsi al modello attivistico- pragmastico, dare importanza ai problemi educativi dell’apprendimento, all'istruzione (soprattutto scientifica) e allo sviluppo cognitivo, dando invece scarsa attenzione ai problemi sociali dell'educazione. I grandi interpreti di questa svolta psicopedagogica sono stati Piaget, Vygotschij e Bruner. PIAGET (1896-1980): è stato il teorico dell'epistemologia genetica (un settore della psicologia che studia le strutture logiche della mente e i processi cognitivi attraverso cui esse maturano, intrecciando epistemologia e psicologia evolutiva. 27 ideologico culturale ispirata al pensiero delle TRE “M” (Marx, Mao, Marcuse), orientata secondo i principi del marxismo rivoluzionario. Durante il pensiero rivoluzionario viene rilanciato il primato del politico per attuare un rinnovamento radicale della società che si nutra di utopia. L’esempio più lampante di questa rivoluzione giovanile fu il “Maggio Francese”, cioè le lotte studentesche che si ebbero a Parigi per ottenere le trasformazioni nella scuola/università e nella politica. Si ebbero scontri frontali fra giovani e governi in nome di un reale cambiamento dell'assetto sociale in direzione di uguaglianza e giustizia. Negli USA infatti il grande esponente MARCUSE, sottopose a revisione critica il sapere e la vita sociale così come si organizzava nelle società neocapitalistiche, e metteva in discussione, ai fini educativi una cultura alimentata da suggestioni orientali. In Germania, WILHELM REICH, influenzato dalla “Scuola di Francoforte” si appellò ad un marxismo antistaliniano, aperto a esperienze più libertarie che collegava psicoanalisi e marxismo, ma anche psicoanalisi e politica. Si diede importanza a una “rivoluzione sessuale” ed erotica, eliminando quindi gli aspetti più dogmatici e repressivi del marxismo, e si diede impulso ad uno sviluppo della coscienza di classe secondo una prospettiva antiautoritaria. In Italia il “movimento degli studenti” si innestò in una rivolta sindacale e operaia, investì con una critica frontale il PCI e dette vita a un pulviscolo di gruppi, estremisti e orientati secondo le diverse teorie del marxismo. In tutta Europa muta il modo di guardare ai problemi sociali, al ruolo socio-politico, d'interpretare il ruolo dell'educazione, di interpretare l’istituzione-scuola, istituzione-famiglia, ecc. La critica dell'ideologia scolastica e dell'ideologia pedagogica furono i temi più significativi del dibattito del’68 intorno all’educazione. Si cercò di proporre all’interno dell’istituzione scolastica, nuovi programmi, nuovi libri di testo, nuove pratiche didattiche generali e speciali (ossia quelle relative alle diverse discipline). La scuola quindi intese il suo ruolo sociale e intuì di avere un’identità ambigua: ora rivolta a formare coscienze libere, colte, capaci di emanciparsi dai condizionamenti sociali, ora, invece, a conformare i soggetti a precise regole sociali, idee e ideali collettivi. Anche la pedagogia venne smontata nel suo ruolo ideologico, e nel suo ruolo di scienza e nella sua posizione neutrale. La pedagogia è un sapere sempre schierato, e deve scegliere di schierarsi per l'emancipazione, per la liberazione dell'uomo. In questo clima di revisione radicale dei processi educativi e del sapere pedagogico, vennero ad affermarsi alcuni modelli alternativi che si orientavano verso principi e valori “altri” rispetto a quelli borghesi e capitalistici, che erano autoritari e repressivi. Furono importanti le Esperienze alternative in Francia con le scuole dell'autogestione, o il movimento per la descolarizzazione in America latina e in Europa con Ivan Illich e con Paulo Freire, o la controscuola di Don Milani in Italia. Don Milani con la sua “controscuola” non attuò la descolarizzazione, anzi egli fu del tutto estraneo e contrario alla Pedagogia della descolarizzazione, ma egli realizzò la scuola di Barbiana, ove nella sua “lettera a una professoressa” del 1967, condanna la scuola borghese, classista, discriminatoria, incapace di superare il divorzio tra cultura e lavoro. A Barbiana, Don Milani origina una scuola ove si lavora tutto il giorno, si apprende l’insegnamento linguistico, si discute e si scrive, si attua l’autonomia del pensiero, di emancipazione e crescita sociale. Nel ’68, la scuola di Don Milani, ebbe molto successo, fu apprezzata e discussa, i giovani si avvicinarono ai principi utopistici, di emancipazione e di eguaglianza sostenuti da Don Milani. 30 Tutti questi nuovi modelli pedagogici di fine anni ’60, furono alternativi, intendevano rompere con pratiche scolastico-educative tradizionali e conformistici, e volevano invece, formare soggetti più creativi, aperti, indipendenti. Proponevano un modo di fare pedagogia di tipo critico-radicale, libero dalla visione borghese e ispirato al principio/valore della differenza, cioè al pluralismo delle scelte pedagogiche, alla pedagogia progressista, autonoma, antirepressiva ed emancipata; una pedagogia ispirata al marxismo, a Freud, e al pensiero di Nietzsche. LAPASSADE: demolisce il “mito dell'adulto” e vi contrappone l’infanzia, come età della incompiutezza e come sforzo di entrare nella vita in modo autentico e creativo. L’infanzia deve essere valorizzata e salvaguardata da una pedagogia istituzionale, che promuova la natura genuina del fanciullo e contesti le forme consuete di educazione. Lapassade sviluppa l”autogestione pedagogica”, per attuare il rivolgimento educativo che valorizzi e promuova la natura genuina dell’infanzia, liberando gli allievi, gli insegnanti e gli stessi pedagogisti. Lapassade ipotizza una scuola anticapitalistica ispirata ai valori del socialismo che leggendo le contraddizioni del sistema borghese, individua un metodo per superarle. Bisogna “de-scolarizzare la società” per sottrarre l'apprendimento e la formazione delle giovani generazioni all'ideologia del potere. La descolarizzazione spinge la società a pensarsi come società educante. Distrutta la scuola tradizionale, bisogna organizzare un apprendimento diffuso in diversi momenti e ambiti della vita sociale. ILLICH: proponendo una forte spinta utopica e un grande impegno rivoluzionario, intende dare importanza non alla professionalizzazione dell’individuo, che è solo funzionale al potere e alla nazione, ma intende formare umanamente e socialmente il soggetto, intende preparare ogni uomo a vivere in modo conviviale, con gli altri uomini. L'importante non è la professionalizzazione dell'individuo, ma il suo formarsi per essere un elemento d'armonia con gli altri e con il mondo. FREIRE: sosteneva una pedagogia alternativa con una forte coscienza politica: schierarsi dalla parte dei poveri, degli ultimi, e attivare un processo di apprendimento che va al di là della semplice alfabetizzazione, e realizzi invece una coscientizzazione, intesa a sviluppare la capacità di prendere parola, di cogliere i significati, di collocarli nel loro aspetto storico-sociale, così anche i diseredati possono innalzarsi e partecipare alla vita civile. Nella Pedagogia della descolarizzazione è presente un forte appello politico, vuole riscattare i gruppi sociali più marginali, pertanto è utopica e rivoluzionaria. Quanto alla pedagogia della differenza, si è dapprima diffusa in Francia, dando vita a una pedagogia antiautoritaria, rivolta a interpretare il bambino come emblema di un’umanità diversa rispetto a quella caratterizzata dalla tradizione cristiano-borghese (alienata, conformistica, egocentrica). Il bambino interpreta un modello umano più libero, perverso-polimorfo, più comunicativo e anticonformistico, con i suoi desideri di fuga, di vagabondaggio, con le sue pulsioni erotiche. Il francese René SCHERER con la sua opera “L'Emilio pervertito” critica radicalmente l'educazione praticata in occidente, come pratica di vigilanza del bambino che produce la sua castrazione con perdita del suo polimorfismo sessuale e della libertà del suo desiderio. Secondo René Scherer, bisogna liberare invece la corporeità infantile e le sue perversioni, come pure favorire la sua emancipazione dal controllo degli adulti, favorire la fuga, andare via con altre figure adulte diverse dai genitori. Ecco che la pedagogia della differenza ha un approccio freudiano: il principio del piacere castrato del principio di realtà. 31 In Italia Bertin e Pasolini si occuparono della pedagogia della differenza. BERTIN (1912-2002): si ispirò al pensiero di Nietzche (spirito nobile, danza intesa come libertà, gioia, ecc.), e reclamò un’educazione che valorizzi la formazione di una personalità inquieta, aperta al cambiamento e al dissenso, originale. PASOLINI (1922-1975): è stato sensibile all’educazione alla differenza; si è fatto educatore della società civile, ha rifiutato l’etica neo-capitalistica, ha sostenuto il ritorno alla convivenza sociale, che valorizzasse le istanze comunitarie, la semplicità, la genuinità dei bisogni. Ha richiamato la pedagogia alla sua fondamentale politicità, poiché educare, insegnare, pensare l’educazione sono attività sociali. La pedagogia è anche un sapere politico perciò deve mettersi a contatto con le forze sociali più progressiste che lavorano per l’emancipazione degli uomini. La pedagogia deve orientarsi in senso critico. Il '68 ha inciso sulla pedagogia poiché: l'ha richiamata alla sua politicità e quindi costretta a scegliere da che parte stare. L'ha richiamata a una revisione critica delle proprie istanze smascherando coperture ideologiche conformiste ha permesso di mettere a fuoco nuovi modelli formativi che si collocano su una traiettoria decisamente utopica. -CAPITOLO 13. LA SCUOLA DAL SECONDO DOPOGUERRA AD OGGI- Dal 1945 ad oggi la scuola, nei paesi industrializzati si è contraddistinta per la sua crescita in senso sociale, per il suo ruolo nello sviluppo economico, per la funzione svolta nell’assetto democratico, e per le sue riforme assai radicali, come quelle espresse nel ’68. La crescita sociale della scuola si è manifestata attraverso l’Alfabetizzazione di massa, attraverso l’obbligo scolastico fino ai 14 anni e l’assunzione di un ruolo di mobilità sociale. Con l’alfabetizzazione, il popolo, dopo la seconda guerra mondiale, è diventato più partecipe alla vita socio-politica, più partecipe alla “cosa-pubblica”, alla democrazia; ha migliorato le sue qualità professionali, tanto è vero che la scuola ha contribuito allo sviluppo socio-economico del Paese, visto che nelle società industrializzate anche la manodopera operaia deve essere sufficientemente preparata, in modo da potersi applicare a macchine più sofisticate e da poter organizzare il proprio lavoro. Nelle società industriali e democratiche le competenze professionali favoriscono un passaggio tra i ceti e perfino tra le classi sociali, e l’obbligo scolastico fu richiesto dai politici e dai industriali ed economisti per migliorare appunto le prestazioni della forza-lavoro e per rispondere sempre meglio alle esigenze del mercato. La scuola doveva professionalizzare, formare esperti per vari ambiti della produzione, oltre che diffondere una cultura di base più solida e più ricca. La scuola venne sottoposta così a una doppia istanza: 1) diffondere la cultura disinteressata per formare e nutrire l’intelligenza della persona; 2) creare profili professionali. 32 SCHEDA NEIL POSTMAN. ECOLOGIA DEI MEDIA. (1979). Con l’avvento della televisione, con il suo linguaggio iconico, con la sua fruibilità immediata e senza sforzo si impone come compito il riconfermare il ruolo della scuola proprio come agenzia di sviluppo cognitivo e di trasmissione del sapere. Tra TV e scuola deve crearsi un circuito omeostatico, di equilibrio, di integrazione critica, devono essere complementari, la TV non deve cancellare il pensiero logico-formale, ma accanto al suo essere immagine, narrazione, deve collaborare con la scuola a promuovere sforzo, impegno, concentrazione. Di fatti la TV sta cancellando il carattere critico della mente umana. -CAPITOLO 15. EPISTEMOLOGIA PEDAGOGICA ATTUALE- Dopo la crisi d'identità che ha coinvolto la pedagogia negli anni '60, c'è stato il tentativo di investigare lo statuto logico della pedagogia individuando 4 modelli: 1. Modello Analitico; 2. Modello strutturalistico-critico; 3. Modello dialettico; 4. Modello ermeneutico. • Il Modello Analitico ha interpretato il discorso della pedagogia come organizzato intorno al principio della logica scientifica, al criterio della spiegazione che riconduce gli eventi a leggi e della verificazione. I pedagogisti statunitensi che hanno applicato alla pedagogia il principio dell’analisi formale logico-scientifica, il principio del neoempirismo logico, l’analisi linguistica che studia il linguaggio della pedagogia nei suoi aspetti informali; • Nel Modello strutturalistico-critico, vengono messi in luce gli aspetti scientifici delle pedagogie e dei loro discorsi, ma anche le scelte storico-ideologiche che le sostengono e le orientano, rendendole operativamente produttive; • Nel Modello dialettico vanno ricordati i principi di Marx, Lenin, Gramsci, posizioni che riconducono la pedagogia al terreno della ideologia in quanto sapere operativo condizionato da valori che sono visioni del mondo e di gruppi sociali. Pertanto la pedagogia va interpretata alla luce della prassi politica; • Il Modello ermeneutico interpreta il sapere della pedagogia come radicato nel tempo storico, nelle sue tradizioni, nelle sue abitudini pratiche e cognitive. Con questi 4 modelli, ai quali va aggiunto anche il Modello metafisico, che fissa strutture e valori della pedagogia in modo universale e invariante, ricollegando la formazione umana a un modello unico di uomo, siamo davanti alle posizioni più attive nella ricerca epistemologica intorno alla pedagogia, alla quale viene delegato il restauro dell’identità del sapere pedagogico e il controllo sull’applicazione e sull’organizzazione. Attraverso queste ricerche si è delineata una nuova immagine della pedagogia caratterizzata per il fatto di essere un sapere complesso che deve essere interpretato sulla base di diversi paradigmi teorici. 35 -CAPITOLO 16. NUOVE EMERGENZE EDUCATIVE- A partire dagli anni ’80 fino ad oggi la pedagogia è stata attraversata da nuove esigenze, da nuove formule educative, da nuovi orientamenti politico-culturali; ma in particolate ci sono stati tre movimenti che hanno influito sulla nuova pedagogia: il fenomeno del Femminismo; il Problema Ecologico e il Problema Multiculturale. Va aggiunto come problema sociale-pedagogico anche quello della Terza Età, il quale è esploso in questi anni. Tutte queste emergenze hanno trasformato i connotati sociali della pedagogia. I movimenti femminili, iniziati nel’800, tesi al riscatto sociale e all’affermazione politica delle donne, reclamando il voto, l’istruzione, la tutela per il lavoro, per la maternità, hanno posto al centro della coscienza educativa e della riflessione pedagogica il Problema del genere. Le donne si sono opposte alla formazione sessista connessa al solo modello maschile, visto come superiore e universale. Se al principio le donne hanno rivendicato solo la pari opportunità e la loro emancipazione sociale, in seguito invece, a partire dagli anni '80, le donne hanno rivendicato una cultura specifica al femminile e il carattere di differenza educativa del genere maschile e femminile; nasce così una pedagogia della differenza, la quale ha avuto molto successo e si occupa dei valori, principi, della prassi e degli ideali dell’universo femminile. La sessualità femminile è sempre stata pensata in base a parametri maschili, in realtà il sesso femminile è plurale. LUCE IRIGARAY: è stata forse l’interprete più innovativa del messaggio femminile, sviluppandolo non tanto sul piano dell’uguaglianza quanto su quello della differenza: differenza sessuale che comporta differenza emotiva, cognitiva, valoriale. Se da un lato Irigaray ha studiato l’universo femminile sottolineando la sua differenza dal sesso maschile, dall’altro lato, ha sviluppato un’idea di formazione al femminile che muoveva dalla separazione dei sessi e anche da una loro contrapposizione; idea che ha avuto echi anche nella scuola italiana. Anche l’ecologia ha inciso sulla pedagogia, difatti è stato studiato il rapporto uomo e ambiente e i caratteri psicologici che lo realizzano e lo favoriscono: la comprensione, il rispetto, lo scambio non violento. La pedagogia vede l’ambiente non come un semplice habitat da percorrere e usare ma come luogo da rispettare e preservare. Sebbene una più intima collaborazione fra ecologia e pedagogia non si è ancora realizzata, però l’ecologia diviene un vero e proprio neoparadigma educativo e pedagogico, si occupa del rapporto uomo-ambiente; uomo-natura; uomo-società e al tempo stesso del rapporto uomo-uomo. La Multiculturalità è connessa alla crescita di etnie presenti nei paesi sviluppati. Difatti continue sono le emigrazioni, le fusioni con altri popoli, e ciò comporta nuovi problemi educativi, quali l’intercultura. La pedagogia deve attrezzarsi a comprendere le culture altre, deve elaborare vie di comunicazione e criteri di scambio tra queste culture, deve allenare al dialogo e alla tolleranza. Si tratta quindi di porre in questione l'etnocentrismo della nostra pedagogia e smascherarne i caratteri occultamente razzisti e di intolleranza, e favorire principi antirazzisti. 36 La pedagogia pertanto si occupa del Modello Multiculturale che si interessa della convivenza pacifica tra le culture, garantendo a ciascuno la propria autonomia ed esigendo da tutti il rispetto di regole comuni, come accade nel melting pot statunitense e si occupa anche del Modello Interculturale: che prospetta un incontro attivo fra le culture con anche una loro ibridazione per dar luogo a una cultura nuova: metissage. Infine c’è il problema della Terza Età, dovuto all’incremento demografico. La terza età è analizzata da un punto di vista educativo e pedagogico. Si tratta di riqualificare la vecchiaia e di darle un senso assai diverso da quello che aveva nelle società tradizionali e industriali (di marginalità, di riposo-dopo il lavoro, di collaborazione con le generazioni più giovani nei problemi familiari). La pedagogia vuole affermare la terza età come età vitale, attiva, e ricollocarla a pieno titolo nella vita sociale. Questo implica la predisposizione di percorsi educativi: di apprendimento (tipo Università libere), di ricreazione (di gioco, di spettacolo, di viaggio), di scambio sociale, ma implica anche uno studio sociologico, psicologico e pedagogico approfondito, in modo da affrontare i problemi con un quadro di conoscenze specifiche. EPILOGO VERSO IL XXI SECOLO 1. LE MOLTE PEDAGOGIE E L’ESPROPRIAZIONE DEL PEDAGOGICO La pedagogia oggi tende a dialogare con altri saperi e sebbene resta ancora vincolata alla filosofia però non assegna a quest’ultima alcun ruolo né esclusivo e né fondante, ma la considera un dispositivo centrale del fare-pedagogia e del fare-educazione. Ma siamo anche davanti a una pedagogia immersa nei problemi del tempo storico, che porta avanti una prospettiva di lettura e di soluzione. 2. FUNZIONALISMO “VERSUS” PEDAGOGIA CRITICA Nella condizione attuale la pedagogia è contrassegnata dalla compresenza di due modelli di opposizione, asimmetrici: le pedagogie Funzionaliste e le pedagogie critiche. Le Pedagogie Funzionaliste, mettono in luce la funzione sociale dell’educazione, guardano alle trasformazioni tecnologiche, al ruolo di servizio, alla società del mercato, al lavoro, e richiedono cittadini partecipi e responsabili, integrati nel mondo socio-economico culturale in cui dovranno essere produttivi e responsabili. Dall’altra parte si collocano le Pedagogie Critiche, modelli di pensiero pedagogico e di azione educativa che mirano alla formazione di soggetti come individui-persone, dotati di intelligenza critica e di partecipazione sociale, educativa, e capace di porre istanze nuove, di dissentire, di dar voce a bisogni insoddisfatti. Le pedagogie critiche si riallacciano alla tradizione filosofico-critica e alle varie scienze umane, e alle posizioni della Scuola di Francoforte,i maggiori autori sono Adorno (che dà importanza all’ individuo come soggetto-persona e alla sua formazione culturale critica, filosofica ed estetica); Horkeimer, che col suo richiamo al pensiero dialettico e alla ragione sostanziale si oppone a quella strumentale; e infine Marcuse che si rifà al pensiero critico-dialettico negativo. 37