Scarica Le vie Sociali dell'Immaginario e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia solo su Docsity! Le vie sociali dell’immaginario: per una sociologia del profondo - Pier Luca Marzo; Luca Mori Pier Luca Marzo: La natura immaginaria del sociale: un percorso morfologico Il pensiero dell’autore si delinea a partire dall’analisi del dibattito tra Noam Chomsky e Michel Foucault, andato in onda nel 1971 per la televisiva olandese. Tema centrale del dibattito era la concezione di natura umana, in particolare Chomsky definiva l’umanità come un oggetto biologico caratterizzato da un nucleo di valori ancestrali come la giustizia, l’amore, la libertà e la solidarietà. All’opposto Foucault considerava la natura umana semplicemente come un oggetto linguistico, un artefatto culturale derivante da discorsi scientifici Questa distinzione è un aspetto saliente della storia del pensiero occidentale che ha condotto alla concezione di natura come oggetto, a partire dalla filosofia greca, in cui viene elaborata la distinzione tra fisica (dimensione dei mutamenti dei fenomeni naturali) e metafisica (dimensione delle verità universali del logos) tale dicotomia alimentando differenti correnti di pensiero: nella scolastica e nella teologia cristiana si traduce nella distinzione tra Natura Naturans e Natura Naturata, tra anima e corpo; e ancora nel pensiero di Cartesio alimenta la distinzione tra Res Cogitans e Res Extensa. Tale dicotomia alimenta il processo di razionalizzazione che culminerà nell’opera di Linneo del 1735 Sistema Naturae in cui individua una classificazione della natura dividendola in macro-regni (minerali, piante e animali) suddivisi tra specie e genere. Marzo si rifà poi al pensiero di Goethe, il quale scardina la concezione di natura come oggetto, questa diviene piuttosto il principio vitale che sottende e sostiene il reale -> URFORM Nietzsche ritiene che l’uomo sia un animale non ancora stabilizzato, questa concezione di uomo come essere biologicamente mancante fa parte di un paradigma difettivo in cui possiamo collocare anche l’opera di Gehlen per il quale l’uomo è morfologicamente mancante rispetto ad altre specie, è infatti privo di una sfera sensoriale particolarmente estesa e privo di armi di difesa, per questo motivo l’immaginazione è un elemento fondamentale per l’uomo, attraverso l’immaginazione l’uomo si dota di protesi tecnologiche per poter sopperire alle proprie mancanze biologiche. L’immaginazione è quindi l’organo sociale elementare che sottende a ogni esperienza individuale dando forma alle situazioni, ai sistemi linguistici e al mondo strumentale fatto di tecnologie e artefatti, essa permette di creare un ambiente spazio-temporale adatto all’uomo. Questa sfera ambientale, avvolgendo la vita individuale e la vita collettiva, ha la capacità di rendere invisibile il suo carattere di artefatto e di rendere visibile quel mondo in comune che chiamiamo realtà. L’immaginario è caratterizzato così da una forma formante, che fa da principio formativo alla costruzione della realtà degli ambienti umani. La categoria di Urform, cioè di principio vitale che sottende il reale, viene ripresa da altri autori: - per Simmel ogni grande epoca di civiltà è caratterizzata da un concetto centrale dominante che definisce “re nascosto”. Nella sua opera Conflitto della civiltà moderna (1912) individua il re nascosto dell’epoca moderna nel denaro. Per Simmel, infatti, il denaro e il processo monetario sono l’urform della complessità del mondo moderno, che trova la sua quintessenza nella metropoli, all’interno dell’ambiente metropolitano il denaro trova il suo palcoscenico ideale. - Spengler nell’opera Il tramonto dell’Occidente: lineamenti di una morfologia della storia mondiale afferma chl a storia tolemaica non è altro che una manifestazione della volontà dell’Occidente di estendere la sua visione del mondo all’intera umanità. Secondo l’autore l’occidente è solo uno dei tanti centri della storia, in cui l’immaginazione umana ha assunto una forma collettiva. Per Spengler l’immagine fondativa di una determinata civiltà non esiste di per sé ma corrisponde a quel nucleo immaginativo che opera in ogni ambito empirico della civiltà. Per questo motivo individua l’urform nelle manifestazioni estetiche, nelle istituzioni, e nei frammenti materiali, ovvero in quei tratti fisiognomici in cui si rivela empiricamente l’anima della civiltà. Ciascuno di questi elementi è infatti l’esito della materializzazione della natura fantasmatica delle immagini delle civiltà. - Junger che individua l’urform nella figura dell’operaio che diviene la forma ideale attraverso cui la tecnica veicola nel mondo contemporaneo la potenza elementare della natura. L’autore non si riferisce quindi semplicemente all’operaio inteso come individuo che lavora nella fabbrica ma come un tipo umano che include differenti tipologie di individui che servendosi di strumenti tecnologici partecipano al culto della tecnica. L’urform dell’epoca moderna corrisponde a quel processo di operativizzazione che coinvolge l’intera realtà e di cui l’individuo è parte integrante. Fabio d’Andreae Valentina Grassi: La potenza dell’immagine Il saggio è diviso in due parti, la prima scritta da Fabio d’Andrea e la seconda scritta da Valentina Grassi, ed incomincia analizzando due definizioni che vengono utilizzate per descrivere la società contemporanea: civiltà dell’immagine ed era dell’informazione. La prima dicitura corrisponde un approccio più fenomenologico, attento alla proliferazione di immagini grazie alle nuove tecnologie al processo che comporta la graduale sostituzione della parola con schemi comunicativi differenti; il secondo si collega al background informatico e al valore centrale dell’informazione. Per molto tempo le immagini non hanno goduto di buona stampa in occidente, dallo slogan immaginazione al potere dei movimenti studenteschi del 68 si è passati al potere esercitato attraverso le immagini. Sin da Platone si tenta di estromettere le immagini dal quadro della comprensione e della conoscenza, fondata invece sui principi di non contraddizione e di causalità, mediante ai quali si perviene alla formazione di quella che possiamo definire realtà oggettiva, con la quale s’intende quella dimensione che è possibile interrogare attraverso apposite procedure e protocolli e che è portatrice di un senso autonomo indipendente dall’agire umano. Secondo l’autore questo tentativo di delimitare i significati trova un grande ostacolo nel linguaggio, le parole infatti non si piegano alla relazione biunivoca con un solo significato ed è per questo motivo che si è tentato di eliminare ogni forma di ambiguità utilizzando solo simboli rigorosi e puri, utilizzando cioè la matematica. In relazione alla seconda definizione: era dell’informazione, l’autore fa riferimento a James Gleik, il quale tentando di individuare il significato sfuggente del termine individua un procedimento chiave che caratterizza la produzione del sapere del mondo moderno che è stato inaugurato da Newton, il quale si appropriò di parole antiche dando loro nuovi significati trasformandole in vere e proprie formule matematiche. es:il termine moto che fino a quel momento è una parola duttile e di ampio significato La produzione del sapere risponde da secoli all’imperativo di purificare la materia del mondo da quanto non è riducibile alla matematica e ai suoi trattamenti. Kuhn nella sua opera la struttura delle rivoluzioni scientifiche inaugura il concetto di paradigma, come quella visione del mondo condivisa da una comunità scientifica che influenza i problemi che essa decide di affrontare, in quanto li considera in quel momento solubili. Questa concezione rischia quindi di eliminare dalla realtà abitata da quel gruppo tutti gli aspetti che non sono compatibili col paradigma stesso. Secondo Galimberti le immagini si perdono dal momento in cui Socrate introduce il concetto che viene indicato come l’unità del molteplice, come un segno che sta per molti, come quint’essenza generica che permette di prescindere le connotazioni riportate dalle immagini e riferirmi a un’unità concettuale, per esempio a tutti i cavalli della terra nello stesso momento. Le reintroduzioni e il riconoscimento ontologico dello statuto dell’immaginario si deve a una serie di grandi autori del XX secolo: -Max Webber e nel corso del Novecento introduce una nuova idea di cultura, essa è una sezione finita dell’infinità priva di senso, alla quale l’uomo attribuisce senso e significato. Il presupposto trascendentale di ogni scienza della cultura è comprendere la natura culturale degli esseri, dotati della capacità e della volontà di assumere consapevolmente posizioni nei confronti del mondo e di attribuirgli senso. Il gesto culturale diviene quindi un gesto plurale e creativo, poiché ogni gruppo di uomini lo affronta in autonomia al fine di ritagliarsi uno spazio abitabile, comprensibile, dove poter sopravvivere e prosperare. Si tratta di un gesto primordiale profondamente connesso all’immaginazione creatrice, che ne è probabilmente la prima operatrice. Il pensiero scientifico quindi che mira a pensare alla natura e alla realtà sulla base di nerri coerenti è un pensiero manchevole, poiché tralascia l’apporto delle sfere non razionali dell’agire e del conoscere, delle quali fanno parte l’immaginazione e il pensiero simbolico. Per questo motivo è tempo di riconoscere il ruolo di queste componenti nel processo di conoscenza e creazione del reale -> metodo delle scienze sociali -> Edgar Morin scrive La Méthode, un’opera articolata in sei tomi usciti in Francia tra il 1977 e il 2004, nella quale si serve di un approccio multidisciplinare per porre le basi del paradigma della complessità. In questa opera egli approda a un realismo relazionale, relativo e multiplo: per cui il nostro mondo fenomenale è reale, ma relativamente reale, e noi dobbiamo relativizzare la nostra stessa nozione di realtà, ammettendomi un’irrealtà interna. Questo realismo riconosce i limiti del conoscibile e sa che il mistero del reale non è in alcun modo accessibile dalla conoscenza. Nella storia della filosofia della scienza, la questione del metodo ha costituito uno dei nodi fondamentali, partendo da Platone e Aristotele fino a Cartesio (il discorso sul metodo). Maria Giovanna Musso: Immaginario, tecnologia e mutamento sociale Ancora oggi, almeno per il senso comune, il termine immaginario ha uno statuto difettivo, in quanto sinonimo di irrealtà o fantasticheria. Tale concezione è un retaggio della Modernità e della sua fede nella razionalità, nei fatti e nel visibile. Tuttavia, era noto già a Hume che ci sono cose che esistono, anche se non sono in alcun luogo e tutti i grandi pensatori della Modernità – da Montesquieu a Vico, da Hume a Voltaire – hanno tenuto conto del fatto che miti, idee e metafore orientano l’azione umana e guidano il cambiamento sociale, incarnandosi in artefatti che modificano il corso della civiltà. Il denaro, come emerge nell’opera di Simmel e la merce, individuata da Marx come il tratto peculiare del capitalismo, sono intessuti di un immaginario potente e generativo che, con i suoi costrutti fattuali, ha modificato il corso della civiltà occidentale, così come l’idea di Dio e quella di Stato avevano scandito l’evoluzione delle società storiche precedenti. La partita del mutamento sociale si gioca, ancor prima che sul piano della realtà attualizzata, nell’universo dei possibili, in quel regno dell’eccedenza che è la dimensione immaginaria, in cui si abbozzano i primi schizzi del reale prima che il disegno del futuro assuma una forma definibile e venga realizzato. La nozione di progresso e l’attualizzazione delle sue possibilità sono l’esempio più significativo del ruolo dell’immaginario nel mutamento sociale. Come ha evidenziato Max Weber anche se non sono le idee a edificare le strutture sociali, le concezioni del mondo create dalle idee hanno spesso determinato, come chi aziona uno scambio ferroviario, i binari lungo i quali si muove anche la dinamica degli interessi. Le concezioni del mondo attingono alla sfera più profonda della realtà sociale, alle strutture di senso, ai simboli e agli archetipi che popolano l’immaginario. A ben vedere, ogni artefatto sociale (e non solo i cosiddetti prodotti culturali ma anche i costrutti politici e i fatti economici) prima di divenire fatti sociali sono creazioni sociali, innesti di desideri, aspirazioni, pensieri e simboli incubati e prodotti nella sfera immaginaria, che una volta condivisi in forme riconoscibili e concretizzati in specifici artefatti, essi vengono legittimati, istituzionalizzati e naturalizzati fino a diventare la realtà. Se prima di diventare reali i fatti sociali sono immaginari – anche se non tutti i prodotti dell’immaginario diventano reali e non tutti quelli che diventano reali sono anche fatti sociali – è possibile dire che l’immaginario è matrice della realtà sociale. Per creare il mondo sociale e i presupposti della sopravvivenza (di entrambi, individuo e società) la costruzione sociale deve acquisire un carattere oggettivo, astratto, sovra-individuale, e la sua origine deve essere celata e misconosciuta affinché l’autorità morale della società possa agire con efficacia. Secondo Berger e Lukman a convergenza fra gli aspetti oggettivi della realtà sociale (il mondo della vita quotidiana, dato per scontato) e quelli soggettivi (la percezione e i significati attribuiti dagli attori sociali alle loro azioni) è possibile grazie alla condivisione di un universo simbolico che costituisce “la matrice di tutti i significati socialmente oggettivati e soggettivamente reali; l’intera società storica e l’intera biografia dell’individuo sono viste come avvenimenti che si svolgono all’interno di questo universo”. Nella prospettiva degli studi a cui si è fatto cenno, emerge la consapevolezza che l’essere umano, prima ancora che un animale politico o un homo technologicus, è un animale simbolico, cioè immaginario. E non potrebbe politico o tecnico, se non disponesse di una facoltà peculiare, unica, che lo distingue da tutti gli altri animali, cioè la capacità di astrazione e immaginazione che, attraverso i simboli e il linguaggio – o meglio i linguaggi, inclusa l’arte – diventa strumento di rappresentazione e creazione dell’esistente. Il linguaggio umano, proprio perché si nutre di immaginario, è in grado di allontanarsi dal dato concreto di realtà. Senza l’alterità e l’altrove, senza le proiezioni del desiderio e del sogno insiti nell’immaginario, gli umani non sarebbero in grado di creare ciò che non esiste, comprese le forme sociali, le tecnologie e le istituzioni che storicamente si succedono. La realtà dell’immaginario non solo accompagna, come sua eccedenza, la realtà fattuale, ma è fondativa della capacità umana di stare al mondo, poiché per gli esseri umani stare al mondo è creare mondo, anche solo con un comportamento, un gesto o una parola. Negli ultimi decenni l’immaginario ha assunto un ruolo centrale a casa della trasformazione messa in atto, in primo luogo, i mass-media e l’industria culturale. Oggi sono le nuove tecnologie, in particolare quelle digitali e i loro derivati, a trasformare radicalmente il ruolo dell’immaginario nei processi di mutamento sociale. La convergenza di queste tecnologie ha dato un impulso decisivo a quella trasformazione che sta spingendo la società verso un orizzonte post-umano alimentato da un immaginario in cui la tecnologia, associata all’economia e alla finanza, conduce la scena. Per Appadurai, il mondo contemporaneo è caratterizzato da un nuovo ruolo assegnato nella vita sociale all’immaginazione, essa costituisce una pratica sociale che modella concretamente le vite personali contribuendo all’invenzione del destino sociale di ciascuno. Fonte di questo significativo cambiamento sono i mass-media, marcatori semiotici estremamente potenti, a cui la globalizzazione ha dato una cassa di risonanza. Altri autori hanno messo in luce come ogni riferimento identitario abbia una componente immaginaria: la patria, la comunità, il ceto o la classe di appartenenza non sono che proiezioni immaginarie di quegli elementi di realtà che assumono significato e senso nella condivisione simbolica e culturale. La sfera immaginaria, inoltre, fornisce il materiale primario per la costruzione del legame sociale, almeno di quella parte che più profondamente si esprime come vincolo d’appartenenza e tiene insieme la trama invisibile delle relazioni sociali. Non vi sono legami sociali duraturi se non si condivide una cultura nei suoi strati di senso più profondi, nei suoi sogni, nei suoi miti e nei suoi simboli. La condivisione di tali contenuti è ciò che consente l’accettazione e la pratica dei vincoli sociali. Il legame che s’istituisce, inconsapevolmente, sul piano dell’immaginario è ben più profondo e radicale di quello che si esprime nel contratto sociale o nei vincoli scelti deliberatamente. Il crollo del muro di Berlino, la dissoluzione di interi stati, come la Jugoslavia o l’Unione Sovietica, sono l’esempio paradigmatico di quanto labile possa risultare un contratto sociale – sia pure garantito dal diritto – a fronte della forza coesiva, da un lato, degli immaginari etnico-religiosi e, dall’altro, del potere dirompente dei nuovi miti. In questo caso del mito contenuto nel sogno (occidentale) di conciliare benessere, libertà e democrazia attraverso il mercato. La scoperta del valore simbolico e immaginario della merce, messa in luca da Benjamin nei suoi studi sulle esposizioni universali ha rivoluzionato il marketing, la pubblicità e la comunicazione. Oggi le merci e i luoghi di consumo vengono progettati alla luce dell’immaginario del consumatore che vogliono sedurre -> economia dell’immaginario. L’immaginario affettivo e relazionale, passato nel frullatore dei reality show, del dating online e dei Social Network, riduce la complessità delle relazioni umane a immagini da catalogo e performance di breve durata. Amore, amicizia, famiglia e comunità lasciano a poco a poco spazio alle loro riduzioni commerciali e edonistiche: sesso e pornografia in particolare. La piazza televisiva animata dal circo delle emozioni e le brand communities, animate dagli influencer, sono gli spazi in cui circola l’immaginario liofilizzato delle relazioni umane dopo la sua manipolazione social-tecnica. In questo contesto banalizzazione, oggettivazione e deumanizzazione sono esiti collegabili alla riproducibilità tecnica e al consumo d’immagini, si pensi alle immagini delle donne, del loro corpo, della loro bellezza e alla loro riduzione a oggetti di consumo, accanto ad un impoverimento dell’immaginazione: non c’è più molto da immaginare se ogni fantasia è già realizzata ed esposta nel grande supermercato delle immagini. Ogni tecnologia modella le nostre abitudini di pensiero, la nostra esperienza e il nostro rapporto col mondo. Primo tra tutti Benjamin ha posto attenzione non solo sul ruolo del medium ma anche sull’apparat (dispositivo tecnico) e sugli apparatur (insieme degli apparat) che costituiscono il nuovo ambiente in cui l’esperienza prende forma e acquisisce senso -> scuola di toronto Uno degli esiti di tali ricerche mette in luce come i diversi brainframe (cornici o quadri mentali) creati da ogni medium tecnologico riescano a editare le nostre menti e il nostro ambiente, modellando diversamente il rapporto con la realtà, orientando il modo di osservare e reagire ad essa Jean Baudrillard ha insistito sul ruolo dei mass-media, della simulazione e dei simulacri, mettendo in luce come, in questo scenario, il sogno e la realtà diventino inscindibili. Secondo Baudrillard, i media e le nuove tecnologie costruiscono mondi in cui entrambi gli universi di senso, la realtà e l’illusione, vengono amalgamati, sopprimendo così non solo la realtà ma l’illusione stessa e, insieme ad essa, il sogno e la fantasia Con la realtà virtuale e le tecnologie immersive ciò che accade è che si cerca di entrare fisicamente nei prodotti dell’immaginazione, cioè si tenta di rendere palpabile, sensibile, il mondo racchiuso al di là dello schermo, di trasferire ciò che prima era vedibile o udibile attraverso l’immaginazione o la fantasia, in qualcosa di reale. Gli algoritmi, la robotica e l’Intelligenza Artificiale, oltre a estendere il pensiero e l’azione al di là del corpo fisico, tendono a produrre realtà con connotazioni pseudo-organiche, che perdono cioè i connotati dell’artificialità per assumere quelli della naturalità. Tutto ciò mette in crisi il modello di distinzione tra realtà e fantasia, mettendoci di fronte ad un’inversione del complesso di Don Chisciotte: laddove Don Chisciotte scambiava la fantasia per realtà, noi siamo nelle condizioni di scambiare la realtà per fantasia. Fenomeni di cyberbullismo, violenza online ed haters possono essere letti anche alla luce di tale inversione In questa riconfigurazione del rapporto fra reale e immaginario cambia anche la funzione dei reality-maker, mentre l’immaginario che rientra nel dominio dell’arte, è terreno di ampliamento dell’universo dei possibili, ha come finalità il piacere, l’immaginario che rientra nel dominio della tecnica ha per fine il potere. L’immaginario oggi si è trasformato nel regno della tecnologia, la quale costituisce un sistema che agisce con una sua peculiare logica, in grado di orientare e trasformare tutte le sfere dell’agire umano. Essa produce una forma peculiare d’immaginario, che trasformando sia gli aspetti fisici che quelli immaginari dell’uomo e che da un lato persegue il superamento dei limiti fisici del vivente e dall’altro interviene sull’immaginazione producendo un potenziamento del sentire e del creare. Le due strategie per perseguire tale scopo sono: l’innovazione, finalizzata al potenzialmente delle facoltà e alla produzione di corpi ibridi o cyborg, e la sostituzione, con la creazione di esseri totalmente artificiali. Benjamin -> innervazione: tendenza della tecnologia ad andare verso l’incorporazione del medium Nell’ambito dell’immaginario il ruolo della tecnologia non si limita alla sua trasmissione, al contrario essa interviene sui meccanismi di produzione neurologica, sociale e tecnica dell’immaginario. -> es: tecnologie del sogno La differenza fra l’immaginario tecnico (moderno e premoderno) e quello tecnologico attuale non è solo relativa alle funzioni, alle forme e alle finalità, ma riguarda il grado di artificialità, diffusione e possibilità di manipolazione ritenute possibili, legittime e auspicabili. L’immaginario technology based è inoltre caratterizzato da un processo di omogenizzazione globale. In tal senso la sociologia deve porre un’interrogazione critica della realtà. Stefano Cristante: Immaginario e comunicazione Nonostante oggi si tenda a considerare gli studi sulla comunicazione come una materia consolidata, essa inizia ad essere studiata solo a partire dalla metà del XX secolo, in relazione al fenomeno della comunicazione di massa. Ciononostante, la comunicazione può essere considerata come un sapere connaturato alla specie Homo Sapiens, lo sviluppo del linguaggio del verbale ha infatti influenzato l’intera evoluzione della nostra specie. Secondo lo storico Yuval Noah Harari gli esseri umani si sono affermati sugli altri animali per la loro capacità di collaborare tra loro in grandi numeri e con massima flessibilità, grazie all’immaginazione, alla capaictà di costruire storie in grado di risultare credibili per molti, e sulla base delle quali organizzare le strutture sociali, habitat metaforici. I paleontologi collocano il momento in cui i nostri antenati cominciarono a costruire storie inorno al 70 mila a.c -> rivoluzione cognitiva Steve Mithen -> sistema Hmmmm: un sistema in cui le loro espressioni vocali e gestuali fossero ancora di natura olistica, nel senso che erano concepite come messaggi completi anziché alla stregua di parole da combinare, e che venissero utilizzate allo scopo di condizionare il comportamento degli altri individui piuttosto che per comunicare loro informazioni sul mondo esterno. Oltre che con la voce, pur usata in modi molti diversi da quelli del Sapiens, gli altri esseri umani prestorici si esprimevano con il corpo e i suoi movimenti, da quelli facciali (strabuzzamento di occhi e altre espressioni visive), a quelli gestuali (uso delle mani per gesticolazioni e per contatti fisici a distanza ravvicinata), a quelli ritmici (gambe e piedi, ondeggiamenti del corpo, danze). Il carattere olistico di questo tipo di comunicazione può essere fatto risalire all’uso intensivo dei sensi e all’efficacia della produzione di segni e segnali attraverso il corpo, spesso in chiave mimetico-imitativa. Seguendo Harari, le specie Homo rappresentarono i primi esseri viventi a esprimersi in modo complesso ed elastico, utilizzando più sistemi e modalità; tra le specie Homo, il Sapiens dimostrò una maggior propensione a collaborare in grandi numeri con grande efficacia, adattandosi a condizioni anche fortemente differenziate. A questi scopi si prestò dunque l’intensificazione della comunicazione verbale, che costituì il supporto di suoni via via più organizzati in parole e discorsi, fornendo così una potente piattaforma per l’immaginazione. Da questa scaturirono storie e credenze che incominciarono ad organizzare culturalmente il mondo, a partire dalla creazione di entità superiori per spiegare fenomeni non altrimenti comprensibili e per elaborare la presenza della morte nell’aggregazione sociale. È infatti proprio l’area del sacro ad addensare le maggiori prerogative di narrazione legate a “realtà immaginate” e a sviluppare rituali appositi per presidiare collettivamente ciò che non era oggettivamente visibile, e che tuttavia si insediava prepotentemente nell’organizzazione sociale. A questi millenari processi si affiancò il poderoso fenomeno delle migrazioni dell’Homo sapiens, che dall’Africa lo porteranno in Asia e in Europa, secondo le esigenze di un’attività incentrata sulla caccia e sulla raccolta di vegetali commestibili, nonché sull’invenzione di nuove pratiche di navigazione per sfidare i mari e Nel saggio Le paradigme perdu, Edgar Morin individua nell’invenzione dei rituali della sepoltura – dunque nell’invenzione culturale della morte e dei suoi dispositivi sociali – il punto di innesco dell’immaginario: ovvero quando l’uomo, per sopravvivere alle cruente competizioni del mondo naturale, comincia a pensare alle cose che non esistono, intraprendendo la strada senza ritorno del pensiero astratto. La tomba diviene quindi una soglia linguistica, una narrazione atta a mettere ordine nel mondo dell’esperienza. Un altro autore che si concentra sul ruolo dell’immaginario è Alberto Abbruzzese che fin dagli anni ’70 individua nell’immaginario una dimensione politica strettamente intrecciata alle strategie dei media. Tale approccio viene sancito, in particolare, ne Il crepuscolo dei barbari, riflessione in cui Abruzzese sposta il focus dalla sociologia convenzionalmente intesa a ciò che egli identifica con la mediologia, ovvero una concezione di territorio in cui lo spazio tradizionale viene sostituito dall’habitat generato dai mezzi di comunicazione. Il progressivo diffondersi di innovazioni tecnologiche mette a disposizione dell’uomo-massa un’imprevedibile quantità di dispositivi che mutano i rapporti tra soggetto e mondo. Gli esperimento di Nicéphore Niepce sulle sostanze fotosensibili, gli ha permesso di realizzare la Vista dalla finestra considerata la prima fotografia della storia, realizzando l’aspirazione umana di replicare e controllare la vita attraverso tecniche sempre più sofisticate di rappresentazione. Il cinematografo dei Lumière rende possibile – in accordo con quanto in precedenza si sosteneva riguardo la riproduzione delle immagini – replicare la vita nella sua connotazione più propria: il movimento. Il 28 dicembre del 1895, in una saletta del Gran Cafè in Boulevard des Capucines, a Parigi, ebbe luogo la prima proiezione pubblica del cinématographe, l’invenzione che avrebbe mutato i processi della comunicazione e dell’immaginario su un piano globale. Come sostiene Morin, il passaggio dal “cinematografo” al “cinema”, avvenuto negli anni ’10 del secolo XX, costituisce lo snodo essenziale per cogliere la sostanza dell’immaginario novecentesco, fondato su una qualità immersiva della comunicazione che rende sfumato il confine tra la realtà e la sua rappresentazione. In altri termini, mentre la scrittura si incardina sul discernimento dell’atto del vedere, i media audiovisivi – e il cinema in primo luogo – coinvolgono il corpo nella sfera percettiva della sensazione. La trasformazione del cinematografo in cinema non consentì solo la sopravvivenza e, nel tempo, l’evoluzione di una tecnologia, ma generò il linguaggio audiovisivo intorno cui s’è incardinato l’intero sistema dei media almeno per la prima metà del secolo breve: un linguaggio talmente efficace da contenere al proprio interno processi produttivi industriali e creatività individuale, tradizione e innovazione, e – come dato strutturante – perfino la scrittura che per alcuni sembrava negare, poiché nel dispositivo basico e ordinativo della sceneggiatura è proprio la scrittura a dominare e forse chiudere, in via definitiva, l’esperienza moderna dell’immaginario. 1895 anno in cui si sviluppano diversi medium tra loro collegati: il fumetto, la data di riferimento è quella del 7 luglio 1895, giorno in cui sulle pagine del quotidiano New York World apparve la prima tavola della serie dedicata al personaggio di Yellow Kid, a opera del disegnatore Richard F. Outcault. mezzo di comunicazione basato sulla sinergia funzionale tra codice iconico e codice verbale, dunque sulla produttività del conflitto tra immagine e scrittura, che entra a regime nell’orizzonte dell’industria culturale, legandosi dapprima alla grande stampa quotidiana e poi rendendosene autonomo con la messa a punto di supporti quali il comics-book, le riviste specializzate o l’album da libreria. Il 1895 è infatti anche l’anno in cui sperimentatori come Nikola Tesla e Guglielmo Marconi portarono a compimento la fase preliminare ma decisiva della ricerca sulla trasmissione a distanza delle onde hertziane, fondamento tecnico della radiofonia, ovvero della trasmissione dei suoni senza l’ausilio di infrastrutture materiali. La storia della radio come mass media inizia dagli anni ’20 del Novecento e sarà destinata a congiungersi all’egemonia della cinematografia. Il 6 ottobre 1927, con la trionfale distribuzione nelle sale americane di The Jazz Singer, diretto da Alan Crosland e prodotto dai fratelli Warner, il cinema muta radicalmente – non per la prima e certo non per l’ultima volta – il proprio statuto mediatico, acquisendo la dimensione del suono e della parola. Dopo la Seconda guerra mondiale sarà la guerra a ricoprire un ruolo centrale nello scenario dello sviluppo tecnologico. La televisione nasce e si sviluppa grazie all’effervescenza globale che investe la società occidentale nel quadro della sua ricostruzione dopo la catastrofe di senso della guerra, che aveva prodotto un “mondo nuovo” sospeso tra utopia e distopia: da Auschwitz e Hiroshima alla conquista dello spazio, la seconda metà del Novecento ebbe il prioritario problema di elaborare il lutto morale dei totalitarismi e la difficile ecologia di un habitat tecnologico che non può più essere pacificato nell’ideologia del progresso. Ultimo tra i mass media e primo dei personal media è la rete di computer ARPA, un settore del Dipartimento della Difesa statunitense dedicato alle tecnologie emergenti. Gettando le basi per l’immaginario cyberpunk degli anni ‘80, che individuò attraverso scrittori quali William Gibson e Bruce Sterling le frontiere postmoderne dell’immaginazione collettiva, con quella semplice parola stava nascendo Internet e un modello di società in cui i viaggi immateriali del web segnalavano il crepuscolo del mondo industriale fondato sulla fabbrica e le masse metropolitane. A partire da quel momento si comincia a parlare – parafrasando e aggiornando McLuhan – di Galassia Internet come segno di un passaggio d’epoca che investe le stesse strutture portanti della modernità e di intelligenza collettiva per rimarcare l’impatto sulla matrice dell’idea di individuo delle nuove tecnologie della comunicazione.