Scarica LEGISLAZIONE SCOLASTICA PER TFA SOSTEGNO E CONCORSO STRAORDINARIO TER e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! TFA SOSTEGNO PARTE 1: LEGISLAZIONE SCOLASTICA CAP 1: Principi costituzionali e riforme della scuola La Costituzione dedica alcuni articoli all’istruzione → essa è considerata come un fine di cui ogni stato si deve occupare per dare maggior benessere alla collettività e per migliorare le condizioni di vita dei cittadini. La scuola è considerata il ponte di passaggio tra la famiglia (primo nucleo sociale e formativo della persona) e la società (cioè il luogo in cui ci si relaziona con altri individui e si esplica la propria personalità). Gli articoli più importanti che riguardano il mondo scolastico sono → art. 9,33 e 34 della costituzione. Art.9 comma 1 → “La repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”. Questo articolo definisce lo Stato italiano come Stato di cultura perché ha il compito di promozione culturale dei suoi cittadini, cioè lo Stato deve dare le condizioni e i presupposti per lo sviluppo libero della cultura e dell’istruzione (cioè i parametri più importanti di crescita dell’individuo). Art.33 → “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. La legge, nel stabilire i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare a queste ultime piena libertà e ai i loro alunni un trattamento scolastico uguale (equipollente) a quello degli alunni delle scuole statali. È previsto un esame di stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale. Le istituzioni di alta cultura (università ed accademie) hanno il diritto di darsi degli ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato. Art. 34 → “La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno 8 anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci meritevoli, anche se senza mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altri previdenze, che devono essere attribuite per concorso”. Gli articoli 9, 33 e 34 disciplinano l’istruzione scolastica secondo alcuni principi: • Libertà di insegnamento (art 33 comma 1) • Disponibilità di scuole statali per tutti i tipi, ordini e gradi di istruzione (art.33 comma 2) • Libero accesso all’istruzione scolastica, senza nessuna discriminazione (art. 34 comma 1) • Obbligatorietà e gratuità dell’istruzione (art. 34 comma 2) • Riconoscimento del diritto allo studio anche alle persone che non hanno mezzi, purché siano capaci e meritevoli, attraverso borse di studio, assegni che si devono attribuire per concorso (art. 34 comma 3) • Ammissione, attraverso esami, ai vari gradi dell’istruzione scolastica e dell’abilitazione professionale (art. 33 comma 5) • Libera istituzione di scuole da parte di enti o privati (art. 33 comma 3) • Parificazione delle scuole private a quelle statali, riguardo gli effetti legali e il riconoscimento professionale del titolo di studio (art. 33 comma 4). I compiti sopra detti, non sono eseguiti solo dallo Stato, ma anche da altri soggetti, ad esempio: Regioni, Città Metropolitane, Province, Comuni ecc… Libertà di insegnamento Comma 1 dell’art. 33 → stabilisce che l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento → qui “arte” e “scienza” si devono intendere in un’accezione più ampia. Secondo il senso comune, la libertà di insegnamento dei docenti riguarda: - libertà di manifestare il proprio pensiero con ogni mezzo possibile - libertà di professare qualsiasi tesi o teoria che si ritenga degna di accettare - libertà di svolgere il proprio insegnamento secondo il metodo che sembra opportuno adottare Quindi il docente ha la libertà di esercitare le proprie funzioni didattiche e di ricerca scientifica senza vincoli politici, religiosi o ideologici. Però la libertà di insegnamento trova dei contemperamenti quando si tratta delle scuole private di tendenza, cioè in quelle particolari organizzazione scolastiche o universitarie che hanno come fine il raggiungimento di specifici scopi e hanno precise fedi religiose. La libertà dell’insegnamento si esplica soprattutto per quanto riguarda l’aspetto del metodo e dei contenuti, nella cosiddetta autonomia didattica. Art. 1 del Testo unico istruzione (dlgs 297/1994) stabilisce che ai docenti è garantita la libertà di insegnamento intesa come autonomia didattica e come libera espressione culturale del docente e che l’esercizio di tale libertà vuole promuovere (attraverso un confronto aperto di posizioni culturali) la piena formazione della personalità degli alunni. L’insegnamento può avvenire in qualsiasi luogo, anche isolatamente, sia ai giovani che agli adulti (inoltre non per forza questi devono essere in rapporto subordinato con il docente. La libertà di insegnamento però ha dei limiti → non sono tutelate le manifestazioni di tesi o teoria che non hanno garanzia costituzionale; inoltre nell’insegnamento no si possono esprimere convinzioni personali opinabili ma si possono esporre argomenti attuati con metodo scientifico. Inoltre l’insegnamento, in qualsiasi ambito venga esercitato, deve sempre avere come limite il rispetto del buon costume, dell’ordine pubblico e della pubblica incolumità. Comportamenti contrari al buon costume → comprendono gli atti che in un certo momento storico suscitano scandalo o allarme sociale, violando il senso del pudore comune o la coscienza collettiva. Il rispetto dell’ordine pubblico → cioè il divieto di portare in aula elementi che turbano a livello sociale e di propaganda sovversiva per le istituzioni dello Stato. Limite della pubblica incolumità → cioè le attività pratiche tecniche o di laboratorio, che se vengono svolte senza cautele, possono essere pericolose per l’integrità fisica e la salute degli alunni. Altri limiti sono: - il rispetto delle norme costituzionali e degli ordinamenti della scuola - il rispetto della coscienza morale e civile degli alunni Libertà della scuola: scuole non statali, paritarie e confessionali La libertà di insegnamento si qualifica come libertà della scuola. Il comma 2 art. 33 Cost → la Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per ordini e gradi → quindi lo Stato deve predisporre dei mezzi di istruzione e la creare delle norme generali in materia → però l’istruzione non è monopolio dello Stato → infatti anche “enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”. Ci sono due tipi di scuole (statali e non statali) e ciò è considerata garanzia di buon funzionamento per entrambe → non bisogna dimenticare che la libertà per enti e privati di creare istituti di insegnamento è tutela nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (art.14). Lo Stato può anche intervenire per finanziare scuole o istituti in difficoltà, cioè le scuole private in posti in cui non esistono scuole statali. La possibilità di parificare ed equiparare gli studi compiuti in istituti privati a quelli compiuti presso scuole statali è legata a delle valutazioni tecniche → La parità con le scuole statali viene accordata alle scuola che ne facciano richiesta in base alla legge dello Stato che ne fissa diritti e obblighi. - il riordino di istituti professionali, istituti tecnici e licei • La riforma della Buona Scuola → legge 107/2015 → contiene disposizioni che vanno ad incidere su asp0etti cruciali della scuola come ad esempio l'autonomia scolastica, i poteri dei dirigenti scolastici, il PTOF, l’organico dell’autonomia. Prevedeva 9 deleghe al governo in alcune materie che chiedevano un urgente rinnovamento. Questa riforma apporta grandi modifiche al sistema scolastico: - la programmazione triennale dell’offerta formativa con il nuovo PTOF che comporta anche modifiche di tipo organizzativo della scuola (es apertura pomeridiana) - il rafforzamento del collegamento tra scuola e mondo del lavoro → è prevista una durata minima dei percorsi di alternanza scuola lavoro negli ultimi 3 anni della scuola secondaria di secondo grado (con un minimo di ore) e la possibilità di fare convinzioni con ordini professionali; l’alternanza scuola lavoro (ridefinita PCTO) può essere svolta anche nei periodi di sospensione delle attività didattiche e con la modalità impresa simulata - adozione del nuovo Piano nazionale scuola digitale - l’organico dell’autonomia → è costituito dai posti comuni, per il sostegno e per il potenziamento dell’offerta formativa. Viene assegnato alle scuole sulla base del fabbisogno che risulta dal PTOF - è stato previsto un piano straordinario di assunzioni di docenti → i destinatari di ciò sono stati gli idonei del concorso pubblico fatto nel 2012 e gli iscritti nelle graduatorie ad esaurimento - istituzione del Portale unico dei dati aperti della scuola riguardo ai bilanci delle scuole, al sistema nazionale di valutazione, all’anagrafe dell’edilizia scolastica, anagrafe degli studenti, ai Piani dell’offerta formativa e ai dati dell’osservatorio tecnologico. Maggio 2017 → sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale gli 8 decreti che attuavano la Buona scuola, dei quali l’unico rimasto senza attuazione delegava il governo ad approvare il Testo unico per le leggi sulla scuola che hanno per oggetto: - dlgs 59/2017 → reclutamento dei docenti di scuola secondaria - dlgs 60/2017 → promozione della cultura umanistica - dlgs 61/2017 → revisione dell’istruzione professionale - dlgs 62/2017 → valutazione e certificazione delle competenze del primo ciclo ed esami di stato - dlgs 63/2017 → diritto allo studio - dlgs 64/2017 → scuola italiana all’estero - dlgs 65/2017 → sistema integrato zero-sei anni - dlgs 66/2017 → inclusione scolastica agli studenti con disabilità L’autonomia scolastica nella Buona scuola Le innovazioni della riforma Buona scuola hanno più significato per quanto riguarda la piena attuazione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche sul fondamento costituito dall’art 21 della legge 59/1997 per realizzare alcuni obiettivi: - innalzamento delle competenze degli studenti - prevenzione e recupero dell'abbandono e della dispersione scolastica - garanzia del diritto allo studio per tutti gli studenti - educazione permanente per tutti i cittadini Per attuare il processo di realizzazione dell’autonomia e di riorganizzazione del sistema di istruzione, il comma 5 art 1 della legge 107/2015 prevede nelle scuole l’istituzione dell’organico dell’autonomia. Piano triennale dell’offerta formativa (PTOF) → le istituzioni scolastiche predispongono questo piano (legge 107/2015) che prende il posto del vecchio Piano dell’offerta formativo. Questo documento deve riflettere il progetto educativo. Il Piano contiene la progettazione curricolare e anche la progettazione delle attività formative rivolte al personale docente ed amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA). Il Piano può essere previsto annualmente. Il PTOF oltre ad esplicitare la progettazione curricolare, extracurricolare educativa ed organizzativa (come il precedente POF) indica: - fabbisogno di posti comuni e di sostegno dell’organico dell’autonomia - fabbisogno dei posti per il potenziamento dell’offerta formativa - fabbisogno di posti del personale ATA - fabbisogno di infrastrutture e di attrezzature materiali e piani di miglioramento dell’istituzione scolastica Il PTOF è elaborato dal Collegio docenti, sulla base degli indirizzi e delle scelte di gestione e amministrazione definiti dal Dirigente scolastico, che tiene conto delle proposte fatte dalle associazione dei genitori e degli studenti (per le scuole superiori). Infine viene approvato dal Consiglio di circolo o di istituto ed è pubblicato sul sito della scuola. Nello scegliere gli obiettivi da raggiungere, il Dirigente scolastico deve considerare dei fattori: - i risultati del RAV (Rapporto di auto valutazione) che ogni scuola predispone, in modo da individuare le aree in cui intervenire per migliorare il servizio offerto dalla scuola - le esigenze provenienti dal territorio e dall’utenza come una priorità - le risorse dell’organico dell’autonomia - individuazione della mission coerente sul territorio Il curriculum dello studente Si introduce nel comma 28 della Buona scuola → le scuole secondarie di 2 grado nel PTOF introducono insegnamenti opzionali nel secondo biennio e nell’ultimo anno; questi insegnamenti sono parte del percorso dello studente e sono inseriti nel curriculum dello studente che ne individua il profilo associandolo ad un identità digitale e raccoglie tutti i dati utili anche per l’accesso al mondo del lavoro. Nell’esame di stato finale, svolgendo i colloqui, la commissione d’esame terrà conto anche del curriculum dello studente. Alternanza scuola lavoro L’alternanza scuola lavoro diventa obbligatoria con la legge sulla Buona Scuola; il suo incremento è uno degli obiettivi principali per individuare il fabbisogno di posti nell’organico dell’autonomia e fa parte del curriculum dello studente. Tra i soggetti presso i quali è possibile effettuare i percorsi vengono inseriti gli ordini professionali, musei e altri istituti pubblici e privati che operano nel settore del patrimonio e delle attività culturali, artistiche e musicali; i percorsi si possono svolgere anche attraverso l’impresa formativa simulata. È stata emanata anche la Carta dei diritti e dei doveri delle studentesse e degli studenti in alternanza → lo studente ha la possibilità di esprimere una valutazione sull’efficacia e sulla coerenza dei percorsi con il proprio indirizzo di studio. È il Dirigente scolastico ad avere il compito di individuare le imprese con cui fare convenzioni per l’alternanza scuola lavoro dal Registro nazionale e di fare al termine di ogni anno una scheda di valutazione delle strutture. Il nuovo Comitato di valutazione dei docenti La valutazione dei docenti è stata soggetta ad una grande revisione e innovazione da parte del legislatore della Buona Scuola che ne modifica la composizione allargando i soggetti valutatori (per premiare con merito le persone). Comma 127 su Buona Scuola → prevede che il dirigente scolastico può attribuire un bonus a titolo di retribuzione accessoria per valorizzare il merito dei docenti di ruolo delle scuole di ogni ordine e grado, da attingere dal fondo, sulla base dei criteri individuati dal Comitato per la valutazione dei docenti. Il Comitato valuta i docenti sulla base di questi criteri: - qualità dell’insegnamento e del miglioramento apportato alla scuola (anche in base al successo degli studenti) - risultati ottenuti dai docenti in relazione al potenziamento delle competenze degli alunni e dell’innovazione didattica - responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo Il Comitato esprime anche il suo parere sul periodo di formazione e di prova per il personale docente ed educativo, il cui superamento è molto importante. Dopo il ruolo, il docente fa un anno di formazione e di prova per la conferma del ruolo. In caso di esito negativo, il docente lo può ripetere per una sola altra volta. CAP 2: L’AUTONOMIA SCOLASTICA L’autonomia delle istituzioni scolastiche l’attuazione dell’autonomia finanziaria, organizzativa e didattica delle istituzioni scolastica era (nella dichiarazione d’intenti fatta dall’art 21 della Legge Bassanini 59/1997) il percorso che il legislatore doveva fare per realizzare una riforma della scuola in termini di modernità ed efficienza. Con questa riforma si sceglieva un sistema organizzativo non piramidale ma orizzontale, in cui la scuola da passiva diventava un centro di erogazione di servizi, un soggetto in grado di progettare, programmare percorsi didattici, elaborare nuovi metodi ecc… Articolo 21 → principi di autonomia organizzativa e didattica di: - organizzare l’offerta dei servizi didattici diversi (da fare anche in orari diversi) - introdurre nuove tecnologie - fare dei corsi extracurricolari con il fine di unire la formazione scolastica dello studente con il mondo del lavoro, ma anche attribuire un’istruzione agi adulti. Per attuare l’art.21 delle Leggi Bassanini, fu emanato il D.P.R 275/1999 → “l’autonomia scolastica è garanzia di libertà di insegnamento e pluralismo culturale” → con il riconoscimento dell’autonomia didattica delle istituzioni scolastiche vengono meno i Programmi nazionali, sostituiti da Indirizzi o Indicazioni nazionali e orientamenti per i vari gradi di scuola ma sostituiti anche dal curricolo didattico (elaborato dalle scuole all’interno del PTOF). Il processo di autonomia delle istituzioni scolastiche che è iniziato con la legge 59/1997, è proseguito con l’approvazione della legge Costituzionale 3/2001 che ha modificato molti articoli del Titolo V della Costituzione (distribuzione di competenze tra gli organi di amministrazione dello Stato, le istituzioni scolastiche) → le scuole quindi, riducendosi il rapporto unidirezionale con il Ministero, possono e devono far ricorso alle realtà vicine e agli enti territoriali, soggetti di competenze sull’istruzione nuove e di qualità diversa dalle precedenti. Dunque si ha un sistema formativo nazionale rinnovato, in cui i principali attori sono: Stato, Regioni, i Comuni e le Province e le istituzioni scolastiche autonome. → l’art.117 sancisce l’autonomia delle istituzioni scolastiche. Sempre riguardo il dpr 275/1999, ogni scuola e le loro reti possono prendere decisioni autonome in materia didattica, organizzativa e di sperimentazione, ricerca e sviluppo (nel rispetto delle norme nazionali e regionali). Alle università e alle istituzioni di alta cultura, la Costituzione gli da un grado di autonomia maggiore perché gli da il diritto di darsi ordinamenti autonomi. Il DPR 275/1999 riconosce alle scuole varie autonomie: 1. Autonomia didattica (art.4 dpr 275/1999) → in base all’art.4, le istituzioni scolastiche adattano gli obiettivi nazionali ai percorsi funzionali che vogliono realizzare il diritto di apprendere e la crescita educativa degli alunni, riconoscono e valorizzano le diversità e promuovono le potenzialità degli studenti adottando tutte le iniziative utili → questo avviene soprattutto con la stesura del PTOF. Con l’autonomia didattica tutte le scuole regolano i tempi dell’insegnamento e dello svolgimento delle discipline e delle attività e anche i metodi da usare. C’è attenzione al diritto ad apprendere di tutti gli alunni, tutela delle potenzialità di ognuno, obiettivo che ogni studente abbia successo. L’autonomia didattica si esprime nella possibilità di: rimodulare il monte ore annuale di ogni disciplina, programmare percorsi formativi specifici, organizzare iniziative di recupero, sostegno ma anche di orientamento scolastico, ampliare l’offerta formativa (art 9 dello stesso dpr) aggiungendo anche progetti nuovi e attività formative, definire unità di insegnamento che non coincidono con l’ora di 60 minuti, attivare percorsi didattici individualizzati per alunni stranieri, svantaggiati, disabili. Legge 107/2015 → ha istituito l’organico di autonomia per l’intera istituzione scolastica e per gli indirizzi di secondo grado → è costituito dai posti comuni, dai posti per il sostegno e dai posti per il potenziamento dell’offerta formativa → i docenti dell’organico di autonomia sono individuati dal Dirigente che fissano il fabbisogno di posti in relazione all’offerta formativa che vogliono creare e del monte orario degli insegnamenti; i docenti dell’organico realizzano il PTOF con attività di Il Sistema integrato di educazione e istruzione è costituito da: - Servizi educativi per l’infanzia - Scuole dell’infanzia (statali e paritarie) I servizi educativi per l’infanzia sono articolati in: • Nidi e micro-nidi → bambini da 3 a 46 mesi e concorrono alla cura, educazione e socializzazione promuovendo il benessere e lo sviluppo dell’identità. Sono strutture pubbliche o private e hanno l’obiettivo dello sviluppo psico fisico, promuovendo l’uguaglianza delle opportunità. Le finalità sono favorire la creazione dell’identità, la conquista dell’autonomia ed educare alla socialità. Il nido si pone come ponte tra la famiglia e le istituzioni, tra privato e pubblico. Il micro nido si differenzia dal nido per la capacità ricettiva (zone in cui il numero di utenti è inferiore a quello previsto dalla legge. Possono costituirsi in scuole dell’infanzia o in strutture decentrate in un asilo nido preesistente. • Sezioni primavera → la L.296/2006 e il successivo dpr 89/2009 che confermò l’inziiativa delle sezioni primavera stabilendo gli accordi con la conferenza unificata Stato regioni autonomie locali per definire le modalità per la realizzazione di progetti per le sezioni primavera. Le sezioni primavera si rivolgono ai bambini tra i 24 e i 36 mesi e sono servizi integrativi nell’offerta di asili nido e scuole dell’infanzia. Le iniziative si ispirano a standard di funzionamento definiti dalle leggi regionali (10 massimo 20 alunni per sezione e dalle 5 alle 8 ore giornaliere e rapporto insegnanti bambini non superiore a 1/10). Il Comune regola l’offerta socio educativa. Il finanziamento per queste strutture viene diviso tra: MIUR (dispone specifiche risorse finanziarie), Regione (contributi finanziari propri) e Comuni (risorse strumentali e umane). Le sezioni primavera sono aggregate di norma agli asili nido o inserti nei Poli per l’Infanzia (previsti dal dlgs 65/2017). I Poli prevedono un unico plesso o di edifici vicini, di più strutture di educazione e istruzione → l’intento è riunire in unico contesto la formazione prescolare in modo che i bambini possano iniziare il ciclo di educazione in unico luogo → sono laboratori permanenti di ricerca, innovazione, partecipazione e apertura al territorio in cui è prevista la condivisione di spazi e risorse professionali. La loro costituzione è affidata alle Regioni con l’intesa degli Uffici Scolastici regionali e tenuto conto delle proposte degli enti locali; non hanno autonomia scolastica e possono essere costituiti presso gli istituti comprensivi o direzioni didattiche. • Servizi integrativi → si distinguono in: Spazi gioco, per bambini da 12 a 36 mesi affidati ad uno o più educatori, in un ambiente organizzato con finalità educative, di cura e socializzazione. Non prevedono la mensa (max 5h giornaliere). Centri per bambini e famiglie, accolgono i bambini dai primi mesi di vita; offrono esperienze di socializzazione, apprendimento, gioco e momenti di comunicazione e incontri per adulti. Non prevedono la mensa e la frequenza è flessibile. Servizi educativi in contesto domiciliare per bambini da 3 a 36 mesi e che concorrono con la famiglia alla loro educazione e cura. I servizi domiciliari sono articolati in 4 tipologie: 1) educatore domiciliare presso istituzioni scolastiche e religiose no profit; educatore familiare presso una famiglia che mette a disposizione l’ambiente; la mamma accogliente che abbia bambini da 0 a 3 anni e che si offre di accoglierne altri con modalità e orari concordati (dura un triennio); in nido in famiglia che ospita in un contesto familiare massimo 4 bambini. I servizi integrativi sono gestiti dagli enti locali in forma diretta, da altri enti pubblici o privati mentre le sezioni primavera possono essere gestite anche dallo Stato. Il personale degli asili nido si divide in: personale educatore, che ha le competenze relative alla cura e all’educazione dei bambini con le famiglie; promuovendo una crescita armoniosa della personalità attraverso esperienze formative.; il personale addetto ai servizi generali invece ha le funzioni relative alla pulizia e all’ordine dei locali e dei materiali. Un’altra figura è il coordinatore pedagogico che assolve ai compiti di programmazione educativa e di sperimentazione dei servizi e dei progetti. Non possono mancare pediatri e psicologi (per visionare l’equipe docenti e non) e per fare delle valutazioni sullo sviluppo psicologico dei bambini. CAP.3: GLI ORDINAMENTI DIDATTICI Il sistema di istruzione nazionale è stato interessato da tante riforme negli ultimi anni. Le norme che sono attualmente in vigore riguardano: - il riordino della scuola dell’infanzia e del primo ciclo (DPR 89/2009; Dlgs 65/2017) - il coordinamento delle norme per la valutazione degli alunni (Dlgs 62/2017) - il riordino delle scuole del secondo ciclo (DPR 89/2010; Dlgs 61/2017) La scuola dell’infanzia L’ordinamento della scuola di infanzia (prima delle riforma Moratti chiamate scuole materne) e del primo ciclo è stato disciplinato dal DPR 89/2009 → con questo decreto si sono introdotte le misure di riorganizzazione e qualificazione, con il fine di assicurare un migliore apprendimento ma anche crescita educativa e assolvimento dell’obbligo di istruzione. - Dura 3 anni e la frequenza non è obbligatoria - sezioni devono avere minimo 18 bambini e non si deve superare i 26 → le classi che hanno un disabile non devono avere più di 20 alunni (in caso di disabilità grave). - Orario: 40 ore settimanali (max 50 ore); le famiglie possono chiedere il tempo-scuola ridotto, quindi scuola solo al mattino (25 ore settimanali) → questi orari comprendono l’insegnamento di religione. Scuola primaria Il primo ciclo di istruzione si articola in 2 percorsi scolastici: 1) scuola primaria → 5 anni 2) scuola secondaria di 1 grado → 3 anni La scuola primaria (regolata dal DPR/2009) dura 5 anni: il primo anno è una continuazione della scuola dell’infanzia e poi ci sono i due bienni. La frequenza è obbligatoria. Le classi hanno un numero di alunni non inferiore a 15 e non superiore a 26 (max 27) → le pluriclassi (fatte da bambini di diversa età) quando non si raggiunge il numero minimo di 15, possono avere un minimo di 8 e non più di 18 alunni. Nelle scuole e sezioni staccate (in caso di comunità montane, isole ecc) ci possono essere classi per ogni anno di corso con un minimo di 10 alunni. Se ci sono alunni disabili, le classi non possono avere più di 20 alunni → limite confermato dal dlgs 66/2017 (Buona Scuola). Si iscrivono alla primaria i bambini che compiono 6 anni entro il 31/12 dell’anno scolastico di riferimento; si possono iscrivere anche i bambini che compiono 6 anni entro il 30 aprile (cosiddetto anticipo di iscrizione); non si possono iscrivere i bambini che compiono 6 anni dopo il 30 aprile (anche se ci sono posti). I genitori che chiedono l’iscrizione anticipata per la prima possono avvalersi delle indicazioni dati dai docenti dell’infanzia. Le scuole che accolgono i bambini anticipatati devono rivolgergli particolare attenzione e cura, soprattutto nella fase di accoglienza, per un buon inserimento. Orario scolastico → è articolato su 4 modelli di 24,27 e fino a 30 ore, e 40 ore (cioè tempo pieno) → con la legge di bilancio 2019 il tempo pieno viene incrementato a 2000 posti (Legge 145/2018). Iltempo pieno prevede 2 insegnanti titolari sulla stessa classe e uno specifico progetto formativo integrato (senza distinzione tra le attività del mattino e del pomeriggio). Il tempo scuola ordinario della primaria invece è svolto secondo il modello dell’insegnate unico di riferimento, attivabile su richiesta dalle famiglie → in realtà l’insegnate, anche quando viene scelto il modello dell’insegnate unico, unico non è mai → la legge 169 del 2008 voleva restaurare il maestro unico in italia (per essere conforme al sistema adottato in Europa) ma di fatto l’insegnante non è mai unico ma prevalente (perché è affiancato anche da altri insegnanti come quello di sostegno, di lingua inglese oppure di religione). Le indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, aggiornate nel 2018 con il documento “Nuovi scenari”, stabiliscono i criteri e le linee per il conseguimento delle finalità formative per la scuola del primo ciclo. Ci sono alcune discipline di studio obbligatorie come italiano, educazione civica, inglese, storia, geografia, arte, tecnologia, matematica, scienze. È stato introdotto anche l’insegnamento di educazione motoria nella scuola primaria dalle classi quarte e quinte, da parte di docenti che hanno titolo idoneo (L.234/2021) per non più di 2 ore settimanali. Inoltre è previsto l’insegnamento della religione cattolica per 2 ore settimanali. Nel 2019 è entrata in vigore la L.92/2019 che introduce l’insegnamento scolastico dell’educazione civica, le cui Linee guida sono state emanate con il DM 35/2020 → la materia si svolge nel primo e nel secondo ciclo di istruzione per almeno 33 ore (ore obbligatorie) → è sottoposta a valutazione e verifiche e prevede la figura di un docente coordinatore. L.92/2019 → ha esteso alla scuola primaria il Patto educativo di corresponsabilità. Il passaggio alla scuola secondaria di primo grado, alla fine della quinta classe, non prevede più che gli alunni sostengano un esame. Scuola secondaria di primo grado Fa parte del primo ciclo di istruzione e lo va a concludere. Essa non è più scuola terminale → ha il compito di assicurare ad ogni allievo il consolidamento delle padronanze strumentali (lettura, scrittura, matematica, lingue) e della capacità di apprendere e assicura un adeguato livello di competenze e conoscenze. Essa è obbligatoria per tutti gli alunni italiani e stranieri. Le classi hanno un numero minimo di 18 alunni e massimo 27 (max 28). Se si forma una sola classe prima, allora gli alunni possono essere anche 30. Le classi in cui vi è disabilità possono essere composte da max 20 alunni (disabilità gravi). L’orario annuale obbligatorio delle lezioni nelle scuole medie è di 990 ore, cioè 29 ore settimanali + 33 ore annuali per attività di approfondimento per gli insegnamento di materie letterarie. Nel tempo prolungato (poco usato) si parla di 36 ore settimanali (max 40), che comprendono anche il tempo per la mensa. Quadro orario pag.27. La religione è facoltativa e vanno incluse anche le 33 ore da dedicare all’educazione civica. Le scuole secondarie di primo grado possono attivare anche percorsi ad indirizzo musicale per gruppi di studenti e usare docenti dell’organico di autonomia per l’insegnamento → questi percorsi sono stati oggetto di una nuova regolamentazione → DM 176/2022. In tutte le classi vi è l’insegnamento della lingua inglese per 3 ore settimanali e di una seconda lingua per 2 ore settimanali. Se lo richiedono le famiglie, può essere introdotto l’insegnamento potenziato dell’inglese per 5 ore a settimana. Con Buona Scuola il potenziamento dello studio della lingua inglese è stato confermato anche ricorrendo al CLIL. Dlgs 60/2017 di attuazione della Buona scuola in materia di promozione e diffusione della cultura umanistica, le discipline artistiche e creativa entra a far parte dell’offerta formativa di tutte le scuole → questo decreto dispone che tutte le scuole del 1 ciclo dello stesso ambito territoriale che hanno adottato curricoli verticali in almeno 3 temi della creatività possono costituirsi in Poli a orientamento artistico (DM 16/2022). Il secondo ciclo d’istruzione La scuola secondaria di secondo grado costituisce, soprattutto nell’impianto della legge 53/2003 (riforma Moratti), il secondo ciclo di istruzione e ha la finalità di preparare l’alunno agli studi universitari e anche una giusta preparazione per il mondo del lavoro. Legge 40/2007 → ha modificato la normativa lasciando però la pari dignità tra i diversi percorsi (licei, istituti tecnici e istituti professionali) e i sistemi di istruzione e formazione professionale. 1 settembre 2010 → è entrata in vigore la riforma complessiva del secondo ciclo d’istruzione e formazione grazie ai regolamenti della riforma Gelmini. La scuola secondaria superiore ha: - 6 licei - istituti tecnici divisi in 2 settori con 11 indirizzi - istituti professionali divisi in 11 indirizzi (dlgs 61/2017). Anche il sistema di istruzione e formazione professionale ha un ordinamento nazionale che prevede qualifiche triennali e diplomi quadriennali. Gli istituti professionali → D.lgs 61/2017. Gli istituti sono stati protagonisti nel giro di pochi anni di due grandi riforme: 1. DPR 87/2010 → (destinato ad essere abrogato) ha definito gli istituti professionali (I.P) come percorsi quinquennali del secondo ciclo del sistema di istruzione. Questi istituti operano in 2 settori e comprendono 6 indirizzi (prima 27) → esigenza di razionalizzazione e si evita il rischio di sovrapposizione con l’istruzione tecnica e con il sistema regionale dell’istruzione e della formazione professionale. 2. D.lgs 61/2017 → si ha l’intenzione di rinnovare l’identità degli istituti professionali attraverso un nuovo PECUP; di fare una revisione dei piani di studio, che vengono improntati alla personalizzazione del percorso di apprendimento attraverso il Progetto formativo individuale (PFI). Questo dlgs si è applicato con le classi dell’anno scolastico 2018/2019. Quindi una volta finito il primo ciclo di istruzione, gli studenti che vogliono continuare un istruzione di taglio professionale scelgono tra: - percorsi di istruzione professionale (IP) → 5 anni, diploma, realizzati da scuole statali e paritarie - percorsi di istruzione e formazione professionale (IeFP) → si conseguono qualifiche e diplomi professionali di 4 anni, fatti da istituzioni delle regioni e delle province autonome. Raccordo tra istruzione professionale e IeFP è stato fatto attraverso una Rete Nazionale delle scuole professionali → DM 2018 → di questa rete fanno parte istituzioni scolastiche statali o paritarie e le istituzioni formative accreditate. In base alle previsioni del PNRR, DL 144/2022 (decreto aiuti tier) si avvia una riforma degli istituti tecnici e professionali → obiettivi: - rafforzamento delle competenze linguistiche, storiche, matematiche e scientifiche con laboratori e innovazione - valorizzare la metodologia didattica per competenze, con progettazione interdisciplinare e le Unità di apprendimento Soprattutto per l’istruzione professionale, il profilo educativo, culturale e professionale si basa su uno stretto legame tra scuole e mondo del lavoro e delle professioni e si ispira ai modelli dell’Ue (obiettivi di innovazione, sostenibilità ambientale, promozione dell’innovazione digitale, Industria 4.0. Viene istituito l’Osservatorio nazionale per l’istruzione tecnica e professionale che vogliono migliorare il paese. Per quanto riguarda il piano organizzativo: - un biennio di 2112 ore, di cui 1188 ore con insegnamenti di istruzione generale e 924 ore di attività che caratterizzano l’indirizzo (compresi i laboratori) → tra queste ore, 264 ore sono destinate al PFI (progetto formativo individuale) fatto dal consiglio di classe. - un triennio → molti laboratori e lavoro. Ogni anno ha 1056 ore, tra insegnamenti di istruzione generale e specifici. Il dlgs 61/2017 prevede 11 indirizzi a partire dalle prime classi dell’anno 2018/19. La riforma del 2017 ha promosso una forte personalizzazione dei percorsi attraverso un’organizzazione più flessibile e un’ampia autonomia didattica e gestionale. Questa personalizzazione dei percorsi di apprendimento si concretizza nel Progetto formativo individuale (PFI) elaborato dal Consiglio di classe entro il 31 gennaio del primo anno. Il PFI deve essere aggiornato durante il percorso scolastico e si basa su un bilancio di saperi e competenze acquisiti in modo formale e informale. Dal punto di vista didattico → attività e insegnamenti del biennio sono aggregati in assi culturali, che uniscono tra loro insegnamenti omogenei e indispensabili perché fanno acquisire competenze chiave che rientrano nell’obbligo di cittadinanza. La quota di autonomia da usare nell’ambito dell’organico di autonomia è pari al 20% sia nel biennio che nel triennio → questa quota serve a potenziare gli insegnamenti obbligatori e gli spazi di flessibilità (cioè la possibilità di articolare gli indirizzi del triennio in profili formativi. Per attuare l’autonomia ci sono degli strumenti come 1) fare contratti con esperti del lavoro 2)partenariati per migliorare l’offerta formativa 3) sviluppare attività e progetti di orientamento scolastico e inserimento nel mondo del lavoro, con apprendistato di 1 livello. Il decreto attuativo della Buona Scuola (dpr 87/2010) disciplina i passaggi tra i percorsi dell’istruzione professionale e i percorsi dell’istruzione e formazione professionale (IeFP) → questa possibilità di passaggio serve agli studenti a seguire un percorso personalizzato che risponde di più alle proprie potenzialità. I passaggi degli studenti da un percorso ad un altro sono attivati su domanda dallo studente e non avvengono in modo automatica, ma si tiene conto dei risultati di apprendimento → inoltre i passaggi da un percorso ad un altro non sono irreversibili. Il Ministro ha emanato le linee guida per favorire e sostenere l’assetto didattivo e organizzativo dei percorsi di istruzione professionale 2019 –> queste linee guida sanciscono nuovi profili in uscita, definiscono l’assetto organizzativo e didattico. I percorsi degli istituti professionali si concludono con un esame di Stato → viene rilasciato poi in diploma di istruzione professionale. È necessario per accedere all’università. I diplomati degli istituti professionali hanno altre opportunità: - si possono iscrivere a percorsi brevi di 800/1000 ore per avere una specializzazione tecnica superiore (IFTS) - iscrizione a percorsi biennali per avere un diploma tecnico superiore (ITS). Gli istituti tecnici → il dpr 88/2010 stabilisce che essi siano di durata quinquennale; essi hanno una solida base culturale a carattere scientifico e tecnologico, costruita attraverso lo studio, l’approfondimento e l’applicazione di linguaggi e metodologie specifiche e generali. Ci sono ampi indirizzi collegati a settori fondamentali per lo sviluppo economico e produttivo del paese per far acquisire agli studenti saperi e competenze necessarie per un veloce inserimento nel mondo del lavoro e per l’accesso all’università. Gli istituti tecnici collaborano con strutture accreditate dalle regioni secondo le linee guida del Ministero. Gli istituti si dividono in 2 settori che comprendono 11 indirizzi: 1. Settore economico 2. Settore tecnologico (vedi pag 39) Il secondo biennio e il quinto anno sono un complessivo triennio in cui, oltre all’istruzione generale, i contenuti scientifici, giuridici, economici e tecnici delle aree di indirizzo sono approfonditi e assumono connotazioni specifiche. Ogni percorso è strutturato in modo tale da fornire un collegamento col mondo del lavoro e delle professioni → uso diffuso del laboratorio e vi è un rapporto stretto con il mondo del lavoro e delle professioni attraverso il volontariato. I percorsi degli istituti tecnici si concludono con un esame di Stato e alla fine viene rilasciato il diploma di istruzione tecnica. Riforma 2022 dei percorsi dell’istruzione tecnica in base agli obiettivi stabiliti dal PNRR, per adeguare i curricoli degli istituti tecnici alle esigenze in termini di competenze del settore produttivo nazionale (in ottica di sostenibilità ambientale) → con il DM 144/2022 (cioè decreto aiuti tier) inizia la revisione dell’assetto ordinamentale dei percorsi tecnici per rilanciare il paese → quindi inizia l’avvicinamento degli istituti tecnici all’impostazione degli istituti professionali, che sono oggetto di più riforme. Si punta al: 1) rafforzamento delle competenze linguistiche, storiche, matematiche e scientifiche 2) connessione al tessuto socioeconomico del territorio, favorendo l’innovazione 3) valorizzazione della metodologia didattica 4) aggiornamento del Pecup dello studente e incremento degli spazi di flessibilità. Altro punto importante → incremento della continuità degli apprendimenti nell’ambito dell’offerta formativa dei percorsi di istruzione tecnica con percorsi dell’istruzione terziaria nei settori tecnologici. Sono previsti poi i Patti educativi 4.0 → patti per l’integrazione e la condivisione delle risorse, l’erogazione diretta da parte dei centri provinciali di istruzione per gli adulti di percorsi di istruzione tecnica; supporto allo sviluppo di processi di internazionalizzazione degli istituti per realizzare lo Spazio europeo dell’istruzione in coerenza con gli obiettivi dell’Unione Europea. Fine primo biennio → si ha una certificazione che attesta le conoscenze dello studente → corrisponde al secondo livello del quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente. Alla fine del secondo biennio → gli studenti hanno una certificazione che attesta le competenze in uscita e corrisponde al terzo livello del Quadro europeo delle qualifiche. Gli ITS Academy (L.99/2022) → per dare importanti competenze per settori strategici per lo sviluppo del paese e di favorire l’occupazione in coerenza con l’offerta di lavoro dei vari territori, con questa legge (legge di Istituzione del Sistema terziario di istruzione tecnologica superiore) è stato fatto un riordino del sistema dell’istruzione tecnica superiore. Gli Istituti tecnici superiori diventano Istituti tecnologici superiori → quindi ITS Academy → si punta alla formazione professionalizzante di tecnici superiori che vadano a soddisfare le esigenze nelle aree della transizione digitale, anche per espandere i servizi digitali nell’ambito della sanità, dell’identità, della giustizia, dell’innovazione e della cultura ma anche della transizione ecologica e mobilità sostenibile. Ai percorsi fatti dagli ITS Academy si può accedere con diploma di istruzione secondaria superiore o con il diploma quadriennale di ist e formaz professionale insieme al certificato di specializzazione in seguito ai corsi dei IFTS, secondo la L.144/1999 della durata di almeno 800 ore. Forma giuridica → resta quella della fondazione di partecipazione ma diversamente da come era prima, l’istituto secondario di secondo grado fondatore non è più l’ente di riferimento dell’ITS Academy. Percorsi per orientamento e competenze trasversali (ex alternanza scuola lavoro) La riforma Moratti agli studenti della secondaria ha dato la possibilità di fare i corsi in alternanza/scuola lavoro quindi in collaborazione con le imprese per far si che i giovani avessero non solo competenze di base ma anche competenze da usare nel mercato del lavoro. D.lgs 77/2005 stabilisce che: - stabilisce le modalità per fare questa formazione dai 15 ai 18 anni facendo alternare periodi di studio e periodi di lavoro grazie a delle convenzioni con imprese o con camere di commercio o enti pubblici e privati, che siano disponibili ad accogliere gli studenti per periodi di tirocinio. Questo tirocinio però non è un rapporto di lavoro - da le indicazioni generali per assegnare risorse finanziarie che servono a realizzare percorsi di alternanza, compresi incentivi per imprese. Inoltre l’alternanza scuola lavoro è stata richiamata anche nei regolamenti della Riforma Gelmini, come metodo da introdurre nella didattica curricolare. L’alternanza scuola lavoro da molte opportunità educative, si integra lo studio teorico con apprendimento pratico; si può parlare di: - visite aziendali - stage - tirocini (tirocini orientativi o tirocini formativi) - tirocini estivi - imprese formative simulate (in tal caso le scuole, sostenute dal Ministero, grazie al supporto di vere imprese e tutor aziendali, vanno a creare un azienda-laboratorio in cui si possono vivere le vere funzioni di un’azienda. Il Dlgs 81/2015 (cosiddetto jobs act) prevede la possibilità di assumere con contratto di apprendistato gli studenti iscritti negli istituti professionali, tenici e licei dal secondo anno in poi, e anche chi è iscritto a percorsi di istruzione per adulti → le aziende ne giovano. La materia dell’alternanza scuola-lavoro trova spazio nella L.107/2015 che l’ha resa obbligatoria. → infatti il comma 33 stabilisce l’obbligarorietà die percorsi in alternanza scuola lavoro per tutti gli studenti delle secondarie: almeno 400 ore devono essere per l’alternanza negli istituti tecnici e professionali e almeno 200 ore nei licei. Anche durante la sospensione di attività scolastiche. Dai documenti programmatici degli anni 80 e 90 è stata accolta la richiesta di creare un raccordo tra i vari gradi di scuola → quindi “la prima scuola” è intesa ora come scuola della simbolizzazione; elementari giungono dal predisciplinare alle discipline; la scuola media è la scuola disciplinare per eccellenza. → in questo modo si favorisce la formazione della persona attraverso l’alfabetizzazione culturale. Continuità → si intende la successione non traumatica di esperienze diverse → la scuola che precede non prepara alla successiva, anzi è il contrario. Quando frequenta la scuola infanzia, il bambino è maturato perché coordina movimenti, cammina con sicurezza, corre, salta, prende coscienza della propria individualità e inizia ad interagire con i coetanei. Se il bimbo viene dal nido possono essere sviluppati progetti di continuità per permettere al bimbo di familiarizzare con la scuola dell’infanzia → la Riforma 0-6 anni (2017) serve proprio a favorire sempre di più la coerenza tra nido e infanzia (valorizzando anche il ruolo delle sezioni primavera). Gli istituti comprensivi Dall’ a.s 2011/2012, la legge 111/2011 ha imposto che le scuole dell’infanzia, scuola primaria e scuola media devono essere aggregate obbligatoriamente in istituti comprensivi. La loro istituzione ha creato le condizioni per l’affermazione di una scuola unitaria di base che prende in carico i bambini dall’età dei 3 anni (con il sistema integrato 0-6 anni, D.lgs 65/2017 l’obiettivo è promuovere la continuità del primo ciclo a partire dai 3 mesi di età) per guidarli fino alla fine delle scuole medie. Nell’istituto comprensivo si chiede la cooperazione tra insegnanti (che prima lavoravano separatamente) e la diffusione delle responsabilità dei gruppi di lavoro. Nei comprensivi è prevista l’unitarietà degli organi collegiali dei 3 ordini di scuola → quindi un unico Consiglio di istituto e un unico Collegio dei docenti. → D.lgs 65/2017 → ha istituito il Sistema integrato 0-6 anni e i Poli per l’infanzia (nuovi centri di educazione dei bimbi più piccoli) anche presso istituti comprensivi. L’orientamento Dalla scuola del primo ciclo a quella del secondo ciclo, la continuità verticale si realizza attraverso l’orientamento → esso è un diritto del cittadino in ogni età. Per orientamento si intendono tutte le attività che fanno si che un individuo sia in grado di gestire e pianificare il proprio apprendimento e le proprie esperienze di lavoro, coerentemente ai propri obiettivi di vita, per raggiungere una propria soddisfazione personale. L’orientamento non riguarda solo un breve periodo della vita ma deve essere un’attività che accompagna ogni persona nell’arco di vita (lifelong learning). L’orientamento può essere: 1. orientamento educativo → cioè deve spingere gli individui a conoscere se stessi attraverso la consapevolezza delle proprie attitudini 2. orientamento formativo → serve a sviluppare le competenze orientative (es l’analisi del contesto, la ricerca in modo autonomo di informazioni ecc...) 3. orientamento informativo → è quello più diffuso, sarebbe la distribuzione di materiali informativi (con le info date dagli insegnati e esperti) 4. orientamento personale → serve ad aiutare nelle scelte individuali attraverso uno stretto rapporto tra chi chiede un aiuto e un esperto → è un rapporto a due in cui ci si rivolge a qualcuno di cui si ha fiducia per condividere le proprie incertezze. CAP 5: VALUTAZIONE E AUTOVALUTAZIONE DELLE SCUOLE Il tema della valutazione in Italia è molto articolato e riguarda tanti aspetti. Ci sono diversi profili di valutazione: - valutazione strettamente didattica - valutazione di istituto - valutazione del sistema scuola Le scuole dell’autonomia sono tenute a dotarsi di strumenti e procedure per verificare i risultati ottenuti in riferimento agli standard nazionali → c’è quindi una valutazione interna (in cui i soggetti si devono autovalutare) e una valutazione di sistema (fatta da soggetti esterni che devono vedere se sono stati raggiunti gli obiettivi definiti per il sistema scuola). L’obiettivo è agire per il miglioramento, quindi gli strumenti devono agire in costante interazione. Il Sistema nazionale di valutazione è stato istituito in Italia nel 2004. Il Sistema nazionale per la valutazione del sistema valutativo In Italia c’è un duplice sistema di controllo della qualità delle prestazioni e del funzionamento del sistema scolastico. La valutazione esterna, fatta da organismi nazionali, si combina con l’autovalutazione d’istituto (per vedere il grado di raggiungimento che la scuola stessa si era prefissata). Nel 2004 con il D.lgs 286 → nasce il Servizio nazionale di valutazione (SNV) del sistema educativo di istruzione e di formazione → obiettivo: valutare l’efficienza e l’efficacia del sistema di istruzione e di formazione. Il sistema nazionale di valutazione (SNV) regolato dal DPR 80/2013 è diviso in: 1. INVALSI → l’INVALSI ha compiti molto più ampi rispetto al passato (diventando più importante del Ministero dell’Istruzione nella definizione dei contenuti della formazione e dei curricola). Art 3 del Regolamento → da all’Invalsi il potere di proporre protocolli di valutazione e i programmi delle visite nelle scuole degli ispettori esterni (cosiddetti nuclei di valutazione), inoltre dice quali sono gli indicatori per vedere quali siano le scuole in crisi e gli indicatori per valutare i Dirigenti. Inoltre, anche l'autovalutazione delle scuole deve seguire il quadro di riferimento dell’INVALSI. 2. INDIRE → ha il compito di dare sostegno ai processi di miglioramento e di innovazione educativa, di formazione del personale della scuola e di ricerca didattica. 3. Contingente ispettivo → è autonomo e indipendente e il suo compito è valutare le scuole e i Dirigenti scolastici. Il SNV non ha nessuna volontà sanzionatoria o punitiva, anzi ha l’obiettivo di automiglioramento della qualità dell’apprendimento, della didattica e dei comportamenti degli insegnanti. INVALSI Il ruolo predominante del SNV è assegnato all’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI), che lavora con le scuole, Regioni, province comuni. L’INVALSI è soggetto alla vigilanza del Ministero dell’Istruzione ed è un ente di ricerca che si occupa di: • fare verifiche periodiche sulle conoscenze e abilità degli studenti (cosiddette prove invalsi) • fare attività di ricerca • studiare le cause dell’insuccesso e della dispersione scolastica • prendere iniziative per assicurare la partecipazione italiana ai progetti di ricerca europea e internazionale • fare attività di supporto e di assistenza tecnica all’amministrazione scolastica, alle regioni ecc.. per realizzare autonome iniziative di monitoraggio e valutazione • svolgere attività di formazione del personale docente e dirigente della scuola, connessa ai processi di valutazione e autovalutazione delle scuole • fare al ministro dell’istruzione proposte per la piena attuazione del sistema di valutazione dei dirigenti • fare il monitoraggio sullo sviluppo e sui risultati del sistema di valutazione • promuovere periodiche rilevazioni nazionali sugli apprendimenti • studiare modelli e metodi per la valutazione delle scuole • fare prove nazionali per gli esami di stato • collaborare con le attivitià di valutazione scolastico per realizzare iniziative di valorizzazione del merito • fare attività di supporto e assistenza tecnica alle regioni e agli enti territoriali per attività di monitoraggio, valutazione e autovalutazione INVALSI partecipa anche alle indagini internazionali in materia di valutazione e di rappresentanza dell’Italia e ha funzioni di valutazione dell’intero sistema scolastico italiano. Le prove INVALSI L’INVALSI elabora le cosiddette prove invalsi attraverso le quali le scuole sono obbligate a periodiche rilevazioni nazionali sull’apprendimento e le competenze degli studenti. Sono state introdotte con la legge 176/2007, ma dal 2009 queste prove standardizzate sono valutate anche alla fine dell’esame del primo ciclo d’istruzione. Lo scopo è → misurare i livelli di apprendimento raggiunti dagli studenti italiani in italiano, matematica e inglese. Poi l’INVALSI restituisce ad ogni scuola i dati sull’andamento degli studenti rispetto alla media italiana. La loro finalità è capire l’andamento del sistema d’istruzione in Italia, dando info sui punti di forza e di debolezza di ogni scuola. Vengono fatte nelle 2 e 5 elementare, la rilevazione di inglese solo in 5 elementare. Le INVALSI 2022 sono state fatte per la primaria con i tradizionali fascicoli cartacei e si svolgono nello stesso giorno in Italia. Per la 5 elementare la prova inglese riguarda le competenze ricettive (quindi comprensione della lettura e dell’ascolto) ed è riferita al livello A1. Le INVALSI nella secondaria di primo grado accertano i livelli di apprendimento di italiano, matematica e inglese → si fa un test computer based (modalità CBT) e si svolgono al 3 anno → prova di inglese riguarda solo competenze ricettive ed è riferita al livello A2. Prove INVALSI → alunni con BES → D.lgs 62/2017 → normativa per INVALSI riguardo alunni con BES, che prevede delle eccezioni solo per studenti con certificazioni riconosciute dalla legge 104/1992 e dalla legge 170/2010. Le eccezioni cinsistono nell’esonero dallo svolgimento di una o più prove (misure dispensative) o nel dargli più tempo e modalità che facilitino lo svolgimento della prova (strumenti compensativi), in base a quanto è previsto nel suo PDP (Piano didattico personalizzato) per i DSA oppure nel suo PEI (Piano educativo individualizzato) per le disabilità certificate. Hanno diritto ad una modalità di svolgimento con misure dispensative o strumenti compensativi gli studenti con: • disabilità certificata, chein base al PEI possono: - essere dispensati da una o più prove - sostenere delle prove diverse fatte dai docenti di classe - partecipare alle prove con modalità standard usando strumenti compensativi (quindi tempo in più, calcolatrice, dizionario, sintetizzatore vocale, adattamento per alunni sordi - certificazioni di DSA, che fanno le prove usando strumenti compensativi previsti dal PDP (es tempo in più); se il PDP prevede l’esonero della prova scritta o dall’insegnamento della lingua straniera, lo studente DSA non svolge la prova di lettura o ascolto o l’intera prova nazionale Il Ministero dell’Istruzione e l’INVALSI hanno fatto le regole per gli allievi con BES (Bisogni educativi speciali) di scuola primaria e secondaria, in cui le scuole devono indicare nelle apposite maschere del sistema dedicato alle prove, tutti gli alunni con BES. Nella apposita tabella (che riguardano i diversi tipi di BES, vengono date le info in merito allo svolgimento o meno delle prove da parte degli alunni. È previsto che le prove fatte dagli alunni con disabilità non siano incluse nei dati di classe e di scuola, ad eccezione di quelle svolte dagli allievi con disabilità sensoriale (queste possono essere incluse solo se le misure compensative e dispensative siano idonee per il superamento della disabilità. Anche le prove che sono sostenute dai DSA o da altri BES possono essere incluse nei dati di classe e di scuola solo se le misure compensative/dispensative siano idonee al superamento dello sviluppo. Il RAV infanzia Per le scuole dell’infanzia (che non fanno parte di istituti comprensivi) si può elaborare il RAV → il RAV infanzia è facoltativo e ha carattere sperimentale (prima bozza di RAV infanzia con la nota 829 del 2016 e per il 2018-19). Obiettivo → dar vita ad un dibattito, fuori e dentro le scuole, sugli strumenti più giusti per una corretta autovalutazione della scuola dell’infanzia ma anche per rendere espliciti i fattori di qualità dei migliori istituti e anche per incoraggiare il miglioramento. La sperimentazione del RAV infanzia a livello nazionale è il primo passo per la creazione di un sistema di autovalutazione per le scuole dell’infanzia a partire dal terzo ciclo che copre il triennio 2022-2025. → il RAV infanzia infatti deve essere inteso come un’opportunità di miglioramento della qualità delle scuole (anche vedendo l’attenzione che è stata data dalla Buona Scuola al Sistema integrato 0-6 anni creato con il decreto 65/2017). Il Piano di miglioramento (PDM) Una volta chiuso il RAV, la fase successiva prevede la formulazione e l’attuazione del Piano di miglioramento (PDM) che indica il percorso che la scuola vuole intraprendere per raggiungere i traguardi, relativi alle priorità indicate dal RAV. Il Piano di miglioramento è curato dal Dirigente scolastico e dal NIV. → molto importante è il coinvolgimento di tutta la comunità scolastica, che deve essere resa partecipe degli obiettivi e dei traguardi che la scuola si è prefissata → è compito nel NIV stabilire le modalità di questo coinvolgimento. L’INDIRE fornisce un modello di PDM che è basato su 2 tipi di interventi: pratiche educative e didattiche e pratiche gestionali ed organizzative. È diviso in 4 sezioni: 1. scelta degli obiettivi di processo più utili alle priorità che sono state individuate nel RAV 2. individuazione delle azioni da fare per raggiungere gli obiettivi prefissati 3. pianificazione degli obiettivi di processo 4. valutazione, condivisione e diffusione del lavoro svolto dal NIV In linea con la previsione dell’offerta triennale, anche il PDM (obbligatorio dal 2015-2016) deve essere sviluppato in questo lasso temporale; per la compilazione però non c’è nessuna scadenza ed è sempre modificabile. Un Piano di miglioramento efficace Come si costruisce un piano di miglioramento efficace? Il punto di partenza è sempre quello che emerge dal RAV → da questo poi si valutano le condizioni della scuola, le priorità che emergono, fare una revisione specifica e poi sviluppare il piano di miglioramento. Ovviamente il piano di miglioramento deve essere attuabile → quindi si parte dalla situazione esistente (che emerge dal RAV), si individua l’obiettivo cioè la situazione desiderata → solo a questo punto si può sviluppare un piano operativo che ha come obiettivo il miglioramento sostenibile. Una possibile scaletta operativa potrebbe essere: • priorità strategica (es innalzare gli esiti nelle prove standardizzate) • obiettivo di miglioramento (es innalzare esiti nelle prove di matematica) • traguardo di lungo periodo (es aumentare del 3% gli esiti in matematica) Bisogna poi individuare gli obiettivi di processo per il triennio, per ognuna delle 7 aree indicate (che sono le stesse indicate dal RAV). La scelta degli obiettivi di processo deve essere utile per il raggiungimento del traguardo → gli obiettivi devono essere congruenti con le priorità/traguardi → bisogna prefissarsi pochi obiettivi ma concentrarsi su quelli fattibili. Il Piano di miglioramento richiede anche l’indicazione delle azioni che la scuola vuole fare per raggiungere gli obiettive → le azioni devono avere ricadute positive e devono produrre effetti anche nel medio e lungo periodo → devono innescare un meccanismo di innovazione e cambiamento radicale duraturo all’interno della scuola. Dopo le azioni, si devono individuare le risorse materiali e umane a disposizione della scuola e la tempistica per l’attuazione delle attività descritte (aggiornabile e modificabile in qualsiasi momento). → altra cosa importante sono i monitoraggi → la scuola infatti deve sempre verificare l’avanzamento delle attività e i risultati raggiunti (per fare anche nel caso degli aggiustamenti). Il controllo sull’andamento del Piano di miglioramento è affidato al NIV. Rapporti tra RAV, PDM E PTOF Il PTOF è il documento fondamentale della scuola → all’interno è indicata la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa e organizzativa adottata dalla scuola dell’autonomia. Il PTOF non può prescindere dal PDM, ma deve essere integrato con esso → quindi anche nel PTOF devono essere indicati priorità, traguardi e obiettivi (come nel RAV e nel PDM) . Nel PTOF devono essere pianificate le azioni finalizzate al raggiungimento dei traguardi previsti. A partire dall’anno scolastico 2022 – 2023 l’accesso al modello di PTOF può avvenire tramite la Scrivania unica del portale SNV (sistema nazionale valutazione), senza che sia necessario accedere da SIDI (sistema informativo dell’istruzione). La valutazione esterna l’organizzazione della valutazione esterna nelle scuole è affidata alla Conferenza per il coordinamento funzionale del SNV, cioè l’organismo di coordinamento tra INVALSI, INDIRE e corpo ispettivo → ha la funzione di adottare protocolli di valutazione e il programma delle visite nelle scuole. La valutazione esterna delle scuole serve a: • migliorare la qualità dell’offerta formativa e dell’apprendimento • ridurre la dispersione e le differenze tra scuole e aree geografiche • rafforzare le competenze di base degli alunni • valorizzare gli esiti a distanza Della valutazione esterna se ne occupano i Nuclei di valutazione esterna (NEV) costituti da ispettori (cioè dirigenti tecnici) che ne assumono il coordinamento e da esperti in materia di valutazione esterna dei sistemi scolastici → gli esiti di questa dovrebbero fare da stimolo per fare una riflessione all’interno della scuola e capire su cosa serve fare un miglioramento. La valutazione esterna ha come punto di partenza il processo di autovalutazione che viene effettuato dalla scuola → quindi si parte dal RAV (come il PDM). La valutazione esterna delle scuole ha lo stesso quadro di riferimento dell’autovalutazione. La valutazione esterna è associata ad un procedimento che prevede 3 fasi: 1. lettura e analisi dei documenti da parte del NEV 2. visita, (con raccolta di dati anche attraverso interviste e osservazione diretta) 3. formulazione del giudizio La visita dura 3 giorni e si dovrebbe svolgere così: - si ha un incontro iniziale con il Dirigente scolastico, lo staff di dirigenza e il NIV - raccolta delle evidenze attraverso interviste individuali o di gruppo - visita e osservazione degli spazi della scuola (es aula magna, classi ecc) - incontro conclusivo con il Dirigente scolastico, lo staff di dirigenza e il NIV + breve comunicazione sugli esiti della visita → Sono molto importanti le interviste perché fanno emergere diversi punti di vista della scuola. La visita degli spazi della scuola è fatta per osservare non solo le strutture ma anche il loro utilizzo → in particolare si osservano l’aula magna, laboratori, palestra, biblioteca ecc… l’incontro finale ha lo socpo di dare un primo resoconto delle evidenze. Poi sulla base delle evidenze emerse durante la visita, il NEV formula un giudizio collegiale per ogni ambito oggetto di valutazione → ciò consiste nell’attribuzione del livello che descrive meglio la situazione della scuola (da 1 a 7). Il NEV si esprime anche sulla coerenza tra RAV compilato e le priorità e i traguardi indicati. Dopo la visita, il NEV fa un Rapporto di valutazione esterna (RVE) e lo invia alla scuola (ne tiene conto ai fini della compilazione del Piano di miglioramento. CAP. 6: LA GOVERNANCE DELLE ISTITUZIONI SCOLASTICHE A capo di tutte le istituzioni scolastiche → c’è l’ente di governo centrale è il Ministero dell’Istruzione e del merito (MIM). A livello periferico → la governance della scuola è affidata agli Uffici scolastici regionali (USR) → sostituiscono i provveditorati. Il governo di ogni istituto è affidato agli organi collegiali e al Dirigente scolastico. Amministrazione centrale e periferica Nel nostro ordinamento manca una definizione legislativa generale di pubblica amministrazione, visto che in generale le leggi comprendono tutte le pubbliche amministrazioni dello Stato, comprese gli istituti, scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende e le amministrazioni dello stato autonome, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane, le università, le camere di commercio, industria e artigianato. Ai vertici dei settori dell’amministrazione → c’è il Ministero che è l’amministrazione centrale, da cui dipendono tutti i vari uffici, dipartimenti e enti pubblici sul territorio nazionale. Gli enti pubblici sono organi delle amministrazioni statali, che hanno competenza territoriale limitata e costituiscono l’amministrazione periferica dello Stato → un esempio sono le Prefetture (che hanno compiti di amministrazione generale e di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica) e gli Uffici scolastici regionali. Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Venne istituito per la prima volta nel 1847 da Carlo Alberto → ha cambiato il suo nome diverse volte (es Ministero dell’educazione nazionale negli anni del fascismo). → col riordino dei Ministeri nel 1999 (dlgs 300/1999) → il Ministero della Pubblica Istruzione diventa Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) → poi sdoppiato la prima volta nel 2006 (D.L 181/2006 convertito in L.233/2006) e in seguito con il DL 1/2020 convertito in L.12/2020 in Ministero dell’Istruzione (MI) e Ministero dell’Università e della ricerca (MUR). → con il D.L 173/2022 → il Ministero dell’Istruzione diventa Ministero dell’istruzione e del merito (MIM) → tra le sue funzioni viene introdotto il supporto alla realizzazione di esperienze formative che puntano alla valorizzazione del merito, all’aumento delle opportunità di lavoro e all’orientamento degli studenti. (qui i riferimenti al MIUR si intendono al MIM). Il Ministero è diviso in dipartimenti che sono il nucleo centrale dell’organizzazione ministeriali → hanno compiti che riguardano grandi materie omogenee; sono compiti di coordinamento delle Direzioni generali e di gestione e organizzazione delle varie risorse. I capi dei Dipartimenti → hanno compiti di coordinamento, direzione e controllo degli uffici di livello dirigenziale compresi nel dipartimento e sono responsabili dei risultati raggiunti. Gli Uffici scolastici regionali dipendono dai capi di Dipartimento, in relazione alle materie da trattare. Il Ministero (per svolgere funzioni di indirizzo politico amministrativo) → usa uffici di diretta collaborazione (chiamati anche “uffici staff”) → es. ufficio di gabinetto, segreteria del Ministro, ufficio legislativo, ufficio stampa, segreteire del Vice Ministro e i Sottosegretari di Stato, la segreteria tecnica. Vice Ministro e Sottosegretari di Stato svolgono funzioni e compiti che gli sono stati delegati dal Ministro. Competenze del Ministro Il Testo Unico Istruzione (dlgs. 297/1994) stabilisce che il Ministro provvede, attraverso i suoi uffici, ai servizi che riguardano l’istruzione materna, elementare, media, secondaria superiore e artistica. Il Ministro ha u ruolo fondamentale → promuovere l’istruzione sociale e pubblica e sovrintendere il corretto andamento dell’intero sistema scolastico ma anche universitario. Il Ministro è nominato dal Presidente della Repubblica, su designazione del Capo del Governo → il Ministro è l’organo di direzione politica del Ministero. Organi collegiali a livello di circolo e istituto Secondo l’art 5 e ss. Del TU, essi sono: • Consiglio di intersezione nella scuola dell’infanzia • Consiglio di interclasse nella scuola primaria • Consiglio di classe degli istituti di istruzione secondaria • Collegio dei docenti • Consiglio di circolo o d’istituto e la Giunta esecutiva • Comitato per la valutazione del servizio dei docenti • Assemblee studentesche e dei genitori 1. Consiglio di intersezione → si ha nella scuola dell’infanzia; è composto da insegnanti delle sezioni dello stesso plesso + docenti di sostegno + un rappresentante dei genitori; è presieduto dal Dirigente scolastico (o da un docente da lui delegato) 2. Consiglio di interclasse → si ha nella scuola primaria; composto da docenti dei gruppi di classi parallele o dello stesso ciclo o dello stesso plesso + 1 rappresentante degli alunni (per ogni classe interessata) + docenti di sostegno. È presieduto dal Dirigente scolastico. 3. Consiglio di classe → si ha nella scuola secondaria; composto da tutti i docenti di ogni classe + insegnanti di sostegno → si occupa dell’andamento generale della classe. Presieduto dal DS o da un docente delegato da lui (che fa parte del Consiglio). Inoltre fanno parte del Consiglio di classe → alle medie 4 rappresentanti dei genitori; alle superiori 2 rappresentanti dei genitori e 2 rappresentanti degli studenti. Spettano al Consiglio le competenze che riguardano il coordinamento didattico, i rapporti interdisciplinari e la valutazione periodica e finale degli alunni → sono presenti solo i docenti in questo caso (per queste cose). Il consiglio di classe ha altre competenze: • deliberano sull’accogliere o meno domande di alunni che vogliono trasferirsi nell'istituto durante l’anno scolastico • deliberano sulla possibile iscrizione di alunni che vengono da scuole italiane all’estero o da scuole estere • danno un giudizio sul profitto conseguito dallo studente in ogni materia studiata nell’ultimo anno → a maggioranza assoluta si delibera sull’ammissione all’esame di maturità • nella secondaria, può decidere delle sanzioni disciplinari agli studenti (es sospensione fino a 15 giorni). I consigli di intersezione, interclasse e di classe hanno il compito di formulare al Collegio dei docenti proposte riguardo l’azione educativa e didattica e ad iniziative di sperimentazione e di agevolare ed estendere i rapporti reciproci tra docenti, genitori e alunni. Sono organi a composizione differenziata. La durata di questi organi è di 1 anno → le componenti elettive vanno rinnovate ogni anno. • Collegio dei docenti → art.7 dpr 297/1994 → è un organo collegiale; composto da tutti gli insegnanti in servizio nell’istituto scolastico. Essere membro avviene in modo automatico, basta avere la qualifica di insegnante di ruolo e non di ruolo in servizio nel circolo o nell’istituto. Fanno parte del collegio anche gli assistenti dei licei artistici che insegnano nelle classi e anche i docenti di sostegno che hanno la contitolarità delle classi del circolo o istituto. È un organo presieduto dal DS → il suo voto è quello decisivo in caso di pari voti tra favorevoli e contrari. Il collegio si insedia all’inizio di ogni anno scolastico → si riunisce ogni volta che il DS ne sente il bisogno oppure quando 1/3 dei componenti ne fa richiesta (in ogni caso almeno 1 volta ogni trimestre/quadrimestre. Riunioni avvengono durante l’orario di servizio (le ore non coincidono con l’orario di servizio). Il collegio ha: • poteri deliberanti → nel senso che delibera su tutto quello che riguarda il funzionamento didattico del circolo o dell’istituto. La sua funzione più importante è l’elaborazione del PTOF (che poi viene deliberato dal Consiglio d’Istituto). • poteri di proposta → nei confronti del DS per la formazione delle classi e dei docenti, orario delle lezioni e lo svolgimento delle altre attività scolastiche • poteri propulsivi → promuove quindi iniziative di innovazione o di aggiornamento dei docenti; il collegio programma e attua le iniziative per il sostegno degli alunni disabili • poteri di valutazione → valuta periodicamente l’andamento dell’attività didattica proponendo misure per il miglioramento dell’attività scolastica • poteri di indagine → esamina gli eventuali casi di scarso profitto o di comportamento irregolare degli alunni segnalati dai docenti di classe, sulla base degli specialisti che stanno nella scuola con compiti socio pedagogici • poteri consultivi → formula pareri al DS per quando riguarda la sospensione dal servizio o la sospensione cautelare del personale docente quando ci sono situazioni di urgenza Al Collegio dei docenti spettano poteri in ambito esclusivamente tecnico didattico. • Consiglio di circolo o d’istituto → art.10 del TU istruzione, il Consiglio di circolo (nella scuola primaria) o d’istituto (nella scuola secondaria) è l’organo cui è affidato il governo economico – finanziario della scuola. L’organo è fatto da 14 membri negli istituti fino a 500 alunni e dei 19 membri negli istituti con più di 500 alunni. Fanno parte del collegio i rappresentanti del personale docente e del personale non docente, i rappresentanti dei genitori degli alunni, i rappresentanti degli studenti e anche il Dirigente → inoltre possono essere chiamati a partecipare alle riunioni anche gli specialisti. Il Consiglio è presieduto da uno dei suoi membri eletto tra i rappresentanti dei genitori degli alunni, a maggioranza assoluta nella prima votazione e a maggioranza relativa nelle successive; le funzioni di segretariato vengono date a un membro del Consiglio stesso. L’organo dura in carica 3 anni scolastici → vengono eletti coloro che non sono stati eletti la volta prima; rappresentanti degli studenti eletti ogni anno. Il consiglio svolge funzioni deliberative → delibera sull’organizzazione e la programmazione della vita e dell’attività della scuola. Ha un ruolo fondamentale nell’individuazione degli obiettivi che la scuola decide di raggiungere. Il Consiglio d’Istituto: • approva il PTOF • approva il bilancio preventivo e il conto consuntivo • adotta il Regolamento di istituto • delibera sull’acquisto • adatta il calendario scolastico • determina i criteri per la programmazione o l’attuazione delle attività para, extra e interscolastiche • promuove i contatti con altre scuole • adotta iniziative dirette all’educazione della salute Gli atti deliberativi dell’organo sono atti definitivi dell’organo sono degli atti definitivi impugnabili con ricorso al TAR o con ricorso straordinario al capo dello stato. Per quanto riguarda l’attività consultiva → il Consiglio esprime pareri sull’andamento generale didattico e amministrativo del circolo o istituto; indica i criteri generali per quanto riguarda il coordinamento dei consigli di intersezione, di interclasse o di classe. Il Consiglio si riunisce in orario che non coincide con quello delle lezioni. I Consigli di circolo o di istituto eleggono al proprio interno una Giunta esecutiva, di cui fanno parte il DS (che la presiede), il DSGA che ha anche funzioni di segretario della Giunta. In più ne fa parte anche un docente, un non docente e 2 genitori (alle superiori e negli istituti d’arte solo 1 genitore) → la Giunta resta in carica 3 anni. Il Regolamento d’istituto → è il documento emanato dal Consiglio d’Istituto che disciplina le attività quotidiane della scuola → art.10 dlgs 297/1994 → il documento si rivolge agli alunni e alle famiglie ma anche ai docenti. Comprende norme che riguardano → vigilanza sugli alunni, comportamento degli alunni, regolamenta ritardi uscite assenze e giustificazioni; uso degli spazi comuni e laboratori; mensa; disposizione sull’uso di dispositivi multimediali; assicurazione e viaggi di istruzione. Nel regolamento d’istituto si definiscono: - modalità di comunicazione con studenti e genitori - calendario delle riunioni e degli incontri scuola famiglia - regole sul funzionamento degli organi collegiali Comitato per la valutazione dei docenti → la L.107/2015 comma 129 ha sostituito l’art 11 del dlgs 297/1994 per quanto riguarda il Comitato per la valutazione dei docenti → esso aiuta il DS a fissare i criteri per l’assegnazione annuale di una somma del Fondo d’Istituto (FIS) per valorizzare il personale docente. Il Comitato è in ogni istituzione scolastica, dura 3 anni ed è presieduto dal DS. È composto da: • 3 docenti (2 scelti dal collegio docenti e 1 dal consiglio d’istituto) • 2 rappresentanti dei genitori nella scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione; • 1 componente esterno, scelto dall’Ufficio regionale scolastico L’assemblea dei genitori → art 12 TU dice che gli studenti della scuola secondaria superiore e i genitori degli alunni delle scuole di ogni ordine e grado hanno il diritto di riunirsi in assemblea nei locali della scuola. Le assemblee studentesche di classe e d’istituto si hanno nella scuola secondaria superiore → queste assemblee (art 13 297/1994) permettono di approfondire i problemi della scuola e della società. → si parla di istituzionalizzazione dei rapporti tra scuola e famiglia → fa si che si ribalti il ruolo investito dai genitori degli alunni. Come le assemblee degli studenti, le assemblee dei genitori possono essere di classe o di istituto → alle assemblee di classe partecipano i genitori degli alunni iscritti alla classe; alle assemblee di istituto invece i genitori degli studenti iscritti alla scuola → al di fuori dell’orario di lezione. All’infanzia → si fanno assemblee di sezione → si riuniscono i genitori dei bambini di una sezione per parlare degli eventuali problemi. Le assemblee si possono svolgere fuori o dentro i locali del circolo o dell’istituto. L’assemblea di sezione o di classe è convocata su richiesta di genitori eletti nei Consigli di intersezione, interclasse o di classe. L’assemblea d’istituto è convocata: • su richiesta del Presidente dell’assemblea • dalla maggioranza del Comitato genitori • da almeno 100, 200 o 300 genitori a seconda che gli alunni siano fino a 500, 1000 o oltre i 1000. L’assemblea è autorizzata dal Dirigente scolastico (sentita la Giunta esecutiva) e viene portata a conoscenza di tutti i genitori (con affissione all’albo e pubblicazione sul sito). All’assemblea di sezione, classe o istituto possono partecipare il DS e gli insegnanti. Il Dirigente scolastico e i suoi collaboratori Art 5 del dlgs 165/2001 (Testo unico sul pubblico impiego) → dispone che il DS assicura la gestione dell’istituzione, è responsabile della gestione delle risorse umane, organizza l’attività scolastica ed è titolare delle relazioni sindacali. Il DS si fa affiancare da uno staff → cioè docenti delegati, coordinatori e collaboratori che hanno funzioni (ad es il docente vicario cioè il vecchio vicepreside) che possono essere svolte anche dalla stessa persona. Il DS è un vero e proprio datore di lavoro pubblico → responsabile della gestione delle risorse umane e anche della qualità delle prestazioni fatte dai dipendenti. Il capo d’istituto ha una gestione imprenditoriale delle proprie funzioni → cioè deve condurre una vera e propria azienda: l’azienda-scuola. Il DS, nelle funzioni organizzative, si può avvalere di docenti da lui individuati, ai quali delegare compiti specifici (art.25 comma 5 165/2001) → ad esempio per il controllo dello svolgimento delle attività didattiche, coordinamento degli insegnanti ecc… → solitamente sono 2 unità di personale docenti, ART.118 prevede che → “le funzioni amministrative sono date ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base del principio di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza”. I comuni, le province e le città metropolitane, sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. La legge statale disciplina le forme di coordinamento tra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b ed h del secondo comma dell’art 117 e disciplina le forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali. Stato, regioni, città metropolitane, province e comuni favoriscono l’autonomia iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale sulla base del principio di sussidiarietà.” → quindi il principio di sussidiarietà colloca l’attuazione delle funzioni amministrative al livello di governo più vicino ai cittadini, tenendo conto delle effettive dimensioni e potenzialità degli enti locali. L’art 118 attualizza il processo e si incontra con l’affermazione di uno Stato funzione in grado di sostituirsi allo Stato persona → questo stato deve essere costituito da istituzioni che svolgono un doppio ruolo cioè operano sia con soggettività autonoma e allo stesso tempo sono in grado di dare unità e identità allo sviluppo di tutti i soggetti. L’autonomia funzionale che è riconosciuta alle istituzioni scolastiche va ad evidenziare la relazione funzionale tra i diversi soggetti: cioè Ministero, Uffici scolastici regionali, istituzioni scolastiche (art.3 DPR 309/2003). Non è una forma di dipendenza gerarchica ma di coordinamento in una logica in cui vi è un sistema che riconosce l’Ufficio scolastico regionale come autonomo centro di responsabilità amministrativa → questo vuol dire che usa le risorse come strumento per il raggiungimento di obiettivi gestionali → questo dovrebbe portare ad avere un ruolo attivo degli USR. Obiettivi della sussidiarietà Sono sostenuti da 5 principi: • apertura → consiste nella comunicazione istituzionale affidata a tutti i soggetti pubblici; la scuola deve spiegare all’utenza quale è la sua azione, in cosa consistono le decisioni che adotta; vanno riguardati e rivalutati i documenti comunicativi che la scuola fa sulla Carta dei servizi, ma anche altri documenti che oggi vengono riservati quasi tutti ad uso interno; • partecipazione → deve essere più ampia possibile dal momento dell’elaborazione al momento dell’esecuzione; l’interesse dei cittadini va sollecitato attraverso forme collaborative e partecipative • responsabilità → la responsabilità si deve individuare facendo una distinzione tra responsabilità amministrativa e professionale • efficacia → le politiche scolastiche devono essere efficaci e tempestive, producendo i risultati richiesti in base a degli obiettivi chiari. • coerenza → riguarda le politiche dei vari soggetti che si occupano della scuola e devono essere tra di loro coerenti per creare e mantenere un quadro di interventi e di procedere al loro controllo. Questi principi si applicano a tutti i livelli di governo: europeo, nazionale, regionale e locale. Nel sistema scolastico la sussidiarietà verticale si riconosce nell’allocazione delle diverse funzioni a 4 livelli: nazionale, regionale, territoriale e singola scuola. Sussidiarietà orizzontale → nell’istruzione questa è stata consolidata con la L. 62/2000 la cosiddetta “Legge sulla parità scolastica” → oggi l’interesse pubblico è sostituito dall’interesse della collettività e può essere soddisfatto da soggetti pubblici; la sussidiarietà orizzontale si attua attraverso una libera scelta della famiglia che valuta il livello di offerta formativa da parte della scuola pubblica o privata ed esercita il suo diritto di scelta. Glocalismo e analisi del territorio → il termine “glocalismo” è un neologismo che nasce dalla fusione linguistica tra “globale” e “locale” → da qui deriva l’espressione “pensare globalmente e agire localmente” → nel campo scolastico questo rappresenta l’impegno della scuola su temi generali radicate nel territorio di cui si devono analizzare le dimensioni fondamentali: quella economica, demografica e socioculturale. Per cogliere la vitalità economica del contesto del territorio è importante: - conoscere i dati relativi alla consistenza della popolazione attiva, non attiva, tasso di disoccupazione e di inoccupazione - vedere quante sono le risorse economiche che si investono nel territorio da parte degli enti locali - conoscere il sistema produttivo del territorio, le strategie di sviluppo, investimenti - verificare la possibilità di fare alleanze con il mondo economico Disegnare la mappa dell’identità socio culturale di un territorio Per disegnare l’identità socio culturale di un territorio si deve: - stimare il livello di istruzione della popolazione e dei genitori - acquisire elementi circa le domande di formazione di persone in età non scolare(che vogliono mantenere le loro conoscenze) - rilevare la diffusione di strumenti culturali di accesso individuale alla cultura e alle sue forme - conoscere le strutture che contribuiscono alla diffusione della cultura (es biblioteche, teatri, cinema) - stimare il rischio alfabetico - censire e intercettare le associazioni che si occupano del tempo libero, della cura di sé - individuare la diffusione di agenzie nei settori culturali e formativi Così il territorio può essere rappresentato in una specie di mappa; l’analisi dei dati può essere la base, nelle sedi governative, per definire azioni politiche relative all’istruzione e alla formazione. In effetti le mappe fatte fino ad ora hanno fatto conoscere una ricchezza di servizi sia molto specializzati che multifunzionale, che docenti, dirigenti e agenzie hanno fatto nasce per rispondere a delle esigenze particolari. Questi centri di servizio hanno affrontato diversi problemi (integrazione, diversità, insegnamento della seconda lingua); dopo la riforma delle amministrazioni (dpr (347/2000), questi centri sono stati fronteggiati da una nuova realtà cioè quella dei Centri intermedi di servizio → essi hanno la funzione di startup in territori in cui i centri di servizio non ci sono o sono carenti. I centri di servizio sono sorti e vivono di linfa vitale spontanea, mentre i Centri intermedi di servizio sono articolazioni sul territorio che devono verificare se le risposte dei centri di servizio hanno soddisfatto l’utenza e quali sono stati gli effettivi cambiamenti. Le principali forme di collaborazione interistituzionale I partenariati educativi → con “partenariato” si intende la realizzazione di un confronto tra più soggetti diversi coinvolti nello stesso settore che cercano una soluzione comune (con il massimo consenso) per raggiungere obiettivi condivisi. Le ist scolastiche lavorano per realizzare dei patti formativi-educativi sul territorio, attraverso partenariati locali cioè partenariati interistituzionali, tra soggetti istituzionali o misti (es associazioni). Le scuole possono promuovere o aderire a partenariati che già esistono a diversi livelli (locale, regionale, nazionale, europeo). L’integrazione tra la scuola e le richieste (istanze) che ci sono sul territorio trova il suo riferimento normativo nell’art 8 del Regolamento sull’autonomia scolastica (DPR 275/1999) → secondo questo articolo la determinazione del curricolo di ogni singola scuola va definito anche attraverso un’integrazione tra sistemi formativi sulla base di accordi con le Regioni e gli enti locali. L’integrazione tra scuola e territorio è ripreso dall’art.9 → dice che le scuole, singolarmente collegate in rete o consorziate tra loro, realizzano ampliamenti dell’offerta formativa che tengano conto delle esigenze del contesto culturale, sociale ed economico delle realtà locali. I protocolli d’intesa, le convenzioni, gli accordi, i consorzi di scuole sono gli strumenti più usati nella creazione di reti di scuole. Le diverse forme di partenariato educativo prevedono la partecipazione di alcune componenti → cioè enti locali (es comuni, province ecc); organismi di partecipazione decentrata sul territorio; associazioni culturali; musei, biblioteche; istituti di ricerca e università; terzo settore, centri ed enti di formazione professionale; servizi assistenziali e socio sanitari. Il partenariato educativo è uno strumento di cooperazione tra diverse istituzioni per gestire l’offerta formativa sul territorio ed è un occasione per confrontare esperienze, cultura e prospettive diverse; si uniscono strategie e risorse diverse e si coniugano realtà distanti tra loro. Il risultato è un processo educativo, che è frutto della collaborazione fatta attraverso il partenariato, che tiene conto dei tanti bisogni, delle risorse a disposizione ma anche della complessità dei vincoli per la realizzazione → quindi bisogna individuare le singole responsabilità che riguardano i processi decisionali del progetto educativo comune che deve essere preceduto da studi di fattibilità. I partenariati educativi a livello locale sono quindi un circolo virtuoso che costituisce un punto di passaggio per la diffusione e condivisione di progetti. Le reti di scopo e reti di ambito Le scuole esercitano la loro autonomia tenendo conto delle esigenze del contesto culturale ed economico per rispondere ai bisogni educativi emergenti, alle aspettative delle famiglie e con gli obiettivi del sistema scolastico. Questo modello di scuola è flessibile e cambia grazie alla possibilità di usare modelli associativi integrati come quello della rete. → art 7 del DPR 275/1999 → prevede la possibilità di fare accordi tra scuole che pensano di poter condividere percorsi diversi per migliorare il servizio erogato all’utenza. Il bisogno che spinge le scuole a creare collaborazioni tra loro è che insieme possono affrontare meglio i problemi e le potenziali difficoltà riguardo al reperimento di professionalità e mezzi per arricchire l’offerta formativa. I tipi di reti realizzabili: - reti di libero scambio - reti locali di scuole - reti di servizi - reti nazionali di progetti All’interno delle scuole, tra gli organi c’è in primo luogo il Collegio dei docenti (che fa il progetto da realizzare e chiede la collaborazione con altre scuole); si confronta con il DS (che ha la competenza ad instaurare il rapporto con l’esterno) ed è il DS che fa la proposta alle altre scuole di creare delle reti di scopo → l’accordo di rete viene poi deliberato dal Consiglio di circolo o d’istituto. Con la Buona Scuola (L.107/2015) → si sono costituite delle reti di scuole in proporzione all’ambito territoriale di riferimento cioè le cosiddette reti di ambito, all’interno delle quali si può individuare la scuola capofila e diverse scuole-polo. Si pensi alle scuole polo per formazione o inclusione. Il Piano educativo territoriale → è una particolare forma di contratto formativo, sottoscritto tra scuola, famiglia e territorio (enti locali, agenzie, associazioni, ASL) sulla base di reciproci impegni per avere un miglioramento di un certo ambito dell’attività dell’istituzione scolastica. L'interlocutore privilegiato è la famiglia, che è la prima responsabile nell’educazione dei figli ma è anche destinataria dell’istruzione e formazione, costantemente informata sul percorso formativo. La famiglia quindi è sempre direttamente coinvolta anche nei progetti di formazione. Il Piano è un documento quindi che attesta l’identità del progetto del territorio e costituisce l’applicazione pratica del bisogno di integrazione dell’offerta formativa delle scuole con le risorse presenti sul territorio. Contratto formativo e Patto educativo di corresponsabilità Il Contratto formativo → è il documento che mostra i modi di funzionamento della scuola. È integrato dal Patto educativo di corresponsabilità; il contratto educativo sarebbe la dichiarazione esplicita dell’operato della scuola soprattutto per quanto riguarda il ruolo dei docenti e degli alunni. Scopo → ci deve essere reciproco impegno che i docenti e gli alunni si prendono date le finalità e gli obiettivi che si devono realizzare in un percorso formativo. Con questo contratto, il DS e i docenti espongono l’offerta formativa e famiglie e alunni riconoscono il curricolo d’istituto, esprimono il loro parere e collaborano per realizzarlo. Patto educativo di corresponsabilità → nasce con il DPR 235/2007 di modifica dello Statuto degli studenti della scuola secondaria – DPR 249/1998, che doveva indurire le misure sanzionatorie previste per gli alunni che compivano illeciti e che richiama le famiglie ad assumersi le proprie responsabilità nell’educare i figli. • incremento dell’alternanza scuola lavoro • valorizzazione di percorsi formativi individualizzati e coinvolgimento degli studenti • individuazione di percorsi e sistemi che vanno a premiare e valorizzare il merito di alunni e studenti • alfabetizzazione e perfezionamento dell’italiano come lingua seconda attraverso corsi e laboratori per studenti di cittadinanza o di lingua non italiana • definizione di un sistema di orientamento A differenza di RAV e Piano di Miglioramento,per il PTOF non c’è un format prestabilito → questo perché si vuole evitare di ingabbiare l’autonomia delle scuole in parametri troppo rigidi, per questo quelle emanate dal Ministero sono delle semplici linee guida. Con Nota 11-12-2015 n.2805 → il Ministero ha dato delle indicazioni per la redazione del PTOF, sempre nel rispetto dell’autonomia delle scuole, affinche esso sia coerente con il procedimento di valutazione → il PTOF deve essere coerente con l’autovalutazione (RAV) e quindi avere le stesse priorità e gli stessi obiettivi che si possono realizzare anche attraverso forme di flessibilità didattica e organizzativa. Con Nota 16-10-2018 n.17832 → il Ministero ha indicato la procedura da seguire per rinnovare il PTOF quando finisce il primo triennio di vigenza e a valere per il triennio 2019-2022 → per questo motivo è stata predisposta un’apposita area applicativa SIDI, la piattaforma PTOF, per le istituzioni scolastiche che possono modificare il modello → la compilazione online è facoltativa ma serve a supportare le scuole con riferimenti comuni per l’autovalutazione del miglioramento, della progettualità triennale e della rendicontazione. Il documento che viene compilato sulla piattaforma può essere stampato in PDF e sottoposto alla delibera del Consiglio d’Istituto. Il curricolo della scuola Nel PTOF le scuole determinano il curricolo obbligatorio per i propri alunni (art 8 dpr 275/1999). Il curricolo è il percorso educativo-didattivo che la scuola, all’interno del suo PTOF, progetta per garantire il successo formativo degli alunni cioè per far conseguire gradualmente agli alunni gli obiettivi di apprendimento e le competenze specifiche delle varie discipline. → è elaborato dal Collegio dei docenti (insieme a famiglie e componenti civili e sociali del territorio) → il curricolo può essere costruito in verticale e in orizzontale. La scelta del curricolo è a discrezione della scuola che in modo autonomo può scegliere il percorso da seguire in base alle varie esigenze degli alunni che frequentano la scuola → quindi il curricolo è il piano di studi della singola scuola che deve essere elaborato rispettando il monte ore stabilito a livello nazionale; così facendo ogni scuola cerca di creare un’offerta formativa diversa in base al contesto sociale in cui opera. In ogni curricolo c’è una quota obbligatoria di attività e discipline stabilite a livello nazionale e una quota definita in modo autonomo (cosiddetta riservata) da ogni istituto come ampliamento dell’offerta formativa. Deve essere sempre garantito il carattere unitario del sistema di istruzione e deve essere valorizzato il pluralismo culturale e territoriale. Le scuole possono usare la quota oraria che gli è stata assegnata per: - fare compensazioni tra le discipline e le attività di insegnamento previste dagli attuali programmi - attivare altri insegnamenti che vogliono raggiungere gli obiettivi previsti dal PTOF Programmazione curricolare → ogni scuola predispone il curricolo rispettano le finalità, i traguardi per lo sviluppo e gli obiettivi posti dalle Indicazioni Nazionali, che costituiscono il quadro di riferimento per la progettazione curricolare affidata alle scuole. Quindi il curricolo si articola attraverso: • campi di esperienza nella scuola dell’infanzia • discipline nella scuola del primo ciclo • individuazione dei traguardi per lo sviluppo delle competenze • obiettivi di apprendimento (cioè le conoscenze e le attività indispensabili per raggiungere le competenze attese) L’attività di programmazione nella scuola Quest’attività si esplica in 3 momenti fondamentali: 1. programmazione d’istituto → viene elaborata dal Consiglio di istituto, che individua le finalità educative generali dopo aver preso tutte le info che provengono dal contesto in cui opera la scuola. Ad esempio: dotazione della scuola in termini di spazio (presenza di laboratori, aule speciali ecc..); dotazione della scuola per quanto riguarda il personale docente; dotazione di materiali; numero di alunni per classe e presenza di classi parallele; rendimento scolastico complessivo e nelle singole materie; provenienza socio culturale degli alunni 2. programmazione educativa → elaborata dal Collegio docenti, che progetta i percorsi formativi correlati agli obiettivi e alle finalità dei programmi, della scuola nel suo complesso; questa programmazione si riferisce agli obiettivi che riguardano lo sviluppo della personalità quindi l’area sociale (le relazioni con gli altri), area cognitiva (saper e saper fare), area motoria (buon uso del proprio corpo nello spazio), area affettiva (saper essere). 3. programmazione didattica → elaborata dal Consiglio di intersezione, di interclasse o di classe, che delinea il percorso formativo della classe e del singolo alunno. Il lavoro del Consiglio d’Istituto e del Collegio dei docenti è preposto a quello del Consiglio di classe, che deve fare un’analisi più realistica della situazione di partenza degli alunni → infatti ogni classe ha delle caratteristiche diverse e bisogni diversi quindi ogni Consiglio di classe deve adattare la programmazione alle esigenze degli allievi. La prima cosa da fare è verificare i prerequisiti e le abilità, poi bisogna individuare interventi didattici mirati. → la programmazione didattica consiste in quindi in delle operazioni fatte dall’insegnante per organizzare il proprio lavoro didattico in un tempo definito, all’interno della scuola in cui lavora; inoltre traduce gli obiettivi educativi in attività da fare in classe per raggiungere i traguardi prefissati. Il Piano annuale delle attività dei docenti → il Dirigente all’inizio dell’anno scolastico deve fare anche il Piano annuale delle attività dei docenti, che trova le fondamenta nelle scelte fatte nel POF (art 28 comma 4 CCNL 2006-2009) → questo piano formalizza gli obblighi di lavoro dei docenti che servono per le attività di insegnamento. Secondo l’art 28 → il piano è deliberato dal Collegio dei docenti; il piano definisce gli impegni lavorativi del personale docente e può prevedere attività aggiuntive. La progettazione del processo formativo Il continuo cambiamento e innovazione della scuola negli ultimi anni richiede una revisione costante anche degli strumenti di progettazione e valutazione del processo formativo → ciò richiede capacità progettuali elevate che coinvolgono la scuola a tutti i livelli: Dirigenti, collegio dei docenti, consiglio di classe docenti ecc Macro e micro progettazione a scuola → Per progettazione si intende l’insieme di tutte le strategie formative messe in atto dalla scuola nel suo complesso e dal singolo dicente e consistono nell’elaborazione di una programmazione che serve a raggiungere certi obiettivi educativo-didattici prefissati → si individuano perciò tutti gli strumenti necessari. In particolare il PTOF è inserito nella macro progettazione (o progettazione di massima), che è il primo livello di progettazione; si trova al di sopra della micro progettazione che invece riguarda la programmazione nel dettaglio. La progettazione, tenendo conto dei bisogni, definisce gli obiettivi e le strategie per raggiungerli (quindi attori, tempi, ruoli) tenendo conto delle risorse disponibili (docenti, attrezzature, risorse economiche..) → quindi la progettazione/programmazione consiste nell’elaborare tutti i documenti necessari che formalizzano queste strategie didattiche. → la programmazione è un obbligo di legge nel nostro sistema scolastico → è prevista per finalizzare in modo efficace i processi di insegnamento ma è anche la più alta espressione dell’autonomia didattica delle scuole (che con la loro progettazione curricolare danno la loro migliore offerta formativa). La macroprogettazione è a monte della micro progettazione, in cui rientrano la programmazione annuale ma anche la singola lezione. La lezione viene elaborata dal docente, definendo i metodi didattici, le tecniche per il raggiungimento degli obiettivi. I docenti elaborano la programmazione didattica in modo individuale per le materie che insegnano, ma anche collegialmente quando ci sono i Collegi di docenti e consigli di classe. Quindi i principali riferimenti della microprogettazione sono: - PTOF - documenti ministeriali, come le Indicazioni nazionali (per infanzia e primo ciclo), Indicazioni nazionali (per licei) e Linee guida (per i programmi degli istituti tecnici e liceali). - le peculiarità culturali del territorio di riferimento e le esigenze formative della comunità in cui si opera - le caratteristiche socio culturali e cognitive degli studenti CAP. 9: SCUOLA DELLE COMPETENZE E DOCUMENTI EUROPEI IN MATERIA EDUCATIVE Il concetto di competenza Ci sono varie definizioni per il termine “competenza” → diciamo che in generale il possesso di competenze permette di usare la capacità di orientarsi in modo adeguato in certi campi e padroneggiare situazioni compresse. La competenza può essere percepita quindi come insieme delle competenze, delle abilità e degli atteggiamenti che permettono ad un individuo di ottenere dei risultati utili al proprio adattamento negli ambienti per lui significativi → si manifesta come capacità di affrontare e padroneggiare i problemi della vita attraverso l’uso di abilità cognitive e sociali. Si può distinguere tra: • competenze cognitive → riguardano l’acquisizione dei concetti • competenze metacognitive → cioè la consapevolezza e il controllo dei propri processi di apprendimento • competenze trasversali → permettono di affrontare e di risolvere problemi, prendere decisioni, avere delle soluzioni creative Ogni scuola predispone del curricolo, all’interno del POF nel rispetto dei traguardi per lo sviluppo delle competenze degli obiettivi formativi previsti dai documenti ministeriali → questi traguardi rappresentano riferimenti per gli insegnanti. Le competenze nel contesto scolastico italiano L’introduzione del concetto di competenza in Italia è recente → compare in modo esplicita nel 1998 con il Regolamento relativo al nuovo esame di stato → art 1 “Finalità dell’esame di stato” → si afferma che “l’analisi e la verifica della preparazione di ogni candidato devono accertare le conoscenze generali e specifiche, le competenze in quanto possesso di abilità e le capacità elaborative, logiche e critiche acquisite”. Legge di riforma Berlinguer/De Mauro del 2000 → le competenze diventano elementi fondanti, tanto che all’art 1 si dice che → “La Repubblica da a tutti pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le conoscenze, le capacità e le competenze coerenti con le scelte personali, adeguate all’inserimento nella vita sociale e del mondo del lavoro anche con riguardo alle specifiche realtà del territorio”. L.53/2003 art.2 dice che “è promosso l’apprendimento in tutto l’arco della vita e sono dati a tutti pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare capacità e competenze, attraverso conoscenze e abilità coerenti con attitudini e scelte personali”. Nel Profilo educativo, culturale e professionale dello studente (dlgs 59/2004) vengono precisate le competenze che dovrebbe avere uno studente alla fine del primo ciclo di istruzione → un ragazzo è considerato competente quando usa le competenze apprese per: esprimere un suo parere personale, risolvere problemi che incontra, riflette su se stesso, matura il senso del bello, da senso alla vita. Dopo la Raccomandazione europea del 2006, le competenze sono state recepite definitivamente nel nostro ordinamento scolastico con le Indicazioni nazionali e le Linee guida. La Raccomandazione sulla promozione di valori comuni europei del 2018 Nel 2018 il Consiglio europeo ha adottato anche la raccomandazione sulla promozione di valori comuni, di un’istruzione inclusiva e della dimensione europea dell’insegnamento. Obiettivi → rafforzare la coesione sociale e cercare di contrastare l’avanzata del populismo, della xenofobia e del nazionalismo, che sono fonti di divisioni alimentate spesso dalle fake news. La Raccomandazione si fonda sul rispetto della dignità umana, della libertà della democrazia ecc.. ispirandosi a questi valori, l’UE è riuscita a riunire paesi e persone in un progetto unico permettendo all’Europa di vivere il più lungo periodo di pace della sua storia → inoltre ha promosso la stabilità e la prosperità. L’unione e i nuovi stati si devono confrontare su nuove sfide come la xenofobia, discriminazione, diffusione di fake news, disinformazione → questi sono una grave minaccia per le nostre democrazie. È stato evidenziato che nei paesi membri c’è un livello abbastanza basso di conoscenza dell’UE tra i suoi cittadini (es poche persone sanno quali sono gli stati che ne fanno parte) → la mancanza di consapevolezza riguardo le origini dell’unione favorisce la disinformazione e impedisce che si formino opinioni oggettive sulle sue azioni. Quindi è necessario per l’UE promuovere l’identità europea grazie all’istruzione e alla cultura. La promozione di un’identità europea non collide con le identità nazionali che anzi possono coesistere in modo positivo senza contraddirsi tra loro → è stato visto che gli studenti con livelli di conoscenza civica più elevati tendono ad essere quelli con atteggiamenti più tolleranti. Le competenze nelle Indicazioni nazionali Per adeguarsi alle direttive UE del 2006, con il DM 31.7.2007 vennero emanate le nuove Indicazioni per il curricolo, per scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione → l’obiettivo principale: ridefinire la finalità e le linee guida di questi gradi di scuola. Le nuove Indicazioni volevano preparare i giovani al futuro e alla vita adulta, fornendo le loro competenze indispensabili per essere protagonisti nella realtà socio economica in cui agiscono. Le indicazioni nazionali del 2012, aggiornate con il documento Nuovi Scenari (2018) confermano soprattutto per la scuola primaria, il tema delle competenze. Le competenze culturali si innestano nei saperi delle disciplina, implicando nuovi metodi; il termine “competenze” rimanda a un’idea di apprendimento attivo, cioè a qualcosa che rimane negli alunni anche al di fuori della scuola. Quindi nelle Indicazioni viene promossa una didattica per competenze, che serve a → valorizzare esperienze e conoscenze degli alunni; fare interventi adeguati per le singole diversità; promuovere l’apprendimento per scoperta; promuovere apprendimento collaborativo; avere consapevolezza del proprio stile di apprendimento; sviluppare la laboratorialità. Nuova concezione della scuola → gli apprendimenti attesi vengono chiamati “traguardi per lo sviluppo delle competenze”, non più “risultati finali”. La valutazione è formativa e non ha l’obiettivo prioritario di giudicare e sanzionare ma stimolare il miglioramento continuo. SEZIONE II LA NORMATIVA SULL’INCLUSIONE CAP.1: LA NORMATIVA SULL’INTEGRAZIONE DEGLI ALUNNI DISABILI: STORIA ED EVOLUZIONE Dall’integrazione all’inclusione Solitamente si usano termini come integrazione e inclusione come sinonimi, in ambito scolastico, però il concetto di integrazione è un concetto superato (in origine si pensava che i disabili dovessero seguire processi di istruzione diversi da quelli ordinari) → il concetto di integrazione fa riferimento agli anni 70 in cui si voleva l’inserimento del disabile in una classe comune. Dal 2009 → si è passati dal concetto di integrazione al concetto di inclusione → cioè non è l’alunno con i problemi che si deve integrare in una classe con alunni normodotati ma è la scuola e quindi la classe che lo deve includere e accogliere. Le norme però non bastano a risolvere il problema dell’inclusione; serve un impegno importante. Per parlare di inclusione serve il riconoscimento e il rispetto di attitudini personali. L’inclusione degli allievi stranieri per esempio potrebbe essere una occasione preziosa per la scuola per confrontare storie diverse → è importante il senso della memoria (cioè il patrimonio simbolico e ricco che è ereditato dalle generazioni precedenti). → la storia non serve solo per conoscere il passato ma anche per indirizzare il presente verso un futuro. Essendo consapevoli della nostra storia, possiamo confrontarci e accogliere altre storie collettive → quindi i docenti devono fare un profondo cambiamento di stile e di comportamento e anche una grande capacità di progettare percorsi formativi in collaborazione con tutti quelli che sono responsabili dell’educazione dei ragazzi → quindi famiglie, territorio, enti locali in modo da sviluppare una struttura formativa sistemica. Così la scuola diventa un posto in cui si fa riflessione critica. L’integrazione scolastica in Italia L’integrazione degli alunni con disabilità è un processo iniziato 30 anni fa ma ha bisogno di continui interventi → l’idea di una scuola aperta a tutti nasce in Italia negli anni dopo la contestazione giovanile del 1968 (movimenti studenteschi in Europa con tante manifestazioni). La protesta era verso la scuola che rifletteva le profonde differenze sociali. L’impegno politico era una caratteristica costante degli studenti e anche la ricerca di modi per esprimere la loro diversità → le lotte studentesche misero in luce le contraddizioni della società, contribuendo a cambiare i rapporti tra cittadini e istituzioni. In questo contesto, alcuni pedagogisti e insegnanti si posero il problema che una scuola accessibile a tutti i componenti della società dovessero esserlo soprattutto per gli alunni svantaggiati e ai disabili (che fino ad allora erano nelle “scuole speciali”). L.118/1971 In questa legge si introduce per la prima volta il principio per cui per i minori invalidi civili, l’istruzione obbligatoria deve avvenire nelle classi normali della scuola pubblica (salve gravi casi di deficienze intellettuali o fisiche da impedire l’inserimento → art.28). Art.28 → è il presupposto normativo per l’inserimento scolastico degli alunni che sono portatori di qualsiasi tipo di handicap (con eccezioni già dette, nella scuola elementare e media). Quindi a prescindere dal tipo di handicap e dalla sua gravità, questi alunni vanno inseriti nelle classi comuni. L’applicazione di questa legge si estende anche alle scuole superiori e alle università, per le quali si dice che la frequenza degli invalidi e mutilati civili deve essere facilitata (anche al pre e al doposcuola). Definizione di invalidi e mutilati civili → è contenuta nell’art. 2 comma 2 di questa legge → “i cittadini che hanno minoranze congenite o acquisite, anche a carattere progressivo, compresi gli irregolari psichici, insufficienze mentali che derivano da difetti sensoriali e funzionali che hanno subito una riduzione permanerne della capacità lavorativa non inferiore a 1/3 o, se minori di 18 anni, che abbiano difficoltà persistenti a svolgere compiti e funzioni tipiche della loro età”. L’art.28 ha anche delle misure per garantire la frequenza scolastica degli alunni non autosufficienti: • il trasporto gratuito dalla propria casa alla scuola, a carico dei patronati scolastici o dei consorzi • l’accesso alla scuola attraverso accorgimenti per superare e eliminare le barriere che ne impediscono la frequenza • l’assistenza durante gli orari scolastici degli invalidi più gravi Sono previste poi ulteriori misure per assicurare il diritto allo studio per minori con handicap nei centri di degenza e recupero (art.29). Il Documento Falcucci (1975) E’ un documento che introduce la frequenza degli alunni disabili nelle classi comuni → è il cosiddetto Documento Falcucci del 1975 (sui problemi degli alunni handicappati) → questo documento fu allegato alla CM 227/1975 “Interventi a favore degli alunni handicappati” al fine di garantirne una sua ampia diffusione da parte tutto il personale scolastico. La circolare 227/1975 è stata la prima delle circolari che poi ci sono state nel 1976 e 1977 a recepire le disposizioni introdotte dalla L.118/1971. Nel documento si legge → “il superamento di qualsiasi forma di emarginazione degli handicappati passa attraverso un nuovo modo di concepire e di attuare la scuola, così da poter accogliere veramente ogni bambino e ogni adolescente per favorirne lo sviluppo personale, precisando che la frequenza delle scuole comuni da parte dei bambini handicappati non implica il raggiungimento di mete culturali minime comuni. Quindi ci deve essere uno stesso criterio di valutazione dell’esito scolastico.” In questo documento si parla per la prima volta di “Progetto educativo” cioè un modello di insegnamento che attribuisce ad un gruppo di insegnanti interagenti la responsabilità verso un gruppo di alunni con la necessità quindi di programmare e verificare il progetto educativo, con la collaborazione di specialisti. Ovviamente si ha sempre la responsabilità giuridica degli insegnanti verso gli alunni a cui sono affidati → per la scuola elementare è previsto un insegnante in più (che è di ruolo e particolarmente esperto) ogni 3 gruppi di allievi → l’insegnante in più è l’insegnante di sostegno, che era stato pensato come esperto, molto competente e quindi uno specialista della metodologia didattica. Oggi se lo rileggiamo il documento Falcucci è estremamente moderno → ci sono termini oggi molto ricorrenti come disadattamento, emarginazione scolastica e sociale dei bambini diversamente abili. Con questo documento inizia l’integrazione scolastica degli alunni disabili nelle classi comuni. L. 517/1977 → è il primo testo legislativo volto a disciplinare in modo completo l’integrazione degli alunni portatori di handicap. Questa legge prevede che tutti gli alunni con handicap accedano alle scuole elementari e medie, quindi abolisce le classi differenziali per gli alunni svantaggiati e introduce alcuni strumenti necessari come l’insegnante di sostegno nelle elementari e medie e anche il principio dell’individualizzazione dell’insegnante. Per la scuola elementare l’art 2 stabilisce che → la programmazione può includere attività scolastiche integrative fatte per gruppi di alunni della stessa classe oppure di classi diverse, per realizzare degli interventi individualizzati in base alle esigenze degli alunni. Quindi la scuola attua forme di integrazione per gli alunni con handicap, grazie agli insegnanti di sostegno. Art. 7 dice che per la scuola media sono previste → forme di integrazione a sostegno degli alunni con handicap da realizzare attraverso l’uso dei docenti (di ruolo o non) in servizio nella scuola media e che hanno particolari titoli di specializzazione, che ne fanno richiesta per ogni classe e per un numero massimo di 6 ore settimanali. Le classi che hanno handicap hanno max 20 alunni → in queste classi deve essere assicurata una necessaria integrazione specialistica, il servizio socio psico pedagogico e forme particolari di sostegno. Già con i documenti del 75 si parlava di un nuovo modo di vedere la scuola, con l’introduzione dei gruppi di lavoro → la Circolare 227 proponeva un modello di scuola aperta in cui ha importanza il lavoro di gruppo. Con questa legge queste cose trovano espressione nella programmazione educativa collegiale. → poi la CM 199/1979 ha fatto chiarezza sulle “particolari forme di sostegno” e dice che l’integrazione si raggiunge solo se all’alunno viene garantita una giusta partecipazione attiva alle attività didattiche → questa circolare definisce la figura dell’insegnante di sostegno. Le Linee guida per l’accoglienza degli alunni stranieri → Nota 4233/2014 La nuova normativa sui BES include nell’area dei bisogni speciali gli alunni con svantaggio socio economico, linguistico o culturale. Sono difficoltà che possono insorgere in qualsiasi fase dell’anno scolastico e che nella maggior parte dei casi, hanno carattere transitorio → questo svantaggio richiede un’attenzione particolare da parte del team docente. Per quanto riguarda l’inserimento degli stranieri in classe, alunni spesso in difficoltà sul piano linguistico e culturale, sia per l’infanzia sia per il primo ciclo di istruzione, le Indicazioni nazionali del 2012 dicono che “una particolare attenzione va data agli alunni con cittadinanza non italiana che, ai fini dell’integrazione, devono avere sia un giusto livello di uso e controllo della lingua italiana ma anche un sicura padronanza linguistica e culturale” → ci possono essere alunni venuti da poco in Italia (immigrati 1 generazione( o alunni nati in Italia (immigrati 2 generazione) → alcuni alunni hanno bisogno di interventi differenziati che non riguardano solo l’italiano ma anche la progettazione dei docenti di tutte le altre materie. Quindi da questo documento ci sono degli impegni educativi che la scuola ha → la scuola infatti deve promuovere l’integrazione culturale e la valorizzazione della cultura di appartenenza per favorire lo scambio di diversità. Gli alunni di cittadinanza non italiana hanno diritto all’istruzione alle stesse condizioni degli alunni italiani → quindi come gli italiani hanno l’obbligo di iscriversi alle scuole statali e paritarie. L.47/2017 (art.14) → riconosce il diritto all’istruzione anche ai minori stranieri non accompagnati, cioè quei minori che sono sempre di più a causa dell’emergenza umanitaria degli ultimi anni e che vengono in Itala senza genitori o senza un adulto → quando i minori vanno nelle strutture di accoglienza devono essere integrati nelle scuole che devono creare misure e progetti per assolvere l’obbligo scolastico. I titoli che poi si prendono sono rilasciati ai minori con i dati identificativi acquisiti al momento dell’iscrizione (perché ii minori spesso vengono in Italia senza documenti). La loro iscrizione a scuola può avvenire in qualsiasi momento dell’anno scolastico. Art.45 del DPR 394/1999 → “Regolamento sull’immigrazione” → da le indicazioni e l’inserimento degli alunni con cittadinanza non italiana, dando al Consiglio di circoli/istituto e al Collegio dei docenti la responsabilità per un giusto inserimento che tenga conto dell’età. Dunque le Linee guida del 2014 regolamentano l’iscrizione, l’accoglienza e l’integrazione dei bambini. La valutazione (dlgs 62/2017) → merita un’attenzione particolare, soprattutto per gli alunni disabili → ci sono tanti riferimenti normativi che sono stati riorganizzati tutti nel D.Lgs 62/2017 → esso è dedicato alla valutazione, certificazione delle competenze ed esami di Stato, che dedica degli articoli specifici agli alunni con disabilità, DSA e altri BES. Lo scenario internazionale: Convenzione ONU ratificata con la L.18/2009 e ICF La Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità (ratificata con la legge 18/2009) impegna tutti gli Stati firmatari a prevedere forme di integrazione scolastica nelle classi comuni (l’Italia è stata tra i primi paesi ad integrare gli alunni disabili nella scuola). Nell’Introduzione della Convenzione si afferma il “modello sociale della disabilità” secondo cui la disabilità è dovuta all’interazione tra il deficit di funzionamento della persona e il contesto sociale. → ICF (International Classification of Functioning) che si è un modello di classificazione biopsicosociale attento all’interazione fra la capacità di funzionamento di una persona e il contesto sociale in cui vive. L’ICF deriva dalla classificazione ICIDH del 1980 → ICF non ha riferimenti alla malattia ma si concentra solo sul funzionamento → applicando l’ICD10 e ICF in modo complementare si può ottenere un quadro complessivo della malattia e dello stato di salute dell’individuo. Il linguaggio nell’ICF è stato creato per essere usato a livello internazionale sia in ambito clinico che negli studi di salute e politica; è un linguaggio neutrale quindi è stato specificato nei minimi dettagli. Nella 2 parte della Convenzione invece l’attenzione è sull’integrazione scolastica, evidenziando le problematiche e formulando proposte di intervento concernenti vari aspetti. Si riconosce la responsabilità educativa a tutto il personale della scuola e si ribadisce la necessità di fare una corretta progettazione individualizzata per l’alunno con disabilità. La Strategia europea sulla disabilità La Strategia europea sulla disabilità (2010-2020) nasce nell’ambito della strategia politica Europa 20 → lo scopo è implementare l’inclusione dei soggetti disabili, garantendone il benessere e il pieno esercizio dei propri diritti. La Strategia Europa 2020 vuole far crescere i paesi dell’UE sotto 3 profili: 1. intelligenza, promuovendo lo sviluppo delle conoscenze e dell’innovazione 2. sostenibilità 3. inclusività, per promuovere occupazione e coesione sociale/territoriale Per raggiungere questo obiettivo, serve un’azione combinata dei diversi paesi che hanno condiviso il documento. La Strategia vuole promuovere un Europa senza barriere, in cui i disabili possono partecipare alla vita sociale ed economica, come previsto da documenti come la Carta europea dei diritti fondamentali e il Trattato di Lisbona. La Commissione Europea ha individuato 8 aree di azione congiunta tra gli Stati membri dell’UE: 1. Accessibilità (cioè i disabili devono poter usare liberamente beni e servizi di assistenza; loro devono poter accedere a trasporti, strutture, tecnologie dei normodotati) 2. Partecipazione: i disabili devono godere dei diritti legati alla cittadinanza dell’UE → quindi bisogna rimuovere gli ostacoli alla mobilità dei disabili, assicurare assistenza ospedaliera; accessibilità a strutture e servizi non solo medici ma anche sportivi e culturali 3. Uguaglianza: tutti i paesi membri devono applicare la legge europea in materia di contrastare le discriminazioni 4. Occupazione: uno degli obiettivi della strategia è l’aumento dei lavoratori disabili sul mercato 5. Istituzione e formazione: i disabili devono accedere all’istruzione/formazione anche con misure di accompagnamento individuale e col supporto di figure professionali nel campo educativo → i disabili devono accedere ai programmi di mobilità studentesca dell’UE (Giovani in movimento) 6. Protezione sociale: rientrano le misure per contrastare i rischi di disparità di reddito, povertà ed esclusione sociale a cui sono soggetti i disabili → quindi i paesi membri devono incentivare le misure di protezione sociale come i sistemi pensionistici o semplificare l’accesso ai servizi base 7. Salute: i paesi membri devono adeguare i costi delle strutture in modo da rendere accessibile al servizio chi lo chiede 8. Azione esterna: l’UE si impegna a sostenere lo sviluppo e l’aiuto dei paesi membri attraverso finanziamenti internazionali CAP.12: CENTRI TERRITORIALI E GRUPPI DI LAVORO PER L’INCLUSIONE Centri Territoriali di Supporto (CTS) e Centri territoriali per l’inclusione (CTI) Direttiva 27 dicembre 2012 → i Centri territoriali di supporto sono stati creati dagli Uffici Scolastici Regionali attraverso il Progetto Nuove Tecnologie e Disabilità per renderli punto di riferimento per le scuole. I CTS informano i docenti, alunni e studenti e genitori delle tecnologie disponibili → per questo organizzano incontri di presentazione di nuovi ausili, danno la notizia sul sito web o direttamente ai docenti e famiglie che sono interessati. I CTS organizzano iniziative di formazione su temi di inclusione scolastica e sui BES ma anche nelle tecnologie per l’integrazione; inoltre è necessario il contributo di un esperto che dica quale sia l’ausilio migliore da usare, per le situazioni più complesse → quindi i CTS offrono consulenza, coadiuvando le scuole nella scelta dell’ausilio e accompagnando i docenti nell’acquisizione di competenze. I Centri offrono consulenza anche riguardo i metodi didattici → la consulenza si estende a tutto l’ambito della disabilità e dei disturbi evolutivi specifici. Inoltre i CTS attivano modalità di collaborazione con i GIT (art.9 dlgs 66/2017) → inoltre i CTS possono promuovere intese e accordi con i servizi sociosanitari del territorio. La direttiva poi prevede che in un territorio più piccolo operano altre scuole come polo per l’inclusione cioè i Centri Territoriali per l’Inclusione (CTI) per assicurare la massima ricaduta possibile delle azioni di consulenza, formazione, monitoraggio perseguendo l’obiettivo di un maggior coinvolgimento degli insegnanti. Il ruoli dei CTS ribadito nella circolazione 8/2013. I gruppi di lavoro per l’inclusione Con il dlgs 66/2017, è stato modificato l’art 15 della legge 104 → vengono istituiti nuovi gruppi per l’inclusione scolastica. Nel nuovo art.15 della legge 104 vengono disciplinati: • Gruppo di lavoro interistituzionale regionale (GLIR) con decorrenza dal 1 settembre 2017 presso ogni USR → ha compiti di consulenza e proposte all’USR per definire e verificare gli accordi di programma; presieduto dal dirigente o da un suo delegato; partecipano i rappresentanti delle regioni, degli enti locali e delle associazioni dei disabili • Gruppo per l’inclusione territoriale (GIT) con decorrenza dal 1 settembre 2019 → nelle città metropolitane è istituito il Gruppo per l’inclusione territoriale (GIT) → il GIT è fatto da personale docente esperto nell’ambito dell’inclisione e nelle metodologie didattiche inclusive; è nominato dal direttore generale dell’USR ed è coordinato da un dirigente tecnico o scolastico. Il GIT conferma la richiesta mandata dal DS sul fabbisofno di misure di sostegno. Il GIT supporta le scuole nella definizione del PEI. Il Git inoltre è integrato da: - associazioni più rappresentative delle persone con disabilità nell’inclusione scolastica – dagli enti locali e dalle aziende sanitarie locali. • Gruppo di lavoro per l’inclusione (GLI) con decorrenza dal 1 settembre 2017 → viene istituito presso ogni istituzione scolastica per stabilire le linee di indirizzo della scuola per l’inclusione di tutti gli alunni con BES. Il GLI è composto da docenti curricolari, docenti di sostegno e specialisti dell’azienda sanitaria locale → il gruppo è nominato e presieduto dal DS e deve supportare il collegio dei docenti nella definizione del PEI ma anche i docenti e i Consigli di classe nell’attuazione del PEI. Fa consulenza e supporto agli studenti, genitori. Alle riunioni del GLI partecipa un rappresentante dell’ente territoriale competente. Il GLI collabora con il GIT e con le istituzioni pubbliche e private sul territorio. → in ogni scuola è istituito il Gruppo di lavoro operativo (GLO) → per definire il PEI e verificare il processo di inclusione, compresa la proposta di quantificare le ore di sostegno per l’inclusione dei singoli alunni con accertata condizione di disabilità per l’inclusione scolastica. GLO → composto da docenti contitolari o dal Consiglio di classe; i docenti di sostegno (contitolari) fanno parte del consiglio di classe o dei docenti; al GLO partecipano anche i genitori del disabile, le figure professionali specifiche che interagiscono con la classe e con l’alunno con disabilità. Possono partecipare alle riunioni anche altri specialisti che operano nella scuola. Il GLO elabora e approva il PEI. IL PIANO PER L’INCLUSIONE → è un documento dettagliato redatto da ogni scuola nell’ambito del PTOF, in riferimento a tutti gli alunni con BES, compresi i disabili. Definisce le modalità di uso delle risorse umane, finanziarie disponibili compreso l’uso di misure di sostegno sulla base del PEI di ogni bimbo o studente, per il superamento delle barriere, per individuare degli interventi di miglioramento della qualità dell’inclusione scolastica → art.8 dlgs 66/2017 e dlgs 96/2019. Questi piani vengono approvati dal GLI e elaborati dal Collegio dei docenti. Gli obiettivi di una programmazione sono di 2 tipi: • educativi → servono per tutte le discipline • didattici → sono specifici di una dispciplina e si devono tradurre in conoscenze, competenze e capacità Sono interventi trasversali; quindi vanno individuayi gli obiettivi specifici per avere determinati esiti; poi vanno individuati gli interventi didattici e metodologici, strategie e strumenti che servono a raggiungere degli obiettivi, l’attività di verifica per verificare gli obiettivi raggiunti. Fanno parte della programmazione: contenuti, tempi, metodi, strumenti, verifiche, valutazione. La progettazione didattica → la progettazione del PEI viene messa all’interno della programmazione della classe e segue le sue stesse regole, solo che si rivolgee ad un singolo alunno, non a tutta la classe. La progettazione didattica però deve considerare gli interveti di inclusioni fatti nel percorso della classe e dell’alunno disabile, indicando le modalità di sostegno, obiettivi, strategie e strumenti (a partire dalla scuola primaria). Nell’infanzia questa progettazione (insieme a tutti gli altri docenti) riguarda interventi educativi nei diversi campi di esperienza. È indicato: • se l’alunno disabile segue la progettazione didattica della classe (in quel caso si applicano gli stessi criteri di valutazione) • se rispetto alla progettazione della classe sono fatte delle personalizzazioni e se il disabile è valutato allo stesso modo • se l’alunno disabile segue un percorso didattico differenziato, essendo iscritto alla scuola superiore, con verifiche non equipollenti • se l’alunno disabile è esonerato da alcune discipline di studio Inoltre nel PEI si indica il tipo di percorso didattico seguito dallo studente, che può essere: • percorso didattico ordinario (che è conforme alla progettazione della classe) • percorso didattico personalizzato (ci riferiamo ad un PEI semplificato o per obiettivi minimi) • percorso didattico differenziato (sulla base di un PEI differenziato) Le decisioni riguardo la validità delle prove di verifica spettano al Consiglio di classe (non del GLO); nel PEI si definiscono gli obiettivi da raggiungere in ogni disciplina e poi il Consiglio di classe dichiara se questi obiettivi sono stati raggiunti o meno. Il Consiglio di classe ha anche il compito di dire se quegli obiettivi permettono o meno di caratterizzare il percorso personalizzato fatto come valido per il conseguimento del titolo. Metodi e strumenti → ci sono vari metodi come il lavoro di gruppo, la ricerca azione ecc.. → la ricerca azione è caratterizzata da una continua evoluzione metodologica che serve all’analisi dei bisogni formativi degli alunni e dalla ricerca di risposte metodologiche e azioni concrete per raggiungere determinate competenze. La scelta dei criteri da usare per la valutazione e la verifica sono importanti nella programmazione curriculare e soprattutto nel PEI. Una cosa importante della programmazione riguarda la relazione tra gli obiettivi programmati e i destinatari dell’azione didattica → questo implica la conoscenza del livello di partenza degli alunni e gli interventi per avere una buona riuscita dell’azione formativa. Con la programmazione, l’azione formativa deve essere individualizzata, quindi non va bene un programma uguale per tutti ma si deve fare un percorso in base alle reali esigenze degli studenti. La definizione degli obiettivi rende trasparente il lavoro didattico → questo è il contratto formativo tra chi sta nella scuola e la comunità sociale. Prassi di programmazione didattica: una lezione inclusiva Il PEI è un documento articolato → di volta in volta, gli approcci disciplinari devono essere individuati in relazioni alle specificità personali dell’alunno → quindi nella declinazione della programmazione curricolare delle discipline (all’interno del PEI), i docenti devono tener conto di ogni obiettivo e ogni traguardo previsto per la classe di appartenenza, raggiungibili attraverso la proposta di contenuti adeguati. La progettazione di un intervento didattico in presenza di un allievo con disabilità deve tener conto di numerose variabili. Deve innanzitutto contenere: • l’analisi del contesto e la situazione di partenza degli alunni (es la sua autonomia, le relazioni, la partecipazione ecc..) • gli elementi di forza e di debolezza nell’integrazione • conoscenze, abilità e competenze da promuovere in base al PEI • l’unità di approfondimento di riferimento in relazione alla programmazione e alla valutazione diagnostica: - discipline coinvolte - docenti coinvolti - età degli alunni - periodo della proposta - modello di progettazione scelto (e motivazione) - traguardi previsti - obiettivi di integrazione ed inclusione - attività/esperienze - ambiente di apprendimento - metodologie - metodologie inclusive attivate - tecniche e strategie - mediatori La progettazione di un intervento didattico in presenza di un alunno con disabilità deve inoltre contenere gli adeguamenti necessari da apportare all’unità di apprendimento per il disabile, specificando che la valutazione dell’allievo con disabilità deve fare riferimento agli obiettivi indicati nel PEI. Ci sono inoltre elementi della progettazione che devono essere previsti e individuati nel dettaglio, affinché l’azione didattica abbia successo: • l’intervento didattico diviso in fasi (per ogni fase si deve specificare la durata, luogo, alunni e docenti coinvolti, materiali, l’individualizzazione e la personalizzazione per l’alunno certificato e/o con altri BE, nonché le metodologie, le tecniche e le strategie inclusive attivate per favorire l’integrazione dell’alunno con disabilità) • le diverse fasi dell’attività didattica cioè: 1. Input → cioè avvio dell’esperienza in forma ludica e in modo accattivante 2. Nucleo dell’intervento → con descrizione delle attività che possono essere divise in step ad esempio: innesco (cioè presentazione da parte dei docenti); potenziamento (cioè rinforzo attraverso la verbalizzazione da parte dei bambini con il supporto di domande stimolo, discussioni ecc); azione (cioè attività in gruppo con ruolo attivo dei bambini, a partire da quanto svolto negli step prima 3. Output → cioè la fase finale dell’intervento con descrizione dell’attività. Poi ci sono la verifica e la valutazione finale → si indica eventuale riprogettazione, se necessario. CAP. 4: LA PROFESSIONE DEL DOCENTE SPECIALIZZATO NEL SOSTEGNO DIDATTICO Come si diventa docente di sostegno? La disciplina del reclutamento dei docenti di sostegno trova nuova sistemazione con i decreti attuativi della buona scuola (59/2017 e 66/2017). Il dlgs 249/2010 ha stabilito che la specializzazione per l’attività di sostegno si consegue solo presso le università (art 13). L’attuale disciplina per accedere alla carriera di docente per il sostegno nella scuola materna e primaria è stata introdotta dal dlgs 66/2017 → è previsto il superamento di un concorso pubblico. Inoltre per diventare insegnate di sostegno si deve avere un titolo valido per insegnare (cioè la laurea in sfp o il diploma magistrale che da l’abilitazione e diploma sperimentale a indirizzo linguistico prima del 2001-2002). → bisogna avere anche un diploma di specializzazione (cioè il TFA) → quindi è richiesta una preparazione solida sul tema dell’inclusione anche se il requisito base è la laurea in scienze della formazione primaria. → accesso alla scuola secondaria → dlgs 59/2019 → ha inciso la legge di bilancio 2019 → ha stabilito che il docente deve superare un concorso nazionale e poi un percorso formativo (inizialmente di durata triennale cioè il FIT → 1 anno di specializzazione in pedagogia e didattica; 2 anno di formazione e tirocinio; 3 anno di inserimento nella funzione di docente. La legge di bilancio 2019 ha modificato il reclutamento dei docenti nella scuola secondaria → viene ridotto il periodo di formazione (che avviene dopo aver superato il concorso) ad 1 anno (non 3); in questo anno il docente farà una supplenza che vale come periodo di prova → superato questo si ha il ruolo. Il diploma di specializzazione è un titolo di accesso al concorso → per partecipare serve, per la scuola infanzia e primaria, la laurea in sfp o diploma magistrale entro il 2001; mentre per la scuola secondaria serve l’abilitazione alla classe di concorso e 24 cfu nelle materie socio psico pedagogiche. Riforma DL 36/2022 convertita in L.79/2022 → i CFU necessari sono 60 da svolgere dopo la laurea o dopo il percorso formativo → quindi ai percorsi di specializzazione per il TFA possono partecipare i docenti abilitati (come prima) ma anche i docenti non abilitati che hanno un titolo che da accesso almeno ad una classe di concorso più i CFU. La riforma del reclutamento dei docenti (iniziata con 36/2022 e convertita con legge 79/2022) prevede per i docenti di sostegno, oltre ad una fase transitoria, che fino al 31.12.2024 direttamente ai corsi di specializzazione (senza fare le prove di accesso), i docenti che hanno già fatto 3 anni di servizio negli ultimi 5 anni sul sostegno → questo è rivolto sia ai docenti precari che docenti di ruolo. Inoltre possono avere un’altra abilitazione in un’altra classe di concorso i docenti già abilitati e quelli che hanno il titolo di specializzazione per il sostegno, purché hanno il titolo di studio per accedere a classe di concorso, con l’acquisizione di 30 cfu del percorso formativo (20 in ambito metodologico e 10 di tirocinio). La nuova procedura di reclutamento di sostegno Con il DM 259/2022 è stata disciplinata la nuova procedura di reclutamento per il sostegno. Il concorso è nazionale ma su base regionale e si ricorre per assegnare posti residuali in caso di esaurimento delle graduatorie utilizzabili ai fini delle assunzioni a tempo indeterminato → la procedura dura per le scuole secondarie fino al 2025. Possono partecipare i docenti che hanno la specializzazione sul relativo grado, presentando una domanda per una sola regione e per tutti i posti per cui ha il titolo; la graduatoria è aggiornata ogni 2 anni. Per i contratti a tempo determinato, i docenti in posizione utile sono individuati e assegnati ad una scuola dove avranno un contratto di supplenza annuale → i docenti avranno una supplenza annuale (fino al 31 agosto). È poi previsto che i docenti svolgano un percorso di formazione e prova con test finale (previsto dal DM 226/2022); chi supera il percorso sarà ammesso alla prova disciplinare di idoneità con una commissione esterna. La prova disciplinare consiste in un colloquio di idoneità che serve a verificare il possesso e il giusto esercizio, anche dopo il superamento del percorso di formazione e anno di prova, delle conoscenze e delle competenze che servono alla progettazione educativa e individualizzata → viene verificata anche la capacità di elaborare, con gli altri membri del Consiglio di classe; degli interventi per apprendimento e socializzazione; la prova valuta anche la capacità di comprensione e conversazione di lingua inglese almeno al livello B2. Quelli che superano l’anno di prova e la prova disciplinare sono assunti a tempo indeterminato dall’anno scolastico successivo e confermati in ruolo nella scuola in cui hanno prestato servizio a tempo determinato. I percorsi di specializzazione Le prove di accesso e la formazione della graduatoria I percorsi di specializzazione sono dei corsi fatti dagli atenei, nel limite dei posti autorizzati per ogni ateneo con decreto del ministero. Ogni ateneo emana un bando che prevede il numero di posti disponibili per ogni percorso, i programmi delle prove di accesso ecc.. L’accesso al corso di specializzazione per il sostegno è subordinato al superamento di alcune prove predisposte per le singole università → test preliminare, una o più prove scritte (cioè pratiche) e una prova orale. Il test è fatto da 60 quesiti con 5 opzioni di risposta (con 1 scelta da fare); almeno 20 quesiti riguardano le competenze linguistiche e la comprensione dei testi in lingua italiana → risposta esatta vale 0.5 punti; mancata risposta e risposta errata 0 punti; test dura 2 ore. È ammesso alle prove successivo un numero di candidati pari al doppio dei posti disponibili e sono ammessi alla prova scritta, quelli che alla prova selettiva hanno fatto un punteggio uguale all’ultimo ammesso. Quindi il docente di sostegno fa parte del Consiglio di classe e partecipa alle operazioni di valutazione, con diritto di voto per tutti gli alunni della classe. Il dlgs 62/2017 ha confermato ciò dicendo che: nel primo ciclo di istruzione i docenti di sostegno partecipano alla valutazione di tutte le alunne e gli alunni della classe; se a più docenti di sostegno nel corso dell’anno scolastico viene affidato la stessa alunna, la valutazione viene espressa congiuntamente → questo avviene col fine di realizzare la piena integrazione scolastica che ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della persona con disabilità dell’apprendimento, comunicazioni ecc.. Si ricorda che il consiglio di classe è un organo collegiale perfetto → cioè vuole la presenza di tutti i suoi componenti per la legittimità delle decisioni che vengono prese con l’unanimità o a maggioranza. Quindi il collegio deve essere formato in maniera perfetta cioè tutti i membri effettivi del Consiglio di classe, compresi i docenti di sostegno devono essere presenti a pena di annullabilità delle decisioni prese. I compiti del docente di sostegno il docente di sostegno è una risorsa per la classe, alla quale da supporto per l’integrazione della programmazione didattica con il PEI per il disabile. Il suo lavoro è fatto da momenti diversi di impegno diretto con l’alunno, di collaborazione con i colleghi docenti, osservazione e documentazione sul lavoro da svolgere. A livello relazione, il docente di sostegno: • cura i rapporti con le famiglie, per condividere gli obiettivi didattici educativi • partecipa alla relazione con altri soggetti (es ente locale, ASL, servizi socio sanitari) • collabora con le scuole in rete Il docente prende visione di tutta la documentazione e le iniziative che la scuola ha attivato sull’inclusione (PAI, PTOF, Patto di corresponsabilità, RAV, Regolamento di istituto) e della documentazione relativa all’alunno disabile. Il docente di sostegno fa parte del Gruppo di lavoro operativo per l’Inclusione degli alunni (art.9 comma 10 dlgs 66/2017), nominato dal Dirigente scolastico, che ha il compito di redigere il PEI. Il docente di sostegno collabora con gli altri docenti: • nella programmazione didattica dell’alunno e della classe • nel predisporre modalità, strategie, contenuti che corrispondono ai bisogni degli allievi • evidenzia durante i consigli di classe e le riunioni, il proprio orario di presenza e il percorso scolastico (se differenziato o meno) • concorda e predispone valutazioni • concorda con il Consiglio, le famiglie e gli operatori. È nel Consiglio di classe si prende la decisione di raggiungimento degli obiettivi della classe, minimi rispetto alla classe, oppure se far seguire dei programmi diversi per alcune materie o per tutte. Inoltre gestisce i rapporti con le famiglie, instaurando un rapporto di fiducia in prospettiva di supporto e valorizzazione del potenziale dell’allievo. Inoltre provvede alla stesura di una relazione finale alla fine dell’anno scolastico in collaborazione con gli altri docenti della classe → questa relazione contiene le indicazioni precise sugli apprendimenti e sul percorso di crescita globale dell’alunno durante l’anno scolastico. I compiti di pianificazione e programmazione Il numero complessivo di ore di sostegno è stabilito nei documenti per la richiesta del sostegno didattico elaborati dal Consiglio di classe e può essere 18 ore (rapporto 1 a 1); 9 ore (rapporto 1 a 2); 6 ore (rapporto 1 a 3) oppure 4 ore e mezza (rapporto 1 a 4). I docente di sostegno nelle scuole del primo ciclo di istruzione, nel momento di pianificazione delle attività, deve proporre all’interno del consiglio di classe una particolare programmazione didattica per l’alunno disabile, sulla base del PEI. Il progetto però deve essere obbligatoriamente predisposto e deve scaturire dall’intero Consiglio di classe (cioè tutti i docenti curricolari e di sostegno) → deve contenere per ogni disciplina: strategie didattiche da seguire, criteri per valutare i risultati realizzati, gli obiettivi didattici che si vogliono realizzare. Si possono usare particolari criteri didattici, attività integrative e di sostegno. Per quanto riguarda la programmazione curricolare con obiettivi minimi cioè quelli riconducibili a quelli della classe, le finalità, i criteri di valutazione e gli obiettivi sono quelli delle discipline curricolari.