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Letteratura e giornalismo, Clotilde Bertoni, Appunti di Sociologia

Riassunto esaustivo del manuale per capitoli.

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 15/03/2023

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Scarica Letteratura e giornalismo, Clotilde Bertoni e più Appunti in PDF di Sociologia solo su Docsity! LETTERATURA E GIORNALISMO, CLOTILDE BERTONI SCRITTORI GIORNALISTI, GIORNALISTI SCRITTORI Il capitolo è incentrato sugli autori che si muovono a cavallo fra letteratura e giornalismo; si tratta di scrittori giornalismi la cui duplice attività si configura non solo come lavoro parallelo ma come interazione fertile tale da incoraggiare nuove forme di giornalismo e dare nuovo impulso alla letteratura. Gli spunti sono presi dai settori principali della stampa (inchiesta, reportage, cronaca nera). 1. Giornalismo e romanzo alla conquista della modernità La storia del giornalismo trabocca di scrittori. Almeno fino al Novecento inoltrato –quando la definizione delle competenze del giornalismo si fa più rigida- il giornalismo rimane tappa di passaggio per molti scrittori: per coloro che “si fanno le ossa” nei quotidiani e nelle riviste, per chi li utilizza come trampolini di lancio, per chi vi si lega per necessità economiche; ma ci sono anche coloro che non si limitano a collaborazioni attinenti ai propri interessi, cioè coloro che fanno del giornalismo a tutti gli effetti –inviati speciali, cronisti, commentatori di sport-. È inevitabile una selezione, attenta, però, a privilegiare scrittori giornalisti fino in fondo, il cui doppio percorso non si limiti a un’esperienza parallela, ma comporti un’intensa sinergia fra i due campi, un fitto gioco di flussi reciproci. La stampa periodica fatica parecchio a guadagnare prestigio: nel Seicento è bersagliata sia dai pensatori reazionari, sia dai filosofi più famosi, che contrappongono sempre la precarietà del giornalismo e i suoi squilibri, rispetto la solidità dei grandi libri. Ma sulla letteratura esercita subito un richiamo: costituisce, infatti, un punto di riferimento per il filone del romanzo realista, filone aperto a suggestioni disparate, in grado perciò di assorbire dalla stampa specifici contenuti e obiettivi, come anche il generale stimolo al contatto con l’attualità e l’impegno referenziale. Il panorama del Settecento vede la nascita di gazzette e riviste critico-filosofiche, a cui si affiancano i periodici promossi da grandi scrittori, che sono tra l’altro i primi veri romanzieri della modernità, come Defoe e Swift. Si ricordi che si tratta di periodici definiti da esperienze sempre diverse, anche per la diversità dei contesti:  La rivista di Defoe e quella di Swift sono imprese pionieristiche1, animate dall’attenzione alle metamorfosi della società (la prima si riferisce alla media borghesia, la seconda all’aristocrazia)  La rivista di Marivaux ha un approccio moralista e pedagogico  La rivista di Prevost segue lo scopo più specifico di informare il pubblico francese su leggi e usanze britanniche Ma per la produzione creativa di tutto loro il passaggio al giornalismo è essenziale:  il giornalismo è per Swift trampolino per la sua satira alla società –poi portata all’apogeo con Le Avventure di Gulliver-  per Marivaux, che inserisce nella rivista racconti in forma di lettere e diari, è un’occasione per limare le tecniche così da svincolarsi dagli impianti narrativi barocchi per il romanzo realista del Settecento costituisce un solido supporto verso l’azzardo sperimentale. Dal principio dell’Ottocento il quadro si amplia: i periodici, grazie alle innovazioni tecnologiche –torchio a vapore, rotative, telegrafo- e, in alcune nazioni –come la Francia postnapoleonica- all’attenuazione della censura, accelerano i ritmi di produzione e diffusione, moltiplicando il loro impatto. Allo stesso tempo i periodici diventano veicoli di idee, mezzo di sussistenza e autompromozione, fornendo una certa libertà agli scrittori, ormai svincolati da protezioni e mecenatismi. Così lo sviluppo dell’editoria, insieme alla diffusione del periodico rende più indipendente lo scrittore dalle logiche di mercato. D’altro canto, 1 Contrassegnato da audacia e novità di intenti. sicuramente il giornalismo inchioda i lettori ad una dissipazione di energie, a obiettivi effimeri e al fastidio dell’anonimato. Balzac e Dickens sono a questo proposito grandi scrittori giornalisti, e nondimeno sono i nomi del romanzo ottocentesco, numi del romanzo moderno, che dimostrano come nella stampa periodica il realismo ha un banco di prova decisivo, che ne ricava:  la curiosità per l’esperienza  l’intento di informare e demistificare  incoraggia nuove configurazioni compositive e formali  ne definisce una fisionomia non lineare e non coerente  Balzac Allaccia un rapporto con il giornalismo che è rimasto leggendario, perché tanto vivo quanto tormentato  Collabora a più riprese alle testate dell’editore Girardin, patendo tutti gli inconvenienti del mestiere;  tenta poi un rientro nel 1836 con la direzione della Cronaca di Parigi e della Rivista Parigina, ma i tentativi falliscono.  Matura un’insofferenza per l’intero settore che viene riversata, al di là dei romanzi, nella Monografia Della Prassi Parigina del 1843, in cui tratteggia le tipologie dei giornalisti, stigmatizza asperità e vergogne della professione –i tempi febbrili, l’asservimento al potere, la ricerca strumentale dello scandalo- e culmina nel verdetto finale “se la stampa non ci fosse bisognerebbe inventarla” L’incontro con Girardin e le collaborazioni ai suoi periodici:  abituano Balzac a un’ampia gamma di argomenti  lo indirizzano all’analisi della contemporaneità  contribuiscono a distoglierlo dal romanzo storico, sua ambizione originaria  gli suggeriscono l’idea di affresco stratificato della sua epoca, con la stesura della Commedia Umana. In particolare, riprende da articoli scritti in quegli anni molti spunti –il mercato libraio, i rivolgimenti d’opinione dei salotti.- Oltre ad essere tema ricorrente della sua narrativa, la stampa periodica ne segna su più piani l’impianto: sono molti i riferimenti contingenti e circostanziali come quelli giornalistici. Ad esempio ci sono connessioni intertestuali svolte come notazioni critiche, ci sono pause saggistiche, c’è il discorso esplicativo, avvicinando il discorso al taglio tipico degli articoli.  Dickens Ha rapporto meno sofferto.  1833-1836 pubblica sul “Morning Chronicle” e sul “Monthly Magazine” degli Sketches by Boz, poi raccolti in volume  Collabora con l’“Examiner”  Dirige il “Daily News”  Gestisce due riviste Gli Sketches sono bozzetti di costume che danno alla sua narrativa un impulso fondamentale, costituendone la piattaforma di lancio. Il loro successo, infatti, spinge gli editori a proporre all’autore la pubblicazione, in puntate mensili, di uno scritto che accompagni una serie di incisioni sulle attività sportive del circolo, che Dickens ribalta a suo vantaggio: nasce allora Il Circolo Pickwick, sotto lo pseudonimo Boz, ancora. Negli Sketches si profila la rappresentazione variegata della metropoli londinese, sfondo di molti suoi romanzi.  Gli argomenti setacciati nelle corrispondenze rifluiscono nelle vicende narrative, talora con veri e propri riciclaggi, talora con radicali tagli Però, le conoscenze di matrice giornalistica non sono trasferite negli intrecci con la precisione che contraddistingue il naturalismo, bensì adoperate per istantanee smilze, per la creazione di atmosfere in cui i dati oggettivi sono evocati ellitticamente e mediati dalle sensazioni. Per Hemingway, poi, gli articoli sono anche un mezzo di espressione e di esibizione della propria esistenza movimentata e trasgressiva, che costituisce il piedistallo del suo mito. Non solo, dunque, sa esporre senza riserve la sua fisionomia di scrittore giornalista, ma gioca contemporaneamente a celebrare e canzonare tale fisionomia, sottolineandone la serietà audace, ma anche mettendo in luce le tentazioni di simulazione che la attraversano. A renderlo modello incombente è probabilmente questa capacità di esaltare e insieme smitizzare l’opportunità di coniugare azione e scrittura offerta dal reportage. Per molti altri scrittori invece, il reportage non è tappa essenziale di formazione, ma sfida che arriva più avanti e che può essere recepita in modi diversi.  Un caso tipico di conversione provvisoria è quello di Sartre, inviato negli Stati Uniti per due testate giornalistiche, che si trova impacciato e con scarsa domestichezza nel ruolo di corrispondente.  Altro caso esemplare di conversione profonda al reportage è quello di Goffredo Parise, il quale, già affermato come scrittore, diventa negli anni Sessanta e Settanta corrispondente per l’”Espresso” e il “Corriere della Sera”, conducendo servizi giornalistici diretti e temerari, e che realizzano un connubio fra giornalismo e letteratura: non solo per caratteristiche tipiche dei giornalisti –sapienza della scrittura, impiego accorto di similitudini e metafore, descrizione filtrate da rinvii citazionistici-, quanto soprattutto per l’intento di ricavare dai propri sopralluoghi ipotesi sulle logiche essenziali sottese alle dimensioni indagate, e per la potenza delle intuizioni e immagini in cui tale intento si condensa. 4. Lo spazio avventuroso: la cronaca nera Abbiamo affrontato il giornalismo di costume e d’inchiesta, il reportage di viaggio e di guerra; ma non c’è confronto che tenga: il versante della stampa più prossimo alla letteratura è la cronaca nera. Zona di addensamento delle passioni più violente e irrazionali, deviazione della normalità che si traduce in interrogativo sul suo conto, campo sia di problematiche concrete sia di domande astratte sulle logiche del caso e delle coincidenze, la cronaca nera è da un lato estremo contatto con la fattualità, dall’altro spinta a scavare oltre la sua superficie: istituisce quindi un ponte tra informazione giornalistica e immaginazione creativa. I fatti di sangue, i cosiddetti faits divers, dopo essere stati materia dei canards –fogli cinque-seicenteschi antesignani dei periodici- diventano lungo l’Ottocento punto di richiamo della grande stampa e pezzo forte di quella sensazionalistica. Quest’ultima tende spesso a presentarli in chiave romanzesca: l’autenticità dei fatti –ottimo scudo contro censure, moralismi e anche obiezioni di buon gusto- autorizza a esibirne e magari a gonfiarne gli aspetti efferati e turpi; con il risultato paradossale di far piombare il giornalismo nei procedimenti della fiction più deteriore. Paradosso che molti scrittori non mancano di sottolineare: Gramsci osserva che “la cronaca giudiziaria dei grandi giornali è redatta come un perpetuo “Mille e una notte” concepito secondo gli schemi del romanzo d’appendice, con in più la nozione, sempre presente, che si tratta di fatti veri”. E anche a causa di questi eccessi il fascino della cronaca nera estende il suo raggio: molti criminali assumono lo statuto di eroi, innescando dinamiche fagocitanti di attrazione e identificazione; le loro vicende sommuovono la ricezione più delle narrazioni letterarie, non solo perché hanno il pregio dell’autenticità, ma anche perché, mancando di uno svolgimento pianificato, e non assicurando un esito certo, tengono in sospeso la curiosità del pubblico e ne sollecitano la fantasia. L’epoca in cui la seduzione della cronaca nera raggiunge l’apice è quella che va dalla fine dell’Ottocento alla prima metà del Novecento, cioè quella in cui la sua inedita visibilità (gli vengono consacrai interi periodici) è uno sconvolgente spiraglio di apertura sulle pecche dell’apparato istituzionale e della società borghese, sulla delinquenza che invade la vita pubblica e sulla violenza annidata dietro la facciata di moralità e decoro eretta davanti a quella privata. Inevitabile che il potenziale narrativo dei faits divers, sfruttato dalla stampa e apprezzato dalla ricezione, diventi per la creatività un’inesorabile serbatoio. La cronaca nera è sostrato del grande romanzo ottocentesco, ma anche piattaforma del filone letterario d’intrattenimento: il poliziesco. Così un medesimo evento di cronaca nera può essere embrione di opere altrettanto memorabili; chiaramente, la trasmigrazione di questi si fa più fitta nella produzione di scrittori abituati a frequentare la cronaca nera in qualità di cronisti, seguendo tragitti più disparati. I passaggi dal piano giornalistico a quello letterario possono, inoltre, avere modulazioni diverse: rispettare o incrinare gli steccati tradizionali. Possibilità opposte sono di seguito illustrate da due grandi autori del primo Novecento:  Albert Camus Nel suo operato la vocazione giornalistica e quella letteraria restano sempre e chiaramente separate. Non che l’autore non dia peso al giornalismo, anzi, lo porta avanti con passione militante, con il ruolo di cronista giudiziario, ma anche di redattore capo del “Combat”. E per la sua opera narrativa questa attività è sicuramente per lui uno sprone: le offre un cospicuo bagaglio di argomenti, ne agevola l’essenzialità descrittiva, e contribuisce all’esigenza di impegno. La sfasatura tra le due sfere risulta evidente se si osserva la differenza tra i suoi servizi e il romanzo che ne deriva, “Lo straniero”. Gli articoli servono una causa identificabile, mentre il romanzo intende non solo denunciare le disfunzioni di un sistema, ma anche a svolgere un dramma esistenziale; non contrappone corruzione e innocenza, ma –inscenando un delitto- confronta la complessità dell’esperienza con la sete di coerenza della legge e con le regole asfittiche dell’apparato. L’impegno limpido e circostanziato di un giornalismo le cui domande esigono risposte forti, aiuta a contestualizzare un’ambizione letteraria che però va oltre, che pone domande senza risposta e, anziché lanciare una netta richiesta di moralità, mostra le difficoltà di ricostruire una vera morale dopo la caduta dei vecchi interdetti.  Dino Buzzati Qui la vocazione giornalistica non si limita a supportare quella letteraria, ma si salda con essa in profondità; il che quasi sorprende, perché in apparenza l’autore le lascia alla loro autonomia: è giornalista nel senso più pieno, ricoprendo al “Corriere della Sera” le funzioni di critico, inviato speciale, e soprattutto cronista di nera. Mentre come narratore inclina a una scrittura tutt’altro che referenziale e trasparente, e privilegia un registro fantastico investito di valenze allegoriche. Un fantastico che è moderno e che individua l’esperienza perturbante nei recessi del quotidiano, quindi contraddistinto da dubbi sulle parvenze della normalità, analoghi a quelli suscitati nell’autore dalle ricognizioni su calamità e delitti. Nelle sue cronache Buzzati vede il crimine come una dimensione radicata nella stabilità dell’esistenza giornaliera; visione che ispira una doppia dinamica:  Da un lato, il rifiuto sprezzante delle inflazionate tecniche letterarie usate dal giornalismo per ammantare di eccezionalità i fatti di sangue  Dall’altro, il ricorso a tecniche letterarie differenti, assai più sottili e discrete. Se il giornalismo di Buzzati può virare verso la creazione, le sue creazioni ricevono parecchi stimoli dal giornalismo, soprattutto i racconti, che calano il fantastico in ambientazioni dettagliate e talora in situazioni di attualità. Tanto più in quanto la forma breve, grazie alla sua flessibilità, può essere insignita di una funzione analoga a quella del pezzo di cronaca. 5. Lo spazio duttile: la stampa d’opinione I settori finora considerati –l’inchiesta, la cronaca, il reportage- sono piuttosto vincolanti: richiedono un impegno articolato e per questo sono praticati da scrittori giornalisti di professione. Le cose vanno in modo diverso con il giornalismo d’opinione: spazio elastico per eccellenza, quanto mai congeniale agli intellettuali non giornalisti, a coloro avvezzi a scrivere ma non sui giornali. In quanto non vero giornalismo, ma piuttosto uso del canale giornalistico, non dovrebbe interessarci molto; in realtà c’è da considerare un problema: il contatto con l’attualità può avere effetti differenti, a volte non intaccare affatto la coerenza del pensiero, a volte può, invece, complicarla. Una duplice possibilità che ci possono esprimere altri due autori, entrambi concentrati su problemi di attualità:  George Orwell Scrittore giornalista di lungo corso, la sua produzione è contrassegnata da una tensione costante: l’attacco ai totalitarismi. Sia negli articoli sia nei romanzi questo ardore si mantiene, pur evolvendosi e arricchendosi di mano in mano: nelle prime opere narrative il fervore polemico è ancora stretto alla matrice giornalistica, con risultati interessanti, ma troppo disarmonici per il gusto dell’epoca; nelle opere successive, invece, tale fervore è filtrato dai filoni consolidati della favola satirica e dell’antiutopia, e così approfondito da oltrepassare i rimandi contingenti. Tuttavia, il senso di fondo dei contenuti rimane lo stesso, e mantiene lo stesso tono combattivo.  Leonardo Sciascia Non proviene dal giornalismo, anche se diventa collaboratore di varie testate. In lui c’è un evidente centro nevralgico: lo studio dei rapporti fra istituzioni e criminalità. Però questo studio, che nei romanzi si dilata in intuizioni efficaci, negli interventi sui fatti del giorno è penalizzato da una certa noncuranza per il loro corso concreto, da una tendenza eccessiva a racchiuderli in schemi astratti. 6. Giornalisti scrittori: tipologie diverse Da scrittori giornalisti, ora ci spostiamo sull’altro fronte, quello non poco problematico dei giornalisti scrittori. In questo caso ci riferiamo sia a giornalisti dalla scrittura raffinata o estrosa, sia a quelli che si dedicano parallelamente alla letteratura; ma nel nostro discorso nessuna delle due categorie può essere affrontata. La prima categoria, infatti, è vastissima e multiforme, e analizzarla comporterebbe contare di una miriade di virtuosi della penna. La seconda categoria, meno sterminata, annovera comunque casi disparati. C’è infine una terza categoria, composta dai promotori del New Journalism e del non fiction novel, che, in misure varie, fondano la loro scrittura proprio sulla contaminazione fra approccio giornalistico e approccio letterario; ma la esamineremo nel capitolo successivo. Con l’avanzare del Novecento, la pubblicazione periodica della narrativa è soppiantata da altre forme di intrattenimento seriale, che vanno da un prodotto di qualità varia come il fumetto a uno di qualità scadente come il fotoromanzo. Poi, con l’avvento dei nuovi media, è scalzata ulteriormente dai radiodrammi e dalle soap-opera che, basati anch’essi sulla segmentazione in puntate, si avvalgono di allettamenti simili (interruzioni a effetto, fascino di un mondo inventato molto simile a quello quotidiano). Occasionalmente qualche giornale prova a riproporre il feuilleton e il racconto, ma sono tentativi sporadici. Resta comunque che il lungo contatto con i periodici è per la letteratura un passaggio decisivo, tale da mercificarla e avvilirla, ma anche da indurla a ridefinirsi. 3. Un non genere nato sui giornali: l’elzeviro Il contatto letteratura-giornalismo non si traduce in una contaminazione profonda: le pagine culturali, infatti, ne sono un esempio, riservandoci altre possibilità. Dal principio del Novecento, in Italia, i nostri quotidiani iniziano a destinare alla cultura una pagina intera, che in nome della sua posizione originaria – poi mutata- viene a definirsi “la terza pagina”. Accade il 1 dicembre 1901 sul “Giornale d’Italia”, per opera di Alberto Bergamini. La pagina inaugura così la tendenza a legare la cultura all’attualità e farne notizia di richiamo. Questa inclinazione trova un forte strumento nell’articolo che apre la terza pagine, l’elzeviro, così chiamato per il carattere in cui è scritto, e che diventa nel secolo scorso una fra le principali attrattive dei quotidiani. L’elzeviro non ha un’identità precisa, ma è oggetto di una gamma sterminata di definizioni, proprio perché resta indefinibile. Così passa dalla forma tecnica della recensione a quella sfuggente della divulgazione saggistica o lirica, imbevendosi di suggestioni remote o più recenti. La sua fortuna dipende da diverse ragioni, prima fra tutte per aver creato un ponte fra la cultura elitaria e quella divulgativa: diffonde sui quotidiani la prosa d’arte in bilico fra svolgimento narrativo e libera riflessione. Poi anche perché affronta il pubblico in diversi modi, con accattivanti levità o disorientandolo con sottigliezze ermetiche. Inoltre, proprio per la sua indefinibilità, la sua natura proteiforme4 e la sua conseguente apertura a sperimentazioni e ibridazioni, ne costituiscono l’interesse: lo rendono una zona franca, che combina tratti del giornalismo e della letteratura, sottraendoli ai loro classici obiettivi. L’elzeviro muove spesso dai fatti del giorno, però insignificanti o abbordati da una prospettiva insolita; d’altra parte, sprigiona la fantasia senza darle un’inquadratura precisa. Compensa allora la prigionia dei margini stretti e dei ritmi compositivi convulsi con la mobilità di registri differenti. 4. La svolta del New Journalism Tuttavia l’elzeviro, nella relazione fra giornalismo e letteratura, non costituisce un preciso punto di svolta, ma resta un fenomeno carsico e sfuggente. Solo negli anni Sessanta le intersezioni fra giornalismo e letteratura diventano una meta dichiarata: con il cosiddetto new journalism, corrente portata avanti da vari reporter, di cui è capofila e teorizzatore Tom Wolfe. Sebbene non si compatti mai in una vera e propria scuola e si sfrangi anzi in varie direzioni, il new journalism poggia su una vasta rete di influssi reciproci e fitti contatti (per lo più reporter scrivono per gli stessi periodici) ed è animato da un unico slancio di fondo: la ribellione al giornalismo canonico imperniato sulla famosa regole delle cinque W, e la voglia di oltrepassare il limite della referenzialità pura, di scavare nelle atmosfere e nei personaggi con il ricorso alle strategie della letteratura, e con la rivendicazione della libertà convenzionalmente suo privilegio. 4 Capace di assumere o rivelare improvvisamente aspetti o atteggiamenti diversissimi. A una decina d’anni dalla sua genesi, tale slancio riceve una codificazione ufficiale: un’antologia di alcune delle sue prove più significative –pezzi singoli e brandi di ampi reportage), intitolata appunto New Journalism (1973) e scritta da Wolfe assieme a Warren Jhonson. Il saggio introduttivo di Woolf enuclea i suoi tratti principali e ne sottolinea l’importanza, attribuendogli il merito di aver rilanciato la carica realistica della narrativa ottocentesca, carica a suo avviso latitante in quella contemporanea, incline alle costruzioni fantastiche, all’astrazione allegorica o al gioco metaletterario. Questa messa a punto è rincalzata dalle note annesse a ogni testo, note che sottolineano come le interviste siano non più asettici avvicendamenti di domande e risposte, ma ritratti-conversazione tesi a carpire una visione complessiva della personalità in esame, e a come i reportage dilatino la cronaca con indulgi sui contesti e caratteri, e la vivacizzino con gradazioni di suspence, scambi dialogici e un certo protagonismo dei reporter. Però, per quanto costituisca un utile avvio, questa sistematizzazione è troppo frettolosa, perché le cose, nei fatti, sono più complesse di come Wolfe le presenta, e per diverse ragioni:  Innanzitutto, le sue ipotesi circa la fioritura del new journalism di un realismo ormai negletto, sono troppo spicce, perché è troppo semplicistica la sua concezione di realismo, per lui quello classico del romanzo ottocentesco. In effetti, la letteratura novecentesca non abdica all’impegno mimetico, ma lo riformula: non respinge né accantona la realtà, ma la affronta con nuove tecniche, dalla frantumazione delle prospettive all’alternanza dei piani narrativi, fino alle commistioni postmoderne fra il registro apocalittico e quello ludico. Il new journalism, quindi, non costituisce, come Wolfe reclama, la rinascita esclusiva di un realismo morente: fra letteratura e giornalismo non si verifica un passaggio di consegne. Piuttosto, lungo il Novecento entrambi sono scossi a fondo dallo sconvolgimento degli equilibri internazionali, dalle grandi contestazioni, dall’involuzione della società di massa. La realtà si fa così irrazionale, e la storia così permeata di mistificazioni da farne apparire insufficiente e spesso depistante ogni illustrazione lineare, narrativa o cronistica che sia.  Se la letteratura reagisce in modi disparati –moltiplicando i livelli della finzione o, viceversa, accentuando al massimo il richiamo alla realtà- anche il giornalismo non si accontenta più di attenersi alla superficie dei fatti. Non percorre un terreno inesplorato, e questo è un altro punto da considerare: il suo ricorso a modalità e licenze letterarie, diversamente da quanto Wolfe vorrebbe, non è un’innovazione assoluta. Certo rappresenta un clamoroso affrancamento dai dogmi di parsimonia verbale e frigida obiettività tipici del giornalismo standard, soprattutto anglosassone; ma è anticipato, almeno parzialmente, dalle sperimentazioni dei grandi scrittori giornalisti e da altri tipi di giornalismo.  Certo, ancora, la tensione del new journalism al rinnovamento della stampa è più radicale. Il filone cerca di captarne le turbolenze senza inibizioni: attira l’attenzione su fenomeni tragici o sconvolgenti –dalla guerra in Vietnam alla diffusione della droga, dalla liberazione sessuale ai conflitti razziali, al senso di spaesamento e spersonalizzazione generato dalla cultura di massa-, evitando di stemperarli in parametri convenzionali, e provando a trasmetterne la novità spiazzante in modi altrettanto spiazzanti.  L’evoluzione delle interviste in ritratti analitici, proposta non solo dai veri e propri adepti del new journalism può nascere da sforzi di comprensione assai differenti, e pervenire a differenti risultati. I ritratti compresi nell’antologia di Wolfe non vanno mai troppo profondità e tendono a racchiudere i personaggi incontrati in immagini perfettamente coerenti. Al contrario, altri ritratti più riusciti mettono a fuoco le personalità intervistate, accettandone ed evidenziandone le incoerenze.  La focalizzazione ristretta su specifici prospettive è un altro tratto assai noto del new journalism, forse il più noto in assoluto, perché oltrepassa la delimitazione ai dati verificabili, vincolo classico della professione, e –pur evitando voli d’immaginazione e fondandosi su informazioni estrapolate da biografie, interviste e lettere- si concede l’inoltramento nell’invisibile e lo slittamento per diverse ottiche, appannaggio della letteratura. Questo, però, non è fatto da tutti i rappresentanti del filone. Laddove invece l’adozione dei punti di vista altrui è quasi un marchio di fabbrica dei pezzi di Wolfe, assieme alla discesa nei pensieri e stati d’animo dei personaggi.  Infine, lo stesso protagonismo del reporter, sfida massima alle norme di rigore e impersonalità, prende le configurazioni più varie. Wolfe, che gioca anche lui sul proprio personaggio, presentandosi come dandy anticonvenzionale, invece nei propri scritti fa capolino solo saltuariamente, come a dimostrare la capacità di descrivere in un certo modo gli ambienti e sapervi starne fuori, o meglio, al di sopra. A conclusione, va considerato che lo scarto del new jounalism dal giornalismo standard passa spesso dal ripudio delle sue tecniche espositive a quello delle sue costrizioni pratiche, traducendosi in insofferenza per gli obblighi delle scadenze ravvicinate e delle dimensioni ristrette: non a caso, molte sue prove significative sono composte per riviste di tendenza che non impongono vincoli di spazio o censura. Tali testi tendono nel complesso più a restituire le atmosfere e le psicologie, che a riportare i fatti oggettivi, e preferiscono l’arbitrio del racconto alla misura esatta della cronaca. Il new journalism, come giornalismo che cerca la libertà della narrativa, trova il suo complemento nella narrativa che prende le mosse dal giornalismo, il non fiction novel. 5. L’ibridazione più complessa: il non fiction novel Il non fiction novel può essere inteso in due accezioni, una più ristretta e una più amplia e fluida. Lanciato da Truman Capote con “A sangue freddo” nel 1965, il termine designa un filone contemporaneo che decolla negli anni Sessanta, parallelamente al new journalism. Pur ramificandosi in varie direzioni, il non fiction novel segue una costante di fondo: la rielaborazione narrativa di materiali autentici raccolti con metodi giornalistici. Però resta un termine vago, tale da poter essere utilizzato in senso più vasto, viene cioè applicato all’arcipelago proteiforme dei generi di lungo corso, e persino di tradizione millenaria, che mescolano la scrittura referenziale a quella creativa, e che più evidenziando la difficoltà di distinguerle con precisione. Si riferisce ai generi impiantati su una base di realtà, come la memorialistica, l’autobiografia, l’autofiction5; ma anche a generi che mescolano verità e finzione, che fanno della realtà lo sfondo o l’ingrediente di vicende immaginarie, come i romanzi storici e i romanzi a chiave; e poi a quei generi più inclassificabili, come la narrativa saggistica o la saggistica narrativa; per concludere con il riferimento ai documenti grezzi di realtà, come resoconti o diari di non scrittori. Sul merito della nuova categoria ci sono scontri: vi è chi riconosce la specificità dell’orientamento inaugurato da Capote, e chi, invece, non ne riconosce la novità e individua dei modelli precedenti a cui collegare l’opera dell’autore. Al di là di ogni definizione, noi analizzeremo solo ciò che è pertinente al nostro discorso: quel filone che parte da un lavoro sul campo fatto di sopralluoghi e interviste, per riplasmarlo con tecniche narrative – digressioni, montaggi incrociati, avvicendamenti di piani temporali, punti di vista ristretti-, senza beneficiare, diversamente dall’autobiografia, di una prospettiva privilegiata, ma conquistandola attraverso un lavoro di verifica e documentazione; e diversamente dal romanzo storico e a chiave, senza trasfigurare i fatti o adeguarli a un progetto creativo, a un’ideazione che li trascenda. 5 A differenza dell’autobiografia, l’autofiction vede un protagonista che non è esattamente l’autore, ma una sua proiezione, espressione di sue potenzialità alternative o represse truculente, ma sulla routine ignorata dai media, schiavando così i topoi più appariscenti legati alla vicenda.  Gomorra, 2006, Roberto Saviano Si concentra su un’organizzazione mafiosa potente, ma meno conosciuta e meno chiacchierata dai media: la camorra. Qui l’articolazione narrativa è ben evidente, e, questa, anziché appannare la percezione degli eventi, è divenuta loro sonora cassa di risonanza, restituendo fiato a un problema a lungo negletto dall’opinione pubblica, neutralizzato dall’indifferenza o dalla malafede di giornali e televisioni.  La non ficiton sul giornalismo: alcuni faits divers insoliti o misteriosi sollecitano una riflessione più profonda:  Mistero napoletano, 1995, di Ermanno Rea Si concentra sul suicidio del 1961 di Francesca Spada, giornalista dell’”Unità” napoletana, per farne il fulcro di una rete intricata di questioni pubbliche e personali –dispotismo del sindaco di Napoli, tensioni interne all’interno del partito comunista, la storia dell’autore stesso, che all’epoca muoveva proprio allo stesso giornale i primi passi di cronista, la passione di un’attività giornalistica stretta fra i traumi del dopoguerra e gli slanci frustrati al mutamento-. L’esposizione affonda in un sopralluogo diretto, un lungo soggiorno di Rea a Napoli e un vasto spoglio di documenti. Tale esposizione scioglie i misteri indagati con argomentate congetture. Ma l’impronta giornalistica non preclude al testo una sorta di sviluppo romanzesco, dipendente da vari fattori: primo, la sua struttura diaristica che permette una costante drammatizzazione della ricerca intrapresa; poi, la caratterizzazione dei personaggi, che è mediata da suggestioni di un immaginario consolidato. Così il ricorso alla letteratura, che giunge a mettere in questione l’attendibilità del ricordo, complica il movimento dell’inchiesta giornalistica, conducendolo più che alla chiusura su esiti concreti, all’apertura su interrogativi esistenziali irrisolti; al tempo stesso potenzia l’evocazione di una stagione calda del giornalismo impegnato.  Abusivo, 2003, Franchini La dialettica fra giornalismo e letteratura è impostata in un altro modo, poiché non ha peso sulla struttura dell’opera, ma ne è piuttosto argomento tematico. Anche qui perno del testo è un fatto di cronaca, l’assassinio del 1985 di Giancarlo Siani, cronista del “Mattino”. Anche qui gli eventi sono ripercorsi mediante interviste e consultazioni di giornali e documenti; e anche qui l’indagine si staglia su uno sfondo autobiografico, perché l’autore aveva esordito nel giornalismo parallelamente a Siani. Però, l’esposizione non insegue il caso da vicino, bensì fa riferimento ad altri libri usciti in proposito, cioè riporta una soluzione già acquisita, e cioè ancora, non mira a scovare nuovi elementi ma piuttosto a restituire l’atmosfera della Napoli di quegli anni. E poiché le circostanze hanno legato con folgorante spessore simbolico il destino di Siani al giornalismo, mentre l’autore ha quasi immediatamente abbandonato il giornalismo per la letteratura, il confronto personale si dilata in confronto fra i due campi. Il giornalismo è spogliato dell’alone di avventura prestatogli dai desideri adolescenziali e da un immaginario frusto, ma risulta insignito di un innegabile potere dalla sua capacità di addentrarsi nella realtà fino a conseguenze estreme. La letteratura, invece, appare investita di un potere diverso e più imbarazzante: da un lato meno esposto a rischi, dall’altro in grado di snaturare la realtà per imporle un senso coerente, un “nuovo ordine” che non coincide con la realtà in assoluto, ma con la “realtà altra”. I dubbi sulla letteratura assumono quindi una valenza metatestuale, diventando dubbi sui diritti del libro stesso; anche qui come in Mistero napoletano, per vie del tutto differenti, la non fiction novel si complica fino ad interrogarsi sulla propria legittimità. 6. Letteratura in gara con la stampa Va brevemente considerato che le ondate di realismo ricorrenti nella letteratura novecentesca e ancor più in quella attuale, pur senza muovere dal giornalismo, seguono spesso obiettivi analoghi ai suoi, soprattutto due filoni: il romanzo documentaristico e il romanzo storico, che gli fanno, per così dire, concorrenza. Il romanzo documentaristico è, più che un filone, una tendenza: abbraccia testi disperatissimi, ma accumunati da un’attrazione per lo spaccato d’ambiente –che raccoglie l’eredità naturalistica per oltrepassarla-, arrivando a soverchiare o azzerare la vicenda, a renderla fragile involucro o labile pretesto di finalità eminentemente descrittive. (Es Calvino “la giornata di uno scrutatore”, “La speculazione edilizia” “la nuvola di smog”.) Il romanzo storico, invece, è un filone vero e proprio; filone longevo e malleabile, che segue direzioni disparate, rendendo la storia sfondo o fulcro della trama, spingendone alla ribalta versanti oscuri o rivisitando quelli noti, meditando sul passato o adoperandolo come filtro per parlare del presente. La sua rifioritura attuale va indietro nel tempo, ma predilige quello recente, concentrandosi su situazioni estreme, quali le guerre e la Shoah e su altri drammi meno cocenti, ma abbastanza dolorosi o enigmatici per esercitare sulla riflessione e sull’immaginario una pressione continua. Affonda così nodi ancora considerati dal giornalismo con la libertà di ricostruzione e congettura, al giornalismo precluse. (Es Giancarlo De Cataldo “Romanzo Criminale” sulla banda della magliana) Per concludere, la non fiction novel è un percorso sollecitante quanto sdruccevole: il diritto a rielaborare la realtà per afferrarne significati riposti non va confuso con la tentazione di manipolarla per adeguarla a una logica precostituita. IL GIORNALISMO TEMA LETTERARIO Il capitolo analizza la tematizzazione letteraria del giornalismo con attenzione alle sue diverse facce (giornalismo come potere, il suo rapporto con la vocazione artistica e il suo impatto sul pubblico) e alla dinamica conflittuale con la letteratura. 7. Illusioni presto perdute La vitalità del tema dipende da due fattori: 1º. La raffigurazione del giornalismo è uno strumento adatto ad attraversare la modernità, mettendone in luce le sterzate e i drammi 2º. Per la letteratura, la riflessione su quello che è al tempo stesso suo polo di riferimento e suo implacabile antagonista, è un modo per riflettere, direttamente o indirettamente, anche su sé stessa. Raffigurazione e riflessioni inquiete, il tema è quasi sempre gravato di un segno negativo: il giornalismo risulta preoccupante epicentro dei meccanismi affaristici, e dei rapporti di forza che vanno caratterizzando la società borghese. Illusioni perdute di Balzac (1837-43) e per l’esattezza la sua seconda parte Un grand’uomo di provincia a Parigi, ne è un grande esempio: arrivo a Parigi di un talentuoso scrittore in erba, il suo impatto con le logiche dell’editoria e del giornalismo, sua breve e illusoria ascesa, infine sua vertiginosa caduta. Eppure, questa permanenza di superficie vela un totale rivolgimento: le antinomie prevedibili sono sfaldate, perché lo scrittore Lucien non è un eroe adamantino6, ma un personaggio duttile e instabile, lacerato fra le sue influenze opposte degli intellettuali del Cenacolo (che si consacrano alla letteratura e vagheggiano un giornalismo teso a diffondere “dottrine utili all’umanità”), e di alcuni giornalisti esperti e spregiudicati, primo fra tutti Lousteau, colui che lo avvia alla professione. Il destino di Lucien è contorto quanto la sua personalità: dopo aver individuato nei periodici una scorciatoia per il successo, vi fa una carriera fulminea, sperperando le sue doti in una turbinosa produzione di articoli e accettando compromessi che culminano nel passaggio dalla stampa liberale a quella legittimista. Ma proprio questo passaggio finisce per defraudarlo di ogni credito e troncare la sua carriera. La fine delle sue illusioni però, non coincide con la fine della sua esistenza, cioè la scelta del suicidio, ma una scelta più inattesa e aperta a sviluppi: l’incontro con Vautrin. La trasformazione del protagonista da vittima a complice del sistema sostiene una raffigurazione del giornalismo stratificata, fluttuante fra asprezza e ambiguità. Lucien è mezzo per rivelare le magagne della professione:  lo sfruttamento impietoso dell’ingegno  il sistema delle recensioni, viziate da interessi editoriali e parzialità personali  la prassi degli attacchi polemico-satirici, che debordano nella diffamazione  il pervertimento degli obiettivi della stampa, costruito dalle appetitose notizie false e fabbricate per “colorare la cronaca di Parigi quando è sbiadita”  i ricatti a personaggi in vista, basati sulla minaccia di divulgare o confezionare notizie tali da comprometterli. È una condanna al giornalismo recisa, che oltretutto l’autore ribadisce poco dopo, con la Monografia della prassi parigina, pendant saggistico delle Illusioni, ritorno più sistematico sugli stessi problemi. L’affresco delle Illusioni è, però, più composito di quanto trapeli dai messaggi palesi: la coscienza del potere del giornalismo oltrepassa il secco verdetto negativo per inoltrarsi nella complessità delle sue logiche. L’acme della vicenda è significativo: Lucien, obbligato alle convenienze del suo giornale a stroncare un’opera di grande valore del suo amico D’Arthez –parte del Cenacolo-, gli sottopone la stroncatura in preda al rimorso. Questi generosamente la riscrive, attenuandone il sarcasmo e avvicinandola alla dignità di una critica lecita, ma una volta pubblicato, il pezzo appare gravemente infamante a un altro membro del Cenacolo, Michel, tanto da indurlo a sfidare Lucien a duello. L’episodio mette a fuoco la delicatezza del meccanismo della recensione, scivolosa e incontrollabile, percepibile come una sopraffazione indebita, al di là dei suoi intenti e della sua legittimità. Inoltre, il testo illumina le ambiguità più intrinseche alla professione e alle difficoltà di gestirle. Ancora, indica che la vitalità brulicante di sviluppi da cui tale professione è contraddistinta: la produzione giornalistica di Lucien porta alla dispersione il suo versatile talento, ma inaugura filoni floridi ed efficaci, cioè un tipo di recensione teatrale volta a giudicare lo spettacolo non in base al testo, ma secondo la realizzazione scenica e l’atmosfera d’insieme. Il giornalismo risulta uno spazio infido e corrotto, in grado di travolgere i destini individuali. Allo stesso tempo, però, risulta congeniale all’affrancamento da vecchi parametri di giudizio e all’incentivazione di altri tagli di scrittura.  Luckacs già aveva notato come l’affresco balzachiano ha tanta potenza perché mostra i pro e i contro della “capitalizzazione dello spirito”, illustrandone sia i guasti che provoca, sia le doti che la sorreggono. 6 Che ha le proprietà del diamante, diamantino; puro, splendente; adorno di diamanti in gran copia, prezioso. La letteratura si concentra sui retroscena e sulla lavorazione del giornalismo in tutti i suoi aspetti, ma dà anche spazio al polo opposto, cioè alle dinamiche della ricezione e alle ricadute degli articoli. Innanzitutto diversi testi mettono in scena l’ordinaria lettura dei giornali, generalmente presentandola come routine frammista di abitudine e impazienza, indicandone l’inutilità oppure i limiti. A volte anche attraverso un rifiuto drastico come Swann afferma nella Richerce proustiana: gli spaventosi giornali che ci crediamo tenuti a leggere mattina e sera attirano l’attenzione su pettegolezzi insignificanti, distogliendola dalle questioni essenziali racchiuse nei libri. A volte, invece, attraverso critiche che riconoscono peso alla stampa, ma per rimproverarla di venirvi meno, come si legge in Belle immagini di Simone de Bauvoir: i giornali, anziché agevolare la comprensione della quotidianità, rischiano di ostruirla sia perché attutiscono la violenza dei fatti, sia perché forniscono opinioni prefabbricate che inceppano il flusso del pensiero e dei dialoghi. Di nuovo, cioè, la letteratura segnala il pericolo che la stampa abdichi alla sua funzione, anzi che la capovolga, convertendosi da tramite con il mondo in narcotico della coscienza e fattore di omologazione. Ma la maggior parte dei testi dedicati al versante della ricezione va oltre, interessandosi soprattutto a un aspetto cruciale del giornalismo: il potere di dare notorietà alle persone e risonanza agli eventi. Nel corso dell’Ottocento risulta via via più evidente che i periodici servono non solo a trasmettere le novità, ma anche a potenziarle, gonfiarle, e persino a crearle dal nulla. È chiaro allora che siano stretti da un’intima analogia a quella pubblicità che poi ospiteranno attraverso le inserzioni a pagamento. Risulta, poi, altrettanto evidente che tale analogia è tutt’altro che lineare e controllabile, perché la capacità di elargire fama propria dei periodici può dipendere da motivazioni capricciose e sfociare in esiti imprevedibili. Il primo a sviscerare questo sospetto è un autore che con il giornalismo ha solo un breve contatto:  Il riflettore, 1887, Henry James Intreccio dominato da un giornalista americano, George Flack, corrispondente a Parigi di un periodico dedito ai pettegolezzi, che carpisce a un’ingenua compatriota, Francie Dosson, una sorta di intervista involontaria sulla famiglia del suo fidanzato Gaston, i Probert, americani trapiantati a Parigi e imparentati con l’aristocrazia legittimista. Tale intervista rubata porta alla ribalta lo snobismo esasperato della famiglia e loro segretucci imbarazzanti, che una volta pubblicati in articolo scatenano la loro indignazione furente contro la ragazza. Attaccato al giornalismo, Flack permette di descrivere tutte le ambiguità del settore. Ancora, l’intervista permette di rappresentare il giornalismo come un’arma e, come in Illusioni perdute, è un’arma che colpisce a tradimento. In realtà il quadro d’insieme risulta più complesso: in effetti l’intervista porta a conseguenze positive, perché spinge Gaston a non rompere il fidanzamento, ma anzi ad emanciparsi dalla sua famiglia. Così, senza che la sua personalità venga sbrogliata, il giornalista esercita una funzione demiurgica: è sprone all’evasione di un’identità che passa dall’artificiosità all’autenticità. La stampa acquista allora in James un’ulteriore valenza, perché la presenta implicitamente come una forma di conoscenza diretta e spiccia, opposta a quella sottile e irrisolta della letteratura, e proprio perciò degna di considerazione; in grado di provocare guasti ma anche di smuovere risolutivamente l’immobilità delle cose e il torpore delle coscienze. Lo sguardo sull’invasione della stampa nella vita privata prende invece una piega più triste e conseguenze deleterie in:  Suo marito, 1911, Pirandello Il marito, pur di ottenere l’attenzione per la carriera della moglie, si rassegna ad essere lo zimbello dei giornalisti e finisce per definire tutta la propria esistenza in funzione loro e delle loro dinamiche promozionali. Il testo lega il tema a una costante pirandelliana: la lacerazione fra identità effettiva e fisionomia esteriore, e mostra come il giornalismo rischi di farsi sfuggire di mano il proprio gioco, fabbricando maschere pubbliche tanto eccentriche quanto risucchianti e incontrollabili. Altre volte si tratta di articoli che stupiscono o feriscono semplicemente per la loro debolezza ermeneutica e per la loro soggezione ai clichè, che fanno apparire il giornalismo non spregevole ma superficiale fino all’ottusità, riprendendo una sua immagine già molto diffusa. In altri testi, invece, gli articoli feriscono intenzionalmente, segnalando torti o portando a galla segreti. La brutalità degli articoli può anche essere presentata in modo più fuggevole: in molti romanzi l’esplosione di drammi pubblici e privati prevede ritualmente l’intervento di una stampa insensibile o violenta. In certi casi gli eventi enfatizzati e dati in pasto al pubblico sono effettivi, cioè gli scandali muovono da una base di realtà. Così, è chiaro, l’accanimento diffamatorio è peggiore ed è calunnioso, oggetto di condanne ancora più risolute:  Onore perduto di Katharina Blum, 1974, di Heinrich Boll La condanna assume una portata più vasta ed è questa ad ispirare l’intera vicenda: un cinico reporter monta una pesante campagna persecutoria contro la giovane e onesta Katharina, a causa della sua fresca relazione con un latitante sospettato di attività terroristica. Così estorce interviste a sua madre e ai suoi datori di lavoro, ma deformandone i contenuti, infliggendole così un’indesiderata e tormentosa notorietà. Stanca, la donna arriverà ad uccidere il giornalista per poi costituirsi, rivendicando il gesto compiuto. L’accusa al giornalismo è vibrante e circostanziata, ma non esaurisce l’interesse del libro. Mediante l’andamento sinuoso del racconto e le contraffazioni dello stile giornalistico, il romanzo affronta il proprio soggetto attraverso schegge impossibili da ricomporre: se rigetta la parte deteriore della stampa, della stampa ricalca l’impostazione frastagliata e centrifuga, in grado di scrutare capillarmente gli eventi ma non di afferrarne completamente la verità, né di portarli a un finale e a un messaggio definitivi. La letteratura osteggia da sempre il giornalismo ma da sempre ne è attratta: ne prende le distanze ma ne assorbe le logiche, lo fronteggia in un corpo a corpo aspro quanto produttivo. I due campi tendono costantemente a ribadire la loro specificità e a confermare la loro lontananza, ma altrettanto costantemente a confrontare le loro dinamiche e a confondere i loro confini.