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Letteratura italiana contemporanea, 1945-2014, Giulio Ferroni, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Manuale di letteratura italiana moderna e contemporanea dal 1945 agli anni più recenti di Giulio Ferroni.

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

In vendita dal 16/04/2019

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Scarica Letteratura italiana contemporanea, 1945-2014, Giulio Ferroni e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! LETTERATURA ITALIANA CONTEMPORANEA -GIULIO FERRONI 1945-2014 3.1 Società e cultura del dopoguerra 3.1.1 Limiti cronologici Dal 1945 alla fine del secolo si è avuto un periodo di relativa stabilità internazionale, percorso da violenti conflitti sociali all'interno dei vari stati, da numerose guerre locali e da vari sconvolgimenti economici, sociali, politici, che hanno condotto dalla Guerra Fredda e dalla divisione del mondo in due blocchi al crollo del comunismo e dell'Unione sovietica. L’Italia ha visto una sostanziale continuità istituzionale, con grandi processi di trasformazione che hanno mutato radicalmente i connotati del paese e i caratteri stessi della vita quotidiana: anche se, verso la fine del secolo, la continuità è sembrata incrinarsi con il crollo del sistema di potere della DC e con nuovi orizzonti politici e istituzionali in cui si è impropriamente riconosciuta la nascita di una “seconda repubblica”. Con gli eventi del 1968, con l'esplosione dei movimenti studenteschi, sembra come giungere a compimento, in Italia nel mondo, un processo che aveva preso avvio dalle tensioni che già si erano innescate alla fine della guerra mondiale: si sprigionano una spinta liberatrice, un'aspirazione a rompere secolari barriere, a modificare abitudini e comportamenti, a lottare per un mondo nuovo e diverso. Dopo il 1968 inizia una specie di inversione di tendenza che, con l'affermazione di nuovi valori e modi di vita, Porta ad altri equilibri assai diversi da quelli costruiti nel primo dopoguerra: equilibri che, intorno al 1990, sembravano risolversi in una nuova unificazione del mondo non più sotto il segno della rivoluzione, bensì sotto quello del mercato economico, ma che poi sono rovinosamente crollati all'inizio del nuovo millennio. Dati il rilievo e il significato che il 1968 assume, può essere opportuno fissare in quell'anno il confine tra due epoche diverse, quella della ricostruzione e dell'espansione economica del dopoguerra, segnata dalla Guerra Fredda, e quella della nuova società planetaria, segnata da una aggressiva affermazione del capitalismo e dell'emergenza ecologica. 3.1.2 Verso una cultura di massa: nuovi beni e nuovi costumi Il grande sviluppo dei paesi occidentali nel dopoguerra si lega alla produzione di beni di consumo destinati a settori molto ampi della popolazione. Si affermano nuove forme di benessere collettivo. Questi processi riguardano naturalmente i paesi più avanzati, all'interno dei quali persistono spesso aree arretrate e situazioni contraddittorie. Le condizioni oggettive e la tradizione storica fanno sì che in Italia si distinguono le situazioni più varie, l'espansione economica rende ancora più forte il contrasto tra Nord e Sud: in molti centri si diffondono modi di vita modernissimi mentre in altri permangono sistemi di vita ancora sepolti in una civiltà contadina senza tempo, che offrono come unica risorsa possibile l'emigrazione. Nelle stesse aree più avanzate il troppo rapido inurbamento e le condizioni dello sfruttamento industriale danno origine a fenomeni di degradazione e di emarginazione. I comportamenti più minuti e l'orizzonte più generale dell'esistenza vengono a uniformarsi in funzione della produzione e del consumo: i rapporti di ciascuno con gli oggetti e con le persone si privano di spessore e valore e tendono a svolgersi in modo automatico. Questi caratteri della cultura di massa suscitano un notevole allarme nel mondo intellettuale, in cui si fondono nuove problematiche, come quelle dell'incomunicabilità e dell'alienazione. In questo orizzonte, si svolge una profonda e sottile laicizzazione dell'esistenza, che porta l'italiano medio a confrontarsi sempre meno con gli ideali e le forme religiose, e a cercare invece una soddisfazione della vita nel presente, a volte solo nel consumo degli oggetti disponibili. 3.1.3 Scolarizzazione e diffusione del lavoro intellettuale A questi progetti si accompagna un progressivo aumento della scolarizzazione, con un passaggio da una scuola d'elite a una scuola di massa. Diverse iniziative politiche collaborarono alla lotta contro l'analfabetismo, allo sviluppo e alla diffusione dell'istruzione al di là del primo livello della scuola di base in tutte le classi sociali. Un momento essenziale nella politica dello sviluppo scolastico fu l’introduzione della scuola dell'obbligo fino a 14 anni, con una scuola media inferiore unica, non più distinta secondo categorie diverse. Si trattava di uno sconvolgente fenomeno di promozione sociale che ebbe i suoi effetti anche sull'università, che nel corso degli anni Sessanta viene raggiunta da un numero consistente di giovani proveniente dalla piccola borghesia operaia e contadina. I percorsi scolastici universitari portarono alla formazione di strati di intellettuali di tipo “medio” molto più numerosi e ampi che nel passato. 1 Nella nuova dialettica dello sviluppo industriale queste figure intellettuali perdono sempre più nettamente la loro identità e il loro prestigio sociale. La loro condizione è quella dell'intellettuale-massa, consumatore e mediatore di cultura a un livello inferiore, secondo le esigenze dell'istituzione del mercato. 3.1.4 Trasformazione del tessuto linguistico Il nuovo, più veloce cammino verso la modernità porta automaticamente a compimento quell’unificazione linguistica del paese invano cercata dal tempo dell'unità politica. Nei primissimi anni del dopoguerra si assiste a un incontro-scontro tra una lingua italiana media, di tipo burocratico, ricca di formule retoriche, sviluppatasi negli anni del fascismo, e la vitalità dei diversi dialetti, legati a situazioni concrete, espressione del popolo che con la Resistenza sembra finalmente giunto alla ribalta della storia. Ora anche il nuovo cinema contribuisce a diffondere una forma di italiano medio parlato, carico di elementi dialettali di diversa origine. I più intensi rapporti tra le varie zone del paese, le migrazioni interne, i mezzi di comunicazione di massa creano nuovi miscugli e intrecci linguistici, e nello stesso tempo nuove difficoltà di comunicazione. Come avverte Pier Paolo Pasolini, l'industria e le comunicazioni di massa hanno rapidamente ridotto la vitalità dei dialetti, hanno creato un nuovo italiano tecnologico e capitalistico, standardizzato e neutralizzato, rispondendo in pieno ai bisogni del mondo industriale e comprensibile da tutti. 3.1.5 Le forme del lavoro culturale e della produzione letteraria Un nuovo rilievo nell'organizzazione della cultura assumono i partiti politici, che si avvalgono per i loro organi di stampa dell'opera degli intellettuali: tra tutti, il Partito Comunista è quello che adotta le iniziative più ampie e organiche, definendo il ruolo e la funzione degli intellettuali. In questi anni prende piede anche in Italia la forma del libro economico tascabile, con collane di grande e costante diffusione come la BUR, che mette alla portata di tutti un essenziale repertorio di classici della letteratura di tutti i tempi e la collana degli Oscar Mondadori. Difficili appaiono i rapporti tra le esigenze economiche dell'editoria e le diverse scelte degli scrittori, ben pochi riescono a vivere con i diritti d'autore, mentre molte personalità di rilievo ricoprono un ruolo importante nella politica editoriale. Assume un peso notevole, nei meccanismi produttivi e di mercato della nuova letteratura l'istituzione dei premi letterari, al cui sviluppo si collega il fenomeno dei grandi successi, che raggiungono vendite mai realizzate in passato, i primi successi italiani di dimensioni eccezionali sono quelli del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa e della Ragazza di Bube di Cassola. Un peso fondamentale nel mondo editoriale hanno anche le più varie espressioni della letteratura di massa che vedono un incremento notevole della loro diffusione. Il risultato più vivo e originale del giornalismo è costituito da “Il Mondo”, un settimanale uscito dal 1949 al 1966, schierato su una posizione del liberalismo di sinistra, che si avvale della collaborazione di numerosi scrittori e critici e che ha costituito una rigorosa esperienza di giornalismo di cultura, il suo fondatore, Mario Pannunzio, è una delle maggiori figure del giornalismo italiano. La sede privilegiata del dibattito culturale è ancora costituita dalle riviste, che fioriscono in grande numero come espressione di gruppo e tendenze particolari, strumento di intervento militante nella situazione contemporanea. Un cenno va fatto, infine, alla partecipazione degli scrittori all'industria dello spettacolo: il momento particolarmente felice attraversato dal cinema italiano dal dopoguerra agli anni Sessanta è caratterizzata da rapporti molto stretti con la letteratura e dalla collaborazione prestata da numerosi scrittori, di cui si avvalgono anche la radio e la televisione. 3.1.6 Rapporti con le letterature straniere La cultura italiana del dopoguerra istituisce nuovi rapporti e contatti con le contemporanee letterature straniere Ma resta abbastanza lenta la diffusione della conoscenza dei grandi autori e delle grandi opere della prima metà del secolo. Fattori diversi pongono ostacoli piuttosto consistenti alla diffusione della grande arte d'avanguardia e negativa europea, vista spesso semplicisticamente come espressione della decadenza borghese. Notevoli ostacoli incontra anche la penetrazione delle nuove forme letterarie che si elaborano nel mondo della Guerra Fredda. La cultura che circola più ampiamente in Italia è quella francese, che condivide con la nostra vari problemi, legati anche alla presenza, nei due paesi, di un forte partito comunista. Nella cultura francese alla ribalta, negli anni Quaranta e Cinquanta, è l’esistenzialismo, con un vivace intreccio tra filosofia, politica, letteratura. Notevole eco suscitano in Italia le opere letterarie, le posizioni politiche e le polemiche di autori come Jean-Paul Sartre, che intreccia esistenzialismo e marxismo e definisce l'engagement dell'intellettuale e Albert Camus, che rappresenta la condizione assurda dell'uomo sullo sfondo degli orrori della storia contemporanea. Nella Francia degli anni Cinquanta viene elaborata una nuova forma di romanzo, il cosiddetto nouveau roman, che tende proprio al rifiuto della centralità della figura umana e che in Italia suscita curiosità negli anni Sessanta. Nello stesso tempo si sviluppa in Francia un teatro dell'assurdo, che disintegra in nuovi modi le tradizioni e le strutture del teatro e ha grande fortuna anche in Italia. Ma una più radicale rigorosa negazione di ogni possibilità umana raggiunge l’opera di Samuel Beckett. Dalla Francia vengono poi negli anni Sessanta i primi sviluppi dello strutturalismo. Dall'inghilterra, oltre il prolungarsi dell'interesse per la grande scuola poetica che aveva in Eliot il suo maggiore rappresentante, ci giunge negli anni Cinquanta l’eco del teatro e della narrativa dei cosiddetti angry young man. La letteratura americana mantiene il fascino degli autori già scoperti negli anni Trenta, e offre negli anni sessanta nuove suggestioni soprattutto con personalità votate a un rapporto distruttivo con l'esistenza e con il mondo, che forniscono 2 gli autori più rappresentativi di questa tendenza. Preso nel suo insieme, il realismo degli anni Trenta ha caratteri problematici, che solo in parte confluiscono nel neorealismo del dopoguerra. Il momento più vitale del neorealismo è quello della Resistenza e del dopoguerra, quando si diffonde un nuovo modo di rappresentare la realtà popolare. Si crea n linguaggio di tipo “medio”: la voce di un popolo che agisce come protagonista, che racconta sé stesso e i fatti tragici a cui partecipa. Le vicende della guerra e della lotta partigiana spingono a cercare un rapporto più diretto con la realtà: c’è un nuovo bisogno di narrare che si esprime nella stampa clandestina, nelle cronache e nei diari di guerra, nell’essenzialità del linguaggio cinematografico. La rappresentazione della realtà può raggiungere momenti di violenza, denunciando intollerabili oppressioni ma domina quasi sempre una fiducia nelle risorse dello spirito popolare; si tende a suggerire un modello di umanità positiva, a idealizzare i gesti e le azioni dei personaggi popolari, a trasporre i fatti su un piano epico. Come osservò Gadda, la scrittura neorealistica si appoggia sulla sicurezza di stare sempre dalla parte del vero e del giusto. Non bisogna trascurare il peso che ebbe il cinema neorealista nell’indicare un nuovo modo di raccontare, rapido ed essenziale, legato a una diretta osservazione della vita popolare. Agli eroi tradizionali questo cinema sostituiva uomini comuni, e agli attori professionisti venivano spesso preferite persone comuni, scelte dalla strada. 3.2.2 Elio Vittorini: una presenza inquieta e vitale Negli anni del fascismo Vittorini si era tenuto lontano dall’idealismo e dalla cultura ufficiale, aprendosi alla contemporanea letteratura americana. Le sue opere rispondono a un bisogno di partecipare alle tendenze più vitali del presente e in esse egli proietta la propria coscienza della situazione storica. Per questo, di fronte alle brusche trasformazioni in cui si trova a vivere i suoi scritti rimangono speso sospesi, come i risultati di un’esperienza non scavata a fondo perché presto modificata dalla realtà; numerosi sono i testi da lui abbandonati e non finiti. Legate strettamente al momento di cui sono espressione, molte sue opere mostrano oggi i limiti degli anni in cui sono nate, e sembrano spesso aver esaurito la loro carica vitale. • Siracusa 1908-Milano 1966; • trascorse l’infanzia in Sicilia seguendo gli spostamenti del padre ferroviere: il fascino del treno e del viaggio sarà presente in tutta la sua opera; • dopo il matrimonio si trasferì in Venezia Giulia e in quegli anni pubblicò articoli di politica e critica e il volume di racconti Piccola borghesia (1931); • si trasferì a Firenze dove collaborò a numerose riviste e divenne redattore di “Solaria”, dove pubblicò Il garofano rosso (1933); • divenuto elemento sospetto venne espulso dal Partito fascista e si accostò ai gruppi comunisti clandestini; • Conversazione in Sicilia (1941); • durante la guerra svolse attività clandestine per il Partito comunista e fu incarcerato a San Vittore: liberato, prende parte ad alcune azioni della Resistenza; • dopo la liberazione fonda a Milano “Il Politecnico”, nel 1945; • lascia il Partito comunista e negli anni successivi la sua vita privata è lacerata dal dolore per la perdita del figlio; • nel 1959 fonda con Calvino “Il Menabò”; • guarda con attenzione alla nuova realtà industriale e tecnologica, interrogandosi sulla possibilità di una letteratura che tenga conto dei nuovi orizzonti sociali, e giudica con distacco e delusione la sua precedente produzione. 3.2.3 Vittorini intellettuale e organizzatore di cultura In ogni momento della sua attività Vittorini rivela grande fiducia nella cultura come forza capace di creare un mondo umano e vitale. Con il suo distacco del fascismo, questo vitalismo si rivolge con appassionata attenzione alla realtà popolare, verso l'ingiustizia e l'oppressione. L'interesse per il popolo è per lo scrittore anche ricerca delle proprie radici siciliane, ritorno alle più oscure matrici dell'umanità, ai miti originari del mondo contadino. L'esperienza della Resistenza genera poi in Vittorini l'esigenza di un intervento più concreto nella realtà. Nelle sue intenzioni originarie “Il Politecnico” è proprio uno strumento di battaglia per una nuova cultura, che penetri totalmente nella vita sociale. La rivista è anche occasione di apertura alle più varie esperienze della cultura internazionale, una via d'uscita dai limiti della tradizione idealistica. Tuttavia è proprio questa ricerca libera e aperta a suscitare il dissenso della dirigenza comunista, che nel 1946 rivolge varie critiche all'eclettismo del giornale e alle concessioni che esso farebbe alla cultura borghese. In una “lettera a Togliatti” su Politica e Cultura, pubblicata sulla rivista nel 1947, Vittorini risponde a queste critiche difendendo la cultura come libera e autonoma ricerca, propugnando un rapporto tra politica e cultura non regolato né dalla politica né dalla cultura ma lasciato libero di variare secondo le diverse realtà storiche. L'apertura di Vittorini alla Libera ricerca lo spingeva a cercare di capire i nuovi processi sociali in atto, molto più di quanto non fosse in grado di fare la cultura ufficiale di partito. In questa ricerca egli arrivò a porsi inquiete domande sulla nuova società, fino ad abbandonare ogni nostalgia per i valori originali del mondo popolare e contadino e a cercare una cultura scientifica e tecnica, capace di trovare la via di una liberazione concreta dell'uomo in un nuovo rapporto con gli oggetti. 3.2.4 La narrativa di Vittorini 5 Le opere narrative di Vittorini sono sempre tese verso la ricerca di un qualcosa che possa essere essenziale e risolutivo, ma che ciascuna di esse riesce a realizzare solo in parte: all'origine è possibile ritrovare ogni volta una spinta di tipo lirico, che non arriva però quasi mai a dar vita a mondi narrativi di forte spessore. Le prime prove narrative di Vittorini sono costituite da vari racconti giovanili, pubblicati in rivista, e dagli otto racconti del volume Piccola borghesia, apparso nel 1931: in essi la rappresentazione della vita della piccola borghesia si lega alla ricerca di una libera vitalità, che si esprime soprattutto in immagini di infanzia e adolescenza. Si tratta di un'interpretazione positiva del mito dell'adolescenza, assai diffuso nella cultura europea intorno al 1930, che trova la sua incarnazione più notevole nel romanzo Il garofano rosso, pubblicato su Solaria tra il 1933 e il 1936. Il romanzo suscitò il sospetto della censura e dopo varie revisioni uscì in volume solamente nel 1948. L'interesse del romanzo risiedere nell'incontro tra la passione vitale dell'adolescenza e le contraddizioni politiche. L'opera di maggior risonanza fu Conversazioni in Sicilia, iniziata dopo la rottura con il fascismo e un periodo di abbandono della narrativa: nonostante la diffidenza della censura, il testo apparve in cinque puntate su “Letteratura” e venne poi stampato in volume nel 1941. Quest'opera fu sentita come rivelazione di una nuova forma di narrazione lirica, poggiata su rapporti di tipo analogico tra figure e situazioni, su uno sfondo mitico e sacrale. Essa veniva come a sintetizzare realismo ed ermetismo: stanco delle forme di realismo naturalistico che aveva seguito nelle sue precedenti esperienze, egli cercava qui di uscire dal grigio orizzonte dell'Italia borghese e fascista, ritrovando le radici profonde e segrete dell'anima popolare. Il romanzo è costruito su una narrazione in prima persona, ma la voce narrante solo in parte coincide con quella dell'autore e rappresenta piuttosto una sorta di soggetto collettivo, l'immagine dell'intellettuale cittadino, che all'inizio appare incapace di uscire dalla grigia passività del presente. A questo tetro orizzonte, egli sfugge partendo in treno da una città dell'Italia settentrionale verso la Sicilia in cui è nato. Il ritorno all'origine contadina riconduce ai valori autentici e severi della vita popolare, da quel fondo oscuro e rituale nascono una partecipazione più profonda alle sorti del mondo e una speranza di riscatto e liberazione. Il romanzo, più che una vera narrazione, propone una serie di situazioni liriche e di figure esemplari, personificazioni morali più che individui concreti. Lo scrittore cerca a tutti i costi di essere sempre su un tono più alto rispetto a quelli consueti della prosa italiana, vuole a tutti i costi rendere la sua parola esemplare e assoluta. A una vicenda della lotta armata della Resistenza è dedicato il romanzo Uomini e no del 1945, che tenta una scarnificazione del discorso narrativo, seguendo schemi del cinema e della letteratura americana. Opera ambiziosa è il romanzo Le donne di Messina, che apparve in volume nel 1948. Il romanzo presenta la vita, i conflitti e le speranze di una comunità sorta in un villaggio abbandonato per opera di un gruppo di sbandati di varia origine. In una nuova edizione, la stessa costruzione della comunità primitiva è criticata in nome di valori di efficienza e di razionalità tecnologica. 3.2.5 Cesare Pavese: il “mestiere di vivere” Cesare Pavese ha svolto un ruolo essenziale nel passaggio tra la cultura degli anni Trenta e la nuova cultura democratica del dopoguerra: ha rivolto un'attenzione alla realtà popolare e contadina che ha avuto grande risonanza negli anni del neorealismo, come operatore culturale ha mediato aspetti dell'esperienza della cultura europea e americana, estranei all'idealismo dominante e ha vissuto in pieno la stagione dell'impegno nel Partito Comunista. Come mostra la stessa tragica conclusione della sua esistenza, Pavese è molto lontano dal vitalismo di Vittorini, dalla sua volontà sempre costruttiva e positiva, la sua partecipazione al presente si lega sempre a un senso lacerante della contraddizione tra letteratura e impegno politico, tra esistenza individuale e storia collettiva. • Santo Stefano Belbo (Langhe) 1908-Torino 1950; • compie gli studi a Torino, dove è essenziale l'insegnamento di Augusto Monti; • si laurea in Lettere con una tesi sul poeta americano Walt Whitman: già dalla fine degli anni Venti aveva iniziato a tradurre scrittori anglofoni, negli anni successivi svolge un intenso lavoro in questo campo; • sostituì Leone Ginzburg, arrestato dai fascisti, nella direzione della rivista “La cultura”, e iniziò la sua collaborazione alla nuova casa editrice Einaudi, • per i suoi rapporti con Giustizia e Libertà venne inviato al confino dove restò fino al 1936, anno in cui esce il libro di poesie Lavorare stanca; • notevole risonanza ebbe il romanzo Paesi tuoi del 1941; • durante l'occupazione tedesca si rifugiò in un paese del Monferrato, presso la sorella, guardando con distacco agli eventi della Resistenza; • dopo la liberazione, si iscrisse al Partito Comunista e cominciò a collaborare “L’Unità”, seguirono anni di lavoro molto intenso in cui pubblicò le sue opere di maggior successo, • il successo pubblico gli dava una sensazione di forza ma a ciò si opponeva la percezione di una insuperabile falsità nei rapporti umani e la convinzione di non partecipare effettivamente a nulla di ciò che era esterno al suo io, tutto ciò trovava un risvolto amaro nella sua difficoltà di vivere i rapporti amorosi: fu trovato morto per effetto di una dose eccessiva di sonnifero. 3.2.6 Temi ricorrenti nell’opera di Pavese Parte dell'opera di Pavese è dominata dal richiamo dell'infanzia e del mondo contadino che rappresentano un passato originario, che contiene in sé la traccia di qualche evento unico e primordiale, di cui non è possibile individuare i 6 caratteri, ma che la scrittura e la riflessione cercano di scoprire e ripetere. Nelle attività della vita contadina si ripete il tempo del mito, sempre uguale a se stesso, estraneo al movimento della storia. La città rappresenta invece il movimento, l'operosità che trasforma le cose e allontana dalla natura. Il rapporto tra città e campagna è contraddittorio: nella campagna la natura rivela la sua vitalità originaria, ma si afferma come una forza cieca, inesorabile e mortale, nella città l'uomo si costruisce come essere sociale e civile ma si perde nella artificio e in una vita sempre più priva di valore. Il problema della costruzione di sé, fondamentale nell'esperienza autobiografica di Pavese, è alla base di tutto il suo rapporto con la letteratura: costruirsi è prima di tutto cercare uno stile, trovare i modi per riconoscere se stesso attraverso un paziente e ostinato lavoro che porta alla maturità. Lo sguardo degli altri, il riflesso sociale, possono facilmente trasformare lo stile in una maschera ed è difficile distinguere la costruzione di sé dalla fuga di sé, dal nascondersi agli altri. In questa contraddizione c'è una delle motivazioni essenziali del dramma di Pavese: quanto più egli si avvicina alla maturità stilistica, tanto più si sente minacciato dalla menzogna e dalla perdita del suo io. 3.2.7 Lavorare stanca: Pavese poeta La prima esperienza di Pavese come scrittore si svolge con le poesie di Lavorare stanca, che nel 1936 furono stampate per le edizioni di Solaria ed ebbero scarsa risonanza. Si tratta di una poesia che mira ad essere nello stesso tempo realistica e simbolica, trovando i suoi modelli più vicini nell'americano Walt Whitman. Essa è caratterizzata soprattutto dal ritmo del verso che comunica l'effetto di una realtà condannata perpetuamente a riprodurre le proprie forme. Pavese realizza un personale verso narrativo fatto spesso di combinazioni diverse e irregolari di di versi regolari di diversa misura. In seguito scrisse solo poche liriche di tipo più immediato, legate alle sue ossessioni al suo dramma esistenziale, ma senza nessuna particolare ricerca del linguaggio, che furono pubblicate nella breve raccolta postuma Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (1951). 3.2.8 Narrativa e riflessione sul mito Nel corso degli anni Trenta Pavese scrisse molti racconti in cui si sente l'eco della contemporanea narrativa realistica americana e del verismo di Verga: spesso la vita contadina vi viene rappresentata nelle forme di un naturalismo violento in cui sono in primo piano l'ossessione del sesso e del sangue. Questo orizzonte naturalistico trova la sua espressione più intensa nel romanzo Paesi tuoi (1941), la prima opera di Pavese che ebbe una certa risonanza e che costituì uno dei modelli della narrativa neorealista. Negli anni della guerra l'attenzione di Pavese per il mondo contadino si tradusse in una più diretta riflessione sul folclore, sulle tradizioni popolari e soprattutto sul mito: di fronte alla tragedia della guerra si acuì il suo interesse per il selvaggio, che lo indusse a indagare sulle motivazioni originarie dei comportamenti umani, sui legami tra mito e religione, sugli impulsi che reggono decisioni e azioni individuali e collettive. Più direttamente alle forme del mito classico, nel suo profondo valore antropologico, si rivolge l'opera a cui Pavese si dedica subito dopo la guerra, i Dialoghi con Leucò: 27 dialoghi tra personaggi della mitologia classica che si succedono secondo un percorso che parte da un confronto con il carattere ineluttabile del destino, da una presa di coscienza della necessità del dolore e della distruzione. Pavese raggiunge un singolare equilibrio tra sofferta problematica esistenziale, fascinazione del mito e richiamo della realtà storica nei quattro brevi romanzi scritti negli ultimi tre anni della sua vita. In modi diversi si tratta di romanzi di iniziazione in cui un personaggio o un gruppo di personaggi legati da un'amicizia scontano insieme un doloroso cammino di conoscenza e alla fine si rivela la maledizione che pesa su ogni esperienza, la minaccia immodificabile che la natura, la società e la storia fanno pesare sugli sforzi degli individui. La narrazione si svolge sempre sulla base di una realtà concreta, ma è molto lontana dalle formule neorealistiche e si affida a situazione liriche, ricavando dalla realtà una rete di simboli e scoprendo in essa il ripetersi di un destino già tracciato una volta per tutte dal mito. Il primo di questi romanzi, La casa in collina, pubblicato nel 1948 nel volume Prima che il gallo canti, è probabilmente il capolavoro di Pavese. Con forti risvolti autobiografici il romanzo si svolge in prima persona attraverso il racconto di Corrado, un professore di Torino che ha una casa in collina e vi si rifugia in cerca di solitudine: durante la guerra egli incontra Cate, donna che ha amato in passato, e segue le vicende di lei e dei suoi amici partigiani fino all'arresto da parte dei tedeschi. Il romanzo trae alla luce le contraddizioni del protagonista intellettuale, il suo isolamento e il suo perpetuo nascondersi alle responsabilità collettive che la guerra impone. Il diavolo sulle colline fu pubblicato nel 1949 nel volume La bella estate, insieme al precedente romanzo dallo stesso titolo e al successivo Tra donne sole. Esso narra dei vagabondaggi di tre ragazzi torinesi tra la città e la collina e dei loro rapporti con Poli, un personaggio inquietante che vive in collina cercando esperienze totali e distruttive. L'altro romanzo Tra donne sole segue, attraverso la narrazione in prima persona di Clelia, donna sicura di sé, che vive del proprio lavoro, l'esistenza di una serie di personaggi femminili che si scontrano con l’orizzonte della città moderna. L’ultimo romanzo di Pavese, La luna e i falò (1950), fa tornare in primo piano il tema della guerra partigiana, con la narrazione in prima persona di Anguilla, tornato dopo essere emigrato in America a visitare le colline delle Langhe dove è nato. Il personaggio cerca di afferrare la memoria della sua infanzia, dominata dall'immagine dei falò propiziatori accesi sulle colline alla metà d'agosto ma, cercando tracce di persone conosciute quando era bambino, egli viene a sapere dei più recenti falò di morte, delle distruzioni e della crudeltà che hanno dominato sulle colline durante la guerra partigiana. 3.2.9 Beppe Fenoglio scrittore solitario 7 municipali e comunitarie. Il suo luogo esemplare è il quartiere fiorentino, spazio chiuso all'interno della città, ambito familiare in cui tutti gli aspetti della vita privata si svolgono in pubblico. Dopo alcuni libri di racconti dedicati alla memoria dell'infanzia e dell'adolescenza, il primo libro importante di Pratolini è Il quartiere, dedicato alla vita del quartiere popolare di Santa Croce negli anni del fascismo. Segue la sua opera più intensa, Cronaca familiare, dedicata alla memoria del fratello. Dopo vari romanzi, intraprese il suo progetto più ambizioso, quello di una trilogia dal titolo Una storia italiana, con l'intenzione di narrare le vicende della vita sociale italiana dalla fine dell'Ottocento al presente. Il primo romanzo della trilogia, Metello (1955), segue, attraverso la storia di un protagonista operaio positivo, le lotte sociali dal 1875 al 1902. Esso suscitò una polemica, tra chi lo considerava autentica espressione di un nuovo realismo, e chi sottolineava i limiti del suo sentimentalismo e della sua rappresentazione idilliaca della realtà operaia. Il secondo romanzo, Lo scialo (1960), presenta lo sfacelo morale della borghesia fiorentina di fronte al fascismo, con momenti di violenza e singolare aggressività, il terzo romanzo, Allegoria e derisione (1966), descrive una figura di intellettuale che passa dal fascismo al comunismo, fino alle contraddizioni e alle difficoltà degli anni più recenti. 3.2.15 La tradizione toscana: Tobino, Cassola e altri Altri narratori legati al mondo toscano si pongono in un più generale orizzonte realista sfiorando solo parzialmente il neorealismo. • Mario Tobino (Viareggio 1910- Agrigento 1991), ha esercitato in vari luoghi la professione di medico e ha diretto a lungo l'ospedale psichiatrico di Maggiano, presso Lucca. La sua passione per la letteratura è stata prima di tutto affermazione di generosa disponibilità e attenzione verso gli aspetti concreti della vita individuale e sociale, e capacità di guardare senza preconcetti alle situazioni e alle condizioni reali. Un'attenzione al diverso, una profonda comprensione per la sofferenza e per il dolore, si afferma in Le libere donne di Magliano (1953) che, nelle storie delle pazienti dell'ospedale psichiatrico, mette in luce la dignità e la rovinosa forza della libertà interiore e della follia. Di grande interesse e sconvolgente attualità appaiono i nuovi libri dedicati all'istituzione psichiatrica, Per le antiche scale e Gli ultimi giorni di Magliano, denuncia dei danni causati dalla riflessione ideologica sulla follia, dall'abbandono in cui secondo Tobino i malati di mente sono stati lasciati dalla legge del 1978 che ha abolito i manicomi. • Carlo Cassola tende a rappresentare una vita elementare ridotta al minimo che ha i suoi luoghi esemplari nei paesaggi marini e campestri della Maremma, vissuta da modesti personaggi di un mondo popolare e contadino, che seguono il ritmo di giorni sempre uguali. Di questo livello minimo di vita Cassola non dà una visione tragica è corrosiva ma un'immagine lirica e idilliaca, leggendovi come un messaggio di salvezza. Tutte le doti di Cassola sono presenti già nei suoi primi brevi racconti, raccolti nei due volumetti Alla periferia e La visita in cui si sviluppano sottili sentimenti e suggestioni liriche ispirate da situazione assai semplici. Una strada narrativa più complessa viene percorsa nei romanzi Fausto e Anna e La ragazza di Bube (1960) che ebbe un grande successo di pubblico grazie a una vicenda sentimentale che registrava l'esaurirsi della vita politica e sociale della Resistenza e del dopoguerra, tracciando un quadro del processo di normalizzazione, che coinvolge la concreta esistenza di personaggi popolari. I numerosi libri dell'ultimo Cassola propongono un modello di intimismo che spesso abbandona i consueti ambienti polari e si rivolge a un vecchio mondo borghese. 3.2.16 La poesia neorealista Nella poesia il neorealismo non riuscirà a porre veramente in discussione i modelli della lirica del Novecento che tendevano a fare della poesia la voce di una coscienza separata dal mondo e ripiegata su se stessa. Molti autori scelsero comunque la strada dell'impegno politico, tentando di sovrapporre il loro linguaggio lirico alla nuova realtà sociale, i casi più rilevanti sono quelli di Quasimodo e di Gatto, che adattarono alle nuove tematiche le formule della loro precedente poesia, creando una specie di miscuglio ermetico-neorealistico che ebbe un notevole rilievo tra gli anni Quaranta e Cinquanta. La vera e propria poesia neorealista si sviluppa attraverso propositi indeterminati di uscire dalla prigione della lirica e di trovare nuovi toni colloquiali e comunicativi, si cercava una lingua spontanea e immediata, si guardava all'italiano dialettale regionale, si riproducevano cadenze e forme della poesia popolare. Tra i poeti si possono ricordare Franco Matacotta, Elio Filippo Accrocca e Luigi Di Ruscio. La passione politica approda a momenti di autentica intensità nell'opera di Rocco Scotellaro, militante socialista, coraggiosamente impegnato nelle lotte agrarie del dopoguerra. 3.2.17 Modi della scrittura teatrale: il teatro di Eduardo La drammaturgia italiana del dopoguerra non esce dall'orizzonte dominante nell'epoca precedente. Le eccezioni sono date dal caso tutto particolare di Eduardo De Filippo e da una drammaturgia che dibatte i problemi morali prediligendo la forma dell'inchiesta e trovando una delle sue forme simboliche nel processo e nell'indagine giudiziaria. Di un certo rilievo sono altre esperienze drammaturgiche di alcuni scrittori, nell'attività dei quali il teatro costituisce comunque un aspetto parziale, come Moravia, Sciascia e Pasolini. Il teatro di Eduardo De Filippo affonda le proprie radici nella tradizione dello spettacolo napoletano. A parte molti volumi che contengono espressioni marginali della sua attività, la produzione drammatica di Eduardo è raccolta nella Cantata dei giorni pari , che contiene i testi scritti fino al 1942, e nella Cantata dei giorni dispari, che contiene i testi successivi. Possiamo ricordare Uomo e galantuomo, Ditegli sempre di sì, Filomena Marturano. 10 In questa drammaturgia di Eduardo De Filippo si è data la maggiore immagine contemporanea di quell’intreccio tra attore, autore e regista. Il suo teatro è inestricabilmente legato alla sua presenza scenica e alla sua recitazione. Attraverso il corpo dell'attore, nel suo modo di essere e di parlare, di comunicare con il pubblico, il personaggio di Eduardo ha portato sulla scena un sogno di solidarietà e di giustizia, ha vissuto lo scontro tra questo sogno e la realtà di un mondo dominato dall'egoismo. Attraverso il comico egli ha verificato il contrasto tra l'aspirazione del suo personaggio a una semplicità umana e i caratteri concreti della vita contemporanea, dominata dal denaro e estranea alla dimensione umana. Il comico arriva così spesso a volgere improvvisamente verso il patetico e il tragico. In tutto il teatro di Eduardo c'è un profondo amore per una Napoli piccolo borghese, per le sue usanze più semplici ed elementari, per la sua comunicatività spontanea, anche se impegnata in una lotta quotidiana per la sussistenza, presa tra la morsa della povertà. iI suo personaggio tipico crede quasi sempre nei valori originari di quel mondo, con un candore estremo e disarmante, che si scontra con la degradazione che essi continuamente subiscono nella realtà. In primo piano è per lui il valore della famiglia, ma proprio il valore della famiglia subisce nel suo teatro i più vari sconvolgimenti. Il teatro dialettale abbandona la strada e la piazza e trova una forma dialettale attenuata, un napoletano piccolo borghese abbastanza semplice e comprensibile. Nell'analisi dei contrasti familiari si sente con particolare forza l'influenza del teatro di Pirandello e qualche volta si arriva a sfiorare il pirandellismo più convenzionale mentre, altre volte, Eduardo immette nei suoi drammi espliciti motivi filosofici e teologici. 3.3 Da Moravia a Sciascia: una grande nebulosa narrativa 3.3.1 Realismo critico e tradizione narrativa Per alcuni autori che svolgono la parte più cospicua della loro attività negli anni della ricostruzione e dello sviluppo dell’Italia neocapitalistica sono essenziali le esperienze già svolte negli anni precedenti, mentre altri hanno continuato a lavorare a lungo negli anni a noi più vicini, tra essi Moravia si è trovato a percorrere gran parte dell'arco cronologico del secolo. E’ più difficile fornire definizioni per questi narratori, si può dire soltanto che essi proseguono e sviluppano una tradizione narrativa creatasi già negli anni Trenta, che tende a una rappresentazione critica della realtà, in forme e modi che possono essere molto vari, ma evitando comunque di rompere i tradizionali equilibri linguistici e strutturali del racconto e del romanzo. I caratteri comuni e questi scrittori possono essere riassunti nella formula di realismo critico ma emergono risultati e orientamenti del tipo più diverso, con soluzioni spesso tra loro lontane e contrastanti, che contribuiscono a dare un'immagine molto articolata della realtà italiana dagli anni del fascismo a quelli dello sviluppo economico e della diffusione della nuova cultura di massa. 3.3.2 Alberto Moravia: la vita Quella di Moravia è stata una presenza costante nella cultura e nella vita intellettuale del Novecento, egli è uno degli scrittori che più hanno agito su un vasto pubblico, creando, specie tra gli anni Cinquanta e Sessanta, un'immagine corrente della problematica culturale contemporanea, un vero e proprio modello di comportamento intellettuale. • Roma 1907-1990; • il suo vero nome è Alberto Pincherle, userà poi il cognome di Moravia che già il padre, aveva ricevuto da uno zio, aggiungendolo a Pincherle; • ebbe infanzia e adolescenza difficili per una forma di tubercolosi ossea che lo costrinse a lungo a letto, compie studi irregolari, con molte letture di classici e di grandi narratori, durante la convalescenza, scrisse, giovanissimo, Gli indifferenti (1929); • soggiornò a lungo a Londra, Parigi e compì un viaggio in Cina; • nei suoi scritti giornalistici si adegua agli orientamenti della cultura di regime, ma il fascismo guarda con sospetto alla sua produzione narrativa e impone alla stampa di parlarne il meno possibile, il romanzo satirico La mascherata (1941) suscitò un intervento più duro del regime che gli impedì di scrivere sui giornali se non con uno pseudonimo; • nel 1941 sposò Elsa Morante; • dopo la liberazione ripresa dell'attività letteraria e giornalistica con collaborazioni a vari giornali come “Il Mondo” e il “Corriere della Sera”; • anche scrittura teatrale, molteplici interventi saggistici, effettuò numerosi viaggi legati soprattutto all'attività giornalistica; • 1962 si separa dalla Morante e si lega alla giovane scrittrice Dacia Maraini; • deputato al Parlamento Europeo. 3.3.3 Moravia: metodo narrativo e modello intellettuale Moravia è stato certamente un narratore nato, dotato di una spontanea e immediata vocazione a narrare, a trasformare ogni dato dell'esperienza in situazione narrativa. Egli non è uno di quegli scrittori che si macerano sulla pagina, ogni testo si esaurisce per lui nel momento in cui viene pubblicato. Egli non concepisce correzioni, variazioni o riscritture, non torna mai su quello che ha già scritto. Si cura pochissimo dello stile, la parola vale per lui quello che dice, la scrittura è una specie di compito quotidiano che egli si è assunto e a cui mantiene ininterrottamente fede. 11 Moravia parte da un senso di estraneità verso la realtà, da una vita che impedisce ogni comunicazione autentica, da un'ostilità verso le cose le persone. Lo scrivere di Moravia è un incessante costruzione di sé in cui si incontra con la più svariata problematica della cultura contemporanea, con i tempi decisivi proposti dell'attualità: come a voler sfuggire a quel sotterraneo rancore verso la realtà, egli si immerge in tutto ciò con un desiderio di partecipazione che dà luogo spesso a interpretazioni e giudizi a volte troppo disinvolti. Fin dall'inizio alcuni critici hanno riconosciuto, nel sordo rancore di Moravia verso le cose, il segno di una vocazione di moralista, e lo stesso scrittore si è appropriato di questa definizione costruendo sempre più la sua narrativa su schemi etici, quasi facendo dei personaggi e delle situazioni l'incarnazione di categorie morali. Al moralista si è intrecciato l’intellettuale impegnato, sempre pronto a dare il suo giudizio sulla realtà politica e sociale con un’indipendenza politica che gli ha permesso di oscillare tra atteggiamenti antiborghesi e momenti di condiscendenza agli schemi borghesi. Mettendo insieme tutte queste cose, Moravia ha fornito la sintesi più esemplare delle ideologie e dei comportamenti della borghesia intellettuale italiana nell'arco che conduce dal fascismo alla fine del Novecento. L'orizzonte dell'attualità, che domina tutta la narrativa di Moravia e si fa sempre più esplicito nel dopoguerra, trova espressione nella sua fittissima produzione giornalistica, dal linguaggio semplice e piano. Una riflessione critica e teorica è poi depositata in numerosi saggi, i più importanti dei quali sono raccolti nel volume L'uomo come fine e altri saggi (1963). Di ridotto interesse, dominati da troppo esplicite problematiche intellettuali e privi di tensione drammatica, appaiono i numerosi tentativi teatrali. 3.3.4 Da Gli indifferenti ad Agostino Capolavoro di Moravia resta il primo romanzo Gli indifferenti, pubblicato nel 1929 a soli 22 anni, una delle espressioni di maggiore rilievo della nuova narrativa degli anni del fascismo. un romanzo nato da un innato impulso a narrare e della scoperta di una realtà assolutamente vuota, fatta di gesti privi di ogni valore, di personaggi che agiscono solo in base a un cupo egoismo, indifferenti ai valori e alle forze necessarie al manifestarsi di una vera tragedia. La vita della famiglia Ardengo è dominata dalla stanca relazione tra Mariagrazia, vedova, e Leo, volgare arrivista che ricava da questo legame vantaggi economici, danneggiando i figli della donna, Carla e Michele. Mentre Mariagrazia è gelosa di Lisa, vecchia amante di Leo, questi circuisce Carla, piena di risentimento verso la madre, fino a sedurla. Michele, maltrattato da Leo, non sopporta la situazione e aspira a ribellarsi a quel rapporto, ma ogni suo tentativo di azione risulta vano. La situazione infine si assesta, Leo sposerà Carla, Mariagrazia e Michele si adatteranno e anzi, il giovane diverrà indifferente amante di Lisa. Si tratta di un'immagine critica e risentita della corruzione della borghesia italiana sotto il fascismo. Molto presto ne fu avvertita la carica polemica antiborghese, che non risaliva a un'esplicita intenzione dell'autore ma alla sua capacità di osservare e seguire i caratteri più tipici della borghesia. Contemporaneamente Moravia aveva messo mano a vari racconti. In molti di questi si esprime un senso di avvilimento e disgusto verso un mondo falso dove l'unica ribellione consiste nel portare ancora più a fondo la rassegnazione. Gli anni successivi furono dominati dal più lungo impegno del romanzo Le ambizioni sbagliate (1935), assai deludente nel suo proposito di creare un dibattito morale sul modello di Dostoevskij. Risultato di grande rilievo è costituito dal romanzo breve Agostino (1943) in cui la narrazione in terza persona segue i turbamenti di un tredicenne borghese che, in vacanza al mare con la madre, scopre il mondo del sesso, assistendo al flirt della madre con un giovane e frequentando una banda di ragazzi disposti a tutte le esperienze. Uscendo dalla sua ingenuità infantile Agostino si sente attratto dalla vita reale ma è come prigioniero della sua impotenza di adolescente e della sua condizione di bravo ragazzo borghese, che gli nega le esperienze possibili ai ragazzi del popolo. Moravia sembra qui aggredire polemicamente quel mito dell’adolescenza diffuso nella letteratura degli anni Trenta. 3.3.5 Moravia nel dopoguerra Nel nuovo clima che si crea alla fine della guerra, Moravia ti accosta parzialmente alle tendenze neorealistiche. Con La romana (1947), cerca di porsi dal punto di vista di un personaggio popolare e abbandona la narrazione in terza persona affidandosi alla voce della protagonista, Adriana, una donna del popolo che raccoglie in sé un'antica morale che si mantiene viva e sana nel contatto con un mondo corrotto, in una serie di esperienze erotiche che la conducono alla prostituzione. Il romanzo consacrò un Moravia neorealista, teso a estendere la sua tematica consueta sul piano di un disegno globale della vita popolare, a esso si collegano in particolare i Racconti romani, scritti negli anni Cinquanta, con una rappresentazione drammatica e burlesca della vita quotidiana di Roma, che utilizzava parziali elementi dialettali. Di maggior rilievo appaiono altri racconti legati alla rappresentazione del consueto ambiente borghese. Notevoli poi i romanzi brevi La disubbidienza (1948) e L'amore coniugale (1949): il primo si avvicina in parte ad Agostino, con la vicenda della ribellione di un quindicenne borghese al mondo familiare, il secondo segue le complicazioni che nascono dallo scontro tra i progetti intellettuali di uno scrittore e la prorompente sensualità della moglie. Agli anni Cinquanta appartengono ancora tre romanzi di diversa ambientazione: Il conformista (1951), Il disprezzo (1954) e La ciociara (1957) in cui torna il personaggio femminile popolare che parla in prima persona, ed è il romanzo di Moravia che più tenta di avvicinarsi alle prospettive positive del neorealismo. Abbastanza meccanica è comunque l'intenzione ideologica, che traspare sotto una rappresentazione assai animata. Il successivo romanzo, La noia (1960), ritorna all'ambiente borghese, affrontando una tematica di grande attualità nella cultura della fine degli anni Cinquanta: un intellettuale di ricca famiglia romana, svolge in prima persona un’insistente analisi morale e psicologica, basata sul motivo della noia. Con questa parola Moravia riprende il motivo per lui consueto dell'indifferenza, delle estraneità dell'individuo verso gli altri e verso gli oggetti, proiettandolo ora nel contesto 12 Per Levi il lavoro è prima di tutto impegno razionale per resistere alle condizioni più dure e difficili, all'ostilità della materia e dell'ambiente, e in ciò si rivela il legame tra queste prospettive e la sua esperienza della guerra e del lager. Questo legame è evidente nel romanzo Se non ora quando (1982), appassionata e lucida ricostruzione di episodi poco noti della resistenza al nazismo. Un valore di accorato testamento ha I sommersi e i salvati (1986), inquieto ritorno all'esperienza del lager, tentativo di definire le trasformazioni che sta subendo nel ricordo, la necessità e la difficoltà di mantenere una memoria collettiva dello sterminio del popolo ebraico. In questa riflessione la voce del testimone è costretta a interrogarsi sull’inesprimibilità di quell'orrore, sull'impossibilità di conservarne l'immagine in una società che si crede così lontana, ma che può sempre rischiare di ricadervi. 3.3.11 Il Gattopardo e la negatività della storia L'apparizione postuma nel 1958 del romanzo Il Gattopardo creò uno dei maggiori casi letterari del dopoguerra, l'opera è ebbe un eccezionale successo di pubblico ma suscitò accese discussioni tra chi lo considerava uno dei capolavori della narrativa contemporanea e chi, specie da sinistra, lo vedeva come limitato a una prospettiva decadente. L'autore, il principe siciliano Giuseppe Tomasi di Lampedusa, nato a Palermo nel 1896, era morto a Roma nel 1957, senza riuscire a far pubblicare il romanzo che aveva scritto nei suoi ultimi anni. Il Gattopardo è un romanzo insieme storico e autobiografico, in cui l'autore si rappresenta attraverso la figura del principe Fabrizio di Salina, nel cui stemma campeggia un gattopardo. Il principe vive il passaggio della Sicilia dal regime borbonico allo Stato italiano unitario. La vita delle cose degli uomini procede per proprio conto, si consuma al di fuori di ogni coscienza, non è possibile imporre nessun valore razionale. La narrazione insegue echi e sensazioni, accostandosi agli oggetti e agli ambienti con una sensualità sovraccarica ed esuberante, che trionfa su ogni altro aspetto della vita, ma ogni esperienza si riduce in cenere, con un senso di morte e di disfacimento che si afferma negli ultimi capitoli. 3.3.12 Uno scrittore postumo: Guido Morselli Guido Morselli subì in modo lacerante il peso dell'insensibilità della cultura ufficiale perché non riuscì a pubblicare nessuno dei suoi romanzi. Morselli visse una vita appartata, fatta di gusti e abitudini eccentriche, con uno spirito di conservatore moderato e una nostalgia per le forme della natura e della civiltà che sentiva in via di disgregazione. Nel romanzo Il comunista (1976), la crisi interiore di un deputato comunista viene confrontata col più ampio scenario di una crisi che incombe sulle certezze politiche della realtà contemporanea. Il successivo romanzo Roma senza papa esplora una delle possibilità del futuro, un sacerdote cattolico svizzero narra la propria esperienza nel mondo ecclesiastico italiano negli ultimi anni del Novecento. Il papa, alla guida di una Chiesa modernizzante ha trasferito la sua sede a Zagarolo, l'evoluzione tecnologica coincide con una generale degradazione della civiltà e della vita sociale, di cui il narratore registra i segni più disparati. Questa esplorazione del possibile si rivolge verso il passato nell’invenzione di Contropassato prossimo (1975). Gli eventi della storia del Novecento vengono qui modificati a partire da una soluzione della Prima Guerra Mondiale diversa da quella reale. Divertimento 1889 è forse l'opera più perfetta di Morselli, basata su una briosa e fantastica immagine della società della bella époque. . 3.3.13 Goffredo Parise Nella letteratura, Goffredo Parise, ha sempre visto un modo di conoscenza che emana dall'esperienza della vita, egli ha nutrito fortissima insofferenza per le teorie, le poetiche e gli schemi ideologici, con uno spirito anarchico disposto a spendere sé stesso nei rapporti con le persone con le cose. Nato a Vicenza nel 1929 iniziò a lavorare come giornalista e verso la fine degli anni Sessanta iniziò i numerosi viaggi giornalistici in ogni parte del mondo, raccogliendo alcuni dei suoi reportage in volumi. Morì a Treviso nel 1896. Con il romanzo di esordio, Il ragazzo morto e le comete (1951), Parise parte dalla sua esperienza di adolescente negli anni del dopoguerra per creare una narrazione al limite tra realtà e sogno. Il padrone affronta la tematica della riduzione dell'uomo a oggetto in una società dominata dalla produzione e dal denaro, tematica di forte attualità nei primi anni Sessanta. Negli anni Settanta e Ottanta la produzione narrativa di Parise si risolve in una serie di brevi prose, raccolta in Sillabario n 1 e Sillabario n 2, qui Parise disegna situazioni e vicende di estrema semplicità, con l'intento di definire l'esistenza nei suoi caratteri elementari e originari. 3.3.14 Narratori dell’Italia dello sviluppo Narratori rivelatisi negli anni Cinquanta, spesso in rapporto con il neorealismo, hanno seguito poi, nella loro successiva attività, il modificarsi della realtà italiana: • Oreste Del Buono, sempre in un'ottica autobiografica, scomponendo e ricomponendo le forme temporali, insegue la continua fuga delle cose, tra ostinati e difficili rapporti sentimentali, ricordiamo La parte difficile e I peggiori anni della nostra vita; • Luciano Bianciardi crea, dalla verifica di una scissione tra ciò che la cultura promette, tra le ipotesi di mondo che essa costruisce e gli organismi e i soggetti che la gestiscono, la trilogia costituita da Il lavoro culturale, L'integrazione e La vita agra, che nel terzo libro trova lo scatto più rabbioso e risolutivo, un capolavoro che sembra come voler risolvere il senso dell'esistere nella stremata solitudine di un intellettuale che vive con il lavoro editoriale; 15 • Giuseppe Berto, da una lunga nevrosi e angoscia fa nascere il romanzo Il male oscuro in cui la sofferenza psichica si esprime con lacerante evidenza; • Ottiero Ottieri, negli anni Cinquanta aveva vissuto direttamente l'esperienza della vita di fabbrica e, con i romanzi I tempi stretti e Donnarumma all'assalto, aveva cercato una letteratura attenta alla realtà industriale, tuttavia le sue opere più notevoli sono quelle legate all'esperienza di una malattia psichica come L’irrealtà quotidiana. • Michele Prisco, parte dalla rappresentazione di ambienti concreti per svolgere analisi sottili e snervanti, guardando soprattutto alla provincia tra Vesuvio e penisola sorrentina segue illusioni, ipocrisie e ferocia del possesso di una borghesia che evita di guardare dentro di sé, da ricordare La provincia addormentata e Figli difficili; • Raffaele La Capria, ha prodotto una trilogia, raccolta nel 1982 sotto il titolo Tre romanzi di una giornata composta da romanzi di tipo autobiografico che seguono, nell'arco di una giornata, ciascuno in un diverso momento della vita, la coscienza disintegrata di un personaggio che si confronta con un ambiente che si trasforma e sfalda; • Mario Pomilio, è di certo il maggiore narratore cattolico del dopoguerra, l'opera maggiore è l'ampio romanzo Il Quinto Evangelio, in cui si segue la lunga ricerca, intrapresa da un ufficiale dell'esercito americano in Germania alla fine della guerra, di un quinto Vangelo, che conterrebbe essenziali detti di Gesù, di cui si è favoleggiato a lungo nella tradizione cristiana. 3.3.15 La Sicilia di Bonaviri e di Fiore • Giuseppe Bonaviri è uno scrittore assolutamente atipico. La sua narrativa attinge all'antica abitudine alla narrazione orale e cerca una comunicazione con gli strati più profondi della terra siciliana, con un mondo immaginoso, dove si incrociano culture molteplici. La Sicilia di Bonaviri si riconosce come un mondo mitico in metamorfosi incessante. Tra i suoi libri ricordiamo La divina foresta, Il dottor Bilob e Autobiografia in do minore. • Angelo Fiore si pone al polo opposto dell’esuberanza narrativa di Bonaviri, la sua è una sorta di discesa in chiuso inferno burocratico, ossessivo svelamento di una condizione umana meschina, marginale, al limite della non vita, fatta di rapporti vuoti e perversi. Ricordiamo Il supplente, Il lavoratore e L'incarico. 3.3.16 Leonardo Sciascia: vita politica, cultura Con l’opera di Leonardo Sciascia, il realismo critico si rivolge a un’inquieta analisi dell'antropologia italiana. La scrittura si pnee insieme come confronto difficile e rischioso col mondo oggettivo e come esercizio di una ragione che cerca di approfondire l'analisi degli avvenimenti e di suggerire le ipotesi di una vita civile libera e razionale. Vengono a integrarsi attenzione alla concretezza del presente, tensione morale e civile, gusto per la finzione e l'artificio combinatorio e passione letteraria. Fatti e circostanze vengono spesso rivisti e interpretati attraverso il punto di vista della grande letteratura del passato. L'aspirazione a vedere la realtà con il più lucido rigore razionale, a cercare una vita sociale libera dalla violenza e dall'inganno, lo ha portato a mettere in luce tutta la carica negativa di quelle forme di potere che fanno leva su intrecci perversi e che rendono inafferrabile la stessa ragione. Attraverso personaggi che cercano la verità indagando su eventi e situazioni egli è arrivato a mostrare la difficoltà dell'esercizio della ragione e della verità entro i giochi di potere su cui si svolge la storia. La Sicilia e la sua vita sociale, dominate dalla presenza soffocante della mafia, hanno costituito per Sciascia dei referenti assoluti, immagini esemplari delle tendenze più perverse dell'intera realtà italiana. Come per molti autori della tradizione narrativa siciliana, la sua terra ha rappresentato per lui una metafora del mondo. Nel suo impegno trae in piena luce le vicende più oscure e intricate, egli si è avvalso di una scrittura dalla precisione estrema, dietro la quale si avverte il modello della grande letteratura illuministica. • Agrigento 1921-Palermo 1989; • dopo il matrimonio cominciò a insegnare nella scuola elementare del suo paese, Racalmuto; • il suo forte interesse per la realtà politica e sociale lo avvicinava del Partito Comunista, a cui guardava con attenzione critica, ma non senza diffidenza; • Le parrocchie di Regalpetra, il suo primo libro, pubblicato nel 1956 suscitò attenzione a livello nazionale; • Fu a Roma, distaccato presso il Ministero della pubblica istruzione, tornato in Sicilia, lasciò l'insegnamento e si stabilì a Caltanissetta; • il grande successo de Il giorno della civetta impose all'attenzione dell'opinione pubblica nazionale il problema della mafia; • la sua narrativa, al limite tra il racconto e l'inchiesta, fu sempre accompagnata da una ricca attività di organizzatore culturale, da interventi giornalistici e da una varia attività politica, nel 1975 fu eletto come indipendente nelle liste del PCI alle elezioni comunali di Palermo ma, deluso per l'inefficacia della sua presenza nel consiglio comunale, si dimise, ebbe inizio allora una varia polemica con i comunisti e in genere con la classe politica italiana che si complicò nel pesante clima dell'emergenza antiterroristica; in particolare in occasione del rapimento di Moro, Sciascia si espresse a favore di una trattativa per la salvezza dell'uomo politico e dovette impegnarsi su più fronti per sottrarre le sue posizioni alle strumentalizzazioni e ai fraintendimenti che ne facevano diversi schieramenti; 16 • avvicinandosi al partito radicale fu deputato alla camera dal 1979 al 1983, facendo parte della commissione di indagine sul caso Moro, continuò a seguire gli eventi con coscienza vigile e irrequieta, anche sollevando nuove polemiche sui caratteri assunti del potere mafioso nel corso degli ultimi anni e sui metodi usati per combatterlo. 3.3.17 Le opere di Sciascia Primo libro di rilievo di Sciascia, Le parrocchie di Regalpetra (1956), sembra collegarsi direttamente al neorealismo e alla letteratura meridionalistica, ponendosi come un'inchiesta-documentario sulla vita e sulla storia di un immaginario paese siciliano, che somiglia in modo trasparente alla patria dell'autore, Racalmuto. Ma l'originalità dell'opera consiste nel fatto che l'aspetto documentario non si pone a un livello di verità immediata ma mescola la realtà più precisa con dati di invenzione non immediatamente riscontrabili. Come l'autore stesso sottolineò più tardi questo libro vuole essere il punto di partenza di una lunga indagine sulla storia passato e del presente della Sicilia. Nel successivo romanzo Il giorno della civetta (1961), che trae spunto dall' assassinio del sindacalista comunista Miraglia, avvenuto nel 1947, l'inchiesta sulla realtà siciliana e sulla la mafia si appoggia ad un particolare uso della struttura del giallo, l'impegno del detective rappresenta lo sforzo ostinato della ragione alla ricerca della giustizia e della verità, tra poteri e complicità che ne eludono e cancellano ogni traccia. Il contesto (1971) è un breve giallo che l'autore presenta esplicitamente come parodia: in un paese indeterminato l'ispettore Rogas indaga su una serie di misteriosi assassini di giudici, che si susseguono in modo quasi meccanico. Al primo presentarsi delle oscure trame che caratterizzarono la situazione italiana degli anni Settanta, Sciascia ne dà qui un quadro spregiudicato e disilluso. Nel successivo romanzo Todo modo (1974), l'indagine sulle trame che trovano connivenze nel governo si rivolge più direttamente verso il sistema di potere democristiano con una vicenda che si svolge in Sicilia in un eremo-albergo di lusso, dove si riuniscono, col pretesto di svolgere esercizi spirituali, vari notabili politici, che hanno modo di tessere intrighi e traffici di potere. Costante è stata la presenza editoriale di Sciascia negli anni Settanta, e poi Ottanta con una continua serie di piccoli libri dedicati alla ricostruzione di cronache e di vicende lontane o vicine del tipo più diverso. Tra questi: Atti relativi alla morte di Raymond Russell, sullo scrittore francese suicidatosi a Palermo nel 1933, La scomparsa di Majorana, L’affaire Moro (1978). In questi lavori sembra come approfondirsi la delusione di Sciascia di fronte all'impossibilità di raccontare fino in fondo i caratteri dell'Italia più recente. Ma a una narrativa all'altezza del confuso e difficile presente Sciascia stava pensando negli ultimissimi anni, ne conservano qualche traccia alcuni brevi racconti al limite del poliziesco nei quali la sua tematica consueta si carica di più dolenti inflessioni autobiografiche. Figure solitarie di giudici e di poliziotti rappresentano qui l'ultima resistenza della ragione contro l'ingiustizia. 3.4 Le strade della poesia 3.4.1 La tradizione del Novecento: continuità e svolgimenti I maggiori risultati della poesia del dopoguerra furono raggiunti da poeti rimasti estranei al Neorealismo e legati alla grande tradizione della lirica del Novecento. Resta ancora oggi essenziale la distinzione proposta da Luciano Anceschi tra una poesia degli oggetti, legata a Montale, e una poesia dell'analogia, legata a Ungaretti. Altra distinzione, che negli ultimi anni è stata avanzata più volte in chiave polemica, è quella tra una linea sabiana, legata a un rapporto più diretto con le cose e al linguaggio più tradizionale, e una più esplicita linea novecentista, modernizzante e genericamente ermetica, che risalirebbe a Ungaretti e a Montale. Alla linea sabiana andrebbero ascritti poeti come Betocchi, Penna, Bertolucci e Caproni, e un poeta più giovane come Giudici, all'altra poeti come Luzi e Sereni. Se si guarda più da vicino alla concreta poesia di questi autori ci si accorge però che queste distinzioni sono valide solo in parte. Dall'insieme di questa poesia risulta comunque un sostanziale superamento dei limiti e della chiusura del linguaggio più strettamente ermetico, superamento che non avviene grazie a un'immediata adesione alla realtà sociale e politica, ma grazie all'esercizio di una strenua fedeltà al carattere conoscitivo della poesia, con l'approfondimento del suo valore di esperienza totale, di segno essenziale del rapporto dell'io con il mondo. Scavando a fondo in sé stessi e nel proprio linguaggio questi poeti giungono a confrontarsi con le trasformazioni della realtà italiana e mondiale. 3.4.2 Il realismo culturale di Betocchi Carlo Betocchi (Torino1899-Firenze 1986), è stato negli anni Trenta uno dei principali animatori della rivista cattolica fiorentina “Il Frontespizio”. La sua poesia è sorta come diretta espressione di un cattolicesimo tradizionalista, rivolto ad affermare il carattere oggettivo della realtà, il rapportarsi del mondo a un piano divino. Egli ha perciò guardato alle cose con un’intenzione morale, elaborando un linguaggio in cui si sentono variamente gli echi di Pascoli, di Rebora, di Saba, sfiorando solo in parte l'esperienza ermetica. In una prima fase la sua poesia ha risentito in modo troppo esplicito delle sue scelte ideologiche ma poi si è arricchita di una profonda tensione problematica. La poesia di Betocchi parte dalla volontà di mettere il rapporto con le cose e con la vita stessa sotto il segno dell'allegria e della pazienza. Nella prima poesia sceglie le forme più semplici della tradizione poetica, prediligendo versi brevi e strofette leggere: rischia talvolta di cadere nell’idillio, di far sentire troppo esplicitamente il peso dell'intenzione di affermare una realtà positiva. A questa prima fase possono essere ricondotte le poesie che confluirono nel volume Poesie del 1955. A partire dalla raccolta L'estate di San Martino (1961), il poeta comincia a confrontarsi da una parte con la nuova realtà italiana e dall'altra con la vecchiaia. 17 Il titolo dell'ultima raccolta, Stella variabile (1981), si riferisce alla poesia e al suo rapporto con il mondo, alla sua condizione di stella non fissa, che non può dare certezze. La coscienza di Sereni sembra tendere verso una radicale negatività, che in parte risulta avvicinabile a quella del vecchio montale, ma che presenta toni più cupi e minacciosi, escludendo le soluzioni ironiche e parodiche delle ultime raccolte montaliane. Gli oggetti e la natura sembrano andare alla deriva, cercare la sola possibile verità nella morte. 3.4.10 La “linea lombarda” Si usa parlare di linea lombarda, secondo la designazione data da Luciano Anceschi in un'antologia, per i vari poeti operanti a Milano che, nel solco della tradizione novecentesca, rivolgono una più forte attenzione agli oggetti, con un senso della concretezza e una tensione morale che trovano le loro radici proprio nella grande tradizione della letteratura lombarda. In sereni si può riconoscere il maestro di questa che non può essere considerata una scuola, ma un'atmosfera comune. Questa linea lombarda sfiora anche esperienze diverse come quella del più anziano Fortini e del più giovane Pagliarani e trova svolgimento in esperienze più tarde, a cominciare da quella di Giudici. • Giorgio Orelli, è certamente il maggiore rappresentante della contemporanea letteratura della Svizzera italiana, strettamente legata a Milano e alla cultura milanese; la sua poesia è passata da un gusto per la forma breve, a forme più ampie e distese, che intrecciano con grande sapienza echi letterari e tracce di più convenzionali linguaggi quotidiani; • Nelo Risi produce una poesia civile, svoltasi con costante impegno, carica dei sentimenti politici, nutrita di una passione rivoluzionaria, legata alla tradizione della sinistra, ma costretta a scontrarsi con una realtà ostica, che resiste a ogni ipotesi di sviluppo razionale; • Luciano Erba ha scelto una posizione marginale, ombrosa, sospesa tra indifferenza, ironia, curiosità per una realtà sfumata e leggera; • Bartolo Cattafi è un siciliano che ha vissuto a lungo a Milano e in una produzione varia e tumultuosa ha cercato una sorta di lacerazione interna nel linguaggio lirico novecentesco, portando un fondo linguistico di tipo ermetico verso una singolari esiti di violenza espressionistica, la passione per l'astrazione intellettuale vi si intreccia in modo velenoso con la curiosità per gli oggetti e con un distruttivo risentimento. 3.4.11 Altre esperienze poetiche Una più diretta continuità con le esperienze degli anni Trenta si può ritrovare in numerosi poeti, tra cui va ricordata Maria Luisa Spaziani, la Volpe di Montale, che traduce il modello montaliano in forme di classica misura e celebra in una ricca varietà di forme l'amore e la passione per la vita. Occorre ricordare anche esperienze relativamente appartate, che si confrontano con i caratteri dominanti del linguaggio contemporaneo, cercando strade personali e originali, che non è facile riassumere sotto etichette particolari. Possiamo qui Ricordare: Lucio Piccolo, Lorenzo Calogero e Angelo Maria Ripellino. 3.4.12 Il nuovo tempo della poesia dialettale Nel secondo dopoguerra, il ritorno al dialetto come lingua della poesia poteva significare non soltanto la difesa di uno spazio estraneo all'invasione della modernità, ma anche la ricerca e il recupero di una realtà originale e pura, di una freschezza autentica ormai pronta a dissolversi. Il dialetto poteva condurre una fuga dal realismo: la poesia dialettale poteva risolversi nella ricerca di una parola primigenia, incontaminata, estranea alle trasformazioni della realtà industriale, e particolare attenzione ricevevano dialetti che mai precedentemente erano stati usati in forma scritta. Un ruolo di primo piano in questo nuovo rilancio della poesia dialettale spetta a Pier Paolo Pasolini. • Ignazio Buttitta, siciliano; • Tonino Guerra, ha dato voce al difficile e arcaico dialetto della sua Sant'Arcangelo di Romagna, dialetto in cui si esprimono anche Nino Pedretti e Raffaello Baldini; • Albino Pierro ha pubblicato una raccolta di versi nel suo dialetto nativo, di tipo particolarmente arcaico, a cui ne sono seguite altre numerose: il tursitano, privo di precedenti letterari, si presenta in questo poeta come un’inaudita lingua della preistoria. 3.4.13 Giorgio Caproni: dalle prime poesie al Passaggio d’Enea Giorgio Caproni si è rivelato sempre meglio come una delle essenziali voci poetiche del Novecento: da un'apparente spontaneità e immediatezza, da un abbandono musicale alla parola, la sua poesia arriva a collocarsi nelle più acute lacerazioni nel nostro tempo. Una leggerezza assoluta, lontana da ogni intellettualismo, porta Caproni a una saggezza e a una capacità conoscitiva che sanno toccare più vertiginosi abissi della cultura e della vita quotidiana contemporanea. La sua esperienza può essere in parte avvicinata a quella di Saba, a differenza del quale egli fa arretrare in lontananza l'urgenza della materia psicologica e preferisce coprire la propria persona e il proprio stesso scrivere sotto una sottile ironia. Un delicato pudore lo spinge a far arretrare dalla scena il proprio io, senza cancellarlo, ma mettendolo come in secondo piano rispetto alle cose, alle persone e alle situazioni. • Livorno 1912-Roma 1990; • si trasferì a 10 anni con la famiglia a Genova, città cui è rimasto è legato da un intenso affetto e in cui compì studi irregolari; • trasferitosi a Roma partecipò alla guerra mondiale e durante l'occupazione nazista fu partigiano nella Valtrebbia; 20 • dopo la guerra ha vissuto a Roma con la famiglia lavorando nella scuola come maestro elementare, collaborando a riviste e svolgendo un lavoro di traduttore. Caproni aveva esordito nel 1936, con i versi di Come un'allegoria, seguiti da raccolte che confluirono nel 1956 nel volume Il passaggio d'Enea, diviso in tre libri. La prima poesia di Caproni mostra subito una freschezza di linguaggio, una dolce sensualità, una curiosità ingenua e spontanea per gli spettacoli della vita. Dietro questa gioia si affaccia l'ombra della malinconia, si avverte il pericolo che tutta la luce del mondo non sia altro che finzione. Ma in Cronistoria si avverte un forte avvicinamento all'ermetismo, in un intreccio di figure naturali lacerate dal dolore e dalla morte. Nella raccolta che ha avuto il titolo definitivo de Il passaggio d'Enea, la poesia di Caproni si afferma in tutta la sua originalità, sotto l'effetto del trauma della guerra, delle sofferenze personali, familiari e collettive da essa determinate, e del distacco dall'amatissima città di Genova. Nasce così un sofferente canto d'amore per un'Italia povera e insieme attiva, immersa nel lavoro e nelle funzioni della vita cittadina. È un mondo caratterizzato dalla presenza di biciclette, treni, funicolari, da bar aperti fino all'alba, un mondo dove dappertutto si rivedono i segni tangibili del lavoro e dello scambio tra gli uomini. Su questo mondo la guerra incide un segno di sofferenza, di maledizione di rovina, ne rende precaria la bellezza, facendo affacciare su di esso la memoria di inquietanti miti antichi. Qui i movimenti dello spazio e il tema stesso del viaggio rivelano l'impossibilità di consistere nei limiti della realtà. 3 .4.14 Il ritorno alla madre e il “congedo” dell’io Il titolo della raccolta Il seme del piangere (1959), che contiene versi scritti dal 1950 al 1958, deriva da un’espressione dantesca: la parte più cospicua è data dai Versi livornesi, un vanto d'amore per la madre morta, che evoca l'immagine della giovinezza di lei, della sua presenza fresca e laboriosa nella vita di Livorno. Caproni vuole dare alla sua poesia la capacità di entrare in contatto con la madre giovane, che passa per le strade di Livorno. Nel Congedo del viaggiatore cerimonioso e altre prosopopee (1965), Caproni sembra partire dalla leggerezza conquistata per sottrarsi allo sguardo e al rapporto, congedandosi dalla vita sociale, proiettandosi in prosopopee, cioè in figure di personaggi che parlano e delicatamente esprimono il loro essere ai margini, il loro rifiuto di partecipare alla vita comune. 3.4.15 L’ultimo Caproni e la “morte di Dio” Dopo questo congedo, la poesia di Caproni tende a ridurre ancora il proprio peso, costruendosi su testi molto brevi, per lo più di una sola strofetta, spesso risolti in uno scatto, in un effetto paradossale e sorprendente. Ma questi testi si organizzano in libri della struttura assai complessa, articolati in parti che seguono un percorso tematico, collegate da sottili rispondenze musicali. I tre libri che Caproni mette insieme tra il 1975 e il 1986 si presentano come complesse partiture, fatte di brevissime lettere poetiche inviate dal deserto, da un mondo in cui si è perso ogni significato certo. Le brevi poesie definiscono il carattere di questo mondo come uscendo dalla voce di un io inafferrabile, che si riconosce prigioniero senza via di scampo di un vuoto dietro il quale non c'è nulla. È la situazione che le filosofie contemporanee definiscono come morte di Dio, morte non soltanto dei valori religiosi, ma della stessa oggettività del mondo, della solidarietà civile, dello spirito comunitario. Caproni avverte come gli anni dopo il 1968, al di là dell’apparente movimento verso nuove forme di liberazione, rappresenta una rottura radicale con il passato, la perdita di ogni possibilità di controllare razionalmente lo sviluppo dei rapporti sociali. Il muro della terra (1975) riprende nel titolo l'espressione con cui Dante indicava il muro della città infernale di Dite. In fuga da sé stesso e della propria condizione, l’io cerca un Dio che esiste solo in quanto è negato e in questa ricerca il poeta si imbatte in continui scambi e sovrapposizioni tra sé stesso, altre figure umane e lo stesso Dio che non si è nascosto ma si è suicidato. Il franco cacciatore (1982) si presenta anche nel titolo, che riproduce quello di una famosa opera di un musicista romantico, come una partitura musicale. Il cacciatore è una figura della ricerca di Dio, in una condizione di totale estraniazione. La ricetta del dio inesistente si confonde con altre ricerche impossibili come quella dell'infanzia. Ancora più direttamente costruito come una partitura è Il conte di Kevenhuller, la sezione che dà il titolo l volume si presenta come un testo melodrammatico. Il conte a cui si fa riferimento è un governatore di Milano che nel Settecento offrì una taglia a chi avesse ucciso una misteriosa belva che si credeva infestasse le campagne: il fatto suscita in Caproni una serie di pungenti riflessioni sulle ossessioni che il potere e la società possono caricare sull’esistenza. Dopo la morte di Caproni il filosofo Giorgio Agamben ha curato l'edizione di una raccolta progettata ma non sistemata definitivamente dall'autore, Res amissa , il cui titolo latino allude alla perdita di un dono ricevuto, del quale resta solo la nostalgia, avendo perduto nome e memoria. La parola di Caproni, nei versi brevi e frantumati, tende qui a rarefarsi, come a voler ridurre ogni peso di fronte all'ultimo dileguarsi della vita e dell'esperienza. 3.5 Sperimentalismo, contraddizione, neoavanguardia 3.5.1 Dal neorealismo alla neoavanguardia Nel passaggio dal neorealismo alla neoavanguardia vengono a cadere gli equilibri politici e intellettuali scaturiti dalla Resistenza, si verifica una nuova apertura verso la contemporanea cultura europea. Molti scrittori si indirizzano verso atteggiamenti sperimentali, che in qualche modo agiscano sul mondo; aspirano a una letteratura che metta a punto nuovi strumenti, in funzione di un rapporto critico con la realtà, che essi intendono modificare. A questo orizzonte partecipano sia gli scrittori formatisi nell’orizzonte degli anni Trenta (Vittorini o Fortini), sia quelli formatisi nell’orizzonte del neorealismo, sia giovani scrittori che esordiscono negli anni Cinquanta. Sul finire degli anni 21 Cinquanta, le riviste “Officina” e “Il Menabò” propongono uno sperimentalismo in continuità con la recente tradizione della sinistra italiana. Al contrario la neoavanguardia, che esce allo scoperto all’inizio degli anni Sessanta, soprattutto con il Gruppo 63, cerca un più polemico distacco, rifiutando gli indirizzi della letteratura del dopoguerra. La ricerca sperimentale degli anni Cinquanta e l’esperienza della neoavanguardia si intrecciano con l’attività della nuova sinistra e contribuiscono alla formazione di quella miscela di ideologie e comportamenti che ha la sua esplosione nel Sessantotto. La neoavanguardia e il Gruppo 63 costituiscono l’ultimo vero tentativo, in Italia, di organizzazione di un ampio gruppo di intellettuali. L’attività della rivista “Officina” si svolse dal 1955 al 1958: essa si presentò come “fascicolo bimestrale di poesia”, con una redazione formata da Leonetti, Pasolini e Roversi, che iscrissero la loro iniziativa sotto il segno di un’insoddisfazione per la situazione letteraria e politica italiana, conducendo una polemica sia verso la tradizione ufficiale novecentesca, sia verso il neorealismo. Si intendeva recuperare la lezione del realismo ottocentesco, e si mirava a una letteratura che si confrontasse con gli aspetti della cultura moderna e prestasse attenzione alle forme linguistiche. “Il Menabò” (1959-197), così chiamato perché indicava il modello di impaginazione in cui si disponevano i testi per la stampa, mostra la sua continuità con la tradizione della letteratura impegnata, per le circostanze stesse della sua fondazione, dovuta all’iniziativa di Vittorini e Calvino. La rivista non aveva una periodicità fissa ed era costituita da fascicoli monografici; non si presentava come espressone di un gruppo, ma come strumento di verifica della nuova letteratura in un orizzonte internazionale. Essa stimolò un dibattito sul rapporto tra letteratura e industria, e promosse un progetto di rivista internazionale; notevole spazio vi ricevettero le prime esperienze della neoavanguardia. 3.5.2 Gli svolgimenti della neoavanguardia Nel 1956 aveva iniziato le sue pubblicazioni “Il Verri”, rivista di letteratura diretta da Anceschi, la cui grande apertura e disponibilità portava la rivista lontana da orizzonti storicistici e neorealistici, e allargava il suo interesse alle tecniche artistiche, alla filosofia contemporanea e alle scienze umane. Nell’ambito de “Il Verri” nacque il progetto di dar vita a un’antologia di nuovi poeti: I Novissimi. Poesie per gli anni ’60 (1961), a cura di Alfredo Giuliani, presentava testi di cinque poeti, lo stesso Giuliani, Pagliarani, Sanguineti, Balestrini e Porta. Nell’Introduzione si liquidava la maggior parte della recente poesia, definita “neo-crepuscolarismo”, e si propugnava una riduzione dell’io e uno schizomorfismo (dissociazione delle forme e della visione). A questo spirito polemico rispose l’iniziativa di dar vita a un gruppo d’avanguardia, il Gruppo 63, fondato in occasione di un convegno tenutosi a Palermo nel 1963. A differenza delle avanguardie storiche, il Gruppo 63 non si poneva obiettivi omogenei e definiti: esso rappresenta soprattutto un modo di aggregazione di vari giovani intellettuali. Ciò che importava era l’attenzione al mondo industriale, l’impegno sperimentale ad agire sul linguaggio e a superare definitivamente le barriere della comunicazione tradizionale, inoltre si mirava a ridefinire il rapporto tra letteratura e pubblico. La comune ottica negativa sfociava in posizioni assai diverse fra loro: posiamo individuare un orientamento “fenomenologico”, rivolto verso una sperimentazione di possibilità teoriche e creative, aperto e disponibile alle sollecitazioni del mondo esterno, e un orientamento “ideologico”, tendente a collegarsi alla tradizione marxista. Incontrandosi con la spinta rivoluzionaria del ’68, il Gruppo 63 ha approfondito la distanza tra le diverse posizioni. L’ultima occasione di lavoro comune è rappresentata dalla rivista “Quindici”. 3.5.3 Pier Paolo Pasolini: modello intellettuale, vita, martirio, mito La tensione sperimentale di Pier Paolo Pasolini si riconosce non soltanto in una costante attenzione ai problemi linguistici, ma in un inesauribile confronto con il mondo. Per Pasolini la cultura è in ogni momento presenza nel mondo, intervento nell’attualità. Lo sperimentalismo di Pasolini rifiuta il metodo dell’avanguardia: è attento alle forme linguistiche, escludendo ogni rottura della diretta comunicazione, cercando soprattutto un rapporto più vitale con la realtà. Pasolini sembra posseduto da una smania incontenibile di intervenire e parlare, da un bisogno di esprimersi nei generi più diversi, che risale a una contraddizione da lui vissuta sin dalla giovinezza: da una parte il richiamo di un mondo naturale e primigenio, di un’umanità legata alle tradizioni contadine, mondo che si identifica con il Friuli della sua giovinezza; dall’altra, per la sua esperienza di omosessuale, egli si rapporta alla realtà sotto il segno dell’impurità e dello scandalo. Alla passione personale egli lega il senso del dovere e dell’impegno pubblico: le sue scelte individuali si incontrano con l’ideologia, col bisogno di cercare una società giusta, con la vocazione a giudicare i caratteri della vita contemporanea. Pasolini giunge a sentire sulla sua pelle le trasformazioni del tessuto sociale italiano, nel passaggio dalla civiltà contadina a quella del benessere consumistico, e cerca in tutti i modi di intervenire, di gridare provocatoriamente il suo rifiuto dell’orrore in cui vede precipitare il mondo della sua giovinezza: la tragica morte ne fa la vittima di quell’orrore. • Bologna 1922-Ostia 1975; • infanzia e adolescenza soggiorni estivi nel Friuli, a Casarsa, paese della madre; • Poesie a Casarsa (1942), volumetto di poesie in dialetto friulano che suscitò l’interesse di Contini; • il padre fu fatto prigioniero durante la guerra; • si trasferisce a Casarsa e frequenta la Facoltà di Lettere di Bologna, durante i mesi dell’occupazione nazista organizza una scuola a Casarsa e si occupa di poesia dialettale insieme ad alcuni amici coi quali fonda l’ “Academiuta di lengua friulana”; 22 • si trasferì con la moglie a Milano dove fu redattore del “Politecnico” e dell’“Avanti!”, poi de “Ragionamenti” e partecipò all’attività di “Officina”; • il suo libro di saggi Verifica dei poteri costituì un punto di riferimento per l’esperienza del Sessantotto, a cui aderì con grande slancio; • grande attenzione per la rivoluzione culturale in Cina dove compì alcuni viaggi; • negli anni Settanta e Ottanta fu più impegnato sul piano letterario. 3.5.8 Fortini poeta e saggista Nella cultura del secondo Novecento la presenza di Fortini si è avvertita soprattutto sul piano del dibattito politico- culturale, mentre in ombra è rimasta la sua poesia. Tra la sua poesia è la battaglia politico-culturale c’è in realtà un intreccio poiché ambedue le esperienze sono legate da una comune problematicità; ma, mentre la politica tende a confrontarsi con il presente, la poesia sfugge alla variabilità delle cose e degli eventi e si regge su un linguaggio senza tempo. Fortini tende a una perfezione formale che vuol essere quasi un controcanto rispetto alla scissione e alla violenza della realtà. Nella prima raccolta Foglio di via e altri versi (1946) è forte l’eco dei modelli ermetici filtrati attraverso il moralismo di Noventa. Poesia ed errore (1959) lega esplicitamente il discorso poetico alla verifica dell’errore che domina l’orizzonte della vita contemporanea e la poesia: quanto più si definisce con un perfetto equilibrio, tanto più la parola si interroga sui limiti del suo rapporto con la realtà. Dal seno stesso della bellezza sorge lo straniamento, la negazione del contesto entro cui si svolge la parola. Il carattere perentorio e aleatorio del discorso poetico viene affermato in Una volta per sempre (1963): qui Fortini cerca di trovare una parola stabile e ferma capace di guardare alla distruzione e al superamento del mondo che ha intorno. Nei paesaggi naturali e nelle forme del presente egli sente il brivido e l’annuncio di un futuro dissolversi della realtà. In Questo muro (1973), Fortini si appoggia su una fitta serie di riferimenti alla tradizione novecentesca, sia apre a un più diretto contatto con la nuova realtà configuratasi col Sessantotto, convinto di aver trovato un’eco collettiva alla propria inquieta ricerca. Ma questo nuovo equilibrio è minacciato da incrinature che si approfondiscono nel corso degli anni Settanta e conducono alla raccolta Paesaggio con serpente (1984), in cui la poesia segue un ordine di immagini e suoni che mostrano come sia sempre più difficile trovare un senso e un ordinamento compiuto, fissare con certezza il significato del passato e le strade del futuro. Forse Fortini raggiunge i suoi più alti risultati in Composita solvantur (1994): qui l’impegno conoscitivo e il senso della contraddizione si bruciano nell’attesa di un punto finale. La produzione saggistica e teorica di Fortini si riconosce per il suo stile particolare. La sua parola saggistica tende sempre a definire la posizione giusta, moralmente e politicamente valida. Uno dei libri più belli di Fortini resta la raccolta di articoli e saggi Dieci inverni 1947-1957. Contributo a un discorso socialista (1957), riflessione interna alle contraddizioni degli anni dell’impegno e del neorealismo, del clericalismo e dello stalinismo, in cui la delusione per gli esiti delle speranze del dopoguerra conduce alla ricerca di un nuovo orizzonte politico-culturale. Ampia risonanza ebbe Verifica dei poteri (1965): qui la libera discussione con la tradizione marxista europea porta alla negazione del mandato attribuito dai politici agli scrittori, il rifiuto di ogni prospettiva di sviluppo progressivo nel rapporto tra cultura e società. 3.5.9 Forme diverse di sperimentalismo Tra gli scrittori del gruppo di “Officina”, Roversi e Leonetti si sono impegnati in una sperimentazione sempre rivolta a un confronto con la realtà, sulla spinta di una decisa volontà morale, che si incontra con gli orientamenti della nuova sinistra degli anni Sessanta e Settanta: ma, mentre Roversi ha mantenuto una stretta continuità con la tradizione realistica, Leonetti è giunto ad avvicinarsi alla neoavanguardia. • Roberto Roversi (Bologna 1923-2012) ha cercato nella raccolta Dopo Campoformio la via di una poesia narrativa che registra il senso di speranze tradite, nel corrompersi di una originale civiltà contadina al contatto con lo sviluppo capitalistico. Forme più sperimentali ha poi trovato nella raccolta Descrizioni in atto; • Francesco Leonetti (Cosenza 1924), cerca i segni di una nuova realtà sociale, legato a una tradizione illuministica e materialistica, egli tende a proiettarla verso un possibile orizzonte di libertà collettiva. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta molti sono stati gli scrittori che hanno assunto atteggiamenti sperimentali, rimanendo estranei al dibattito politico-culturale. Questo sperimentalismo si è caratterizzato in senso espressionistico, stravolgendo i normali equilibri linguistici: • Giovanni Testori, pittore e critico d’arte, ha evidenti origini neorealistiche, legate all’intenzione di rappresentare la vita degli emarginati nelle periferie milanesi; • Stefano D’Arrigo, il suo espressionismo tende verso il mito, il suo Horcynus Orca (1975), che è insieme un viaggio di riconoscimento e ritorno alle origini, e una specie di apocalisse, si appoggia su un plurilinguismo ossessivo, entro il quadro di un italiano artificiale; • Antonio Pizzuto presenta un caso particolare, egli ha percorso una grande carriera nella pubblica sicurezza e si è sempre occupato di letteratura; la sua narrativa si svolge intorno alle più minute forme e complicazioni della realtà; • Edoardo Cacciatore, già negli anni Cinquanta ha percorso la strada di una poesia mentale, dove la realtà degli oggetti viene trascinata entro un ossessivo percorso di conoscenza. 25 3.5 10 L’Italia da lontano: Luigi Meneghello Autore appartato, impegnato in una sperimentazione tutta personale, è Luigi Meneghello (1922-2007) che, dopo aver partecipato alla Resistenza è emigrato in Inghilterra dove ha insegnato italiano. La sua condizione di emigrato e la sua lontananza dal mondo culturale italiano lo hanno portato ad avvertire in modo più diretto la radica trasformazione subita in quegli anni dall’Italia. A ciò si sono aggiunti una inesauribile curiosità per le forme linguistiche e uno spirito umoristico leggero. Da ciò è nato il romanzo Libera nos a Malo (1963), che è insieme uno sguardo alla storia recente del suo paese natale, Malo, e all’infanzia e all’adolescenza dell’autore. Gli altri romanzi di Meneghello seguono le diverse fasi della sua educazione sentimentale e intellettuale tra fascismo, Resistenza, dopoguerra. 3.5.11 Elio Pagliarani Tra coloro che hanno direttamente partecipato alla neoavanguardia, Elio Pagliarani (nato a Rimini nel 1927, ha lavorato come giornalista e critico teatrale a Milano e a Roma, dove è morto nel 2012) ha certamente offerto la poesia più vigorosa e sorprendente, dominata da una continua volontà di prendere di petto la realtà, di provocarla nelle sue contraddizioni. Pagliarani concepisce quasi spontaneamente la necessità di toccare le cose attraverso il linguaggio, di collocarsi entro i linguaggi correnti e insieme di spostarne i rapporti consueti: è perciò molto sensibile agli aspetti artigianali del lavoro poetico, che sente come un “fare”, un agire direttamente su una materia fisica, sulla voce e sui supporti della scrittura. Legato alla tradizione della sinistra, egli ha sempre rifiutato ogni dogmatismo e ogni intellettualismo politico-culturale. Le prime esperienze poetiche di Pagliarani si sono svolte in stretto rapporto con l’ambiente milanese e con i poeti della “linea lombarda”. Il poemetto La ragazza Carla (1962), rivela una poesia di grande originalità, il risultato migliore dello sperimentalismo realistico di “Officina”. Si tratta di un poemetto narrativo, che segue i momenti dell’esistenza di una giovane dattilografa, nella nuova Milano dello sviluppo industriale, nel grigio squallore di una vita ripetitiva, regolata da un lavoro alienato, che fa perdere ogni valore personale e sociale, e annulla ogni sentimento. Ogni rapporto e ogni comunicazione sono sottoposti a un profondo straniamento. Oscillando tra racconto, lirica, epica, il poemetto opera un essenziale turbamento dei rapporti tra i generi: e nella poesia successiva, prendendo più risolutamente la strada dell’avanguardia, Pagliarani ha cercato nuovi modi di intersezione tra i generi, privilegiando la forma da lui definita lettera-recitativo. Lo mostra chiaramente la raccolta Lezione di fisica e Fecaloro (1986), in cui prevalgono testi dai versi molto ampi, pieni di fratture e pause, in cui si dispongono frammenti del linguaggio quotidiano, citazioni e invenzioni linguistiche. Siamo di fronte a una poesia “recitata”, di cui si hanno nuovi esempi nei testi de La ballata di Rudy, in cui vicende di vita italiana del dopoguerra ed eventi pubblici recenti sono trascinati in un vortice linguistico che fa esplodere il senso delle trasformazioni avvenute. 3.5.12 L’avanguardia e il dover essere: Edoardo Sanguineti Dell’opera e della figura intellettuale di Edoardo Sanguineti (nato a Savona nel 1930, è stato professore di letteratura italiana all’Università, è morto a Genova nel 2010) risulta certamente una delle espressioni più esemplari della neoavanguardia, i suoi testi, i suoi atti e le sue scelte appaiono il risultato di un esasperato controllo che la ragione, l’impegno alla costruzione di sé, svolgono su un difficile terreno personale e psicologico. L’attività letteraria di Sanguineti, sempre accompagnata all’esercizio professionale della critica, ha fatto sempre leva su un ben definito orizzonte teorico, che salda l’insegnamento delle neoavanguardie e delle teorie letteraria del Novecento a una prospettiva marxista. Egli cerca un’originale sintesi fra tradizione del marxismo e moderne scienze umane, tra realismo e modernità artistica. Negli anni Cinquanta e Sessanta egli ha mirato a uno sconvolgimento dei piani del linguaggio borghese, capace di sottrarre l’arte al processo del consumo e del mercato: ma nello stesso tempo ha avvertito che anche l’arte d’avanguardia finisce per cadere nel circolo del consumo e ha cercato di non sfuggire a questa contraddizione. Le sue opere sono eticamente, ideologicamente e politicamente impegnate, tanto che è stato militante del PCI, nella politica del quale ha visto una mediazione tra valori civili minacciati dal neocapitalismo e le esigenze più autentiche e liberatrici della modernità. Negli anni Cinquanta, i primi testi poetici di Sanguineti apparvero lontani da tutti i parametri correnti. Il primo libro, Laborintus (1956), costituisce un singolare poema dai lunghi versi atonali, in cui si svolge un monologo intellettuale. La voce dell’io si fa strada in mezzo al labirinto della psicologia, della cultura, della storia, tra materiali di tutti i tipi, da cui emergono figure cariche di significati alchemici e psicologici. In questo labirinto acquista un peso significativo l’esperienza erotica, altrettanto scissa e frantumata. Sanguineti ha successivamente messo mano a esperienze teatrali e due romanzi, esempi più artificiosi del romanzo d’avanguardia: Capriccio italiano e Il giuoco dell’oca. Successive raccolte di Sanguineti sono confluite con le precedenti nel volume Segnalibro. Poesie 1951-1981. In queste nuove raccolte l’autore accentua il tono dimesso e l’autoironia. 3.5.13 Poesia e prosa della neoavanguardia Tra gli altri “novissimi”: • lo stesso curatore dell’antologia, Alfredo Giuliani, la cui poesia è partita da una poetica degli oggetti e mira poi a presentare un pensiero frantumato e disarticolato; 26 • Antonio Porta, che appare sin dall’inizio pronto a raccogliere gli echi di un linguaggio frantumato e arbitrario; • Nanni Balestrini, che si serve della poesia per dare corpo a un estremismo teorico con pretese rivoluzionarie, orientato verso la negazione di qualsiasi linguaggio. • Per la prosa: Manganelli, Arbasino, Malerba e Lombardi. 3.5.14 Giorgio Manganelli Scontroso e appartato, letterato immerso tra artifici libreschi e abitudini solitarie, Giorgio Manganelli (Milano 1922- Roma 1990), si è avvicinato alla neoavanguardia solo per la sua insofferenza verso i modelli realistici, e verso la seriosità del mondo culturale italiano. Egli ha sempre sentito la letteratura come esperienza alternativa alla realtà, e di ciò ha formulato una teoria espressa nel volume di saggi La letteratura come menzogna. Nelle sue numerose opere narrative ha fatto parlare una voce che continuamente si sottrae in un proliferare di finzioni. Il risultato più intenso della sua prosa è forse il suo primo libro, il monologo narrativo Hilarotragoedia. 3.6 Elsa Morante e le narratrici 3.6.1 Letteratura al femminile La lenta e progressiva modificazione della condizione femminile costituisce uno degli effetti più significativi dei processi di trasformazione che nel Novecento hanno interessato i paesi industriali. A partire dagli anni Sessanta si è assistito a un più massiccio ingresso delle donne nella maggior parte dei settori del mondo del lavoro, e si sono diffusi modi di organizzazione della vita domestica e familiare tali da garantire loro maggiori spazi di libertà e autonomia. La diffusione di una più ampia scolarizzazione femminile ha reso più intenso il rapporto delle donne con la letteratura: le donne scrittrici non rappresentano più solo casi particolari, ma acquisiscono un rilievo centrale nel mondo letterario. Si diffonde la coscienza della piena parità di valore tra una letteratura maschile e una al femminile: e quest’ultima cerca di essere espressione diretta e autentica di una sensibilità e di un punto di vista femminili, rifiutando di adeguarsi passivamente ai modelli della letteratura maschile. Nella scrittura delle donne balza in primo piano l’indagine sui personaggi femminili, l’analisi della vita familiare, il proposito di individuare le ragioni che portano alla scelta della letteratura e della vita culturale: le scrittrici sono molto attente alle forme concrete dell’esistenza e dell’indagine psicologica, e sembrano per lo più rifiutare troppo sottili forme di sperimentazione linguistica. 3.6.2 Il passato e il presente Negli anni Trenta si rivelano alcune scrittrici che tendono ad attraversare gli spazi della memoria collegandosi all’orizzonte di “Solaria”. Un caso a sé è quello di Fausta Cialente, in cui la memoria autobiografica si intreccia all’immaginazione esotica che nasce da un lungo soggiorno in Egitto. Il romanzo Cortile a Cleopatra narra degli amori di un giovane italiano in un sobborgo di Alessandria d’Egitto, a questo seguirono altri in cui l’esercizio della memoria è sorretto da un senso di trepidazione, da un’inquieta attenzione alle lacerazioni dei conflitti storici e degli eventi contemporanei. Attraverso lo sguardo di alcuni personaggi femminili si percorrono momenti della storia dell’Egitto del primo Novecento in Ballata levantina. Il romanzo autobiografico Le quattro ragazze Wieselberger risale alla famiglia della scrittrice nella Trieste di fine Ottocento e poi agli sviluppi di gran parte del Novecento. Su tematiche che sembrano già negli anni Trenta annunciare il femminismo ha lavorato Alba De Céspedes, a partire dal primo successo, Nessuno torna indietro, sulla vita di un gruppo di studentesse ospiti in un collegio di suore, e poi con una fitta produzione, in cui si distinguono Dalla parte di lei, che segue la ribellione di una donna a un oppressivo rapporto matrimoniale, e Quaderno proibito, sotto forma di un diario tenuto da una donna che registra le falle della vita familiare, alla ricerca di un libero spazio femminile. Insistente ed estenuante è il lavoro sulla memoria di Gianna Manzini, la cui vasta produzione tiene conto di molti modelli della contemporanea letteratura europea rivolta all'analisi del tempo e delle sue risonanze psicologiche, cercando ossessivamente la pagina ben fatta. Ricordiamo Lettera all'editore e Il valzer del diavolo. Anche Anna Banti ha le sue radici nella letteratura di “Solaria”, e attua una ricerca sulla memoria che si rivela particolarmente intensa e attenta alla specificità femminile, a personaggi sconfitti che, nonostante la propria condizione di vittime, affrontando coraggiosamente la vita. Le doti narrative della Banti raggiungono un felicissimo equilibrio nel romanzo Artemisia, inquieta ricerca su un personaggio storico, la pittrice Artemisia Gentileschi, sulla lotta per affermare la propria identità di donna e la dignità del proprio lavoro, in un mondo che fa di tutto per umiliarla. 27 La lingua del romanzo è all'insegna dell'eccesso, con toni più alti o più bassi dei normali, e raggiunge momenti di mitica cerimonialità, di avvilimento e di banalizzazione: dal tragico si scende spesso verso il grottesco. la Morante arriva qui a una negazione di ogni esperienza. 3.6.8 Lalla Romano Lalla Romano (Cuneo 1906-Milano 2001), ha avuto una vita letteraria schiva, quasi nascosta tra le pieghe di una equilibrata esistenza borghese. Nei suoi romanzi ha saputo sentire la memoria del passato come qualcosa di presente, senza caricarla di una fascinosa aura poetica, e ha narrato le difficoltà di comprensione che sempre si presentano nel rapporto con una realtà che muta e quasi ci sfugge nell'atto stesso in cui la viviamo. Frutto della sua sensibilità femminile è la sua attenzione al reciproco studiarsi e osservarsi tra le persone anche tra loro più vicine, la sua volontà di comprendere e di ridurre l'estraneità che separa gli esseri umani. Dopo l'esordio con un libro di poesie, la sua prima opera di rilievo è Le metamorfosi, brevi prose dedicate alla descrizione dei sogni. Dopo altre raccolte di poesie, la parte consistente dell'attività della Romano è costituita da una narrativa fondata su motivi autobiografici: dopo Maria e Tetto murato , il libro che rivelò le sue qualità più autentiche fu La penombra che abbiamo attraversato (1964), rievocazione dell'infanzia vissuta nella campagna cuneese e della morte della madre. Seguì Le parole tra noi leggere in cui l'attrice svolge un’inquieta indagine sul proprio rapporto con il figlio. Tra i titoli successivi ricordiamo L'ospite, La villeggiante e Lettura di un'immagine. La Romano ha poi toccato, in Inseparabile, il nodo di una difficile situazione familiare e ha seguito, con un lacerante scavo interiore, la vicenda della malattia e della morte del marito in Nei mari estremi. 3.6.9 Anna Maria Ortese Scrittrice solitaria, che ha seguito la sua strada senza mai piegarsi alle tendenze dominanti, guardando il mondo attraverso lo schermo del dolore, è Anna Maria Ortese, che ha attraversato esperienze tra loro anche molto diverse, sempre guidata da un bisogno di capire e insieme di nascondersi e difendersi. Avendo direttamente conosciuto dolore e sofferenza fin dalla giovinezza, la Ortese è voluta restare fedele al punto di vista di coloro che soffrono, di quelli che restano ai margini del mondo e che in nessun modo possono conquistare la vita, ma vengo da essa schiacciati. Essa ha cercato forme letterarie capaci proprio di riconoscere e accogliere questi esseri piccoli. Nata a Roma nel 1914 risentì dolorosamente della scomparsa dei fratelli e poi del disastro della Seconda guerra mondiale, nel corso della quale la sua casa a Napoli andò distrutta. Dopo la guerra viaggiò in Italia e all'estero, con un fitto lavoro giornalistico, e pubblicò nel 1953 Il mare non bagna Napoli, una serie di scritti in cui il racconto si mescola con la cronaca e l'inchiesta giornalistica, in cui la realtà quotidiana di Napoli viene messa a fuoco nei suoi aspetti più dolorosi, senza nessuna concessione alla retorica popolare del neorealismo. Altro libro determinante è L'iguana (1965), con la vicenda fantastica e inquietante, tragica e grottesca, di un milanese che, approdato su un'isola esotica, si innamora di un’iguana, piccola donna-rettile che fa la serva in una casa abitata da bizzarri personaggi. Si tratta di un romanzo filosofico in cui si sovrappongono elementi fantastici, esotici, morali, talvolta in modo troppo artificioso. L'opera più ambiziosa della Ortese è Il porto di Toledo (1975), affidata alla voce di un io parlante, irreale e autobiografico, che si abbandona ad invenzioni sontuose ed eccessive: è una voce di adolescente, che aspira a una gioia e aa una verità impossibili e insieme sente il peso che da sempre grava sui luoghi di una città fantastica e fatiscente, non la vera città spagnola, in cui in realtà non c'è il mare, ma una trasposizione di Napoli. Dopo alcuni anni passati a Milano, la Ortese si trasferì nell'entroterra ligure, presso Rapallo, dove, fuori da ogni rapporto con gli ambienti letterari ha continuato il suo lavoro di scrittrice e dove è morta nel 1998. 3.7 Italo Calvino 3.7.1 La vicenda di un intellettuale del dopoguerra Nella sua vita Italo Calvino ha attraversato le esperienze essenziali della storia intellettuale del dopoguerra: ha avuto modo di seguire i nodi nevralgici delle trasformazioni della cultura italiana e internazionale, mantenendo sempre un lucidissimo rigore razionale, una volontà di capire i diversi aspetti della realtà, ha percorso un lungo cammino, dal giovanile impegno degli anni della Resistenza al mondo frantumato e privo di un centro degli anni Ottanta, dal neorealismo alla più sofisticata sperimentazione. Calvino ha vissuto il rapporto quotidiano con la scrittura, e per questo sono molteplici i testi da lui lasciati nel cassetto, o i suoi scritti di destinazione occasionale, dalle lettere alle schede di vario tipo da lui elaborate nel corso del suo lungo lavoro di redattore editoriale. • Santiago de Las Vegas 1923-Siena 1985; • la famiglia tornò in Italia per trasferirsi a San Remo, città d'origine del padre, dove Italo frequentò le scuole interessandosi molto presto alla letteratura, scrisse racconti rimasti allora inediti e collaborò a un giornale come critico cinematografico; • partecipò alla Resistenza in una formazione delle brigate comuniste Garibaldi; • dopo la liberazione si impegnò nella militanza nel PCI e collaborò a giornali e riviste comuniste: • si laureò alla Facoltà di Lettere di Torino, città in cui entrò in rapporto con gli intellettuali legati alla casa editrice Einaudi, in primo luogo con Pavese e Vittorini, e fu tra i collaboratori del “Politecnico”; 30 • con Il sentiero dei nidi di ragno, pubblicato nel 1947, si rivelò come il più giovane e dotato tra gli esponenti della nuova letteratura neorealistica, mentre la sua attività culturale diventava sempre più intensa con l'attività di redattore ne “L'Unità” e l'assunzione nella redazione della casa editrice Einaudi in cui svolse le funzioni di dirigente e per la quale continuò a lavorare come consulente; • vivacissima risulta la sua presenza nel dibattito politico intellettuale con collaborazioni a varie riviste; come inviato de “L'Unità” compì un viaggio in Unione Sovietica; i fatto della rivoluzione ungherese del 1956 provocarono un distacco dal PCI che abbandonò pur mantenendo uno stretto rapporto con la sinistra e una viva attenzione alle vicende politiche; • verso la fine degli anni Cinquanta si interrogò sui nuovi problemi posti dallo sviluppo della società industriale, cercando una nuova progettazione intellettuale, lontano dagli schemi dell'impegno postresistenziale, e in questa prospettiva diresse, insieme a Vittorini, “Il Menabò”; • nel 1964 sposò l'argentina Esther Singer, e con lei si stabilì a Parigi, da dove continuò a lavorare per Einaudi, qui ebbe modo di intrecciare stretti contatti con la cultura francese, si accostò agli ambienti letterari più sperimentali, seguì con attenzione le prime manifestazioni della contestazione studentesca in Italia e in Francia, condividendone le istanze critiche e antiautoritarie, ma la sua ricerca restò del tutto sganciata dalle illusioni e dai programmi di quegli anni, come mostrano Le città invisibili e Il castello dei destini incrociati; • negli anni Settanta avvertì un degradarsi generale della vita civile, ma il singolare libro Se una notte d'inverno un viaggiatore esprime, nonostante tutto, una gioiosa vitalità; • si trasferì con la famiglia a Roma. 3.7.2 Il tempo dell’impegno e del neorealismo Con il breve romanzo Il sentiero dei nidi di ragno (1947), con numerosi brevi racconti scritti nell'immediato dopoguerra, con la sua prima attività giornalistica e pubblicistica, Calvino offrì l'immagine più fresca, giovanile e vitale del neorealismo e della stagione dell'impegno politico. Si rivela nelle sue prime opere una singolare capacità di rappresentazione nitida e immediata, che tocca la realtà. La libertà duramente conquistata con la Resistenza si riconosce e si afferma in questa nuova possibilità di raccontare, nell'aprirsi a una comunicazione immediata, spregiudicata, con il pubblico, che sembra avviarsi su strade completamente nuove rispetto alla storia precedente. Rimanendo nell'orbita del neorealismo, mentre parallelamente cercava le strade del comico e del fiabesco, Calvino ha prodotto negli anni Cinquanta numerosi racconti. I Racconti sono divisi in quattro libri: Gli idilli difficili, Le memorie difficili, Gli amori difficili e La vita difficile. L'ultimo contiene tre racconti più ampi rivolti a una riflessione problematica su caratteri e situazioni della vita sociale contemporanea. La materia dei Racconti, il suo disporsi nei diversi libri, mostrano come Calvino svolga un'indagine sulla nuova realtà industriale, sui rapporti e condizionamenti che sostengono lo sviluppo della società italiana. 3.7.3 Il comico e la fiaba Dieci racconti scritti tra il 1952 e il 1956 trovano un originale intreccio di comico e fiabesco nella rappresentazione del rapporto tra una famiglia di origine contadina e la difficile vita di una moderna città industriale. Questi racconti hanno al centro la figura del manuale Marcovaldo e i membri della tua famiglia, che agiscono come figurine uscite da giornali per ragazzi o da comiche del cinema muto: in mezzo agli artifici della vita cittadina questi personaggi si difendono con ingenuo coraggio. Calvino tornò su Marcovaldo con altri dieci testi raccolti nel volume Marcovaldo ovvero le stagioni in città (1963), rivolto anche a un pubblico infantile e illustrato. L'interesse per il fiabesco aveva intanto condotto Calvino a un'indagine sulla tradizione delle fiabe italiane che condusse a un'ampia raccolta di 200 Fiabe italiane, ricavate dalle più diverse tradizioni regionali e trascritte in una lingua semplice e piana che anticipava l'interesse per le fiabe che sarebbe stato più tardi al centro delle ricerche della narratologia. 3.7.4 I nostri antenati L'interesse per la fiaba si lega sempre, in Calvino, ha una passione per la più ampia tradizione della letteratura fantastica, in primo luogo per i personaggi e le avventure del romanzo cavalleresco, infatti uno dei suoi autori prediletti è l’Ariosto. Questo gusto per il fiabesco e il meraviglioso trova un singolare incontro con la passione ideologica degli anni Cinquanta in tre romanzi brevi: Il visconte dimezzato, Il barone rampante e Il cavaliere inesistente. La disponibilità all'invenzione più libera si unisce qui a un atteggiamento morale, all'elaborazione di un progetto di razionalità umana aperta e non dogmatica, che si rifà anche ad alcuni aspetti della letteratura illuministica, soprattutto al genere della favola morale e ironica diffuso nel Settecento. I tre romanzi furono raccolti insieme nel 1960 nel volume I nostri antenati, il cui titolo sottolinea il legame che le loro vicende hanno con il presente. In quelle figure artificiali si possono riconoscere modelli di comportamento umano e intellettuale che agiscono anche nel mondo contemporaneo. I tre protagonisti, nobili da favola che vivono rapporti inconsueti con se stessi e con la realtà, attraverso la loro leggerezza offrono altrettante allegoria della ragione. I tre romanzi possono essere letti come delle parabole sulla ragione, sul legame tra ragione e finzione, e in definitiva anche sulla letteratura e sulla posizione dello scrittore. Quella de I nostri antenati è una ricerca illuministica che esprime tutti i limiti e le difficoltà che la ragione incontra in un mondo articolato e labirintico in cui è sempre facile perdere la strada. Questa ricerca è sostenuta da un linguaggio narrativo lucido ed essenziale, che segue con stringente chiarezza gli aspetti oscuri e irrazionali dei comportamenti e che sembra voler identificare realtà e finzione. 31 Il visconte dimezzato ci trasporta nel tardo Cinquecento con la vicenda del visconte Medardo di Terralba, diviso letteralmente in due in seguito a uno scontro con i turchi. Da questa scissione nascono due personaggi opposti e complementari, il Buono e il Gramo, che rappresentano ciascuno un aspetto parziale dell'umanità e vivono varie avventure che conducono alla ricomposizione della persona di Medardo. Il più ampio dei tre romanzi, Il barone rampante, è anche quello in cui più intenso appare il rapporto tra favola morale, invenzione e narrativa. Esso è una delle più affascinanti parabole della ragione che sono state composte nel Novecento. Personaggio principale è il barone Cosimo Piovasco Di Rondò che, all'età di 12 anni, nel Settecento, decide di salire su un albero e trascorrere l'intera sua vita in cima agli alberi, attraversando tutte le essenziali esperienze storiche e culturali, fino agli anni della Restaurazione. L'impegno di Cosimo a non lasciare mai gli alberi crea una serie di invenzioni narrative: il personaggio, suscitando la curiosità di viaggiatori e potenti che passano per le sue terre, diventa un'immagine trasparente dell’illuminista, dell'intellettuale in genere, che partecipa alla storia con distacco ironico. La storia che scorre davanti a Cosimo è come un succedersi di apparizioni sfuggenti e illusorie, di propositi vani. Il cavaliere inesistente si confronta direttamente con il romanzo cavalleresco. Siamo al tempo di Carlo Magno, in un mondo ariostesco, la storia è narrata dalla monaca Teodora e riguarda le avventure di Agilulfo, un cavaliere di cui esiste solo l'armatura, trasparente immagine della razionalità astratta che non riesce a convenzionarsi con la realtà. Ma, più che in questa allegoria, l'interesse del romanzo sta nell'esplorazione delle possibilità fornite dalla narrativa poiché le vicende comportano un continuo interrogarsi sui modi in cui la scrittura può costruire il senso dell'esperienza. 3.7.5 Letteratura e conoscenza: saggistica e posizione dell’intellettuale Sulla fine degli anni Cinquanta, Calvino abbandona i modelli dell'impegno del dopoguerra, ma continua a credere in una letteratura capace di intervenire nella realtà. In questa direzione vanno aia la sua collaborazione con Vittorini a “Il Menabò”, sia il suo interesse per alcuni aspetti della cultura europea che avevano fino ad allora suscitato scarsa eco in Italia. Queste posizioni gli attirano, da parte della neoavanguardia, l'accusa di continuità con il neorealismo e, da parte della nuova sinistra, l'accusa di riformismo. Ma allo scrittore non mi interessa ora schierarsi, quanto trovare nuove occasioni e possibilità di conoscenza, guardare in faccia alla problematicità del presente. Compito dell'intellettuale gli appare proprio quello di entrare fino in fondo nella rete dei sottili combinazioni su cui appare costruita la società industriale. Questa coscienza della complicazione della realtà esterna domina La giornata di uno scrutatore (1963), che appare come un definitivo saluto di Calvino al neorealismo e alla tematica dell'impegno. E’ un racconto in terza persona sulla giornata di un militante del PCI che fa lo scrutatore durante le elezioni politiche del 1953. La nuova ricchezza degli interessi di Calvino si sente anche nella sua produzione saggistica di cui ha fornito una scelta solo parziale il volume del 1980 Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società. La raccolta è la testimonianza del difficile tentativo di trovare un rapporto non meccanico tra letteratura e società. Col titolo Una pietra sopra l'autore allude anche al proprio distacco da quel tentativo e prende atto dell'impossibilità di concepire la società come un tutto unitario. 3.7.6 Fantascienza e combinatoria narrativa: Le Cosmicomiche Le nuove curiosità culturali e scientifiche di Calvino e la sua più diretta attenzione per i meccanismi narrativi trovano espressione in una serie di racconti in due volumi, Le cosmicomiche (1965) e Ti con zero (1967). L'autore cercava un comico pieno di sorprese e di scambi imprevedibili, capace di istituire rapporti inconsueti tra le cose. Le situazioni comiche nascono da un continuo confronto con ipotesi scientifiche sull'origine, l'evoluzione e il destino dell'universo. Solo in parte le storie de Le cosmicomiche utilizzano il metodo della fantascienza: mentre questa, infatti, si rivolge in genere a ipotesi su mondi futuri e sui possibili sviluppi della civiltà umana, Calvino si rivolge al passato che ha preceduto l'esistenza dell'uomo, con situazioni e personaggi che traducono in forma narrativa i diversi scenari avanzati dalle ipotesi scientifiche. La maggior parte delle storie sono affidate alla voce di un personaggio dal nome impronunciabile che ha attraversato le più varie ere cosmologiche. Il diverso presentarsi delle forme dell'esistenza cosmica mostra la relatività estrema di ogni posizione del mondo, dell'uomo, della società. Il comico nasce dal contrasto che si crea tra il mondo altro che si rappresenta e le cose anche più banali e quotidiane del nostro mondo contemporaneo di cui Calvino serve per costruire questa rappresentazione. I quattro racconti che costituiscono la terza parte di Ti con zero portano all'estremo il gioco combinatorio e la riflessione sulle possibilità della narrativa, lasciando da parte il piano cosmologico per tornare a quello degli eventi umani, con una sottilissima e a volte cavillosa misurazione della catena dei condizionamenti che pesa sulla vita dell'individuo perduto nel labirinto del mondo. 3.7.7 Il castello dei destini incrociati e Le città invisibili Calvino ha approfondito ulteriormente la sua attenzione ai procedimenti narrativi mettendo in scena la varietà delle combinazioni che il narratore si trova davanti una volta scelti determinati presupposti. Questo lavoro si basa su un confronto più esplicito con le pratiche della semiotica e della narratologia. Proprio dalla partecipazione a un seminario sulle strutture del racconto, Calvino ricavò l'idea di costruire un percorso narrativo a partire dalle carte dei tarocchi. Utilizzando le immagini di una celebre raccolta di tarocchi lo scrittore costruisce un testo singolare, Il castello dei destini incrociati, compose poi un altro testo, La taverna dei destini incrociati, accolti nel 1973 nel volume Il castello dei destini incrociati. Nel corso di viaggi che si svolgono in un universo astratto e indefinito, un gruppo di viandanti raggiunge nel primo testo un castello, nel secondo una taverna. Essi sembrano aver perduto la parola ma, seduti intorno a un tavolo, disponendo le carte di un mazzo di tarocchi in un certo ordine e seguendo i significati delle diverse figure, raccontano 32 spettacolare e terribile che ha fatto crollare tante illusioni e false sicurezze sulla situazione del mondo e sugli sviluppi del futuro. L'aggravarsi dello scontro tra israeliani e arabi in Palestina, gli interventi occidentali in Iraq e Afghanistan, i conflitti in molte zone dell'Asia e dell'Africa, la destabilizzazione di molti paesi arabi, dopo le illusioni democratiche delle rivolte della cosiddetta primavera araba, rendono sempre più insostenibile la situazione mondiale e offrono un nuovo vastissimo terreno per il terrorismo. Nel frattempo, la crisi originata dalla spinta speculativa del capitalismo finanziario sembra ricevere come sola risposta la ripresa di una crescita economica sempre più in contraddizione con la compatibilità ambientale, mentre si approfondisce il solco tra ricchi e poveri. 4.1.2 Da una crisi all’altra; il caso italiano Dopo la contestazione dei tradizionali equilibri messa in moto dal Sessantotto, l'intero sistema italiano ha attraversato negli anni Settanta una crisi molto più grave di quelle toccate ad altri paesi industriali. Le difficoltà si collegavano proprio alla crescita tumultuosa degli anni precedenti, alla contraddittoria diffusione delle nuove forme di benessere e dei nuovi orizzonti produttivi. In quegli anni i modi di vita della nuova realtà industriale sono penetrati in ogni angolo del paese, distruggendo definitivamente i residui dell'antico mondo contadino e cambiando i connotati di luoghi e ambienti fino ad allora rimasti intatti. Dal punto di vista politico, specialmente all'inizio degli anni Settanta, il nostro paese si è mosso sulla strada di una democrazia sociale assai avanzata. Questo era l'obiettivo a cui puntava, con modalità diverse, la politica dei partiti di sinistra, premiando elettoralmente il PCI, capace di muoversi in modo autonomo rispetto al comunismo dell'Europa orientale, come forza riformista moderna e avanzata. Questa apertura della società civile italiana, in grado di concretizzarsi sul piano politico legislativo, veniva confermata dall'introduzione del divorzio approvato dal referendum popolare del 1974, a da una avanzata legislazione sull'aborto, ottenuta da un altro referendum nel 1980. Questa considerevole apertura veniva contrastata dal diffondersi di una violenza terroristica che ebbe la prima tragica manifestazione con la strage avvenuta nei locali della Banca Nazionale dell'Agricoltura in Piazza Fontana a Milano nel 1969. Da allora agirono un terrorismo di destra e uno di sinistra, che diedero il via a una spirale di iniziative e crimini che determinò la degradazione del tessuto civile e restrinse gli spazi di azione sociale della lotta politica. In quegli, poi definiti anni di piombo, molti problemi nodali della vita italiana restarono irrisolti, quasi messi in secondo piano dell'azione sovversiva. Mentre il terrorismo di destra si manifestò con una serie di terribili stragi, sui cui retroscena non si è mai giunti a conoscere la verità, il terrorismo di sinistra compì soprattutto attentati a politici e funzionari statali per raggiungere il punto culminante nel sequestro e nell'assassinio del leader della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, nel 1978, da parte delle Brigate Rosse. Gli anni Ottanta hanno visto una rapida e sorprendente modificazione del quadro politico ed economico: le ipotesi di apertura democratica o addirittura rivoluzionaria del Sessantotto e dei primi anni Settanta sono approdate a una vera e propria sconfitta della sinistra, a una crisi profonda delle strutture statali, degradate e sottoposte a controlli clientelari e a interessi particolari di gruppi politici. La composizione delle classi sociali è mutata vorticosamente rispetto al quadro tipico della società borghese, più limitato è divenuto il ruolo della classe operaia, mentre, con lo svilupparsi dei più vari settori del terziario, si è esteso il ceto medio che ha conquistato connotati diversi da quelli tradizionali della piccola borghesia. all'interno di questo ceto medio della piccola imprenditoria si sono dati fenomeni di chiusura entro forme particolaristiche e localistiche, nel quadro di un egoismo sociale e di una cura ossessiva per il privato, amplificati dai pericoli di crisi e di recessione che si sono affacciati e hanno creato sempre nuovi problemi nel corso degli anni Novanta e all’inizio del millennio. Radicale è stato poi il mutamento del quadro istituzionale, soprattutto in seguito all'azione della magistratura che ha tratto alla luce molteplici episodi di corruzione politica. All'inizio degli anni Novanta si è avuto un vero e proprio crollo del sistema di potere che aveva prospettato il decennio precedente e del quadro istituzionale della repubblica, favorito da modificazioni istituzionali, come un nuovo sistema elettorale maggioritario, che ha portato alla formazione di due blocchi contrapposti, una destra e una sinistra articolata in modo assai diverso rispetto alla precedente vita repubblicana. In questo quadro, che nei primi anni Novanta sembrava aver portato una fresca aria di novità, un'ansia di onestà e di rigore nella vita pubblica, si è inserita la discesa in campo dell'imprenditore Silvio Berlusconi, che con una nuova formazione politica, Forza Italia, ha vinto le elezioni del 1994 e poi, dopo la caduta del suo governo e la vittoria della sinistra nel 1996, è tornato al potere dal 2001 al 2006 e poi di nuovo dal 2008 al 2011. La presidenza di Berlusconi, al di là di un esplicito giudizio politico, ha rappresentato una sorta di novità rispetto alla tradizione politica italiana ed europea, dato che in lui il potere politico è venuto a convergere direttamente con il potere economico e con il potere sulla cultura e sulla comunicazione. Si è trattato di una convergenza senza precedenti, che rende il caso italiano particolarmente significativo, facendone quasi una prova e anticipazione esemplare di una generale crisi della democrazia che riguarda tutti i paesi più avanzati. Ma le conseguenze della crisi internazionale hanno dato luogo negli anni più vicini a ulteriori rapide modificazioni, in un quadro in cui il nostro paese si trova in difficoltà, in una situazione economica molto difficile che genera insicurezza. Particolarmente grave è la disoccupazione giovanile, accompagnata dall’emigrazione dei più giovani verso paesi che offrono possibilità di lavoro ad alto livello. Dopo la caduta del governo Berlusconi incapace di fronteggiare la crisi nel 2011, si sono avute varie vicende, i cui esiti politici più significativi sono stati la formazione di un movimento, gestito dall'ex comico Beppe Grillo, che mira a rovesciare tutti i tradizionali modelli politici, e l'ascesa al governo di Matteo Renzi, che, giunto alla guida del PD, il partito che raccoglie l'eredità del PCI e della sinistra cattolica, si muove secondo i modelli di una comunicazione ad effetto, ponendosi come portavoce delle nuove generazioni. 4.1.3 L’emergenza ecologica 35 Nell'intreccio di problemi che caratterizzano la società umana all'inizio del nuovo millennio, quello ecologico è certamente quello le cui dimensioni sono destinate a crescere in futuro. Esso si era già manifestato a più riprese nel corso del Novecento, ma si è imposto in tutta la sua gravità soltanto negli ultimi decenni. L'esperienza quotidiana ha mostrato con evidenza che non è più possibile considerare la natura come un grande serbatoio di risorse e materie prime. Ne sono sorti, ma in gruppi numericamente ancora abbastanza limitati, una nuova coscienza ecologica, di cui si sono fatti espressione, nei grandi paesi industriali, i movimenti politici definiti verdi e in parte i cosiddetti no global. Nel luglio 1969, lo sbarco sulla Luna costituì l'ultima trionfale manifestazione della ricerca umana di nuovi spazi e di nuove possibilità, ha prolungato ancora la convinzione che la natura fosse un campo aperto, offrisse all'uomo possibilità illimitate, capace di condurlo sempre più lontano. Nel periodo successivo alla conquista della luna si è rivelata più volte la contraddizione tra l'ambiente naturale e le modificazioni che gli uomini producono. A questi problemi generali si possono poi aggiungere gravissimi danni all'ambiente e alla qualità della vita in aree specifiche. Le guerre e il terrorismo accumulano inoltre distruzioni e alterazioni di tutti i tipi del quadro ambientale. Per ciò che riguarda l'Italia, si deve notare che l'espansione produttiva si è svolta in modo particolarmente dissennato, modificando, già dagli anni Cinquanta, l'aspetto fisico di ambienti storici e naturali, un uso distorto del turismo ha poi portato, tra gli anni Sessanta e Settanta, a una distruzione di splendidi paesaggi naturali, deturpati da edifici e impianti di ogni tipo. Lo spreco di energie e risorse naturali si accompagna a una disinvolta indifferenza verso il paesaggio. Nonostante qualche intervento correttivo, l'alterazione dell'ambiente si è accresciuta in modo insensato con la politica ultraliberista, che, per presunte iniziative di sviluppo ha tollerato e favorito nuovi scempi. Quella dei problemi ecologici è in realtà la conseguenza di uno sviluppo economico totalmente irrazionale, il frutto della presunzione secondo la quale sarebbe possibile una crescita indefinita. A questo meccanismo si tenta di rimediare con interventi mirati su determinate situazioni, e nei casi migliori la stessa ecologia rientra nei meccanismi produttivi con la creazione di industrie destinate a smaltire e riciclare i rifiuti prodotti. 4.1.4 Tecnologia e mezzi di comunicazione L'insieme delle nuove tecnologie ha agito sul modo di trasmissione della cultura e sugli atteggiamenti intellettuali. Un ruolo assolutamente centrale è toccato alla telematica e all'informatica. La diffusione degli strumenti telematici e informatici riconduce quasi tutti i modi di comunicazione sul piano della compresenza e della simultaneità e su quello dell'immagine, reale o virtuale: essa abolisce il senso della distanza, che ha caratterizzato a lungo i rapporti tra gli uomini, riduce la possibilità di distacco critico offerta dalla comunicazione basata sulla parola scritta o sull'immagine differita, rendendo tutte le esperienze contemporanee, priva di spessore e riducendole a pura apparenza e presenza. Questa situazione suscita interpretazioni e giudizi opposti: c'è chi vi vede una liberazione dai modelli autoritari, nuove possibilità di vita leggera e sottratta al peso degli antichi valori, strumento di apertura e di informazione democratica, e chi, al contrario, la sente come una terribile degradazione, una perdita di ogni autenticità delle esperienze della comunicazione tra gli uomini, che chiude gli individui in una radicale solitudine attraversata dal puro flusso di un'informazione che può diventare un'arma di controllo da parte di potere autoritari. I principali artefici di questa mutazione sono la televisione e il computer. La prima, subito dopo l'avvio degli anni Cinquanta da parte della RAI, ha avuto in Italia un rapidissimo sviluppo, modificando i suoi caratteri con l'avvento delle trasmissioni a colori e l'uso di avanzati strumenti di trasmissione di riproduzione. La fine del monopolio televisivo ha poi prodotto una moltiplicazione delle trasmissioni e un'espansione massiccia e ossessiva dei messaggi pubblicitari. Il computer ha modificato non soltanto i procedimenti di calcolo scientifico e tecnico, ma tutti i metodi di registrazione di conservazione dei dati, è divenuto strumento irrinunciabile della burocrazia e dell’amministrazione. La memoria artificiale, può essere considerata una delle manifestazioni più essenziali della civiltà contemporanea: essa rende possibile il controllo di amplissimi sistemi di conoscenza, elaborazione di dati che le sole forze dell'intelligenza umana non riuscirebbero a dominare. Nel quadro della storia della letteratura, l'elemento di maggior rilievo è costituito dalla trasformazione che il computer ha generato nelle tecniche di scrittura: nel corso degli anni Ottanta in Italia si è diffuso rapidamente l'uso di personal computer per studi e ricerche in tutte le discipline, e per le stesse esigenze della scrittura personale, sono state così rapidamente sostituite le vecchie macchine per scrivere. La mutazione dei metodi di scrittura si è collegata a nuove ampie possibilità di ricerca, di analisi, di memorizzazione degli stessi oggetti letterari, a cui si sono aggiunte ulteriori modificazioni nell'ambito dei processi di stampa e di confezionamento dei libri da parte dell'editoria. Funzione culturale essenziale è divenuta, negli anni Novanta, la navigazione sul sul web, vero archivio della cultura, della cronaca, della storia, luogo di contatto e di scambio attraverso cui si comunica in tempo reale. Sembra così realizzato il sogno della biblioteca universale, la biblioteca immaginata da Borges, che contiene in sé tutte le biblioteche possibili. Tutto ciò costituisce una radicale modificazione del senso stesso dello studio, della ricerca, con essenziali esiti anche sul piano della scuola. La comunicazione planetaria si svolge anche attraverso la moltiplicazione continua dei viaggi internazionali e fitti sono gli spostamenti anche all'interno dei singoli paesi. La possibilità di muoversi tra luoghi e paesi diversi e la compresenza di immagini e messaggi che attraversano tutto il pianeta sono perfettamente in sintonia con il fatto che specialmente all'interno dei paesi industrializzati si impongono modelli di comportamento omogenei, con un dominio schiacciante delle forme televisive e pubblicitarie e degli oggetti di consumo. La tecnologia e il trionfo del mercato riducono al minimo le differenze tra i popoli, e sembrano condurre alla formazione di un “villaggio globale” (McLuhan) dove ogni entità è simile alle altre, dove non è più riconoscibile nessuna identità e tradizione. 36 4.1.5 Editoria e giornalismo Il mondo dell'editoria ha direttamente seguito le vicende dell'economia italiana, muovendosi verso una totale integrazione nei meccanismi industriali. Il pubblico dei lettori è cresciuto notevolmente, anche se ha rivolto la sua attenzione a forme e generi che solo parzialmente hanno interessato la letteratura di alto livello: a parte la letteratura di massa, va ricordato il rilievo culturale che ha avuto una saggistica di tipo politico, spesso col sostegno di una piccola editoria estranea a logiche commerciali, e il rilancio che, dopo una momentanea crisi a ridosso del 1968, ha avuto il romanzo ben confezionato, destinato al consumo non problematico di un pubblico borghese e promosso da grandi premi letterari. Numerosi sono stati i rapporti tra l'editoria libraria e quella dei quotidiani e periodici, il cui controllo è subordinato, più che a logiche imprenditoriali, alle esigenze più generali del potere politico ed economico. Dal 1968 a oggi il giornalismo italiano ha vissuto vicende complicate e spesso oscure, intrecciate alle più varie manovre per il controllo dell'opinione pubblica. A ridosso degli eventi del Sessantotto esso ha attraversato un periodo di crisi e insieme di effervescenza. La presenza della letteratura nei giornali si è andata sempre più assottigliando, anche se non sono mai mancati interventi affidati a scrittori di vario calibro, né specifiche pagine culturali e veri e propri supplementi letterari, ma perlopiù gli interventi autenticamente critici vi ricevono spazio Sempre minore e si preferiscono i servizi a effetto. Sia la cultura più degradata che quella con maggiori pretese di distinzione tendono ormai a sostenersi in primo luogo sulla pubblicità, anche per la sempre maggiore carenza delle strutture pubbliche e delle istituzioni statali nel ricoprire il ruolo. 4.1.6 Forme del lavoro intellettuale È sempre più difficile identificare la posizione la funzione di quelli che nel Novecento sono stati designati con il termine intellettuali. E’ ormai completamente dispiegato il fenomeno della formazione di un'ampia categoria di intellettuali di massa, già avviato nell'epoca precedente: la nuova articolazione della società fa sì che a un lavoro di tipo intellettuale si possa giungere partendo dalle origini sociali più diverse, ma nello stesso tempo il lavoro intellettuale si frantuma e si diffonde occupando posizioni del tutto eterogenee, si espande nei più svariati settori dei processi produttivi e assume caratteri assolutamente diversi da quelli tradizionali. La scuola e l'università continuano ad essere la base essenziale per la formazione e lo sviluppo della cultura ma, a partire dall'esplosione del Sessantotto, esse hanno attraversato anni di crisi che ne hanno in parte rinnovato le strutture ma non hanno mai condotto a renderle veramente efficienti, democratiche e moderne. Con la definitiva affermazione della scuola e dell'università di massa, si è avuto d'altra parte un parziale abbassamento del livello culturale dei risultati dell'istruzione, specie per effetto di una troppo semplicistica contestazione globale della cultura. Negli anni Novanta si è fatta sentire con sempre maggior forza l'istanza di un adeguamento dell'istruzione ai nuovi orizzonti culturali e tecnologici, ma tutto ciò ha portato a confuse riforme legate ad astratti presupposti pedagogici miranti a una acritica modernizzazione: se ne ha come esito un ulteriore impoverimento dell'istruzione pubblica che favorisce sempre più iniziative e soluzioni di tipo privato. In questo contesto comunque sono molti gli scrittori che hanno avuto il loro primario luogo di lavoro e fonte di reddito nella scuola o nell'università. Ma negli ultimi anni l'università e la scuola sono state sottoposte a continui tagli e riduzioni del corpo docente, che tra l'altro rendono sempre più difficile l’arruolamento di giovani studiosi. Una portata più ampia sta assumendo l'espansione di forme di lavoro intellettuale legate all'industria e alle sue ramificazioni, che vedono in primo piano la programmazione e l'elaborazione di dati. Altra figura essenziale è quella del pubblicitario. Un settore diverso che ha conosciuto una notevole espansione negli anni Settanta, è quello dei professionisti delle numerose discipline sociali, che hanno un peso notevole nella definizione di regole e modelli di vita diffusi e nell'intervento su realtà concrete, come assistenti sociali, sociologi e psicologi. Sul piano della circolazione sociale e della cultura, un ruolo sempre più centrale hanno assunto i cosiddetti operatori culturali, che intervengono in vario modo nei processi comunicativi, promuovono iniziative, cercano forme di azione sul pubblico, vivono la cultura come un meccanismo produttivo, gestiscono rapporti sociali. Gli operatori culturali possono prestare la loro opera presso le strutture e le istituzioni più differenti, sia pubbliche che private. La cultura viene considerata in primo luogo per gli effetti esterni che può produrre, per i risultati produttivi che può dare, per le risonanze che può suscitare nel tessuto sociale e perciò viene avvicinata in un'ottica necessariamente pubblicitaria. Un ambito privilegiato di azione degli operatori culturali è stato quello delle amministrazioni locali che hanno condotto una politica culturale basata su una ricca serie di eventi di massa, specialmente nell'ambito dello spettacolo e delle forme dell’effimero. Si è assistito a una moltiplicazione addirittura abnorme di festival, feste pubbliche, programmi di spettacolo, mostre, congressi e seminari, premi letterari e perfino la poesia ha avuto la sua parte con letture pubbliche di poeti e con eventi spettacolari a essa collegati. Ma ciò significa inevitabilmente la riduzione della cultura a una dimensione pubblicitaria e spettacolare, a una funzione di pura apparenza, di casuale manifestazione della civiltà di massa, lontana da ogni possibilità di produrre pause di riflessione critica. Un'evoluzione ha conosciuto anche l'intellettuale politico, ridottosi perlopiù a una posizione di funzionario, di mediatore di linee, di elaboratore e ispiratore di strategie di potere, impegnato a fare della cultura uno degli elementi in gioco nei rapporti di forza tra gruppi e partiti, attento a non perdere spazio e possibilità di intervento nei mezzi di comunicazione di massa. A questo quadro si oppongono strati estremamente compositi di intellettuali disoccupati o sottoccupati, sempre più numerosi nelle giovani generazioni, che vivono in modo precario, esclusi o emarginati dei meccanismi dal potere culturale, ma talvolta impiegati in collaborazione di vario tipo con l'editoria o con altri centri di iniziativa culturale. 37 industriale; mira a ridurre la presenza dello Stato nell’economia e nella vita sociale; in Italia ha assunto caratteri estremi che hanno avuto esiti politici con l’ascesa al potere di Berlusconi; • ideologie verdi: si oppongono alle attuali caratteristiche dello sviluppo economico e si confrontano con l’emergenza ecologica: l’aggressività del neoliberalismo e lo stato di crisi mondiale hanno fatto sviluppare un movimento definito no global, che contesta gli effetti della globalizzazione economica e culturale e lo strapotere degli USA. In questo quadro articolato non è mai venuta meno, nella società italiana, la presenza del cattolicesimo, le cui componenti radicate nella vita popolare hanno avuto ruolo essenziale del Sessantotto. Mentre la laicizzazione della società italiana allontanava ampi strati di popolazione dal cattolicesimo tradizionale, tendeva a ridursi la presa della DC sull’elettorato cattolico, fino al suo crollo all’inizio degli anni Novanta. Intanto, con Giovanni Paolo II si è assistito al ritorno di un cattolicesimo tradizionale e integralista, capace di usare a proprio vantaggio le forme spettacolari della cultura di massa. 4.2.4 Filosofia e scienze umane Il quadro della letteratura italiana dopo il Sessantotto ha visto un totale arretramento dello storicismo. La nuova vitalità del marxismo, soprattutto a ridosso del 1968, si è posta al di là della tradizione storicistica, con notevoli sviluppi nell’ambito del marxismo critico, che si è riallacciato agli insegnamenti della Scuola di Francoforte e di Lukacs. Rinnovata fortuna conosce poi il pensiero d Gramsci, di cui si valorizzano le riflessioni sull’intellettuale, sulle forme di organizzazione della cultura, sui rapporti tra politica e società. Il marxismo ha fatto più volte i conti con le scienze umane, soprattutto la sociologia, l’antropologia, la psicoanalisi e la linguistica. Sullo scorcio finale degli anni Sessanta acquista grande rilievo lo strutturalismo; negli anni Settanta si affermano da una parte la semiotica, e dall’altra le tendenze più radicali dello strutturalismo francese come la psicoanalisi di Lacan e il pensiero di Foucault. Mentre la semiotica mantiene in linea di massima un atteggiamento razionalistico e propositi scientifici, le posizioni legate alla crisi dello strutturalismo si rivolgono a una critica radicale dei fondamenti della razionalità filosofica e scientifica. Esse mirano a un ribaltamento della tradizione metafisica, la cui espressione estrema è costituita dal decostruzionismo e dalle varie forme di contestazione della cultura occidentale proposte dai cultural studies. Varie sono le loro connessioni con gli svolgimenti del pensiero negativo: Nietzsche, Heidegger e Bataille sono stati i maggiori unti di riferimento per le elaborazioni del pensiero negativo, che, specie a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, ha dato luogo a una nuova vulgata culturale, dominata da una passione per la distruzione, lo svuotamento, la sospensione di norme e valori. In direzione diversa ha agito l’ermeneutica, una filosofia dell’interpretazione, che concepisce l’intero sapere umano come rapporto dialogico tra esperienze diverse. Nella sua accezione prevalente (che ha tra i massimi rappresentanti il tedesco Gadamer e il francese Ricoeur), l’ermeneutica prende atto dell’impossibilità si un sapere totalizzante, della necessità di un confronto continuo con realtà composite: ma non si abbandona ad un sapere frantumato come fa il decostruzionismo. Un notevole rilievo ha assunto il pensiero liberale, che ha avuto un grande modello teorico in Popper e si è sviluppato specialmente in ambito americano, rivolgendosi a problematiche etiche e giuridiche. Non vanno trascurate le importanti indicazioni provenienti dal sapere storiografico, che si è allontanato dalla storiografia idealistica, dalle forme della storia politico-militare e dalla storia delle idee. Intorno alla rivista “Annales d’Histoire économique et sociale”, fondata nel 1929, si è sviluppata una storiografia totale, che mette in primo piano i rapporti dell’uomo con il mondo e con la propria esperienza, definiti nelle diverse situazioni storiche. 4.2.5 Teoria della letteratura e produzione letteraria Gli anni Sessanta e Settanta hanno visto un’intensa circolazione di teorie della letteratura e di nuovi metodi che si muovono tra avanguardia e strutturalismo, tra poetica, estetica linguistica e semiotica: mirano a definire e giustificare la letteratura in quadri generali e si risolvono spesso in visioni totali del mondo, in proposte militanti di uso della stessa letteratura come momento essenziale dell’esperienza storica. La prima diffusione dei testi dei formalisti russi e della linguistica strutturale ha fatto esplodere in Francia, con immediati echi e riprese in Italia, varie teorie della scrittura e del testo, miranti a sottolineare il valore produttivo della testualità, la sua capacità di produrre un discorso critico su forme e modelli sociali grazie a un sistematico sconvolgimento del “senso”. La scrittura si presentava come una sorta di liberazione dalla tradizione umanistica e borghese, dalle pretese autoritarie e totalizzanti divenendo un ponte verso nuove possibilità al di là dell’umano Nel corso degli anni Settanta si giunse fino a prospettare una dissoluzione della stessa testualità, espressa sia dalla rivendicazione della pluralità delle infinite articolazioni possibili della scrittura, sia dalla “disseminazione” del testo operata dai decostruzionisti. Di segno differente sono le teorie semiotiche sorte dal seno del formalismo e dello strutturalismo: esse valorizzano la natura di atto comunicativo propria della letteratura e mirano a definire la specificità del linguaggio letterario. La semiotica ha conosciuto in Italia uno sviluppo autonomo e originale, intrecciato a un’interessante produzione critica. Sul volgere finale del Novecento, si è assistito a una vera e propria crisi delle teorie del testo e della semiotica e a una più decisa affermazione di teorie legate all’ermeneutica, più sensibili nei confronti del moment interpretativo e del ruolo del lettore: quanto più l’esperienza della lettura diventa problematica, minacciata dalla televisione e dalla pubblicità, tanto più si rivolge attenzione ai modi con cui il testo entra in rapporto con il pubblico. La diffusione delle teorie è penetrata molto poco nella vera e propria produzione letteraria: pare ormai che le teorie giochino un ruolo marginale nella costruzione di effettivi programmi di poetica. I nuovi scrittori non presentano quasi mai programmi chiaramente orientati o definiti, si affidano alla scrittura in modo quasi spontaneo. 40 A parte il prolungarsi del lavoro di autori più anziani, numerose ed eterogenee sono le nuove esperienze internazionali approdate in Italia, che agiscono sulla nostra letteratura. Negli anni più vicini al 1968 ci si è accostati alla narrativa dell’America Latina, che con forza immaginosa ha dato espressione a un’esplosiva e disperata realtà sociale (Gabriel Garcia Marquez). Una presenza costante ha avuto la letteratura dell’Europa Centrale, legata al dissenso nei confronti dei regimi comunisti (Milan Kundera), o legata a percorsi più appartati (Wislawa Szymborska). Tra le letterature dell’Europa Occidentale, una notevole vitalità sembra aver mantenuto quella di lingua tedesca, in cui maggiormente si sono fatti sentire i contrasti legati alla riflessione su una difficile identità storica. Recentemente si sono imposte con grande creatività la letteratura spagnola (Javier Marias) e quella inglese (Antonia Byatt e Ian McEwan), mentre più in ombra è apparsa la letteratura francese. Un nuovo eccezionale spazio narrativo è stato aperto dalla narrativa israeliana, nel difficile intreccio dei conflitti in cui è preso lo stato ebraico (Abraham B. Yehohua, David Grossmnn). Ma l’elemento di maggiore novità è costituito dalle opere provenienti dal Terzo Mondo, che riflettono le contraddizioni della realtà mondiale contemporanea: oltre a importanti scrittori bianchi del Sud Africa, si sono potuti conoscere in Occidenti varia autori africani e asiatici. 4.2.6 La critica letteraria in Italia La critica letteraria di questi anni non ha potuto non tener conto dello sviluppo delle teorie e della messa a punto di nuovi metodi di indagine. Si è avuta una produzione vastissima, proveniente da un numero crescente di studiosi e ricercatori, per il massiccio ampliamento delle strutture universitarie. La critica di estrazione marxista ha esercitato una vera e propria egemonia negli anni più vicini al 1968. In rapporto con la critica che i gruppi della nuova sinistra rivolgevano al tradizionale ruolo degli intellettuali e alla letteratura borghese, sono state numerose le riflessioni sul ruolo dell’intellettuale, sui rapporti tra letteratura e potere, sulle espressioni di cultura alternativa, popolare o subalterna. Nell’ambito del marxismo è invalsa una visione tutta politico-ideologica della letteratura che insistito nel legarla a mutevoli prospettive di gestione del potere e di mediazione del consenso (Alberto Asor Rosa). In altri casi l’ottica politica si è collegata più intimamente a una ricerca sui modi specifici con cui le forme letterarie definiscono la propria separatezza dagli organismi sociali (Arcangelo Leone De Castris). Altri critici sono partiti dalla prospettiva marxista per definire la densità sociale delle forme. l’originale spessore di conoscenza delle opere e delle esperienze intellettuali (Mario Baratto, Giancarlo Mazzacurati, Romano Luperini). Il legame con le contemporanee teorie della letteratura è stato particolarmente esplicito nello svolgimento della critica formalistica e della critica semiologica. Questi orientamenti hanno dato i risultati di più forte rilievo critico quando sono partiti da una salda base storica, filologica e linguistica (Maria Corti, Cesare Segre). Un intreccio tra rigore metodico, passione analitica, profondo senso storico, caratterizza l’opera di Francesco Orlando, mentre su una convergenza di metodi differenti, che mirano a una critica totale si è basato il lavoro di Ezio Raimondi. Verso una totalità di tipo diverso, più interna alla logica dell’esperienza letteraria, si muove la critica di Giorgio Barberi Squarotti. Le ricerche storico-filologiche hanno contribuito a rivedere in profondità i dati della storia letteraria italiana, a portare alla luce materiali inesplorati, a proporre nuove indagini sulle forme metriche, stilistiche, retoriche, sui generi, sui manoscritti e le stampe, sulla loro circolazione e ricezione, sulle poetiche e le ideologie. In questo composito panorama sembra aver perduto reale incisività la tradizionale critica militante, incapace di seguire le nuove dinamiche della comunicazione letteraria, disorientata dall’effettiva mancanza di tendenze riconoscibili, dal venir meno del legame tra scrittura e sviluppo storico. Nel campo della discussione sulla letteratura contemporanea scendono sia critici accademici, provenienti dalle università, sia critici che lavorano in campo editoriale e giornalistico, ma la loro attività apre esaurirsi nella politica delle recensioni. È emersa comunque negli ultimi anni una generazione di critici militanti molto attenti alla produzione contemporanea, anche con scelte ben determinate e con una presenza non trascurabile nel dibattito intellettuale, come Filippo la Porta, Raffaele Manica, Massimo Onofri, Andrea Cortellessa e Gabriele Predullà. 4.2.7 Scritture saggistiche Più che nella diretta critica militante, l’intreccio tra critica letteraria e giudizio sul mondo ha trovato espressione in varie forme di scrittura saggistica, che sfuggono ai limiti istituzionali della critica e della storiografia letteraria, tendendo a istituire un dialogo più diretto coi lettori colti. La forma del saggio si è rivelata come una delle più rispondenti a un bisogno di conoscenza del presente, che la produzione narrativa e poetica riesce a soddisfare solo in parte. Nella fase più vicina al 1968 ha avuto una grande fortuna la produzione di tipo politico-sociologico, che ha trovato la sua principale cassa di risonanza nelle riviste politiche. Successivamente è parsa recuperare terreno la saggistica letteraria, soppiantata da una affermazione della saggistica filosofica. In tutto l’arco di tempo considerato hanno mantenuto una costante presenza anche vare scritture di tipo giornalistico, che hanno esercitato una notevole influenza nella definizione di modelli intellettuali e di immagini della realtà contemporanea. La saggistica di tipo più letterario, condotta su tono di elegante conversazione con un pubblico di buon livello, ha trovato la sua manifestazione nel lavoro di Giovanni Macchia. All’apoteosi di una letteratura perfettamente confezionata e insieme aperta ai più vari orizzonti esistenziali e morali, sembra mirare Pietro Citati, mentre Cesare Garboli scende nei più intricati legami tra vita e letteratura. All’espressione di una sensibilità fatta di preziose sfumature mira la saggistica di Enzo Siciliano. 41 Rivolta a una problematica morale è la saggistica di Guido Ceronetti, che esprime una critica impietosa della civiltà di massa. All’indagine sulle forme della vita intellettuale e religiosa ha dedicato la sua esperienza Cristina Campo. Sulla via della ricerca mitico-simbolica, Roberto Calasso realizza veri e propri romanzi-saggio. Questo nesso tra letteratura e conoscenza è naturalmente assai forte in tutta la saggistica di tipo estetico-filosofico, che spesso attraversa i testi letterari ritrovandovi essenziali configurazioni dell’esperienza umana, capaci di rivelare la natura dei rapporti intersoggettivi (Giorgio Agamben, Mario Perniola, Gianni Vattimo). Tra le manifestazioni di una saggistica filosofica di tipo totalizzante, che guarda all’origine e ai fondamenti ultimi, ricordiamo l’attraversamento del pensiero negativo compiuto da Massimo Cacciari, e Emanuele Severino. Un discorso a sé meriterebbe la vasta produzione storiografica e storico-artistica, che spesso elabora forme di scrittura originali. Direttamente dalla letteratura, dallo studio di forme letterarie minori e da aspetti della cultura subalterna, ha origine la saggistica di Pietro Camporesi. In modi diversi è attento alle testimonianze di realtà perdute e nascoste Carlo Ginzburg. Dalla saggistica politico-letteraria vicina al movimento sessantottesco si sono svolte esperienze approdate negli anni Ottanta a una critica delle forme dominanti della comunicazione culturale contemporanea, alla denuncia dei compromessi e degli equivoci del mondo intellettuale: ricordiamo Piergiorgio Bellocchio e Goffredo Fofi. La scrittura di Alfonso Berardinelli è animata da una disposizione a chiamare in causa le condizioni pubbliche dell’esistenza, il valore e le ragioni dei modi di vita, nel nesso tra orizzonti individuali e orizzonti collettivi: la critica letteraria è il suo primo territorio d’interesse. Berardinelli viene a porsi come il critico che più intensamente, senza piegarsi a modelli teorici e ideologici precostituiti, sa oggi sentire la letteratura “in situazione”, nel suo contraddittorio respiro vitale. 4.2.8 La scrittura postmoderna di Umberto Eco Una sintesi di molti degli indirizzi intellettuali che più hanno resistito in questi anni ha offerto la multiforme attività di Umberto Eco (Alessandria 1932), studioso di estetica, curioso delle più varie forme artistiche, della cultura di massa, delle abitudini e dei comportamenti sociali. Rivelatosi come brillante teorico all’interno del Gruppo 63, egli è poi divenuto semiologo di fama mondiale. Al di là della sua vastissima produzione teorica, egli si è fatto notare come saggista ironico, osservatore divertito di storture culturali, ma non privo di un suo moralismo razionalistico, esercitato anche in frequenti interventi giornalistici. Ma Eco si è imposto sulla scena della letteratura mondiale, fino a divenire l’italiano più noto nel mondo, col successo del romanzo Il nome della rosa (1980), vero pastiche di generi letterari diversi, Studioso di filosofia e poetica del Medioevo, l’autore si diverte qui a ridurne la realtà storica alla misura della comunicazione di massa. Più ambiziosi propositi, ma minore scorrevolezza narrativa rivela Il pendolo di Foucault (1988), artificioso gioco sulla tradizione ermetica, occultistica, massonica, sulla sua sopravvivenza nelle trame occulte degli ultimi anni: qui Eco frantuma la narrazione in svariati punti di vista, fruga in un vastissimo materiale storico e nello sterminato repertorio della narrativa di massa contemporanea. Nel virtuosismo di Eco si avverte qualcosa di freddo, quasi un’indifferenza nei confronti delle possibilità conoscitive della letteratura. per questo nei suoi romanzi si può riconoscere una tipica manifestazione del postmoderno: si tratta di macchine artificiali che hanno la sola funzione di esibire se stesse. Questi caratteri sono confermati e amplificati nei romanzi successivi: L’isola del giorno prima vasta escursione nella storia e nella cultura del Seicento, Baudolino, ambientato al tempo di Federico Barbarossa. Con La misteriosa fiamma della regina Loana, Eco scopre le carte della propria autobiografia, attraverso la vicenda di Yambo, che, dopo aver perso la memoria, la vede riaffiorare in mezzo ai libri, dischi e quaderni dell’adolescenza, che sono gli stessi dell’autore. Il cimitero di Praga tocca la tematica della cospirazione e della mistificazione storica mentre Numero zero, tratta del mondo del giornalismo. 4.2.9 Spettacolo e scrittura drammatica In un mondo in cui gran parte della comunicazione assume forme spettacolari, le funzioni che nelle società storiche spettavano al teatro sono state assorbite dai media più vari. È chiaro, in questo contesto, che ogni riflessione sulla situazione del teatro dovrebbe partire dalle forme di spettacolarità diffusa, da questo nuovo rilievo antropologico che assume la dimensione spettacolare. Alcuni eventi spettacolari, che hanno operato una commistione di più tecniche e forme artistiche, hanno realizzato il proposito di creare occasioni di intrattenimento per strati molto vasti di pubblico. Una grande attenzione hanno suscitato le forme teatrali risalenti alla tradizione del teatro di varietà e dei generi affini. Al di là di queste forme di spettacolarità ad ampio raggio, il teatro ha avut vita molto intensa anche come genere a sé. Il lavoro di registi e attori legati più strettamente alla tradizione e impegnati nella proposta di opere del repertorio classico e contemporaneo ha visto nuove soluzioni e invenzioni sceniche, nuovi esperimenti di rappresentazione. Ma ha assunto rilievo centrale una sperimentazione rivolta alle forme della scena, all’insieme degli effetti; spesso questa sperimentazione è stata guidata da un polemico rifiuto della parola e del testo drammatico, e da un’esaltazione del gesto e della visività. La situazione globale del teatro e il vigore di questo tipo si sperimentazione scenotecnica hanno messo in ombra la nuova produzione drammaturgica: a parte poche eccezioni, non sembra possibile riscontrare in Italia nuovi modi di scrittura drammatica capaci di imporsi e penetrare nel senso della realtà presente; per quasi tutti gli autori che si sono avvicinati al teatro, la scrittura teatrale è stata una sorta di ripiego, si è risolta in esperienze marginali e occasionali. 42 Il Galateo in bosco è nello stesso tempo un’operazione di alto manierismo letterario, tramato di molteplici riferimenti alla tradizione petrarchista, a poeti maggiori, minori e minimi, è un’immersione degli strati più cupi della terra, nei suoi segreti. Zanzotto parla della sua terra, del paesaggio intorno a Pieve di Soligo, in cui al di là del Piave si alza il Montello. Sul pendio di questo colle si trovano i ruderi dell'Abbazia di Nervesa, dove si dice che nel Cinquecento monsignor Della Casa scrisse il Galateo. Ma i boschi intorno al Montello si presentano anche come possibile immagine arcadica di ritiro dal mondo. Quello stesso luogo è stato teatro di sanguinose battaglie sul finire della Prima guerra mondiale e di esse reca molteplici segni nel paesaggio, segni distruttivi della civiltà di massa. La successiva raccolta, Fosfeni (1983), ha una struttura meno compatta, si presenta come un succedersi di provvisorie illuminazioni: la parola fosfeni indica “vortici di segni e punti luminosi che si avvertono tenendo gli occhi chiusi e comprimendoli o anche in situazioni patologiche”. All'immersione nella vicina geografia che caratterizzava il Galateo in Bosco succede ora uno sguardo verso il nord, che per Zanzotto sfuma verso paesaggi dolomitici abitati dal gelo e dalle nevi, che si ripropongono come immagini di imprendibile perfezione. Idioma (1986), vede affacciarsi una nuova fiducia nel dire che riconduce ai toni colloquiali di Filò, anche grazie ai nuovi componimenti in dialetto che figurano nella seconda parte. Il titolo sottolinea la particolarità dell'esperienza linguistica, il rilievo che la lingua assume nell'uso concreto. Idioma indica la vita globale della parola, che è dissociazione, ma anche salvezza, unica garanzia possibile di una comunicazione autentica. Tornano alla memoria immagini di vita locale, personaggi, usi e abitudini della piccola, povera e dura vita quotidiana del passato perduto, immagini di amicizia che si prolungano nell’appassionato colloquio con i morti. 4.3.7 Riflessi di una natura alla deriva La breve raccolta del 1996, Meteo, viene a presentarsi come un vario insieme di frammenti legati ormai a una diffidenza verso la costruzione di un'opera organica e segnati da una nuova volontà di ascoltare la natura, nel suo alterarsi, inclinarsi, lacerarsi e precipitare: il ritmo dei movimenti stagionali, l'instabilità del clima, l’ambiente sempre più contaminato dall'intervento umano, tutto ciò viene come registrato da una parola che ne sente su di sé l'effetto doloroso. C'è ancora un generoso moto di fraternità verso questa natura in pericolo: anche tra le sue inquietanti alterazioni il poeta ritrova un offrirsi di colori e luci ma, nell'atto stesso in cui sembra rivolgersi a esplorare i segreti del verde, si trova a scoprire un’invasione di piante parassitarie, di rifiuti e manufatti umani che tendono a impadronirsi del paesaggio. Meteo si rivolge così ad invocare quei vegetali invadenti che si presentano come ultimi segni di una natura purulenta e avvelenata, ma pur sempre pulsante. Ancora come deposito di frammenti appare il successivo Sovraimpressioni (2001). Sul linguaggio si caricano in ogni momento tracce di altri linguaggi, di segni subiti che vengono da un mondo esterno sempre più minaccioso, il movimento sintattico si distende e si spezza, come disponendosi a strati che corrispondono agli strati del mondo esterno, sentito in un continuo alternarsi di vicinanze e di lontananze, in cui prevale ancora l'ossessione del mondo vegetale, del suo perverso contaminarsi con i residui della produzione e del consumo degli esseri umani. Grande, difficile, disperato poeta del trasformarsi dell'ambiente, della deriva che lo minaccia, l'ultimo Zanzotto ha manifestato il suo giudizio sulle tendenze del presente e la sua disillusa fede nella poesia nell'intervista curata da Marzio Breda, In questo progresso scorsoio del 2009, che nello stesso anno è stata seguita dalla raccolta Conglomerati, testi che il titolo designa come composti che si costituiscono mettendo insieme materiali più diversi, come un intarsio in cui le tessere, pur offrendo l'immagine di un insieme, mantengono il segno della loro identità. Lo sguardo del poeta continua a interrogare la bellezza che permane, pur contaminata, inquinata, minacciata, e che con la sua fascinosa alterità lo spinge a tendere verso di lei. Sono ancora momenti di sublime, tanto più intensi in quanto comportano una riserva ironica, ma che affermano ancora la speranza di una ricomposizione, di un’uscita dal pantano purulento in cui il mondo sembra precipitare. 4.3.8 Giovanni Giudici: le raccolte poetiche Opposta a quella di Zanzotto appare la soluzione di Giovanni Giudici che non cerca uno scavo nel fondo scuro del linguaggio, non tende a farsi carico delle difficoltà del rapporto tra la poesia e il mondo ma parte da una confidenza diretta e spontanea con la parola. La poesia sembra presentarsi per giudici come sottile strumento di autodifesa. Egli sente la poesia come una sorta di dono che mette a frutto con discrezione e ironia, restando estraneo a ogni forma di vitalismo. Egli avverte come il linguaggio sia strettamente radicato nella vita, si colloca nel cuore di una catena di rapporti umani e sociali, nella realtà precisa e limitata in cui ci si trova volta per volta a vivere. La sua ricerca di libere forme vocali e il suo rifiuto dei programmi lo pongono assai lontano dagli orientamenti della neoavanguardia e dagli influssi delle teorie letterarie degli anni Sessanta e Settanta. È facile riconoscere il suo rapporto con Saba ma notevole è anche la suggestione che su di lui esercitano Pascoli, Montale e Caproni. Notevole anche la consonanza della sua poesia con la misura oggettiva e moralistica della linea lombarda, la sua tendenza all'ironia e la sua vocazione a presentarsi in tono minore. Con la maggior parte della sua poesia egli si è collocato nel cuore stesso della realtà cittadina industriale, mirando a una sorta di difesa dell'io nel vortice della modernità: ma ne ha tratto una serie di domande sullo scorrere del tempo, sul deformarsi dell'esperienza, sulle ambiguità dei comportamenti quotidiani. • La Spezia 1924-2011; • trasferitosi a Roma vi ha studiato e si è laureato in letteratura francese; • ha ricevuto un'educazione cattolica e ha mantenuto nel corso degli anni un cattolicesimo aperto e problematico pur partecipando pienamente ai modi di vita laici; • ha svolto una varia attività politica nella sinistra; 45 • ha lavorato per molto tempo come funzionario alla Olivetti; • oltre a riviste specificamente letterarie, ha collaborato al “Corriere della Sera”, a “L’Unità” e a “L'Espresso”. 4.3.9 La poesia e la vita L'aspetto più evidente de La vita in versi (1965) è costituito da una forte tensione morale, che si staglia sullo sfondo di una realtà metropolitana, entro le costrizioni dei rapporti di una vita piccolo borghese. All’eco delle esperienze della linea lombarda si accompagna quello dello sperimentalismo realistico del tempo di “Officina”. In un tono di conversazione smorzata è la persona stessa del poeta a venire incontro al lettore, con i ritmi ripetitivi del suo lavoro di impiegato, con le circostanze della più comune vita familiare. Il poeta oscilla tra rifiuto e compromesso, tra sentimento morale e accettazione disincantata e ironica delle condizioni date, e riflette sul peso della sua educazione cattolica. Numerosi sono anche i momenti di straniamento che tendono a mostrare i limiti e l'insufficienza della grigia vita vissuta. In Autobiologia (1969), Giudici trova un nuovo, più stretto, nesso tra poesia e vita. Come dice la parola da lui inventata per il titolo egli cerca qualcosa di diverso dall'autobiografia, non mira a una poesia-confessione ma a una poesia che affonda nelle sue radici biologiche, che ne sia la manifestazione vitale. Questa poesia vuole essere una sorta di espansione biologica dell’io e naturalmente il suo strumento privilegiato è costituito dalla lingua che, lascia i toni grigi della raccolta precedente e trova nuove modulazioni, si abbandona a una cantabilità insieme affettuosa e ironica. La sua voce può essere voce di un personaggio diverso dal poeta, può essere menzogna e finzione, strumento di una messa in scena in cui il suo essere si nasconde e così si affacciano varie figure del teatro, della recitazione, della menzogna e del sogno. Nella raccolta successiva, O Beatrice (1972), la poesia di Giudici sembra raggiungere il massimo di disinvoltura e di naturalezza. Il gioco con il linguaggio, la ricerca dei ritmi cantabili, il movimento tra personaggi e immagini diverse dell'io diventano oggetto di un'esaltazione virtuosistica, sono rappresentati in maniera trionfale ed entusiastica. La poesia si pone in primo luogo come invocazione, come discorso amoroso rivolto a un'entità superiore, a una forza beatificante e salvatrice, a cui non a caso viene attribuito il nome della Beatrice dantesca. La figura di Beatrice si affaccia variamente nel corso del libro e sta sempre a offrire una salvezza tutta terrena e quotidiana, che emana da attributi erotici, materni e casalinghi, legati alla finitudine corporea. 4.3.10 Un vortice di voci, di presenze, di assenze Il male dei creditori (1977) si caratterizza per una distribuzione molto accurata dei testi raccolti. La tematica della recitazione si sviluppa qui a partire da una ironica fantasia di sparizione, di sospensione dell’io che più che sparire si confonde con maschere e possibilità diverse, dietro le quali emerge più volte il suo consueto senso di colpa. Il personaggio parlante è un debitore, che elude con la poesia ciò che deve alla società e al mondo circostante, che si sottrae ai diritti dei creditori ma mantiene ostinatamente l'ambizione di trasformare la colpa in innocenza. Il ristorante dei morti (1981) tende anch’esso a una costruzione organica in cui i singoli pezzi sono uniti da una continuità tematica e da rispondenze interne, come a formare dei poemetti. All'inizio, alla fine e tra le diverse serie sono disposti componimenti autonomi. Domina anche qui il tema del travisamento ma più forte si sente l’azione del tempo e del rapporto tra essere e diventare. Nel successivo Salutz (1986) l'impegno costruttivo diventa assoluto: i componimenti costituiscono un insieme compatto, dal punto di vista tematico, strutturale, metrico, linguistico. L'intero libro è costituito da mille versi. Il titolo si richiama alle più antiche radici della poesia amorosa romanza alludendo alla forma provenzale del salutz d'amor: Giudici si affida qui totalmente a una poesia d'amore che vuole riassorbire gli echi molteplici di una splendida tradizione per ridarle nuova vitalità, confrontandola con forme, linguaggi, desideri del presente. Il riferimento alla poesia dei trovatori suscita un insistente uso del termine midons, con cui quei poeti si rivolgevano alla domina. Ma frequenti sono i richiami ad altri momenti della tradizione amorosa, dallo Stilnovo al petrarchismo alla poesia romantica. Su questa base la voce poetica si abbandona a un’ininterrotta successione di metafore attinte agli gli ambiti più diversi, dalle più astratte e antiche figurazioni medievali alla realtà più corporea e viscerale, agli oggetti consueti del mondo moderno. Queste metafore, tra cui prevalgono quelle da bestiario si riferiscono tutte a una figura femminile desiderata e al desiderio dell'amante. La passione amorosa appare insidiata dallo stesso esercizio sul linguaggio, dal sospetto, sottilmente formulato, che il poeta ami più l'inchiostro della donna così intensamente esaltata. La successiva raccolta Fortezza (1990) sembra riprendere i modi della precedente poesia, l'aspetto colloquiale sempre presente nella poesia di Giudici, acquistando però una tensione più violenta, in un tentativo di forzare i limiti del linguaggio che si fa via via più difficile e serrato, quasi espressionistico. La parola fortezza vale in tutti i suoi possibili significati, da quello di fortezza militare e prigione a quello di forza fisica, a quello di virtù cardinale, secondo la tradizione cattolica: con questa ambiguità essa rivela il senso di una poesia che vuole insieme registrare la situazione di prigioniero a cui oggi è ridotto l'uomo e saggiare la sua capacità di resistenza, in mezzo al proliferare delle cose e dei linguaggi. 4.3.11 Tempo della fine e tempo dell’inizio Le ultime raccolte di Giudici sono animate da una sorta di nuova accensione vitale, come nella coscienza del proiettarsi della vita verso una fine, da cui però si ricava una specie di nuovo inizio, una possibilità di ricominciare. In Quanto spera di campare Giovanni (1993) l'immagine del prolungarsi della vita è affidata a un’esperienza biografica, quella della casa allestita a la Serra, la casa prima decrepita e poi rimessa a nuovo conduce il poeta a un lieve ricominciare da cui attende come la promessa di poter raggiungere l'ultimo approdo del pensiero. 46 4.3.12 Poesia e realtà: ancora la linea lombarda Alcuni poeti milanesi hanno mostrato una più diretta continuità con la linea lombarda cercando un linguaggio ricco di segni della vita quotidiana nella grande città industriale, animato da una interna tensione morale e politica. • Giancarlo Majorino: nella sua opera si sente una più forte carica politica e contestativa, legata alla matrice dello sperimentalismo realistico, con alcuni punti di contatto con il primo Pagliarani. Il senso della condizione intellettuale proletarizzata e alla ricerca di una nuova comunicazione collettiva anima le sue raccolte. Con Provvisorio ci troviamo di fronte a una singolare disgregazione del linguaggio, ottenuta attraverso una particolare frantumazione dei diversi, che rende con grande immediatezza il senso della stagione degli anni Settanta. Maiorino vuole offrire al lettore un vasto affresco di una realtà che sempre più si degrada, e su questa strada si pone Tetrallegro e Gli alleati viaggiatori. Questo orizzonte epico si articola in un grande poema romanzesco in cui si alternano versi e prosa e in cui si dispongono vicende cariche di sentimento della vita pubblica e privata del tardo Novecento, col titolo Viaggio nella presenza del tempo; • Giovanni Raboni: mostra nella sua poesia la realtà cittadina filtrata da una sottile utilizzazione della tradizione poetica italiana e europea. Il suo è un elegante manierismo che si avvale dei modelli più diversi. Nelle prime raccolte confluite in Le case della Vetra più marcata è la presenza di un paesaggio urbano, mentre nella successiva Cadenza di inganno si affaccia più insistentemente il tema della morte. Vera svolta è costituita da Versi guerrieri e amorosi dove la tematica erotica si intreccia con la presenza della metafora bellica, dove sul desiderio immerso nel presente si sovrappongono le tracce del passato, del perduto mondo familiare, insieme ai ricordi del tempo di guerra e alle tracce di uno sdegno civile che sempre ha sostenuto la poesia di Raboni, il denso spessore letterario della sua poesia qui si arricchisce di una nuova sperimentazione metrica. Sguardo alle pieghe e alle sensazioni del proprio io, confronto tra la vita e la morte, malinconica considerazione della caduta di ogni speranza di tipo politico, sono i temi che percorrono la fitta strumentazione metrica e riflessiva di Quare tristis, la raccolta che ricava il suo titolo da un versetto biblico citato all'inizio della messa in latino; • Tiziano Rossi: impegnato a difendere la continuità di un'esperienza umana semplice e autentica, nel grigio orizzonte della civiltà urbana e industriale, un io poetico che non ha bisogno di nascondersi ma si affaccia sulla pagina con spontanea discrezione. Le varie raccolte testimoniano i mutamenti e la persistenza di una voce poetica che riesce a procedere su terreni che si sfaldano da tutte le parti; • Raffaele Crovi: presenta una tensione morale che nasce da un severo cattolicesimo che lo conduce a una poesia che dà il meglio di sé nella misura dell’epigramma e della canzonetta. 4.3.13 Altre esperienze poetiche • Sebastiano Adamo: presenta una forte tensione stilistica, rivolta a scavare in profondità nel gorgo oscuro della realtà del presente, ricavandone segni allucinati, sospesi in un vuoto minaccioso; • Fernando Bandini: si muove liberamente entro le forme e le tradizioni più diverse animando la sua poesia con il dialetto e, sulle orme di Pascoli, cimentandosi con ottimi risultati anche nella poesia in latino. Nelle sue varie raccolte si esprime un amore per la vita, schermato da ansie, ironie, memoria e inquietudine per le minacce che incombono sul mondo; • Alda Merini: dopo anni oscuri e difficili e dopo una degenza in un manicomio ha raggiunto un eccezionale notorietà negli anni Novanta diventando quasi l'immagine mitica di una nozione ai nostri giorni molto diffusa, di poesia come espressione spontanea e illimitata, emotiva, indifferente a ogni ordine e controllo, entro l'autenticità di una vita fatta di sofferenza, di passione, di desiderio. Erotismo e misticismo, esaltazione e depressione, si intrecciano in una poesia d'amore e di pena, fitta di diretti riferimenti autobiografici, disposta a chiamare in causa quasi carnalmente persone definite e concrete; • In un orizzonte strenuamente sperimentale, che mostra significativi punti di contatto con l'esperienza della neoavanguardia, si pongono Corrado Costa, Cesare Ruffato, Gianni Toti, Franco Cavallo, Mario Lunetta e Ciro Vitiello. 4.3.14 La pronuncia abnorme di Amelia Rosselli La poesia di Amelia Rosselli è il frutto di un'esperienza assolutamente singolare, concentrata su un ostinato ascolto del linguaggio, su un’osservazione dei rapporti difficili e oscuri tra l’io e il mondo. Estranea alle problematiche del mondo intellettuale italiano, la Rosselli si sottrae anche a un rapporto con le linee dominanti della nostra lirica novecentesca e rimane legata più ad alcuni aspetti della poesia anglosassone e alle varie suggestioni del surrealismo, anche se il suo uso di questi modelli non coincide con quello più programmatico fattone dalla neoavanguardia. Nata a Parigi nel 1930 Amelia ha avuto una vita difficile e movimentata segnata dal dramma familiare, con soggiorni in diversi paesi. Ha svolto un'attività musicale e ha lavorato per l'editoria. In Italia è venuta a vivere solo nel dopoguerra stabilendosi a Roma. Ha scritto poesia in francese e soprattutto in inglese, accostandosi alla lingua italiana solo in un secondo momento, sulla sua scrittura quindi ha agito fin dall'inizio la singolarità della sua posizione di senza patria, cresciuta in ambienti linguistici e culturali diversi da quelli del nostro paese. Il suo primo libro, Variazioni belliche (1964), si costruisce, dopo alcuni testi della struttura più aperta, come una serie di sequenze di versi molto ampi, dalla lunghezza costante. La pagina sembra devastata da una lacerante forza psichica, lascia fluire un discorso fatto di associazioni imprevedibili, di deformazioni della pronuncia e dei rapporti sintattici. Questo metodo si sviluppò ulteriormente nel libro successivo Serie ospedaliera (1969). L’ospedale è qui il luogo del 47 borghesia, presa nel vortice del miracolo economico. La voce folle del protagonista racconta storie e vicende del tutto finte, parla di personaggi inesistenti, in cui i ruoli si mescolano in vari modi. La lettura dei giornali lo porta a identificarsi con tutti i possibili protagonisti delle squallide vicende della cronaca nera. Il linguaggio del romanzo rivela i tipici caratteri dell'Italia uscita dal boom industriale, osservata dal punto di vista di Roma e dei suoi dintorni, in preda a una confusa degradazione, al dominio incontrastato di un’ottusità piccolo borghese. Del 1968 è Salto mortale, monologo che si svolge in 38 capitoli, con l'interferenza di altre voci indefinibili, formule del linguaggio più comune e banale piovono sulla pagina anche attraverso brevi frasi evidenziate in maiuscolo. La voce parlante ci si presenta come quella di un certo “Giuseppe detto Giuseppe”, che muta continuamente il destinatario del suo discorso, rivolgendosi al lettore e ad altri personaggi chiamati Giuseppe, parlando delle vicende di altri svariati Giuseppe. Ma questa moltiplicazione d'identità non produce una narrazione astratta e rarefatta poiché la voce parlante segue situazioni molto concrete. Qualcosa fa pensare al Gadda del pasticciaccio e in effetti salto mortale offre un'immagine rivelatrice della realtà sociale italiana ma siamo in una fase successiva a quella rappresentata dal romanzo di Gadda poiché con Malerba siamo ormai al di là del plurilinguismo. La nuova realtà industriale si avvia verso il postmoderno, verso un ambiente sfasciato e disintegrato, dominato da una lingua quasi neutra il cui fondo è quello del nuovo italiano medio diffuso dal cinema e dalla televisione. Negli anni successivi si è svolta un’ampia produzione di libri di viaggio, di divagazioni e di racconti. Questi ultimi dalle occasioni della vita quotidiana ricavano spesso combinazioni e identificazioni allucinate e imprevedibili. Un'opera significativa, anche se riuscita solo in parte, è il romanzo Il pianeta azzurro (1986), complicato intreccio di piani narrativi, con identificazioni e dissociazioni tra voci diverse. Vi viene svolto il tema delle trame occulte e delle ramificazioni di un potere perverso e mafioso che culmina nella cronaca televisiva di un attentato politico. Per questo ultimo Malerba, il mondo è una trappola in cui accadono eventi micidiali, che è impossibile ricostruire e di cui i mass media ci offrono solo immagini false e illusorie. Questi caratteri della vita contemporanea si riflettono anche all'indietro, verso il passato e, ne Il fuoco greco (1989), romanzo sottilmente artificioso, è l'Impero Bizantino a fornire una metafora delle trappole del presente. 4.3.20 Alberto Arbasino Enfant prodige nell'ambito dell'avanguardia degli anni Sessanta è stato Alberto Arbasino, sempre disponibile a ricavare combinazioni inesauribili, artifici e giochi multiformi da una sorta di immersione totale nella cultura e nella realtà contemporanea. La sua opera capitale è il romanzo Fratelli d'Italia (1963), libera e disinvolta immersione nella vita sociale dell'Italia del benessere, con l’iniziazione intellettuale di un gruppo di giovani che percorrono l’Italia immergendosi in un caos di oggetti, incontri e esperienze, tra satira e partecipazione entusiastica. Questo romanzo era originariamente legato al clima storico di quegli anni, al piacere con cui allora si credeva di poter afferrare le novità del mondo. L'autore ha poi ampliato e dilatato il libro delle due nuove redazioni del 1976 e del 1993, arricchendolo di ulteriori materiali e riferimenti ad eventi degli anni trascorsi. Nella sua redazione finale il romanzo si pone così come un romanzo aperto, in cui alla disinvolta leggerezza del primo strato si è andato sovrapponendo il disappunto per le storture e i molteplici fantasmi negativi emersi man mano nel tempo. 4 .3.21 Vincenzo Consolo La narrativa di Vincenzo Consolo si svolge all'insegna di un originalissimo rapporto tra memoria storica e ricerca linguistica: una attenzione alle più varie possibilità del linguaggio, dalla più sontuosa tradizione letteraria al più resistente fondo dialettale siciliano, conduce a una appassionata interrogazione del passato, di ciò che è divenuto nel presente. Il racconto storico trova strutture che mostrano come, nel mondo del postmoderno, sia lo stesso ricordo del passato a essere in pericolo. La ricetta di questa memoria storica riguarda un mondo in cui la memoria si perde e si annulla: la Sicilia, la sua storia il suo presente distruttivo e violento. Nato a Messina nel 1933 e laureato in giurisprudenza, Vincenzo Consolo si è trasferito a Milano dove ha lavorato alla Rai ed è morto nel 2012. La sua vera rivelazione si è avuta con Il sorriso dell'ignoto marinaio , singolare ricostruzione di alcuni eventi svoltisi nel nord della Sicilia al passaggio dal regime Borbonico a quello unitario e culminati in una rivolta contadina. Singolare opera narrativa è Retablo (1987), il cui titolo indica un insieme di figure che rappresentano i diversi momenti di una storia, il testo è basato su un intreccio di piani narrativi, di passaggi nel tempo, di rapporti tra scrittura e immagine. In pieno Settecento si sovrappongono le vicende di due personaggi, un pittore milanese amico degli illuministi, che viaggia per la Sicilia inviando il suo diario all'amata, e un frate siciliano tormentato dallo sconvolgente amore per una donna. Il pittore si chiama Fabrizio Clerici, lo stesso nome di un importante pittore contemporaneo amico di Consolo, del quale sono inseriti nel libro dei disegni. L'amore lontano, impossibile, è per i due personaggi la guida che conduce alla conoscenza della realtà, della Sicilia che attraversano. Il romanzo del 1992, Nottetempo, casa per casa, ci conduce a Cefalù al momento dell'affermazione del fascismo, mentre vi si installano i membri di una setta dall'irrazionalismo estetizzate e demoniaco. Un maestro di scuola socialista vive una sua educazione sentimentale, politica, letteraria, nelle difficoltà del rapporto con un mondo che sfugge ad ogni razionalità. Questa Sicilia dei primi anni Venti, si pone esplicitamente come immagine dell'Italia e della Sicilia di fine secolo, di una realtà che va alla deriva a cui il protagonista oppone come unica resistenza la grande letteratura. Ma nella situazione degli anni Novanta Consolo si sente sempre più deluso dalla forma tradizionale del romanzo e il libro successivo, L'olivo e l'olivastro (1994), rifiuta ogni vincolo di genere letterario, è insieme conversazione, descrizione, saggio, invettiva, libro di viaggi. Come Ulisse, il viaggiatore di oggi sta cercando la patria, la sua Itaca perduta dentro la sua grande isola ma non può ritrovare la purezza originaria del mito ma solo il suo infinito degradarsi. 50 Lo spasimo di Palermo (1998) si presenta come un romanzo ma si muove verso una liricità che irrompe dentro i fatti, gli eventi, i dati essenziali e concreti di una storia che va dagli anni della Seconda guerra mondiale ai primi anni Novanta, riflessa nel punto di vista del protagonista che è uno scrittore siciliano che vive a Milano e che aborrisce ormai il romanzo. L’ansia di giustizia trova il proprio emblema disperato nella scena finale dell'assassinio di un giudice, in cui si riconosce l'attentato al giudice Paolo Borsellino, a cui assiste impotente il protagonista. 4.3.22 Gesualdo Bufalino Solo nel 1981 il grande pubblico si è avvicinato a un notevole narratore siciliano, Gesualdo Bufalino, nato a Comiso nel 1920 e per lungo tempo insegnante in un istituto magistrale. Il romanzo Diceria dell'untore, pubblicato in quell'anno, seguiva, attraverso una voce in prima persona, la vicenda di un amore disperato in un ospedale per tubercolotici, in un confronto con la morte sostenuto da una scomposizione del tempo narrativo. Era un esempio notevolissimo di una narrativa esistenziale basata su personaggi costretti a subire sul loro corpo e sui loro sentimenti un potere metafisico assurdo e nemico. Contro questa forza indecifrabile i personaggi di Bufalino reagiscono con aggressività e con atteggiamenti eccessivi e melodrammatici. Bufalino ha continuato poi su questa strada con Argo il cieco ovvero il sogno della memoria da lui stesso definito come un diario-romanzo. E’ morto nel 1996 in seguito a un incidente automobilistico. 4.3.23 Esperienze narrative singolari e atipiche Nella fase finale del Novecento si sono avuti numerosi casi di narratori scoperti in età avanzata o giunti alla letteratura dopo esperienze eterogenee, al di fuori di una tradizionale carriera intellettuale: • Carmelo Samonà che nel romanzo Fratelli ha seguito con una prosa densa, pudica la sofferenza del narratore in rapporto quotidiano con un fratello malato di mente, qui la parola del sano cerca di trovare una comunicazione corporea con il malato, di individuare il nesso che collega salute e malattia, ragione e follia; • il latinista Luca Canali è giunta alla narrativa e alla poesia negli anni Sessanta, a partire da una sofferta e problematica riflessione sulla Resistenza; • il pittore milanese Emiliano Tadini, è autore di romanzi attenti a individuare, con equilibrato sperimentalismo, tutte le complicanze dei rapporti tra azione, cronaca, funzione, racconto e storia; • Francesco Biamonti ha dato una prova di grande tensione lirica che cerca una assoluta essenzialità rappresentando il mondo dell'entroterra ligure alla frontiera con la Francia tra passaggi di clandestini irregolari, presenze di contrabbandieri e di vecchi marinai e esistenza cariche di silenzio; • Giampaolo Rugarli dopo una vita da dirigente bancario si è dedicato alla letteratura solo negli anni Ottanta con una varia saggistica e romanzi ambiziosi e corposi, costruiti con un abile dosaggio di elementi culturali e di dati realistici, in cui la cura per le strutture narrative si affianca a una considerevole capacità di rappresentazione grottesca; • il magistrato Salvatore Mannuzzu dopo una varia produzione letteraria rimasta nell'ombra, ha indagato sulla ricerca della verità che sempre si sottrae, che balena solo nascondendosi nel quadro ambientale della sua Sardegna; • un caso del tutto particolare quello dei fratelli gemelli di origine ungherese Nicola e Giorgio Pressburger che hanno scritto insieme, prima della morte di Nicola, alcuni racconti e un romanzo in cui favolose vicende del mondo ebraico vengono raccontate attraverso un gioco di identificazioni che chiama in causa la doppia identità degli autori, con scambi sottili e inquietanti; • un altro caso atipico è quello del siciliano Andrea Camilleri che nei suoi gialli che hanno il centro il commissario Salvo Montalbano e negli altri numerosi racconti e romanzi fa un uso ammiccante e ironico del dialetto siciliano evocando una Sicilia in maschera. 4.3.24 Altri narratori tra ricerca e tradizione Tra coloro che si sono mossi in un ambito sperimentale, accompagnando spesso la ricerca narrativa con quella poetica possiamo distinguere Mario Spinella, Carlo Villa e Giuliano Gramigna. A un orizzonte sperimentale si può collegare anche la scrittura umoristica e paradossale di Rodolfo Wilcock. A una narratività più diretta si accosta, invece. Ferdinando Camon. Alcuni romanzi carichi di tensione lirica ha dato l'istriano Fulvio Tomizza, a un orizzonte mitteleuropeo riconduce anche la narrativa di Renzo Rosso. Sottili soluzioni strutturali, che sembrano mirare a trasformare tutto il possibile in una sorta di specchio di un io che continuamente si trova e si perde, sono rinvenibili nelle opere di Franco Ferrucci. Una via di tipo sperimentale è stata quello di Giuseppe Pontiggia. Scrittore rivolto al grande pubblico, a cui offre vivaci pitture d’ambiente, vicende di esaltata sensualità, avventure abilmente congegnate è il parmense Alberto Bevilacqua. 4.3.25 La misura delle narratrici • Rossana Ombres ha dato un’originale e immaginosa trasfigurazione della realtà nelle opere poetiche, ma più costante è stato il suo impegno di narratrice, con romanzi centrati sul punto di vista di personaggi di donne solitarie o chiuse in un loro mondo sognante; • Gina Lagorio è stata sempre fedele a una sorta di esplorazione esistenziale, attenta alla concretezza del vivere, con le sue contraddizioni, molto fitta è la sua produzione romanzesca; 51 • Francesca Sanvitale indaga su rapporti difficili, su tensioni e ambiguità della vita borghese con un linguaggio che esclude compiacimenti sentimentali; • Rosetta Loy segue tracciati di memoria sotto cui possono affacciarsi segni di tragedie storiche; • Fabrizia Ramondino è autrice di libri sospesi tra il saggio, l'autobiografia, la meditazione morale, la testimonianza dell'invenzione narrativa, si rivolge alle situazioni più particolari e concrete, all'osservazione dei luoghi e di comportamenti seguendo il formarsi e il dissolversi di progetti di libertà e di giustizia su cui si sovrappongono dati mitici e simbolici, tracce della storia e delle sue lacerazioni; • Oriana Fallaci presenta una letteratura immersa nelle vicende contemporanee, legata a una vivacissima attività di reporter nelle più difficili situazioni internazionali del dopoguerra con forte rilievo dell’io personale e con singolare aggressività; • Dacia Maraini occupa un posto a sé, in una fitta produzione ha rappresentato le contraddizioni della condizione femminile e dopo alcune opere segnata da una sovrabbondanza di partecipazione ideologica in senso femminista, entro un violento senso di insoddisfazione per il linguaggio già dato, si è rivolta a interrogare in modo più intimo l'identità e le difficoltà del personaggio femminile nel suo farsi strada nel mondo come ne La lunga vita di Marianna Ucria del 1990. Negli anni più recenti ha dato scritti autobiografici e ha continuato a seguire in modo di più pacato buon senso i problemi della condizione femminile, della violenza sulle donne e sui bambini; • Goliarda Sapienza, dopo aver lavorato come attrice, si è data la letteratura sul corso degli anni Sessanta, ma in vita è riuscita a pubblicare solo quattro libri che hanno avuto scarsa risonanza ma non la sua opera maggiore L'arte della gioia, divenuto una sorta di icona di letteratura femminista; • Dolores Prato pubblica il romanzo Giù la piazza non c'è nessuno, concentrato sulla difficile infanzia vissuta all’inizio del Novecento nella cittadina di Treia. 4.4 La generazione del Sessantotto 4.4.1 La generazione del Sessantotto e oltre I caratteri della cultura dei decenni a noi più vicini rendono praticamente impossibile identificare in modo organico le tendenze e le prospettive degli scrittori delle generazioni che hanno cominciato ad affacciarsi sulla scena intorno al Sessantotto. Gli scrittori nati a partire dal 1940 vivono già la loro adolescenza in mezzo alle trasformazioni degli anni Cinquanta e assistono alla piena realizzazione del miracolo economico. Sulla loro formazione intellettuale agiscono l’esaurirsi della dialettica intellettuale, il richiamo della contestazione giovanile, i comportamenti alternativi, le ideologie del negativo, la proliferazione e la rapida consunzione delle teorie letterarie e il dominio della comunicazione di massa. Le nuove generazioni non si distinguono più per la ricerca di forme stilistiche singolari e assolute: ci sono certamente molti scrittori dotati di ottima perizia tecnica, che però non giungono a fissare fino in fondo nella loro esperienza il senso della situazione presente. Salvo poche eccezioni, questa letteratura sembra rinunciare all'ambizione di una conoscenza integrale dei caratteri del mondo. Ciò non dipende da un’insufficienza degli scrittori ma dalla posizione sempre più marginale della letteratura. Nei suoi risultati migliori, la letteratura di queste generazioni esprime lo scontro tra l'aspirazione a qualcosa di diverso e i limiti insuperabili di questo orizzonte, tra insoddisfazione radicale per lo stesso linguaggio che si ha a disposizione e rassegnata accettazione del quadro in cui si è costretti a operare. In questa letteratura e però possibile individuare una frattura che distingue la generazione dei nati durante la guerra o subito dopo da quella più giovane degli scrittori nati negli anni Cinquanta e successivamente: i primi hanno spesso vissuto in gioventù le difficoltà del dopoguerra, sono cresciuti insieme al nuovo sviluppo economico dell'Italia, hanno sfiorato l’esperienza della neoavanguardia e nel momento più intenso della giovinezza si sono incontrati con il Sessantotto. I nati negli anni Cinquanta possono aver sfiorato il Sessantotto solo nell'adolescenza, si sono formati entro la società del boom economico, sperimentandone dapprima la crisi, poi il rilancio e la successiva degradazione e sono pienamente partecipi dell'epoca postmoderna. In un primo momento ha avuto un peso determinante il privilegio attribuito dal Sessantotto alla politica e per una certa fase si è guardato alla letteratura come un vizio borghese o aristocratico, a una predilezione per le forme di un passato che doveva essere bruciato nel fuoco della nuova storia. A chi continuava a occuparsi di letteratura si addossava la colpa di non saper tradire la borghesia. La degradazione della politica e la fine dell'impegno subentrate rapidamente nel corso degli anni Settanta condussero poi a un vero e proprio ritorno della letteratura. All'inizio ne ha tratto vantaggio soprattutto la poesia che ha avuto il suo momento più vivace verso la fine degli anni Settanta. Nel corso degli anni Ottanta questa curiosità di massa ha cominciato ad esaurirsi con il progressivo venir meno della contestazione giovanile e parallelamente si è assistito a una rinascita della narrativa. Questa fortuna della narrativa negli anni Novanta si è appoggiata all'espansione del nuovo orizzonte dominato dall' informatica e dalla multimedialità e a questo si è aggiunta la tendenza dell'editoria a puntare su target precostituiti, su modelli che si rapportano alle disposizioni più superficiali ed esteriori del pubblico. I migliori risultati delle giovani generazioni vanno probabilmente cercati in alcune esperienze individuali, spesso appartate, piuttosto che negli autori e nelle opere che hanno goduto di più larga fortuna. 4.4.2 Ci sono poeti dappertutto: la liberazione delle scritture 52 4.4.7 Voci poetiche su Milano • Maurizio Cucchi è partito da un’osservazione della realtà collegabile alla linea lombarda, insistendo sulle piccole forme, sugli oggetti e le occorrenze della vita quotidiana, facendo di questa realtà dimessa una specie di garanzia di speranza, un rifugio di fronte alle dispersioni della storia e della psiche. A questa fase iniziale potrebbe applicarsi la formula di un crepuscolarismo senza ironia ma successivamente viene a sgorgare una nuova voce che introduce qualcosa di più intimo, quasi a cercare la fonte della poesia e della propria stessa esistenza, scoprire il senso della propria orfanità che poi si definisce nel ricordo del padre perduto nell'infanzia; • Cesare Viviani sembra muovere verso un segreto, verso qualcosa di oscuro e inafferrabile, servendosi delle più varie forme e linguaggi; dallo stravolgimento linguistico di alcune raccolte legate ancora all'esperienza della neoavanguardia, la sua poesia è passata a un sottile gioco di immersione dell’io in maschere diverse. Negli anni recenti ha approfondito una ricerca di tipo morale, di una poesia come forma etica, rapporto profondo con ciò che sfugge alla società dello spettacolo e dell'apparenza da cui sono scaturite da una parte raccolte fatte di brevi testi che mirano a fissare un’umiltà dell'esistenza e dall'altra nuove forme di tipo narrativo e riflessivo, veri e propri poemi morali, nel segno di un’inquieta religiosità; • Vivian Lamarque ha una misura tutta personale, data da un carattere infantile, affidato al frequente riferimento al mondo dei bambini, alla semplicità del linguaggio e delle forme metriche, al ricordo di un'infanzia segnata dalla separazione e da perdite, sul filo di questa estrema semplicità, si proiettano i temi dell'amore e del dolore, un'aspirazione alla gioia e un senso oscuro di morte; • Milo De Angelis è apparso all'inizio come rappresentante di una poetica orfica in continuità con la ricerca simbolistica e ermetica dei rapporti segreti tra le cose, ma il suo simbolismo sembra solcato da una frattura e da lacerazioni interne poiché quelle immagini sembrano continuamente sfaldarsi ed è come se le cose fossero sottratte a sé stesse. Nelle raccolte degli anni Settanta e Ottanta la voce del poeta sembra fissare l'enormità di un mondo dove tutto è già accaduto e dove tutto si perde in un’accecante oscurità; • Patrizia Valduga ha sempre avuto un rapporto viscerale con le forme letterarie, volendosi quasi sacerdotessa e officiante di una religione della poesia, amante dei più accesi splendori metaforici, di ogni connubio barocco tra eros e morte, la sua poesia si pone come macerazione della tradizione letteraria e in questo orizzonte ha dato alcuni dei risultati più originali e atipici della poesia degli ultimi anni, con una singolare cura per la regolarità e per gli artifici metrici. 4.4.8 Altri poeti • Giuseppe Conte, in rapporto ai poeti milanesi ha avuto un ruolo di primo piano ma si è tenuto lontano da un lirismo troppo chiuso in sé stesso e ha mirato a definire una poetica del positivo. Tutta la poesia di Conte è diretta espressione della sua poetica che cerca forme immaginose ed esaltate in un vitalismo dietro al quale resiste il fascino delle religioni primitive, dei miti classici e orientali, delle forme epiche ed eroiche, dell’estetismo dannunziano. Il poeta sembra inseguire un’immagine di bellezza intesa come nuova religione salvatrice, che oppone al degrado del mondo contemporaneo, al dominio delle merci; • Gregorio Scalise ha prodotto una poesia che costruisce ragionamenti leggeri che sembrano ridurre il discorso intellettuale contemporaneo a qualcosa di luminoso e infantile, appoggiandosi alla spontaneità di una parola che non si stanca di scoprire ingenuamente le cose; • Michele Sovente ha sperimentato varie forme di espressione poetica e dopo due raccolte in lingua italiana ha fatto un originale uso del latino e del dialetto campano con una serie di richiami alla storia e al mito che producono uno scarto critico dalla realtà e dal paesaggio familiare; • Eugenio De Signoribus ha mostrato nei suoi primi libri una singolare capacità di far sentire il respiro del mondo e dei suoi conflitti da un punto di osservazione marginale e privato. Proprio a partire da qui la sua poesia ha raggiunto una forza di denuncia, un respiro civile che ha trovato la sua più intensa espressione e si è aperta verso il sogno di una rinnovata comunità umana; • Ferruccio Benzoni ha prodotto una poesia fortemente segnata dalla presenza di Sereni e da un senso di esilio, di morte, fissato nel paesaggio familiare, ma come sospeso e cancellato, di Cesenatico. 4.4.9 La narrativa e la difficile interrogazione del mondo Negli anni Settanta, mentre si verificavano eventi inquietanti, trame occulte e cospirazioni, la narrativa si mostrava in genere incapace di rendere conto della realtà con un'adeguata ricerca stilistica e inventiva. I narratori della generazione del Sessantotto restavano quasi sempre ai margini del mondo editoriale e quando venivano pubblicati sembravano oscillare perlopiù tra una continuità con i modelli sperimentali della neoavanguardia e la tentazione di rinchiudersi nel privato. Difficilmente arrivavano a raccontare il presente, a scendere nel cuore delle sue forme assurde e tremende. Alcuni di questi scrittori in una fase iniziale si erano avvicinati più o meno fedelmente a modelli della neoavanguardia, sganciandosene poi in modo determinato, altri avevano ricevuto dalla neoavanguardia la spinta a confrontarsi con più consistenti modelli europei e internazionali e altri ancora avevano cercato con difficoltà la resistenza di un narrare tradizionale contro tutte le interdizioni. Su molti di loro si fece sentire lo spirito aggressivo della contestazione, la polemica contro l'inerzia dei modelli borghesi, la ricerca di nuove comunità di lettori. La loro scrittura è solcata da 55 segni di lacerazione, come da un senso di ritardo ed insufficienza, dalla troppa cautela e scarsa disponibilità a mettersi in gioco, a scommettere fino in fondo sul proprio lavoro. Ma è spesso animata anche da un vivo senso critico e autocritico che sembra venuto meno nelle generazioni successive. 4.4.10 Una scuola emiliana? • Gianni Celati manifesta nella prima fase della sua attività uno stretto legame con l'esperienza del mondo giovanile degli anni Settanta, una curiosità per le più varie forme della letteratura comica e una diffidenza verso tutti i modelli morali e intellettuali, si è mosso alla ricerca di una narrativa in grado di esprimere lo spirito dei movimenti alternativi, con una comicità affidata a schematiche marionette che trasportano sulla pagina scritta gli effetti del grande cinema comico degli anni Venti. Celati ha attraversato poi una sorta di crisi da cui è uscito con modi narrativi del tutto nuovi cercando un diretto rapporto con l'oralità e con la vita quotidiana in un mondo marginale, teatro di eventi minimi ma capace di sprigionare visioni fiabesche, su questa nuova strada si sono mossi i due libri Quattro novelle sulle apparenze e il diario di viaggio nelle campagne padane, divenute spettrali immagini di solitudine urbana Verso la foce; • Ermanno Cavazzoni può essere collegato all'esperienza di Celati nell'ambito di una scuola emiliano-bolognese, ha esordito solo nel 1987 con il Poema dei lunatici, da cui Fellini trasse il suo ultimo grande film, “La voce della luna”: avventure in un mondo bislacco narrate da un picaro candido che nel con il suo muoversi mette continuamente in questione se stesso e coloro che incontra, che, al di là degli schemi sociali, cerca qualche fragile verità, qualche segno imprevisto, qualche tenerezza ingiustificata; • Stefano Benni è autore di una fitta produzione di grande successo, ricco di capacità inventiva e manipolatoria, che sa prendere di mira tutte le forme della vita politica, sociale e culturale. La sua carica comica agisce efficacemente sulla breve misura, in brevi cortocircuiti linguistici, ma è come limitata dai suoi legami con l'attualità, da una disinvoltura di tipo giornalistico che lo porta a strizzare l'occhio al suo pubblico, che è quello della sinistra postsessantottesca. 4.4.11 Narrare a Roma Nell'ambiente romano le interdizioni sono state in parte corrette e arginate dalla presenza di Moravia e Pasolini, a cui si aggiunge quella di Elsa Morante, un dialogo implicito o esplicito con questi maestri è presente in quasi tutti i narratori di questa generazione operanti nella capitale. • Antonio Debenedetti ha perseguito un'analisi spietata di figure in solitudine, di impossibile comunicazione, soprattutto in ambienti borghesi e cittadini, in una serie di racconti brevi e romanzi segue con eccezionale tensione stilistica le vicende di personaggi la cui vita sembra aggrovigliarsi su se stessa sotto il peso di una colpa d'origine da cui non riescono a sfuggire; • Vincenzo Cerami è stato capace di far luce su realtà spietate e contraddittorie, affrontando i lati oscuri, problematici e paradossali dell'esistere, sempre con attenzione al fondo sociale, non senza un ironico disincanto. Egli sa rappresentare gesti e azioni senza cercare lo shock a tutti i costi, nemmeno quando la materia si fa più scabrosa; • Franco Cordelli produce libri carichi di entusiasmo e disagi, di ruminazioni culturali e letterarie. Osservatore di pieghe sottili, collezionista di dettagli, di ragionamenti e ipotesi che smonta nell'atto stesso di imbastirli, i suoi personaggi sono eroi di guerre di carta, attori barcollanti pieni di passione per ogni possibile scena. Ne Il Duca di Mantova (2004), il titolo del personaggio del Rigoletto di Giuseppe Verdi viene attribuito all’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi: è un romanzo politico che si presenta come una critica del romanzo della politica, in cui il Berlusconi reale si confonde con un Berlusconi fittizio, Duca di Mantova manipolatore della narrazione e dello spettacolo, dell'intreccio tra finizione e realtà. È un libro sull’evanescenza della politica, sull'evaporazione mediatica, sull'impossibilità di conoscere e di raccontare il confuso mondo di cui quel Duca sembra costituire il centro; • Renzo Paris per tanti aspetti è legato a Moravia; ha cercato di dare voce agli umori più aggressivi della sua generazione, anche in una non trascurabile produzione poetica. Il suo è un realismo dissonante che mette in scena il malessere di una piccola borghesia intellettuale ubriacatasi di speranze e delusioni, angustiata dai suoi limiti di classe, dalla sua inferiorità sociale. Negli ultimi anni si è mosso verso la rappresentazione del mondo dell'immigrazione e dell'emarginazione e verso un più diretto ritorno all’Abruzzo contadino; • Walter Siti si è presentato piuttosto tardi sulla scena della narrativa con un romanzo di ampie dimensioni, Scuola di nudo, sorta di immaginoso zibaldone in cui si sovrappongono l’ambiente universitario, quello delle palestre per culturisti e quello degli amori omosessuali del protagonista. È la ripetizione infinita di una recita in cui la vita riconosce la propria mancanza di senso, in cui tutta la cultura dell'autore si brucia e si svuota per eccesso, si affida agli splendori effimeri dei volumi e delle superfici corporee. La Magnifica merce è costituito da quattro racconti in cui sembra come esaltarsi la riduzione del sesso e di ogni esperienza possibile a merce. Ne Il contagio Siti ha messo in rapporto un vecchio professore, immagine trasposta di se stesso, con la vita di un palazzo della periferia romana che in un miscuglio esistenze, passioni, desideri, tra criminalità, droga, 56 prostituzioni, si pone come immagine globale del mondo presente, da cui per l'autore non c'è via d'uscita se non quella di assorbirne il contagio; • Francesco Pecoraro guarda alla degradazione e alla violenza del mondo con una sorta di aggressiva presa d'atto che sembra come indurire la parola, farne uno strumento di dolente resistenza, affidata alla voce di un protagonista in perpetuo stato d'assedio. 4.4.12 Verso il Sud • Domenico Starnone ha iniziato con corrosive rappresentazioni del mondo scolastico e ha continuato con romanzi sospesi tra ironia e moralismo, fino a raggiungere forme narrative più distese sul filo di una memoria personale, toccando il tema della vecchiaia e della malattia, dell'ossessione del sesso e della problematicità in un rapporto di coppia; • Raffaele Nigro ha percorso la strada del romanzo storico ricostruendo le vicende di un mondo popolare e contadino, proiettando un solido realismo in un orizzonte magico-fiabesco; • Elena Ferrante, personaggio misterioso che ne L'amore molesto, non senza suggestioni da Elsa Morante, ha rappresentato un doloroso conflitto familiare sullo sfondo di una Napoli violenta e fatiscente; • Erri De Luca ha preso avvio da un'esperienza politica e da un impegno postsessantottesco per raggiungere toni solenni e assorti, in una sorta di ascetismo della parola e dell'esperienza. 4 .4.13 Nell’Italia Settentrionale • Sebastiano Vassalli, partito da alcune prove sperimentali, è approdato poi a opere insieme più corpose e leggibili a partire dalla singolare biografia su Dino Campana che traccia quelli che possono essere considerati i tre orizzonti della sua successiva narrativa: la sua predilezione per personaggi di emarginati alla ricerca di un rapporto autentico con il mondo, l'attenzione all'orizzonte storico, lo spirito polemico verso il mondo contemporaneo e verso la società intellettuale e i modelli culturali dominanti. Verro e proprio romanzo storico è La chimera tragica vicenda della persecuzione e della condanna di una presunta strega nel Seicento, con una particolare cura nella rappresentazione di un mondo crudele implacabile. La passione narrativa di Vassalli si è poi caricata di intenti polemici e provocatori sostenuti da un minore impegno linguistico e stilistico; • Nico Orengo è stato un equilibrista alla ricerca di ricami leggeri e sfuggenti sul senso del mondo, tra giocosa indifferenza e partecipazione sentimentale, intento a confrontare il paesaggio marino e floreale della Liguria occidentale con i segni dell'universo industriale e post-industriale. Con spirito ironico ha guardato alla cultura mediatica, ai modelli della cultura di massa, sfiorando la commedia di costume, mettendo al centro della propria narrativa le più varie situazioni della vita contemporanea; • Roberto Pazzi sopo alcuni libri di poesia ha pubblicato un romanzo in cui l'orizzonte storico sfuma verso una misura fantastico simbolica, qui al senso della fine, all’indugio elegiaco su di un mondo portato all'estinzione, quello della Russia degli ultimi giorni dello zar Nicola II, si lega la ricerca di un centro inafferrabile, di un cuore magico e segreto della realtà; • Antonio Moresco col suo breve romanzo La cipolla mostra una narrativa piena di forti intenzioni, capace di prendere di petto forme di vita ed esperienze già date. Un libro composito, fatto di note di diario e di lettere a intellettuali e operatori dell'editoria, Lettere a nessuno, è il racconto polemico della sua lunga lotta per la pubblicazione del romanzo Gli esordi. L'opera più ambiziosa e Canti del caos, una trilogia, quadro aggressivo della mercificazione del mondo, sottolineata dall'invenzione che soggiace all’intreccio, quella di una campagna pubblicitaria che porterà alla vendita del pianeta Terra; • Laura Pariani è dotata di grande sensibilità linguistica, di un senso fortissimo della distanza storica, dell'alterità dei personaggi e delle loro vicende, che preferisce collocare in mondi lontani, tra effetti stranianti e appassionate spinte all'identificazione. 4.4.14 Claudio Magris Uno scambio particolare tra l’attività di docente e studioso di letteratura tedesca e quella di saggista e scrittore è quella del triestino Claudio Magris che da importanti studi sulla letteratura tedesca è approdato ad un saggio che sulla letteratura si appoggia per costruire una sorta di indagine morale, sulla condizione dell'anima tedesca e austriaca, sul suo definirsi negli spazi e nei luoghi, sul suo proiettarsi verso l'Europa orientale, Danubio. Tra saggistica e narrativa si colloca Un altro mare, che si svolge come una ricerca della vita di un personaggio di confine, sospeso tra mondi diversi e mari diversi, dietro cui si profila l'ombra di Michelstaedter. In forme diverse, Magris cerca di interrogare nella scrittura le condizioni di un esistere sospeso tra orizzonti diversi, insediato dalla contraddizione, in cui la coscienza della crisi di una civiltà si volge verso l'affermazione della necessaria persistenza di un equilibrio civile, di una misurata razionalità dei comportamenti, e ciò è evidente nei suoi numerosi interventi giornalistici. Nel 2005 Magris ha pubblicato un ampio romanzo, Alla cieca, che si muove su più piani temporali, tra sogni e catastrofi, tra passioni e abiezioni, affidandosi alla voce di un ricoverato in un centro di igiene mentale presso Trieste. Moltiplicandosi in più identità questa voce attraversa le vicende della propria vita e di altre vite, interrogando le lacerazioni della storia, il nesso tra passione ed errore in cui si sono risolte le utopie del Novecento. 4.4.15 Antonio Tabucchi 57 • Niccolò Ammaniti ha avuto il maggior successo, passando da un realismo sanguinoso e degradato a uno più convenzionale e fortunato in Io non ho paura; • Tommaso Ottonieri propone sguardi di tipo diverso all’universo delle merci, alla virtualizzazione dell’esperienza data dai media e dalle pubblicità; il suo impegno linguistico arriva a dare un’immagine viva della proliferante disgregazione della realtà in Le strade che portano al Fucino; Molteplici sono i casi di immersione nella mercificazione universale, di compiaciuto intrattenimento con il degrado, la virtualità, la violenza urbana e il sesso estremo. • Mauro Covacich tenta uno sguardo critico alla disgregazione della vita contemporanea, dove la solitudine e il bisogno di amore trovano come risposta il vuoto di una vita sociale invasa dai media; il romanzo Fiona mette a specchio una vicenda familiare con le puntate di un reality show; • Tommaso Pincio scrive il romanzo Un amore dell’altro mondo, segnato dalla fascinazione di Kurt Cobain, proponendo le immagini anche più convenzionali di un’America cinematografica; il successivo Cinacittà disegna una Roma futura ormai invasa dai cinesi, mentre si affaccia in modo sinistro il ricordo del mondo del cinema; • Nicola Lagioia rivela una notevole verve linguistica e narrativa in Occidente per principianti, viaggio scatenato e bislacco di giovani intellettuali in un’Italia dove tutto è divenuto simulacro, dove ogni traccia di cultura e immagine precipita nel grottesco. 4.5.4 Difficoltà e necessità del narrare Il panorama della narrativa delle nuove generazioni presenta molti autori che hanno acquisito una loro ben riconoscibile identità, con risultati di un certo interesse, anche se non sembra sia ancora emersa nessuna pera risolutiva. • Marco Lodoli è tra coloro che si sono affermati secondo un modello giovanile ma hanno poi percorso strade autonome; Lodoli sembra guardare il mondo da una sorta di limite, nel segno di una vita che si sottrae al rumore della scena sociale e si affida a esperienze marginali, dal romanzo d’esordio Diario di un millennio che fugge , alle immagini di vita metropolitana a brevi libri affidati a una sorta di misticismo della marginalità; • Mario Fortunato nei suoi primi libri ha condotto un’indagine dolorosa sulla trasgressione giovanile, sull’esperienza omosessuale, cercando poi più elaborate costruzioni romanzesche, un teso sguardo a lontani eventi del tempo di guerra ha dato ne I giorni innocenti della guerra; un’immagine di sofisticata leggerezza degli ambienti intellettuali e gay di Londra in Allegra street; • Sandro Veronesi sa abbandonarsi al movimento narrativo con una giovanile freschezza, il romanzo La forza del passato mette a confronto un evento radicato nella grande storia del Novecento con l’imporsi contemporaneo di modi di esistenza senza tempo e senza storia. Notevoli le sue doti di cronista e osservatore; • Claudio Piersanti ha seguito storie di solitudine con un linguaggio esatto che si immerge nel ritmo del tempo, con una partecipazione che non scade mai nel sentimentalismo: dal primo e più aspro Casa di nessuno al montare della depressione nel cammino verso la vecchiaia in I giorni nudi; • Luca Doninelli indaga su figure umane risentite, cariche di rabbia e malessere, alla ricerca di un senso autentico della vita che sfugge alla degradata società di massa; • Paola Capriolo costruisce trame simboliche sotto il segno di una solida sapienza letteraria; • Sandro Onofri, radicato in un mondo popolare romano, ha rappresentato con notevole tensione morale il degradarsi del tessuto civile; nei suoi tre romani Luce del Nord, Colpa di nessuno e L’amico d’infanzia, ha descritto vite lacerate, mondi che il culto del denaro ha portato a una convivenza quotidiana con il brutto e il deforme; a ciò si accompagna l’attenzione verso coloro che da questo sfacelo vengono schiacciati o che vi resistono; • Michele Mari vede nella scrittura una specie di confronto eroico con tutta la tradizione letteraria, quanto più si presenta come finzione e menzogna, tanto più la letteratura gli appare lacerante, portata a mescolare alto e basso, forme auliche, tracce del linguaggio dei media e della banalità quotidiana. Dopo l’esordio con Di bestia in bestia. Una storia vera tra languore e ardore, la crudeltà letteraria di Mari approda al lungo monologo Rondini sul filo in cui il narratore indaga sulle esperienze amorose che la sua compagna ha avuto prima di incontrarlo. Una formidabile riscrittura dei modelli della narrativa umoristica e d’avventura tra Settecento e Ottocento, specie inglese, animata dalla passione per l’artificio letterario è Roderick Dudle ; • Eraldo Affinati cerca una letteratura morale; grande ammiratore di Tolstoj, egli si proietta verso un orizzonte militare. Il confuso orizzonte dell’Italia degli anni Settanta e Ottanta si disegna in un romanzo di formazione bellica, Soldati del 1956, in cui sembrano riassumersi le smanie eroiche di una generazione intellettuale postsessantottesca. Bandiera bianca indica come la guerra psoas comportare per lo più la sconfitta e la resa, l’autore rinuncia qui alla dimensione eroica da cui era partito; Secoli di gioventù è ancora un confronto con le lacerazioni del Novecento e gli echi che esse lasciano nei ragazzi di oggi; • Aurelio Picca ha scritto racconti e brevi romanzi segnati da un acceso spirito lirico, con un impulso a trasfigurare la realtà, una vitalità spontanea che vorrebbe imprimere sul mondo il segno di un candore invadente, ciò si sente particolarmente in Tuttestelle , autobiografia fantastica in cui si riflettono tutti gli eventi degli ultimi decenni del Novecento, dal punto di vista della vita quotidiana di Velletri; 60 • Andrea Carraro è andato affinando nel tempo una capacità di rappresentare con impassibile fermezza il degradarsi di una vita sociale chiusa in una violenza cieca e ostinata, da cui è ormai esclusa ogni ipotesi di futuro, • Giuseppe Montesano ha messo in scena in Nel corpo di Napoli, una vera e propria discesa agli inferi, in un sottosuolo abitato da personaggi voraci e violenti, di cui l’impasto linguistico segue le sfumature; tra le viscere della città si svolgono le avventure comico-grottesche di un gruppo di scioperati ubriachi di cultura negativa. Di questa vita menzognera costituisce un nuovo passaggio in quella direzione: si tratta dell’immagine grottesca di una Napoli dominata da una famiglia di imprenditori che si appropriano di tutto e progettano di trasformare tutta la vita della città in un ininterrotto spettacolo, qui Montesano viene a mostrare cosa rischia di diventare l’Italia; • Diego De Silva ha indagato le ragioni segrete e indefinibili di incontri inusuali e atti che sconvolgono i normali rapporti quotidiani, in questa indagine ha assunto un ruolo di rilievo il mondo infantile, nella Napoli violenta di Certi bambini o nell’incontro di un’adolescente con un assassino di bambine in Voglio guardare; • Antonio Pascale si è posto come cronista curioso e pungente della vita di Caserta, ha fatto seguire poi numerosi interventi sulle contraddizioni dei comportamenti pubblici, con insistente polemica sugli effetti che su di esso hanno presupposti e modelli ideologici che non si confrontano con motivate ragioni; • Carmine Abate, anto in una comunità italo-albanese, dà voce all’esperienza dell’emigrazione; • Franco Arminio con Viaggio nel cratere rivolge uno sguardo accorato all’Irpinia dopo il terremoto del 1980, quasi metafora del disgregarsi del mondo; • Sergio Atzeni con la sua scrittura particolare ha dato voce a storie lontane e vicine della sua Sardegna, con un linguaggio capace di confrontarsi con la durezza e l’incanto di una civiltà chiusa nella sua ritrosia; • Dario Voltolini definisce con precisione di osservatore, al cui matrice evidente è Calvino, immagini di città, frammenti di mondo, con un particolare senso della mobilità, dei percorsi labirintici della vita postmoderna; • Antonio Scurati mostra un particolare vigore e una forte tensione etica che lo porta a rappresentare i conflitti tra le generazioni, il disgregarsi della vita sociale, il carico di violenza che grava sul nostro mondo; il mondo della scuola si trova al centro di Il rumore sordo della battaglia e de Il sopravvissuto mentre Il padre infedele tocca il tema della paternità, nel difficile confronto tra il punto di vista maschile e quello femminile, con uno sguardo critico verso le modificazioni dei rapporti familiari nella vita delle società occidentali; • Giorgio Falco ha scritto racconti su un mondo chiuso nel vuoto e nell’insensatezza, La gemella H segue le vicende di una famiglia tedesca dal nazismo, di cui il capofamiglia è sostenitore, fino agli anni più recenti in cui la famiglia decide di trasferirsi in Italia e aprire un albergo, in una sorta di continuità con la vita di prima che cancella il passato; • Roberto Saviano si è distinto negli ultimi anni per l’eccezionale successo della sua denuncia del controllo sociale ed economico che la criminalità camorristica esercita sull’entroterra campano con Gomorra-viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra in cui la conoscenza degli atti criminali si basa sulla coraggiosa verifica personale; con al sua attività successiva ha assunto un nuovo ruolo di testimone letterario della verità e della giustizia, e sembra così indicare la strada di una nuova presenza dello scrittore nella comunicazione pubblica, che si impone per l’urgenza dei problemi toccati, al di là dello spessore letterario della sua opera. 4.5.5 Nuove generazioni di poeti Mentre i poeti del “pubblico della poesia” e della “generazione del Sessantotto” si sono in gran parte trovati a cercare nella poesia un rapporto polemico con un orizzonte dominato dalla neoavanguardia e dalla politica, molti dei nuovi poeti nati negli anni Cinquanta e oltre sembrano accettare che la poesia è ormai in una condizione marginale. Da qui ripartono ricollegandosi alla grande tradizione novecentesca, ma senza condividerne il nesso fortissimo tra poesia, teoria e critica. • Gianni D’Elia seguendo il modello di Pasolini ha cercato una poesia insieme civile e carica di tensione vitale, in cui si intrecciano il rimpianto per il crollo delle utopie e delle passioni politiche e la malinconia del privato, con un linguaggio che mira a nominare direttamente le cose e a organizzarsi in misure metriche regolari e tradizionali; • Valerio Magrelli si imposto giovanissimo sulla scena letteraria, autore di una poesia astratta, intellettuale, in Nature e venature sembra spiare la realtà naturale e culturale come se si stesse già dileguando. Momenti di un’angoscia quasi alleggerita si affacciano in Esercizi di tiptologia che inserisce anche testi in prosa; in Nel condominio di carne offre una sottile auscultazione, in prosa, del trasformarsi del proprio corpo nel tempo; ne Il sangue amaro la disposizione a osservare e a misurare i diversi aspetti della realtà tocca punte di risentimento, di sarcasmo; • Remo Pagnanelli già per la prima raccolta Dopo sceglie un titolo che nello stesso tempo indica un essere al di là della grande tradizione del Novecento e lo proietta “oltre”, egli guarda in primo luogo a Leopardi e Sereni, fissando l’inquietudine personale in un paesaggio di classica fermezza; • Beppe Salvia ha dato espressione con naturalezza a una ricerca di amore e gioia, di classica misura, continuamente negate da una privazione; 61 • Antonella Anedda è una delle voci più intense della poesia degli ultimi anni, rivolta ad ascoltare l’eco segreta di dolore e amore, le tracce di solidarietà e autenticità che emanano dalla persistenza dei luoghi, dal peso che su di essi lascia lo scorrere del tempo, il movimento delle stagioni; essa sa catturare nel ritmo di un linguaggio pieno di risonanze il senso di una storia che precipita, delle lacerazioni che gravano sul mondo. Se in questi poeti si sente la coscienza di essere “dopo” la grande tradizione del Novecento, alla quale continuano a guardare, altri si muovono invece in una direzione di tipo sperimentale, con legami più o meno diretti con la neoavanguardia (Nadia Cavalera, Mariano Baino, Lello Voce, Gabriele Frasca). Nelle generazioni successive cominciano a distinguersi vari poeti di qualche interesse, anche se è difficile riconoscere profili e valori, offrire una mappa della situazione. Si può però avere l’impressione di un’ulteriore marginalizzazione della poesia nell’esperienza delle più giovani generazioni: non sembra che si possano dare, ormai, vere scommesse esistenziali e linguistiche. L’impegno nella poesia non può essere più totale e assoluto, anche per il rilievo sempre più ridotto che essa riceve nella comunicazione pubblica e per la mancanza di ogni nozione condivisa su ciò che possa essere considerato come poetico. Le sensazioni e le emozioni della poesia vengono cercate nelle parole delle canzoni dei rapper, nelle varie articolazioni della comunicazione dei media. La poesia che si affida ai libri e alla ristretta comunità dei poeti sembra chiusa ormai in orti limitati e ridotti, dà luogo spesso a dialoghi oscuri e allusivi tra pochi competenti. 62