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LETTERATURA ITALIANA - DALLE ORIGINI A META' CINQUECENTO - EPOCA 1, Sbobinature di Letteratura Italiana

Le origini, riassunto epoca 1 del manuale integrato con le lezioni del professore

Tipologia: Sbobinature

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Scarica LETTERATURA ITALIANA - DALLE ORIGINI A META' CINQUECENTO - EPOCA 1 e più Sbobinature in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! EPOCA 1 Origini La letteratura italiana registra i primi testi rilevanti nel corso del 13esimo secolo, ma dispetto di questo lento avvio, la letteratura registra una crescita rapidissima, fino ad assumere ruolo di guida per la cultura europea alla fine del 200 e nell’epoca delle tre corone (Dante, Petrarca e Boccaccio). Alcuni elementi che condizionano la letteratura sono: i modi, generi e temi presenti sia nella letteratura latina (di riferimento), la produzione medievale (generi sia religiosi che volgari). L’incontro tra modello latino e volgare rappresenta il nodo centrale della letteratura duecentesca. Tra le prime testimonianze troviamo frammenti della lirica di San Francesco e varietà di prosa. Si fanno spazio varie sperimentazioni riguardanti il genere e le forme. La cultura del tempo è detta cultura cortese, ossia le qualità proprie della persona di corte, nobile e gentile; nella corte si elaboravano valori di lealtà, rispetto ecc. L’aggettivo cortese circola molto nella letteratura del tempo. Iniziano a diffondersi modelli cortesi in volgare: lingua d’oc (detto provenzale) e d’oil (francia settentrionale). La lingua d’oc si concentra sulla produzione di testi d’amore, mentre l’oil si concentra sulla narrazione (es. la chanson de geste) I poeti che scrivono la lingua d’oc si chiamano TROVATORI (trobar-> comporre versi) e il più importante è GUGLIEMO IX D’AQUITANIA, che ispireranno Dante. Nella lirica a corte (i trovatori) subentra la figura di Andrea Cappellano, che scrive un trattato sull’amore “DE AMORE”, in cui sostiene che il vero amore è quello tra persone non sposate (adulterino), teoria che viene accettata dalla cultura popolare. Un esempio è l’amore di Paolo e Francesca. Era un amore in cui non si poteva pronunciare il nome della donna, doveva esser tenuto nascosto e il rapporto era di tipo feudale, ossia l’uomo diventa servo della donna. L’uomo mette in atto il modello feudale. L’uomo scrive poesie liriche alla donna per ottenere qualcosa. Decisiva è la forma SONETTO attribuita a Giacomo da Lentini, strutturata in versi chiusi e articolazioni interne. Importante è la scelta di uno stile alto, il SICILIANO ILLUSTRE: ln Sicilia si stabilisce una corte (Federico II di Svevia) secondo i principi della Francia meridionale (d’oc), stabilendo la cultura trobadorica (l’uomo servo della donna, lirica d’amore). Questa cultura si trasferisce poi in Toscana attraverso manoscritti nella seconda metà del Duecento, e si parla di poeti siculo-toscani. All’interno della società italiana del tempo assistiamo ad un grande cambiamento, e a Bologna, grande centro di retorica Guido Grinzelli inizia a scrivere liriche che saranno di riferimento. La lirica si allarga anche a tematiche non amorose: Guittone d’Arezzo apre la strada a tematiche civili e politiche, commentando la battaglia di Montaperti del 1260 (vittoria dei Ghibellini). E’ anche la stagione della poesia religiosa: dopo san Francesco, Iacopone da Todi intreccia la tradizione delle laudi con l’esperienza degli ordini mendicanti. Anche nelle poesie allegoriche percepiamo una vena religiosa, come ad esempio nel Libro delle tre scritture di Bonvesin (Inferno-Passione-Paradiso). Ma cos’erano le poesie allegoriche? Gli uomini nel medioevo pensavano al mondo e a ciò che leggevano in modo ALLEGORICO, ossia un significato altro della narrazione. Dunque per loro tutto poteva essere interpretato in un altro modo, come per la BIBBIA per loro raccontava altro rispetto a ciò che era scritto. La Bibbia diventa accessibile grazie ai PADRI DELLA CHIESA, che interpretano e diffondono la Bibbia. San Girolamo propone LA VULGATA, ossia la traduzione dall’ebraico al latino, testo caratterizzato da semplicità e chiarezza. Da Guittone si distaccano gli esponenti dello Stilnovo, inizializzato da Dante in toscana, che parla di un rapporto d’amore tra uomo e donna in cui si inserisce un nuovo elemento religioso: la donna angelo. In questo periodo è di rilievo anche la figura di Guido Cavalcanti. La donna diventa MEZZO PER ELEVARSI. Accanto alla poesia alta possiamo ricordare quella che viene definita comico-realista, frammenti di Rustico Filippi e Cecco Angiolieri; è una poesia aggressiva, che mira alla polemica e alla contestazione di valori. E’ una poesia che viaggia in parallelo con la lirica alta, di cui spesso gli stessi autori ne produssero testi. La PROSA parte dai testi latini, in particolare dalla pratica delle artes dictandi (capacità del comporre e dello scrivere in modo elegante e studiato): Guido Faba è insegnante di retorica e produttore di un trattato sui modelli di scrittura (Gemma purpurea); Brunetto Latini nel 1260 scrive la Rettorica (riscrittura del De inventione di Cicerone), scrive poi il Tresor in langue d’oil che viene poi volgarizzata. I volgarizzamenti sono importanti innanzitutto per recuperare le antiche narrazioni francesi ma anche per osservare i vari tipi di volgare che si stavano sviluppando. Accanto a queste riprese la tradizione narrativa conosce una prima grande prova nella raccolta del Novellino (autore ignoto) la primissima raccolta di Novelle che inaugura questo genere letterario che sarà poi d’ispirazione per Boccaccio. Altra svolta importante è il Milione di Marco Polo, il racconto di un grande viaggio in volgare. CAPITOLO 1 - Prime testimonianze poetiche Le prime testimonianze poetiche italiane hanno caratteristiche simili: innanzitutto sono tutte incorporate in contesti latini; si trattati di testi destinati ad esser recitati o cantati, scritti solo per l’esigenza di essere ricordati. Il primo documento della lingua italiana è l’Indovinello Veronese, di cui non si sa la datazione precisa e non ci sono certezze sulla lingua, alcuni lo definiscono latino, altri come primi accenni di volgare. Le prime tracce certe del volgare appaiono tra la fine del XII secolo gli inizi del XIII e sono attestati dai ritmi, termine che designa testi di argomento religioso con finalità principalmente didattiche, caratterizzati dall’irregolarità del verso (anisosillabismo), legati al mondo giullaresco. Possiamo ricordare due dei testi più importanti: • il Ritmo su sant’Alessio -> traduzione della Vita latina del santo, Alessio, un patrizio romano convertito al cristianesimo che lascia la famiglia e ci ritorna da mendicante; è composto in lasse monorime di ottonari-novenari concluse da due o tre versi decasillabi. • Ritmo cassinese -> riprende la Collatio Alexandei cum Dindimo rege, ossia il dibattito tra Alessandro Magno e il re indiano Dindino che discutono sulle loro concezioni del mondo: il primo ha una visione materialistica, il secondo mistica. La lingua è ricca di termini latini e francesismi. Si apre con la dichiarazione in prima persona del poeta che richiede l’attenzione del lettore e dichiarando ll soggetto del testo, paragonandosi infine ad una candela che brucia per aiutare gli altri. In Toscana si colloca il Ritmo laurenziano (1188-1207) riconducibile ai modelli francesi molto antichi (lasse monorime di versi ottonari e novenari). Abbiamo anche due rime di argomento storico-politico: • Ritmo bellunese -> 4 versi inseriti in una narrazione latina delle vittorie di Belluno e Feltre contro Treviso • Ritmo lucchese -> celebra la vittoria del Comune di Lucca contro i feudatari del contado (1213). Il centro della narrazione viene occupato dalle poesie d’amore. Fino a poco fa si riteneva che le poesie profane di argomento amoroso fossero riconducibili alla Scuola Siciliana, ma con la pubblicazione di Quando eu stava (da parte di Alfredo Stussi), dei versi databili tra il 1180 e il 1210, ci rendiamo conto che la composizione è molto più antica rispetto alla costituzione della Scuola Siciliana. Composta da dieci stanze di soli decasillabi e riprende integralmente i modelli della poesia trobadorica, di cui ne abbiamo la certezza per due punti fondamentali: la donna come essere superiore; il riferimento alla curtisia, parola chiave dei trovatori ed indica il complesso di virtù cortesi. • CANZONE -> Forma metrica costituita da un numero variabile di stanze (strofe) tutte con lo stesso numero di versi e la stessa disposizione di rime. La canzone trobadorica era sempre cantata e accompagnata da musica; in Italia invece si slega dalla musica. Come versi prevalgono l’endecasillabo e il settenario. La stanza è divisa in due parti: la fronte, formata da due blocchi identici di versi detti Folquet su uno dei più importanti trovatori, che ritroveremo nel paradiso di Dante tra coloro che combatterono per la fede (egli fu poeta profano e poi si convertì diventando Vescovo di Tolosa). Possono essere definite traduzioni sia operazioni nelle quali il traduttore si ripromette di essere il più possibile fedele al testo, sia casi come questo in cui è una metà strada tra traduzione e riscrittura. In una delle canzoni di Giacomo troviamo dei simboli tipici della cultura classica e trobadorica: il paragone tra la nave in tempesta e la condizione umana; Giacomo paragona la nave in tempesta all’amore per una donna, per cui l’uomo è costretto a gettare in mare tutti i pesi superflui, cioè pianti e sospiri. Inoltre, troviamo simboli che caratterizzeranno la poesia fino a Petrarca: il poeta parla direttamente alla donna che è insensibile, l’amore trascina il poeta in una sofferenza di cui parla nelle opere. La poesia dei trovatori aveva una componente fortemente dialogica; lo strumento metrico di questo dialogo è la cobla, i trovatori si scambiavano coblas organizzati in tenzoni. Una tenzone è quindi uno scambio di due o più coblas. In questi versi si discuteva di politica, sesso, religione, amore. I siciliani si dedicano ai dibattiti sull’amore, e questi dibattiti si rifanno alla quaestio scolastica, ossia la discussione tra maestri e allievi. La tenzone più importante si trova nel canzoniere BARBERINIANO LATINO 3953, in cui abbiamo un dibattito tra Giacomo da Lentini, Pier della Vigna e Iacopo Mostacci. Pier della Vigna fu un importantissimo cancelliere e legislatore di Federico II, fu vittima di un complotto ma si diffuse voce di un suicidio, motivo per cui viene collocato nell’Inferno da Dante. Mostacci fu invece un falconiere di Federico II. Il dibattito sull’amore viene aperto da una domanda di Mostacci, che dice che secondo alcuni l’amore ha un potere sugli amanti e li costringe ad amare, ma ciò gli pare impossibile in quanto l’amore è invisibile. Pier della Vigna risponde che sì, l'amore è invisibile, ma esiste e agisce come una calamita. Bisogna sottolineare che in questo tipo di testi si è obbligati a contraddire, non si è certi che questa fosse la vera opinione dell’autore. Giacomo da Lentini aveva un’altra visione, egli ha la funzione di sentenziatore, ossia emette un giudizio definitivo; Giacomo ricorre al trattato di Andrea Cappellano e spiega che l’origine dell’amore, un desiderio che si genera dalla vista e nel cuore a causa della contemplazione della bellezza della persona amata. Nel canzoniere Vaticano, oltre a registri altri, abbiamo anche testi appartenenti ad un registro più umile. Il quarto fascicolo si apre infatti con Rosa Fresca aulentissima, attribuita a Cielo d’Alcamo, sebbene in origine fosse un adespoto (senza riferimenti sull’autore), poiché l’erudito Angelo Colocci fece realizzare una copia del Vaticano e accanto quest’opera scrisse “cielo”. E’ un dibattito in versi tra un giullare che tenta di conquistare una villana che inizialmente lo rifiuta per poi cedere, tema utilizzato dai trovatori nella pastorella (cavaliere che corteggia una pastora). L’uomo si lancia in elogi e chiede alla donna di soddisfare le sue voglie; lei risponde che è una follia utilizzando un’iperbole (esagerare per eccesso), ossia che si sarebbe fatta monaca. La donna comincia a cedere, continuava a rifiutarlo perché non sapeva come avrebbe reagito la famiglia. Lei gli chiede di giurare che la sposerà ma lui continua a promettere altro. Alla fine, lei lo accontenta ma nessuno più parla di matrimonio. L’esperienza poetica della Scuola Siciliana ebbe una rapida influenza su tutta la penisola; nel corso del duecento inizia anche a svilupparsi la tradizione poetica volgare, i cui centri più attivi furono Bologna e la Toscana. I poeti più importanti di questa fase sono Bonagiunta Orbicciani, Guittone d’Arezzo e Guido Guinizzelli. Guinizzelli viene definito da Dante stesso come il padre dello stilnovismo; Bonagiunta ebbe un ruolo centrale nel processo di acquisizione del modello siciliano in Toscana. Bonagiunta è un poeta d’amore, la sua prima canzone trasmessa nel Vaticano sfrutta il tema dell’arrivo della primavera e del poeta sofferente perché prova un amore non corrisposto. Bonagiunta introduce nella poesia volgare dei temi che erano stati messi da parte dalla corte, ossia quelli di carattere politico e morale. La canzone “dell’onore” (Similemente onore) elogia la liberalità contro l’avarizia, ed è un esempio di poesia civile che rivedremo in Dante. Bonagiunta percepisce la poesia come insegnamento, e qui si rivolge alla classe dei cavalieri, dicendo che merita lode chi agisce secondo ragione e disprezzo chi pur avendone il potere non compie atti di bene. Tra le virtù più importanti c’erano la misura (utilizzo giusto delle risorse) e la liberalità (disponibilità alla condivisione). Il testo più celebre di Bonagiunta è Voi, ch’avete mutata la mainera al quale risponde Guinizzelli con Omo ch’è saggio non corre leggero. Attraverso questa tenzone cogliamo il passaggio tra la maniera poetica legata alla Scuola e lo stile “nuovo”. Tra queste due fasi si pone Guittone d’Arezzo. CAPITOLO 3 – LAURENZIANO REDI 9 Guittone d’Arezzo nasce presumibilmente nel 1230 ed è il primo ad introdurre temi politici, morali e religiosi, fino ad allora esclusi dalla Scuola Siciliana. La sua produzione letteraria influenzerà anche Dante: nelle rime di giovinezza utilizza molte soluzioni stilistiche di Guittone, e nella Vita Nuova decide di trattare di argomenti morali. Dal punto di vista di Dante, Guittone è un antico che si oppone radicalmente ai moderni dello stilnovismo. Il Laurenziano Redi 9 è la più importante testimonianza della sua centralità nel panorama letterario italiano. Nei primi fascicoli troviamo le sue lettere in prosa, dopodiché canzoni e sonetti entrambi divisi in due parti: le poesie di Frate Guittone e poi quelle di Guittone, quindi sia carattere morale e religioso che d’amore. Il 1265 è un anno importante per la storia della letteratura italiana: nasce Dante e Guittone aderisce ai Milites, una confraternita laica che combatteva per la fede cristiana. La sua conversione è narrata nella canzone Ahi, quant’ho che vergogna e che doglia aggio. In questa canzone narra di essersi convertito a mezza etate, che sarebbe l’analogo Nel cammin di nostra vita di Dante, ossia 35 anni (età di maturità per l’uomo del tempo). La produzione di Guittone è caratterizzata da ricercatezza formale, complessità metrica, sintattica e lessicale e l’utilizzo di figure retoriche difficilmente comprensibili (poetare oscuro dei trovatori). Guittone entra in contatto con i conti Guidi, importante casata nobiliare guelfa. Nel 1259 si trova in opposizione con le idee politiche del comune e decide di andare in esilio. Per la battaglia di Montaperti (1260) che segna la sconfitta dei guelfi decide di scrivere una canzone: Ahi lasso, or è stagion de doler tanto. La sconfitta di Firenze diventa simbolo di declino della giustizia e vittoria dell’ingiustizia, Firenze è stata sconfitta perché era divisa al suo interno e ora deve accettare di servire i tedeschi che li avevano aiutati a sconfiggere i guelfi. In questa situazione entra a far parte dei frati Gaudenti. La canzone Ora parrà apre la sezione a Guittone nel Laurenziano e proclama l’ideale di giustizia e saggezza in nome di Dio. Per frate Guittone non è vero che solo chi ama può essere un poeta (cosa che pensava Dante al tempo della Vita Nuova, ma poi cambierà idea). L’altra metà del corpus di Guittone è di tematica amorosa ed è compreso il Manuale del libertino, 24 sonetti di istruzione all’amante per sedurre l’amata (Ars amandi di Ovidio – De amore di Cappellano). La sezione più importante sono gli 86 sonetti che appartenevano probabilmente ad un testo unitario, il Canzoniere di Guittone: i protagonisti sono il poeta e la donna amata; contiene una fitta rete di simmetrie, riprese e parallelismi. Nel primo sonetta il poeta descrive la completa sottomissione ad Amore, poi si rivolge direttamente al testo chiedendogli di descrivere la propria condizione. L’amore ha sconfitto l’intelletto e le forze del poeta, e in Ora parrà l’autore spiega di dover abbandonare il canto d’amore e rivolgersi a opere morali. (Nel canzoniere le opere non sono in ordine cronologico). CAPITOLO 4 – CHIGIANO L VIII 305 Il manoscritto Chigi L VIII 305 sancisce un passaggio epocale, ossia l’abbandono quasi totale dei rimatori della Scuola, si apre bensì con autori che fino ad allora erano stati esclusi: Guido Cavalcanti, Cino da Pistoia, Dante Alighieri e Guinizzelli. Sono i poeti definiti del <dolce stil novo> (etichetta utilizzata da Francesco De Sanctis). L’idea di stilnovo parte da Dante stesso, precisamente dal passo del Purgatorio, in cui Bonagiunta Orbicciani cita la Vita Nuova (donne ch’avete intelletto d’amore) e dichiara di vedere la separazione tra lui, Giacomo da Lentini e Guittone d’Arezzo e gli stilnovisti. Successivamente, nella cornice dei lussuriosi, Dante incontra Guinizzelli che viene definito il padre suo e degli altri stilnovisti. Con queste testimonianze possiamo definire ancora di più la differenza tra la maniera antica e quella moderna di fare poesia. Questo tipo di poesia è per Dante nuova e dolce, e dolce indica una qualità formale. E’ ispirata da Amore e rivendica la corrispondenza tra ciò che il poeta prova e quello che esprime (Dante lo afferma nel purgatorio). Nonostante tutto ciò, non possiamo definire lo stilnovismo come un movimento letterario organizzato, questo perché tra i vari poeti ci sono differenze notevoli, ma possiamo definirlo piuttosto come un gruppo eterogeneo ma consapevole della propria identità. Guinizzelli fu l’unico presente nel Vaticano Latino 3793; si presume sia nato a Bologna intorno al terzo decennio del Duecento, fu giudice come il padre e si sposò due volte. Nel 1274 venne condannato all’esilio e morì in quello stesso anno prima di lasciare Bologna. Per capire perché Dante lo considera Padre, bisogna tornare indietro ai canzonieri duecenteschi, e ad uno scambio di sonetti tra Guinizelli e Bonagiunta, in cui quest’ultimo rimprovera Guido di aver cambiato il modo in cui si compongono le poesie d’amore, puntando sull’oscurità e sui contenuti difficili; ma il tentativo di Guinizzelli di superare i volgari non può riuscire finché c’è Bonagiunta. La risposta di Guido sembrerebbe essere una lezione morale a caratteri generali, non rivolta ad una persona specifica: egli spiega che non bisogna essere né superbi né sdegnosi, perché ognuno possiede un’intelligenza diversa; sembrerebbe essere un modo elegante per dire a Bonagiunta di tacere. La tenzone testimonia il cambiamento e il distacco di Guinizzelli da Bonagiunta, e Dante potrebbe averlo interpretato come il separatorio tra vecchia e nuova generazione. Nella produzione di Guinizzelli troviamo molti temi tipici della tradizione poetica romanza: la descrizione minuziosa dell’innamoramento, il servizio d’amore per la donna concepito come rapporto feudale, la passione che conduce alla morte e la speranza della ricompensa. Il miglior esempio è un sonetto dedicato all’elogio della donna amata; è strutturato in due parti, nelle quartine elenca una serie di similitudini naturali per restituire l’idea della bellezza della donna amata; nelle terzine si concentra sugli effetti dell’amore. I motivi principali sono la lode dell’amata, la capacità di rendere umile grazie alla nobiltà interiore, la capacità della donna di convertire gli infedeli. Sono concetti che troviamo anche nel De Amore. Troviamo un focus sulla lode dell’amata, immaginata come essere soprannaturale capace di compiere atti miracolosi. Inoltre, per Guinizzelli l’amore conduce ad un rinnovamento interiore. Nel Duecento la civiltà italiana muta profondamente: la nuova borghesia aspira a posizioni di potere e di egemonia culturale e cerca una legittimazione sociale che non dipenda dai legami di sangue. I poeti stilnovisti si fanno interpreti di questa istanza e teorizzano la superiorità della nobiltà interiore sulla nobiltà di sangue. Le ragioni sociali sono chiare: Guinizzelli è un giudice, Dante è un piccolo borghese, Cino da Pistoia è un giurista. Fa eccezione Cavalcanti che appartiene a una famiglia nobile e non sembra aver esercitato alcuna professione. Gli stilnovisti concepiscono un nuovo tipo di aristocrazia fondata sulla virtù e sui meriti individuali. L’esperienza per raffinare questa nobiltà è l’amore, e questo concetto viene espresso da Guido Guinizzelli nella canzone Al cor gentile, che viene considerato il manifesto dello Stilnovo: -> Guinizzelli chiarisce la dinamica per la quale l’amore si accende nel cuore del nobile: come il potere di una pietra preziosa che proveniva dalle stelle non discende in essa prima che il sole l’abbia purificata e resa nobile, la stella può dare energia alla pietra -> il cuore che la natura crea puro e nobile si innamora grazie alla donna che è proprio come una stella; -> L’amore si accende e si situa nell’animo come una fiamma in cima ad un candelabro, vi risplende liberamente luminoso e puro. E poiché l’amore è come un fuoco, la natura vile lo contrasta come l’acqua. L’amore prende dimora nell’animo come il diamante nelle miniere di ferro; -> Nella quarta stanza l’intenzione sociale si fa più esplicita. L’amore si accende solo negli uomini disposti. -> Nelle ultime due stanze diviene evidente che l’identità tra amore e nobiltà d’animo si realizza solo tramite la mediazione della donna. Il concetto è espresso attraverso una comparazione tra il modo in cui Dio risplende sugli angeli facendo sì che obbediscano e ottenendo la beatitudine e il modo in cui la donna amata risplende negli occhi del suo amante di animo nobile, facendo sì che abbia voglia di obbedirla. però non sono conservate le risposte. Una delle novità di Cecco è che la sua poesia ruota intorno a pochi temi costanti collegati tra di loro formando delle serie: il lamento della povertà connesso al conflitto col padre avaro, collegati all’amore non ricambiato per Becchina. Su tutto domina una tendenza autobiografica, fondato sull’esibizione dell’io del poeta che mette in scena le proprie sventure, anche se questo non ci autorizza a considerare tali confessioni come vicende reali. Il dialogo è il mezzo più efficace con cui l’autore dà voce alla donna che rifiuta il corteggiatore, in quanto non c’è più in gioco l’espressione soggettiva di un sentimento, ma piuttosto la messa in scesa del rapporto tra i due. Non dobbiamo interpretare questo sonetto come una parodia; è improbabile che Cecco non avesse presente il codice lirico, ma semplicemente fa subentrare all’io nobile e virtuoso della poesia cortese un io degradato e anti esemplare. Abbiamo un caso di parodia, la corona di sonetti di Cenne da la Chitarra, in risposta alla corona di Folgore da San Giminiano; il rapporto è di uno a uno, a ogni immagine gentile di Folgore corrisponde il suo abbassamento caricaturale da parte di Cecco. CAPITOLO 6 – LA POESIA ALLEGORICO-DIDATTICA Prima e dopo la tradizione rappresentata dai canzonieri, la produzione dei volgari italiani è stata notevolmente più ampia. In area settentrionale si sviluppa una poesia di carattere didattico, il cui documento più significativo è il codice Saibante, che contiene un poemetto misogino anonimo, i Poverbia quae dicuntur super natura feminarum; lo Splanamento di Girardo Patecchio, una parafrasi dei Proverbi di Salomone; il Libro di Uguccione da Lodi, strutturato come un elenco di insegnamenti morali, religiosi e di preghiere accompagnati dalle rappresentazioni dei cieli e dell’Inferno. La produzione settentrionale non si limita ai testi contenuti nel Saibante; alla descrizione dei mondi ultraterreni si dedica il frate Giacomino da Veronain De Ierusalem celesti e De Babilonia civitate infernali, nei quali descrive il Paradiso come una città celeste illuminata e l’inferno come una prigione. Bonvesin de la Riva nel suo Libro delle tre scritture parla dell’Inferno, la Passione di Cristo e il Paradiso; scrive anche un’opera su Milano, il De magnalibus urbis Mediolani. Nella poesia medievale possiamo individuare altri due grandi filoni: il poema che mette in scena il contrasto tra le personificazioni dei vizi e delle virtù e il romanzo in versi con argomento principale l’amore e la storia dello sviluppo individuale del protagonista. Questi due modelli si intrecciano nella tradizione del poema allegorico che trova il suo capolavoro del Roman de la Rose di Guillaume de Lorris e Jean de Meung. La rosa narra la storia del tentativo da parte del protagonista di conquistare una rosa che rappresenta la donna amata in un mondo popolato dalle personificazioni dei sentimenti, dei vizi e delle virtù. In Italia questo tipo di racconto allegorico ha come rappresentante il Tesoretto di Brunetto Latini; notaio di professione, di parte politica guelfa, ricoprì importanti incarichi pubblici a Firenze e venne inviato dal Comune come ambasciatore dal re Alfonso X di Castiglia per chiedere aiuto contro Manfredi; alla sconfitta dei guelfi va in Francia in esilio fino al 1266, morirà nel 1294. In Francia scrive in lingua d’oil il Tresor, una vasta opera enciclopedica in prosa. Brunetto svolge un ruolo a due poli: fu maestro del bene parlare e fu importante perché il suo Tresor conteneva conoscenze filosofiche e scientifiche e anche una sezione dedicata alla politica. Il Tesoretto è una trasposizione del contenuto didattico del Tresor in prima persona. Il poema ci è giunto incompiuto ed è composto in coppie di settenari a rima baciata. Il protagonista coincide con l’autore e ci sono numerosi riferimenti autobiografici; il protagonista si perde ed incontra la personificazione della Natura che gli narra la storia della creazione, poi visita il regno delle virtù e quello dell’amore. CAPITOLO 7 – LA POESIA RELIGIOSA Nel Medioevo esiste una vasta tradizione di componimenti scritti e religiosi che celebrano l’amore divino; il cristianesimo rielabora la tradizione poetica greco-latina in funzione della celebrazione di Dio, e il legame tra esso e la poesia è molto stretto. Nel Medioevo è determinante il ruolo del canto e della poesia nella liturgia della messa, ed è plausibile che la poesia dei trovatori sia stata influenzata dal canto liturgico. Gli autori più importanti della poesia religiosa sono San Francesco e Icopone da Todi. La storia di San Francesco d’Assisi è ben conosciuta a tutti, il figlio di un mercante che rinuncia alle ricchezze ereditarie per fondare un ordine di frati minori, basato sull’abbandono dei beni terreni. Francesco scrisse in dialetto umbro uno dei più antichi testi letterari italiani: il Cantico delle creature, composto tra il 1224 e il 1225. Probabilmente era destinato al canto corale, in quanto il più antico manoscritto che lo tramanda presenta spazi bianchi destinati al rigo musicale. Il Canto è una lode a Dio e a tutto il creato concepita sul modello dei Salmi biblici. Dal Salmo 148 deriva il modello della lode rivolta al Signore da parte di tutte le sue creature. L’interpretazione complessiva è però dubbia, data la presenza dal verso 10 del “per”, che può avere sia valore causale (sia lodato Dio per aver creato la luna e le stelle), sia valore di complemento agente (sia lodato Dio dalla luna e le stelle); la seconda ipotesi è più analoga al Salmo 148. Il Cantico si apre con un’affermazione negativa, ossia il fatto che all’uomo non è concesso nominare Dio, ma può lodarlo attraverso gli elementi che, come l’uomo, sono creature divine (frate sole, sora luna). Nella seconda parte sposta lo sguardo all’uomo, a coloro che perdonano e coloro che soffrono. Da qui il pensiero va alla morte, quella corporale che tocca tutti e quella spirituale alla quale sfuggiranno coloro che moriranno nella volontà di Dio. E’ plausibile che la struttura metrica abbia un significato numerologico: 33 come gli anni di Cristo. Il testo contiene numerosi tratti dialettali umbri e dell’area mediana, grafie latineggianti e formule bibliche. In rapporto con il movimento francescano si sviluppa anche la tradizione della laude. Il Cantico di San Francesco era già probabilmente cantato in coro ma dopo la metà del Duecento la prassi si afferma in tutta Italia, in parallelo con la diffusione dei Battuti, i cui membri si autoflagellavano accompagnandosi con canti in volgare. I laudari erano raccolti manoscritti per questo tipo di composizioni. L’autore più rappresentativo è il francescano Iacopone da Todi. Con Iacopone la lauda tende a coincidere con la forma della ballata e il suo nome diventa un marchio di qualità. Per ragioni cronologiche si può ritenere l’inventore della lauda umbro- toscana, Guittone d’Arezzo, che compose anche ballate di materia sacra. Anche Iacopone è un convertito: dopo la morte della moglie rinuncia alla carriera legale ed entra a far parte dei frati minori. -BALLATA -> E’ divisa in strofe e si distingue dalla canzone per la ripresa, un ritornello che precede il testo; la strofa si divide in due parti: la prima è divisa in due mutazioni; la seconda si chiama volta ed ha la stessa struttura della ripresa. I versi più utilizzati sono l’endecasillabo e il settenario. La lauda Que farai, fra’ Iacovone? È un documento significativo databile al tempo in cui il poeta fu imprigionato per aver fatto parte dei rigoristi, che contestavano la salita al soglio papale di Bonifacio VIII. Nella lauda lui considera la prigione come motivo di gioia. Il principale bersaglio delle invettive di Iacopone è proprio Bonifacio, attaccato anche nella Commedia di Dante; con la lauda O papa Bonifacio, molt’ai iocato al mondo, capiamo che è per Iacopone il prototipo del peccatore, il traditore della missione pontificia macchiato di ogni vizio: perversione sessuale, magia, superbia, blasfemia. Nella lauda lo paragona a Lucifero. La produzione di Iacopone si caratterizza anche per il rifiuto della misura, il principio aristotelico secondo il quale la virtù è un punto medio tra due vizi, tra l’eccesso e il difetto; per lui l’esperienza mistica e religiosa non ha bisogno di misura: il suo amore per Dio è folle e smisurato. Il momento più alto è la laude Donna de Paradiso, che descrive il cammino di Maria accanto a Cristo durante la via crucis, fino al suo pianto; dopo la morte di Cristo abbiamo un monologo di Maria. Iacopone è un poeta estremamente raffinato: per la conoscenza della tradizione mistica; l’impegno teorico e dottrinale; per l’utilizzo di una lingua fondata sulla contrapposizione del mondo linguistico teologico e quello del quotidiano. CAPITOLO 8 – LE FORME DELLA PROSA La nascita e l’evoluzione della prosa volgare sono legate ai modelli latini. In generale, nel corso del Duecento, scrivere in prosa significava volgarizzare, cioè trasporre un testo in volgare italiano. La maggior parte delle opere in prosa sono caratterizzate da fenomeni di ampliamento e riscrittura; le due principali aree di diffusione sono Bologna e Firenze. A Bologna si può situare la nascita della retorica in volgare; nella Gemma purpurea di Guido Faba possiamo individuare sia parti in latino sia in volgare. A Firenze i protagonisti sono Brunetto Latini e Bono Giamboni; Bono è autore di un volgarizzamento delle opere di Orosio. Brunetto fu maestro dei fiorentini in materia del bene parlare; questa fama è legata ai volgarizzamenti delle orazioni di Cicerone, ma anche alla Rettorica, scritta in Francia verso il 1260. E’ una traduzione rielaborata del De inventione di Cicerone; abbiamo due autori, Cicerone e lo sponitore, ossi colui che espone il testo ai lettori. Ciascun capitolo è strutturato in due parti, il volgarizzamento vero e proprio e l’espansione. Brunetto spiega che la retorica non serve solo a insegnare come sostenere le cause nei tribunali ma serve anche all’amante che parla all’amata sostenendo le proprie ragioni. Apprendiamo che la poesia d’amore del Duecento poteva essere concepita come una tenzone. La diffusione del romanzo francese in Italia fu profonda e produsse una serie di volgarizzamenti; oltre a questo, anche quello bretone si diffuse in Italia, in particolare la storia di Tristano e Isotta viene volgarizzata in ambiente mercantile toscano e la versione più antica si trova nel Riccardiano 2543. La riscrittura è influenzata dal contesto comunale ed è caratterizzata dall’importanza attribuita alla conquista dell’individualità da parte di Tristano; mette accento anche sulla sensualità, la soddisfazione dei sensi e l’erotismo. La tecnica epistolografica era al centro degli insegnamenti di retorica sia in latino che in volgare. Il primo epistolario della letteratura italiana è quello di Guittone d’Arezzo che apre il corpus del Laurenziano; si tratta di una trentina di testi che trattano specialmente questioni morali e religiose. La raccolta contiene anche lettere in versi, cioè testi indirizzati a destinatari precisi. Con gli altri generi letterari legati ai modelli latini, la storiografia compie molto avanti il passaggio al volgare. Le prime esperienze si hanno con Cronichetta lucchese e Gest a fiorentinorum, che si limitano alla registrazione degli eventi. Il primo vero storico è Dino Compagni, che nella Cronica racconta in prima persona le vicende di cui fu protagonista nel Trecento. Il latino resterà a lungo lingua della scienza, l’unica eccezione nel Duecento è rappresentata da Restoro d’Arezzo che conclude un trattato che intende illustrare il come e il perché della struttura del mondo e descrive gli ordinamenti e i movimenti del cielo. (La Composizione del Mondo colle sue cascioni) Il trattato si apre con Restoro che dichiara la superiorità dell’uomo su tutte le altre creature. Si basa sull’osservazione diretta della natura. Nel Duecento non esiste ancora il romanzo in volgare, ma si sviluppa una tradizione di narrativa breve in prosa. Il capolavoro è il Novellino, una raccolta di novantadue novelle i cui argomenti riguardano le azioni nobili, le risposte argute, gli atti di generosità. Nel Novellino compaiono figure bibliche e protagonisti di romanzi francesi (es. Carlo Magno, Salomone ecc). L’opera ha come scopo sia il divertire che essere d’esempio.