Scarica Letteratura italiana, dalle origini a metà Cinquecento. EPOCA 4 e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! EPOCA 4: LA CULTURA DELLE CORTI INTRODUZIONE 1) Un nuovo equilibrio politico (1454-1494) Nel corso della seconda metà del 400 dopo un periodo di guerre e rivolgimenti politici della prima metà del secolo, il quadro politico della penisola italiana è caratterizzato da una lunga stagione di stabilità, avviato dalla pace di Lodi nel 1454 che sanciva un nuovo aspetto politico dominato da cinque grandi stati: Milano, Repubblica di Venezia, Firenze, Napoli e Stato Pontificio, destinato a perdurare fino al termine del XV secolo. Benché non manchino motivi di tensione sia riguardo ai rapporti fra le diverse Signorie o all’interno dei singoli stati (es: 1478 congiura dei Pazzi a Firenze) si registra un mantenimento di un equilibrio che permette il consolidarsi delle strutture politiche e la creazione delle condizioni per lo sviluppo culturale, artistico e letterario. Il policentrismo politico costituisce una premessa per una debolezza costituzionale dell’Italia nei confronti dei nascenti stati Europei, però il terreno sociale e politico consente lo sviluppo della cultura nelle singole corti, che divengono luoghi di elaborazione di modelli culturali. 2) La cultura delle corti e il nuovo ruolo del volgare la corte diventa dunque il centro di irradiamento di una nuova cultura che ha il compito di offrire un ritratto idealizzato e splendido delle singole realtà politiche. Luogo di esercizio del potere e spazio in cui si consuma la vita intellettuale, è soggetto della letteratura e delle diverse manifestazioni artistiche, che ne descrivono i valori e il suo destinatario ideale. -Un primo cambiamento che si registra rispetto alla prima metà del secolo è il nuovo rapporto gerarchico tra lingua latina e lingua volgare. Dopo il trionfo dell’Umanesimo latino dei primi decenni del 400, nella seconda parte del secolo si assiste alla crescita del prestigio volgare legittimato a stare alla pari con il latino. Benché non vi siano ancora forti istanze in direzione di una linguistica comune, diventa centrale la consapevolezza che il volgare possa ormai essere utilizzato come lingua di cultura, capace di accogliere non solo la tradizione italiana ma anche quella classica. -Un secondo mutamento riguarda la definizione del ruolo che l’intellettuale è chiamato a interpretare rispetto al potere politico, perché tale relazione è definita attraverso le forme del mecenatismo. Infatti si assiste a un passaggio verso una subordinazione dello scrittore, impiegato in un’attività culturale che ha come obiettivo la celebrazione della corte presso la quale è ospitato e della Signoria in cui opera. 3) Geografia e storia della cultura cortigiana A partire della rivendicazione del volgare è importante ricordare che la geografia politica ha come conseguenza che le medesime istanze culturali siano declinate in modo piuttosto diverso nelle varie realtà locali. Spesso anche gli stati di dimensioni più modeste assumono un ruolo di primo piano per la produzione letteraria ed artistica (es: Ferrara, Mantova, Urbino). Di assoluta centralità resta in questo periodo la politica culturale di Firenze, diretta da Lorenzo de’ Medici capace di pensare alla letteratura e alle arti come strumenti di affermazione egemonica nei confronti delle altre realtà politiche e culturali della penisola italiana. Si possono individuare all’interna della proposta fiorentina 3 importanti direttrici: Sviluppo della riflessione filosofica , riconducibile all’Accademia di Marsilio Ficino, traduttore e interprete del pensiero platonico. Attraverso la sua opera non solo si ridefiniscono alcune esperienze letterarie (poesia d’amore) ma anche la possibilità di ripensare il rapporto con il pensiero cristiano. Forte rivendicazione di una letteratura volgare , che va da Dante sino ai contemporanei. A testimonianza di ciò abbiamo la Raccolta Aragonese, antologia manoscritta inviata come omaggio al re di Napoli, nella quale è racchiusa una sorta di storia della letteratura italiana. Decisiva la matrice a carattere umanistico , che trova espressione nella raffinata esperienza di Poliziano, filologo, poeta e maestro di un’intera generazione di letterati. Il tratto veramente distintivo della cultura fiorentina è soprattutto il fitto dialogo che si instaura tra queste 3 linee, poiché tutte sembrano convergere verso un unico punto di fuga, in nome del quale cultura filosofica, poesia volgare e grande patrimonio della classicità si intrecciano. In nome della medesima dialettica tra esperienza umanistica e nuove istanze di cultura volgare si muovono anche tutte le altre corti italiane. Se nella Napoli aragonese resta ancora significativa l’importanza del latino, nella corte di Ferrara si assiste invece a un dialogo più sperimentale tra il portato della scuola umanistica e la proposta di opere in volgare, tanto nella forma più diretta del volgarizzamento o traduzione quanto nell’innesto di elementi classici in generi tradizionalmente volgari, come la lirica o il romanzo cavalleresco. 4) Oltre la corte: le accademie e il mondo della tipografia Accanto al mondo della corte vi sono però altri spazi in cui il letterato opera. -In primo luogo, le ACCADEMIE, spesso in diretto rapporto con il potere politico che ne legittima l’esistenza. l’Accademia platonica di Firenze, che vede come figura centrale Marsilio Ficino, o quella napoletana retta da Pontano rappresentano delle esperienze culturali d’avanguardia per la formazione degli intellettuali e per l’elaborazione di un patrimonio di idee. -In secondo luogo, è opportuno ricordare che il mondo letterario italiano del secondo 400 è attraversato da una “rivoluzione inavvertita” con l’invenzione della STAMPA A CARATTERI MOBILI, in virtù della quale di produce un mutamento profondo dell’idea stessa di opera letteraria. Dapprima in rapporto molto stretto con le forme di lavoro dei manoscritti, poi con maggiore autonomia, la tipografia infatti richiede competenze tecniche e abilità filologiche. La figura che illustra i traguardi raggiunti è quella di Aldo Manuzio, editore e tipografo che lavora a Venezia tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo. A lui si deve sia l’invenzione di una nuova forma del libro, sia la proposta di una biblioteca di autori classici, così che le pagine dei libri usciti dalla sua stamperia, tra i quali Dante e Petrarca, costituiscono l’ideale biblioteca del mondo umanistico e rinascimentale. 5) I generi letterari della letteratura volgare Alcuni generi costituiscono delle esperienze privilegiate, in virtù della loro capacità di farsi lingua comune e quindi elemento unificante. In questo caso la LIRICA è senza dubbio il genere che conosce la fioritura più rilevante, sotto le forme di un’imitazione diretta di Petrarca. Si tratta però di una ripresa che è sì esibita ed evidente, ma anche spesso ne tradisce il senso più profondo, perché da parte dei poeti quattrocenteschi non viene più posto l’accento sul sofferto scavo dell’interiorità ma si punta piuttosto a celebrare anche una dimensione sociale e collettiva. Gli Amorum libri tres di Boiardo da avvio alla storia d’amore cantata non tra le pareti di una chiesa, come aveva fatto Petrarca, ma nel corso di una festa a corte. In questi anni l’imitazione di Petrarca si realizza dunque attraverso una sorta di “lessicalizzazione” della sua opera, poiché si sfrutta la lingua dei Rerum vulgarium fragmenta per dar voce a un mondo nuovo e ben diverso dai confini dell’universo petrarchesco. Se la lirica viene piegata in un gioco di intrecci tra finalità encomiastiche, occasioni sociali e momenti di approfondimento interiore alle esigenze della corte, questa spinta motiva anche la nuova attenzione che si registra per il teatro, inteso come momento di spettacolarizzazione della cultura, perde di forma una vera e propria pratica teatrale capace di avanzare una prima mediazione tra la tradizione antica e le forme del moderno. Si registra in questo periodo un’intensa attività nelle corti di Milano, Ferrara, Mantova e Firenze. CAPITOLO 2: L’AMBIENTE LAURENZIANO 1) 1469-1492: Il progetto culturale di Lorenzo de’ Medici 1.1) “due persone diverse, quasi con impossibile congiunzione” Lorenzo de’ Medici è l’abile regista della vita intellettuale fiorentina del suo tempo, capace di fare del rinnovamento culturale un elemento fondamentale dell’arte di governare. Letterato raffinato in grado di coniugare l’impegno politico con quello poetico, destreggiandosi in una grande varietà di stili e generi. La poliedricità è ciò che caratterizza l’attività letteraria e la personalità di Lorenzo, caratteristica data da Niccolò Machiavelli nel libro ottavo delle Istorie Fiorentine. Nacque a Firenze il 1° Gennaio del 1449 da Pietro di Cosimo il Vecchio e Lucrezia Tornabuoni, Lorenzo riceve un’educazione umanistica sotto la guida del suo precettore, Gentile Becchi. Preferisce la letteratura volgare e si dedica allo studio della tradizione toscana, infatti già da adolescente scrive un’operetta mitologica in terzine Corinto, sull’amore non corrisposto del pastore Corinto per la ninfa Galatea e comincia a comporre liriche di ispirazione petrarchesca. Ricopre fin da giovane incarichi di rilievo nella vita politica cittadina e nel 1469, diviene signore di Firenze. 1.2) Un gioco incessante di forme e contenuti Al magistero di Petrarca, Lorenzo affianca l’esempio espressionistico di Luigi Pulci, come dimostrato nel Simposio, l’uccellagione di starne e la Nencia da Barberino, composti tra la fine degli anni 60 e la prima metà degli anni 70. SIMPOSIO: presentati i maggiori bevitori fiorentini, è una riscrittura burlesca del Simposio platonico e del commento che ne fece Ficino. UCCELLAGIONE DI STARNE: poemetto che racconta di una battuta di caccia di un gruppo di amici di Lorenzo, nello stile delle “cacce” in versi di tardo Trecento NENCIA DA BARBERINO: parodia in ottave dell’egloga rusticale. Questo testo combina un lessico popolareggiante con una costruzione sintattica più elevata nel canto del contadino Vallera per la bellezza di Nancia, della quale viene fornita una descrizione che è un’eroica degradazione della rappresentazione dell’amata della tradizione petrarchesca. Testi in cui si può leggere una testimonianza, della convinzione di Lorenzo che la lingua toscana sia capace di un’espressività tale da eguagliare il latino, idea base che costituirà la base della Raccolta Aragonese. 1.3) Palinodia di una parodia: tra Simposio e De Summo Bono Testi estremamente differenti: SIMPOSIO: antiplatonico nei suoi contenuti rimandi alla sfera carnale e corporale dell’esistenza umana, è una parodia dei Trionfi in terzine, genere del quale, che aveva mostrato un rovesciamento caricaturale già nell’opera di Bernardo di Stefano, noto come Giambino d’Arezzo, al quale dobbiamo un poema diviso in due libri, Delle genti idiote d’Arezzo e Degli uomini famosi d’Arezzo e d’Italia, la cui rassegna dei personaggi ridicoli e stupidi della città toscana è perfetto speculum deformato di quella degli uomini di valore. Lorenzo fa la sua vena parodica arricchendola di una serie di elementi dotti, atti ad irridere, sino a giungere alla blasfemia. Così il tema della sete viene dileggiato in versi che celebrano invece la continua tensione a raggiungere l’ubriacatezza. DE SUMMO BONO: opera filosofica di ambientazione pastorale composta nel 1474, una parafrasi in volgare dell’epistola De felicitae e dell’Oratio ad Deum Theologica di Marsilio Ficino. Il testo si presenta dunque come una palinodia del Simposio che fornisce la prova dell’interesse di Lorenzo per la filosofia di Ficino. L’opera è introdotta da un’orazione a Minerva e ad Apollo, l’argomentazione per giungere alla definizione del sommo bene segue il metodo dialettico platonico che attraverso divisioni dicotomiche, giunge all’universale. Con questo componimento Lorenzo tenta di mostrare quale sia l’iter che conduce all’unità divina. Queste due opere, dai temi opposti, mostrano il massimo grado della capacità laurenziana di impostare la sua scrittura e la sua poesia al servizio di posizioni e di ideologie anche assai lontane. 1.4) Una nuova politica culturale La posizione e l’incolumità di Lorenzo vengono messe in serio pericolo dalle mire espansionistiche di Girolamo Riario, signore di Imola e di Forlì e nipote di papa Sisto IV. La famiglia Pazzi sfrutta infatti l’occasione per accordarsi con l’arcivescovo di Pisa Francesco Salviati per ordire una congiura che sfocia, il 26 aprile 1478 nell’uccisione nella cattedrale di S. Maria del Fiore, di Giuliano. L’interdetto di Sisto IV getta Firenze in una profonda crisi, dalla quale però Lorenzo risolleva con successo recandosi personalmente a Napoli, alla fine del 1479, convincendo Ferdinando a porre fine alle ostilità. Si tratta del primo atto di una sapiente politica di alleanze e accordi che rende Lorenzo il perno dell’equilibrio italiano e gli garantisce la possibilità di consolidare lo status della famiglia e di dedicarsi all’attività di mecenate, facendo di Firenze la capitale culturale d’Italia e guadagnandosi l’appellativo di Magnifico. Intorno a lui si raccolgono poeti, artisti, filosofi quali Marsilio Ficino e Giovanni Pico della Mirandola. Lorenzo segue inoltre gli studi filologici di Poliziano, che recupera su suo incarico numerosi manoscritti greci nell’Italia settentrionale. Accanto ad altri esercizi di minore rilievo, è soprattutto nella produzione lirica che Lorenzo si presenta come un punto di passaggio importante per la storia della lirica italiana. Negli anni 80 Lorenzo compone altre liriche per il suo Canzoniere, comincia anche a lavorare al Comento de’ miei sonetti in cui parafrasa in prosa i sonetti per l’amata Lucrezia Donati. 1.5) Tempus fugit Lorenzo è anche autore di canzoni a ballo e carnascialesche, in cui ricorrente è il tema del carpe diem. Al carnevale del 1490, risalgono la Canzona de’ sette pianeti e la Canzona di Bacco, dove sono presenti precisi riferimenti biblici e alla filosofia ficiniana. Nella Canzona de’ sette pianeti viene riproposta l’idea della trama di corrispondenze che lega le vicende umane all’influsso dei pianeti, nella Canzona di Bacco la necessità per l’uomo di cogliere l’attimo non rappresenta soltanto un invito epicureo al godimento dei beni terreni, ma svolge una sorta di parafrasi dell’Ecclesiaste. La ierogamia tra Bacco e Arianna rappresenta il ricongiungimento dell’anima umana al divino, ne diviene un esempio del percorso che ogni uomo dovrebbe compiere per ascendere a Dio, allontanando da sé le inutili preoccupazioni della vita quotidiana. Al 1491 risale infine la Rappresentazione di san Giovanni e Paolo, unica opera drammatica di Lorenzo, dedicata persecuzione dei cristiani da parte di Giuliano l’Apostata. Lorenzo morì l’8 aprile 1492 nella villa di Careggi, segnando la fine di un’epoca sul piano storico-culturale. 2) La tradizione popolare fiorentina e l’esperienza dei Pulci 2.1) Le muse dei Pulci Nato nel Mugello nel 1432, Luigi è il più dotato di tre fratelli scrittori. Dopo una formazione in provincia, passa a Firenze, entrando nel circolo della famiglia Medici. Viene preso sotto la protezione di Lucrezia Tornabuoni e a lei si deve l’incarico di comporre un poema sulle gesta di Carlo Magno: il Morgante. In questi anni fiorentini entra in contatto con la migliore cultura volgare del periodo, da Alberti a Burchiello, ma nella sua formazione ha preso molto in considerazione le opere dei classici come Virgilio e Ovidio, specchio del suo percorso è infatti il Vocabolista, una raccolta di lemmi tratti dal greco e dal latino. Già negli anni 60 stringe rapporti con il giovane Lorenzo, che diventerà la figura di riferimento del percorso di Pulci e che assiste alle sue prime prove, caratterizzate da uno spiccato sperimentalismo linguistico. Nel 1465 si impegna in una serie di sonetti polemici contro il cancelliere della Signoria Bartolomeo della Scala, dove mette in caricatura le umili origini di Scala in rapporto agli altri incarichi ottenuti. Nel 1469, in occasione di una giostra che vede il trionfo di Lorenzo de’ Medici, pulci viene scelto per comporre un poemetto celebrativo e, ancora in rapporto a Lorenzo, scrive la Beca da Dicomano, una sorta di risposta puntuale alla Nencia da Barberino, costituita con gli stessi toni di parodia della poesia amorosa e della celebrazione delle bellezze delle donne. A partire dai primi anni 70 Pulci misura una progressiva distanza dalle linee culturali promosse da Lorenzo. L’ascesa del ruolo di Ficino e della filosofia neoplatonica mette in ombra la poesia pulciana che prova a reagire in chiave polemica. Da un lato innesca uno scontro con Matteo Franco, dall’altro mette in caricatura le astrazioni del neoplatonismo, fino a spingersi a scrivere sonetti eterodossi poco rispettosi su dogmi di fede. È un testo mirato contro le dottrine sull’anima e sulla sua immortalità. I toni irriverenti e aggressivi provocano la reazione dello stesso Ficino che chiede un intervento di Lorenzo. L’episodio sancisce l’avvio di una nuova stagione: Pulci si avvicina a un nuovo protettore, Roberto di Sanseverino, e si impegna nella conclusione dell’opera cui lavora ormai da molti anni, il Morgante. 2.2) Il Morgante Abbiamo notizie indirette di una prima edizione che appare nel 1478, una seconda stampa nel 1481, nella quale il poema è costituito da 23 cantari e descrive una sequenza di avventure che mescola la materia carolingia, con le imprese di Rinaldo, Orlando e degli altri eroi, a una sezione fantastica, imperniata sulla figura di Morgante, un gigante convertito da Orlando. La figura di Morgante consente a Pulci di inserire punte di comicità aggressiva, come nel caso del celebre incontro tra Morgante e Margutte, e nel “credo” di Margutte. Il personaggio di Margutte porta una vena di corporalità bassa e irriflessa nel poema e presta le sue avventure alla tensione caricaturale che è una delle caratteristiche principali della poesia di Pulci. L’opera è costituita su continue ripartenze, sull’accostamento di avventure che mettono alla prova i personaggi principali, lasciando sullo sfondo la materia di Spagna e il pericolo incombente del tradimento di Gano di Maganza che provocherà la morte di Orlando a Roncisvalle. Il rapporto con la tradizione narrativa precedente ha sollevato negli anni passati un significativo dibattito critico: si è individuato un manoscritto che presenta molti tratti in comune con la storia del Morgante e lo si è ritenuto un elemento importante per la costruzione del poema da parte di Pulci. Certo è che la sua operazione si colloca all’incrocio di tradizioni diverse, ereditando da un lato i precedenti dei poemi canterini, dall’altro puntando a innovare quei modelli sia dal punto di vista della materia, sia per l’impasto linguistico della sua lingua. Una nuova edizione del poema appare nel 1483 ed è costituita da 28 cantari: i canti aggiunti registrano un innalzamento di tono e assumono una misura più conveniente dell’epica; trasferiscono sull’episodio luttuoso di Roncisvalle un immaginario religioso, a matrice cristologica, per la morte di Orlando. 3) La grande tradizione filosofica: Marsilio Ficino 3.1) Marsilio Ficino e l’Accademia platonica fiorentina Figlio del medico Diotifeci, Marsilio nasce a Figline Valdarno il 19 ottobre del 1433. Formatosi fra Firenze e Pisa, dopo aver frequentato l’Università di Bologna per un breve periodo, torna a Firenze dove, dal 1458, stringe legami sempre più stretti con Cosimo de’ Medici. Questi, nel 1462, gli dona la villa di Careggi che divenne sede dell’Accademia platonica fiorentina, frequentata negli anni da Poliziano, Pico della Mirandola, Francesco Cattani da Diacceto, Lorenzo e Giuliano de’ Medici. Tra il 1462 e il 1468 si dedica alla traduzione di Platone, che interrompe per redigere la versione latina del codice che il monaco Leonardo da Pistoia aveva portato dalla Macedonia, contenente il Corpus Hermeticum. Terminato nel 1463, Ficino continua il suo confronto con la filosofia antica, redigendo commenti e opere originali tra le quali spiccano il De christiana religione, in cui la riscoperta della filosofia platonica viene indicata come fonte di una renovatio religiosa; opera cruciale è la Theologia platonica nel 1482. 3.2) L’anima umana tra umbra e lux Con la Theologia platonica, Ficino si propone di mostrare la via attraverso la quale pervenire alla certezza dell’immortalità dell’anima. L’autentica speculazione filosofica deve nutrirsi di una comunione profonda con la religione; l’obiettivo è dunque da un lato quello di allontanarsi dalle derive di correnti di pensiero che conducono all’empietà; dall’altro, condannare le irrisioni blasfeme dei letterati. L’anima umana ha una funzione mediatrice nella scala dell’essere, costituisce un medium tra lux e umbra e dunque può ricongiungersi a Dio. Nel denso e complesso libro XIV dell’opera, Ficino spiega come a favorire questa ascesa verso il divino siano le due potenze gnoseologiche umane, l’intelletto e la volontà. Mentre una conoscenza intellettuale della divinità è possibile soltanto post mortem, la volontà è la guida sulla quale l’uomo può fare affidamento per riunirsi a Dio quanto è ancora in vita. Nello sforzo della volontà si identifica l’amore verso Dio. 5.3) L’Orfeo e le Rime La stessa venatura allegorica sembra caratterizzare l’altra grande opera del Poliziano volgare, l’Orfeo, nel quale Poliziano riprende in poche centinaia di versi il mito di Orfeo, la sua storia d’amore e disperazione per la perdita di Euridice. L’errore del cantore che, dopo esser riuscito a riscattare Euridice dagli Inferi, si volta, infrangendo il divieto che gli era stato imposto, può essere letto come la ricaduta da parte degli uomini nella dimensione terrena, una scelta che impedisce per sempre un cammino di liberazione e di ascesi dalla dimensione sensuale a quella contemplativa. Si intende lo slittamento per cui Orfeo si volge in modo repentino all’amore omoerotico, decidendo dii mai più piegarsi a una passione che produce sofferenza. In questa condanna del “feminile amor” e in questo rivolgersi alla “primavera del sexo migliore”, Orfeo rovescia la una parabola, confinandosi a un amore tutto sensuale. Di qui giunge la condanna, con il suo corpo straziato dalle Beccanti, in una conclusione del dramma che ha un andamento quasi orgiastico. L’Orfeo è il primo dramma profano in lingua volgare e dimostra la capacità di Poliziano di sperimentare. Il testo offre al suo interno una mobilità virtuosistica anche dal punto di vista dei metri, che si alternano e si intrecciano secondo un principio di varietas declinando i modelli classici riscritti da Poliziano. Un riflesso di questo sperimentalismo emerge anche nel cantiere delle Rime. I numerosi esercizi di poesia, in volgare e in latino, non vengono organizzati in un canzoniere. Poliziano sceglie di allontanarsi dalla linea del petrarchismo, abbandona quasi i metri tradizionali di sonetti e canzoni e si indirizza verso i rispetti e verso le ballate. 5.4) Il filologo e il professore: le Sylvae e i Miscellanea. Dopo il 1478 della congiura de’ Pazzi, il percorso di Poliziano prende una piega più schiettamente filologica ed erudita. Il volgare perde di rilievo nella sua scrittura, e acquistano invece importanza gli studi filologici e l’attività di serrato commento ai classici che svolge nei corsi presso lo Studio fiorentino. Nascono così le Sylvae, ciascuna elaborata all’esordio di un ciclo di lezioni riservato ai classici, secondo questo scema: Manto, 1482, per un corso sulle Bucoliche virgiliane; Rusticus, 1483, per un corso su Le opere e i giorni di Esiodo e sulle Georgiche virgiliane; Ambra, 1485, per un corso sui poemi omerici; Nutricia, 1486, per un corso sull’epica. L’estrazione accademica e il confronto diretto con i classici comportano una stratificazione ancora più marcata della componente erudita, le Sylvae non solo nascono da un raffronto ravvicinato con le Silvae di Stazio, ma accentuano la riscrittura da parte di Poliziano dei modelli latini e greci. Al contempo le Sylvae si offrono anche come un manifesto del valore nobile e quasi sacro della parola poetica, capace di portare al suo interno dottrina e conoscenza, e dunque civiltà. Sono gli stessi ideali che guidano la decisiva attività filologica, infatti sul suo scrittoio si accumulano manoscritti, appunti e zibaldoni, Poliziano mette a punto un metodo filologico che mira al recupero della parola originaria degli antichi. Il frutto di questi studi appare in una prima raccolta, i Miscellaneorum centuria prima, nel 1489, mentre nella seconda, Miscellaneorum centuria secunda rimane inedita e sarà pubblicata soltanto nel secondo 900. In uno dei suoi viaggi, nei primi anni 90, Poliziano incrocia a Venezia il giovane Pietro Bembo. Insieme collezionano un antichissimo codice di Terenzio: una scena simbolica, nella quale può ravvisarsi il passaggio del testimone tra il protagonista della cultura di fine 400 e una delle figure principali del primo Rinascimento. CAPITOLO 3: L’AMBIENTE FERRARESE E BOIARDO 1) La Ferrara estense: politica e cultura Ferrara nel 400 è la capitale di uno stato molto debole sul piano politico- istituzionale. Il suo sviluppo sul lato mercantile, è favorito dalla posizione geografica, ma ostacolato dal potere di Venezia, con cui era spesso in guerra. D’altronde la successione all’interno della casa d’Este feudataria dello Stato della Chiesa, è sempre stato un momento delicato, sia che l’erede maschio venga a mancare, sia che ci siano troppo pretendenti. Il passaggio tra, il marchese Niccolò II e il figlio illegittimo Leonello, non incontra difficoltà, Borso invece si. Borso deve vincere le resistenze del partito che sostiene Niccolò figlio dodicenne di Leonello. Legittimare il proprio potere divenne quindi obbiettivo costante di Borso. Nel 1452 ottiene da Federico III, il titolo di duca per la città di Modena e Reggio, nel 1461 richiama a Ferrara i figli legittimi di Niccolò III; Ercole e Sigismondo, esiliati a Napoli da Leonello per facilitare la successione di Niccolò. Il 14 aprile 1471 poco prima di morire, Borso è creato duca di Ferrara da Paolo II. Il nuovo status comporta un aumento delle ambizioni politiche e dinamiche estensi, si cui per primo porta il peso Ercole. La sua ascesa al potere deve scontrarsi con le armate di Niccolò di Leonello, lo scontro andrà avanti fino al 1476, concluso con la decapitazione di Niccolò. Nel corso di questi sviluppi politici, la cultura ferrarese tradizionalmente legata al gusto e alla letteratura francese, si trasforma: subisce una svolta nel 1429 con l’arrivo di Guarino Guarini. Chiamato da Niccolò III come docente universitario. Guarino è una delle più grandi figure dell’Umanesimo, fonda una scuola che diverrà presto celebre: alle sue lezioni assistono allievi da tutta Europa, richiamati dalla sua persona e dal modo educativo, fondato sulle humanae litterae, che punta a una formazione graduale dell’uomo. Allievo di Guarino fu lo stesso Leonello, il quale rappresenta l’ideale del principe- umanista. Nella Politia letteraria [L’eleganza letteraria], iniziata nel 1447 e poi terminata dopo la morte del marchese, Leonello è uno dei protagonisti e vi discetta assieme ad altri, di argomenti vari. L’opera da un’immagine dell’èlite ferrarese e di come la Politia ne sia divenuta un valore letterario e umano distintivo. A Leonello si presenta Ugolino Pisani- istrione famosissimo nelle corti Europee. Con l’incontro tra classicismo guariniano e tradizione cortese esce il peculiare gusto del Rinascimento ferrarese: ne riflette la complessa raffinatezza, il ciclo di affreschi del Salone dei mesi di palazzo di Schifanoia commissionato da Borso. Diversamente da Leonello, preferisce alla cultura classica, i romanzi cavallereschi. 2) Matteo Maria Boiardo La vicenda letteraria e umana di Boiardo è nel rapporto con la corte estense, le sue vicende dinastiche e politico- militari, le sue esigenze, i suoi gusti culturali. Lui è per nascita e formazione, un uomo di corte, di governo. Perciò il collegamento tra politica e letteratura, fra servizio cortigiano e poesia, sta alla base dell’esercizio di Boiardo e all’origine di tutte le sue opere. Grazie a questa vicinanza, l’opera di Boiardo incarna il gusto del Rinascimento ferrarese, sintesi di tradizione cavalleresca e Umanesimo. Esso si concretizza in opere chiuse dall’architettura perfetta, caratterizzate da studiatissime simmetrie e proporzioni numeriche, e al tempo stesso abbiamo opere aperte, caratterizzate da una prodigiosa capacità narrativa, animate da vitalità che si radica nel valore attribuito all’amore, fonte e culmine degli ideali cavallereschi e letterari, dell’esuberante e raffinata humanitas boiardesca. 2.1) Boiardo: tradizione culturale e fedeltà estense Matteo Maria nasce nel maggio-giugno 1441 a Scandiano da Lucia Strozzi e da Giovanni Boiardo. Suo zio materno è Tito Vespasiano Strozzi, allievo di Guarino, il più importante poeta latino ferrarese del tempo. Dal “blocco politico” formato dagli strozzi e dai Boiardo, Matteo Maria eredita quindi lo strettissimo vincolo di lealtà con gli Este, in particolare con Borso. Nel 1451 Matteo Maria perde il padre e la madre. Grazie agli Strozzi e al nonno paterno, Feltrino, il fanciullo riceve comunque una solida educazione umanistica. Morti anche il nonno e lo zio Giulio Ascanio, Matteo Maria eredita il feudo ma lo deve governare col cugino Giovanni. Matteo Maria inizia così la propria vita pubblica in continuo rapporto con la corte di Ferrara dove si trasferisce fra il 1461-62. Subito stringe un rapporto privilegiato con Ercole, governatore di Modena fra 1464-1469 2.2) Lotte politiche e lodi poetiche: gli esordi in latino L’esordio poetico di Boiardo coincide, per noi, con la coppia Carmina e Pastoralia composta nel 1463-1464. La raccolta dei Carmina in Herculem, formata da un carme di dedica e 10 testi, composta per celebrare le imprese napoletane di Ercole e il suo ritorno a Ferrara grazie a Borso. Il futuro duca è rappresentato, nella prima parte come guerriero di reincarnazione del mitico Alcide, mentre nella seconda come pacifico governante e restauratore dell’età dell’oro. Boiardo sfrutta l’alternarsi dei metri per costruire la raccolta. La costruzione accurata, gli permette di ostentare un virtuosismo e uno sperimentalismo metrico, che lo pongono all’avanguardia tra i poeti latini del momento. I Pastoralia sono strutturalmente perfetti: 10 ecloghe, come le Bucoliche di Virgilio, ma di 100 versi ciascuna. È una costruzione inedita per il tempo con essa Boiardo mostra di risalire all’archetipo del genere (Virgilio), scavando le esperienze di Dante e Petrarca, e inserendosi nella recente tradizione bucolica ferrarese rappresentata da Tito Strozzi. Boiardo si presenta come rifondatore del genere bucolico, altrove come poeta ispirato da Amore. Celebra la coppia estense Borso-Ercole, pacificatori del mondo, e solo nell’ultima viene esaltato il valore militare di Ercole per le sue imprese compiute nell’Italia meridionale. Uno scenario di guerra offrono gli 11 Epigrammata, tutti per Ercole. Per varie occasioni i primi 3 costituiscono una compatta raccolta composta nel 1471 nel pieno della lotta per la successione fra Ercole e Niccolò di Leonello. 2.3) Al servizio di Ercole: volgarizzamenti e teatro Su commissione di Ercole, Boiardo traduce anche alcune opere classiche o medievali, una richiesta consueta per gli umanisti estensi fin dai tempi di Niccolò. Gli interessi di Ercole sono rivolti ai racconti storici. Boiardo traduce prima i De viris illustribus di Cornelio Nepote, e la Cirpedia di Senofonte. Nel corso degli anni 70-80, Boiardo partecipa all’ambizioso progetto gestito dal duca stesso, di ricreazione moderna del teatro antico. Si tratta di un’esperienza formativa per il teatro italiano. L’interesse per le arti performative e spettacolari diviene sotto il controllo di Ercole un tratto distintivo della cultura di corte ferrarese, di cui Boiardo contribuisce con molte traduzioni, perdute, delle commedie antiche di Plauto e Terenzio. 2.4) L’”amorosa vita”: gli Amorum libri tres Nel gennaio del 1476, Ercole chiama Boiardo alla corte di Ferrara, dove ha un incarico legato alle opere letterarie iniziate e ad altre nuove: i volgarizzamenti, la stesura dell’Inamoramento de Orlando e anche un canzoniere lirico in volgare, che canta dell’amore per una dama di Reggio, Antonia Caprara. Composti fra il 1474-76, gli Amorum libri tres raccontano una storia di amore ricambiato, disillusione, malinconia e pentimento che si svolge fra 1469-71. Il punto di riferimento letterario di Boiardo è l’archetipo del genere: come per i Pastoralia era Virgilio, così per gli Amorum libri tres è Petrarca. Dei Fragmenta gli Amorum libri riprendono non solo lo stile ma anche la polimetria, tuttavia estremizza e regolarizza le forme petrarchesche poiché i modelli metrici dei Fragmenta sono complicati e la struttura del canzoniere è più evidente ed esattamente simmetrica. Gli Amorum libri dispongono infatti il racconto in una struttura regolata da rapporti matematici costruiti sul 3, sul 10 e i loro multipli. Come nei Carmina in Herculem la diversità metrica è impiegata da Boiardo per scandire il racconto: brevi serie di sonetti cono intervallate da altri metri. introduce un nuovo personaggio: Rugiero che discende dal mitico eroe troiano Ettore ed è destinato a sposare la cristiana Bradamante, a morire giovane ma ad essere il progenitore degli Este. La discendenza da un eroe troiano è innovativa, gli Este erano tradizionalmente fatti discendere da Gano di Maganza il traditore di orlando a Roncisvalle. La promozione ducale di Borso consente anche a gli este di dotarsi di una nobilissima ascendenza storico mitologica dopo aver rivendicato per sé e per la propria corte l’eredità spirituale della corte arturiana. È nella corte di Ferrara che si rinnova l’età d’oro, la primavera splendida e breve della civiltà cortese che terminerà nell’inverno 1494. Il romanzo s’interrompe sull’innamoramento di Fiordispina per Bradamante con una ottava che registrerà la rovina dell’Italia. Doppio lutto per la morte del poeta e la fine di un’epoca. La letteratura è risposta alle esigenze del presente, tentativo di contrastare la crisi. L’Innamoramento di Orlando È un poema epico in ottave dedicato alla figura del guerriero Orlando. L’autore rinnova la tradizione fondendo nel suo testo i temi del ciclo carolingio con quelli del ciclo bretone: il suo Orlando è infatti nel contempo un guerriero integerrimo impegnato nella causa cristiana, sia un uomo coinvolto profondamente nelle vicende amorose La novità dell’opera sta nell’unire questi due elementi, e dunque inserire lo snodo amoroso laddove era stato proibito: i cavalieri della Tavola Rotonda potevano indulgere ai sentimenti amorosi ( si pensi a Lancillotto e Tristano) , mentre quelli del ciclo carolingio erano votati unicamente alla difesa della fede cristiana. Il motivo amoroso anima l’intera opera ed anzi si pone al centro. Una terza componente si aggiunge alle altre due: l’opera ha anche uno scopo encomiastico, in quanto boiardo celebra gli Estensi immaginando che i loro progenitori siano Ruggero e Bradamante, donna guerriera della casa di Chiaramonte, sorella di Rinaldo e dunque cugina di Orlando. Questo servì a sfatare la leggenda negativa che voleva gli Este discendenti di Gano di Maganza, traditore per antonomasia. L’Orlando innamorato si lega alla tradizione dei ‘dei poemi epico- cavallereschi in ottava rima che narrano le gesta di eroi appartenenti al ciclo bretone o a quello arturiano, i quali fin dal Medioevo venivano cantati nelle piazze da poeti ambulanti. Dunque, le ottave, nate per intrattenere il popolo, vengono nobilitate da toni musicali e da un linguaggio vivace. L’opera è strutturata in tre libri, per un totale di 69 canti. Boiardo iniziò l’opera durante il soggiorno ferrare e continuò a lavorarci fino alla morte, lasciando tuttavia incompiuto CAPITOLO 5: L’AMBIENTE NAPOLETANO 1) L’umanesimo alla corte di Alfonzo I (1442-1458) Nel contesto napoletano l’umanesimo si sviluppa in ritardo di un paio di decenni legata alla figura di Alfonso V d’Aragona che inaugura la stagione aragonese nel 1442 che durerà fino a fine secolo, Alfonso 1° re di Napoli. Senza essere direttamente interessato alle questioni letterarie comprende il ruolo di legittimazione che può derivare da una corte di letterati, valore politico di un mecenatismo. Attorno a lui si raccoglie una generazione di letterati la cui attività si distribuisce tra la corte e lo studio-istituzione che doveva supportare la formazione dei giovani studenti e la biblioteca che Alfonso arricchisce di codici. Nascono opere che introducono nell’ambiente napoletano le ricerche delle avanguardie umanistiche e mirano alla celebrazione del principe. Poggio Bracciolini dedica ad Alfonso una versione latina della Ciclopedia di Senofonte, ritratto di un sovrano ideale. Figura di Alfonso ingigantita dalla operazione corale di encomi. L’umanesimo aragonese assume una forte impronta monarchica e nasce il mito del magnanimo, sovrano virtuoso e illuminato sostenitore delle lettere. 2) La stagione del Panormita A giocare un ruolo decisivo in questa dinamica è Antonio Panormita. Nato nel 1394 a Palermo si forma nelle migliori scuole dell’Italia settentrionale: Siena, Milano, pavia e entra in contatto con Poggio Bracciolini e Lorenzo Valla. Dimora presso i visconti e alla corte di cosimo de’ medici. Proprio a cosimo viene dedicato l’hermaproditus. Raccolta di epigrammi satirici dal contenuto apertamente osceno. Gusto dell’azzardo e della materia oscena insieme a uso sapiente dei modelli classici, intreccia scandalo e raffinatezza e recuperando la tradizione dell’epigramm antico per cercare di difendersi dalle censure. L’hermaphroditus non riesce a guadagnargli la protezione di Cosimo de’Medici e una sistemazione a Firenze scatenando pesanti reazioni dell’autorità ecclesiastica. Nel 1434 entra al servizio di Alfonso d’Aragona assumendo il ruolo di intellettuale impegnato nell’azione di governo. Ventennio di collaborazione con Alfonso e celebrazione del sovrano che assume forma organica e trova il punto più alto nella raccolta de dictis et factis alphonsi regis. Alla morte di Alfonso il panormita passa al servizio di ferrante e lo aiuto nella difesa della corona assumendolo anche come modello di principe nell’opera encomiastica liber rerum gestarum ferdinandi regis, racconto della giovinezza del principe con modello Senofonte. Il panormita lascia un segno profondo nella cultura quattrocentesca per il modello dell’accademia sperimentato nella porticus anoniana, consesso che si riuniva nella sua dimora e proseguiva l’attività dell’accademia prima riunita introno ad Alfonso. Fondamentale epistolario molto ampio spartito tra versante pubblico e privato e destinato a diventare modello di prosa latina. Conferma centralità del latino, lingua principe per elaborazione letteraria. 3) La novella alla corte aragonese: Masuccio Salernitano Il mondo aragonese ospita anche esperienze di natura diversa, ripreso il modello dei classici trecenteschi. Tommaso guardati noto come Masuccio Salernitano nasce tra 1410 e 1415. La sua formazione avviene tra Salerno e Napoli, prima mirata agli studi ecclesiastici e poi in ambito letterario. Masuccio si inserisce nell’ambiente della corte di Alfonso senza assumere incarichi diretti e entra in contatto con membri della nobiltà del regno. A partire dal 1450 comincia a comporre una serie di novelle diffuse in forma autonoma alla spicciolata ma che poi decide di raccogliere all’interno di un macrotesto riprendendo boccaccio. Nasce il novellino, raccolta di cinquanta novelle articolata in cinque gruppi di dieci ciascuno raccordato su un tema cui Masuccio lavora fino alla morte nel 1475. Dopo la scomparsa dell’autore l’autografo viene distrutto dall’autorità ecclesiastica per ragioni di censura ma l’opera viene comunque stampata a Napoli. Il novellino rivela struttura particolare. Per ogni novella vi è schema: argomento annuncia il contenuto esordio indirizza la novella a un particolare destinatario, omaggi alla nobiltà napoletana narrazione Masuccio bilancio in chiave morale che l’autore assume sotto la propria voce motivi ormai consueti alla tradizione novellistica: misoginia con condanna della natura femminile, satira mirata contro gli ordini ecclesiastici ritenuti depositari di vizi e responsabili di sopraffazioni. Presenza di elementi caricaturali e grotteschi, adozione di una lingua vivacissima e popolare, dalle forti coloriture meridionali, presentando l’intera pera a Ippolita Maria sforza duchessa di Calabria sperava di entrare nella biblioteca reale, nella fascia alta della cultura aragonese. Struttura ambiziosa della raccolta e passaggio alla costruzione di un’opera unitaria a partire dalle novelle singole, a dichiarare l’obiettivo di una ripresa del modello decameroniano insieme a un suo aggiornamento sia sul piano della diagnosi morale sia su quello linguistico e stilistico. 4) Il magistero di Giovanni Pontano tutto il secondo quattrocento napoletano è segnato sul piano politico e letterario da pontano, nato in Umbria nel 1426. Dopo una formazione umbra passa a Napoli entrando nella corte di Alfonso dove riesce a guadagnare la protezione del più anziano panormita e completa gli studi con l’approfondimento del greco. Nel 52 viene assunto nella cancelleria e il rapporto con il potere si fa più solido durante il regno di ferrante. Nella prima stagione esercizio della lirica latina, esordisce con il pruritus, raccolta di epigrammi osceni sul modello del panormita e compone poi un parthenopeus sive amores, raccolta di carmi in vari metri di materia amorosa che risente del modello di Catullo. Dichiarazione di poetica per poesia leggera e sensuale. Esordio di una produzione poetica ricchissima e varia che spazia dalla tradizione pastorale delle egloghe al poema astrologico urania fino agli hendecasyllaborum libri, raccolta nella quale emergono i legami con gli altri intellettuali con una descrizione della corte aragonese. La voce, tuttavia più originale è quella del de amore coniugali come omaggio per adriana sassone, ragazza neppure diciottenne che pontano sposa nel 61. Nei carmi prodotti nel corso dei diversi anni la celebrazione della moglie si accompagna alla difesa degli ideali familiari con un gusto oraziano di misura e austerità. Nel libro ci sono anche componimenti per la nascita del figlioletto a cui pontano dedicherà il raffinato esperimento delle Neniae. Accanto alla produzione lirica si impegna in una scrittura ufficiale collegata alle sue mansioni a corte. Posizione di rilievo nell’accademia del panormita e assume il ruolo di precettore per Alfonso, duce di Calabria nominato erede al trono. Scrive il de principe liber, teorizzazione nella forma di lettera precetto sulla figura del principe ideale. Alla morte del panormita pontano diventa una figura centrale nell’accademia pontaniana ed è impegnato in una serie di missioni diplomatiche occupando un ruolo di primo piano nell’azione politica. Scrive diversi dialoghi in latino che riflettono gli interessi e gli esperiementi dell’autore: dal charon di materia satirica sulla figura del traghettatore infernale, all’actius e all’antonius relativi a temi letterali e alla scrittura storica fino al più tardo aegidius dedicato al tema del libero arbitrio. Stratificazione dei temi e complessità della scrittura, esempi del dialogo umanistico che mette in scena in forma aperta e divertita e increspata di ironia. Alla metà degli anni 80 ha ormai assunto rilievo assoluto e nell’86 viene incoronato a Roma come poeta laureato, nell’87 viene nominato primo segretario reale giocando un ruolo decisivo nel proteggere la corona aragonese durante la congiura dei baroni, tentativo di opposizione da parte della nobiltà napoletana alle iniziative di ferrante Serafino Cimminelli diventa presto celebre per la sua arte dell’improvvisazione e per l’abilità nel suono del liuto con cui accompagna i versi, produzione abbondantissima che rimane lontana dalla forma canzoniere, ha una suddivisione in ordine metrico seguendo le diverse forme praticate dall’aquilano, dalle barzellette scritte in forma di ballata alle egloghe che riprendono i modelli napoletani, dagli strambotti alla pratica musicale ai sonetti. È proprio il precedente di Tebaldeo a sollecitare serafino verso la pratica estesa del sonetto declinata con un largo ricorso al patrimonio dei fragmenta evocato e insieme svuotato. Nei testi di serafino ricorrono modelli classici della poesia cortigiana di quegli anni, il patrimonio che incornicia la donna offre i pretesti per una sua celebrazione galante, dal cagnolino all’uccellino al ritratto Talora assume le forme dell’iperbole, si fa bizzarra e estrema, molti dei suoi componimenti hanno un gusto quasi seicentesco. Poesia esile nel suo sostrato ideale ma che ebbe straordinario successo. La morte di serafino avvenuta precocemente nel 1500 dà origine a una eccezionale celebrazione poetica nl 1504 vengono pubblicate le collettanee in morte di serafino aquilano, raccolta dove molti autori contemporanei a partire da Tebaldeo tributano un omaggio al sodale scomparso. Segnale di chiusura della fase della poesia cortigiana. Sono ormai alle porte gli anni del Bembo. Nuova stagione di un petrarchismo più regolato e ortodosso.