Scarica Letteratura Latina Manuale Conte Parte I e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! LETTERATURA LATINA PARTE I – ALTA E MEDIA REPUBBLICA LE ORIGINI • Data di nascita della letteratura latina nel 240 a.C. per rappresentazione del primo testo scenico di Livio Andronico. • Diffusione della scrittura: prime attestazioni latine nel VII secolo per momenti di vita pratica, in iscrizione di tipo strumentale. La scrittura era più diffusa nei ceti superiori come quelli dei sacerdoti e di chi ricopriva cariche pubbliche. • Le forme comunicative non letterarie: leggi e trattati (le prime leggi di Roma), leggi delle XII tavole del 451-450. L’uso della scrittura riguardava anche i calendari. I giorni erano divisi in fasti e nefasti (in base al disbrigo degli affari pubblici) e con fasti si indicavano anche le liste di magistrati e i trionfi militari. Il pontefice massimo usava la tabula dealbata su cui scriveva i nomi dei magistrati in corso, avvenimenti pubblici importanti, che diventavano registrazioni ufficiali di memoria collettiva dello stato romano chiamati Annales. I commentarii erano appunti e memorie di carattere privato non professionali. Infine troviamo l’oratoria, forma di potere e successo nella carriera politica, con Appio Claudio Cieco console nel 307, che pronunciò il primo discorso ufficiale mai pubblicato a Roma per opporsi alle proposte di pace di Pirro. • Le forme pre-letterarie: il significato di Carmen è poesia. Si applica a preghiere, sentenze, cantilene, ecc. Un carmen non è quindi tale per il suo contenuto bensì per la sua forma. Distingue lo stile letterario latino da tutti gli altri. Non ha distinzioni tra verso e prosa ma si oppone allo stile informale del parlato quotidiano. Troviamo la Poesia Sacrale con i Carmina rituali Saliare (collegio sacerdotale dei Salii per processione dei dodici scudi sacri per il Dio Marte) e Arvale (dai Fratres Arvales per inno di purificazione dei campi); la Poesia Popolare con una produzione orale improvvisata con carattere di motteggio e comicità (Fescennini Versus, termine che rimanda al malocchio e al membro virile come scongiuro); i Carmina Triumphalia in occasione del trionfo dei soldati; i Canti Eroici per racconti in versi di eroiche imprese. Il verso chiamato Saturnio, dalla struttura molto fluida, fu il contributo davvero originale dei romani nel campo delle forme metriche. In Saturni sono scritti i primi due testi epici romani, l’Odissea di Livio Andronico e il Bellum Poenicum di Nevio. IL TEATRO ROMANO ARCAICO • La scena: tra il 240 a.C. e l’età dei Gracchi si ha una fioritura di opere teatrali. Tutti i generi sono di importazione greca. Il genere comico greco è chiamato palliata, quello tragico cothurnata. Le ambientazioni di entrambe sono greche. I romani le chiamarono rispettivamente togata e praetexta, ambientate a Roma. La sede regolare degli spettacoli era quella di feste e solennità: ludi Romani, Megalenses, Apollinares e Plebeii. L’organizzazione era statale. Il mondo della commedia era realistico ma non aveva contatti con l’attualità politica. Oltre al 240 a.C., per il primo spettacolo di Livio Andronico, altra data fondamentale per il teatro romano fu il 207, quando venne fondata la confraternita degli autori e degli attori, da ora socialmente riconosciute. C’era un capocomico e venivano utilizzate delle maschere che erano fisse per determinati tipi di personaggi presenti in ogni trama delle commedie (il vecchio, lo schiavo, la cortigiana, ecc.). • Le forme: la commedia romana, la palliata, non era divisa in atti ed era composta da parti cantate e recitate. L’autore di palliate più conosciuto era Plauto, che usava tre distinti modi di esecuzione: parti recitate senza musica (senari giambici), parti recitative con accompagnamento musicale (settenari trocaici), parti cantate (metri vari). Erano molte le differenze con la Nèa, la Commedia Nuova ateniese del IV sec a.C., perché questa era divisa in atti e composta solo da parti recitate o recitative (trimetri giambici). La musica era utilizzata sono negli intermezzi, pause che marcavano la divisione degli atti. La palliata di Nevio e Plauto fa cadere quest’uso. La tragedia greca invece prevedeva un alternarsi di parti dialogate, recitate o recitative, e di parti liriche. Tra queste ultime il coro, musicato e cantato, serviva come commento all’azione. I tragici latini, non essendo in grado di riproporre le parti corali greche, dovettero ovviare a questo vuoto di immagini alzando la qualità dello stile, per opporsi alla lingua quotidiana. La tragedia attica utilizzava il trimetro giambico, quella romana il senario, che portava loro più pathos e analisi psicologica. La tragedia greca si basava su una lingua epica e lirica. Altro sottogenere teatrale è l’atellana, genere popolare, dal canovaccio rudimentale, con un intreccio basato su equivoci, incidenti farseschi, battute. Venivano usate maschere fisse e ricorrenti come il fanfarone e il gobbo. LIVIO ANDRONICO • Era un greco attivo a Roma come professore di greco e latino. Le due tappe fondamentali furono il 240 a.C. quando una sua opera fu il primo testo drammatico rappresentato a Roma, e il 207 quando compose un partenio (canto di fanciulle) in onore di Giunone. L’opera per noi più importante rimane però la traduzione in saturni dell’Odissea di Omero. Livio viene indicato come l’iniziatore della letteratura latina, perché l’iniziativa di tradurre in lingua latina l’opera di Omero ebbe una portata storica enorme, anche come testo scolastico. La sua importanza sta nell’aver concepito la traduzione come operazione artistica. La lingua letteraria si distacca dal linguaggio quotidiano e utilizza termini della tradizione religiosa, che danno elevatezza e profondità al suo linguaggio, per una ricerca del pathos, forza espressiva e tensione drammatica. NEVIO • Era un cittadino romano ma di nascita plebea, assoluta novità. Attaccava con la sua poesia la famiglia dei Metelli, per cui venne incarcerato. La sua opera principale è il Bellum Poenicum (la guerra punica) in saturni. Narra la storia di Enea che da Troia giunge nel Lazio e la storia della prima guerra punica. L’opera è stata scritto dopo il 218 ed era un tema di grande attualità. Fu il primo letterato latino di nazionalità romana, oltre che il primo letterato romano inserito nelle vicende contemporanee e partecipe di eventi storici e politici. Il Bellum Poenicum è il primo testo epico latino che abbia un tema romano. Il Romulus trattava la storia della fondazione di Roma, il Clastidium era la celebrazione della vittoria di Casteggio contro i Galli Insubri (estrema attualità). Questi sono i primi due titoli a noi noti di praetextae di argomento romano. Abbiamo uno strato omerico perché la fondazione di Roma si collegava alla caduta di Troia e i viaggi di Enea ricordavano quelli di Odisseo. Si fondano mito e storia, con la guerra contro Cartagine, un incrocio tra Iliade e Odissea. Per farlo Nevio aveva bisogno di un confronto con il linguaggio epico greco, per la parte di mito, quindi utilizzando figure di suono (assonanze, allitterazioni, ripetizioni) ed il Saturnio come verso. Per la sezione storica costruì un linguaggio storiografico dal linguaggio semplice, con termini tecnici, che rende l’opera di carattere sperimentale. Scrisse anche la Tarentilla, un’opera comica in cui attaccava i politici. PLAUTO • Era un cittadino libero. La data certa della morte è il 184 a.C. Per il destino della sua opera fu fondamentale il processo editoriale intrapreso nella metà del II secolo. Le commedie furono dotate di didascalie, sigle dei personaggi e impaginazioni corrette. La trasmissione avvenne anche grazie a Varrone, che inserì le commedie di Plauto nel De comoediis Plautinis. La grande forza di Plauto sta nel comico che nasce dalle singole situazioni e nella creatività verbale. Nelle sue opere c’è una fortissima prevedibilità sia degli intrecci che dei tipi umani dei personaggi. Non ha interesse per l’etica e la psicologia. Utilizza dei prologhi espositivi per dare informazioni essenziali sullo sviluppo della trama. I personaggi sono limitati: il servo astuto, il vecchio, il giovane amatore, il lenone, il parassita e il soldato vantone. Tutte le opere si riducono a una lotta fra due antagonisti per il possesso di un bene (donna o somma di denaro). Nell’intreccio la forma preferita è quella della commedia del servo: l’azione di conquista del bene è delegata dal giovane ad un servo astuto. Ben definita anche la scansione temporale in tre fasi distinte: il servo medita l’inganno, agisce e trionfa. Forza onnipresente è anche la Fortuna. Sono commedie che ruotano sul riconoscimento, un’identità prima nascosta e poi rivelata a tutti. L’autore attinge ai grandi maestri della commedia attica, ma non ha una preferenza per nessuno di essi. Il suo stile è dunque vario e Mostrava un interesse etnografico per i popoli stranieri. Altra sua opera fu il De Agricoltura, dove nel proemio indica nell’agricoltura un’attività acquisitiva, più sicura e onesta. È con il lavoro agricolo che si formano i buoni cittadini e soldati. L’opera è una precettistica generale del comportamento del proprietario terriero. Lo stile è scarno e conciso, con allitterazioni e ripetizioni. Ci sono tratti dell’etica di Catone per mezzo delle virtù: parsimonia, duritia, industria, disprezzo per le ricchezze e resistenza alla seduzione dei piaceri. In Catone troviamo una costante polemica contro la penetrazione in Roma del costume della cultura greca, perché questi elementi potevano esercitare un’azione corrosiva per le basi etico- politiche della Repubblica. Con le sue opere si propose il compito di elaborare una cultura che, mantenendo radici ben salde nella tradizione romana, sapesse accogliere apporci greci senza però farne aperta propaganda. TERENZIO • Era originario di Cartagine e giunge a Roma come schiavo di un senatore. Sono arrivate a noi sei commedie, di cui la più importante è l’Eunuchus del 161. I modelli greci sono tutti della Commedia Nuova attica. L’autore si colloca al centro dell’età degli Scipioni, periodo particolare perché dopo la battaglia di Pidna del 168, ci si avvia all’appropriazione di un mondo con la deportazione a Roma di mille ostaggi Achei, tra cui Polibio. Arrivano modificazioni nella mentalità, crescita dei costumi di lusso, arte, nuovi modelli culturali. La casata degli Scipioni rappresenta il centro di una cultura greicizzante, con innovazioni anche nella poesia scenica. La dominante di Terenzio è l’interesse per i significati, per la sostanza umana che è messa in gioco dagli intrecci della commedia. Il suo difficile tentativo è usare un genere popolare per comunicare anche sensibilità ed interessi nuovi. Gli interessa soprattutto l’approfondimento psicologico dei personaggi e rinuncia all’esuberanza comico fantastica di Plauto. Gli intrecci sono quelli consueti della Commedia Nuova: giovani innamorati, genitori che li contrastano, schiavi che soddisfano i bisogni dei padroncini. Terminano spesso con il riconoscimento che risolve la situazione. La scelta innovativa di Terenzio è quella dell’approfondimento della psicologia del personaggio, che, anche se tipizzato, sono spesso anticonvenzionali: la suocera non è bisbetica, la prostituta è moralmente migliore delle altre persone, ecc. L’approfondimento psicologico comportava una notevole riduzione della comicità. Nello stile dell’autore trovano spazio le parole astratte, utili all’analisi psicologica. La restrizione del linguaggio serve ad assicurare il predominio dei contenuti. Lo stile è medio e pacato ed è più quotidiano di quello di Plauto. L’elemento che più contraddistingue Terenzio nella commedia latina è la sua costante e controllata preoccupazione per il verosimile. La lingua è reale e realmente parlata, anche se settoriale delle classi urbane di buona educazione e cultura. Cura molto la coerenza e l’impermeabilità dell’illusione scenica. Lo sviluppo dell’azione non prevede mai sviluppi metateatrali. Non apre al suo interno nessuno spazio di autocoscienza. Questi momenti di riflessione si ritrovano tutti nel prologo, prima utilizzato come momento informativo per la trama, ora innovativamente, in Terenzio, come personali prese di posizione dell’autore: chiarisce il rapporto con i modelli greci e risponde alle critiche dei suoi avversari su questioni di poetica, presupponendo un pubblico avanzato e selezionato. Fonda l’azione drammatica sul dialogo e non sul movimento scenico del clamore. I contenuti sono caratteri e problemi di un’umanità borghese. Sacrifica la ricchezza dell’inventiva verbale e delle trovate comiche estemporanee. Viene approfondito il carattere dei personaggi, facendo apparire il concetto di humanitas. UNA CONCLUSIONE D’INSIEME SULLA PALLIATA: PLAUTO, TERENZIO E LA COMMEDIA NUOVA • La Commedia Nuova ha i suoi incunaboli negli ultimi esperimenti di Euripide: drammi a lieto fine con elementi comici dell’intrigo, un riconoscimento e la movimentata peripezia. Il discorso paratragico esiste nella Commedia Nuova come aspirazione a un tono sublime e ad esso sembra preferire la parodia di sé stessa, con uno spettatore che vuole riconoscersi nei sentimenti dei personaggi, in una forma di identificazione. La rappresentazione drammatica chiede la partecipazione emotiva dello spettatore, che vede negli attori persone vere. Ciò che viene rappresentato vuole essere un evento reale, per imitazione della vita messa in forma di idea morale. I più interessanti sono i personaggi minori, tipici, caratteri fissi, macchiette e caratteristi. Non è l’attore che parla al pubblico ma il personaggio stesso che sembra divenire cosciente della propria vita di finzione. Sono i personaggi stessi gli interlocutori, i custodi pensosi delle convenzioni che fanno il teatro della Nèa. La Commedia Nuova è una via di mezzo tra l’intenzione del realismo psicologico e la coscienza della propria convenzionalità, che sceglie di mostrare solo con un discorso implicito che chiede di essere interpretato da chi osserva. L’effetto metateatrale non va oltre la leggera autoironia dei personaggi che sanno di essere convenzionali ma vogliono ancora credere all’illusione scenica. LO SVILUPPO DELLA TRAGEDIA: PACUVIO E ACCIO • Pacuvio nasce nel 220 ed era noto anche come pittore. La sua è una produzione esclusivamente tragica: Antiopa, Chryses, Hermiona, Iliona, Teucer, ecc. Accio invece nasce nel 170 e si segnala come il più prolifico tragediografo latino. A differenza di Pacuvio non fu soltanto un tragediografo ma un poeta filologo. Questi due poeti presero la lezione di Ennio tragico e la svilupparono nel periodo scipionico e il loro influsso si sentì fino all’età di Augusto. Quando affrontano temi religiosi, politici, morali e filosofici, utilizzano i miti tragici in modo libero, toccando temi e problemi sentiti nella società romana contemporanea. Non sono più vincolati dai modelli greci. I vecchi miti della tragedia attica offrono nuove possibilità e assumono anche significati attuali. C’è un crescente gusto per l’elemento patetico e per il romanzesco. Le trame delle tragedie si basano su episodi da romanzo come naufragi, spettri, sogni, prodigi, follie, inganni ed equivoci con un gusto per il pittoresco e l’orrido, sangue e ossessioni. Sempre più peso ha la retorica. Il latino di Accio e Pacuvio è impuro, ma questo sperimentalismo continua la tradizione di Ennio. La tragedia sale di tono e diventa cosa da gentiluomini. LO SVILUPPO DELLA POESIA EPICA: DA ENNIO A VIRGILIO • La produzione epica nel periodo che va dagli Scipioni a Cesare è dominata dall’esemplarità di Ennio. Lo stile si adeguava ai modelli letterari di volta in volta dominanti e la poesia epica storica continua ad essere il miglior legame tra letteratura e propaganda, tra letteratura e potere. LUCILIO • La data di morte sicura è il 102 a.C. e faceva parte del circolo degli Scipioni. È il primo letterato di buona famiglia che conduce una vita da scrittore volontariamente appartata dalle cariche pubbliche e dalla vita politica. Scrisse trenta libri di satire orientandosi verso l’esametro. Il termine satira deriva da satura, cioè mescolanza e varietà. L’impulso originario della satira è specificamente romano. I caratteri sono varietà, voce personale e impulso realistico. La grande importanza storica di Lucilio sta nell’essersi concentrato esclusivamente sul genere della satira. Si avverte la crescita di un nuovo pubblico, desideroso di una letteratura più aderente alla realtà contemporanea. Il primo libro è noto come Concilium Deorum, una parodia dei concili divini, scena tipica dell’epos, in cui Lucilio prendeva di mira un certo Lentulo Lupo, inviso agli Scipioni, che gli dei decidevano di far morire di indigestione. Gli dei si comportavano con il protocollo e le procedure del senato romano. Il terzo libro è una colorita narrazione di un viaggio in Sicilia, dove si descriveva un sordido banchetto toccando il tema polemico del lusso. Il libro sedicesimo è dedicato alla donna amata. Troviamo poi disquisizioni su problemi letterari come retorica, poetica e analisi critico letterarie e grammaticali. La sua poesia rifiuta un unico livello di stile: passa da un linguaggio elevato dell’epica a linguaggi specializzati finora esclusi dalla poesia latina (parole tecniche di retorica, scienza, medicina, sesso, gastronomia, diritto e politica) e linguaggi di tutti i giorni dei diversi strati sociali. Utilizzava anche grecismi. Non manca un impegno educativo legato alla critica sociale e all’anticonformismo. Come voce del genere satirico Lucilio resterà un modello per tutti. POLITICA E CULTURA FRA L’ETA DEI GRACCHI E LA RESTAURAZIONE SILLANA • Nel 133 Tiberio Gracco presentò una legge agraria per ricostruire un ceto di piccoli proprietari agricoli. L’aristocrazia senatoria, che di grandi proprietà terriere faceva il suo potere, lo ostacolò portandolo alla morte. La vicenda si ripete nel 123 con il fratello Gaio Gracco con un programma che permetteva ai capi militari di assegnare terre come ricompensa di lunghe campagne di guerra. Silla assumeva la dittatura fino al 79. In un’epoca di così grandi conflitti l’oratoria ebbe una grande fioritura. La generazione successiva ebbe i suoi oratori in Marco Antonio e Lucio Licinio Crasso. Il primo si basava sulle emozioni, il secondo su un metodo vario che poteva venire utilizzato in tutte le occasioni. Una importante scuola di retorica fu quella di Plozio Gallo, accessibile alla gioventù non abbiente. • Nell’eloquenza romana si delineò il conflitto tra asiani e atticisti. L’eloquenza asiana era nata a Pergamo in Asia Minore, fra il IV e il III secolo a.C. Ricercava il pathos e la musicalità con uno stile fiorito e ridondante. Cicerone distingueva due tipi di asianesimo: il primo ricercava una sequenza ininterrotta di frasi civettuole e sofisticate, ricche di metafore e giochi di parole e strutturate secondo artificiosi schemi ritmici. Il secondo tipo era invece caratterizzato da un’abbondanza di parole colorite. Contro Cicerone nacque la corrente atticistica, che privilegiava uno stile semplice, discorsivo e scarno dell’oratore attico Lisia. Aveva un periodare nitido e conciso. Esponente fu Gaio Licinio Calvo. • Dopo l’oratoria la storiografia era il genere che maggiormente esprimeva la crisi politico sociale dell’età graccana. Vediamo il tentativo di fondare un nuovo metodo storico che ripudia la secchezza della cronaca annalistica per arrivare a una penetrazione razionale degli eventi con loro spiegazione causale. Sempronio Asellione prende posizione contro l’annalistica e si propone di narrare solo gli eventi a cui ha assistito personalmente. Altra importante differenza è che egli, rivolgendosi a un pubblico il quale dalla narrazione intendeva trarre piacere oltre che insegnamenti, non si limitava alla secca esposizione dei fatti ma lasciava spazio a elementi fantastici e miracolosi, al pathos tragico e ai sogni e alle apparizioni. Lucio Cassio Emìna e Lucio Calpurnio Pisone rimasero esponenti del metodo annalistico. Troviamo anche il genere della storiografia tragica, di cui lo storico più notevole fu Lucio Cornelio Sisenna, che scrisse le Historie che trattavano esclusivamente vicende contemporanee dalla guerra sociale alla morte di Silla. Questo era descritto quasi come un eroe. Conteneva particolari romanzeschi e favolosi per inserire elementi drammatici della storiografia tragica. Lo stile era di asianesimo spinto, con abbondanza di arcaismi, rarità lessicali. Scrisse anche le Fabulae Milesiae, racconti licenziosi. • Nel periodo sillano troviamo uomini politici che scrivono commentari sulla propria vita e il proprio operato politico, iniziando il genere dell’autobiografia. Appartenevano all’aristocrazia, come Emilio Scauro, Rutilio Rufo e lo stesso Silla. I loro scritti erano colmi di elementi carismatici con cui si esaltavano e si investivano di una missione divina, con menzioni di segni miracolosi e premonitori. • Col termine antiquaria si intende la scienza che indaga le origini remote di usi, costumi, istituzioni giuridiche sociali. Si assiste a una divaricazione tra storiografia e antiquaria. Nasce anche una filologia latina come disciplina specializzata. Peconino dette inizio al lavoro critico di pubblicazione e di commento di testi letterari. • Negli studi grammaticali troviamo dispute che contrapponevano le scuole filologiche di Alessandria e di Pergamo. Quest’ultima riconosceva la lingua come libera creazione dell’uso, ammettendo perciò come un fenomeno necessario le deviazioni o anomalie. La scuola di Alessandria rappresentava invece una tendenza purista e conservatrice di una lingua fondata sulla norma e sulla analogia con rispetto dei modelli. • Dopo Terenzio nella commedia troviamo Turpilio, che continuò a imitare Menandro ma scrisse anche qualche commedia mitologica. Lo stile dei frammenti è antiquato e questo è un aspetto caratteristico. La palliata cominciò ad essere sentita come un genere all’antica e lo spazio dello spettacolo comico nel I secolo a.C. fu invaso da generi alternativi quali sorpresa, perché Epicuro condannava la poesia di Omero, perché il mito allontanava le persone da una comprensione razionale della realtà. La scelta di Lucrezio era dovuta probabilmente all’intenzione di diffondere la sua opera presso le classi altolocate di Roma. Il titolo del poema didascalico di Lucrezio è la traduzione di quello di Epicuro. È diviso in tre gruppi di due libri. Nel primo c’è l’incipit con l’inno a Venere, personificazione della forza generatrice della natura, seguita dai principi della fisica epicurea. Alla fine del libro passa in rassegna le dottrine degli altri naturalisti, criticandole. Nel secondo libro è illustrata la teoria del clinamen (moto degli atomi). Il terzo libro spiega come il corpo e l’anima siano costituiti da atomi aggregati ma di forma diversa. Il libro quarto esamina il procedimento della conoscenza trattando la teoria dei simulacra. La terza coppia ha per oggetto la cosmologia. Il libro quinto dimostra la mortalità del mondo, il sesto dà spiegazioni naturali a fenomeni come fulmini e terremoti, estromettendo la volontà divina. Lucrezio termina il libro con la peste di Atene, contrapponendo l’incipit al finale: trionfo della vita e trionfo della morte. Lucrezio ambisce a spiegare ogni aspetto importante della vita del mondo e dell’uomo, cercando di convincere il lettore della validità della dottrina epicurea. Il modello cui Lucrezio guarda è Empedocle. Il lettore diventa discepolo, continuamente esortato a seguire il percorso educativo dell’autore. Una fondamentale differenza con la poesia didascalica ellenistica è che questa si limita a descrivere un fenomeno, mentre Lucrezio ne indaga anche le cause proponendo al lettore una verità. Alla retorica del mirabile Lucrezio sostituisce la retorica del necessario: il destinatario con le sue reazioni agli insegnamenti diventa consapevole della propria grandezza intellettuale. Il sublime diventa non solo forma stilistica ma anche una forma di percezione delle cose per il lettore. Il sublime gli suggerisce un bisogno morale. Questa nuova forma crea un destinatario che sappia adeguarsi alla forza sublime di un’esperienza sconvolgente. Le caratteristiche del poema sono la rigorosa struttura argomentativa, il sillogismo come strumento dell’argomentazione filosofica, l’analogia. Il libro terzo è in tal senso il più importante, con la confutazione del timore della morte. Dopo aver dimostrato scientificamente la mortalità dell’anima e la cessazione di ogni sensibilità dopo essa, Lucrezio vuole convincere il lettore, timoroso ancora dell’abbandono della vita, con la voce della natura stessa. Questa gli dice che se la vita è stata colma di gioie, può ritirarsi come un convitato felice dopo un banchetto. Se è stata all’insegna della tristezza e del dolore, perché dovrebbe proseguirla? Ultimo carattere dell’opera è il suo contatto con la letteratura diatribica (la diatriba era nata in Grecia in età ellenistica. Aveva sviluppato uno schema di presentazione semi-drammatica del contenuto, con spunti satirici e l’utilizzo di più personaggi fittizi). Subito dopo il Proemio tratta la religione tradizionale, in grado di opprimere con la paura la vita degli uomini. Se questi sapessero che dopo la morte c’è il nulla smetterebbero di essere succubi. Per fare questo serve però una conoscenza delle leggi che regolano l’universo e rivelano la natura materiale del mondo, dell’uomo e dell’anima. Il messaggio di Lucrezio resterà ignorato. In termini religiosi Lucrezio è fedele alle teorie di Epicuro, che credeva che gli Dei avessero una vita eterna, felice tra i mondi e incurante delle vicende della terra e dell’uomo. Era esclusa l’ipotesi che l’uomo fosse soggetto agli Dei in rapporto di dipendenza, in attesa di benefici o punizioni. Lucrezio ritiene quindi che bisogna vivere serenamente contemplando ogni cosa con mente sgombra da pregiudizi. Lo sforzo di Lucrezio è di evitare che su argomenti di grande rilievo il lettore accetti spiegazioni tradizionali della mitologia e della superstizione. Così dedica un’ampia parte della sua opera alla storia del mondo. Tutta la seconda metà del libro quinto tratta dell’origine della vita sulla terra e della storia dell’uomo. Caso e bisogno materiale sono i fattori di avanzamento della civiltà, mentre la natura segue le sue leggi e nessun Dio la piega ai bisogni dell’uomo. Tratta anche la decadenza morale che il progresso ha portato con sé: bisogni innaturali di guerra, ambizioni, cupidigia, corruzione. Il saggio deve abbandonare le inutili ricchezze allontanandosi dalla vita politica per coltivare lo studio della natura con gli amici più fidati, somma ricchezza della vita umana. In narratore è una persona tra le altre e la tensione dell’autore è rivolta a conseguire il convincimento razionale del suo lettore, per trasmettergli una dottrina di liberazione morale nella quale egli stesso profondamente crede, per mezzo della razionalità. Anche lo stile doveva piegarsi al fine di persuadere il lettore. Alla lingua latina mancava la possibilità di esprimere certi concetti filosofici, così Lucrezio si trovò a ricorrere e creare nuove perifrasi e avverbi. Utilizza inoltre una gran mole di vocaboli poetici della tradizione arcaica. Utilizza allitterazioni, assonanze, costrutti arcaici ed effetti di suono dei più antichi poeti di Roma. Riprende Omero, Platone, Eschilo ed Euripide. Il tratto distintivo del suo stile è la concretezza dell’espressione, che si fede nella vivacità descrittiva. Le immagini e gli esempi diventano risvolto emozionale di un discorso intellettuale. Il contrasto efficace tra le movenze di una lingua viva e colloquiale e la scelta di uno stile grande sublime sono la base dell’opera di Lucrezio. Il registro è quello dell'enthusiasmòs poetico posto al servizio di una missione didattica. Il risultato è uno stile severo, di durezza ed eleganza pronto alla commozione e alla meraviglia. CICERONE • Marco Tullio Cicerone nasce nel 106 a.C. ad Arpino da agiata famiglia equestre. Studia retorica e filosofia a Roma dal grande oratore Lucio Licinio Crasso. È amico di Tito Pomponio Attico. Nel 77 compie un viaggio di studio in Grecia e in Asia. Nel 63 è console e sventa la congiura di Catilina e nel 58 si reca in esilio per aver messo a morte senza processo i complici di Catilina. Torna a Roma nel 57. Dopo il primo triumvirato il suo nome viene inserito nelle liste di proscrizione e viene ucciso dai sicari di Antonio il 7 dicembre del 43. Cicerone è protagonista e testimone della crisi che porta al tramonto la Repubblica. Elabora un progetto nel tentativo di rimediare. Il fine della sue opere filosofiche è dare una solida base ideale, etica e politica a una classe dominante affinché non si chiuda, ma si apra all’assorbimento della cultura greca, pur rispettando le tradizioni romane, e non escluda i piaceri dell’otium di arte e letteratura. Nell’80 assume la difesa di Sesto Roscio (Pro Roscio Amerino), del quale era stato ucciso il padre da due parenti e un liberto di Silla per acquistare all’asta le sue proprietà terriere. Gli assassini cercarono di uccidere anche il figlio accusandolo di parricidio. Il processo era delicato perché accusando il liberto si accusava Silla. Si denota da subito la capacità ritrattistica di personaggi ed ambienti con vena satirica. Vinse il processo. Tornato dall’Asia ricoprì la questura in Sicilia nel 75 dopo la morte di Silla. Nel 70 i siciliani gli chiesero di sostenere l’accusa contro l’ex governatore Verre, che aveva sfruttato la provincia. L’accusato fuggì dall’Italia e venne condannato. Cicerone pubblica l’Actio secunda in Verrem, divisa in cinque libri, documento storico fondamentale per la conoscenza dei metodi di amministrazione romana delle province. Il periodare è armonioso, architettonicamente complesso e la sintassi duttile. C’è ironia arguta, pathos tragico e arte del ritratto. Nel 66 parlò in favore del progetto di legge del tribuno Manilio (Pro lege Manilia) che voleva dare pieni poteri a Pompeo su tutto l’Oriente. Più che gli interessi del popolo, Cicerone difendeva quelli dei repubblicani, i titolari delle compagnie di appalto delle imposte, motivo per cui una parte della nobiltà decise di coalizzarsi con il ceto equestre e proporre Cicerone come console nel 63. Nello stesso anno soffocò la congiura di Catilina, da cui scaturiscono le quattro Catilinarie. I toni sono veementi, minacciosi e ricchi di pathos. Con la Pro Murena difese da un’accusa di corruzione elettorale Lucio Licinio Murena, utilizzando lo scherzo e l’ironia. Intanto formava un nuovo modello etico, nel quale il mos maiorum veniva rispettato seppur con un’apertura ai nuovi costumi, alle gioie della vita. Nel 58 Clodio presentò una legge per esiliare chi aveva fatto arrestare degli uomini senza processo, per colpire Cicerone (per il caso Catilina), che tornò a Roma nel 57. Nel 56 con la Pro Sestio difende Sestio, tribuno accusato da Clodio di atti di violenza. Espose la sua nuova teoria dei ceti abbienti, il consensus omnium bonorum, cioè quegli uomini agiati e possidenti, amanti dell’ordine politico e sociale, pronti all’adempimento dei doveri verso la patria e la famiglia. I boni saranno da ora i destinatari dell’opera etico-politica di Cicerone. Loro dovere è fornire sostegno attivo agli uomini politici che rappresentano la loro causa, senza rifugiarsi nei propri interessi privati. Fra le orazioni anti clodiane troviamo la difesa di Marco Celio Rufo, amico di Cicerone, che era stato amante di Clodia, sorella del tribuno Clodio, una delle dame eleganti e corrotte che lo aveva accusato di avvelenamento. Cicerone la dipinge come una volgare meretrice e rievoca le tappe della vita di Celio per mostrare uno spaccato della società romana del suo tempo, ritenendo che i nuovi costumi possono destare scandalo solo agli arcigni moralisti troppo attaccati al passato. Nel 52 Clodio rimane ucciso e Cicerone assume la difesa di Milone (Pro Milone), uno dei suoi capolavori per la legittima difesa e l’esaltazione del tirannicidio. Nel 49 scoppia la guerra civile e Cicerone si schiera di malavoglia con Pompeo. Vince Cesare e ne riceve il perdono, a cui seguono le orazioni cesariane. Dopo l’uccisione di Cesare la manovra di Cicerone fu quella di staccare Ottaviano da Antonio e riportare il primo sotto le ali del senato. Nel 44 Cicerone pronunciò contro Antonio le orazioni Filippiche. Ottaviano strinse un accordo con Antonio (e Lepido), che fece inserire Cicerone nelle liste di proscrizione e a Formia nel 43 ne ebbe la testa. L’homo novus (Cicerone) tentò sempre di avvicinare il Senato agli equites, salvaguardando il prestigio del primo. Per quanto riguarda le opere retoriche di eloquenza e filosofia, in gioventù scrisse il De Inventione, un trattato dove nel proemio si pronuncia a favore di una sintesi di eloquenza e sapienza, quest’ultima necessaria alla formazione della coscienza dell’oratore. Tratta le stesse tematiche nel 55 con il De Oratore: nel primo libro Crasso sostiene per l’oratore la necessità di una vasta formazione culturale. Antonio contrappone un oratore più istintivo e autodidatta. Nel secondo libro si trattano questioni più analitiche: Antonio espone i problemi della inventio, dispositio e la memoria, Crasso della elocutio e pronunciatio. Il dialogo è ambientato nel 91, anno della morte di Crasso, che precede di poco la guerra civile tra Mario e Silla. Cicerone si è sforzato di ricreare l’atmosfera degli ultimi giorni di pace dell’antica Repubblica e nei proemi si trova una nota tragica per la consapevolezza della terribile fine di tutti i partecipanti al dialogo. Il modello a cui si ispira è il dialogo platonico, ma dalle piazze di Atene viene trasferito al giardino della villa di compagna di un nobile romano. Il talento, la tecnica della parola, del gesto e la conoscenza delle regole retoriche non possono ritenersi bastevoli per la formazione dell’oratore, di cui si richiede invece una vasta formazione culturale. La formazione dell’oratore coincide con quella dell’uomo politico della classe dirigente, uomo non di cultura specialistica ma generale. Dovrà servirsi delle sue abilità non per blandire il popolo con proposte demagogiche, ma per piegarlo alla volontà dei boni. Nel 46 compone l’Orator, un trattato più leggero, dove aggiunge una sezione sulla prosa ritmica. Sottolinea i tre fini ai quali l’arte deve indirizzarsi: probare (dare la tesi con argomenti validi), delectare (deve essere esteticamente piacevole) e flectere (muovere con il pathos). Ai tre fini corrispondono i tre registri stilistici: umile, medio, elevato o patetico. Cicerone si occupò anche della storia dell’eloquenza, con il dialogo Brutus del 46, dedicato a Marco Bruto. Tesse la storia dell’eloquenza greca e romana rievocando le tappe della sua stessa carriera. Utilizza registri diversi e spiega che il successo dell’oratore di fronte a chi ascolta è il criterio fondamentale in base al quale si valuta la sua riuscita. Scrive anche il De optimo genere oratorum, nel quale sostiene l’eccellenza di Demostene e Eschine. Nel 44 scrive l’ultima opera di retorica, i Topica, ispirati all’opera omonima di Aristotele, che tratta dei topoi, i luoghi comuni ai quali può far ricorso l’oratore alla ricerca degli argomenti da sviluppare nel discorso. Tra il 54 e il 51 Cicerone comincia ad occuparsi anche di un progetto di stato, in particolare con il De re publica. Si proietta nel passato per identificare la miglior forma di governo nella costituzione romana del periodo scipionico. Il dialogo si svolge nel 129 nella villa di Scipione Emiliano, insieme all’amico Lelio. Nel primo libro Scipione parte dalla dottrina aristotelica delle tre forme fondamentali di governo (monarchia, aristocrazia e democrazia) e della loro degenerazione (tirannide, oligarchia, oclocrazia). Scipione dimostra come lo stato dei maiores si era salvato grazie alla mescolanza dei tre tipi: monarchia rappresentata dal consolato, aristocrazia dal senato, democrazia dai comizi. Il libro secondo parla dello svolgimento della costituzione romana, il terzo della giustizia, il quarto dell’educazione dei cittadini, il quinto dei principi, il sesto conclude il dialogo con la rievocazione del sogno di Scipione Emiliano in cui incontra l’avo Scipione l’Africano che gli mostra dall’alto come genere letterario al quale si ricollegheranno il Satyricon di Petronio e l’Apokolokyntosis di Seneca. Il più importante fattore di identità è il prosimetro, cioè l'irregolare successione di prosa e verso all'interno della narrazione, che crea un effetto di straniamento. Ricorre a un grande numero di stilemi greci e ad un apparente parlato estemporaneo: un ricco vocabolario di termini tecnici o aulici che si amalgamano nella parodia. C'è un continuo effetto metaletterario. In bilico tra la forma del libello satirico e la tradizione della favola allegorico moralistica, la satira menippea frequenta spesso temi di vivace attualità romana. I Logistorici invece erano scritti in prosa e trattavano argomenti morali utilizzando la storia del mito. Le Disciplinae erano invece divise in nove libri, nei quali organizzò tutto il sapere della scienza antica. Nel 37 scrisse i Rerum rusticarum libri, tre libri in forma dialogica. Tratta ville e latifondi da sfruttare attraverso l’uso intensivo della manodopera servile. Si incontrano utilità e piacere. Il vero proposito è quello di dare di sé una soddisfacente immagine di signorotto di campagna, più interessato al modello di vita che ad imparare le tecniche necessarie a lavorare la terra. Estetizza la vita agricola. Accanto al nome di Varrone troviamo l’altro grande erudito dell’età di Cesare: Publio Nigidio Figulo. Scrisse i Commentarii grammatici in ventinove libri. Prevalgono interessi filosofici, cosmologici e storico naturali. Venne esiliato da Cesare. • Cornelio Nepote nacque in Gallia Cisalpina nel 100 a.C. Scrisse i Chronica, un’esposizione sistematica della cronografia universale, con sincronismo fra gli avvenimenti della Grecia, di Roma e dell’Oriente. Nel De viris illustribus (del 37) raccoglie biografie con l’intento di un confronto sistematico tra greci e romani, che raggruppa secondo categorie professionali. Inserisce nel suo libro una prefazione in cui dice che i concetti di moralmente onorevole e moralmente turpe non sono gli stessi presso greci e romani. La distinzione dipende dalle tradizioni nazionali di ciascun popolo. Rimane uno scrittore mediocre. CESARE • Gaio Giulio Cesare nasce a Roma il 13 luglio del 100 a.C. da una famiglia patrizia di antica nobiltà. Fu questore nel 68, edile nel 65, pontefice massimo nel 63, pretore nel 62 e propretore della Spagna Ulteriore nel 61. Nel 60 forma il primo triumvirato con Crasso e Pompeo, per sottomettere il mondo celtico. Il 10 gennaio del 49 invade l’Italia e dà inizio alla guerra civile. Nel 48 sconfigge a Farsalo Pompeo. Nel 49 inizia la sua dittatura e consolato. Il 15 marzo del 44 viene ucciso da alcuni repubblicani. Il termine commentarius indica un tipo di narrazione a metà tra la raccolta di materiali grezzi e la loro elaborazione in forma artistica storiografica. Praticava il commentarius come nella historia: drammaticità delle scene, discorsi diretti. É ammirevole la sobrietà e l’uso della terza persona che distacca il protagonista dal suo ego. Il De bello gallico è diviso in sette libri e tratta gli eventi dal 58 al 52 in merito alla sottomissione della Gallia. Si denota un’evoluzione stilistica dallo stile scarno e disadorno dei commentari agli ornamenti tipici della historia. Il De bello civili è diviso in tre libri e tratta degli eventi del 49-48, lasciando in sospeso l’esito della guerra di Alessandria. Viene pubblicato nel 46 e contiene le mire politiche di Cesare: colpire la vecchia classe dirigente rappresentata come un’assemblea di corrotti, con l’arma della satira sobria che svela gli intrighi dei suoi avversari. Cesare aspira a dissolvere di fronte all’opinione pubblica l’immagine che di lui dava la propaganda aristocratica, che lo presentava come un rivoluzionario (Gracchi-Catilina). Invece vuole mostrarsi come colui che si è sempre mantenuto nell’ambito delle leggi. Il destinatario della sua propaganda è lo strato medio e benpensante dell’opinione pubblica romana italica. È uno stato che può anche essere sganciato dal partito aristocratico e questo è il tentativo di Cesare. Insiste sulla propria volontà di pace (la guerra si deve solo al rifiuto di trattative serie da parte dei pompeiani). Un altro fondamentale motivo dell’opera è la sua clemenza verso i vinti, contrapposta alla crudeltà degli avversari. I suoi commentarii risultano quindi dallo stile scarno, senza abbellimenti retorici tipici della historia, con una forte riduzione del linguaggio valutativo e hanno un tono apparentemente oggettivo e impassibile della narrazione. Indubbia è la connessione dei Commentarii con la lotta politica. Sono presenti dei procedimenti di deformazione storica: non si tratta di falsificazioni vistose, ma di omissioni. Fa ricorso ad artifici abilissimi, attenuando, insinuando e disponendo le argomentazioni in modo da giustificare i suoi insuccessi. Si presenta come un politico moderato. In ambedue le opere mette il luce le proprie capacità di azione militare e politica ma non alimenta l’alone carismatico intorno alla propria figura. La fortuna è un elemento largamente presente. Spiega gli avvenimenti secondo cause umane e naturali, mai divine. Il suo luogotenente Aulo Irzio compose il libro VIII del De bello Gallico per congiungere la narrazione di questo con quella del De bello civili tramite il racconto degli anni 51-50. Sempre a lui si devono il Bellum Alexandrinum, il Bellum Africum e il Bellum Hispaniense. In termini di stile Cesare agì da purificatore della lingua latina, correggendo un uso difettoso e corrotto. Espose le proprie teorie linguistiche nei tre libri del trattato De analogia (del 54), dedicati a Cicerone. Pone alla base dell’eloquenza l’accorta scelta delle parole, per la quale il criterio fondamentale è l’analogia, la selezione razionale e sistematica, contrapposta alla anomalia, l’accettazione di ciò che diviene man mano consueto nel linguaggio quotidiano. La selezione deve limitarsi alle parole già dell’uso. Sono fondamentali la semplicità, l’ordine e la chiarezza. SALLUSTIO • Gaio Sallustio Crispo nasce a L’Aquila nell’86 a.C. Si lega ai populares e viene espulso dal Senato nel 50 per indegnità morale. Combatte dalla parte di Cesare e viene riammesso. Viene nominato governatore dell’Africa Nova, ma diede prova di malgoverno. Si dedicò allora alla storiografia e morì nel 35. I proemi sallustiani rispondono all’esigenza profonda di dare conto della propria attività intellettuale di fronte a un pubblico come quello romano, fedele alla tradizione per cui fare storia è compito più importante che scriverne. La storiografia per Sallustio resta strettamente legata alla prassi politica e la sua maggiore funzione è individuata nel contributo alla formazione dell’uomo politico. Denuncia l’avidità di ricchezza e di potere come i mali che avvelenano la vita politica romana. Importante che la sua storiografia tende a configurarsi come indagine sulla crisi. Le sue opere hanno un impianto monografico, novità totale nella storiografia romana. Questo serviva a delimitare e mettere a fuoco un singolo problema storico sullo sfondo di una visione organica della storia di Roma. Elaborò quindi un nuovo stile storiografico. Nel Bellum Catilinae la congiura era vista come uno dei sintomi della malattia di cui soffriva la società romana e ci dedica un ampio excursus all’inizio del libro. Si definisce archeologia perché traccia una rapida storia dell’ascesa e della decadenza di Roma. Il punto di svolta è individuato nella distruzione di Cartagine, da cui comincia il deterioramento della moralità romana. Silla ha un ruolo di spicco nella degenerazione. Un secondo excursus al centro dell’opera denuncia la degenerazione della vita politica romana nel periodo che va dalla dominazione di Silla alla guerra civile tra Cesare e Pompeo. La soluzione doveva essere l’abolimento della conflittualità diffusa di quel periodo. Sallustio indica nella corruzione della gioventù la causa prima della congiura. Delinea poi i tratti di Catone e di Cesare. Sallustio sembra essere stato il primo a tentare una riflessione serena. Il ritratto di Cesare si sofferma sulla sua liberalità, munificentia, misericordia e dall’altro sull’infaticabile energia che sorregge la sua brama di gloria. Le virtù tipiche di Catone sono invece radicate nella tradizione: integritas, severitas, innocentia. Entrambi erano positivi per lo stato romano. Anche Catilina ha una sua grandezza, anche se malefica, perché da un lato è sottolineata l’energia indomabile, dall’altro la depravazione. Il ritratto è dominato dall’esigenza moralistica: mentre tratteggia il suo pensiero lo storico lo giudica. I motivi profondi della crisi sono i pochi potenti che monopolizzano le cariche politiche e le ricchezze, sfruttando i popoli dominati, e dall’altra una massa senza potere coperta di debiti e priva di vere prospettive. Nel Bellum Iugurthinum Sallustio mette in luce le responsabilità della classe dirigente aristocratica nella crisi dello Stato romano. La guerra contro l’usurpatore numida è sullo sfondo della degenerazione della vita politica: l’opposizione antinobiliare rivendicava, contro la nobiltà corrotta, il merito della politica di espansione, della difesa del prestigio romano. Al centro dell’opera un excursus che indica nel regime dei partiti la causa prima della dilacerazione e della rovina della res publica. Nella seconda monografia il bersaglio principale di Sallustio è la nobiltà. Le linee direttive dei populares sono esemplificate nei discorsi del tribuno Memmio (che invita il popolo alla riscossa, enumerando i mali del regime aristocratico: il tradimento degli interessi della Repubblica, la dilapidazione del denaro pubblico, la monopolizzazione delle ricchezze e delle cariche) e di Mario (affermazione dell’aristocrazia della Virtus che si fonda non sulla nascita ma sui talenti naturali di ciascuno, valori antichi). Giugurta gode dell’ammirazione di Sallustio per l’energia che è segno di virtus, anche se corrotta. Ma a differenza di Catilina la natura del re barbaro non è corrotta fino dall’inizio, ma lo diviene durante l’assedio di Numanzia a contatto con gli homines novi romani. La maggiore opera storica dell’autore rimane incompiuta per la sua morte. Si intitolava Historiae e iniziava col 78 a.C. con uno stampo annalistico. Dominano le tinte cupe e la corruzione dei costumi. In termini di stile Cicerone pensava a uno stile armonioso e fluido, a una scrittura storiografica che fosse adattamento del modello dell’oratoria. A condizionare la futura evoluzione stilistica della storiografia latina fu invece Sallustio, che elaborò uno stile fondato sull’inconcinnitas (contrario della simmetria ciceroniana, il rifiuto di un discorso ampio e regolare, proporzionato), sull’uso di antitesi, asimmetrie e variazioni, il tutto per un dinamismo inquieto che porta a un effetto di gravitas maestosa. C’è una patina arcaizzante e viene evitato il periodare per subordinazione. Estrema è l’economia dell’espressione per una resa essenziale del discorso. L’allitterazione è frequente e l’andamento è spezzato e anticonvenzionale. La tecnica narrativa rinuncia a tutta una serie di effetti drammatici tipici della storiografia tragica. Di Sallustio ci rimangono le Epistulae ad Caesarem senem de republica e l’Invectiva in Ciceronem. PARTE III – L’ETA DI AUGUSTO 43 a.C. - 17 d.C.: CARATTERI DI UN PERIODO • L’età augustea va dalla morte di Cesare alla morte di Augusto, o dal 43 a.C. (morte di Cicerone) al 17 d.C. (morte di Ovidio). In questo periodo tutti gli artisti eminenti hanno rapporti con Augusto. Il tema dominante è quello della grande paura, fenomeni di angoscia incontrollabile e vendette politiche come strascichi della guerra civile. Questi poeti trovano nel loro coetaneo Ottaviano protezione e sostegno. Permette loro una tranquilla carriera politica con la promessa di un ordine che arriverà dopo la guerra civile con la vittoria di Azio nel 31. Augusto da un lato guarda alla restaurazione di certe tradizioni, dall’altro getta le basi del principato, cioè di un uomo solo sulla res publica. Si apre dopo Azio una fase di concordia e di ricostruzione, fondata sull’ideologia augustea, una cooperazione politico culturale che produce opere di equilibrio classico. Sul piano letterario la caratteristica fondamentale è la sua eccezionale e irripetibile densità di capolavori che rimarranno testi classici della cultura romana. Il tratto più vistoso è la volontà di competere con la Grecia classica. Si scelgono modelli illustri e si annuncia di voler “rifare” Omero, Alceo e Callimaco, di voler riprodurre qualcosa che stia sullo stesso piano dei modelli ma di equivalente romano. L’attenzione per la struttura diventerà uno dei tratti caratteristici. I generi letterari erano punti di riferimento precisi, un obiettivo ancora da raggiungere. Questi autori, poeti docti, operano costruendo generi. I poeti augustei dell’elegia diventano soprattutto poesia d’amore e allora il poeta può fare della sua passione la ragione esclusiva della propria esistenza e della propria poesia. Tratti forti sono il servitium amori e la scelta di una vita degradante con cui il poeta-amante rifiuta ogni riconoscimento o successo sociale. È una poesia che oscilla fra sofferenze e gioie. La costruzione del codice elegiaco è il risultato di un processo di selezione. Per i poeti nasce forse anche un nuovo stato culturale: non solo artisti, ma vates, cantori ispirati. Virgilio dà forma al grande mito della campagna italica, Orazio dei grandi temi civili e morali. L’ideologia augustea si propone una via di sviluppo che richiama in vita le tradizioni della Repubblica dei contadini, la famiglia e la proprietà terriera. Si combattono gli influssi orientali, i consumi di lusso, la licenziosità. Mecenate mostrava che si poteva essere attivi negli affari pubblici senza sacrificare l’otium. dell’uomo che col suo canto arriva persino a dominare la natura. L’altro indica una diversa strada, la paziente lotta contro la natura che è sostenuta da una tenace obbedienza ai precetti divini e conduce fino alla rigenerazione delle api. L’intenzione dell’Eneide invece è duplice: imitare Omero e lodare Augusto partendo dai suoi antenati. I 12 libri sono concepiti come una risposta ai 48 dei due poemi omerici. Eneide I-IV racconta il travagliato viaggio di Enea da Cartagine alle sponde del Lazio. Dal VII i Troiani sono ormai alla foce del Tevere e comincia la narrazione di una guerra che si concluderà solo con la morte di Turno all’ultimo verso del libro XII. Si parla di una metà odissiaca (I-VI) e di una iliadica (VII-XII), ma in sequenza rovesciata: prima i viaggi poi la guerra. C’è anche un’inversione dei contenuti, perché il viaggio di Enea non è un ritorno a casa come quello di Odisseo, ma è verso l’ignoto, e la guerra non serve a distruggere una città ma a ricostruirne una nuova. L’Eneide è quindi una contaminazione dei due poemi omerici, una sorta di continuazione di Omero perché le imprese di Enea fanno seguito all’Iliade e si riallacciano all’Odissea. In terzo luogo l’Eneide è una sorta di ripetizione di Omero. Enea riassume in sé l’immagine di Achille vincitore e quella di Odisseo. La seconda invenzione di Virgilio è la lode di Augusto tramite gli antenati, con eventi trattati come storici e visti da lontano. Tra I e II secolo la leggenda di Enea ha crescente fortuna tra i romani per motivazioni politiche. Inoltre attraverso la figura del figlio di Enea Ascanio-Iulo, nobile casata romana della gens Iulia, si rimanda a Giulio Cesare, padre adottivo di Augusto e quindi al collegamento Virgilio- Augusto-Epica eroica. L’Eneide è un’opera di denso significato storico e politico ma senza essere un poema storico. La più nuova e grande qualità dello stile epico virgiliano sta nel conciliare il massimo di libertà con il massimo di ordine. Ha lavorato sul verso epico, l’esametro, portandolo al massimo di regolarità e flessibilità. La struttura ritmica del verso si basa su un ristretto numero di cesure principali. Si ha così quella regolarità di fondo che è indispensabile allo stile epico. La combinazione di cesure principali e accessorie permette una notevole varietà di sequenze e la frase si libera da qualsiasi schiavitù nei confronti del metro. L’esametro si adatta così a una varietà di situazioni espressive. L’allitterazione ha un uso regolato e motivato: sottolinea momenti patetici, collega parole chiave, produce effetti di fonosimbolismo, richiama diversi momenti della narrazione. Si trovano arcaismi e poetismi, parole normali non poetiche. La novità sta nei nuovi collegamenti tra le parole, per un’elaborazione del linguaggio quotidiano senza precedenti nella poesia latina. Il lessico è semplice e diretto per un processo di straniamento. Ci sono epiteti stabili. Caratteristica fondamentale dello stile epico di Virgilio è l’aumento di soggettività: maggior iniziativa viene data al lettore, ai personaggi e al narratore. La funzione oggettivante è garantita dall’intervento del poeta che lascia emergere nel testo singoli punti di vista soggettivi, ma si incarica sempre di ricomporli in un progetto unitario. L’Eneide è la storia di una missione voluta dal fato che renderà possibile la fondazione di Roma e la sua salvazione per mano di Augusto. Il poeta è garante e portavoce di questo progetto. Virgilio si assume in pieno l’eredità dell’epos storico romano: il suo poema è un’epica nazionale in cui una collettività deve rispecchiarsi e sentirsi unita. I sentimenti dei personaggi sono in primo piano sempre. Chiede molto anche ai suoi lettori: devono apprezzare la necessità fatale della vittoria e ricordare le ragioni degli sconfitti, guardare il mondo da una prospettiva superiore e partecipare alle sofferenze degli individui. ORAZIO • Quinto Orazio Flacco nacque l’8 dicembre del 65 a.C. a Venosa. Era attratto dagli ideali di libertas: si arruolò nell’armata repubblicana di Bruto. Mecenate lo ammetterà nel circolo dei suoi amici. La produzione giambica di Orazio sembra legata alla fase giovanile della sua attività poetica con gli Epodi. Rivendica l’abilità versificatoria e il merito di aver trasferito in poesia latina i versi di Archiloco. Ma Orazio rivendica esplicitamente anche i diritti dell’originalità: afferma di aver mutuato da Archiloco i metri e l’ispirazione aggressiva, ma non i contenuti. Archiloco dava voce agli odi e ai rancori, alle passioni civili e alle tristezze di un aristocratico greco dell’VII secolo a.C. Orazio scriveva nella Roma dominata dai triumviri e sarebbe entrato presto nell’entourage di Ottaviano. L’aggressività di Orazio non può rivolgersi che contro bersagli minori, personaggi scoloriti, anonimi o fittizi. Ricercava l’esigenza della verità, con una molteplicità di temi, toni e livelli stilistici che la tradizione romana assegnava piuttosto alla satira. Un gruppo è formato dagli epodi erotici, poesie d’amore che svolgono motivi e situazioni della lirica erotica ellenistica e ne riproducono anche il linguaggio e l’intonazione patetica, mentre la tradizione dell’idillio rustico si risente dietro l’ambiguo elogio della campagna dell’epodo 2. Il linguaggio è teso e carico, con aspetti crudi e ripugnanti della realtà. Scrisse le Satire. Lucilio era identificato come colui che aveva fissato i tratti costitutivi della poesia satirica. A lui risaliva un elemento fondante: la scelta dell’esametro come forma metrica della poesia satirica. Ma soprattutto Lucilio aveva praticato questo genere letterario come uno strumento dell’aggressione personale e della critica mordace soprattutto verso il ceto dirigente. C’erano politiche letterarie, discussioni filosofiche, questioni linguistiche o grammaticali o letterarie, conversazioni. Più importante di tutti era l’elemento autobiografico. La sua satira era dunque luciliana perché da Lucilio ereditava i due segni distintivi dell’aggressività e dell’autobiografia. Caratteristico della satira di Orazio è proprio il collegamento stabile tra la diatriba e l’aggressività. L’attacco personale è sempre collegato a una intenzione di ricerca morale, al fine di analizzare i vizi mediante l’osservazione critica e la rappresentazione comica delle persone. C’è una ricerca morale empirica. Lucilio attaccava con virulenza i cittadini eminenti, avversari di cui condivideva la condizione. Orazio guarda piuttosto a un piccolo mondo di regolari (cortigiane, parassiti, artisti, affaristi). La morale oraziana ha dunque radici nell’educazione ma è costruita con i materiali elaborati dalle filosofie ellenistiche attraverso la diatriba. Gli obiettivi fondamentali sono l’autàrkeia (autosufficienza interiore) e la metriòtes (moderazione). È l’epicureismo la tradizione filosofica che ha un peso specifico maggiore nella sua satira. La ricerca morale non caratterizza soltanto le satire che si potrebbero chiamare diatribiche, cioè quelle in cui si sviluppa una discussione su uno specifico problema morale, ma anche quelle in cui il poeta rappresenta una scena raccontando un episodio. Il meccanismo fondamentale del genere satirico della prima raccolta di Orazio consisteva nel confronto fra un modello positivo e tanti modelli negativi. Nelle satire argomentative risulta poi dominante la forma del dialogo e, nella distribuzione delle parti, il ruolo dominante non spetta al poeta bensì all’interlocutore cui egli stesso concede la ribalta. Il poeta si ritira in secondo piano e tutti gli interlocutori sono depositari di una loro verità. Nel II libro l’equilibrio tra autàrkeia e metriòtes sembra perduto: il poeta permette ai suoi interlocutori di denunciale le debolezze e le incoerenze delle sue scelte. L’unico rifugio è ormai la villa Sabina, dove l’autàrkeia si giova dell’isolamento e non deve continuamente fare i conti con le contraddizioni della vita di Roma. La satira è una letteratura più vicina alla prosa, distinta da questa solo per il vincolo del metro. Orazio mira a una lingua disciplinata e semplice per ottenere effetti vigorosi con risparmio di mezzi espressivi. Mobilità e varietà sono le caratteristiche principali dello stile delle Satire, ora familiare, ora grave e oratorio, ora solenne poetico. Il tutto caratterizzato dalla negligenza prosastica (ripetizioni, costruzioni libere, giustapposizioni di incisi). L’argomentazione si rifà alla diatriba: la conferenza cede continuamente al dialogo, coinvolge gli interlocutori, anticipa le obiezioni, introduce scene drammatiche, esempi del mito o della storia, parodie, aneddoti e giochi di parole. Nelle Odi l’imitazione, come intesa da un poeta latino, implica la messa in opera delle vaste possibilità espressive offerte dalle diverse forme di memoria poetica: è una componente del linguaggio poetico e non un ostacolo all’originalità della creazione. C’è un rapporto con Alceo. Latinus fidicen (cantore lirico) Orazio è orgoglioso di averne divulgato per primo i modi, sottolineando le difficoltà tecniche del trasferire da una lingua all’altra strutture metriche ed espressive. Non manca mai un’ambientazione e una sensibilità romana. Nel richiamarsi ad Alceo approfittava dell’auctoritas del suo modello per avvalorare la coniugazione di componenti diverse del suo mondo lirico: l’attenzione alle vicende della comunità e un canto più legato alla sfera privata (amore, amicizia, convito). Ad Alceo era naturale collegare la forte componente moraleggiante della lirica oraziana. Un tratto caratteristico è la ripresa dello spunto iniziale di un componimento. Diverse odi di Orazio partono con una ripresa evidente, poi però il poeta procede in maniera sua propria e il modello viene quasi dimenticato. La lirica di Alceo aspira conseguentemente ad una eseguibilità che implica semplicità di temi e di linguaggio. In Orazio invece l’interesse per la res publica è vivace, ma è quello di un intellettuale che, dopo un effimero coinvolgimento nelle tempeste civili, vive al riparo dei potenti signori di Roma. Per Orazio dunque la poesia come ristoro dell’impegno, come pausa in mezzo alle battaglie, era poco più che un’immagine letteraria. La felicità interiore è fatta da autàrkeia e tranquillitas animi. La lirica oraziana è scritta per la letteratura e descrive quindi spesso situazioni immaginate e stilizzate. Gli altri modelli delle Satire sono Saffo, Anacreonte (malinconia della giovinezza perduta) e la lirica corale di Pindaro (periodi ampi, andamento impetuoso, solenne gravità della sentenza breve dal valore morale, ammonimenti). La funzione della poesia è quella di conferire l’immortalità, l’apprezzamento della saggezza etico politica. Formalmente se dalla lirica monodica vengono i metri più largamente usati nelle Odi, all’influenza della lirica corale si deve la complessità strutturale dell’ode oraziana. Importante infine è la parte che nella cultura di Orazio lirico gioca la letteratura prosastica: trattati ellenistici sul buon governo, panegiristica, trattatistica retorica. L’immagine di Orazio è quella di un poeta dall’equilibrio sereno, del distacco delle passioni e della moderazione. Importante il ruolo svolto dalla meditazione e dalla cultura filosofica. Il punto centrale è la coscienza della brevità della vita, con la necessità di appropriarsi delle gioie del momento, senza perdersi nell’inutile gioco delle speranze, dei progetti delle paure. Il saggio affronterà gli eventi, quali che siano, e saprà accettarli: egli conta solo sul presente. Il carpe diem è l’invito al piacere non separato dalla consapevolezza acuta che quel piacere stesso è caduco come la vita dell’uomo. La felicità è nell’autàrkeia, la condizione del poeta saggio, libero dai tormenti della follia umana e benedetto dalla protezione degli dei. Gli dei e la Musa salvano Orazio per riservarlo a quel destino. Il poeta delle Odi non ignora la forza insidiosa e attraente delle passioni e conosce la debolezza dell’animo. La saggezza si scontra con la fugacità del tempo, la vecchiaia e la morte. Contro le angosce e contro il dolore della vita si può soltanto ingaggiare una lotta virile per trasformare l’inquietudine e l’amarezza in accettazione del destino. L’altro polo della lirica oraziana, la poesia impegnata sui temi civili e nazionali, con la celebrazione di personaggi, avvenimenti e miti del regime di Augusto, risulta per molti versi lontano dai temi privati; tutta la sfera privata aspira sempre a una validità generale, ad esprimere la condizione complessiva dell’uomo. La lirica civile di Orazio conosce la celebrazione, l’encomio, l’ufficialità, ma non può essere liquidata come propaganda in versi. Orazio sa spesso farsi interprete di incertezze e timori, di scoraggiamenti e poi di improvvise gioie liberatrici: dei sentimenti e delle aspirazioni profonde della società contemporanea. Dell’ideologia augustea, la lirica civile oraziana condivide l’impostazione moralistica: la crisi era derivata dalla decadenza dei costumi, dall’abbandono di quel coerente sistema di antichi valori etico politici e religiosi che aveva fatto la grandezza di Roma. Il poeta festeggia con un convito e un incontro galante. Abbiamo così carmi conviviali, inviti, descrizioni dei preparativi con il tradizionale apparato del simposio ellenistico romano. Quasi un quarto delle Odi possono essere classificate come erotiche. L’amore viene analizzato: serenate, incontri, giuramenti, schermaglie, vita galante e sportiva. Ma l’ironia oraziana non ignora la passione: ne conosce la crudeltà, la rievoca con malinconia e la sente risorgere. Ben rappresentato nella lirica è anche l’inno che si distacca però dal modello greco, intessuto di riferimenti e sviluppi di carattere letterario. La campagna è di solito stilizzata secondo il locus amoenus, un gradevole paesaggio italico. Ma i luoghi più propriamente oraziani sono individuati nello spazio limitato e racchiuso del piccolo podere personale: spazio caro perché noto e sicuro, inattaccabile perché appartato e volutamente modesto, che funziona nel testo come una figura simbolica dell’esistenza del poeta, ma anche figura simbolica della sua esperienza poetica. Questo luogo-rifugio si fa