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Letteratura latina, riassunto manuale Profilo storico della letteratura latina di Conte., Schemi e mappe concettuali di Letteratura latina

La letteratura latina dall’età arcaica al tardo antico, un elenco di 41 autori analizzati e inseriti nel loro contesto storico. Sintesi del manuale Profilo storico della letteratura latina.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2022/2023

Caricato il 20/10/2023

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Scarica Letteratura latina, riassunto manuale Profilo storico della letteratura latina di Conte. e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! AUTORI LETTERATURA LATINA: Età arcaica: Livio Andronico, Nevio, Ennio, Plauto, Terenzio, Catone, Lucilio;  Età cesariana: Cesare, Cicerone, Lucrezio, Catullo, Sallustio;  Età augustea: Virgilio, Orazio, Properzio, Tibullo, Ovidio, Livio;  Età neroniana: Persio, Seneca, Lucano, Petronio;  Dai Flavi ad Adriano: Quintiliano, Valerio Flacco, Silio, Stazio, Marziale, Giovenale, Plinio il Giovane, Tacito, Svetonio, Apuleio;  Tardoantico: Tertulliano, Ammiano Marcellino, Gerolamo, Agostino, Ambrogio, Ausonio, Claudiano, Prudenzio, Rutilio Namaziano.  INTRODUZIONE ALLA LETTERATURA LATINA NELLE DIVERSE EPOCHE: SCRITTORI E PUBBLICO: per chi venivano scritte le opere di cui parliamo? Chi le leggeva? Che ruolo svolgevano? Il pubblico fa da sfondo ai fenomeni di creazione letteraria, comprendere con precisione la configurazione del pubblico ci porterebbe a comprendere meglio l’evoluzione storica delle forme letterarie. Ogni autore avverte di fronte a se la presenza ideale di un pubblico, su cui calibra le proprie scelte, sia linguistiche sia tematiche. Comprendere il pubblico ci porterebbe a comprendere le ragioni che hanno condotto un autore a scrivere un determinato libro, su un determinato tema. In primo luogo, è difficile farci un’idea dell’ampiezza del pubblico letterario, recenti stime ipotizzano che negli anni della tarda repubblica e del principato di Augusto, le persone capaci di leggere e scrivere erano meno del 15% dell’intera popolazione. Ciò porta alla considerazione che la letteratura latina fosse destinata a un gruppo ristretto di intellettuali. In realtà, dai testi letterari stessi e da testimonianze storiche, emerge con evidenza la diffusa consapevolezza da parte degli antichi di un grande ruolo svolto dalla letteratura nella società romana, di una sua fondamentale funzione nella definizione di una coscienza culturale della nazione romana. I prodotti dell’attività letteratura riuscivano a raggiungere un pubblico molto vario e differenziato. Il pubblico in età arcaica, prevalenza della ricezione orale: in età arcaica la capacità di leggere era un privilegio ancora limitato a ristretti gruppi. Le forme di cultura letteraria più fiorenti erano quelle teatrali. La comunicazione orale rende i testi fruibili anche a chi non sa leggere, il testo era però accessibile in ogni sua sfaccettatura solo da chi aveva una cultura letteraria. Gli spettacoli venivano offerti dallo stato all’intera città, il teatro era aperto a tutti e presto si cominciò a distinguere i posti riservati ai diversi ceti, il pubblico a teatro rappresentava una sorta di modello in scala ridotta di tutta la comunità, con le sue articolazioni e le sue gerarchie. Gli autori e gli spettatori erano consci del fatto che solo chi aveva una modesta cultura poteva comprendere a pieno le opere, tutti però, recepivano valori ideologici, morali e culturali. Un’altra forma di comunicazione orale era l’oratoria, che si esprimeva soprattutto nell’aula del senato, ma vi erano assemblee popolari aperte a tutti, le contiones, o comunque largamente partecipate, le comitia, in cui un’ampia moltitudine ascoltava i discorsi dei magistrati. L’oratoria giudiziaria si teneva in luoghi aperti dove chiunque poteva fermarsi ad ascoltare le esibizioni oratorie degli avvocati. I processi avevano un accentuato carattere di spettacolo pubblico. La redazione scritta dei testi teatrali era usata per l’esecuzione scenica ma non veniva letta come un libro, in privato. Quanto alle orazioni, non esistevano come testo scritto, ma l’oratore improvvisava largamente in base a una traccia preparata. Prima di Cicerone, questi testi non venivano messi in circolazione presso un pubblico generico di lettori ma restavano conservati negli archivi delle famiglie dei magistrati che avevano tenuto questi discorsi, e venivano trasmessi a una ristretta cerchia di amici e alleati politici come testimonianza della propria azione politica e giudiziaria. I testi di altri generi letterari prodotti nell’età arcaica erano destinati ad essere letti come linri, si tratta dell’epica e dell’annalistica. Avevano diffusione più limitata. I testi della prima storiografia romana, che si configuravano come uno sviluppo delle cronache pontificali, si può credere che restassero in archivi familiari e circolassero entro ambienti circoscritti dell’èlite romana. La grande produzione epica arcaica si rivolgeva idealmente a tutta la comunità. L’epica latina ereditava dall’epica omerica, e dall’uso che dell’epica omerica era stato fatto nella cultura greca successiva, l’ambizione di proporsi come testo in cui la comunità potesse riconoscere il patrimonio ideologico e culturale fondamentale della sua storia, come testo in cui la comunità nazionale potesse ritrovare la sua identità. Probabilmente questi testi entravano nella coscienza dei cittadini di Roma attraverso l’istruzione scolastica. La scuola fu a lungo organizzata prevalentemente su base domestica, e riservata alle élite, venivano studiati da coloro che avrebbero fatto parte del tessuto della classe egemone dello stato. Circolazione dei libri e pubblico dal II al I secolo a.C: nell’età arcaica prevale la comunicazione orale dei testi, che pure dall’autore sono composti per iscritto e che si conservano solo in quanto affidarti alla scrittura. Il libro è lo strumento normale per la lettura di testi letterari forse soltanto nell’attività scolastica e presso un ambito inizialmente ristretto. Nella tarda repubblica e poi nell’età augustea e imperiale, il libro diventa un oggetto usuale nella vita di molti Romani e molti cittadini delle province. Come era fatto il libro? Fino alla metà del I d.C. in ambiente romano si adoperava lo stesso tipo di libro in uso nel mondo greco: il rotolo di papiro, una serie di pagine rettangolari ricavate dal fusto della pianta di papiro, incollate orizzontalmente su strisce verticali sottostanti. Si scriveva per colonne su una sola superficie, la striscia della pagina veniva poi avvolta intorno a una bacchetta di legno incollata all’ultima pagina in modo che la scrittura stesse all’interno. Per leggere la si svolgeva gradualmente riavvolgendo la parte già letta intorno alla prima pagina. Soltanto in età imperiale -, verso la fine del I sec, inizia a diffondersi l’uso del codex, cioè del libro di forma simile a quella moderna, fatto di pagine di pergamena ripiegate, legate sul lato della piegatura e scritte su entrambe le superfici. Questa nuova forma che Marziale intorno all’83 dc annuncia come una novità consentiva grandi vantaggi, possibilità di contenere molto più testo con minore ingombro, facilità di consultazione di passi in parti diverse dell’opera. Tecnica che si impose lentamente. La nuova cultura cristiana, libera dai condizionamenti della tradizione classica approfittò subito dei vantaggi della praticità e della economicità di questo manuale. Pubblicazione e produzione domestica dei libri: dalle lettere di Cicerone apprendiamo che mandava agli amici in anteprima le sue opere, la pubblicazione si considera avvenuta quando la manda dichiarandone la versione definitiva. A questo punto gli amici sono autorizzati a mandarla ad altri amici, che la Tradizione indiretta: molti dei testi che conserviamo per tradizione diretta contengono al loro interno citazioni di brani di altre opere. Attraverso queste citazioni riusciamo a costruire i lineamenti di interi capitoli della letteratura antica che la tradizione diretta non ha salvato. ETA’ ARCAICA LETTERATURA IN ETA’ ARCAICA, LE ORIGINI: la tradizione antica fissava, per la letteratura latina, una data di nascita ufficiale, il 240 a.C., l’anno in cui Livio Andronico, rielaborando un modello greco, aveva portato sulla scena la sua prima opera teatrale. La data può apparire tardica considerato che Roma aveva ormai più di mezzo millennio di storia. Sulle motivazioni del ritardo ci si è lungamente interrogati. Probabilmente il tradizionalismo aristocratico che a lungo dominò nella cultura romana fu per secoli ostacolo alla spontanea fioritura dei testi. Di fatto, la letteratura romana si sviluppò in seguito all’impatto con la letteratura greca. I filologi antichi che fissarono la data 240 a.C. avevano ben chiara la novità del gesto di Livio, tra cui lo sviluppo di una scrittura cui lungamente furono delegate funzioni del tutto diverse da quella di tramandare testi letterari, e un’attività di espressione verbale letteraria che per secoli rimase affidata quasi interamente ai meccanismi dell’oralità. L’ANTICA COMUNITA’ ROMANA E LA SUA EVOLUZIONE POLITICA E CULTURALE Che il primo scrittore latino fosse un greco di Taranto è altamente significativo della funzione fecondatrice che la cultura greca esercitò nel processo di formazione della letteratura latina. I contatti di Roma con la civiltà greca risalivano a parecchi secoli addietro, erano stati essi a favorire il nascere delle tradizioni mitologiche che attribuivano alla città origini greche o troiane. Già nel periodo delle origini Roma si rivela come un crogiuolo delle diverse culture che si incrociavano nell’Italia di quell’epoca remota: nella protostoria italica è possibile distinguere diverse aree linguistico culturali, tra cui; l’area non indoeuropea etrusca, le varie indoeuropee, in primo luogo quella coincidente con il cosiddetto latium vetus, sede del latino di età storica. Il latino appartiene a sua volta a una più ampia area italica al cui interno è possibile distinguere altri blocchi linguistici distinti ma affini, l’umbro e il sabino nella regione settentrionale, l’osco nella regione centro meridionale. Sviluppo economico e differenziazioni sociali: se si prescinde dalle aree grecizzate, la prima accelerazione dello sviluppo economico sociale dell’Iralia muove dal Lazio e dall’Etruria meridionale tirrenica, in connessione con l’estendersi della proprietà privata della terra, si berifica una profonda divisione sociale e il costituirsi di potenti aristocrazie. L’evoluzione del resto della penisola segue con lentezza la stessa direzione. Le aristocrazie, a cominciare da quelle etrische e latine danno vita a una cultura opulenta e incrementano il consumo di beni di lusso. Questa fame di prestigio e di ricchezza appare fondata sul crescente sfruttamento dei ceti subalterni e sulla conflittualità tra i diversi potentati locali. Roma, da comunità agricolo pastorale a città: oggi siamo in grado di ricostruire con sufficiente approssimazione, almeno nelle grandi linee, il processo che portò alla formazione della città di Roma. Inizialmente i colli di Roma erano abitati da popolazioni dedite alla pastorizia e all’agricoltura, le quali dettero vita a diversi villaggi. All’interno di questi, ad un certo punto, iniziarono a emergere alcune famiglie più ricche per abbondanza di greggi, disponibilità di pascoli, proprietà di terreni coltivati. Nel loro diramarsi queste famiglie cercavano di mantenere come richiamo di identità il nome del capostipite, questa probabilmente è l’origine delle gentes. La conformazione fisica dei colli romani favoriva il convergere degli interessi degli abitanti verso il Tevere, l’asse fluviale costituiva un’importantissima via di comunicazione e di scambio con il resto d’Italia. Fu probabilmente la possibilità di controllare il traffico commerciale che dette a Roma una posizione di vantaggio sulle comunità vicine. Dalla metà del IX sec in poi l’antico sistema di villaggi si coagula intorno a un nucleo costituito prababilmente dal Palatino e dall’altura della Velia. È questa la fase protourbana. L’organizzazione politica è di tipo monarchico, il rex era un’emanazione dei patres, i capi delle famiglie più potenti, la cui coesione era chiamato a garantire con la sua autorità. Queste famiglie fornivano i quadri del primitivo senato, organo di consultazione del re. Così si formò il patriziato, mentre le masse di persone dedicate ad attività artigianali e commerciali, la cui immigrazione era attirata dalla nascente città, dettero origine alla plebs. L’esistenza di un certo grado di organizzazione militare è testimoniata dalle imprese di conquista della prima età regia. Dalla metà del VII sec in poi una città stato prende il posto di queste strutture protourbane, dando origine a un centro civico attraverso la sistemazione dei luoghi pubblici essenziali alla vita della città antica, come il comitium e forse il primo edificio per le riunioni del senato, curia senatus. Al rinnovamento di Roma contribuirono molto i sovrani etruschi che per buona parte del VI secolo detennero un potere regale, il quale si fondava ormai più sull’esercizio dell’imperium militare che sul rapporto con i ceti gentilizi tradizionali. I nuovi re dettero un forte impulso all’urbanizzazione, impegnandosi particolarmente nell’edilizia pubblica. La ricchezza che la città conosce in questo periodo è indizio di successi militari e supremazia totale. I re di provenienza etrusca erano permeati di cultura greca. L’influsso della religione greca su quella romana si esercitò sia introducendo con poche modifiche le divinità greche al culto latino, sia assimilandole a divinità italiche o etrusche. Nel lungo periodo ciò costituì un presupposto per la nascita della letteratura latina, contribuì a rendere familiari ai romani la rappresentazione antropomorfica delle divinità e le narrazioni mitologiche. Isolamento di Roma in epoca post etrusca: alla cacciata della dinastia dei Tarquinii segue tra V e IV secolo una fase di depressione politica e di oscuramento culturale in cui Roma sembra ripiegarsi su se stessa, i contatti con la grecità per un lungo periodo appaiono rallentati. In quest’epoca si definiscono le fondamentali strutture costituzionali dello stato romano, a partire dal potere consolare. ,a la crisi che porta alla nascita della repubblica è seguita da un periodo in cui le continue incursioni delle tribù montane nella piana latina finiscono per interrompere le comunicazioni commerciali tra l’Etruria e i suoi avamposti campani, con pesanti ripercussioni su Roma. All’interno della città si accentua il conflitto politico ed economico tra patrizi e plebei, che avrà soluzione solo con le leggi Licinie Sestie nel 367. LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETA’ TRA IV E III SECOLO: nel 367 un insieme di leggi, le Licinie Sestie, portava alla definitiva soluzione dell’antico conflitto tra patrizi e pkebei, e al riconoscimento ai plebei ricchi di una sostanziale parità, come soggetti politici, con i patrizi: si formava così una nuova classe dirigente, la nobilitas patrizio-plebea. Con quest’ultima alla guida della res publica, nella seconda metà del IV secolo lo sviluppo sociale ed economico innesca una spinta espansionistica che dopo la sottomissione dei Latini segue una duplice direttiva: il timore causato dalla penetrazione delle popolazioni galliche nell’Italia centrale orienta la conquista verso le regioni settentrionali della penisola che offriranno territori vasti e fertilissimi alla colonizzazione romana. La vittoria nelle lunghe guerre contro i sanniti favorisce l’espansione di Roma verso il Sud, il suo ingresso politico in Campania avrà ripercussioni importantissime sul piano culturale, segnando l’inizio di una nuova e più intensa fase dell’ellenizzazione. Quest’ultima riceverà un’accelerazione ulteriore nei primi decenni del III secolo in seguito alla vittoria su Pirro, quando conquisterà Taranto e tutta la Magna Grecia. La società romana mostra i segni di una cospicua differenziazione sociale, destinata ad accrescersi nei secoli successivi fino a determinare quel distacco tra elite e popolo che andrà assumendo dimensioni di vera e propria frattura. Il protrarsi delle campagne militari aveva come conseguenza l’impoverimento di larghe masse del ceto di piccoli agricoltori di cui si componeva il nerbo dell’esercito. Le operazioni belliche costringevano molti a trascurare per lungo tempo i loro poderi, e quindi a indebitarsi fino a perderne la proprietà. Il passaggio all’egemonia sull’Italia comportò un enorme ampliamento del territorio sottoposto alla diretta giurisdizione romana e permise l’espansione coloniale. La massa urbana è in forte crescita, alimentata sia dai flussi migratori dalle campagne, sia dal dilatarsi delle attività artigianali e commerciali. La costruzione nel 312 di un acquedotto è indizio della forte crescita della popolazione e sintomo della crescita economica e sociale, cospicuo sia nell’edilizia pubblica sia in quella privata delle famiglie nobili. L’espansione romana nel III secolo a.C. Dopo la vittoria su Pirro (275 a.C.) e la conquista della Magna Grecia, si aprì una nuova fase dell’espansione di Roma, che rapidamente la portò a entrare in conflitto con Cartagine per l’egemonia sul Mediterraneo, la prima guerra punica, svoltasi tra 264 e 241 a.C. ebbe tra le sue conseguenze la conquista della Sardegna e della Sicilia e la loro sistemazione a province romane. Negli stessi decenni Roma si impegnava ad arginare la discesa delle tribù galliche procedendo alla colonizzazione del Piceno, e alla sottomissione della valle padana. Una rapida e intensa romanizzazione si ebbe soprattutto nei territori più vicini al Lazio e in quelli della Campania, altrove, Roma si dimostrò più rispettosa delle autonomie locali e delle tradizioni consolidate di governo, dando prova di discreta flessibilità nell’esercizio della sua egemonia. L’avanzare della potenza romana finì però per schiacciare le tradizioni culturali delle popolazioni italiane, la conquista ebbe conseguenze mortificanti, avviando al deperimento e al declino di comunità un tempo fiorenti. L’indiscutibile successo di Roma era dovuto in larga parte al fatto che l’ampliarsi del suo orizzonte politico-militare faceva ormai sì che i suoi interessi coincidessero con la tutela di quelli dell’intera Italia. Roma seppe fare proprie le esigenze dei suoi alleati, e divenne sempre più parte integrante della comunità culturale ellenistica, il processo di ellenizzazione, largamente filtrato attraverso la Magna Grecia e la Sicilia, ebbe il suo principale promotore nell’aristocrazia dirigente. L’aristocrazia contribuiva a diffondere i gusti ellenizzanti anche attraverso le sue preferenze artistiche. I primi letterati e la loro condizione sociale: intrattenimenti di vario genere, i nobili giustificavano la propria pretesa alla supremazia. la penetrazione della cultura greca a Roma fu favorita dall’intensificarsi delle relazioni politiche, oltre alle numerose ambascerie affidate a intellettuali greci, andrà ricordata la presenza, tra gli ostaggi portati a Roma dopo la terza guerra macedonica, dello storico Polibio che che visse lungamente in contatto con l’ambiente scipionico. un gran numero di libri greci venne messo a disposizione del pubblico colto in seguito alla spoliazione e al trasferimento a Roma di intere biblioteche, il caso più famoso è quello della biblioteca del re di Macedonia Perseo, portata a Roma da Emilio Paolo dopo la vittoria del 168 a.C. in questo periodo nasce a Roma una storiografia, che si propone lo scopo di rendere noti all’estero i motivi della propaganda romana e incominciano a diffondersi la retorica e la filosofia. l’arte della parola, che aveva in Grecia una secolare tradizione, forniva un nuovo mezzo per affermarsi nella vita politica. la persuasione non si basava più esclusivamente sull’autorità dell’oratore, sulla sua appartenenza a un grande casato: diveniva necessario trovare argomenti capaci di penetrare nell’anima, imparare a costruire discorsi secondo una tecnica sapiente. la filosofia veniva guardata con ostilità dai tradizionalisti, perchè, indagando i fondamenti della morale e della giustizia, pareva mettere in discussione i valori sui quali a Roma si basava la superiorità sociale e l’esercizio del potere. è esagerato parlare di una drastica polarizzazione tra filoellenici e antiellenici, rappresentati dall’ala dell’aristocrazia guidata da Catone il censore: è vero che Catone si preoccupò di filtrare attentamente la penetrazione della cultura greca, sforzandosi da un lato di emarginare la spinte di illuminismo radicale, suscettibili di incrinare il MOS MAIORUM, e dall’altro di porre argine all’emergere di personalità esemplate sul modello di uomini politici ellenistici che parevano insediare gli equilibri interni dell’aristocrazia. in passato, i promotori più consapevoli del processo di ellenizzazione della cultura romana sono stati talora identificati nel gruppo di aristocratici e intellettuali raccolto intorno a Scipione Emiliano: di questa cerchia facevano parte ad esempio lo storico greco Polibio che nella sua opera avrebbe indagato i motivi della superiorità di Roma sulle altre nazioni; il filosofo greco Panezio, il riformatore dello stoicismo, che nel trattato PERI TU KATHEKONTOS, sul comportamento appropriato, avrebbe fornito un modello di comportamento ai membri dell’aristocrazia romana, nel suo trattato, Panezio forniva una giustificazione all’imperialismo romano in quanto proteso allo sviluppo della civilizzazione degli altri popoli, forse polemizzando contro le antilogie, cioè i discorsi contrapposti, sulla giustizia, attraverso le quali Carneade aveva inteso dimostrare come il dominio di Roma si basasse sulla rapina; Galio Lelio, che Cicerone avrebbe eletto a protagonista del De Amicitia. GENERI LETTERARI E PUBBLICO NELL’ETA’ DELLE CONQUISTE: epica nazionale e celebrazione delle grandi personalità: La letteratura dell’epoca accoglie talvolta in maniera contraddittoria sollecitazioni divergenti:il poema epico storico di Ennio, gli Annales, mostra consonanza con la visione di Catone, celebrando i mores antiqui come saldo fondamento della res publica, ma gli stessi Annales si allontanano dall’ideale catoniano per le vistose concessioni all’esaltazione delle grandi personalità e a una visione eroica della storia. in una direzione non diversa agisce anche un’opera come gli Hedyphagetica, che legittima il lusso aristocratico, la propensione per uo stile di vita elegante. da Ennio in poi il teatro, in parte ispirandosi ad Euripide, concede un certo spazio a dibattiti sui valori etici, la spinta al rinnovamento moraòe ispira anche la commedia di Terenzio che riformulando l’aspirazione menandrea alla philantrophia propone l’ideale di rapporti umani basati sulla comprensione e sulla tolleranza. DEGRADAZIONE DEL PUBBLICO DI MASSA: il teatro è la forma che maggiormente risente della fondamentale modificazione cui il pubblico della letteratura va incontro in questo periodo. l’approfondirsi del divario economico e culturale tra l’’aristocrazia e i ceti inferiori determina la crescente degradazione dei gusti della massa. i grandi autori teatrali del passato continuano a riscuotere vasto successo, ma la nuova produzione si inaridisce, mentre aumenta lo spazio di forme di rappresentazione povere di contenuto culturale, come il mimo. di conseguenza la letteratira si rivolge assai meno di un tempo alla comunità nel suo insieme, la letteratura sembra presentarsi come elemento caratterizzante dello stile di vita delle classi elevate, in grado di distinguere autori e fruitori dalla massa degli incolti. L’INCUBAZIONE DELLA CRISI DELLA REPUBBLICA: agitazioni graccane e loro repressione: nel 133 e poi nel 122 a.C. l’aristocrazia soffocò nel sangue i tentativi di riforma messi in atto da due tribuni della plebe, Tiberio Gracco e suo fratello Gaio. soprattutto il programma politico di Gaio si proponeva oltre che di alleviare le condizioni delle masse diseredate, di adeguare le strutture costituzionali e amministrative ella res publica alle nuove responsabilità che l’espansione imperiale aveva imposto a Roma: Gaio Gracco aveva cercato di agganciare al suo progetto nuove forze politiche come il ceto equestre e i ceti emergenti dell’Italia. CONFLITTO TRA SENATO E CAVALIERI E GUERRA SOCIALE: la storia dei decenni successivi sarà dominata da un lato dal conflitto tra senato e cavalieri per il controllo dei tribunali dove si celebravano i grandi processi politici, e dall’altro dalla pressione degli Italici per accedere alla cittadinanza romana e ai vantaggi da essa conseguenti, in primo luogo la possibilità di far parte della classe dirigente di Roma e di partecipare alle scelte politiche. la situazione sfociò in una guerra sanguinosa tra Roma e i suoi alleati italici, dal 91 all’89 a.C. che si concluse con la vittoria militare di Roma e con l’accettazione delle richieste degli sconfitti , ai soci italici venivano concessi i diritti alla cittadinanza romana. IL DOMINIO DI MARIO: le forze democratiche, che auspicavano un rinnovamento della classe politica trovarono in questi decenni un punto di riferimento in Gaio Mario, un Homo novus, cioè privo di antenati che avesserp ricoperto magistrature importanti, il quale, grazie al suo talento militare arrivò a ricoprire numerose volte il consolato e a usufruire per anni di un potere quasi incontrastato. Mario ottenne i suoi maggiori successi nella guerra contro il re Numida Giugurta, nel corso di questa guerra egli aveva arruolato per la prima volta anche dei nullatenenti dando così il primo impulso alla trasformazione dell’esercito romano in una serie di armate professionali devote ai loro capi e pronte a seguirlo in ogni avventura. LA REAZIONE SILLANA: un esercito personale fu anche quello che permise la riscossa aristocratica la quale trovò il suo campione in Lucio Cornelio Silla, egli, che già aveva imposto con la forza delle armi il suo dominio su Roma nell’88, si era in seguito dovuto recare in oriente per condurvi la guerra contro il re del Ponto Mitridate; in assenza di Silla, la fazione mariana aveva potuto riassumere il potere, ma venne definitivamente liquidata quando Silla impose la dittatura nell’83, la depose volontariamente nel 79, dopo aver proceduto a una riforma della costituzione romana in senso filoaristocratico. sotto il potere di Silla si consolidò la forza di nuovi leaders come Pompeo e Crasso, destinati a giocare un ruolo di primissimo piano nelle vicende successive della res publica. GENERI LETTERARI E PUBBLICO TRA L’ETA’ DEI GRACCHI E L’ETA’ DI SILLA: in quest’epoca, l’intensificarsi dei contatti con la cultura greca determina l’approfondirsi e l’affinarsi della formazione letteraria dell’aristocrazia romana e delle elites dell’Italia che a essa cercano di accostarsi. intellettuali greci ttrovano ospitalità e protezione nelle case delle grandi famiglie dove svolgono funzione di precettori. di cultura greca si nutre in particolar modo l’eloquenza, la quale raggiunge standards elevatissimi con Gaio Gracco e nella generazione successiva con Antonio e Crasso. prende piede con lentezza la pratica di conferire forma scritta ai discorsi precedentemente pronunciati, segno che gli oratori cominciano a tenere d’occhio un’opinione pubblica di lettori più vasta dell’uditorio circoscritto che costituisce il loro destinatario immediato. l’elite si apre a forme di fruisìzione artistica di puro diletto, diversi generi di poesie minori, che si rivolgono a un pubblico estremamente ristretto. un tipo radicalmente nuovo di destinatario è presupposto dalla satira, il genere inventato da Lucilio che si rivolge a un pubblico medio, socialmente elevato. LIVIO ANDRONICO: la nascita della letteratura latina secondo la tradizione più accreditata, la cui fonte è Varrone, Roma venne fondata nel 754 a.C. un’altra fonte, Cicerone, ci informa che cinque secoli dopo, nel 240 a.C., Livio Andronico, un letterato di madrelingua greca, giunto a Roma come schiavo in seguito alla guerra tarentina, compose e fece rappresentare ai ludi Romani il primo dramma scritto il lingua latina. per convenzione, usiamo questa data per uscire dalla preistoria culturale di Rome ed entrare nella fase storica della sua civiltà letteraria, l’età arcaica, che si estenderà dal 240 a.C. alla morte di Silla nel 78 a.C.. In questo momento della sua storia Roma è una città stato che si è da poco imposta come una delle grandi potenze del mediterraneo, dopo aver conquistato l’Italia meridionale ed aver sconfitto Cartagine, alla potenza militare e politica non corrisponde un adeguato livello culturale. i membri delle grandi famiglie della nobilitas romana, hanno una visione tradizionale e pragmatica della cultura, sono dei politici e dei militari sostanzialmente disinteressati alle attività teoretiche ed artistiche. quando cominciano a promuovere l’ingresso e la diffusione delle prime forme letterarie a Roma, assumono esclusivamente il ruolo dei committenti affidando l’elaborazione dei testi poetici a stranieri di cultura greca e di origini prevalentemente umili e servili. nel momento in cui Roma esce dai confini della propria ristretta cultura, fondata essenzialmente sui valori dei mores, il mediterraneo si trova a vivere nel pieno di quell’età che chiamiamo ellenistica, caratterizzata dall’espansione della cultura greca al di fuori della poleis. quella ellenistica è l’epoca in cui si passa da una cultura ancora fondamentalmente orale a una cultura orientata verso il tramite della comunicazione scritta, che prevede una fruizione individuale dell’opera attraverso il libro. il pubblico si allarga ma al tempo stessp si specializza e subisce una selezione: i letterati ellenistici, sparsi per il vastissimo territorio ormai grecizzato, scrivono essenzialmente per altri letterati, o comunque per lettori colti. la letteratura a Roma nasce dunque in un’età in cui già esiste in tutto il Mediterraneo una ricchissima e raffinata attività letteraria in lingua greca e in cui, grazie all’opera degli eruditi e romano, nella quale si celebra la vittoria di Fulvio Nobiliore contro gli Etoli in Ambracia, nell’Epiro meridionale. nel 184 ottiene un appezzamento di terra nella nuova colonia di Pesaro e l’ambita cittadinanza romana. vive sull’Aventino, presso il tempio di Minerva. dedica l’ultima parte della vita, oltre che alla composizione di opere teatrali, a quella che diventerà la sua opera più importante, gli Annales, un poema epico sulla storia di Roma. muore nel 169 e il suo corpo viene tumulato nella tomba degli Scipioni a Roma. Gli Annales sono il primo poema latino in esametri, narravano la storia di Roma fino ai tempi del poeta, in 18 libri, ce ne restano 437 frammenti, per un totale di circa 600 versi. Il poma di Ennio è l’unica opera latina di età medio repubblicana della quale posssiamo farci un’idea di una qualche ampiezza. Ennio doveva vedere la sua poesia come celebrazione di gesta eroiche, si rifaceva così da un lato a Omero, dall’altro alla recente tradizione dell’epica ellenistica, di argomento storico e di contenuto celebrativo. Il titolo voleva richiamarsi alle raccolte degli aìAnnales Maximi, le pubbliche registrazioni di eveti che i pontefici massimi, il pù importante collegio sacerdotale, redigevano anno per anno. anche l’opera di Ennio erra condotta secondo un ordine cronologico progressico, dalle origini ai giorni nostri, ma non dobbiamo pensare che egli trattasse tuttu u periodi con lo stesso ritmo e la stessa concentrazone .se da un lato Ennio lascia molto spazio alle antiche leggende sulle origini di Roma, dall’altro, predilige esclusivamente gli eventi bellici mentre si occupa pochissimo di politica interna. e’ la guerra l’interessa di un poeta epico ed è la guerra l’attività in cui si mostra la virtù romana. Sembra che Ennio avesse programmato inizialmente di scrivere un poema in 15 libri, che si sarebbe ocncluso con il trionfo di Fulvio Nobiliore, il protettpre del poeta, e forse la consacrazione da parte di Nobiliore stessp di un tempio alle Muse, le divinità greche della poesia. Il primo proemio era probabilmente aperto dalla tradizionale invocazione alle Muse, quindi con un’invenzione molto più audace, Ennio raccontava di un sogno in cui Omero gli rivelava di essersi reincarnato proprio in lui. In questo modo Ennio si presentava come il vivente sostituto di colui che nel giudizio degli antichi era il più grande poeta di tutti i tempi. Ennio è il cantore della virtus individuale, eroica, a differenza di quanto accadeva nelle opere di Nevio, gli Annales sono affollati di condottieri, ricordati con il loro nome, con la presunzione che la voce del poeta saprà renderli immortali non solo per le virtù guerriere ma anche per quelle di pace. molti romani pensavano che la poesia non fosse altro che questo: celebrazione di azioni eroiche in versi , e molti illustri protettori avranno incoraggiato questi esercizi che erano adatti ad amplificare, in una cornice epica e trasfigurante, le più recenti imprese di generali che erano anche capi politici. Fino a tutta l’età imperiale, la poesia epica continua ad essere il miglior legame tra letteratura e propaganda, tra letteratura e potere. la produzione di Ennio è vasta e ricca, comprende oltre agli Annales, alle tragedie e alle commedie, una serie di opere considerate minori, testimonianza dei vasti interessi culturali del poeta. distinguiamo innanzitutto le opere di carattere filosofico: - EPICHARMUS: Epicarmo era un poeta comico in lingua greca vissuto in Sicilia fra il VI e il V secolo a.C. Al tempo di Ennio girava un libretto di massime a lui attribuite, dove erano esposte dottrine filosofiche di ispirazione pitagorica o empedoclea. Ennio scrisse un poemetto in settenari di cui rimangono pochi frammenti. il poeta in sogno si vede morto, trasportato nell’oltretomba, incontra Epicarmo che gli comunica la dottrina dei quattro elementi, rivelandogli la natura del cosmo. - EUHEMERUS: forse la prima opera letteraria in prosa del mondo latino, è un adattamento della hiera anagraphe di Evemero di Messina, un filosofo greco vissuto tra IV e III secolo. lo spunto dell’opera, che presentava un’interpretazione naturalistica e razionalistica dei miti, è romanzesco. l’autore immagina di aver trovato, nelle favolose e lontane isole Panchee, su una stele d’oro del tempio di zeus, un’iscrizioe in cui si raccontava la storia sacra degli dei venerati nel mondo greco, in realtà uomini divinizzati dopo la loro morte per i loro meriti - PROTREPTICUS, o PRAECEPTA: è un invito alla filosofia, proprio come l’omonimo libro scritto da Aristotele due secoli prima per esortare i giovani ad accostarsi agli studi filosofici. - lo SCIPIO, un poemetto che celebrava il vincitore di Zama, terza guerra punica, gli EPIGRAMMATA, in distici elegiaci, il SOTA, gli HEDYPHAGETICA, traduzione in esametri di un poemetto gastronomico di Archestrato di Gela, le SATURAE, su argomenti diversi, forse in quattro libri. l’attività di Ennio è dunque più varia e complessa di quella di Livio o Nevio. Ennio scrive per il teatro, compone un poema epico-storico, dimostra preoccupazioni di ordine filosofico, affronta anche generi letterari di tono leggero, risolvendo problemi di metrica e di linguaggio. la sua immagine pubblica si muove lenamente e al termine della sua vita non è più ormai solo quella di un grammatico bisognoso di un alto protettore, ma l’immagine di un personaggio illustre degno di far parte della famiglia scipionica. PLAUTO: autore e attore di teatro, formatosi nell’ambito del teatro indigeno e popolare (atellana) e poi venuto in contatto con la grande tradizione della commedia greca, Plauto è il primo autore latino a specializzarsi in un solo genere, la Palliata, abbandonando la polivalenza inaugurata da Livio e conivisa da Nevio e Ennio. Plauto nasce fra il 255 e il 250 a.C. a Sarsina, un piccolo centro dell’Appennino emiliano-romagnolo, sottomesso da pocoal dominio romano. Scarse e poco attendibili le notizie biografiche che possediamo, Plauto sarebbe stato attore presso una compagnia di commedianti come confermerebbe uno dei suoi TRIA NOMINA, MACCIUS, termine che designava la maschera dello sciocco bastonato nell’atellana. al mondo dei comici potrebbe rimandare anche il cognome Plautus, sul cui significato tuttavia anche gli antichi erano incerti, alcuni lo consideravano una latinizzazione della forma umbra Plotus: uomo dai piedi piatti, alttri lo mettevano in relazione con una specie di cani dalle orecchie pendenti. dedicatosi al commercio, sarebbe presto andato in rovina forse negli anni della crisi economica successiva all’invasione di Annibale in Italia. costretto per sopravvivere a girare la macina di un mulino, avrebbe scritto tre commedie rappresentate con successo. di qui l’inizio della sua attività di autore comico. in realtà la notizia delle peripezie servili di Plauto ha tutta l’aria di essere falsa probabilmente derivata proprio dall’importanza che assume nella sua opera la figura del servus. E’ in ogni caso certo che Plauto fosse un uomo libero anche se probabilmente non assunse mai la cittadinanza romana. Plauto compose un gran numero di Palliate, tutte rappresentate con successo anche dopo la morte, la fortuna delle sue opere determinò falsificazioni e imitazioni: numerose compagnie approfittarono del nome di Plauto per attirare spettatori, attribuendogli commedie non sue. Varrone affrontò il problema di capire quali fossero le sue vere commedie: divise le 130 commedie attribuitegli in tre gruppi, secondo criteri sostanzialmente stilistici: 21 furono considerate genuine, 19 incerte e di difficile attribuzione, le rimanenti illegittime. le commedie plautine che ci sono pervenute corrispondono alle 21 fabulae varroniane, trasmesse in ordine alfabetico e nel complesso integre. le eprdite riguardano in genere le commede poste all’inizio e alla fine dei codici, le parti più deperibili e sottoposte a maggior logoramento. dati i caratteri della palliata latina, che prevede scarsi riferimenti all’attualità, la convenzionalità delle trame, la sostanziale omogeneità del linguaggio plautino e la scarsità delle testimonianze in nostro possesso, risulta arduo individuare un ordine cronologico di composizione e rappresentazione. tutte le commedie plautine sono precedute da un argumentum che riassume sommariamente la trama della commedia. Le Fabulae: tutte le commedie plautine sono fabulae palliate, ambientate in una città greca e derivate dai modelli della commedia nuova ellenistica. le commedie plautine prevedono un prologo, un’azione e un epilogo. nelle cinque commedie prive di prologo l’antefatto viene esposto dagli stessi personaggi in dialogo o monologo. Plauto approfitta di questo spazio per rompere l’illusione scenica e per avviare un rapporto diretto con gli spettatori. nella amggior parte delle commedie la situazione di base non cambia, un giovane di buona famiglia arde d’amore per una fanciulla che lo ricambia, l’amore è però ostacolato dal padre di lei o la mancanza di denaro gli impedisce di riscattare la ragazza. nel tentativo di salvaguardare il proprio amore il giovane è assistito da aiutanti astuti e intraprendenti, in genere il servus callidus che fa coppia fissa con lui. opposti agli aiutanti stanno le figure degli antagonisti. le palliate prevedono un finale rigorosamente lieto. i personaggi: i personaggi di Plauto non sono dei caratteri individuati ma delle maschere fisse e per questo già note al pubblico nel momento stesso in cui si presentano in scena. influenzato dall’atellana, l’autore rafforza l’elemento caricaturale e farsesco trascurando completamente gli approfondimenti psicologici. generalmente nei prologhi si allude a personaggi della vicenda non con nomi propri ma con nomi generici. il giovane innamorato è uno dei protagonisti della palliata, incapace di superare gli ostacoli che gli pone la vita. il vecchio viene caratterizzato in modi diversi, talvolta è il padre severo e perennemente beffato che cerca inutilmente di impedire l’amore tra i due, talvolta un grottesco concorrente del figlio nella lotta per la conquista della donna in questione. minore importanza rivestono i ruoli femminili, non è infrequente che la ragazza desiderata non compaia mai in scena o svolga una particina marginale. il ruolo femminile più importante è quello della cortigiana, una figura sconosciuta a Roma prima che nascesse la palliata e che era invece consueta nel mondo greco. un altro ruolo importante viene svolto dalla matrona, madre dell’adulescens e sposa del senex, quasi sempre autoritaria e dispotica, accade che spesso il senex sia vittima della sua ira furibonda. presente in ben nove commedie di Plauto, il parassita è uno dei tipi più buffi e curiosi della palliata, caratterizzato da una fame insaziabile, spesso fonte di rovina economica per il disgraziaro che ha deciso di mantenerlo a sue spese. riconosce in pochi elementari principi: il riconoscimento della dignità della persona, i valori dell’individuo, la solidarietà umana. il più celebre verso della commedia terenziana dice: “homo sum: humani nihil a me alienum puto”. Humanitas, per Terenzio, significa anzitutto volontà di comprendere le ragioni dell’altro, di sentire la sua pena come pena di tutti: l’uomo non è più un nemico, un avversario da ingannare con mille ingegnose astuzie, ma un altro uomo da comprendere e aiutare. lingua e stile di Terenzio: Terenzio evita ogni eccesso a favore di uno stile medio, uniforme ed elegante, fondato su un ideale di naturalezza espressiva e decoro. l’uniformità dello stile pretende omogeneità linguistica e sobrietà retorica, vengono significativamente ridotte le figure di suono, i neologismi e gli arcaismi. sarebbe sbagliato identificare la lingua di Terenzio con il sermo familiaris. egli ha l’ambizione di creare uno stile colto fondato sugli ideali etici di misura, grazia, decoro, destinato a una società raffinata, dedita agli studi, alle letture, alle conversazioni. uno stile che doveva apparire particolarmente consono agli ideali linguistici e filosofici del gruppo scipionico. l’ideale stilistico di Terenzio viene confermato sul piano metrico: in Plauto era predominante l’elemento lirico musicale, la varietà polimetrica delle soluzioni, Terenzio invece preferisce una metrica più discreta, affidata generalmente al senario giambico e al settenario trocaico. CATONE: la nascita della prosa latina: Le più antiche storie di Roma furono scritte in greco e in forma annalistica verso la fine del III secolo a.C. da due aristocratici di rango senatorio, Quinto Fabio Pittore e Cincio Alimento. fino a quel momento la memoria del passato era stata affidata esclusivamente a un complesso di nude registrazioni cronachistiche con le opere dei primi annalisti la scrittura della storia entra nella fase propriamente letteraria, questa svolta fondamentale fu determinata in pari tempo da motivazioni di ordine culturale e storico-politico. per concorde testimonianza delle fonti il primo storiografo romano fu Quinto Fabio Pittore, discendente di un’antichissima e illustre famiglia patrizia. Catone fu il primo oratore romano a scrivere e pubblicare i propri discorsi, compose la prima opera storica in latino e il primo trattato di tecnica agraria, dando un impulso decisivo allo sviluppo della prosa latina. Catone visse a lungo, in un’epoca densa di avvenimenti decisivi e di profondi mutamenti per la repubblica romana, quel “secolo degli Scipioni” in cui Roma, sconfitta CArtagine, diviene padrona del Mediterraneo e si apre sempre più all’influenza dell’Oriente ellenizzato. Conservatore intransigente, per tutta la vita condusse un’accanita battaglia politica e culturale in difesa del mos maiorum contro l’aristocrazia filellenica e le tendenze innovatrici. la sua opera di scrittore va interpretata in strettissimo rapportp con la sua instancabile attività di uomo politico e di magistrato. Catone nasce nel 234 a.C sui colli Albani, dopo essersi trasferito a Roma intraprende la carriera politica con l’appoggio di Valerio Flacco. nel 204, mentre è questore in Sicilia al seguito di Scipione che sta preparando la decisiva spedizione africana contro Cartagine, promuove un’inchiesta in senato contro le eccessive prodigalità del generale, ma senza esito. nel 187 Catone sferra l’attacco decisivo contro gli Scipioni spingendo i tribui della plebe a mettere sotto accusa, per gravi irregolarità amministrative Publio Cornelio Africano e suo fratello Lucio. evitata la condanna grazie al suo immenso prestigio l’Africano deve comunque andare in esilio volonatrio. Dopo la caduta dei suoi più terribili avversari, Catone ha via libera per coronare la sua carriera politica con l’elezione alla censura. ancora con Valerio Flacco, nel 184. nell’assumere la prestigiosa carica volle presentarsi come il difensore delle tradizionali virtù romane, il campione dell’ordine, della conservazione politica e sociale, della moralizzazione pubblica. Catone attaccò sistematicamente la nobilitas progressista di tendenze ellenizzanti, fautrice di una politica espansionistica che egli giudicava eccessiva e pericolosa. la sua posizione fu invece quella di un aristocratico tradizionalista e conservatore, difensore del ceto dei possidenti agrar e della legalità istituzionale e dell’ordine senatorio. la sua politica culturale continuò ad essere mprontata a severe posizioni antiellenicge, fu lui a promuovere la cacciata dei filosofi e dei retori nel 161 e a favorire l’allontanamento dei tre filosofi ateniesi giunti a Roma nel 155 per una missione diplomatica. al leggendario rigore catoniano nelle questioni politiche e amministrative interne fa riscontro un atteggiamento moderato e rispettoso dei diritti degli alleati in politica estera. Egli era favorevole a una politica di equilibrio nel Mediterraneo contro un espansionismo incontrollato che giudicava pericoloso per l’integrità sociale e culturale dello stato romano. Le orazioni: Catone si dedicò all’attività oratoria fin dalla prima giovinezza ed esercitò poi ininterrottamente l’eloquenza fino al 149, l’anno della sua morte. Catone esercitò con eguale padronanza tanto l’eloquenza politica quanto quella giudiziaria. numerosi i discorsi di autodifesa che Catone sa trasformare abilmente in durissime requisitorie contro i suoi avversari. spicca la predilezione per i temi politici e per le cause pubbliche rispetto a quelle private. L’oratoria fu per Catone strumento, e insieme documento della sua battaglia politica e culturale. la maggior parte delle orazioni di cui ci sono pervenuti frammenti e notizie si concentrano nei momenti più intensi della sua carriera pubblica, spesso in coincidenza con eventi di rilevanza cruciale per la res publica. Cicerone, analizzando nel Brutus le caratteristiche dell’oratoria Catoniana evidenzia un’articolata varietà di aspetti: la concisione, la vivacità e brillantezza delle espressioni, l’asprezza nell’inventiva, un’elegante semplicità. d’altra parte denuncia quelle che secondo il gusto della sua epoca sono inevitabili manchevolezze: il linguaggio arcaico, l’assenza del ritmo, la struttura paratattica, cospicua presenza di traslati e figure retoriche. Opere pedagogiche e tecnico-didascaliche: il DE AGRI CULTURA: è la prima opera in prosa della letteratura latina a noi pervenuta per intero. è anche il primo tarttato di economia e tecnica agraria documentato nel mondo romano, capostipite di una tradizione de re rustica che sarà continuata fino alla tarda antichità. composto probabilmente intorno al 160, il liber consta di 162 capitoli di ampiezza diseguale, preceduti da un’introduzione. legittimazione morale e sociale dell’agricoltura: nel passo proemiale Catone afferma che l’agricoltura è superiore alle altre attività sul piano morale e sociale per il suo valore educativo nonchè preferibile dal punto di vista del concreto profitto economico. l’autore legittima e difende in tal modo la tradizionale vocazione agraria dell’aristocrazia romana, in un momento in cui si stava sviluppando una nuova classe media fondata sulla ricchezza mobiliare in seguito alla conquista del Mediterraneo. l’agricoltura era per tradzione antica l’unica attività produttiva giudicata onorevole per la nobilitas romana. Catone propone qui un vero e proprio modello umano, presentandolo come schiettamente romano e italico: l’agricoltore esperto e moralmente sano: vir bonus colendi peritus. buon cittadino e buon soldato, da contrapporre all’idea ellenizzante dell’humanitas che andava formandosi in quegli anni in ambiente scipionico. dopo la prefazione l’opera prende l’andamento di una sorta di manuale o guida per il proprietario agricoltore, o meglio, raccolta miscellanea di prescrizioni, consigli e indicazioni varie che si susseguono disordinatamente. la Villa catoniana non è ancora il latifondo ma un’azienda di medie o vaste dimensioni che comporta un certo investimento di capitali, impiega mano d’opera servile e produce in vista della vendita su larga scala.sembra rispecchiare una fase iniziale di concentrazione della proprietà fondiaria in cui si verifica il passaggio dalla produzione per il consumo familiare e locale all’economia di mercato. il De agri cultura era soltanto uno fra i numerosi trattati o manuali scritti da Catone su argomenti tecnico-pratici, alcuni dei quali erano rivolti al figlio Marco, nato intorno al 192, da qui il titolo globale d Praecepta o Libri ad Marcum filium. sembra che costituiscano una sorta di enciclopedia del sapere pratico funzionale alla formazione del buon cittadino romano, fondata sui valori della tradizione e del costume nazionale e composta espressamente per impartire al figlio un’educazione autenticamente romana da contrapporre al nuovo modello educativo ormai diffuso presso le famiglie aistocratice filoelleniche. negli anni della vecchiaia Catone si diede a scrivere un’opera storica in sette libri, intitolata Origines. di questa, che è la prima opera storiografica in lingua latina avanzano soltanto pochissimi frammenti. i sette libri comprendevano: la leggenda ancestrale degli Eneadi, la fondazione di Roma e i fatti dell’epoca regia. le origini delle principali città italiche, la prima e la seconda guerra punica, tutti gli eventi successivi fino al 149. Catone scrive in latino e rifiuta lo schema annalistico finora invalso nelle memorie storiche di Roma per adottare un metodo sintetico di narrazione per sommi capi, esprimendo il proprio fastidio per l’elencazione minuziosa di fatti. l’autore infine dà dimensioni nuove e italiche all’interesse storiografico, ampliandolo a tutta la penisola e sottolineando i forti legami che univano Roma alle atre civitates italiche in una civiltà ormai comune. LUCILIO: il padre della satira Lucilio nasce a Sessa Aurunca, un’antica colonia tra Campania e Lazio, la data di nascita è incerta e secondo san Gerolamo va collocata nel 148. Lucilio apparteneva a una famiglia del ceto equestre che possedeva latifondi in Sicilia, Sardegna, nel Lazio e nell’Italia meridionale. per rango sociale e per censo Lucilio poteva dunque ambire a un’illustre carriera militare e politica. Lucilio non è solo il primo letterato romano di famiglia nobile e ricca, ma anche il primo che rinunci volontariamente alla carriera pubblica e agli onori civili per dedicarsi esclusivamente all’attività poetica. la sua opera comprende trenta libri di satire, di cui possediamo soltanto un migliaio di frammenti per un totale di circa 1370 versi, ma il frammento più lungo è di soli 13 versi. il titolo e l’ordinamento della raccolta sono posteriori. la poetica: e interrogare i grandi testi del pensiero greco con immediato riferimento ai pensieri del presente. Anche la poesia mostra di reagire alla crisi contemporanea. Negli ultimi decenni della repubblica si fanno numerosi i casi di poeti economicamente e socialmente indipendenti che non hanno bisogno di associarsi a potenti patroni. Il distacco dai valori dell’impegno politico e civile si esprime in Catullo e negli altri neoterici attraverso la ricerca di un nuovo mondo di valori, legato alla sfera delle esigenze private e personali, prima di tutto l’amore e la passione. Il poeta rifiuta di farsi portavoce di una civitas dalla quale si sente sradicato e rifiura il poema epico storico di stile grandioso. Il rifiuto dei valori tradizionali, il loro radicale svuotamento ha parte importante anche nel grande poema di Lucrezio che fonda quel rifiuto sulla proclamazione di una verità scientifica, le eterne e immutabili leggi della natura, di fronte alla quale ogni ambizione umana si rivela illusoria. CESARE: Cesare nacque a Roma il 13 luglio del 100 a.C. da una famiglia di antichissima nobiltà. Essendo imparentato con Mario, in gioventù Cesare venne perseguitato dai sillani e fu costretto ad abbandonare la città per qualche tempo. Tornò dopo la morte di Silla, per intraprendere la carriera politica, fu questore, poi eddile, poi pontefice massimo, poi pretore. nel 60 stipulò con Pompeo e Crasso l’accordo del primo triumvirato, in vista della spartizione del potere. Nel 59 rivestì il consolato, e l’anno successivo, allo scadere della carica, gli fu affidato il proconsolato in Illiria e nella Gallia romanizzata, la cosiddetta narbonense. Cesare intraprese l’opera di sottomissione di tutta la Gallia, con una conquista durata sette anni che gli procurò un vastissimo potere personale. Nel corso delle lunghe campagne Cesare compose sette libri di Commentarii de bello Gallico, nei quali annotava anno per anno gli eventi della guerra, mischiando ai resoconti militari varie osservazioni di carattere etnografico e geografico sui popoli e regioni attraversate. Un ottavo libro fu aggiunto da un luogotenente di Cesare, Aulo Irzio. Quando i suoi avversari a Roma cercarono di impedirgli di passare dal proconsolato il Gallia a un secondo consolaro, Cesare varcò in armi il Rubicone, confine con l’Italia, un avvenimento che segna l’inizio della guerra civile tra Cesare e il senato romano. L’esercito senatorio venne sconfitto a Farsalo in Tessaglia nell’Agosto del 48. Cesare insegue Pompeo in Egitto per volgersi poi a soffocare gli latri focolai di resistenza in Africa e Spagna. Come era avvenuto per le guerre in Gallia, anche per la guerra civile Cesare compone dei commentarii in tre libri, altri tre sono opera di continuatori, tutti anonimi, e registrano gli avvenimenti fino alla battaglia di Munda del 45. Cesare è ora padrone di Roma e ricopre più volte dittatura e consolato. ma un gruppo di aristocratici di salda fede repubblicana organizzano una congiura contro di lui, Cesare viene assassinato il 15 marzo del 44. Il commentarius come genere storiografico: il termine commentarius, che ricalcava il greco Hypomnema, indicava un tipo di narrazione a metà tra la racciolta dei materiali grezzi e la loro elaborazione nella forma artistica. Il commentario di Cesare, come egli lo concepiva e lo praticava, andava probabilmente avvvicinandosi alla historia. lo dimostrano la drammatizzazione di certe scene collettive, in cui vengono evocati i sentimenti di entrambi gli eserciti, il ricorso, in alcuni casi, al discorso diretto. Ma Cesare usa un’ammirabile sobrietà nel conferire al proprio racconto efficacia drammatica. Questo atteggiamento antiretorico è visibile ad esempio già nell’aèertura del De bello galluico, che manca di un proemio corrispondente alle consuetudini della historia. in questa direzione va anche la rinuncia alla prima persona e la scelta di parlare di se in terza persona, che distacca il protagonista dall’emozionalità dell’ego e lo pone come personaggio autonomo nel teatro della storia. Le campagne in Gallia nella narrazione di Cesare: I 7 libri del De Bello Gallico coprono il periodo dal 58 al 52, in cui Cesare procede alla sottomissione della Gallia, la conquista, molto difficile, si svolse secondo fasi alterne, registrando anche pesanti scacchi che il racconto di Cesare attenua o giustifica, ma non nasconde. Incerti sono i tempi della composizione, secondo alcuni sarebbe stato scritto di getto nell’inverno del 52, 51, altri pensano a una composizione anno per anno, durante gli inverni, nei periodi in cui erano sospese le operazioni militari. La narrazione della guerra civile: Il de bello civili si divide in tre libri, di cui i primi due narrano gli eventi del 49 e il terso quelli del 48, senza arrivare a coprire interamente gli eventi di quest’anno. Vi affiorano le idee politiche di Cesare, che non si lascia sfuggire le occasioni per colpire la vecchia classe dirigente, rappresentata come una consorteria di corrotti. Cesare ricorre all’arma di una satira sobria, per svelare le basse ambizioni e i meschini intrighi dei suoi avversari, che si riempivano la bocca di parole come giustizia, onestà, libertà, mentre erano mossi da rancori personali e avidità di guadagno. La rappresentazione satirica culmina nel quadro del campo pompeiano prima della battaglia di Farsalo, sicuri della prossima vittoria di Cesare, gli avversari stabiliscono le pene da infliggere, si sggiudicano i premi di coloro che stanno per proscrivere, si contendono le cariche politiche. Cesare aspira soprattutto a dissolvere di fronte all’opinione pubblica l’immagine che di lui dava la propaganda aristocratica, presentandolo come un rivoluzionario, un continuatore dei Gracchi o peggio ancora, di Catilina. Vuole mostrarsi come colui che si è sempre mantenuto nell’ambito delle leggi, che le ha difese contro gli arbitrii dei suoi nemici. il suo destinatario è lo strato medio e benpensante dell’opinione romana che vede nel partito pompeiano i difensori della repubblica e della legalità. Sottolineando il suo essersi sempre mantenuto nell’ambit della legalità, Cesare trova modo di insistere sulla propria costante volontà di pace: lo scatenarsi della guerra si deve solo al rifiuto ripetuto di trattative serie da parte dei pompeiani. non si può infine dimenticare il vero e proprio monumento che in questi commentarii Cesare eleva alla fedeltà e al valore dei propri soldati dei quali contraccambia l’attaccamento con affezione sincera. La veridicità di Cesare e il problema della “deformazione storica”: In entrambi i testi la presenza di procedimenti di sìdeformazione è innegabile, non si tratta mai di falsificazioni vistose, ma di omissioni più o meno rilevanti, di un certo modo di presentare i rapporti tra i fatti. Cesare fa ricorso ad artifici abilissimi dissimulati quasi perfettamente, attenua, insinua, ricorre a lievi anticipazioni o posticipazioni, dispone le argomentazioni in modo da giustificare i propri insuccessi. In entrambe le opere Cesare mette in luce le proprie capacità militari ma non alimenta l’alone carismatico intorno alla propria figura. La fortuna è un elemento largamente presente nella sua narrazione, ma non viene presentata come una divinità protettrice, è piuttosto un concetto che serve a spiegare i cambiamenti repentini di situazione, un fattore imponderabile che aiuta anche i nemici di Cesare, è soprattutto ciò che sfuugge alle capacità di previsione e al controllo razionale. Cesare cerca infatti di spiegare gli avvenimenti secondo cause umane e naturali, di coglierne la logica interna e non fa mai ricorso all’intervento della divinità. CICERONE: nasce nel 106 a.C ad Arpino, da agiata famiglia equestre, compie ottimi studi di retorica e filosofia a Roma e inizia a frequentare il Foro sotto la guida del grande oratore Lucio Licinio Crasso. Nell’89 Cicerone presta servizio militare nella guerra contro gli alleati italici in rivolta e probabilmente nell’81 debutta al foro come avvocato, nell’80 accetta coraggiosamente di difendere Sesto Roscio accusato di parricidio da potenti figure dell’enturage del dittatore Silla. Dopo il successo dell’orazione Cicerone si allontana da Roma per viaggiare, tra 79 e 77 in Grecia e Asia Minore, perfezionandosi presso le prestigiose scuole di retorica di quelle regioni. Cicerone inizia la carriera politica come questore in Sicilia. L’onestà della sua amministrazione spingerà poi i siciliani a richiederlo come accusatore nella sua causa contro Verre, un corrotto propretore contro il quale Cicerone scrisse le celebri Verrine, di cui pronunciò solo la prima perchè Verre schiacciato dalle accuse fuggì in esilio volontario. queste orazioni mostrano uno stile già maturo con il loro periodare chiaro ma architettonicamente complesso, ed evidenziano la bravura dell’autore anche nella descrizione sarcastica e nel ritratto satirico degli avversari. Dopo la questura Cicerone percorre rapidamente gli altri gradi del cursus honorum, entrato in senato si avvicina ai populares, il partito contrario all’aristocrazia oligarchica, che cercava l’uomo forte da contrapporre al senato, l’organo di potere della nobiltà. In questo contesto nasce l’orazione Pro lege Manila che difende la proposta del tribuno Manilo di affidare a Pompeo poteri eccezionali per combattere Mitridate, il re ribelle del Ponto. La rivolta di quella regione minacciava soprattutto i cospicui interessi dei cavalieri, il ceto finanziario e imprenditoriale, che aveva in appalto la riscossione delle impostenelle province e di cui avevano bisogno per il loro avvenire politico sia Pompeo sia Cicerone. Grazie alla sua fama di moderato, Cicerone, un homo novus, venne sostenuto anche dagli aristocratici, che lo proposero al consolato per il 63 contro la candidatura di Catilina, appoggiato da popolari e italici. Tutta la crisi e i disagi sociali degli ultimi anni della repobblica si rivelarono allora nei tumulti e poi nel tentativo di eversione seguiti alla sconfitta di Catilina, la cui congiura venne stroncata da Cicerone stesso. Dell’episodio rimane una viva testimonianza nelle quattro orazioni Catilinarie scritte da Cicerone per denunciare la cospirazione in atto. Nonostante il potere e la grande fama raggiunti, Cicerone vedrà presto il declino della propria fortuna politica a causa del primo triumvirato, il patto stretto da Cesare, Pompeo e Crasso nel 60 per spartirsi il potere a Roma. Successivamente nella Pro Sestio, orazione in difesa di un tribuno accusato di violenza, Cicerone riformula la propria teoria sulla Concordia dei ceti abbienti, dilatando il concetto di concordi ordinum in quello del census omnium bonorum, cioè la concordia attiva di tutte le persone agiate e possidenti, amanti dell’armonia politica e sociale, disposte a collaborare per riportare l’ordine, si avvicina addirittura al triumvirato sperando che un personaggio forte possa far cessare le lotte che agitavano continuamente Roma. Non rinuncia comunque ad attaccare nella Pro Caelio, il tribuno popolare Clodio, responsabile del suo esilio finito nel 57. E’ in questi anni di angosce che Cicerone compone opere opere di filosofia politica: De re publica e De legibus. In seguito all’uccisione di Clodio nel 52, Cicerone difende dall’accusa di omicidio l’amico Milone, capo delle bande aristocratiche che fu comunque costretto a fuggire in esilio, l’orazione scritta per questo progetto, la Pro Milone, è considerata uno dei suoi capolavori: Cicerone vi rovescia Come autore di opere filosofiche Cicerone deve affronatre il problema di rendere in latino i termini greci. Il contributo più nptevole di Cicerone all’evoluzione della prosa latina letteraria rimane la creazione di un tipo di periodo complesso e armonioso, fondato sul principio di corrispondenza tra le parti, la Concinnitas. Lo stile di Cicerone si caratterizza anche per la varietà dei toni e registri stilistici, la disposizione verbale inoltre è sempre tale da realizzare il numerus, un sistema di regole ritmiche adattate alla prosa, che trova evidenza nelle clausole. L’epistolario: Per la conoscenza di Cicerone è di straordinaria importanza il suo epistolario, che comprende anche qualche lettera di risposta dei destinatari. Si compone di 16 libri Ad familiares, 16 libri ad Atticum, amico di Cicerone, e 2 libri Ad Marcum Brutum, per un totale di 900 lettere. Alla diversità dei contenuti, delle occasioni, dei destinatari corrisponde quella dei toni, che vanno dallo scherzoso al preoccupato, dall’angosciato al sostenuto. SALLUSTIO: La vita e le opere: Gaio Sallustio Crispo nacque ad Amiternum, in Sabina, nei pressi dell’odierna L’Aquila, nell’86, da famiglia facoltosa. Studiò a Roma , orientandosi presto verso la politica, inizialmente legato ai populares, Sallustio fu tribuno della plebe nel 52 e, per aver condotto una violenta campagna contro Milone e contro Cicerone, suo difensore, subì la vendetta degli aristocratici che ne provocarono l’espulsione dal senato con l’accusa di iindegnità morale. La vittoria di Cesare, per il quale Sallustio parteggiò nella guerra civile, ridiede slancio alla sua carriera, fu pretore e poi governatore della provincia detta Africa Nova. Accusato però di corruzione, per evitare la condanna si ritirò a vita privata. E’ a questo punto che Sallustio si dedica alla storiografia, scrivendo due monografie storiche, il Bellum Catilinae e il Bellum Iugurthinum, composte e pubblicate tra gli anni 43 e 40. Restano diversi frammenti delle Historiae dalla morte di Silla alla fine della guerra contro i pirati. La monografia storica come genere letterario: A entrambe le sue monografie Sallustio antepone poemi di una certa estensione, in cui spiega le ragioni del ritiro dalla vita politica e della scelta di dedicarsi alla storiografia con la crisi che ha irrimediabilmente corrotto le istituzioni e la società. Come Cicerone, egli sente la necessità di giustificarsi davanti a un pubblico ocme quello romano, fedele alla tradizione per cui fare storia è compito più importante che scriverne. Sallustio attribuisce alla storiografia una precisa funzione nell’ambito della formazione dell’uomo di Stato, e negandole un significato autonomo, la considera in stretto rapporto con la prassi politica. La storiografia sallustiana tende a configurarsi come indagine sulla crisi dello Stato romano e in ciò risiede la motivazione della scelta innovativa di un impianto monografico per le sue prime opere storiche. Così il Bellum Catilinae illumina il punto più acuto della crisi, il delinearsi di un pericolo sovversivo eccezionale, e il Bellum Iugurthinum affronta il nodo costituito dall’incapacità della nobilitas corrotta di difendere lo Stato, e insiste sulla prima resistenza vittoriosa dei populares. Il Bellum Catilinae e il legalitarismo di Sallustio: Dopo il proemio Sallustio traccia il ritratto di Catilina, un personaggio contraddittorio, di animo energico, ma irrimediabilmente depravato, è un aristocratico di antica famiglia favorito dal regime sillano ma rovinato dai debiti. Anche Sallustio, come Cicerone situa la congiura in uno spazio moralistico: i facinorosi che Catilina ha raccolto intorno a sè cercano un mezzo per sfuggire alla miseria o ai tribunali e sono spesso aristocratici corrotti dal dilagare del lusso e delle ricchezze. Catilina organizza la congiura, ma viene scoperto, condannato, costretto a fuggire, intanto in senato si dibatte sulla sorte di quei congiurati che sono già stati arrestati, spiccano i discorsi opposti di Cesare e Catone, il primo chiede una condanna mite, il secondo la condanna a morte. Catilina, i cui complici vengono giustiziati, cerca di rifugiarsi in Gallia ma viene intercettato dall’esercito e presso Pistoia costretto alla battaglia, muore combattendo valorosamente. Dai discorsi che Catilina pronuncia nella monografia sallustiana affiorano più di una volta i motivi profondi della crisi che da tempo travaglia lo stato romano, da una parte pochi potenti che mnopolizzano cariche politiche e ricchezze, sfruttando i popoli dominati, dall’altra una massa senza potere, coperta di debiti e priva di vere prospettive future. L’aristocratico ribelle aveva visto la possibilità di coalizzare una sorta di blocco sociale avverso al regime senatorio, il proletariato urbano, i ceti poveri di alcune zone dell’Italia, i membri indebitati dell’aristocrazia, forse masse di schiavi. Sallustio conduce così un’appassionata analisi della decadenza repubblicana, delle lotte, della corruzione diffusa. La causa del degrado consiste nella fine del metus hostilis, il timore verso i nemici esterni, cessato con la distruzione di Cartagine, che, tenendo coalizzate le forsìze dello Stato aveva garantito la conservazione degli antichi costumi. Un secondo excursus denuncia la degenerazione della vita politica romana nel periodo che va dalla dominazione di Silla alla guerra civile fra Cesare e Pompeo. La condanna coinvolge in pari modo le due parti in lotta, i populares e i fautori del senato, da un lato demagoghi che con elargizioni e promessealla plebe ne aizzano l’emotività per farne il punto di forza delle loro ambizioni, dall’altro aristocratici che si fanno velo della dignità del senato ma combattono in realtà solo per consolidare i propri privilegi. Era da Cesare che sallustio auspicava l’attuazione di una politica autoritari che ponesse fine alla crisi dello stato ristabilendo l’ordine della res publica, rinsaldando la concordia fra ceti possidenti, restituendo prestigio e dignità a un senato ampliato con uomini nuovi provenienti dalle elite di tutta Italia. Significativa per capire la posizione di Sallustio è anche la contrapposizione dei ritratti di Cesare e Catone, che egli delinea subito dopo il loro intervento in senato a proposito della sorte da riservare ai catilinari. Sallustio, nella sua riflessione sui due personaggi fieramente avversi arriva a una sorta di ideale conciliazione. Il ritratto di Cesare si sofferma da un lato sulla liberalità del personaggio. dall’altro sull’infaticabile energia che sorregge la sua brama di gloria. Le virtù tipiche di Catone sono invece quelle di integritas, severitas. Differenziando i mores delle due figure, Sallustio affermava la complementare e irrinunciabile utilità di entrambi per lo stato romano. Il Bellum Iugurthinum: Sallustio e l’opposizione antinobiliare: Il Bellum Iugurthinum è largamente indirizzato a mettere in luce le responsabilità, nella crisi dello Stato romano, della classe dirigente aristocratica, la cui insolenza venne per la prima volta arginata nella guerra contro Giugurta. (111-105) Egli dopo essersi impadronito con il crimine del regno di Numidia, aveva corrotto con il denaro gli esponenti dell’aristocrazia romana inviati a combatterlo in Africa, riuscendo così a concludere una pace vantaggiosa. Dopo i successi notevoli ma non decisivi di Metello, Mario, suo luogotenente venne eletto console per il 107, ricevendo l’incarico di portare a termine la guerra in Africa. Mario modifica la conformazione dell’esercito arruolando i capite censi, proletari non soggetti a tassazione perchè nullatenenti. La guerra riprende per concludersi csolo quando il re di Mauritania, Bocco, tradisce Giugurta, uso precedente alleato, e lo consegna ai romani. Nella arrazione sallustiana, la guerra contro l’usurpatore numida acquista rilievo sullo sfondo della degenerazione della vita politica: l’opposizione antinobiliare rivendicava contro la nobiltà corrotta il merito della politica di espansione e della difesa del prestigio di roma. Sallustio introduce un excursus che indica nel regime dei partiti la causa prima della rovina della res publica. Il bersaglio principale di Sallustio è la nobiltà. Per certi aspetti il quadro che emerge è piuttosto deformante: al fine di rappresentare la nobiltà come un blocco unico guidato da un gruppo corrotto, Sallustio trascura di parlare dell’ala aristocratica favorevole a un impegno attivo nella guerra, la parte più legata al mondo degli affari e più incline alla politica di imperialismo espansionistico. Le linee direttive della poitica dei populares sono esemplificate nei discorsi che Sallustio fa tenere al tribuno Memmio per protestare contro la politica inconcludente del senato e successivamente da Mario, quando convince la plebe ad arruolarsi in massa. Per Sallustio ambedue i discorsi sono rappresentativi dei migliori valori etico-politici espressi dalla democrazia romana nella sua lotta contro la nobiltà. Memmio invita il popolo alla riscossa contro l’arroganza dei pauci, l’oligogarchia dominante, enumera i mali del regime aristocratico, il tradimento degli interessi della res publica. Nel discorso di Mario il motivo centrale è fornito dall’affermazione di una nuova aristocrazia, l’aristocrazia della virtus, fondata non sulla nascita ma sui talenti naturali di ciascuno. Tuttavia il giudizio di Sallustio su Mario rimane segnato da ambiguità: L’ammirazione per un uomo che seppe opporsi all’arroganza nobiliare è in qualche modo limitata dalla consapevolezza delle responsabilità che in futuro Mario si sarebbe assunto nelle guerre civili. il ritratto di Giugurta: Sallustio non nasconde la propria ammirazione nei confonti dell’energia indobìmabile che è segno di virtus, seppure corrotta, Una differenza importante rispetto al ritratto di Catilina è che la personalità di Giugurta è rappresentata in evoluzione: la sua natura non è corrotta fin dall’inizio ma lo diviene progressivamente. Il seme del degrado viene gettato in Giugurta durante l’assedio di Numanzia da nobiles e homines novi romani. Per il personaggio Sallustio non mostra attenuanti: Giugurta, una volta corrotto, è solo un piccolo tiranno perfido, ambzioso e privo di scrupoli. Non è certo l’eroe dell’indipendenza numidica che alcuni interpreti hanno creduto di ravvisar ein lui: le ragioni dell’imperialismo erano tanto evidenti da apparire indiscutibili. Le Historia e la crisi della Res publica: Le Historiae iniziavano col 78 a.C. riallacciandosi alla narrazione di Sisenna, ma non sappiamo fino a che punto iniziasse il racconto, i frammenti che ci restano non vanno oltre il 67. L’opera, per noi perduta, influenzò molto la cltura di età augustea. Alcuni frammenti sono particolarmente ampi, si tratta di 4 discorsi e di un paio di lettere, una di Pompeo e una di Mitridate. Dalle parole del sovrano orientale che combattè lungamente contro i roomani affiorano i motivi dlle lagnanze dei popoli soggiogati e dominati da Roma. Il solo motivo che i romani hanno di portare guerra a tutte le altre nazioni è la loro inestinguibile sete di ricchezze e potere. LUCREZIO: La vita e le opere: grazie a particolari circostanze: il terreno umido e il calore hanno spontaneamente generato i primi uomini. Fra le tappe del progresso umano, quelle positive- la scoperta del linguaggio, quella del fuoco, dei metalli, della tessitura e dell’agricoltura- sono alternate ad altre di segno negativo, come l’inizio e il progresso dell’attività bellica o il sorgere di timori religiosi. Spesso è stata la natura che ha casualmente mostrato agli uomini come agire: del metallo surriscaldato da un incendio fortuito e raccoltosi in una buca nel terreno può aver indicato la tecnica della fusione. La necessità di comunicare ha invece spinto l’uomo a creare le prime forme di linguaggio: caso e bisogno naturale sono i fattori di avanzamento delle civiltà. E’ evidente in tutta la trattazione il desiderio del poeta di contrapporsi alle visioni teologiche del progresso umano assai diffuse nella cultura del tempo: la natura segue le sue leggi, nessun dio le piega ai bisogni dell’uomo. Lucrezio non poteva credere ad un mitica età felice in cui l’uomo viveva come in un paradiso terrestre dal quale il degenerare delle razze lo avrebbe poi allontanato. Il progresso è valutato positivamente negli aspetti che riguardano il soddisfacimento dei bisogni naturali, mentre risulta fenomeno negativo per la decadenza morale che ha comportato: il sorgere di bisogni innaturali, della guerra, delle ambizioni ha corrotto la vita dell’uomo: a questi problemi l’epicureismo risponde mostrando di che poche cose ha davvero bisogno l’uomo, in coerenza con il precetto di Epicuro di evitare i piaceri non naturali e non necessari. CATULLO e la poesia neoterica: I nuovi poeti e i loro precursori: Per indicare i protagonisti delle tendenze poetiche innovatrici che, accomunate da un irriverente rifiuto della tradizione nazionale personificata da Ennio, si affermarono nel I sec a.C, Cicerone usa la sprezzante definizione di poetae novi, o neoteroi. Il processo di rinnovamento del gusto letterario promosso dai poetae novi non è che un aspetto della generale ellenizzazione dei costumi: il fenomeno è la conseguenza delle grandi conquiste del II secolo a.C, che, aprendo alla potenza romana lo scenario dell’area orientale del mediterraneo, avvea messo a contatto l’arcaica società di contadini soldati con popolazioni abituate a forme di vita più raffinate. Nel campo letterario si assiste a un lento ma progressivo indebolimento dei valori e delle forme della tradizione e all’emergere di esigenze nuove, dettate dall’affinarsi del gusto e della sensibilità. Una delle novità di questi poeti rispetto ai predecessori consiste non tanto nella semplice predilezione per la letteratura greca recente, quanto nella decisa imitazione dei suoi aspetti eruditi e preziosi. I neoteroi prendono dai poeti ellenistici il gusto per la contaminazione tra i generi, l’interesse per la sperimentazione metrica, la ricerca di un lessico e di uno stile sofisticati, nonchè il carattere disimpegnato della loro poesia. Preludio della rivoluzione neoterica è la comparsa di una poesia scherzosa e disimpegnata, frutto dell’otium, dello spazio sottratto alle occupazioni civili e dedicato alla lettura e alla conversazione dotta. La rivendicazione delle esigenze individuali accanto agli obblighi sociali si manifesta anche nell’interesse per sentimenti privati, come l’amore. Si passa a un tipo di poesia che non relega l’otium e i suoi piaceri in uno spazio ristretto, ma li colloca al centro dell’esistenza, ne fa i valori assoluti, le ragioni esclusive, segnando dunque il culmine sul piano letterario, di una tendenza da tempo sensibile nella cultura latina. Questa trasformazione di carattere etico si riflette nel diffondersi dell’epicureismo, di una filosofia che predica la rinuncia ai negptia politico militari per una vita appartata e tranquilla , nell’intima comunione con gli amici. Ma va notata un’importantissima differenza: per gli epicurei, il cui fine è l’atarassia, l’eros è una malattia insidiosa, da fuggire come fonte di angoscia e dolore, mentre per i neoteroi l’amore è sentimento centrale della vita. L’affinità di gusto che accomuna i vari poeti di traduce anche in contatti, incontri, discussioni e lettire couni, cioè un’attività critico-filologica che accompagna la pratica poetica vera e propria e le fa da supporto e verifica. Il travaglio della forma, la cura scrupolosa della composizione, il paziente lavoro di lima sono infatti il tratto distintivo primario della nuova poetica callimachea. Catullo, la vita e le opere: Catullo nasce a Verona, nella Gallia Cisalpina, forse intorno all’84 a.C. Di famiglia agiata, Catullo, una volta giunto a Roma conobbe e frequentò personaggi di spicco dell’ambiente politico e letterario ed ebbe una relazione d’amore con Clodia, quasi certamente la sorella mediana del tribuno Clodio Pulcro e moglie di Metello, console nel 60. Probabilmente nel 57 andò in Bitinia per un anno come membro dell’entourage di Gaio Memmio, in occasione di questo viaggio visitò la tomba del fratello morto e sepolto nella Troade, per cui scrive il famoso carme 101. Secondo Girolamo morì a 30 anni. Di Catullo abbiamo 116 carmi raccolti in un liber che si suole suddividere su base metrica in tre sezioni. Il primo gruppo è costituito da componimenti brevi e di carattere leggero, di metro vario. Il secondo gruppo, eterogeneo abbraccia un numero di carmilimitato ma di maggiore estensione e impegno stilistico. sono i cosiddetti carmina docta. la terza sezione comprende carmi generalmente brevi in distici elegiagi, gli epigrammi. I carmi brevi: Al progetto di recupero della tradizione intima risponde in modo più evidente quella parte della produzione poetica di Catullo indicata come carmi brevi, cioè l’insieme dei polimeri e degli epigrammi, in cui già l’esiguità dell’estensione rivela la modestia dei contenuti e favorisce la ricerca di perfezione formale. Affetti, amicizie, odi, pasioni, aspetti minori o minimi dell’esistenza sono l’oggetto di questa poesia, uno scherzoso invito a cena, il benvenuto a un amico che torna dalla Spagna, le proteste per un dono malizioso ricevuto. Ne risulta un’impressione di immediatezza che ha favorito l’equivoco di una poesia ingenua e spontanea e di un poeta fanciullo che dà libero sfogo ai suoi sentimenti, senza i vincoli della morale e i filtri della cultura. In realtà la celebrata spontaneità catulliana è solo un’apparenza ricercata e ottenuta grazie a un ricco patrimonio di dottrina. Lo sfondo della poesia di Catullo è costituito dall’ambiente letterario e mondano di ui fa parte la cerchia degli amici neoterici, accomunati dagli stessi gusti, dallo stesso linguaggio, da un’ideale di grazia, raffinatezza e brillantezza di spirito. Su questo sfondo campeggia la figura di Lesbia, incarnazione della devastante potenza dell’eros, protagonista indiscussa della poesia catulliana, il suo stesso pseudonimo, che rievoca Saffo, la poetessa di Lesbo, è sufficiente a creare attorno alla donna un alone idealizzante: oltre alla grazia e alla bellezza non comune, sono soprattutto intelligenza, cultura e spirito a farne il fascino e ad alimentare la passione del poeta. All’amore e alla vita sentimentale il poeta trasferisce tutto il suo impegno, sottraendosi ai doveri del civis, resta estraneo alla vita politica e alle vicende della vita pubblica, ai conflitti di potere che lacerano la società tardo repubblicana, limitandosi a esternare un generico disgusto per i nuovi protagonisti della scena politica. I carmina docta: Presentando, nel carme dedicatorio a Cornelio Nepote, il suo libellus, come lepidus, novus, expolitus, Catullo ne definisce, oltre ai caratteri materiali ed esteriori, anche quelli interni. Siamo davanti ai criteri di una nuova poetica, che, ispirata a brillantezza di spirito e raffinatezza formale, rivela apertamente la sua ascendenza alessandrina, meglio ancora callimachea, brevità, eleganza e dottrina sono i canoni di gusto cui Catullo aderisce.Di particolare interesse risultano i carmi 63 e 64, due realizzazioni del nuovo genere epico, l’epillio, di cui soprattutto il secondocostituirà il modello esemplare per la cultura latinaQuesto celebre poema narra il mito delle nozze fra Peleo e Teti e continee incastonata anche la storia dell’abbandono di Arianna a Nasso da parte di Teseo. L’intreccio delle due vicende d’amore, infelice quella di Arianna e felice quella di Peleo e Teti, istituisce fra di esse una serie di relazioni che hanno il loro nucleo nel tema della fides, la virtù cardinale del mondo etico catulliano, quella fides di cui nella lontana età degli eroi gli stessi dei si facevano garanti, nella corrotta età presente è violata insieme agli altri valori religiosi. L’ETA’ AUGUSTEA: Nel suo testamento Cesare aveva adottato come figlio e destinato a proprio erede Gaio Ottavio, figlio di una sua nipote. Nel maggio del 44, tre mesi dopo l’uccisione di Cesare, il diciannovenne Ottavio entra a Roma per accettare formalmente l’eredità del prozio e assumere il pericoloso ruolo cui la scelta di Cesare lo destinava. Da quel momento assunse il nome di Gaio Giulio Cesare Ottaviano. Nel 27 a.C un decreto del senato assunse al suo nome il titolo onorifico di Augusto, un appellativo carico di risonanze religiose con cui l’edificatore del principato è passato alla storia. Antonio, amico e braccio destrodel dittatore e Ottaviano, suo figlio ed erede, erano divisi da rivalità e si contendevano il favore delle legioni cesariane. Ottaviano si alleò con il senato e il suo esercito si scontrò presso Modena nell’Aprile del 43 con Antonio che fu sconfitto, Ottaviano marciò su Roma con la forza delle armi e ottenne di essere eletto console, mentre Antonio si univa a Lepifo, governatore della Gallia Narbonese e della Spagna Citeriore. Nel novembre del 43 i tre capi cesariani, Ottaviano, Antonio e Lepido costituirono il II triumvirato, un accordo di spartizione del potere. Nel 42 sconfissero a Filippi i cesaricidi Bruto e Cassio, che controllavano con le loro truppe la parte orientale dell’impero. Dopo Filippi lepido fu emarginato e Ottaviano e Antonio si spartirono le province. Antonio si comportava come un despota orientale accettando onori divini e disponendo delle province dell’’impero secondo una logica che parve indifferente agli interessi di Roma e d’Italia, la sua condotta suscitò scandalo e allarme, e coalizzò intorno a Ottaviano un imponenete insieme di forze. Ciò portò alla battaglia di Azio, dopo la quale Antonio e Cleopatra si suicidarono. Il complesso di eventi che vanno dalla battaglia di Azio al consolidamento istituzionale del regime augusteo segnò una svolta di proporzioni enormi. Lunghi anni di sangue erano finiti, guerre civili, sconvolgimenti sociali, angosce sul destino della città e dell’impero, una crisi politica morale e religiosa che era parsa a tutti irreversibile. Con la pace e la sicurezza tornava il senso e l’orgoglio e l’identità nazionale. La letteratura: il compito di raccogliere le fila degli interessi comuni e di assicurare un proficuo canale di comunicazione tra letterati e potere fu assunto da un amico e importante collaboratore del principe Gaio Cilnio Mecenate. Mecenate initese il suo ruolo come chi deve creare per i poeti condizioni favorevoli, assicurò loro i mezzi di un’esistenza agiata e un ambiente stimolante e caloroso. Albano da cui secondo la tradizione mitivca erano venuti i primi abitanti di Roma. Alba sarebbe stata fondata da Ascanio, figlio di Enea, detto anche Iulo. Da lui si vantava di discendere la gens Iulia, la famiglia di Cesare e per adozione quella di Augusto. Qui viene a saldarsi il cerchio tra Virgilio, Augusto e l’epica eroica. Nello sforso di creare una vera epica nazionale romana Virgilio muove nello spazio delle origini tutte le grandi forze da cui nascerà l’Italia del suo tempo. Nessun popolo è escluso da un qualche contributo positivo alla genesi di Roma, gli stessi latini, dopo molti sacrifici saranno riconciliati e formeranno il nerbo della nuova gente, la grande potenza etrusca, estesa dalla mantova di Virgilio sino al Tevere, si vede riconoscere un ruolo costruttivo, persino i greci, tradizionali avversari dei troiano forniscono un decisivo alleato, l’arcade Pallante. Lo stile: Egli plasma il suo esametro come strumento di una arrazione lunga e continua, articolata e variata, per evitare gli eccessi restrittivi dei suoi predecessori, i poeti neoterici, che avevano imposto all’esametro un sistema rigido di pause. Con Virgilio la frase si libera di qualsiasi schiavitù nei confronti del metro. Lo stile di Virgilio è fatto di parole normali, cioè termini non marcatamente poetici, parole neutre in circolazione nella prosa e nella lingua colta. Gli epiteti tendono a coinvolgere il lettore nella situazione, e spesso anche nella psicologia dei personaggi, il lettore è chiamato a collaborare. Caratteristica principale dello stile di Virgilio. aumento di soggettività. Lo sviluppo della soggettività interessa non solo lo stile epico e la tecnica del narrare, ma anche l’ideologia del poema virgiliano. L’Eneide è la storia di una missione voluta dal fato che renderà possibile la fondazione di Roma e la sua salvezza per mano di Augusto. I sentimenti dei personaggi sono costantemente in primo piano perchè la collettività deve rispecchiarsi e sentirsi unita nell’epica nazionale. ORAZIO: La vita e le opere: Orazio nacque nel 65 a.C a Venosa, dove il padre, un liberto, possedeva una piccola proprietà prima di trasferirsi a Roma per esercitare la professione di esattore nelle vendite all’asta. A Orazio viene data la migliore educazione, frequenta a Roma la scuola del grammatico Orbillo, dove andavano i figli delle famiglie più ilustri, poi si recò in Grecia per perfezionarsi. Nella lotta tra repubblicani e cesaricidi Orazio ottiene da Bruto il grado di tribuno e il comendo di una legione, ma la sconfitta di Filippi interrompe la sua carriera militare. Beneficiando dell’amnistia del 41 torna a Roma ed è costretto a impiegarsi come scrivano di un magistrati, Risale a questi anni l’avvio della sua carriera politica: comincia a scrivere gli Epodi e intorno al 38, dopo essere stato introdotto dagli amici Virgilio e Vario nel circolo di Mecenate si dedica anche ai due libri di satire. Dal 30 al 23 lavora ai primi tre libri delle Odi, soggiornando spesso fuori Roma nella piccola tenuta in Sabina donatagli nel 33 da mecenate. Dal suo ritiro sabino Orazio pubbliva nel 20 un libro di Epistole e un ultimo libro di Odi è posteriore al 13, Orazio muore nell’8 a.C. Gli epodi come poesia dell’eccesso: Il titolo della prima raccolta poetica di Orazio rimanda alla forma metrica, epodo è probabilmente il verso più corto che segue ad un verso più lungo, formando con esso un distico. Orazio li chimaa iambi in riferimento al ritmo che prevale nella raccolta e insimee con allusione al recupero di quel tono aggressivo che fin dalle origini era associato alla poesia giambica greca. Questa prima produzione è legata alla fase giovanile della sua attività poetica e alle condizioni di vita particolarmente disagiate nel periodo immediatamente successivo a Filippi. Molti tuttavia esitano nel ricordurrre gli Epodi a questa esperienza biografica. Rimane indubbio che lo spirito archilocheo doveva sembrare a Orazio opportuno per esprimere le ansie, le passioni, le paure, le indignazioni di una generazione romana Le Satire: I due libri di Satire raccolgono componimenti che sebbene resi omogenei da una mano sempre riconoscibile, sono spesso assai diversi per tema e andamento. Era questa una tendenza tradizionale del genere satirico, caratterizzato dalla varietà degli argomenti e dall’indeterminatezza dello statuto, poneva al centro dell’attenzione il poeta. Orazio indica Lucilio come inventore del genere satirico e cita Ennio solo come modello di una poesia sublime e dunque diversa da quella dei propri sermones. Ma l’imitazione di Lucilio si accompagna all’intento esplicito di migliorarlo, infatti secondo lui Lucilio scorre Fangoso e dimostra una notevole trascuratezza formale. per quanto riguarda l’andamento complessivo dell’argomentazione, Orazio ha imparato dall’eloquenza efficace della diatriba, la tradizione di letteratura filosofica popolare, illustrata da dialoghi e aneddoti: così la conferenza cede continuamente al dialogo, coinvolge gli interlocutori, anticipa le biezioni. I toni della faziosa aggressività luciliana sono scomparsi. Al piacere dell’aggressione Orazio sostituisce l’esigenza di analizzare i vizi mediante l’osservazione critica e la rappresentazione comica delle persone. Questa ricerca morale si propone di individuare una strada per pochi attraverso le storture di una società in crisi. In questo senso la satira oraziana è intimamente collegata al circolo dei poeti. Il poeta attribuisce agli insegnamenti paterni l’invito ad imparare dal vicino, da chi si incontra per strada, secondo una morale che affonda le sue radici nell’educazione, nel buon senso tradizionale, ma che, in Orazio si rivela al contempo costruita con materiali derivanti dalle filosofie ellenistiche. Gli obiettivi fondamentali della satira oraziana sono l’autarkeia e la metriotes. E’ l’epipcureismo che ha il peso maggiore nelle satire, l’empirismo e il realismo della morale oraziana non potevano non entrare in conflitto con il rigorismo e l’astrattezza degli stoici. Le Odi: Il nuovo statuto sociale del poeta cortigiano rende possibile uno spazio di autonomia, il poeta può cercare ora la poesia come un momento intimo, un’espansione dell’io, assecondando così anche le nuove richieste del suo pubblico. Tuttavia, rispetto alla nuova poesia lirica, rimane una differenza importante, dovuta a una convenzione antica che anche nel discorso lirico il poeta non si immagina solo, immerso in libera introspezione, ma si rivolga sempre a qualcuno. Ciò implica l’impostazione dialogica in molte delle Odi benchè il tu oraziano sia spesso un pretesto, una figura stilizzata, addirittura un oggetto o il libro stesso delle sue poesie. La comprensione della poesia lirica oraziana non può prescindere dal rapporto con quella greca di Saffo, Anacreonte, Pindaro e soprattutto Alceo, modello cui Orazio si richiama in modo particolare e con cui giustifica la presenza e la conciliazione, nel proprio mondo lirico, di una molteplicità di suggestioni, dall’attenzione alle vicende della comunità a un canto più legato alla sfera privata. Un tratto caratteristico del modo in cui Orazio intende il rapporto con la lirica greca è la ripresa dello spunto iniziale di un componimento. Per Orazio la poesia come ristoro dall’impegno, come una pausa in mezzo alle battaglie, era poco più che un’immagine letteraria. Tanto più percheè l’aspetto privato della sua poesia non era separabile da quella ricerca della felicità interiore, fatta di autarkeia e tranquillitas animi, insegnamento principale delle poesie ellenistiche. La lirica oraziana è scritta per la lettura, descrive spesso situazioni immaginate o almeno fortemente stilizzate e aspira a un grado assai elevato di raffinatezza e sfisticazione letteraria. Temi e caratteristiche della lirica oraziana: E’ consolidata l’immagine di Orazio come poeta dell’equilibrio sereno, del distacco dalle passioni, della moderazione. Da essa emerge l’importanza del ruolo svolto nella lirica oraziana dalla meditazione e dalla cultura filosofica. Il punto centrale è la coscienza della brevità della vita, da cui nasce l’esigenza di appropriarsi delle gioie del momento, senza perdersi nell’inutile gioco delle speranze, dei progetti e delle paure. Chiara in questo senso è l’esortazione a Leuconoe, il celebre carpe diem, che non va inteso come banale invito al godimento: in Orazio l’aspirazione al piacere è strettamente collegata alla consapevolezza della morte e della sventura. Si può solo rifugiarsi nella certezza dei beni gà goduti, della felicità già vossuta. Questa moderazione si traduce talora in canto della propria serenità, la felicità dell’autarkeia, la condizione del poeta saggio, libero dai tormenti della follia umana e benedetto dalla protezione degli dei. Il favore divino si manifesta trasfigurando in miracolo circostanze dell’esistenza quotidiana ed è sempre intimemente connesso con la vocazione del poeta. Gli dèi e le muse salvano Orazio per riservarlo a quel destino. Per Orazio la poesia è l’unica forza capace di salvarlo dalla caducità umana: è qui che trovano la loro profonda nota oraziana i momenti in cui il poeta si abbandona all’esaltazione per aver scritto carmi immortali, come nella chiusa dei primi tre libri. E tuttavia saggezza, serenità, equilibrio, padronanza di sè, l’aurea mediocritas di chi sa fuggire tutti gli eccessi e adattarsi a tutte le fortune, niente di tutto ciò è un possesso sicuro, acquisito una volta per sempre. Ma la lirica oraziana vive anche di suggestioni, con una varietà di temi che corrisponde spesso alle diverse categorie in cui si articolava l’antica lirica greca. Esistono inoltre temi ricorrenti che attraversano largamente carmi di natura diversa. La campagna è di solito stilizzata secondo il modulo del locus amoenus, un gradevole paesaggio italico che ospita il convito, il riposo, la semplice vita rustica. Ma Orazio conosce anche il fascino del paesaggio dionisiaco, una natura montana, selvaggia e aspra, fatta di rupi, boschi e fonti, non domata dall’uomo. Ma i luoghi più propriamente oraziani sono quelli individuati dallo spazio limitato e racchiuso del piccolo podere personale, spazio caro perchè noto e sicuro, inattaccabile. Questo luogo rifugio si fa figura letteraria nel tema dell’angulus, che è il luogo deputato al canto, al vino e alla saggezza. Accanto a un Orazio privato esiste anche un Orazio di regime che celebra le vittorie e le iniziative politiche di Augusto. La lirica civile non manca di originalità. Nelle epistole la ricerca morale è costantemente animata dalla necessità di saggezza, resa più urgente dal trascorrere inesorabile del tempo, associato all’impressione di una precoce vecchiaia. Al tempo stesso Orazio non sembra più in grado di costruire un modello di vita soddisfacente. La rinuncia alla vita sociale e all’ottimismo etico è simboleggiata dalla fuga da Roma verso il raccoglimento della campagna sabina, l’angulus delle Odi, un ritiro inquieto ma almeno lontano da impegni, sollecitazioni, passioni, nei confronti dei quali il poeta si sente adesso indifeso. lo stile: pubblicato un primo libro di poesie d’amore, noto anche con il nome greco Monobiblos. Il poeta si dice innamorato di Cinzia, una donna colta e raffinata, che non gli risparmia gelosie e tempestosi litigi. E’ uno pseudonimo, il nome vero della donna sarebbe stato Hostia. Nel II e nel III libro Cinzia domina ancora il campo, ma sulla sua relazione con il poeta, più burrascosa e fragile, si sente incombere la minacia del discidium, la separazione definitiva. Compaiono anche le prime tracce del rapporto con Mecenate. Il nome di Cinzia, il primo Canzoniere: All’uso alessandrino di dare a una raccolta poetica il nome di una donna che vi si celebra obbedì anche il giovane Properzio, quando nel 28 pubblicò nel nome di Cinzia il Monobiblos, in cui la figura della donna campeggia fin dalla prima parola del poeta. Legarsi a una tale donna significa per Properzio compromettersi socialmente, contravvenire al codice di rispettabilità cui un uomo della sua condizione è tenuto. Ma di questa degradazione egli fa un vanto. L’amore diventa il centro e il valore assoluto della sua vita e Cinzia l’unica ragione della sua esistenza, quella che le dà un senso e pienezza. Un’esistenza dedita all’otium, al servitium nei confronti dell’amata, fa tutt’uno con l’attività letteraria del poeta amante, che della sua vita fa materia di poesia e di questa si serve come strumento per corteggiare l’amata. Egli sogna per sè e Cinzia i grandi amori del mito, le passioni esclusive ed eterne, fin oltre la morte. L’elegia civile: La crisi del rapporto con Cinzia e l’abbandono dell’elegia d’amore hanno luogo in un momento in cui la poesia d’impegno civile, rispondente alle esigenze ideologiche e culturali del regime augusteo, sta maturando il suo frutto più alto, l’Eneide, di cui Properzio stesso aveva dato, anni prima, un annuncio ammirato. Gli eventi esterni, le pressioni di Mecenate e forse di Augusto stesso, insieme alla crisi che ha intimamente disgregato la precaria coesione dell’elegia erotica, spingono Properzio a un diverso tipo di poesia. La Roma arcaica, il mondo del mito sono interpretati secondo il gusto callimacheo, che dà spazio alla grazia, all’ironia, talora a una leggera comicità. Non mancano elegie in cui è sensibile il pathos. OVIDIO La vita e le opere: Ovidio nasce a Sulmona, nell’attuale Abruzzo nel 43 a.C. da un’agiata famiglia equestre, che lo avvia alla carriera di avvocato in preparazione a quella politica, ma dopo aver ricoperto alcune cariche minori egli cambia presto strada per entrare nel circolo poetico di Messalla Corvino. Qualche anno dopo il 20 pubblica due opere a sfondo amoroso in distici elegiaci, gli Amores, la sua prima raccolta di elegie in 5 libri e la prima serie di Heroides, le lettere delle eroine, componimenti epistolari che si immaginano scritti dalle figure femminili del mito ai loro amanti. Tra l’1 a.C e l’1 d.C si colloca la pubblicazione dei primi due libri dell’Ars amatoria, un poemetto in distici elegici contenente insegnamenti sull’amore, allo stesso periodo risalgono anche i Medicamina faciei femineae, i cosmetici delle donne, pure in distici elegiaci. Fra il 2 e l’8 d.C. il poeta pubblica i 15 libri delle Metamorfosi, un poema epico in esametri che seguendo il motivo delle trasformazioni passa in rassegna buona parte del patrimonio epico. Nell’8 d.C. Ovidio viene mandato in esilio da Augusto, forse perchè coinvolto nello scandalo di adulterio di Giulia, nipote di Augusto. Poesia e vita reale in Ovidio: Ultimo dei grandi poeti augustei, Ovidio resta sostanzialmente estraneo alla sanguinosa stagione delle guerre civili. quando entra nella scena letteraria la pace è consolidata e cresce l’aspitrazione a forme di vita più rilassate, a un costume meno severo, agli agi e alle raffinatezze che le conquiste orientali hanno fatto conoscere a Romae che informano la società mondana della capitale. Di queste aspirazioni Ovidio si fa interprete senza contrapporsi rigidamente al regime e alle sue direttive ideologiche, ed elabora un tipo di poesia che corrisponde in maniera sensibile al gusto e allo stile di vita del suo tempo. La prima produzione poetica ovidiana si colloca lungo quella tradizione di poesia d’amore impersonata da Properzio e Tibullo , la carriera di Ovidio sembra tradire il giuramento e il servizio d’amore richiesti dall’elegia, egli si cimenta infatti in tutti i generi importanti della letteratura. Ovidio non crede troppo che la poesia imiti davvero la vita, che riproduca esperienza biografiche reali o eventi realmente accaduti, egli privilegia gli aspetti fantasiosi e inventivi. La verità risulta sempre un elemento incerto che il poeta non nega ma non attesta con troppa convinzione. Così il rapporto di dipendenza che lega la letteratura alla vita reale con Ovidio tende a rovesciarsi. La letteratura diventa una sorta di forza autonoma che ha in sè i usoi modelli, capace di guardare al mondo delle cose attraverso lo specchio di se stessa e delle proprie codificazioni, e che trova in se la possibilità di intervenire sulla realtà offrendole nuove occasioni di essere guardata e goduta. Gli Amores: L’esordio poetico di Ovidio è costituito da una raccolta di elegie di soggetto amoroso, gli Amores, in cui Ovidio dà voce ai temi tradizionali del genere elegiaco, poesie d’occasione, soprattutto avventure d’amore, incontri fugaci, serenate notturne, scenate di gelosia, litigi con l’amata. Ma accanto alla maniera, ai temi e ai toni della tradizione si senttono già i tratti nuovi. il tratto più visto è la mancanza di una figura femminile attorno a cui si raccolgono le varie esperienza amorose che costituiscono il centro dell’opera e insieme della vita del poeta. Corinna invece, la donna che Ovidio evoca con lo pseudonimo greco, è una figura tenue, dalla presenza intermittente e limitata che si sospetta non esistesse nemmeno. Inoltre, gli Amores sono caratterizzati da una scarsa presenza di un motivo essenziale nell’elegia, cioè il servitium amoris, la professione di dedizione dell’amante verso l’amata, ai suoi voleri e ai suoi capricci, mentre è notevole che un’intera elegia sia dedicata al servitium di Amore. la poesie erotico didascalica: Tre opere successive, cronologicamente prossime tra loro si allontanano dallla letterarietà del mondo elegiaco. Il nuovo ciclo poetico: Ars Amatoria, Medicamina faciei, Remedia Amoris, appartiene al genere del manuale, del libro che impartisce precetti e consigli utili in materia d’amore. Ovidio pratica del sapere amoroso un’arte cinica e smaliziata, suo modello non è più la fervente passione dell’innamorato sofferente, ma la furbizia della mezzana, la ruffiana esperta d’amore, la cui profonda conoscenza deriva dall’osservazione degli innamorati. La relazione d’amore è un gioco intellettuale, un divertimento galante soggetto a un insieme di regole sue proprie. L’ars impartisce consigli sui modi di conquistare le donne, di conservarne gli amori, di conquistare gli uomini. La figura del perfetto amante delineata da Ovidio si caratterizza per i suoi tratti di disinvolta spregiudicatezza, di insofferenza e impertinente aggressività nei confronti della morale tradizionale, l’eros ovidiano perde ogni impegno etico, ogni velleità di ribellione contro la morale dominante. All’esaltazione degli agi e delle raffinatezze risponde anche il poemetto medicamina faciei che si oppone al tradizionale rifiuto della cosmesi e illustra la tecnica di preparazione di alcune ricette di bellezza. Il ciclo didascalico è concluso dai Remedia Amris, l’opera che insegna a come liberarsi dell’amore. Ovidio vi contraddice il motivo del’immedicabilità del male d’amore, ma che anzi lo si deve fare qualora comporti sofferenza. Le Heroides: Si tratta di una raccolta di lettere poetiche, la prima serie, da 1 a 15, è scritta da donne famose, eroine del mito greco ai loro amanti e mariti lontani. La seconda serie, da 16 a 21 è costituita dalle lettere di tre innamorati acompagnata dalla risposta delle tre rispettive donne. I due gruppi distinti testimoniano due diverse fasi di composizione separate tra loro. La scelta della forma epistolare imponeva al poeta vincoli precisi, le varie lettere si configurano come monologhi e tendono a ripetere una situazione tipica della letteratura ellenistica, quel lamento della donna innamorata che aveva ispirato l’epillio catulliano di Arianna. Il senso delle Heroides non sta tanto nella caratterizzazione psicologica o nell’espressione del pathos quanto soprattutto nel genere letterario consistente nella transcodificazione di testi. Materiali narrativi tratti dalla tradizione epica e tragica vengono riscritti secondo le regole del genere elegiaco. il codice elegiaco agisce come una sorta di filtro che riduce al proprio linguaggio ogni altro possibile tema, imponendo un taglio elegiaco a storie di eroine dell’epica e del dramma. le divergenze rispetto alla tradizione diventano i segnali più evidenti della nuova codificazione letteraria. Nell’analisi degli stati d’animo delle sue eroine, nell’approfondimento della ricerca psicologica, Ovidio deve molto ai soggetti della tragedia greca, e particolarmente a Euripide, il più moderno dei tragici. Le Metamorfosi: Il suo modello è quello del poema collettivo, il libro fattpo di una serie di storie indipendenti tra loro, accomunate da un tema. Nelle diverse trasformazioni Ovidio cerca le origini, dato che l’origine spiega in modo soddifacente l’essenza della cosa trasformata. Così, dalla prima combinazione degli elementi cosmici all’impero universale di Roma, Ovidio riassume una sua storia del mondo in un grande poema eziologico, vagamente colorato di poesia pitagorica. Con quest’opera Ovidio cerca di riavvicinare la sua poesia alle esigenze nazionali e augustee, il poema fa infatti del nuovo regime il coronamento della storia del mondo, traguardo di un lungo processo di raffinamento che va dal chaos primordiale alla trasformazione in essere divino di Giulio Cesare alla celebrazione di Ottaviano, conclusione dell’opera. La stessa rievocazione della mitica età dell’oro, dettagliata ed elaborata, trova la sua collocazione nell’ideologia augustea che aveva scelto gli aurea saecla come forma idealizzata del proprio progetto di restaurazione e rifondazione sociale e morale. Ma la dimensione celebrativa occupa nel poema una parte esigua, il racconto mitico non interessa come testimone di una fede, quanto come bella invenzione, occasione di un incontro tra il proprio testo e i testi del passato. Di questa sua natura complessa intertestuale l’opera ovidiana mostra orgoglio e ama esibire spesso le proprie ascendenze, le fonti della propria memoria poetica, i propri confronti. Il narratore delle Metamorfosi è un trascinante intrattenitore, che rifiuta l’oggettività del poeta epico, apparentemente lontano dai fatti che racconta, per poter intervenire liberamente a commentare i momenti sublimi dell’azione. D’altra parte la materia del poema è tutt’altro che Nel 54 Claudio moriva, ucciso dalla moglie Agrippina, con questo delitto la figlia di Germanico completava una lunga trama di macchinazioni intese a portare al potere il figlio Nerone, per parte di madre egli discendeva da Augusto, per parte di padre dalla sorella di Augusto. Agrippina fece in modo che venisse adottato da Claudio e ne sposasse la figlia Ottavia. Il delitto dinastico trasportava a Roma l’atmosfera cupa dei regimi assolutistici orientali e delle loro corti. Nerone aveva mania di grandezza e torbido compiacimento di superiorità a ogni legge morale. I presupposti della politica culturale dio Nerone non potevano consentire un’intesa duratura tra il principe e le forze intellettuali che egli stesso aveva contribuito a mobilitare. a lui si opposero molti intellettuali, tra cui Seneca e Lucano. SENECA: La vita e le opere: Nato nel 4 a.C, Seneca discendeva dalla ricca famiglia degli Annei, originari di Cordova, in Spagna. Suo padre si era stabilito a Roma dove Seneca ottene un’ottima educazione retorica e filosofica in vista della carriera politica. Dopo un soggiorno in egitto verso il 26 al seguito di uno zio prefetto, iniziò la carriera di oratore e avvocato. Accusato di un coinvolgimento in uno scandalo di corte, nel 41 venne condannato alla relegazione in Corsica dall’imperatore Claudio. Richiamato a Roma nel 49 per intercessione dell’imperatrice Agrippina, sarà scelto da lei quale tutore del figlio Nerone, accompagnandone l’ascesa al trono nel 54 e reggendo lo stato per alcuni anni. Di questo periodo sono i tre libri del De clementia, unna sorta di guida per il regnante indirizzata a Nerone. Con il progressivo degenerare del comportamento di Nerone, che arriva ad uccidere anche la stessa agrippina, Seneca si ritira gradualmente dalla scena per dedicarsi agli studi. Risalgono a questi anni i lavori di maggior impegno: il De beneficiis, le Naturales quaestiones, le Epistulae morales ad Lucilium e probabilmente il De otio, e il De providentia. Controversa è la datazione degli altri scritti di Seneca (De constantia sapientis, De ira, De vita beata, De tranquillitate animi, De brevitate vitae) raccolti nei 12 libri dei Dialogi, titolo che non implica una vera forma dialogica, essendo i vari trattati singole dissertazioni su specifici temi morali, in cui compaiono brevi obiezioni di un interlocutore. Inviso ormai a Nerone e ai suoi collaboratori, Seneca viene coinvolto nella repressione della congiura di Pisone di cui forse era solo al corrente senza esserne partecipe. Accusato da Nerone è costretto al suicidio. I Dialogi e la saggezza stoica: Le singole opere dei Dialogi costituiscono trattazioni autonome di aspetti o problemi particolari dell’etica stoica, il quadro generale su cui l’intera produzione filosofica di Seneca si iscrive. I tre libri del De ira ad esempio sono una sorta di fenomenologia delle passioni umane, ne analizza i meccanismi di origine e i modi per inibirle e dominarle, l’opera è indirizzata al fratello Novato, a cui Seneca dedica anche il De vita beata, che affronta il problema della felicità e del ruolo che nel suo perseguimento possono svolgere gli agi e le ricchezze. Posto che l’essenza della felicità è nella virtù, non nella ricchezza e nei piaceri, Seneca legittima tuttavia l’uso della ricchezza se questa si rivela funzionale alla ricerca della virtù. Il distacco del saggio dalle contingenze terrene è anche il tema unificante della trilogia dedicata all’amico Sereno, che abbandona le sue convinzioni epicuree per accostarsi all’etica stoica: De constantia sapientis, De tranquillitate animi, De otio. Il primo dei tre dialoghi esalta l’imperturbabilità del saggio stoico, forte della sua interiore fermezza di fronte alle ingiurie e alle avversità, il secondo affronta un problema fondamentale nella riflessione filosofica di Seneca, la partecipazione del saggio alla vita politica. Seneca cerca una mediazione fra i due estremi dell’otium contemplativo e dell’impegno proprio del civis romano, suggerendo un comportamento flessibile, rapportato alle condizioni politiche. Se la tensione tra impegno e rinuncia è nel De tranquillitate animi ancora irrisolta, la scelta di una vita appartata è invece chiara nel De otio: una scelta forzata, resa necessaria da una situazione politica compromessa tanto gravemente da non lasciare al saggio alternativa diversa dal rifugio nella solitudine contemplativa di cui si esaltano i pregi. agli anni tra il 49 e il 52 sembra risalire il De brevitate vitae, che tratta il problema del tempo, della sua fugacità e dell’apparente brevità di una vita che tale ci appare perchè non ne sappiamo cogliere l’essenza, disperdendola in tante occupazioni futili inconsapevolmente. Agli ultimi anni dovrebbe invece appartenere il De providentia, dedicato al Lucilio delle Epistole che apre la raccolta dei Dialoghi e affronta il problema della contraddizione tra il progetto provvidenziale che secondo la dottrina stoica presiede alle vicende umane e la sconcertante contatazione di una sorte che sembra spesso premiare i malvagi e punire gli onesti. La risposta di Seneca è che le avversità che colpiscono chi non le merita non contraddicono tale disegno provvidenziale, ma attestano piuttosto la volontà divina di mettere alla prova i buoni ed esercitarne la virtù, il sapiens stoico realizza la sua natura razionale nel riconoscere il ruolo che nell’ordine cosmico a lui è assegnato e nell’adeguarvisi compiutamente. Un posto a parte occupano infine le tre consolationes, che si costituiscono su un repertorio di temi morali, attorno ai quali ruota gran parte della riflessione filosofica di Seneca. La consolatio ad Marciam è indirizzata alla figlia di Cremuzio Cordo, per consolarla della morte del figlio. Nelle altre due si riflette in parte la condizione di esule dell’autore. Ad Helviam matrem cerca di confortare la madre sulle condizioni del figlio esule, quella Ad Polybium scritta per consolare il liberto di Claudio per la morte del fratello, appare un tentativo di adulare l’imperatore per tornare a Roma. Filosofia e potere: Seneca è uno dei pochi a realizzare l’utopia platonica dei filosofi al potere. Influente ministro di nerone nei primi 5 anni, Seneca dedica gran parte della sua vita ai temi pubblici: se il sapiente debba partecipare alla vita dello stato, quale sia il comportamento del buon principe, fino a che punto il potere e la ricchezza sono conciliabili con l’dea di astinenza del filosofo. Lo stoicismo ammette la partecipazione del filosofo agli affari dello stato, ma a condizione che questa non ne turbi la serrenità interiore. Il sapiente potrà lavorare per l’interesse della sua comunità, almeno finchè i contrasti non diventino troppo tumultuosi e rischino di provocare in lui turbamento. Anche allora il filosofo dovrà continuare a dare un modello agli altri, se non partecipando alla vita pubblica almeno con l’esempio e la parola. Il De beneficiis dedicato a Ebuzio liberale, tratta degli atti di beneficienza e filantropia, e del legame di riconoscenza che questi atti istituiscono tra benefattore e beneficato, dei doveri della gratitudine, delle conseguenze che colpiscono gli ingrati. La rete clientelare creata dal beneficio era uno dei meccanismi fondamentali della società e della vita politica romana, Seneca cerca di codificare questa pratica che deve diventare soccorso a chi ne ha bisogno e creare uno stato di ordine e relativa giustizia: i ricchi devono aiutare chi è di condizione più modesta. Il progetto dell’opera accompagna quello di una monarchia illuminata, vagheggiata nel De clementia rivolto all’imperatore. Seneca non mette in dubbio la legittimità del principato, il potere unico era il più conforme alla concezione stoica di un ordine cosmico governato dal logos, il più idoneo per rappresentare l’ideale di un universo cosmopolita. Il problema è quello di avere un buon sovrano, il cui unico freno, in un regime di potere assoluto, sarà la sua stessa coscienza che lo dovrà trattenere dal governare in modo tirannico. Alla virtù della clemenza si ispireranno i rapporti coi sudditi. Il ritiro dalla vita pubblica porta Seneca a dedicarsi esclusivamente alla meditazione e alla contemplazione, di cui farà un elogio convinto e senza interesse nel De otio. La pratica quotidiana della filosofia: le lettere a Lucilio: Lucilio si occupò di filosofia e poesia e arrivò ad essere procuratore della Sicilia. Egli, nel ruolo di interlocutore del filosofo ha un ruolo di giovane ancora inesperto, l’amico che vorrebbe imparare, ma carico di dubbi, non sa come arrivare alla sapienza e alla perfetta tranquillità interiore. Seneca usa in queste lettere la complessa scenografia tipica della scrittura epistolare antica: il loro è un colloquio tra amici, sono lontani ma devono sentirsi vicini nel loro animo. Le lettere sono come il controllo che il maestro esercita sul discepolo: Lucilio comunica a Seneca le proprie difficoltà e chiede consiglio su come comportarsi, ottenendo risposta ai suoi dubbi. Il modello dell’opera è Epicuro, il più grande e temibile avversario degli stoici, al quale Seneca non teme di richiamarsi. Le lettere sono occasione di riflessioni che spaziano verso l’universale, le grandi questioni della vita e della morte. Ogni evento è buono perchè Seneca vi scorga simboli di una condizione umana e comunichi la sua intuizione a Lucilio. Nelle lettere il filofo torna così su alcuni dei temi importanti della sua riflessione: il problema della libertà, della natura di Dio, della giustizia, del tempo. Seneca propone una vita indirizzata al raccogliemnto e alla meditazione, al perfezionamento interiore mediante un’attenta riflessione sulle debolezze e i vizi propri e altrui. La considerazione della natura umana che accomuna tutti i viventi lo porta a esprimere una condanna del trattamento comunemente riservato agli schiavi, con accenti di intensa pietà che hanno fatto pensare al sentimento della realtà cristiana, ma in realtà l’etica senecana resta profondamenta aristocratica e il sapiens stoico che esprime la sua simpatia verso gli schiavi maltrattati manifesta apertamente anche il suo disprezzo per le masse popolari abbruttite dagli spettacoli del circo. Il distacco dal mondo e dalle pasisoni che lo agitano si accentua, nelle Lettere, parallelamente al fascino della vita appartata e all’assurgere dell’otium a valore supremo: un otium che non è inerzia ma ricerca del bene, nella convinzione che le conquiste dello spirito possano giovare non solo agli amici impegnati nella ricerca della sapientia, ma anche agli altri, e che le Lettere possano esercitare il loro beneficio sulla posterità. La conquista della libertà interiore è l’estremo obiettivo che il saggio stoico si pone: nella morte egli scorge il simbolo della propria indipendenza dal mondo. Lo stile della prosa: Seneca rifiuta la compatta architettura classica del peirodo ciceroniano, nelle pagine di Seneca domina la paratassi, le frasi non dipendono l’una dall’altra per chiari legami sintattici, i collegamenti sono nei concetti espressi nel discorso. Stile acuminato per entrare nei segreti dell’animo umano. le tragedie e l’apokolokuntosis: Nove tragedie ritenute autentiche, tutte di soggetto mitologico greco. I modelli di Seneca sono le tragedie del peirodo classico, per lo più Sofocle e Euripide. Stile che risente del modello di Virgilio, Orazio, Ovidio. distinguono questo genere da altri tipi di narrativa. I critici moderni chiamano di solito romanziun gruppo ristretto di opere che rientrano in due tipologie molto differenti, le cui origini letterarie sono ancora discusse: - due testi latini indipendenti e poco simili tra loro: il Satyricon e le Metamorfosi di Apuleio. - una serie di testi greci databili fra I e IV secolo d.C come Cherea e Calliroe, Leucippe e Clitofonte etc. Al contrario dei romanzi latini questa serie di opere greche è unita da una notevole omogeneità e permanenza di tratti distintivi. Soprattutto, tra trama è quasi invariable: una coppia di innamorati viene separata dalle avversità e i due devono superare numerore avventure prima di riunirsi e coronare il loro amore. Nella sua struttura fondamentale anche il Satyricon racconta le peripezie di una coppia di amanti, tuttavia l’amore vi è trattato in modo ben diverso. Non c’è spazio per la castità e nessun perosnaggio è credibile portavoce di valori morali. Il protagonista è sballottato da peropezie sessuali di ogni tipo e il suo partner preferito è maschile, il sesso è trattato esplicitamente ed è visto come una continua fonte di situazioni comiche. Il rapporto omosessuale di Encolpio e Gitone sarebbe la parodia dell’amore casto e idealizzato che lega i fidanzati del romanzo greco. Il romanzo di Petronio finge di appartenere a una letteratura popolare di intrattenimento e consumo, ma ha come modello la letteratura impegnativa e sublime, i generi poetici maggiori e ne fa proprio il vocabolario, volgarizzandolo. Nel Satyricon chi dice Io non è l’autore, un narratore inaffidabile. Petronio lascia che il protagonista arratore viva gli eventi della sua quotidiana esisteza in una sorta di esaltazione eroica che lo porta continuamente ad assimilare la realtà ai grandi modelli della letteratura sublime, da qui l’alto tasso di allusioni ad Omero e Virgilio. Ma Encolpio non è un eroe, è un piccolo avventuriero che si arrangia a vivere vagamìbondando per il mondo. La parodia non è ottenuta attraverso un’aggressione di modelli sublimi, ma scoprendo di volta in volta quanto inopportune siano le immaginazioni che guidano il protagonista narratore nel suo cammino attraverso il mondo, fantasie sovraccariche di pathos, pose letterarie e declamatorie. LA SATIRA: Persio e Giovenale: Persio e Giovenale mostrano vari tratti comuni, entrambi dichiarano di ricollegarsi alla poesia satirica di Lucilio e Orazio, collocandosi quindi nella tradizione. Questo genere conosce con essi una traformazione marcata. Le innovazioni sono vistose sia nella forma del discorso satirico sia nella destinazione sociale delle opere. L forma del discorso non è più quella della conversazione costruttiva che mentre guarda i difetti umani si propone di far sorridere. Ora all’ascoltatore è negata ogni vicinanza e ogni possibile identificazione, la parola del poeta satirico si pone su di un piano diverso di comunicazione, distaccato e più alto. La forma dell’invettiva prende il posto del modo confidenziale e garbato, del sorriso autoironico, dell’indulgente comprensione per le comuni debolezze umane che caratterizzavano la satira oraziana. Il poeta, mentre si erge a correggere gli uomini fa sue quelle forme di moralismo arcigno che proprio la satira oraziana aveva rifiutato PERSIO: La vita e le opere: Persio nacque a Volterra, in Etruria nel 34 d.C da una famiglia ricca e nobile, rimase presto orfano di padre e fu mandato a Roma per proseguire la sua educazione nelle migliori scuole di grammatica e retorica, ma il maestro che segno un’impronta decisiva nella sua vita fu Anneo Cornuto, presso il quale conobbe Lucano. Morì, non ancora ventenne nel 62. Persio non pubblicò nulla, ma lo fece Cesio Basso. Dalla satira all’esame di coscienza: Il suo spirito polemico e l’entusiasta aspirazione alla verità trovano nella satira lo strumento più idoneo a esprimere il sarcasmo e l’invettiva, nonchè l’esortazione morale. La sua poesia è ispirata da un’esigenza etica, dalla necessità di smascherare e combattere la corruzione e il vizio. Persio non si concede prospettive di successo, si nega la possibilità di una risposta positiva in chi dovrebbe ascoltarlo e finisce con l’abbandonarsi ad un atteggiamento irato e aggressivo che vede nell’asprezza uno strumento per superare l’indifferenza dei miseri in preda al vizio. Il fatto che non ci sia un destinatario fa si che la satira diventi una sorta di monologo confessionale o esame di coscienza: itinerario personale verso la filosofia, l’intenzione di insegnare non è più proiettata sugli altri, la satira è un esercizio solo per se stesso. lo stile: fra l’esigenza di naturalezza della lingua e la ricerca di audaci innovazioni espressive tenda ad aprirsi uno iato, che la volontà di chiarezza venga contraddetta dall’oscurità dell’artificio stilistico. ETA’ DAI FLAVI AD ADRIANO: Vespasiano oppose al modello di principe artista proposto da Nerone, un modello severo di principe, soldato e responsabile dell’organizzazione politica e amministrativa dell’impero. Sono caratteristici di questa età casi di vistosa collaborazione tra imperatore e intellettuali, è il caso ad esempio di Quintiliano e Plinio il Vecchio. Riuscì a ottenere una storiografia favorevole alla sua persona e alla dinastia che stava formando. Tito aveva un interesse più diretto per la letteratura e per le arti che egli stesso praticava. forse per questo Plinio il vecchio scelse di dedicare a lui, e non al padre, la sua opera maggiore, anche se non era ancora imperatore. Non pare che Domiziano avesse autentici interessi per la cultura, fortemente impegnato a dare solidità ed efficacia alle strutture imperiali. La sua politica si basa sull’assoluta superiorità del monarca sui sudditi. Se gli anni di Domiziano danno spazio a una notevole ripresa della produzione letteraria, quegli stessi anni sono vissuti come cupamente costrittivi da molti intellettuali che sentono impedita dal governo ogni possibilità di libera espressione. Nerva e Traiano sospesero la repressione della libertà di espressione, gli intellettuali che si erano sentiti limitati da Domiziano provavano un senso di liberazione. la svolta di Adriano fu radicale, egli mise al centro del suo impegno politico la riorganizzazione e il consolidamento dell’impero dal punto di vista delle strutture amministrative, militari, economiche, civili, si impegnò a garantire la sicurezza rafforzando il limes. GIOVENALE La vita e le opere: Giovenale nacque forse ad Aquino, nel Lazio meridionale tra 50 e 60 d.C da famiglia benestante, ebbe una buona educazione retorica ed esercitò la professione di avvocato ma vivendo all’ombra di potenti padroni nella disagiata condizione di cliente, privo di autonomia economica. All’attività poetica arrivò in età matura, dopo la morte di Domiziano e continuò a scrivere fino al periodo del principato di Adriano. La sua produzione poetica è costituita da 16 satire in esametri suddivise in 5 libri forse dall’autore stessp. Un frammento di 36 versi, appartenente alla sesta satira fu scoperto nel 1899. La satira indignata: La letteratura del tempo, col suo fatuo dilettarsi di leggende mitologiche eè ridicolmente lontana secondo Giovenale dal clima morale corrotto , dalla profonda abiezione in cui versa la società romana del uso tempo. Di fronte all’inarrestabile dilagare del vizio, saà l’indignazione la musa del poeta e la satira il genere obbligato, l’unico che può descrivere il suo disgusto. Così nella prima satira Giovenale annuncia le ragioni della sua poetica e la centralità che in essa opera l’indignatio, segnando con ciò uno scarto sensibile rispetto alla tradizione satirica latina. Al contrario di Orazio e in parte discostandosi anche da Persio, Giovenale non crede che la sua poesia possa influire sul comportamento degli uomini giudicati prede della corruzione: la sua satira si limita a denunciare senza illusioni di riscatto. Sono le risposte della morale diatribica che Giovenale respinge, di quella morale che insegna a restare indifferenti di fronte al mondo delle cose concrete, esteriori, a guardarle con distacco e ironia, e a coltivare invece i beni interiori, a perseguire le mete di una superiore nobiltà dello spirito. Giovenale demistifica questa morale consolatoria con lo sdegno dell’uomo offeso dal vedere il vizio e la colpa premiati col rancore dell’emarginato, di chi si sente escluso dai benefici che la società elargisce ai corrotti e costretto all’umiliante condizione del cliente. L’astio sociale è una componente importante del ceto medio italico che nella vita quotidiana della cosmopolita capitale dell’impero vede mortificati i valori morali e politici della tradizione nazionale e repubblocana. Secondo Giovenale non ci sono le condizioni sociali per figure di poeti integrati come lo erano stati i protetti di Mecenate e Augusto, Virgilio e Orazio. Il poeta, nella Roma di Giovenale è bistrattato, vive in condizioni di estrema povertà, deve riuscire a coltivare la propria ispirazione nella miseria. Privo di una coscienza etico politica capace di interpretare il tumultuoso sviluppo Giovenale guarda a questo confuso spettacolo di fronte al quale non gli resta che l’amara soddisfazione dell’invettiva. Al suo sguardo la società appare perversa e i ruoli delle varie classi sociali stravolti a cominciare dalla nobiltà che ha indegnamente abdicato alle funzioni che le competono e abbruttisce nei bagordi e nella lussuria. La sua furia aggressiva non risparmia nessuno. STAZIO: La vita e le opere: Stazio nacque a Napoli tra il 40 e il 50 d.C, figlio di un apprezzato maestro di scuola che in seguito si trasferì a Roma. Molto giovane si cimentò subito in recitazioni pubbliche e gare poetiche. Morì nel 96 dopo essere tornato in Campania. Stazio scrisse molto, tre poemi epici, La Tebaide, l’Achilleide e il perduto De bello Germanico sulle gesta di Domiziano; e le Silvae, titolo che allude al carattere miscellaneo della raccolta. Quest’ultima opera varia nei metri e nei temi, raccoglie poemetti di ringraziamento e di lode rivolti ai patyroni e ai benefattori del poeta. condiviso dagli antichi, che lo stile è l’uomo, egli diventa il punto di riferimento di una reazione classicista contro lo stile corrotto e degenerato. Prende a modello la scrittura di Cicerone. Il libro VIII continee un’aspra analisi dello stile stravagante dei retori moderni che si ispirano a Seneca, il cui stile, sconnesso e spezzettato, si caratterizza per la grande abbondanza di sententiae, le frasi ad effetto. All’oratore, Quintiliano richiede una vasta preparazione culturale e il suo ideale si avvicina a quello delineato nel De oratore ciceroniano. Sembra aver perduto terreno la filosofia che non occupa più un posto di rilievo, mentre è della retorica che Quintiliano rivendica il primato. Una questione particolarmente delicata è posta nel XII e ultimo libro, quella del rapporto dell’oratore con il princeps, tentando di recuperare per il primo una missione civile aliena tanto da sterili atteggiamenti ribelli quanto da avvilente servilismo. L’oratore di quintiliano non mette in discussione il regime, ma riconosce nelle proprie doti morali un vantaggio per la società ancora prima che per il pricnipe. Questo ideale di un oratore guida per il senato e per il popolo romano è un’illusione infondata, una negazione della realtà storica dell’impero. PLINIO IL GIOVANE: La vita e le opere: Nato a como nel 61 d.C, Gaio Cecilio secondo sarà poi adottato da Plinio il Vecchio, zio materno, da cui prende il nome. A Roma percorse i gradi della carriera pubblica per essere infine designato console nel 100. In occasione di questa nomina, dovuta all’indicazione di Traiano, Plinio pronunciò in senato un discorso di ringraziamento chiamato Panegyricus. Il titolo (nella grecia classica i panegirici erano discorsi tenuti nelle solennità panelleniche, più tardi passò a indicare l’elogio di un monarca) si attaglia però all’encomio del princeps svolto nella circostanza di Plinio. Nominato nel 111 legato imperiale in Bitinia morirà poco dopo. Oltre al panegirico di Plinio, si conservano i 10 libri di Epistulae, lettere spedite a vari destinatari e pubblicate a cura dell’autore. Plinio e Traiano: Il Panegyricus ci è pervenuto come testo iniziale di una raccolta di più tardi panegirici di vari impertori, quasi l’inaugurazione di una genere letterario. La gratiarum actio di fronte al senato trapassa in un encomio dell’imperatore, di cui Plinio enumera ed esalta le virtù, celebrandone i meriti per aver restituito libertà di parola e di pensiero. Auspicando dopo la tirannide di Domiziano un periodo di rinnovata collaborazione tra imperatore e senato. Plinio vuole anche delineare un modello di comportamento per i principi futuri, ispirato alla continuazione della concordia fra imperatore e ceto aristocratico, cui si chiede anche una stretta intesa politica e culturale con il ceto equestre. Il panegirico lascia affiorare qua e là la preoccupazione che principi malvagi possano nuovamente salire al potere e che il senato possa tornare a soffrire come sotto Domiziano. Plinio e la società del suo tempo: Nonostante la casualità che Plinio dichiara du aver usato nell’ordinamento dei volumi, l’epistolario segue un chiaro criterio di alternanza che mira a evitare l’impressione di monotonia. Solitamente le lettere sono dedicate ciascuna a un singolo tema, sempre trattato con cura dell’eleganza letteraria. Le lettere di Plinio sono in relatà una serie di brevi saggi di cronaca sulla vita mondana, intellettuale e civile, l’autore si rivolge ogni volta ai suoi interlocutori, che intrattiene sulla sua attività informandoli sulle proprie preoccupazioni di grande proprietario terriero, elogia personaggi diversi soprattutto letterari e poeti viventi o morti da poco. Egli non è preoccupato della crisi della cultura, avverte più una decadenza nel gusto degli ascoltatori. TACITO: La vita e le opere: Tacito nacque intorno al 55 d.C nella Gallia Narbonense o Cisalpina da una famiglia di ceto elevato. Studiò a Roma e nel 78 sposò la figlia di Giulio Agricola poi celebrato nell’operetta biografica De vita e de moribus Iulii Agricolae del 98. Grazie all’appoggio del suocero Tacito inizia una carriera politica che lo portò alla pretura nell’’88 e poi a un prestigioso incarico in Gallia o in Germania. Nasce da queste esperienze il trattato etnografico De origine et situ germanorum pubblicato nel 98. Agli ultimi 15 anni di vita risale la composizione delle due opere maggiori, le Historiae e gli Annales, Tacito morirà verso il 117. le cause della decadenza dell’oratoria: il Dialogus de oratoribus: l’opera, ambientata nel 75 o 77, si riallaccia alla tradizione dei dialoghi ciceroniani su argomenti filosofici e retorici. Riferisce una discussione che si immagina avvenuta in casa di Curiazio Materno fra lo stesso Curiazio, Marco Apro,Vipstano Messalla e Giulio Secondo, alla quale Tacito dice di avere assitito in gioventù. In un primo momento si contrappongono i discorsi di Apro e Materno, in difesa rispettivamente dell’eloquenza e della poesia. Con l’arrivo di Messalla il dibattito si sposta sulla decadenza dell’oratoria che la attribuisce al deterioramento dell’educazione. Il dialogo si conclude con un discorso di Materno, portavoce di Tacito, il quale lega la grande oratoria alla libertà o piuttosto all’anarchia. Alla base di tutta l’opera di Tacito sta l’accettazione dell’indiscutibile necessità dell’impero come unica forza in grado di salvare lo stato da caos delle guerre civili. Il principato restringe lo spazio per l’oratore e l’uomo politico, ma ad esso non esistono alternative. Ciò non significa che Tacito accetti gioiosamente il regime imperiale, nè che all’interno di questo spazio ristretto egli non indichi la residua possibilità di effettuare scelte più o meno dignitose, tema affrontato nell’Agricola. Agricola e la sterilità dell’opposizione: Verso gli inizi del regno di Traiano, Tacito approfittò del ripristino dell’atmosfera di libertà dopo la tirannide di Domiziano per pubblicare il suo primo opuscolo storico che tramanda ai posteri la memoria del suocero Giulio Agricola, principale artefice della conquista di gran parte della Britannia sotto il regno di Domiziano e leale funzioanrio imperiale. L’agricola narra soprattutto la conquista dell’isola lasciando spazio a digressioni geografiche ed etnografiche. La Britannia è sopratutto il campo in cui si dispiega la virtus di Agricola, il teatro delle sue brillanti imprese. Tacito mette in rilievo come egli avesse saputo servire lo stato con fedeltà, onestà e competenza sotto un pessimo principe come Domiziano. Il suo luminoso esempio indica come anche sotto la tirannide sia possibile condurre una vita onesta e d’esempio. Virtù dei barbari e corruzione dei romani: Gli interessi etnografici, già presenti nell’Agricola sono al centro della Germania. Le notiie contenute nell’opera non sembrano derivare da osservazione diretta ma quasi esclusivamente da fonti scritte. Gli intenti di Tacito in questo opuscolo sono probabilmente connessi all’esaltazione di una civiltà ingenua e primordiale, non ancora corrotta dai vizi raffinati di una civlità decadente. La Germania sembra percorsa da una vena di implicita contrapposizione dei barbari, ricchi di energie ancora sane e fresche, ai romani. Ma insistendo sulla forza e sul valore guerriero dei germani, Tacito forse vuole sottolineare la loro pericolosità per l’impero. La debolezza e la frivolezza della società romana devono allarmare lo storico. Si può collegare la stesura di questo opuscolo alla presenza di Traiano sul Reno con un forte esercito determinato alla guerra e alla conquista. Le opere maggiori: Historiae e Annales: Le due opere hanno andamento annalistico ma non rinunciano a proporsi come opere a tema, monografie. Il tema è lo studio del potere, di come il principato, dopo le guerre civili si rese necessario perchè la pace restasse stabile. In realtà Tacito studia i meccanismi oscuri della conversazione e della distruzione del potere, gli spazi terribili della delazione e del tradimento.Roma diventa una grande metafora della triste natura dell’uomo. I primi 5 libri delle Historiae (pervenuti) abbracciano un arco di tempo che va dal 1 gennaio del 69 d.C, l’anno dei 4 imperatori, fino alla rivolta giudaica del 70, ma l’intera opera doveva arrivare fino al 96, anno della morte di Domiziano. La parte rimasta tratta di un susseguirsi di rivolte e guerre civili, l’ultimo libro continee un lungo excursus sulla Giudea, ribellatasi ai romani. Degli Annales si sono conservati i libri 1-4, un frammento del 5 parte del 6, comprendenti il racconto degli avvenimenti dalla morte di Augusto nel 14 a quella di Tiberio nel 37, con una lacuna di un paio d’anni tra il 29 e il 31. abbiamo inoltre i libri dall’XI al XVI con il racconto dei regni di Claudio e di Nerone. Nel passaggio dalle Historiae agli Annales l’orizzonte di Tacito sembra incupirsi per la consapevolezza che i limiti imposti dal principato, pur necessario, si sono fatti più duri e che quell’equilibrio di ordine e libertas era più fittizio che reale, così negli Annales Tacito conferisce un colore uniforme e tetro all’intero quadro della vita sotto i Cesari. Tacito vede le cause della corruzione nella natura dell’uomo, le cause dei disastri, delle rovine di Roma, sono da ricercarsi nell’ineguatezza degli uomini di fronte agli eventi o nella corruzione della natura umana. Raccontando le vicende di Roma Tacito conduce il lettore attraverso un territorio umano desolato, privo di luce o speranza, a volte i suoi personaggi sono figure patologiche. Soprattutto negli Annales, la paura e la tensione hanno sfogo in inspiegabili delitti, suicidi, fughe senza destinazione, tuttavia la maggior parte dei personaggi di Tacito è tutt’altro che folle o incapace di lungimiranza, le figure di calcolatori e intriganti sono numetose, e l’aspirazione al potere produce lucidissimi piani di conquista. Qui l’arte del ritratto raggiunge il suo vertice con Tiberio, si tratta di un ritratto indiretto, fa sì che questo ritratto si delinei progressivamente, è una figura in evoluzione. SVETONIO: La vita e le opere: Nato da famiglia di rango equestre forse intorno al 70 d.C, Svetonio fu avvocato e funzionario della corte, venne inizialmente preposto alla cura delle biblioteche pubbliche e poi, sotto Adriano, all’archivio imperiale e alla corrispondenza dello stesso principe. Intorno al 122, caduto in disgrazia fu allontanato dalla corte, ci è ignoto l’anno della morte. Delle sue opere rimangono il De vita caesarum raccolta delle biografie degli imperatori da Cesare a Domiziano, il De viris illustribus, una serie di letterati di cui rimane solo l’ultima parte, il De grammaticis et rhetoribus. Lo schema delle vite degli uomini illustri obbedisce a un disegno ricorrente, brevi info su origine e luogo di nascita, sull’insegnamento, gli interessi. ma poi Svetonio lascia da parte l’ordine Tertulliano denuncia l’infondatezza giuridica delle persecuzioni, motivate dal semplice nome di cristiani e non per una loro colpa contro lo stato. L’opera, di cui l’Ad nationes è una specie di primo abbozzo, è stata tramandata in due versioni differenti tanto che si è pensato a una doppia redazione da parte dell’autore. ricordiamo ancora l’Ad martyras con l’esortazione a un gruppo di cristiani incarcerati e in attesa del martirio. Altri scritti affrontano problemi morali nella comunità cristiana. Nel De spectaculis predica contro la partecipazione agli spettacoli del teatro e del circo, nel De idolatria affronta il tema dell’attività economica e delle professioni, concludendo che quasi tutte le attività quotidiane sono piene di paganesimo e perciò inaccettabili. Nel De virginibus valendi invita le donne a non uscire di casa a volto scoperto. Nel De cultu feminarum si occupa dei vestiti delle donne, che devono essere discreti, secondo lui la donna è il più pericoloso strumento di Satana. AMMIANO MARCELLINO: La produzione storiografica del IV secolo è particolarmente vasta e impegna anche i principali esponenti della vita politica. Lo storico più importante di tutto il periodo tardo è Ammiano Marcellino, nato sd Antiochia, in Siria intorno al 330-335, apparteneva a una famiglia benestante di lingua e cultura greca. Partecipò a diverse campagne contro i Parti e fu ufficiale dell’esercito. Più tardi venne a Roma dove iniziò a scrivere la sua opera storiografica. La sua opera, i rerum gestarum libri XXXI, partiva dal regno di Nerva (96) e giungeva fino alla morte dell’imperatore Valente, avvenuta nela battaglia di Adrianopoli nel 378. Noi abbiamo solo i libri dal XIV alla fine che trattano gli avvenimenti dal 353 al 378. Le vicende dell’imperatore Giuliano, detto l’Apostata per aver abiurato la religione cristiana ed essere stato protagonista di un effimero ritorno al paganesimo, costituiscono la sezione principale della parte rimastaci, al suo tentativo di ritornare alle tradizioni gloriose del passato sono dedicati 11 libri che coprono uno spazio di soli 10 anni.Ammiano vuole presentarsi come prosecutore dell’opera di Tacito, le Historiae infatti arrivavano all’avvento al potere di Nerva, punto di partenza di Ammiano. Scegliere Tacito come modello significava opporsi alla tendenza verso la storia biografata secondo l’esempio svetoniano. Ripropporre la priorità degli eventi sui protagonisti, ricollegarsi alla tradizione della storiografia pagana senatoria. L’influsso di Tacito si nota nell’ambizione a essere imparziale, lo storico dà prova di un’autonomia e indipendenza di giudizio che costituiscono uno dei pregi principali della sua oepra. Anche del suo eroe Giuliano vengono presentati obiettivamente i difetti e non mancano critiche al suo atteggiamento nei confronti dei cristiani, ritenuto a volte repressivo e ingiusto. A Tacito fanno pensare inoltre l’atteggiamento pessimistico, la convinzione che lo Stato sia ormai in sfacelo, la scarsa speranza in un futuro di Roma che possa riverdiare le glorie del passato. AUSONIO: Tra i poeti dotti attivi nella seconda metà del VI secolo, il più noto è Ausonio, di Burdigala, odierna Bordeaux in Aquitania, 310-394. Ausonio fu cristiano, ma senza mostrare vergogna per la propria erudizione pagana e tese nelle sue opere un recupero di una tradizione che in quanto tale era avvertita come degno oggetto di poesia. Nel IV secolo, la divisione tra pagani e cristiani è ancora poco netta e le due religioni convivono bene in tutti i ceti sociali, a volte all’interno di una stessa famiglia. Professore di grammatica e retorica, poi maestro e successivamente consigliere dell’imperatore Graziano, Ausonio rappresenta bene il gusto manierato, a volte frivolo, di quest’ultima stagione classicheggiante. Egli rivela spesso un gusto accademico, non incline a lasciar filtrare nella letteratura urgenti questioni attuali, del tutto sordo verso i reali problemi che minano la solidità dell’impero. Al contrario, la scrupolosa attenzione nella scelta delle parole e il gusto per i giochi metrici dimostrano tutta l’esperienza del retore abituato a lavorare sul materiale verbale. Non manca comunque nella poesia di Ausonio lo spazio per il vissuto, per le cose, per un certo realismo minuto e pettegolo. Va ricordata la Commemoratio professorum Burdigalensium, una serie di ricordi di professori di provincia dei quali l’autore immagina di comporre gli epitaffi, tante vite infondo tutte uguali ma che offrono un interessantissimo spaccato di storia sociale. Alla poesia funeraria appartengono i Parentalia, carmi che il poeta dedica ai propri defunti. Tra i numerosi altri testi che abbiamo vanno ricordati i 114 epigrammi e le 25 epistole metriche ad amici. CLAUDIANO: Claudiano nasce ad Alessandria d’Egitto, attivo alla corte d’Occidente poco dopo Ausonio, morto attorno al 404. Della sua prima produzione, in greco, restano due frammenti di una Gigantomachia, poema dedicato al mito della ribellione dei Giganti contro gli dei. Venuto in Italia Claudiano diventa il poeta al seguito, e il protetto del generale germanico Stilicone, padrone della metà occidentale dell’impero durante la minore età dell’imperatore Onorio. In latino Claudiano compone la maggior parte delle sue opere, la sua poesia appare informata e consapevole dei problemi dell’impero. Di lui ricordiamo il ciclo di tre poemi epico-storici dedicati alle imprese di Stilicone che hanno per tema le numerose guerre da lui combattute contro le popolazioni germaniche che premevano ai confini dell’impero: Il De bello Gothico, il de bello Gildonico, e la Laus Stilichonis. Il recupero dell’epica di argomento storico contemporaneo assai poco praticati in età imperiale e la sua fusione con i caratteri tipici della poesia encomiastica rispondevano all’edigenza di cercare successo presso il pubblico senatorio colto, a cui erano indirizzati i componimento e che Stilicone voleva raggiungere. In lode indiretta di Stilicone è ancora l’elogio di Serena, la moglie del generale che Claudiano considerava sua benefattrice. In lode dell’imperatore Onorio sono composti tre panegirici in occasione del suo terzo, quarto e sesto consolato, qui gli elogi dell’imperatore si uniscono all’esaltazione della grandezza di Roma e del suo impero. Due sono i poemi di ispirazione mitologica, la Gigantomachia, che riprende in latino l’argomento del poema giovanile in lingua greca e il De raptu Proserpinae. PRUDENZIO: Alla seconda metà del IV secolo appartendono le due figure di maggior rilievo della poesia propriamente cristiana: Prudenzio e Paolino. Prudenzion nato nel 348 a Calagurris in Iberia, va ricordato soprattutto per le due raccolte di inni liturgici, il Cathemerinon liber e il Peristephanon. La prima comprende canti da eseguire quotidianamente in determinati momenti della giornata, al sorgere del sole, al momento del pasto, alla sera, o per particolari festività. La seconda, formata da 14 inni in onore dei santi che hanno ricevuto la corona del martirio è carica da narrazioni inverosimili ed è appesantita da descrizioni macabre che per l’eccesso di particolari ributtanti, sfiorano talora il ridocolo. Alla fine del Iv secolo, quando il rischio delle persecuzioni era ormai remoto, si sviluppa un interesse alla ricostruzione di quel passato di violenze e martirii, di cui si idealizzano sempre di più gli aspewtti eroici. La combinazione di orrido e meraviglioso attrae il pubblico. Prudenzio è un buon conoscitore dei classici e negli inni sceglie come modello e rivale Orazio, ripreso per i metri e per immagini e frasi. La mitologia è sostituita da racconti biblici o dalle narrazioni talora fantasione dei martiri. Nonostante la riconosciuta grandezza dei grandi autori pagani i poeti cristiani possono confrontarsi con i classici senza timori reverziali perchè l’eccellenza della materia compensa i limiti soggettivi delle persone. Va menzionata anche la Psychomachia, un poemetto didascalico allegorico sul combattimento di vizi e virtù. Gli scontri sono descritti con gli strumenti della tecnica epica e le personificazioni delle virtù e dei vizi agiscono come personaggi omerici e virgiliani, con particolari sulle uccisioni. Infine, il poema apologetico Contra Symmachum in due libri ha per argomento la disputa, vecchia ormai di una ventina d’anni fra Ambrogio e Simmaco sull’altare della Vittoria. Prudenzio riprende le tesi del primo contro l’idolatria pagana ribadendo l’assurdità del politeismo classico e l’utilità della sua eliminazione. ma in quest’opera Prudenzio insiste anche sulla necessità di non contrapporre il cristianesimo alla civiltà romana, attribuire i successi di Roma alla volontà di un Dio, che preparava così la diffusione del cristianesimo in tutto il mondo unificato dal’impero, è un modo per recuperare la tradizione limitando i cambiamenti al solo fatto religioso senza rinunciare alla cultura classica. I PADRI DELLA CHIESA: Gli scrittori cristiani della seconda metà del IV secolo sono chiamati Padri della chiesa, perchè è grazie alla loro mediazione tra cristianesimo e cultura greco latina che l’analisi dei problemi religiosi ed etici arriva a profondità mai viste prima. Fra tutti svettano tre figure che per diversi aspetti hanno condizionato tutta la storia del cristianesimo occidentale: Ambrogio, Girolamo, Agostino. AMBROGIO: Ambrogio nacque intorno al 339-340 a Treviri in Germania, dove risiedeva il padre, prefetto del pretorio per la Gallia. Recatosi a Roma per completare la sua educazione, Ambrogio frequentò le scuole migliori e iniziò la carriera pubblica. Poco più che trentenne fu inviato a Milano come Consularis Liguriae er Aemiliae, in pratica governatore di tutta l’italia settentrionale. Nel 374, alla morte del vescovo di Milano Aussenzio, che era ariano, per scongiurare uno scontro tra ariani e ortodossi venne nominato vescovo della città proprio ambrogio, apprezzato per le sue capacità di mediazione. Restò in carica fino alla morte avvenuta nel 397 divenendo grazie alla sua vigorosa personalità la vera autorità della chiesa d’Occidente. Risale in parte ad Ambrogio quel