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Storia della lingua italiana - Prof. Sergio, Appunti di Linguistica

La storia della lingua italiana studia l'evoluzione dei fatti linguistici attraverso il tempo, analizzando la storia della lingua romanza in italia, la coesistenza del latino e del volgare in diglossia, l'influenza di dante e dei suoi contemporanei sulla lingua italiana, la diffusione della lingua italiana attraverso la stampa e la nascita delle lingue di koinè. Una panoramica storica della lingua italiana, analizzando le fasi della sua evoluzione e le influenze culturali e linguistiche che hanno contribuito alla sua formazione.

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 12/04/2024

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nicole-di-mauro 🇮🇹

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Scarica Storia della lingua italiana - Prof. Sergio e più Appunti in PDF di Linguistica solo su Docsity! LINGUISTICA ITALIANA CORSO DIVISO IN 2 PARTE : LA STORIA DELLA LINGUA ITALIANA E SOCIOLINGUISTICA DELL’ITALIANO CONTEMPORANEO ESAME : O prova orale (fino giugno 2025), esame in forma scritta solo a Maggio che sostituisce l’esame orale BISOGNA REGISTRARSI ALL’APPELLO ORALE SOLO X REGISTRARE IL VOTO NON SI SOSTIENE L’ESAME. 3 domande /1 domanda sulle cose a lezione / 1 solo sul libro e 1 che c’è sia libro che detta a lezione + 1 domanda che vale per la lode solo se ho risposto bene alle 3 domande precedenti. La storia della lingua italiana studia l’evoluzione dei fatti linguistici in diacronia, ovvero attraverso il tempo (dia =attraverso e cronos=tempo). Può adottare una prospettiva interna, ovvero soffermarsi sull’evoluzione strutturale di uno o più livelli linguistici ( come e cambiato il lessico in un determinato periodo storico/ come ha cambiato contesto d’uso) e l’approccio esterno che studia come e quanto è cambiata la lingua in relazione a fenomeni storici, culturali e sociali (cambiamenti territoriali ,come una nazione divisa e poi unificato ad esempio comporta anche cambiamenti linguistici). Le origini dell’italiano affondano nell’alto medioevo e nel latino, o meglio il latino volgare, diverso da quello classico. Il latino volgare si differenzia da quello classico perché era usato in circostanze informali, a differenza di quanto si pensa infatti il volgare era un registro del latino classico che poteva essere parlato anche da personaggi come Cicerone ( quello informale). Questa forma ci è tramandata ad esempio da fonti epistolari o letterarie più comiche (Satyricon di Petronio, in cui l’autore per rendere più realistici i dialoghi), o nei trattati tecnici , dove era più importante l’immediatezza comunicativa che la ricercatezza stile. Si ritrova in alcuni testi cristiani, con lo scopo di arrivare a più persone o nei trattati grammaticali . Nella slide l’APPENDIX PROBI che indica le forme corrette da utilizzarsi secondo lo schema X non Y (va detto X non Y), censurava certe forme e ne suggeriva altre. E’ una delle prove che ci permette di individuare il latino volgare come tappa intermedia tra latino(classico) e italiano. L’italiano è una lingua che si è conservata piuttosto bene attraverso i secoli ( anche per via delle varie testimonianze scritte), ma che comunque è cambiata nel tempo. Il passaggio da latino volgare a italiano ha richiesto diversi secoli, non abbiamo una data definita, è una serie di passaggi impercettibili. I tratti del latino volgare che lo rendono un ponte verso l’italiano e le lingue romanze sono: il fatto che nel corso del passaggio dal latino classico a quello volgare e poi all’italiano, il sistema vocalico passa da un sistema a 10 elementi a uno con 7 elementi , questo perché alla lunghezza vocalica come tratto distintivo si va a sostituire il timbro (opposizione trae/o chiusa e aperta). ESEMPI SULLE SLIDE (?) Lo schema nelle slide ci dice come si è trasformato il vocalismo nel passaggio da latino volgare a italiano. Ciò ci dimostra che le lingue non cambiano a caso, ma seguendo delle regole( che valgono per la nostra lingua) PAROLA FLOREM → possiamo ricavarne che in nesso consonantico F+L in latino diventa F+I in italiano Un altro fenomeno che si verifica è la caduta delle M finali, perché esse caratterizzavano l’ uscita dell’accusativo latino, venivano già nel volgare pronunciate debolmente, lo stesso per altre consonanti finali. Il finale di parola con vocale è oggi l’esito più comune che abbiamo in italiano, ciò caratterizza particolarmente il fiorentino, mentre altre varietà settentrionali o meridionali. Altro tratto riguarda la caduta dei casi, che viene via via smantellandosi per essere sostituito da sintagmi analitici cioè utilizzano la base del nome preceduta dalla preposizione. Ciò comporta una maggiore rigidità nell’ordine della frase, mentre infatti con i casi si aveva più libertà in questo senso in quanto era il caso stesso che ci indica la funzione grammaticale della parola. In italiano tende a prevalere l’ordine SVO + le varie ed eventuali estensioni. Sono fenomeni di continuum (?) , che impiegano secoli ad affermarsi. I testi intermedi sono testi scritti in un epoca intermedia fra latino volgare e italiano, qui ritroviamo una convivenza fra tratti latini e quelli che saranno i tratti della nostra lingua. Questi sono testi occasionali, ovvero ad esempio scritti in margine a dei tratti notarili, o a modi appunto. Un esempio di testi ibridi occasionali è il graffito (nelle slide) che si trova a Roma, nella parte in basso a sinistra nel dipinto nel quale sono compresenti tratti dei due stadi della lingua. Traduzione : “Non pronunciare le preghiere a voce alta “, con questo graffito si invitavano i presenti a pronunciare le preghiere a bassa voce. NON DICERE;NON + INFINITO era un modo previsto dal latino per indicare l’imperativo negativo. Anche in italiano l’imperativo negativo si forma in questa maniera non+ infinito. ILLE nel latino classico era un pronome dimostrativo (quelle), il valore dimostrativo è indebolito e diventa articolo determinativo. In Secrita abbiamo il passaggio di secretam con e lunga a i. E infine ad vocem, si verifica il fenomeno del betacismo, ovvero il passaggio da v a b (?) e anche il fenomeno del raddoppiamento fonosintattico, spazio tra le parole invece che il raddoppiamento delle lettere (?). Ogni lingua romanza presenta una propria storia della lingua, determinata dalla geografia e dalle lingue che erano precedentemente parlate in queste aree (tutta l’area è detta Romania ). La Disciplina che studia le fasi della lingua italiana si chiama grammatica storica. Essa studia prevalentemente le parole nalla loro formazione standard, ma In alcuni casi, le parole si tramandano solo per via scritta , oppure sono rimaste sconosciute per molto tempo e recuperate in epoche recenti, e in questi casi non sono stati seguiti le normali regole della grammatica storica. Tutte le prime manifestazioni del volgare italiano hanno carattere di episodicità oppure un carattere pratico (elenchi della spesa, atti notarili). Per una lunga fase il latino e volgare hanno convissuto in diglossia, ovvero una condizione della lingua in cui coesistono che sono impiegate per funzioni diverse : il latino impiegato in funzioni più formali o testi letterari destinati a rimanere nel tempo, mentre il volgare era utilizzato in funzioni meno formali e più pratiche. A differenza del fenomeno del bilinguismo, ma nel bilinguismo le due lingue che si alternano hanno il medesimo status, nella diglossia c’è una differenza di registro. Nel 960 viene redatto il placito Capuano(nella slide). Placito è un termine tecnico del diritto che indica un atto notarile (deriva da Placea), Capuano invece è per via della città di origine, Capua, in Campania. si tratta di un atto notarile realizzato su una pergamena, redatto prevalentemente in latino, in alcuni punti vengono trascritte delle dichiarazioni che erano state rese oralmente da alcuni testimoni , che vengono rese in volgare e trascritte come tali. Non si trattava però di testimonianze spontanee ma bensì delle formule che venivano recitate e che compaiono più volte nel testo in questione. Es: (nelle slide) la parte in latino è fino a rese la seguente testimonianza. Garibertus(fino a sancti benedictis). Ovvero: “ so che quelle terre per quei confini di cui qui si parla le ha possedute per trent’anni la parte di San Benedetto”. Si sta riferendo a una questione che a che fare con il diritto di usucapione (?). Sta dicendo che le terre di cui si parla sono state di proprietà del monastero di San Benedetto per trent’anni. Il placito Capuano cerca di dirimere questa disputa (terriera). Linguisticamente il Sao iniziale deriva da un saluto latino, che è stato probabilmente utilizzato dall’autore per evitare la forma saccio (so come sapere), la versione corrente anche oggi ma che era reputata troppo popolare. Viene utilizzato questo Sao per innalzare il registro. La k è ripresa sia in ko che in kelle( slide) , che è tuttora in uso in alcuni dialetti meridionali. Il nesso ch viene reso con la k. Abbiamo il mantenimento del nesso CT(del latino) , che invece in Italiano si andrà perdendo, o si assisterà al fenomeno della assimilazione regressiva (sancto e benedecto). La consonante T assimila ciò che viene prima (oggi in italiano diciamo Santo e Benedetto). Abbiamo anche l’assimilazione progressiva in cui la consonante che viene prima assimila a quella che viene dopo, ad esempio in alcuni dialetti del sud non dicono mondo ma “monno “. La N che viene prima assimila quella che viene dopo. Un altro fenomeno interessante è il genitivo: parcti Sancti Benedicti , noi in italiano diciamo parte di San Benedetto . Non abbiamo più la desinenza i ma abbiamo la preposizione di. Questo fenomeno se fossilizzato anche nei nomi di vie o piazze( noi diciamo via Edison, ma intendiamo via di Edison). Dal punto di vista sintattico troviamo il fenomeno della dislocazione a sinistra(anticipo il soggetto) in “so che quelleterre le ha possedute” , fenomeno che è tutt’altro che recente, anzi era presente già nel primo documento italiano. Possiamo considerare questo testo il primo ufficiale di quello che consideriamo italiano per il fatto che c’è una coesistenza e opposizione tra latino classico e volgare. Il volgare continua il suo percorso e arriva a imporsi negli usi letterari e poetici dove possiamo ricordare la scuola di Federico II ( scuola siciliana), che sceglie il volgare promuovendolo appunto per gli usi poetici. Si trattava di un volgare letterario di poeti provenzali e dell’Italia settentrionale e centrale che avevano iniziato a scrivere in volgare alcuni decenni prima, si trattava di un gioco letterale raffinatissimo. Questa scuola raggiunge esiti positivi e riesce a diffondersi fino a raggiungere il Nord Italia e la Lombardia. Venne estremamente apprezzata da Dante( che nella vulgari Eloquentia propone di utilizzare esclusivamente siciliano e bolognese, Passando in rassegna gli altri dialetti). Dante però aveva conosciuto la poesia siciliana solamente in traduzione, questo perché queste poesie venivano trascritte da copisti toscani che avevano la varietà di impieghi nel volgare fiorentino, quindi come la prosa volgare potesse essere impiegata per rappresentare situazioni e personaggi diversi (per ceto, provenienza), Personaggi che Boccaccio fa esprimere attraverso dei dialoghi che sono mimetici di quello che dicevano questi personaggi. Nel Decameron si deve sottolineare quindi la varietà della lingua (che possiamo cominciare a chiamare lingua italiana → sostanziale fiorentinità) e il côté letterario. (Sebbene ci fossero molti dialoghi , che la maggior parte del testo è occupata dalla parola d’autore e quindi dalle cornici narrative). (Slide VIII Novella della II giornata) Questo passo ci fa capire un tratto sintattico. (presente anche nelle opere successive) La sintassi è la caratteristica più caratterizzante di quest’opera. Si tratta di una sintassi fortemente ipotattica, molto ricca di subordinate di diverso grado, di matrice sicuramente scritta, resa ancora più pesante dal fatto che il verbo della principale si trovava prevalentemente alla fine del periodo(verbo posposto). “…ed avanti che a ciò procedessero, per non lasciare il regno senza governo, sentendo Gualtieri, conte d’Anguersa, gentile e savio uomo e molto loro fedele amico e servidore, ed ancora che assai ammaestrato fosse nell’arte della guerra, per ciò che loro più alle dilicatezze atto che a quelle fatiche parea, lui in luogo di loro sopra tutto il governo del reame di Francia general vicario lasciarono, ed andarono al lor cammino.” Si tratta di una prosa fortemente sbilanciata a sinistra (tutte le subordinate sono a sinistra), dove cade il peso della frase (secondo il modello latino). Si contano cinque subordinate con i verbi principali alla fine “lasciarono” e “andarono”. Si tratta di una sintassi molto complessa → questo tipo di periodare fu quello più imitato, per cui la prosa volgare si ispirò per alcuni secoli. l 300 rappresenta un periodo di snodo per la nostra lingua per il concorrere di queste tre corone/tre padri della lingua italiana (Dante, Boccaccio, Petrarca). Le loro opere portarono la diffusione materiale, quindi la diffusione della lingua, in cui vennero esemplate, redatte. Mentre queste opere continuavano a circolare, il 400 segna una battuta d’arresto per i volgari (in generale) perché quest’epoca è caratterizzata da una riscoperta da parte degli umanisti delle lingue classiche (latino e greco), essi consideravano il volgare una manifestazione da rilegare alle esigenze più pratiche e disprezzavano il latino medioevale (volgare) e puntavano con un obiettivo di recupero del latino classico (latino ciceroniano). Gli umanisti si interrogarono sul decadimento del latino, non perché interessati al volgare ma al mantenimento del latino. Vi furono perciò due tesi: 1. Biondo Flavio (umanista) riteneva che i volgari fossero nati a causa di una motivazione esterna e in particolare la conquista dell’Italia da parte dei barbari, specialmente da parte dei Longobardi che occuparono l’Italia tra il 568 e 773. Sicuramente ad oggi possiamo ritenerla una concausa ma non la causa principale considerando che il latino volgare era un registro del latino che esisteva già dai secoli precedenti. Inoltre, i Longobardi operarono sull’Italia un’azione di superstrato, ovvero che essi venendo in Italia, non imposero mai una propria lingua ai popoli occupati, ma lasciarono la libertà di parlare la propria. La venuta dei Longobardi portò l’arricchimento del lessico in settori della vita quotidiana. (per esempio, sono di origine longobarda parole come “baffo”, “zanzera”) Questa tesi imputa la corruzione del latino e la nascita del latino volgare da una causa esterna avvenuta dai barbari. Fu la tesi che ebbe più successo nel 400 e 500 perché venne ripresa successivamente da Pietro Bembo. 2 La seconda tesi poi confermata successivamente dagli storici della lingua fu quella di Leonardo Bruni, il quale sosteneva che già nella latinità coesistessero dei latini diversi da impiegarsi in situazioni e in contesti diversi. È la tesi che sosteniamo a tutt’oggi, ma che all’epoca non ebbe molti sostenitori. Il recupero del latino classico comportò la battuta d’arresto nella diffusione del volgare, che però continuò a circolare (se non negli usi più letterari) nelle corti, producendo le cosiddette lingue di koinè. Lingue di koinè: espressione greca che si riferisce a una fase della lingua greca dell'epoca successiva alle conquiste di Alessandro Magno in Grecia, dove si diffuse una lingua comune al di sopra delle varietà locali. Alla stessa stregua le lingue di koinè del 400 italiano è una lingua comune e in parte superdialettale, è una lingua prevalentemente scritta che mira ad eliminare almeno una parte dei tratti locali, accogliendo viceversa latinismi e tosco fiorentinismi. Quindi nelle varie corti italiane del 400 (Ferrara, Mantova, Urbino, Milano) si parlavano queste lingue di koinè, nelle quali si cercava di sperare il tratto più schiettamente dialettale, ricorrendo al latino e al tosco fiorentino di matrice letteraria. Nelle lingue di koinè, quindi, possiamo riconoscere questi punti principali: • Lingua locale • Latino • Tosco fiorentino Questo sottolinea quanto il tosco fiorentino si fosse fatto strada nelle corti italiane ben prima che esistesse una norma grammaticale o lessicale che lo consigliasse o lo imponesse. → Nelle corti italiane il tosco fiorentino era penetrato prima che questo venisse sponsorizzato dalle grammatiche e dai vocabolari. (Per esempio, nella corte di Ferrara si scriveva un volgare degli usi molto cancellereschi, in cui c’era una base dialettale, che si cercava di ridurre attraverso il ricorso al latino e attraverso al ricorso a questi modelli esemplari letterari che venivano da Firenze.) Il 400 è il secolo delle libere esperienze (il volgare), che quindi precede il 500 che sarà invece il secolo della norma per l’italiano. Nel 400 vi sono delle opere ibride, analoghe alle lingue di koinè, nelle quali è presente una mistura tra latino e volgare. Questa mistura/ibridismo può essere preterintenzionale (non ricercata, ma può scaturire) o intenzionale (una mistura/ibridismo ricercato a scopi di sperimentazione letteraria). Esempi di ibridismo intenzionale: (Slide Teofilo Folengo, Baldus, 1517, es. macaronico) • Il macaronico: è una varietà di lingua ibrida che presenta una base latina (in cui si inseriscono delle parole volgari) su cui vengono innestati elementi volgari. Lo scopo di queste produzioni letterarie è comico. Prende il nome da questa opera Le Maccheronee dell’autore Tifi Odasi → da “maccarone” che era un tipo di gnocco 🡪 già dal titolo ci faceva sospettare che l’argomento fosse basso comico. (Francesco Colonna, Hypnerotomachia Poliphili, 1499 ed. polifilesco) • Il polifilesco: la seconda varietà ibrida che prende il nome dall’opera Hypnerotomachia Poliphili che significa battaglia erotica in sogno di Polifilo. È una lingua ibrida sulla base di un volgare elevato al massimo livello di latinizzazione con lo scopo di raffinatezza linguistica. Queste esperienze linguistiche continueranno una loro tradizione anche se più appartata e poi riemergeranno nelle prove del Barocco nel Seicento, in cui lo stile e il lessico saranno antitradizionali e verranno impiantate su strutture metriche e grammaticali tradizionali. Il fatto extralinguistico più importante del secolo è l’invenzione della stampa nel 1470 che comporta una regolarizzazione della lingua italiana anche per motivi commerciali, poiché le stampe dovevano essere vendute e più esportabili possibili, quindi dovevano superare i tratti locali, ampliandosi notevolmente il bacino di diffusione commerciale di queste opere che avevano bisogno di emanciparsi anche dai tratti più locali e avevano anche bisogno di essere più comprensibili, perché potevano arrivare nelle mani di persone di media cultura. Un esempio di evoluzione dovuto alla stampa è l’introduzione della punteggiatura e di accenti e apostrofi che prima non venivano utilizzati. Nella storia della stampa italiana furono importanti alcuni centri come ad esempio Milano, Venezia e Napoli. A Venezia operò il più importante stampatore e editore, Aldo Manuzio, che collaborò con numerosi intellettuali del suo tempo, in particolare con Pietro Bembo, con cui allestirono delle importanti edizioni del Canzoniere di Petrarca che pubblicarono a stampa insieme nel 1501 e il titolo dato per quest’opera fu Le cose volgari. E subito dopo nel 1502 pubblicarono la Commedia di Dante. Queste edizioni ebbero grande successo perché i due intellettuali restituirono a queste opere una veste filologicamente accurata e rispettosa delle versioni originali. Spesso i copisti intervenivano sui testi che dovevano copiare, attuando una modifica del manoscritto che copiavano. Questo significava che i testi manuscritti potevano circolare anche in versioni piuttosto diverse rispetto all’originale con diverse varianti fonetiche, morfologiche e delle volte anche lessicali. Bembo insieme a Manuzio riportarono questi testi (in particolare il Canzoniere e la Commedia) aderenti agli originali grazie al fatto che Bembo aveva recuperato una versione manoscritta da Petrarca di Le cose volgari, quindi poteva allestire questa edizione guardando proprio alla fonte primigenia, cioè la versione autografa di Petrarca. Non accadde però lo stesso con la Commedia, della quale non possedevano l’originale (anche oggigiorno non lo possediamo), però Bembo riuscì a recuperare dei manuscritti che erano molto fedeli rispetto alla versione autografa di Dante. Grazie alla collaborazione di Manuzio e Bembo poterono allestire queste due edizioni importantissime e filologicamente scrupolose. Nel 400 si perde un po’ di vista il volgare, per poi espandersi nelle varie zone d’Italia, in particolare le lingue di koinè e nelle quali si riscontrano questi 3 elementi principali: • Dialetto • Latino • Tosco fiorentino Il 400 è anche il periodo in cui si recupera il latino classico lasciando il latino medievale che viene criticato fortemente e si rimprovera persino Dante di non aver scritto la sua commedia in latino e non in volgare, secondo gli umanisti, infatti, Dante avrebbe dovuto scrivere la commedia in latino per darle maggior prestigio. Ci sono anche delle sperimentazioni letterale come, per esempio, il macaronico o il polifilesco ma anche delle opere poetiche nelle lingue di koinè come per esempio l’Orlando innamorato di Boiardo che nasce all’interno della corte ferrarese, dove appunto troviamo questa concomitanza di questi 3 elementi, ovvero dialetto, latino e tosco fiorentino. Si parla di umanesimo volgare avviato da Leon Battista Alberti, che si prefigge intenzionalmente di avviare l’uso del volgare con alcuni trattati e sempre a lui dobbiamo la prima grammatica dell’italiano, poiché è stato lui a comporre tra il 1440 e 1441 una grammatica che ha come canone il fiorentino a lui coevo. Questa, infatti, è stata la prima grammatica dell’italiano, ma rimase per lungo tempo solo manoscritta, poiché appunto lui la redige tra il 40/41 quindi prima dell’avvento della stampa ed è per questo quindi che non ha circolazione. È stata un'opera sicuramente significativa perché è stata la prima grammatica dell’italiano. Se il 400 è considerato il secolo delle libere esperienze del volgare il 500 invece può essere considerato il secolo della norma, chiamato così perché è un secolo in cui si cominciò a dibattere sul volgare e nel quale possiamo riconoscere la prima questione della lingua italiana. COSA INTENDIAMO PER QUESTIONE DELLA LINGUA? Si intende un dibattito nel quale scrittori/intellettuali o pensatori si interrogano su quale sia il miglior volgare (in questo caso per gli usi letterari) ed è importantissimo sottolineare che è per gli usi letterari perché gli intellettuali e letterati che discutevano su questo tema non pensavano a una lingua per tutti e soprattutto per tutti gli scopi sia parlati che scritti ma si interrogavano su questa fase unicamente sul quale fosse la miglior lingua per gli usi letterari della letteratura in prosa e in poesia. In particolare si affrontarono 3 diverse correnti nel 500: • La corrente cortigiana o italianista • La corrente toscana fiorentinista • La corrente fiorentino arcaizzante Questi dibattiti nacquero a inizio 500 e pare che la ragione per cui si cominciò a discutere si doveva a Pietro Bembo che aveva lanciato a inizio 500 una moda del fiorentino trecentesco, un moda che lui aveva sostenuto sia nella sua attività di editore in particolare editando le opere di Dante e Petrarca sia anche nelle sua opera di letterato, in particolare possiamo ricordare l’opera fondamentale di Pietro Bembo ovvero Gli Asolani del 1505. Questa moda sostenuta da un intellettuale così importante suscitò delle reazioni, la prima fu quella di coloro che sostennero la corrente italianista o partigiana; essi sostenevano una ipotetica lingua che coincideva con le varie realizzazioni della koinè di fine 400, nessun testo di koinè però mostrava un elemento comune su tutta la penisola. Si trattava di una lingua ipotetica che tenesse conto di tutte le differenze dialettali. La corrente toscano fiorentinista che invece sosteneva che la lingua da impiegarsi in letteratura dovesse essere il tosco fiorentino sincronico → del 500, non più guardando a Dante e Petrarca e Boccaccio ma alla lingua coeva. Infine abbiamo la corrente fiorentino arcaizzante; fu la corrente che ebbe la meglio sulle precedenti ed era una corrente che sosteneva che la lingua letteraria dovesse ispirarsi alla lingua fiorentina trecentesca e dell’uso letterario, e in particolare dell’uso fatto da Dante, Petrarca e Boccaccio. I più importanti sostenitori furono Francesco Fortunio, con le sue regole grammaticali della volgar lingua, e poi Pietro Bembo, con le sue prose della volgar lingua. doveva rivolgersi alla sezione dedicata),7 e 8 libro. Nella colonna di destra troviamo esempi di voce. Questo tipo di vocabolario avrà successo nel 800 quando ci sarà la necessità di imparare le voci dei vari settori. Era facilitato dalle voci che ricorreva nell’ordine alfabetico prima della parte metodica e venivano collegate attraverso i numeri. -> guardo slide. ACCADEMIA DELLA CRUSCA (prima edizione : 1612) Era nata nel 1582 ed era nata inizialmente con scopi non filologico-linguistici, ma era nata come accademia letteraria, gli accademici che partecipavano a questa accademia si dedicavano a passatempi innocui come la composizione di poesie che venivano dette cruscate, giocose e di poco conto. Crusca: scarto della farina (cruscate: poesie di intrattenimenti giocosi di poco conto). Dopo qualche anno, con l’ingresso di Leonardo Salviati, gli interessi dei crusconi andarono orientandosi verso la lingua e la filologia. Questi interessi si esplicarono in alcune opere come la rassettatura del Decameron di Salviati, aggiustamento da parte di Salviati che lo pubblicò, modificandolo e togliendo riferimenti sfavoritivi per la chiesa, inserendo glosse esplicative, oppure riscrivendo i finali di alcune novelle, ecc. A noi sembra una cosa spregiudicata, ma perché lo fece? Voleva mettere a riparo il Decameron e salvare la sua forma, per questo intervenne sui contenuti. Da questa rassettatura, si deriva un’altra opera, “gli avvertimenti della lingua sopra il Decamerone”, in cui Salviati esplicita il recupero del fiorentino 300esco e indicava il canone degli autori buoni. In questa indicazione, Salviati inseriva non solo le 3 corone, ma inseriva anche altri autori, minori e minimi, del 300 e fiorentini che reputava meritevoli per il semplice fatto di essere nati a Firenze nel 300. In altri terminiI meriti letterari andavano disgiunti dai meriti formali, accoglieva nel canone non solo I 3 grandi ma anche altri autori del 300. Rispetto al canone bembiano, si trattava di un canone allargato. Questa idea del canone allargato fu l’idea che Salviati trasmise anche al vocabolario della Crusca che era sicuramente fondato sulle tre corone ma anche su altri autori fiorentini del 300. I lavori per il vocabolario iniziarono nella fine del 500 e andarono fino alla pubblicazione nel 1612, pubblicazione in folio (grandi dimensioni), a Venezia. Si è spiegata questa apparente anomalia( pubblicare a Venezia e non a Firenze), perché probabilmente a Venezia il vocabolario costava meno, visti che era autosostenuta, il fattore economico giocava un importante ruolo. Era un vocabolario storico, ovvero che attesta le parole se presenti nell’uso di autori, sia grandi che minori, ed è un vocabolario che spiega le parole attraverso gli esempi d’autore. Si trattava di un’opera corpus based (a partire dall’analisi delle opere letterarie, si traevano le parole da inserire nel vocabolario). (slide) Simbolo crusca -> frullone (per separare la parte più pregiata del grano, da quella meno pregiata) idea tratta da Salviati che era partito dall’idea delle cruscate all’accademia quale organo che aveva il compito di separare gli elementi di scarto dal fior di farina ( gli elementi più pregiati della lingua) ➔ Ci ha mostrato il sito dell’Accademia della Crusca. La sede si trova vicino Firenze (vedere dove!) Consuetudine di dedicare delle pale(simbolicamente per infornare il pane) alle figure più importanti e meritevoli (nella pala c’è scritto un soprannome dato all’autore insieme ad una frase probabilmente tratta da una delle opere delle tre corone). Mette a disposizione delle risorse lessico grafiche che si trovano negli scaffali digitali (edizioni della crusca), si sono altri vocabolari storici, il grande dizionario della lingua italiana, e altri servizi utili. Questo vocabolario ebbe un grande successo si impose come punto di riferimento sia per coloro che lo apprezzarono, sia per coloro che lo criticarlo. L’edizione del 1612 venne seguita da un’altra edizione nel 1623 (seconda edizione) che presenta poche differenze rispetto alla prima. Ampliarono un pochino il corpus degli autori citati, si trattò di un’apertura limitata ma non scontata. Però, gli accademici presero in considerazione alcune critiche, portandoli anche all’inserimento di figure come Galileo Galilei. Come sono cambiate le voci dalla prima alla seconda edizione utilizzando il sito. La terza edizione (1691) si distanziò nel tempo e ci sono cambiamenti anche quantitativi, si passa dal volume in folio a tre volumi e l’opera torna editorialmente a Firenze. Oltre che quantitative, le differenze sono anche qualitative, furono revisionati anche gli autori inseriti. Fra le novità ricordiamo l’ingresso degli autori non solo letterari ma anche di scienza e di tecnica di anni successivi al 300. Galileo era già stato inserito nella seconda, ma aumentarono nell’edizione successiva. È un’apertura che abbatte le frontiere dei testi letterari. Altra innovazione: questo vocabolario, qualora ce ne fosse stata la necessità, faceva correlare le voci ad una sigla, voce antica e voce recente. Non si limitavano a dare indiscriminatamente le voci, ma avvertivano che alcune voci venivano registrate semplicemente nella registrazione di testi antichi, non più in uso. C’era una riflessione metalinguistica, non solo un elenco che i lettori potevamo sfogliare, ma anche un’indicazione precisa. ➔ Abbiamo visto come variano le voci da un’edizione all’altra (sul sito dell’Accademia della Crusca) Altra innovazione: ampliamento degli autori che giunse ad accogliere Torquato Tasso, e un accoglimento significativo perché Torquato tasso, con Gerusalemme liberata, scrisse un’opera di difficile comprensione perché usava delle terminologia molto complicate, in una lingua oscura (cosa che voleva essere evitata all’inizio). Autore escluso: Marino, era troppo anche per i più illuminati accademici che avevano redatto la terza edizione. I lavori si interruppero fino ad arrivare alla quarta edizione, 1729 – 1738. Fu un’edizione molto interessante e ci furono degli avviamenti quantitativi e qualitativi. Si passa dai tre ai sei volumi, sempre in folio. Ma ebbe anche degli elementi di novità rispetto ai precedenti; si specifico l’attenzione all’uso (preceduta dalla marca della terza ed.) Per cui gli accademici specificano se le voci sono antiquate, arcaiche, voci basse, latinismi, gli danno una marca d’uso. Cosa che vediamo anche nei vocabolari di oggi, ci danno un’indicazione dell’uso. Aumenta l’uso di questa specificazione. Questo giustifica l’aumento delle voci, le registrazioni non solo dei lemmi nelle forme base, ma anche in forme derivate, si registrano anche voci come bicchieretto, brillantezzo, bestioluccia, ecc. Perché questi derivati potevano aver avuto delle attestazioni d’autore. Rimaneva invece, in posizione di retroguardia le parole scientifiche e tecniche, le loro definizioni erano ancora insoddisfacenti. Quest’opera sicuramente resta al centro del dibattito linguistico, anche perché si trattava di un’opera ancora schiettamente fiorentina e un’opera che guardava al passato e non al passo coi tempi. Fra i più agguerriti oppositori del vocabolario della Crusca ci furono gli illuministi, in particolare quelli che si riunivano intorno all’impresa giornalistica del caffè, periodico durato molto poco, che ha avuto un’importanza fondamentale non solo a livello nazionale, ma anche internazionale, scrissero per il caffè i fratelli Verri, Cesare Beccaria e altre figure importante. Si diede il compito di illuminare la cultura italiana e di aprirla verso un contesto europeo. Ci fa capire come gli illuministi come possono tollerare un vocabolario che anziché aprirsi ai neologismi, si chiudeva attorno al municipio di Firenze. C’è un documento pubblicato nel quale si prendono le distanze dal vocabolario e questo distanziamento è chiaro dal titolo, rinunzia avanti notaio degli autori del presente foglio periodico al Vocabolario della Crusca, avanza delle idee già condivise dalla cultura illuminista. Cum sit che gli autori del caffè siano estremamente… -> guardo slide Si tratta di un incipit ironico. Questa ipotesi sbilanciata viene rafforzata da alcune espressioni come “sono venuti in pasere” -> utilizzo della toscana favella perché oppone questa Toscana favella, quella registrata dall’Accademia, alla lingua italiana, lingua di tutti e tutte. In questo articolo riassumere in modo esemplare le principali idee linguistiche degli illuministi in fatto di lingua, sottolineava la facoltà di accrescere il vocabolario di una lingua al di fuori dell’uso degli autori, questo perché le lingue sono vive e si devono rischiare attraverso l’uso di forestierismi (parole straniere che potevano arricchire la lingua denominando dei concetti che prima non erano conosciuti) e neologismi. Oltre che sul fronte lessicale, gli illuministi rivendicavano la necessità di uno stile sintattico più leggero, paratattico (unisce le frasi coordinandole fra loro) o giustappostivo (lo stile nel quale ci sono delle frasi mono proposizionali, fatte susseguire le une alle altre). Dicevano che si poteva evitare l’utilizzo delle subordinate, perché se le frasi sono chiari il loro significato viene trasmesso in modo chiaro, questo nuovo stile propugnato dagli illuministi, era uno stile che guardava allo stile francese, che invece erano delle frasi più lineari costituite dallo stile coupé, funzionalmente più consono per trasmettere i contenuti, non a caso il motto degli illuministi era “cose, non parole “ , è importante la trasmissione del contenuto e le parole devono essere funzionali a questa trasmissione in funzione ad una chiarezza espositiva. Nel 1582 nasce l’accademia della Crusca. Nasce con obiettivi letterari, nome deriva dalle cruscate cioè dai componimenti che gli accademici componevano per divertirsi. Con l’ingresso all’accademia di personaggi come Leonardo Salviati ci si sposta alla teologia e alla lingua. Portò avanti iniziative linguistiche tra cui la rassettatura vocabolario della crusca. possiamo riassumere questo criterio in brindiamo al arcato, tre corone più aquile. Il vocabolario ha da subito grande successo e si pose come punto di riferimento rafforzando la posizione di Firenze nel campo della lingua (conio fiorentino). Ci furono varie redazione officiali 1612, 1621, 1691 e la quarta edizione tra il 1729-38. Questo vocabolario si mette nel bene e nel male che è il canone di questo vocabolario, fu molto apprezzato ma anche criticato da chi gli imputa che non teneva conto dalle nuove esigenze delle opere e tecnica e di scienza e l’uso di Firenze. Questa arretratezza all’estero, soprattutto in Francia, in campo lessicografico si erano mossi in un’altra direzione, nel 1694 viene pubblicato in francia il dizionario dell’accademia francese era un dizionario dell’uso, non correda le voci dagli esempi degli autori, si rifà solo al buon uso, parole usate dalle classi più colte a Parigi. Il progresso lessigrafico si era espresso attraverso le enciclopedie che incominciò ad uscire in fascicoli nel 1751, in europa era partita dopo quella italiana ma poi si colloco in posizione di avanguardia. Nel 700 in italia ci sono dei generi che appaiono divincolati rispetto la norma letteraria come: - la prosa giornalistica, che tra il 500 e 700 si concreta nelle gazzelle e nei giornali letterari in cui ci sono più esempi di lingua media. - la prosa scientifica, lingua della divulgazione scientifica, lingua meno concentrata sugli aspetti di ornatus ma sugli aspetti comunicativi - paraletteratura, lingua di intrattenimento o consumo, letteratura rivolta ad un ceto medio basso Questi 3 generi contribuiscono allo specchiamento della lingua italiana ma ugualmente in Europa era vista come la lingua della poesia, del melodramma e dell’opera (stereotipo di lingua angelicata). Gli intellettuali La sintassi delle edizioni precedenti guardava i modelli francesi quindi non si concentrò molto, si concentrò invece sulla grammatica e morfologia. Manzoni si ispirava al fiorentino delle classi colte, creando così un modello di lingua sincronico, colto e parlato nella Firenze della metà del XIX secolo. In aggiunta a queste correzioni, Manzoni perseguì una maggiore razionalità linguistica attraverso l'eliminazione delle forme duplicate o doppioni (Gadda era sostenitore del loro uso), optando sempre per una singola forma in oscillazione, come ad esempio preferire "tra" anziché "fra", ‘’questione" anziché "quiestione’’, ‘’uguaglianza" anziché "eguaglianza’’. Una dimostrazione di queste modifiche si riscontra in un passaggio de "I Promessi Sposi" nell'edizione interlineare, dove il testo riproduce in carattere più grande l'edizione "La Quarantana", mentre l'edizione "Ventesettana" è riprodotta con interlinea. Manzoni si dedicò a creare una lingua toscana attraverso lo studio di vocabolari e opere della letteratura toscana. Uno dei dizionari che consultò fu l'edizione della Crusca, che esaminò attentamente per ottenere un modello linguistico. Tuttavia, anche questa edizione dei "Promessi Sposi" non soddisfaceva Manzoni, finché non giunse alla versione definitiva, la "Quarantana" (1840-1845). Crusca veronese, pubblicata da Abati Cesari, 6 volumi, in cui l’autore era più realista del Re, vuol dire che ampliò gli spogli sulla lingua del 300 e l’elenco delle voci del vocabolario fino a farlo raddoppiare es. baciato e basciato, avvenente e avvinente, bonissimo e buonissimo (che apparivano il autori del 300). slide crusca veronese con note di manzoni Esaminiamo una delle note di Manzoni alla Crusca veronese. La voce in questione, accompagnata dalla nota di Manzoni, è "fare l'amore". Il significato indicato per "fare l'amore" è "fare buone accoglienze". Viene citato un esempio relativo all'incontro tra due santi, Sant'Ambrogio che aveva fatto buone accoglienze a Sant'Eugenio. Tuttavia, Manzoni esprime il suo disappunto affermando: "Equivoco dei più ridicoli, poiché questo modo ha un altro significato usitatissimo e che corre alla mente di chiunque ode proferire il vocabolo". Manzoni si scandalizza per il fatto che la Crusca veronese includa questo significato, e addirittura ridicolizza l'interpretazione proposta dai puristi. Va notato, però, che l'espressione "fare l'amore" ha oggi un significato diverso da quello che aveva nell'Ottocento. All'epoca in cui Manzoni annota questa reazione, "fare l'amore" significava parlare d'amore o amoreggiare in senso generico, con un significato che non coincide esattamente con quello attuale ma neanche con quello proposto dalla Crusca veronese. Manzoni dice che fare buone accoglienze causa equivoci perché il significato a quel tempo è cambiato. Manzoni cercava una lingua per il suo romanzo mentre per la poesia l’aveva già scelta, la lingua petrarchesca. Fino alla metà del ‘900 uno scrittore in prosa inventa sempre una sua lingua, e non esiste una lingua comune del romanzo. Inizialmente opta per una scelta clettica, con il Fermo e Lucia, e poi gli da una conformazione tosco-fiorentina. Si rivolge a vocabolari come la Crusca e a testi fiorentini. Si documenta, legge e analizza e il Fermo e Lucia diventa la prima edizione (1827). In quegli anni, Manzoni viaggia a Firenze e viene ammaliato dalla lingua fiorentina e ‘sciaqua i panni in Arno’, rielaborando la lingua del romanza tenendo un fiorentino vivo, sincronico, dell’uso colto (della prima metà dell’800). C’è una variabile diatopica (lingua fiorentina), diacronica, e diastratica. Un'edizione interlineare è stata pubblicata, la prima era critica e rappresenta il testo principale e definitivo dell'edizione quarantana. Include anche le correzioni apportate all'edizione ventisettana per facilitare una comprensione più approfondita delle modifiche. Le edizioni precedenti si ispiravano ai modelli francesi e non prestavano molta attenzione alla sintassi, ma si concentravano invece sulla grammatica e sulla morfologia. - Nella Ventisettana, il termine "gramo", di uso letterario, viene sostituito con il più comune "tristo". - Un esempio di questa sostituzione si trova in "Renzo rimase lì tristo e scontento, a pensare dove andrebe a fermarsi" (Ventisettana) che diventa "a pensar d'altro albergo" (Edizione Quarantana), evidenziando uno snellimento sintattico. - Il termine "v’era" viene sostituito con "c’era". - L'espressione "fin dall'infanzia" viene riformulata come "fin da piccino". - Il termine "Giovinotto", variante fiorentina, sostituisce "giovanotto", dimostrando l'introduzione di un fiorentinismo. Questa edizione ha generato grande interesse e nel 1868, il ministro dell'istruzione Emilio Broglio istituì una commissione incaricata di stabilire le forme corrette dell'italiano, definire un modello e le relative regole, e pianificare il modo migliore per diffonderlo, il tutto al fine di promuovere l'unità politica. Manzoni pubblicò nel marzo del 1868, inizio a gennaio, la relazione intitolata "Dell'unità della lingua e dei mezzi per diffonderla". Manzoni suggerì al ministro l'adozione del fiorentino sincronico, usato dalla classe colta, come modello linguistico. Il titolo "Novo" evidenzia un forte fiorentinismo utilizzando il monottongo "novo" anziché la forma standard "nuovo". Questa scelta non solo manifesta il canone linguistico già dal titolo, ma lo sottolinea ulteriormente tramite l'impiego stesso della parola "Novo". I monottonghi, una caratteristica del fiorentino introdotta da Manzoni nella Quarantana, sono evidenti in questa scelta. Ad esempio, la voce "guarentigia" è un sostantivo femminile equivalente a "garanzia", frequentemente usato in contesti di interesse pubblico. La definizione fornisce un sinonimo e delimita il campo di utilizzo, informando i lettori che il termine è di natura burocratica e specificamente legato a contesti pubblici. Inoltre, la voce è arricchita da esempi in corsivo che illustrano l'uso attuale del termine, come "guarentigie costituzionali" e "guarentigie offerte dal trattato", differenziandosi dalla pratica della Crusca, che preferiva esempi tratti dalla letteratura anziché dall'uso quotidiano. Il dizionario si pone come il primo dizionario dell'uso, anticipando i dizionari moderni. Nonostante la sua importanza nel panorama lessicografico italiano, il dizionario non ottenne un grande successo a causa della sua pubblicazione tardiva, avvenuta tra il 1879 e il 1897, che ridusse la sua rilevanza e influenza nel mondo lessicografico.