Scarica Libro 2 Eneide di Virgilio e più Sintesi del corso in PDF di Lingua Latina solo su Docsity! Virgilio - Libro Secondo 47-63 minuti LIBRO II INCENDIO DI TROIA -IL CAVALLO DI LEGNO (2.1- 57) Tacquero tutti ed attenti tenevano i visi; quindi il padre Enea così cominciò dall'alta letto: Indicibile dolore, regina, inviti a rinnovare, come i Danai distrussero i beni troiani ed il regno degno di pianto, e le cose tristissime che io vidi e di cui fui gran parte. Quale soldatodei Mirmidoni o dei Dolopi o del crudele Ulisseraccontando tali cose si tratterrebbe dalle lacrime? E già la notte umida dal cielo precipita e le stelle cadendo consigliano i sonni. Ma se sì grande (è) l'amore di conoscere i nostri casi ed ascoltare brevemente la massima angoscia di Troia, anche se il cuore inorridisce e rifugge dal lutto, inizierò. Stroncati dalla guerra e respinti dai fati i capi dei Danai, scorrendo ormai tanti anni, innalzano un cavallo, come un monte con l'arte divina di Pallade, e tagliato l'abete ne intrecciano i fianchi; simulano il voto per il ritorno; quella fama si sparge. Qui furtivamente, estratti a sorte, chiudono scelti corpi scelti di eroi nel cieco fianco e riempiono interamente le enormi caverne ed il ventre di presidio armato. C'è di fronte Tenedo, isola notissima per fama, ricca di beni, finchè duravan i regni di Priamo, ora solo insenatura e posto mal sicuro per le carene: qui giunti si nascondono nel lido deserto; pensando noi esser partiti e diretti col vento a Micene. Perciò tutta la Teucria si scioglie dal lungo lutto; si apron le porte, piace andare e vedere il campo dorico ed i luoghi deserti e il lido abbandonato: qui la schiera dei Dolopi, qui s'accampava il crudele Achille; qui il posto per le flotte, qui solevan combattere in schiera. Parte stupisce ed ammirano il micidiale dono della vergine Minerva e la mole del cavallo; e Timete per primo consiglia che si guidato entro le mura e collocato sulla rocca, o per frode o già così dicevano i fati di Troia. Ma Capi, e queli cui (era) migliore il parere nella mente, consiglian o di precipitare in mare le insidie dei Danai ed i doni sospetti e bruciare con fiamme accostate, o trapassare ed esplorare i cavi nascondigli del ventre. Il volgo si spacca incerto in decisioni contrarie. Qui oer primo, accompagnandolo gran folla, Laocoonte ardente corse giù dalla sommità della rocca, e da lontano "O miseri cittadini, quale sì grande pazzia? Credete partiti i nemici? o pensate che nessun dono dei Danai manchi di inganni? Così v'è noto Ulisse? o chiusi da questo legno si nascondono gli Achivi, o questa macchina fu fabbricata contro le nostre mura, per controllare le case e per venire sopra la città, o qualche inganno si cela; non credete al cavallo, Troiani. Qualunque ciò sia, temo i Danai anche portando doni". Così detto scagliò un'enorme lancia con potenti energie nel fianco della bestia e nel ventre ricurvo per le strutture. Ella ristette tremando, e percosso il ventre, risuonaron le cave caverne e diedero un gemito. E se i fati degli dei, se la mente non fosse stata funesta, aveva spinto col ferro a violare i segreti argolici, ed ora Troia esisterebbe, e tu, alta rocca di Priamo resteresti. IL GRECO SINONE (2. 57-144) Ecco frattanto i pastori dardanidi trascinavano, legato le mani alla schiena, un giovane davanti al re con gran chiasso, che s'era offerto sconosciuto volontariamente a loro che passavano, per ordir proprio questoe aprir Troia agli Achei, sicuro di spirito e preparato ad entrambi i casi, sia a tentare gli imbrogli sia ad affrontare morte sicura. Da ogni parte per la voglia di vedere la gioventù troiana sparsa attorno corre e gareggiano a schernire il catturato. Senti ora le insideie dei Danai e da un misfatto solo conoscili tutti. Infatti come si fermò in mezzo alle occhiate turbato, inerme e con gli occhi vide attorno le schiere frige, "Ahi, disse, che terra ora, quali mari possono accettarmi? o cosa mai resta più a me misero, cui mai neppurun posto presso i Danai, ed in più gli stessi Dardanidi ostili chiedono castighi col sangue?" A quel gemito gli animi mutarono ed ogni attacco si bloccò. Esortiamo a dire da quale sangue nato, o che porti; ricordi che fiducia abbia il catturato. "Tutto davvero, o re, qualunque sia stato, confesserò il vero, disse, nè dirò che non sono di razza argolica. Questo anzitutto; nè se la Fortuna ha reso Misero Sinone, la malvagia non lo renderà falso e bugiardo. Se per caso parlando giunse alle tue orecchie qualche notizia sudore, e tre volte essa balzò dal suolo, straordinario a dirsi, e reggendo lo scudo e la lancia tremante. Subito Calcante profetizza che occorre prender il mar con la fuga, nè può Pergamo esser distrutta dalle armi argoliche se non riprendano da Argo gli auspici e riconducano la divinità che per mare e conle curve carene han portato con sè. Ed ora poichè col vento si diressero alla patria Micene, e preparano armi e gli deicome compagni e si presenteranno improvvisi, ripassato il mare; così Calcante interpreta i prodigi. Ammoniti, costruirono questa effige al posto del Palladio, al posto della maesta lesa, che espiasse il triste sacrilegio. Calcante tuttavia ordinò di innalzare questa immensa mole, e di alzarla fino al cielo, collegate le travi, che non potesse esser accolta dalle porte e condotta dentro le mura, nè proteggere il popolo sotto l'antica protezione. Infatti se la vostra mano avesse violato i doni a Minerva, allora una grande rovina, ( che gli dei prima rivolgano contro lo stesso presagio) sarebbe accaduta per il potere di Priamo ed i Frigi se invece con le vostre mani fosse salita nella vostra città, l'Asia inoltre sarebbe giunta alle mura pelopee con gran guerra e quei destini proteggerebbero i nostri nipoti". IL SACERDOTE LAOCOONTE (2.195-227) Con tali insidie e con l'arte dello spergiuro Sinone la cosa fu creduta e catturati con inganni e lacrime costrette quelli che non domarono nè il Tidide nè Achille larisseo, non dieci anni , non mille carene. Qui un'altra cosa maggiore si presenta ai miseri e più tremenda e turba gli animi inesperti. Laocoonte, sacerdote estratto a sorte per Nettuno, presso i solenni altari uccideva un enorme toro. Ma ecco da Tenedo serpenti gemelli per l'alto mare tranquillo (inorridisco raccontandolo) con immensi giri incombono sul mare ed insieme si dirigono ai lidi; ma i loro petti alzati tra i flutti e le creste sanguinee superano le onde l'altra parte raccoglie dietro e incurva i dorsi immensi con una spira. C'è un fragore, spumeggiando il mare; ed ormai tenevano i campi iniettati gli ardenti occhi di sangue e di fuoco lambivano le sibilanti bocche con le lingue vibranti. Scappiamo pallidi in volto. Quelli in schiera sicura vano su Laocoonte; ed anzitutto entrambi i serpenti, abbracciati i piccoli corpi dei due figli li avvolgono e divorano col morso le misere membra; poi afferran lui stesso che accorre e porta le armi e lo legano con enormi spire; ed ormai abbracciatolo due volte nel mezzo, due volte circondatogli il collo con gli squamosi dorsi lo superan con testa ed alti colli. Egli tenta con le mani divellere i nodi macchiate le bende di bava e nero veleno, insieme alza alle stelle terribili grida: quali i muggiti, quando un toro ferito sfugge l'altare e scuote dal capo la scure incerta. Ma i draghi gemelli di corsa fuggono ai sommi templi e cercano la rocca della crudele tritonide, si nascondono sotto i piedi della dea e sotto il cerchio dello scudo. IL CAVALLO TRA LE MURA (2. 228- 267) Allora davvero nei cuori atterriti a tutti si insinua un nuovo terrore e dicono che Laocoonte meritandolo ha pagato il delitto, lui che violò con la punta il rovere sacro e scagliò la lancia sciagurata nel fianco. Gridano che si deve condurre nelle case la statua e pregare la maestà della dea. Dividiamo le mura ed i baluardi apriamo della città. Tutti s'accingono all'opera ed ai piedi mettono scorrimenti di ruote e tendono al collo corde di stoppa; la macchina fatale sale le mura piena di armi. Attorno ragazzi e vergini fanciulle cantano inni e gioiscono toccare la fune con mano; ella avanza e minacciando scorre in mezzo alla città. O patria, o Ilio, casa degli dei e mura dei Dardanidi famose in guerra. Quattro volte sulla soglia stessa della porta tentennò e quattro volte nel ventre le armi diedero un suono. Insistiamo tuttavia smemorati e ciechi di pazzia e sistemiamo il mostro funesto nella rocca consacrata. Allora anche Cassandra apre la bocca ai fati futuri mai creduta dai Teucri per ordine del dio. Noi miseri, per i quali sarebbe stato l'ultimo quel giorno, orniamo i templi di fronde festosa per la città. Intanto il cielo gira e dall'Oceano corre la notte avvolgendo con la grande ombra e terra e polo ed inganni dei Mirmidoni; sparsi per le mura i Teucri tacquero; il sopore abbraccia le stanche membra. E ormai la falange argiva, allestite le navi, andava da Tenedo nei complici silenzi della tacita luna cercando i noti lidi, quando la poppa regia aveva alzato fiamme, e difeso dagli iniqui fati degli dei Sinone apre furtivamente i Danai richiusi nel ventre e le prigioni di pino. Il cavallo spalancato li restituisce all'aria e lieti si traggono dal cavo rovere i capi Tessandro e Stenelo ed il crudele Ulisse, scivolati dalla fune calata, Acamante e Toante ed il pelide Neottolemo e Macaone per primo e Menelao e lo stesso costruttore dell'inganno Epeo. Invadono la città sepolta nel sonno e nel vino; son sgozzate le guardie, e spalancandosi le porte accolgono tutti i compagni e uniscon le schiere alleate. L'OMBRA DI ETTORE ( 2. 268 - 297) Era il tempo in cui per gli stanchi mortali il primo sonno comincia e serpeggia graditissimo per dono degli dei. Nei sogni, ecco, davanti agli occhi mi sembrò presentarsi Ettore mestissimo e versare larghi pianti , come quando strappato dalle bighe e nero di cruenta polvere e trafitto nei piedi gonfi per le cinghie. Ahimè, qual era, quanto mutato da quell'Ettore che ritorna rivestito delle spoglie d'Achille o dopo aver gettato fuochi frigi sulle poppe dei Danai. portando una barba incolta e capelli uinzuppati di sangue e quelle ferite, che numerosissime ricevette attorno alle mura patrie. Inoltre mi sembrava che io piangendo chiamassi l'eroe ed esprimessi angosciose frasi: "O luce dei Dardania, o sicurissima speranza dei Teucri, quali sì lunghi indugi ti trattennero? Da quali spiagge vieni, o aspettato Ettore? come ti vediamo dopo molte morti dei tuoi, dopo vari affanni di uomini e della città, noi stanchi. Quale indegna causa macchiò le fattezze serene? o percchè scorgo queste ferite? Egli nulla, nè aspetta me che chiedo cose vane, ma traendo dolorosamente dal profondo del cuore i gemiti: "Ah. fuggi, figlio di dea, dice, e togliti da queste fiamme. Il nemico tiene le mura; Troia crolla dall'alta cima. Abbastanza fu dato alla patria e a Priamo: se Pergamo si fosse potuta difendere con la destra, sarebbe stata difesa anche da questa. Troia ti consegna le cose sacre ed i Penati; prendi questi come compagni dei fati, con questi cerca le grandi mura che infine costruirai, percorso il mare". Così dice e con le mani trae fuori dai profondi penetrali le bende, Vesta potente e l'eterno fuoco. L'INCENDIO DI TROIA (2. 300- 317) Intanto le mura son sconvolte dovunque dal pianto e più e più, benchè la casa del padre Anchise appartata e protetta da piante sia lontana, i suoni si precisano e l'orror delle armi sovrasta. Mi scuoto dal sonno e supero la cima dell'alto tetto in salita e sto con le orecchie tese: le insegne. Frode o coraggio, chi indagherebbe nel nemico? Loro daranno le armi". Così detto, poi indossa l'elmo chiomato di Androgeo e l'insegna decorata e adatta al fianco la spada argiva. Rifeo, lo stesso Dimante e tutta la gioventù contenta fa questo: ciascuno si arma delle spoglie recenti. Andiamo mischiati ai Danai non sotto una nostra divinità ed avanzati attacchiamo molti scontri nella cieca notte, spediamo all'Orco molti dei Danai. Alcuni fuggono alle navi e di corsa cercano i lidi fidati; una parte con vergognosa paura salgono l'enorme cavallo di nuovo e si nascondono nel ventre noto. LA VERGINE CASSANDRA ( 2. 402 - 437) Ahimè, a nessuno è lecito sperare nulla con gli dei contrari. Ecco la vergine priamea, sciolti i capelli, Cassandra, trascinata dal tempio e dai penetrali di Minerva, alzando incavo al cielo gli occhi ardenti, gli occhi, poichè catene bloccavano le tenere palme. Non sopportò questa vista con la mente impazzita Corebo e si gettò in mezzo alla schiera per morire; inseguiamo tutti e corriamo in fitte armi. Qui dapprima dall'alta cima del tempio siam colpiti dai dardi dei nostri e nasce una miserrima strage per la foggia delle armi e per l'inganno dei pennacchi grai. Allora i Danai per il dolore el'ra della vergine strappata radunati da ogni parte attaccano, il fortissimo Aiace ed i fretelli Atridi e tutto l'esercito dei Dolopi: come a volte venti contrari, scoppiata una burrasca, si scontrano, e Zefiro e Noto ed Euro, felice per i vcavalli eoi; stridon le selve ed infuria spumoso Nereo col tridente e provoca le acque dall'estremo fondo. Anch'essi, che nell'oscura notte nell'ombra vincemmo con gli inganni e cacciammo per tutta la città, appaiono; per primi riconoscono gli scudi e le false armi e notano i volti discordanti dall'accento. Subito siam travolti dal numero. E per primo Corebo per mano di Peneleo stramazza all'altare della dea armipotente; cade pure Rifeo, unico il più giusto che ci fu tra i Teucri e scupolosissimo del giusto, agli dei parve altrimenti; periscono Ipani e Dimante trafitti dagli amici; nè ti protesse morente, Panto, la tua massimavirtù nè la benda di Apollo. O ceneri iliache e fiamma estrema dei miei, chiamo a testimonio di non aver evitato nella vostra caduta nè frecce nè alcuna situazione, e se ci fossero stati i fati percgè cadessi, l'avrei meritato per mano dei Danai. Di lì ci atrappiamo, Ifito e Pelia con me, ma di essi Ifito ormai più vecchio d'età, anche Pelia lento per una ferita di Ulisse, subito chiamati da grida al palazzo di Priamo. ASSALTO ALLA REGGIA DI PRIAMO (2. 438 - 505) Qui davvero vediamo un'aspra battaglia, come se altri scontri non ci fossero altrove, nessuno morisse in tutta la città, così Marte indomito ed i Danai scagliantisi contro le mura e la porta assediata, creatasi una testuggine. Le scale s'appoggiano alle pareti e sotto gli stessi portoni si muovono per i gradini e protetti con le sinistre (mani) oppongono gli scudi ai dardi, con le destre afferrano i tetti. I dardanidi di fronte divellono le torri e tutte le coperture delle case; con queste armi, poichè vedono la fine, cercano di difendersi ormai in punto di morte, e scagliano le travi dorate, alte decorazioni degli antichi antenati; altri sguainate le spade hanno occupato la parte bassa delle porte, le difendono in schiera serrata. Gli animi rinfrancati accorrono alle case del re e rianimano con l'aiuto gli eroi e danno vigoria ai vinti. C'era un'entrata e porte segrete e passaggio solito tra loro dei palazzi di Priamo, e ingressi abbandonati dietro, dove abbastanza spesso l'infelice Andromaca, finchè duravano i regni di Priamo, soleva recarsi, non accompagnata, e conduceva Astianatte bambino dai suoceri e dal nonno. Esco sulle cime del tetto più alto, da dove i miseri Troiani scagliavano con forza gli inutili dardi. Una torre che s'ergeva a picco, alzata dai tetti fino alle stelle, si vedeva tutta Troia e le solite navi dei Teucri ed i campi achei, attaccatala attorno col ferro, dove i piani superiori offrivano giunture vacillanti, sradichiamo dalle alte basi e spingiamo; essa scivolata subito produce un crollo con fragore e cade largamente sopra le schiere de Danai. Ma altri subentrano, nè frattanto cessano pietre nè alcun genere di proiettili. Davanti allo stesso vestibolo e sulla prima soglia Pirro esulta spendente di armi e di luce bronzea: quale un serpente alla luce, nutrito di erbe maligne, che il freddo inverno proteggeva furioso sotto terra, ora, cambiate le pelli, nuovo e fresco di giovinezza, alzato il petto avvolge i dorsi levigati dritto al sole e vibra in bocca con le lingue trifide. Insieme l'enorme Perifante e l'auriga dei cavalli d?achille, lo scudiero Automedonte, insieme tutta la gioventù sciria accorrono alla casa e gettano fiamme ai tetti. Lui tra i primi, afferrata una bipenne, spezza le dure soglie e svelle dal cardine gli stipiti di bronzo; ed ormai tagliata la trave scavò i saldi roveri ed aprì con largo squarcio un'enorme finestra. La casa appare all'interno esi aprono i lunghi atri; appaiono i penetrali di Priamo e degli antichi re, e vedono armati stanti sul limitar della soglia. Ma la casa interna è sconvolta da gemito e misero allarme e di dentro i cavi palazzi ululano di lamenti femminili; il grido ferisce le stelle dorate. Allora le madri atterrite errano tra le immense stanze e abbraciatele stringono gli stipiti e stampano baci. Pirro incombe con la violenza del padre; nè sbarre nè le stesse cuguardie valgono a resistere; crolla la porta per l'ariete continuo, e gli stipiti cadono strappati dal cardine. La strada vi fa a forza; i Danai spaccano gli ingressi ed entrati trucidano i primi e largamente empiono i luoghi di soldataglia. Non così, quando, rotti gli argini, un torrente spumeggiante è uscito superato col gorgo le opposte barriere, si getta furente nei campi e per tutte le piane trascina con le stalle gli armenti. Io stesso vidi furente di strage Neottolemo ed i fratelli Atridi sulla soglia, vidi Ecuba e le cento nuore e Priamo tra gli altari macchiando di sangue i fuochi che aveva consacrato. Quei cinquanta talami, sì grande speranza di nipoti, glii stipiti superbi d'oro barbarico e di spoglie crollarono; i Danai occupano dove il fuoco arretra. LA MORTE DEL RE PRIAMO ( 2. 506- 558) Forse chederesti quali furono i destini di Priamo. Come vide la situazione della città occupata e travolte le soglie delle case ed il nemico in mezzo ai penetrali, l'anziano mette attorno alle spalle trmanti per l'età invano le armi a lungo disusate e si cinge l'inutile spada e si getta a morire tra i compatti nemici. In mezzo al palazzo ci fu un enorme altare sotto il nudo asse del cielo e vicino un antichissimo alloro sovrastante l'altare e che abbracciava con lombra i penati. Qui Ecuba e le figlie invano attorno agli altari, rapide come colomne per nera tempesta, sedevano strette e abbracciando le statue degli dei. Ma come vide lo stesso Priamo, vestite le giovanili armi, qui, dove vedi gli edifici divelti e le pietre strappate dalle pietre el il fumo ondeggiante con mista polvere, Nettuno scuote le mura e le fondamenta smosse dal grande tridente e sradica tutta la città dalle sedi. Qui Giunone crudelissima occupa per prima le porte scee e furente, cinta di spada, chiama la truppa alleata. Già Pallade tritonia, osserva, ha occupato la sommità delle rocche sfolgorante col nembo e la crudele Gorgone. Lo stesso padre offre ai Danai coraggio e forze propizie, lui stesso sprona gli dei contro le armi dardane. Togliti, figlio, imponiti la fuga e la fine all'affanno; mai m'allontanerò e ti assisterò sicuro sulla soglia paterma." Aveva parlato e si nascose nelle opache ombre della notte. Appaiono scene crudeli e le grandi potenze degli dei avverse a Troia. Allora davvero mi parve che Ilio sprofondasse nel fuoco e che la nattunia Troia fosse scossa alla base, e come gli agricoltori insistono a gara sulla cima dei monti a sradicare un antico orno stroncato col ferro e con fitte bipenni, ella sempre minaccia e fatta tremare, sconvolta la cima, ondeggia la chioma, finchè a poco a poco vinta dalle ferite alla fine gemette e divelta portò rovina tra i gioghi. Discendo e guidandomi un dio mi libero tra fiamma e nemici: i dardi fan posto e le fiamme si ritirano. ALLA CASA DI ANCHISE ( 2. 634- 729) E quando già si giunse alle soglie ed agli antichi palazzi della casa paterna, il padre, che anzitutto volevo portare sugli alti monti e ricercavo anzitutto, rifiuta, abbattuta Troia, di contunuare la vita e patire l'esilio. "Oh voi, per i quali il sangue dell'età è integro, dice, e le solide forze stannonella loro vitalità, voi organizzate la fuga. Se i celesti avessero voluto che continuassi la vita, mi avrebbero conservato queste sedi. Abbastanza e insieme troppo abbiam visto eccidi e sopravvivemmo alla città occupata. Così, oh così dopo aver salutato il corpo deposto, partite. Io troverò la morte dimia mano; il nemico avrà compassione e chiederà le spoglie. E' facile la rinuncia del sepolcro. Già da tempo odiato dagli dei trascorro pure inutili anni, da quando il padre degli dei e re degli uomini mi sfiorò coi venti del fulmine e mi toccò col fuoco". S'ostinava ricordando tali cose e restava fermo. Noi davanti sciolti in lacrime, e la moglie Creusa e Ascaniao e tutta la casa, che il padre non volesse distruggere tutto e darsi ad un fato opprimente. Rifiuta e s'attacca al proposito ed alle sedi stesse. Di nuovo mi butto nell'armi ed infelicissimo voglio la morte. Infatti quale decisione o quale sorte era data? " O padre, sperasti forse che io potessi muovere un passo, abbandonato te, e sì grave mostruosità cadde dalla bocca paterna? Se agli dei piace che nulla sia lasciato da sì grande città, e ciò dura nel cuore e ti piace aggiungere a Troia che perirà te ed i tuoi, la porta si spalanca a tale rovina, ormai si presenterà Pirro dal molto sangue di Priamo, che sgozza il figlio davanti agli occhi del padre, il padre presso gli altari. Era per questo, grande madre, che mi strappi tra armi e tra fiamme, perchè veda il nemico in mezzo ai penetrali e perchè (veda) Ascanio e mio padre e Creusa vicino sacrificati uno nel sangue dell'altro? Le armi, uomini, portate armi; l'ultima luce per i vinti chiama. datemi ai Danai; lasciate che riveda i combattimenti iniziati. Certamente non tutti moriremo oggi invendicati." Allora di nuovo mi cingo della spada e adattandola inserivo la sinistra allo scudo e mi portavo fuori di casa. Ma ecco la sposa sulla soglia abbracciandomi i piedi s'attaccava e tendeva al padre il piccolo Iulo: " Se parti per morire, prendi anche noi con te per ogni caso; se invece sperimentatolo, poni qualche speranza nelle armi indossate, assicura prima questa casa. A chi il piccolo Iulo, a chi il padre ed io un tempo detta tua sopsasono lasciata?" Così gridando riempiva di pianto tutta la casa, quando improvviso si mostra un prodigio, mirabile a dirsi. infatti tra le mani ed i volti dei tristissimi genitori ecco il leggera ciuffo di Iulo dalla cima della testa sembrò spandere una luce ed una innocua fiamma, morbida al tatto lambire i capelli ed appagarsi intorno alle tempia. Noi spaventati dalla paura trepidiamo e scuotiamo la chioma bruciante e spegnere con acque i santi fuochi. Ma il padre Anchise lieto alzò gli occhi alle stelle e tese le palme al cielo con una preghiera: "Giove onnopotente, se ti pieghi a qualche supplica, guardaci, solo questo, e se meritiamo per la virtù, da' poi aiuto, padre, e conferma questi presagi". Aveva appena parlato il vecchio ed il lato destro tuonò 'dimprovviso fragore, ed una stella caduta dal cielo recando una fiamma tra le ombre corse con intensa luce. La vediamo luminosa sopra la sommità del tetto nascondersi cadendo nella selva idea segnalando le vie; poi per lungo tratto il solco dà luce e vastamente attorno i luoghi fumano di zolfo. Allora davvero il padre vinto si alza verso il cielo e parla agli dei ed adora la santa stella. "Nessun indugio mai più; vi seguo e dove guidate ci sono, o dei patrii; salvate la casa, salvate il nipote. questo presagio è vostro e Troia sotto la vostra protezione. Vengo senz'altro, figlio, nè rifiuto di venirti compagno." Egli aveva parlato e già per le mura si sente più chiaro il fuoco, e più vicino gli incendi lanciano vampe. "Su via, caro padre, mettiti al nostro collo; io mi sottoporrò con le spalle nè questa fatica mi peserà; Comunque accadranno le cose, uno e comune il pericolo, unica salvezza ci sarà per entrambi. Mi sia compagno il piccolo Iulo, e dietro la sposasegua le orme: Voi, servi, osservate coi vostri cuori quello che io dica. C'è, usciti dalla città un'altura ed un tempio antico di Cerere abbandonata, e vicino un vecchio cipresso serbato per molti anni dalla religiosità dei padri; arriveremo da punti diversi a quest'unico luogo. Tu, padre, prendi in mano le cose sacre ed i patrii penati; è sacrilegio che io uscito da sì grande guerra e strage recente li tocchi, finchè con fiume vivo mi sarò lavato." Detto questo, mi ricopro sopra le larghe spalle ed i colli curvati d'una pelle di biondo leone, e mi sottopongo al carico; il piccolo Iulo si attaccò alla destra e segue il padre con passi non uguali; dietro viene la sposa. Ci portiamo per luoghi oscuri, e me, che nessuna arma scagliata poco prima impauriva, nè i Grai riuniti co schiera avversa, ora tutti i soffi mi atterriscono; ogni suono mi agita perplesso ed ugualmente titubante per il compagno ed il carico. CREUSA SCOMPARE ( 2. 730 - 804) Ed ormai m'avvicinavo alle porte e mi sembrava d'aver superato ogni via, quando d'improvviso sembrò presentarsi aglle orecchie un fitto rumore di piedi ed il padre scrutando per il buio esclama: "Figlio, fuggi, figlio; s'avvicinano. Scorgo fiammeggianti scudi e bronzi brillanti." Allora non so che divinità malvagiamente amica strappò la mente confusa a me trepidante. E mentre di corsa seguo luoghi impervi ed esco dalla posizione nota delle vie, ahimè la sposa Creusa forse strappata da misera sorte si fermò, forse deviò dalla via o caduta si fermò, è (cosa) incerta; nè poi fu restituita ai nostri occhi.