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Regole di lingua italiana : ruolo degli aggettivi, ruolo degli avverbi, ruolo dei verbi ergativi e inergativi. Una visione della lingua come unione tra grammatica e lessico : grammatica normativa, descrittiva ed esplicativa.
Tipologia: Sintesi del corso
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1 PARTE (Venier) LEZIONE 04/ Si andranno a studiare la grammatica ed il lessico. Si può pensare ad una lingua come insieme di grammatica e lessico. Dall’800 si iniziano a confrontare le lingue e si parla di parentela linguistica= lingue che hanno matrice comune. Due lingue possono appartenere alla stessa famiglia se hanno in comune sia la grammatica che il lessico. Infatti se prendiamo l’esempio tra la lingua giapponese e quella latina vediamo che a livello sintattico quindi grammaticale ci sono delle affinità, ma non a livello lessicale; dunque non possono appartenere alla stessa famiglia. L’italiano fa parte delle lingue romanze. Le lingue romanze sono le lingue che derivano dal latino: portoghese, spagnolo, catalano, francese provenzale, italiano, rumeno. L’italiano fiorentino è un dialetto italiano che ha avuto prestigio nella storia. Ci possono essere diversi dialetti italiani: settentrionale, centrale e meridionale. Nelle lingue romanze genericamente la lunghezza vocalica non ha valore distintivo. Però nello sviluppo dei sistemi vocalici delle varie lingue a seconda della lunghezza originaria del latino ci sono nel punto di arrivo vocali diverse. Per esempio in latino ho ‘homo’ con la ‘o’ breve, in italiano si sviluppa il dittongo ‘uomo’. Invece il sardo non ha tenuto conto della lunghezza vocalica originaria essendo un’area isolata. C’è una similitudine tra grammatica e lessico tra italiano e spagnolo e tra l’italiano ed il francese. Esempi: latte, leche, lait. A livello lessicale queste lingue hanno delle piccole differenze dovute appunto alla diversa lingua parlata, ma comunque sono molto molto simili tra di loro; anche grammaticalmente ci sono somiglianze. Che cosa si intende quando si parla di grammatica? Ci sono tipi diversi di grammatica. 1- grammatica normativa = insieme di regole da seguire per la grammatica di una certa lingua. 2- grammatica descrittiva = descrizione di regole che noi già conosciamo della nostra grammatica. 3- grammatica esplicativa = dati dei fatti in una lingua si cerca di dare loro una spiegazione comune. Trovare collegamenti tra i fatti. (questo viene studiato dal generativismo di Chomsky che descrive una grammatica universale).
Parlando di grammatica parliamo di due ordini di fenomeni: morfologia → studio della forma delle parole (categorie grammaticali sono rilevanti per ciascun gruppo di parole/ parti del discorso) ex. la categoria dell’aggettivo è rilevante per andare a specificare un nome. sintassi → ordine degli elementi in una frase. Parlando di morfologia abbiamo una tradizione grammaticale: gli avverbi sono le parti invariabili come anche le congiunzioni e le interiezioni. Le parti variabili sono : articolo, nome, aggettivo, pronome ed il verbo. Gli usi di questi elementi possono però cambiare: ex. il tuo ridere mi rasserena ( il verbo viene sostantivato ). Anche l’avverbio ‘fuori’ posso usarlo in modo diverso → giovanni è fuori città ( uso preposizionale dell’avverbio ‘fuori’ ). NOME Di solito si distingue a livello semantico : una parola come donna ha tratti più umani e meno maschili. Le categorie del nome sono genere e numero ma non è del tutto vero: ci sono parole che hanno il maschile come ‘bambino’ ed il femminile come ‘bambina’, però ci sono anche delle parole che hanno il corrispondente femminile che non corrisponde con il maschile → ex. toro - mucca. Non c’è perciò legame tra l’oggetto ed il genere perché se dico ‘sasso’ non cambia dal dire ‘pietra’, quindi il significato è lo stesso e ci sono due generi diversi per queste due parole e questo diverso genere non è determinato da nulla, è una cosa arbitraria, non c’è un motivo del perchè una parola abbia un genere maschile o femminile. Ex. il latte /la leche → due generi diversi che però non hanno una motivazione logica. Ci sono varie tipologie di nomi in italiano: femminili → singolare in a , plurale in e maschili → sing. in o , plurale in i masch. / femm. → sing, in e , plur. in i (ex. lepre- lepri) nomi invariabili : 1- ‘città’ o ‘virtù’ che sono frutti di troncamenti delle parole latine 2- parole straniere che finiscono in ‘i’ che sono di origine greca come ‘ipotesi’ , ‘tesi’ → parole del lessico culto (parole della filosofia). 3- parole definite come ‘prestiti non integrati’ (ovvero che rimangono al loro stato originario e non sono stati assimilati dalla lingua italiana) come ‘film’ sono invariabili (dunque al plurale non cambiano) maschili → sing. in a , plur. in i (tema-temi) con eccezione di ala-ale che non termina in i ma in e
buon- → (morfema lessicale) che è la parte invariabile che indica il tipo di qualifica a cui ci stiamo riferendo -i → (morfema grammaticale) parte grammaticale che indica genere e numero (in questo caso maschile plurale) Queste due parti che compongono la parola si chiamano morfemi = la parte minima dotata di significato. Diversamente dai fonemi che non sono dotati di significato. Abbiamo morfemi lessicali e morfemi grammaticali. Quelli grammaticali si dividono a loro volta in : morfemi grammaticali flessivi che sono solo suffissi (masch/ femm/sing/plur e per i verbi ne indica il tempo, il modo ecc..) Le lingue indoeuropee sono tutte flessive. morfemi grammaticali derivativi che possono essere sia suffissi che prefissi → possiamo creare dei derivati ex. con cas- posso creare cas-a / (prefisso) rin-casare / cas-eggiato (suffisso). idea → idea-le/ idea-lizzare/ idea-lizzato. (tutti suffissi) scatola → in-scatolare (prefisso). I morfemi possono anche essere: legati, liberi e semiliberi. morfemi legati → non esistono da soli ex. non posso dire ‘cas’ devo dire ‘casa’ quindi hanno per forza una parte grammaticale e una lessicale morfemi liberi → esistono da soli ex. ieri, fuori (non è distinguibile al loro interno una parte lessicale da quella grammaticale come in quelli legati , perchè è una parte invariabile del discorso) morfemi semiliberi → articolo , preposizioni Ovvero che l’articolo determina una parte grammaticale ma non lessicale e perchè l’articolo accompagna sempre qualcosa, non lo si trova da solo. Le preposizioni accompagnano sempre qualcosa, non sono mai da sole. ex. la casa di mia mamma. Non tutte le lingue sono flessive, possono anche essere: agglutinanti → ex. lup- i → in italiano abbiamo un solo morfema ovvero ‘i’ che ci indica sia il numero che il genere, dunque più informazioni grammaticali indicate da un solo morfema ; mentre nel turco che è una lingua agglutinante , avremmo lup- o-i , ovvero che per ogni informazione grammaticale ho un morfema diverso. Quindi per indicare il maschile c’è la ‘o’ , per indicare il plurale c’è la ‘i’. Dunque ci vuole un morfema per ogni informazione grammaticale.
isolanti → ad esempio il cinese è una lingua isolante, ovvero che non c’è una distinzione tra morfemi lessicali e grammaticali ,in quanto queste funzioni sono affidate a intere parole monosillabiche che indicano una funzione lessicale o grammaticale. L’inglese sta diventando una lingua isolante. → ha morfologia povera rispetto alle altre lingue indoeuropee. Ad esempio nei verbi. incorporanti / polisintetiche → le lingue degli eschimesi in cui una struttura del verbo indica un’intera frase. (questo ultimo tipo non lo chiederà). Humboldt credeva che la lingua andasse dal più semplice al più complesso, dunque da una lingua semplice come il cinese (a livello di morfemi lessicali e grammaticali) ad una lingua più complessa. Invece si è constatato che è il contrario, ovvero che la lingua si evolve morfologicamente dal più complesso al più semplice , questo fenomeno è visibile nelle lingue indoeuropee. Si è constatato che la morfologia delle lingue indoeuropee più antiche è più complessa rispetto a quella delle lingue indoeuropee contemporanee. Ex. a livello morfologico è più semplice l’italiano dal latino, oppure l’inglese è più semplice a livello morfologico dell’italiano. Dunque si ha una tendenza alla semplificazione. Due parti variabili del discorso: pronome e verbo. Il pronome è un elemento costitutivo della testualità perché permette di riprendere parti del discorso oppure di anticiparle introducendolo (più raro però) → ex. ‘te lo voglio proprio dire.’ ‘ sei stato bravissimo ’. Ci sono anche altri casi: ‘non voglio questo, voglio quello ’ → quello è un dimostrativo con funzione pronominale. I pronomi hanno funzione anaforica e cataforica: 1- la funzione anaforica è la ripresa di qualcosa che precede ex. ‘la ragazza che ho incontrato oggi si chiama Maria’ ‘che’ è un pronome relativo che si riferisce ad un’informazione che ci è stata data, ovvero ski riferisce alla ragazza. ex. ‘oggi ho incontrato giovanni e gli ho chiesto come stesse’. 2- la funzione cataforica (più rara) ex. ‘te lo voglio proprio dire’. ‘sei stato proprio bravissimo’. In questo caso il pronome anticipa un’informazione che ci verrà data dopo. Essendo una funzione più rara, possiamo dire che generalmente la funzione del pronome è quella di riferirsi a qualcosa che è già stato detto. I pronomi personali e relativi non hanno un corrispondente aggettivale.
la persona → è una categoria morfologica ex. ‘penso di andare a spasso stasera’ ll mio ‘andare’ non ha una persona espressa, tuttavia ha un soggetto che sono io. Quando il soggetto della principale corrisponde con il soggetto dell’oggettiva , ecco che posso usare l’infinito che non ha persona ma ha un soggetto. Con i modi finiti ovvero indicativo, congiuntivo e condizionale noi abbiamo dei pronomi proclitici ovvero posizionati prima del verbo ; con i modi indefiniti come gerundio, participio e infinito i pronomi saranno enclitici ovvero posizionati dopo il verbo. Nell’imperativo(che ha la 2 pers. sing. e plur.) i pronomi vanno dopo il verbo. → posizione enclitica. Casi complessi dei pronomi: 1 problema costituito dai pronomi atoni lui e lei e loro Nell’italiano antico servivano da soggetto post verbale → ‘è stato lui/ lei/ sono stati loro’. Nell’italiano odierno questi 3 pronomi atoni costituiscono il soggetto pre verbale. ex. → ‘ lui è appena partito’. ‘Loro’ è l’unico pronome personale che deriva dal caso genitivo ( complemento di specificazione) → ‘lorum’ = di quelli Questo uso genitivale viene fissato in italiano dai possessivi: mio, tuo, suo, nostro , vostro e loro. ex. → la loro casa Vediamo che ‘loro’ mantiene il suo significato originario di genitivo ma è classificato come aggettivo o pronome possessivo, non personale. ‘Loro’ assume il ruolo di pronome personale: quando svolge il ruolo di soggetto, compl. ogg. , quindi in posizione pre e post verbale quando ha un significato dativo → ex. ‘ho dato loro dei regali.’ Qui svolge la funzione di complemento di termine che risponde alla domanda ‘a chi?’ e questo uso dativo sta scomparendo, sostituito dall’utilizzo di ‘gli’ → ‘gli ho dato dei regali’. Infatti nell’italiano standard che parliamo, ‘gli’ sta per ‘a lui’ ma anche ‘a loro’ , quindi ha utilizzo singolare ma anche plurale. IL PRONOME ‘NE’ Deriva dal latino ‘inde’ che era un avverbio di moto da luogo. Dunque ha funzione pronominale che va ad indicare questo moto da luogo. ex. → ‘ è a parigi Carlo?' ‘ no, ne è tornato ieri’ = è tornato da parigi Questo è un uso un po più raro, però un uso più standard è per esempio: ‘me ne vado’ → vado via da quel luogo. ‘Ne’ è anche il pronome di ripresa del genitivo ( compl. di specif.):
ex. → ‘quante mele vuole?’ ‘ ne voglio 3’ / ‘ne abbiamo parlato a lungo’/ ‘ne dubito’. PRONOMI RELATIVI: che → sostituisce il soggetto o l’oggetto cui → funzione dativa (compl. di termine) e può anche presentare una preposizione come ‘a cui’ dove Molto importante è la differenza tra il ‘che’ come pronome relativo ed il ‘che’ come congiunzione. La differenza è che il ‘che’ come pronome relativo viene usato dopo un sintagma nominale → ex. ‘ la ragazza che ho visto’. Il ‘che’ usato come congiunzione invece segue un verbo → ex. ‘penso che sia stato lui’. ESERCIZIO SUI PRONOMI RELATIVI: esempio di ‘che’ con funzione di soggetto → l’uomo che ha mangiato la mela si chiama giovanni. esempio di ‘che’ con funzione di complemento oggetto → l’uomo che abbiamo intervistato era giovanni. In questo caso il soggetto è ‘noi’ (che abbiamo intervistato). ex. ho usato il quaderno che mi hai regalato. ex. abbiamo incontrato marco che ti saluta. ex. ho passato un bel fine settimana con mio cugino che si chiama giacomo. ex. il ragazzo che ho incontrato ieri mi ha scritto una mail. esempio di ‘che’ congiunzione → che tu parta oggi o domani è indifferente. → ‘che’ è congiunzione perché introduce una subordinata perché è come se prima di questa frase ci fosse ‘per me è indifferente che tu parta oggi o domani’. Dove ‘per me è indifferente’ è la principale. ex. credo che sia una buona idea. ex. so che giovanni che era stato malato ora sta un po meglio= il 1 ‘che’ ha la funzione di congiunzione il 2 la funzione di pronome relativo soggetto. ex. il paese in cui sono nato non è tanto distante da bergamo = pronome relativo oggetto ex. la città dove mi piacerebbe abitare è il cairo = pronome relativo oggetto. ESERCIZI CON I PRONOMI PERSONALI: I pronomi soggetto sono tutti tonici. ex. io vado a piedi, voi in autobus = io e voi sono i pronomi pers. sogg. ex. vado con lui= lui è pronome tonico indiretto (ovvero è un complemento)
lavavo / avevo lavato passato remoto / trapassato remoto lavai / ebbi lavato futuro semplice / futuro anteriore laverò / avrò lavato Tempi del congiuntivo : presente che io lavi passato che io abbia lavato imperfetto che io lavassi trapassato che io avessi lavato Tempi del condizionale : presente laverei passato avrei lavato Tempi dell’imperfetto : esiste solo al presente (anche se in latino c’era anche al futuro che è scomparso nell’italiano) che dovrebbe essere ma controlla ‘lava’ e ‘lavate’. In italiano ci sono 3 coniugazioni: -are, -ere, -ire. Molto importante è che la persona si legge già sul verbo, perciò non è obbligatorio l’uso appunto della persona. ASPETTO L’azione espressa dal verbo può essere durativa o non durativa. Per esempio ‘saltellare’ è un’azione durativa mentre ‘saltare’ non è un’azione durativa. L’aspetto dunque indica la durata o la non durata dell’azione che viene espressa dai diversi tempi verbali. ex. maria tornò a casa = azione perfetta / aspetto perfettivo= azione che si è conclusa. ex. maria tornava a casa in bicicletta = azione imperfetta / aspetto imperfettivo = azione non conclusa, che ha ancora continuità, una sorta di abitudine che quindi continua nel tempo. LEZIONE 18/ Importante: quando parliamo di azione parliamo di semantica del verbo, ovvero il significato del verbo, non concerne la morfologia. La differenza aspettuale in italiano la vediamo soprattutto al passato, anche se non è una cosa del tutto vera. Possiamo notare come nel nord italia si usi molto di più il passato prossimo, mentre nei dialetti meridionali di tende ad usare di più il passato remoto.
Queste differenze di semplificazione cos’hanno in comune con le altre lingue? A. la differenza tra aspetto perfettivo del passato prossimo e del passato remoto e l’aspetto imperfettivo dell’imperfetto si conservano dappertutto. Infatti questo lo troviamo anche in francese (dove il passato remoto è diventato una lingua più raffinata che sta tendendo ad essere usata molto meno) e nel gallego spagnolo che invece si usa quasi solo il passato remoto e non il passato prossimo come nel sud italia, mentre l’imperfetto viene sempre usato. In italiano ma anche in altre lingue romanze come il francese o lo spagnolo possiamo vedere che esistono delle perifrasi verbali che ci permettono di indicare ad esempio la continuità dell’azione ( aspetto imperfettivo ) al presente progressivo (star facendo qualcosa): ex. → sto leggendo → estoy leyendo → je suis en train de lire Se uso invece un presente normale vedo il suo aspetto imperfettivo: ex. mangio all’1:30 → ovvero tutti i giorni mangio all’una e mezza; non vedo la fine di questa azione, dunque ha una continuità indefinita. ex. leggo con gli occhiali. ex. dormo con una bella coperta. Però ho anche un presente con valore perfettivo: ex. vi prometto che l’esame non sarà difficile. → non ha continuità questa azione perché non prometto tutti i giorni questa cosa. ex. ti espello dall’aula. Importante: io posso anche avere due azioni al presente , dunque due azioni che possono anche avvenire nello stesso momento, contemporanee; ma la differenza è che queste due azioni potrebbero essere diverse dal punto di vista aspettuale, quindi una imperfettiva e l’altra perfettiva. Perché un verbo magari indica continuità nel tempo, mentre un altro indica che l’azione è finita. IN SINTESI POSSIAMO DIRE CHE AD ESEMPIO L’IMPERFETTO HA ASPETTO IMPERFETTIVO= OVVERO CHE INDICA UN’AZIONE DI CUI NON SI SA NÈ L’INIZIO NÈ LA FINE, QUINDI HA UNA CONTINUITÀ INDETERMINATA. ex. da bambina leggevo libri sulla scrittura. → dunque è un’azione che posso collocare nel tempo ma ha un aspetto imperfettivo rispetto al dire ‘da bambina ho letto/lessi libri sulla scrittura’ → con questi due tempi verbali sto collocando sempre l’azione nel tempo, però sto indicando il fatto che l’azione sia finita.
Quindi i verbi con ausiliare avere hanno diatesi attiva, le prime 3 categorie dei verbi con ausiliare essere hanno diatesi media ed i passivi hanno diatesi passiva. Nota che nella diatesi passiva l’azione viene proprio subita dal soggetto, mentre in quella media l’azione ricade sul soggetto. La diatesi passiva non è un soggetto che fa qualcosa che ricade su di sé (diatesi media) , è un soggetto che subisce un ‘azione. Differenze di significato in base all’ausiliare che uso: Ex. sono andato fino al centro→ descrivo un movimento ex. ho camminato fino al centro → descrive il modo con cui sono andato al centro, non il movimento. Tutte le forme che abbiamo visto con ausiliare essere sono definite ‘inaccusative’, ma prima vediamo cosa significa che i verbi intransitivi con ausiliare avere si chiamano inergativi. Inergativi → l’opposto di ciò che è ergativo = ergative sono dette le lingue caucasiche e noi in italiano abbiamo dei verbi che sono detti ergativi. Verbi ergativi italiani:
verbi 0 valenti → verbi meteorologici ex. piove/nevica verbi monovalenti → richiedono solo la presenza del soggetto verbi bivalenti → verbi di solito transitivi (ovvero con compl. ogg.) , ma non solo , ci sono anche intransitivi (ovvero con altri compl.) ex. giovanni è andato a roma / questo libro costa 20 euro. verbi trivalenti → ex. ho dato un gioco a mio cugino. (sogg., compl, ogg, compl. di termine) La valenza non è rigida perché i verbi 0 valenti ad esempio possono assumere in senso figurato un soggetto → ex. sono piovuti pugni. / pioveva oro. Molti verbi bivalenti possono essere usati intransitivamente [ex. ‘carlo ha bevuto l’acqua’ quindi tipicamente transitivo, ma posso usarlo intransitivamente con ‘carlo magia’], molti verbi monovalenti possono essere usati transitivamente [ex. ‘ho viaggiato molto’ (verbo tipicamente intransitivo, ma posso usarlo anche transitivamente con ‘giovanni ha viaggiato il mondo’)]. In una frase però è importante sapere che ci sono degli elementi necessari affinché una frase sia completa a livello semantico e sintattico e degli elementi che non sono necessari. Gli elementi necessari si chiamano ARGOMENTI/ATTANTI , che ci danno la frase di base; gli elementi che non sono necessari prendono il nome di CIRCOSTANTI/ CIRCOSTANZIALI e sono facoltativi, non sono obbligatori al completamento della frase a livello semantico e sintattico. Esempi: 1- domenica paolo è andato in piscina con lucia. → andare è intransitivo bivalente. domenica e con lucia sono circostanziali. 2- il topo è stato mangiato dal gatto in un boccone. → mangiare è bivalente, non essere mangiato. Il verbo al passivo è sempre monovalente. → perchè se dico ‘il topo è stato mangiato‘ la mia frase ha senso lo stesso. = quindi ‘dal gatto’ e ‘in un boccone’ sono circostanziali. Esercizio: Affermo che è stato lui il colpevole / Affermo la sua colpevolezza. Se io dico ‘affermo le sue colpe’ (al plurale) vediamo che ‘affermo’ non si accorda con l’elemento postverbale= ovvero che le sue colpe è compl. ogg. ed il soggetto è un’altra cosa, ovvero la prima pers. sing. Quindi nella frase ‘affermo che è stato lui il colpevole’ è una oggettiva e non una soggettiva.