Scarica linguistica generale 1 prof gatti e più Appunti in PDF di Linguistica Generale solo su Docsity! Linguistica generale Appunti delle lezioni integrati con “La comunicazione verbale” Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano Prof.ssa Maria Cristina Gatti A.A. 2021/2022 Primo semestre La linguistica generale e il suo oggetto Le lingue conosciute sono molte. Ognuno di noi è un parlante poliglotta. In tutto sono 6000 e il linguista è un parlante poliglotta. Le lingue sono molto diverse tra di loro, anche i dialetti vengono considerate lingue, a livello linguistico. Lingue sensibilmente diverse tra di loro: es. il movimento nello spazio Italofoni, ispanofoni, anglofoni e francesi usano solo un verbo per indicare il movimento, i parlanti tedeschi: Gehen e fahren = per i russi (andare con un mezzo o a piedi) In che senso c’è una dimensione generale? Prendere come aspetto il linguaggio umano Ci si interroga sugli eventi comunicativi, che si producono per comunicare che utilizzano una lingua storico-naturale. Quando comunichiamo utilizziamo anche gesti e espressioni del volto che vengono chiamati comunicazione paraverbale. La comunicazione: pervasività e complessità La comunicazione è diventata pervasiva (dalle agorà, luogo della comunicazione, alle nostre case); inoltre essa comprende dimensioni diverse: 1) linguistico-semiotiche 2) psicologiche, socioculturali e antropologiche – la comunicazione permette l’interazione tra individui collettivi e singolari 3) tecnologiche (comunicare attraverso apparecchi e tecnologia) Scienze che si occupano della comunicazione: - Scienze linguistiche-semiotiche (linguistica generale fa parte di queste) - Scienze tecnologiche - Scienze umane (psicologia...) – Differenza tra “comunicatore” (a) e “comunicazionista” (b): a. es. conduttore televisivo, politico che sa trascinare, un insegnante che spiega in modo efficace… → la sua competenza comunicativa può essere un’abilità che si appoggia su automatismi già acquisiti. b. colui che ha una consapevolezza sistematica degli strumenti della comunicazione e che sa come devono essere utilizzati perché la comunicazione sia efficace – deve possedere: 1) aspetti fondamentali: i segreti della comunicazione, le sue leggi, le sue dinamiche profonde con cui essa opera 2) aspetti contestuali: gli specifici settori di attività umana in cui si applicano le strategie comunicative. → con la sua professionalità specifica sa intervenire dove la comunicazione si inceppa Se la professionalità si limita a ricercare l’efficacia della comunicazione la democrazia resta a rischio. 1 Quando va in crisi la comunicazione? • Ragioni di natura testuale: quando si distrugge l’efficacia comunicativa di un messaggio Esempio dal film La strada di Fellini: Zampanò, padrone di un circo equestre, si va a fare pubblicità nei vari paesi e istruisce Gelsomina per farsi fare advertising. REMA: “È arrivato Zampanò!” – più efficace, c’è più enfasi, attesa. È arrivato chi? Zampanò. TEMA: “Zampanò è arrivato!” – sai già chi è il soggetto e non sei più curioso di scoprire chi è, perciò smetti di prestare attenzione, viene considerato come elemento già noto, condiviso fra il mittente e il destinatario. Soggetto in posizione rematica → rema Soggetto in posizione tematica → tema • Ragioni di natura semantica: Destituzione dei fondamenti della sensatezza - “Mia moglie è un’ottima cuoca” (detto da uno scapolo) → Uno dei fondamenti della sensatezza è il rapporto che il senso deve avere con la realtà. - “Mio cugino è farmacista” (detto da uno sconosciuto) → Uno dei fondamenti della sensatezza è il rapporto che il senso deve avere con l’altro, con l’interlocutore Pertinenza inter-esse involvement Notizia vs. Informazione Dato che aggiorna un archivio, un database Informazione pertinente che suscita interesse, che crea involvement La comunicazione e la logica del munus Comunicazione: è la somma degli eventi comunicativi – definizione induttiva (definiamo il fenomeno elencando i singoli elementi). Definizione deduttiva: descrivere il meccanismo che è in grado di produrre gli elementi comunicativi partendo da una regola La scoperta del segreto della comunicazione si trova nella sua etimologia – serve per ricostruire un percorso per capire come si è arrivati a quella determinata parola, alla categoria (= parole che ci permettono di catturare la realtà nei nostri discorsi) Comunicazione – etimologia: lat: communico → communicatio → comunicazione - cum – “con”, “assieme a” - munus – termine polisemico: “dono” e “compito”, incarico → nesso logico tra dono e compito: un oggetto prezioso richiede cure. Tutto ciò che è dono è anche compito. Tutto ciò che è caro chiede impegno. (→ “Hai voluto la bicicletta? Adesso pedala”). Il verbo latino communico significava mettere in comune un bene di qualsiasi genere. Anche il significato fondamentale di comunicare in italiano e in molte lingue è quello di “mettere a disposizione di un altro”, “far partecipare un altro di un bene che ho”, come momento di scambio – quanto viene scambiato deve essere segni che producono un senso. → La comunicazione è perciò un processo che mette in rapporto due realtà diverse tra loro. Qui capiamo che la comunicazione presuppone che vi siano due soggetti diversi che hanno bisogno di entrare in rapporto tra di loro. → La comunicazione presuppone, per sussistere, una diversità, un’alterità, ed esige anche che ci sia un minimo di condiviso, di terreno comune, common ground -communico tecum mensam meam → comunico con te la mia mensa 2 ⇒ In veste poetica, Omero ci dice che cosa salva l’uomo dalla manipolazione, ossia un legame (in questo caso con gli affetti familiari). La retorica classica Vi è un grande sospetto nei confronti della persuasione che deriva dalla comunicazione. La retorica classica può essere considerata un’arte del persuadere e indicava i passi da seguire per costruire un discorso in pubblico per creare consenso. Retorica arte di persuadere arte del parlare in pubblico ars bene dicendi (téchne) ars guidata da una metodologia → Teoria di come procedere nella costruzione di un discorso persuasivo fondato su un esercizio del potere della parola sano, che parte dal desiderio di far crescere il proprio interlocutore (auctoritas). persuadére suadeo, suadēre suavis = dolce, corrispondente al cuore convincere con-vinco → ricorda la vittoria sull’altro La retorica si occupa di tutte le dinamiche comunicative che si esercitano in pubblico. Distinzione dicere vs. loqui - dicere – discorso in pubblico, il dire che ha una rilevanza sociale, che crea nessi sociali - loqui – discorrere legato alle situazioni comunicative familiari, alle situazioni quotidiane, all’everyday speaking Nella democrazia greca diventa fondamentale che il cittadino sappia usare la parola e le dinamiche in modo tale da creare consenso in vari ambiti: - Giuridico-processuale: il cittadino doveva essere in grado costruirsi discorso di difesa da usare durante il processo - Politico: per prendere le decisioni per il bene della città, il cittadino doveva saper intervenire in pubblico con una comunicazione in grado di persuadere. - Epidittico: discorsi di encomio in cui si valutavano positivamente le imprese e le gesta di coloro che avevano compiuto azioni per il bene della vita comune → Nel mondo greco antico si viene a creare quindi un vero e proprio mercato della parola, in cui diventa fondamentale essere capaci di argomentare – si formulano dei messaggi che hanno dei contenuti con cui si prende posizione sulla realtà, sostenendole con delle ragioni adeguate. argomentare argomento argumentum lat. arguere = far vedere, mostrare, far brillare. Costruzione del discorso persuasivo e sue fasi: 1. inventio – individuare gli argomenti da mettere a tema nel nostro discorso persuasivo 2. dispositio – come disporre gli argomenti del discorso 3. elocutio – elocuzione, fase in cui venivano date indicazioni rispetto alle strategie linguistiche da utilizzare nella formulazione del discorso, e in cui venivano descritte le frasi più efficaci nel discorso, le figure retoriche 4. memoria – l’oratore doveva imparare a memoria il suo discorso → indicazione sulle tecniche di memorizzazione = mnemotecniche 5. actio – vengono date indicazioni rispetto a come comportarsi nel momento in cui l’oratore, il cittadino, il comune parlante, deve formulare e proferire il discorso in pubblico → indicazioni sulla gestualità, la prossemica - le posture, il tono della voce, la gestualità – indicazioni sull’actio in pubblico 5 I sofisti arrivano nel mondo greco e danno un apporto alla retorica: i sofisti sono dei tecnologi della parola ante litteram, professionisti della comunicazione che vendevano la loro competenza comunicativa: aprono le loro botteghe in cui insegnavano a prendere un discorso e a farlo vincere (ma anche a farlo perdere), insegnavano a con-vincere, a vincere, a sopraffare l’altro con la parola → i sofisti insegnavano a prendere il potere. I sofisti sono molto importanti perché hanno permesso di capire come sono strutturati i ragionamenti scorretti e che quindi sono orientati verso la manipolazione dell’interlocutore. ⇒ creano un sospetto sulla parola e nei confronti della retorica. → Sofismi: ragionamenti scorretti Grande dibattito: “Se la retorica è così pericolosa va bandita dalla vita consociata” Aristotele interviene in questo dibattito e riscatta la retorica Si apre una decadenza della retorica (Socrate: ‘bandiamo la retorica’ → pericolosa). Aristotele e il riscatto della retorica Aristotele segnala il problema della retorica: individua un punto discriminante da un discorso persuasivo e uno manipolatorio. → analogia con il medico: egli ha a disposizione degli elementi con cui può formare farmaci e veleni – esattamente nello stesso modo, chi esercita il potere della parola ha degli elementi che può usare in modo sano o scorretto. ⇒ la retorica non è il problema, tutto dipende da come la utilizza il soggetto parlante Svolta logica di Aristotele → Riscatto della retorica: individua i requisiti che devono essere rispettati per un messaggio persuasivo costruito in modo corretto. La persuasione può avvenire su basi diverse: 1) Base discorsiva: avviene attraverso l’atto del discorso, la persuasione che arriva attraverso il parlare 2) Base extra discorsiva: avviene attraverso le testimonianze di vita del testimone. Aristotele individua la pístis/fides come parola chiave nella dinamica della persuasione. Polisemia del termine: – La persuasione produce nel destinatario un’adesione del cuore, che il latino chiama fides (vd. italiano: ‘fidarsi’, ‘affidarsi’, ‘confidare’). Fides vicina a foedus, ‘alleanza’⇒ stabilità della fides, vista come stato della ragione. – persuadeo, fides, credo – in greco, unica radica pith: fides = pístis → il credito che un parlante ottiene con il suo dire, l’adesione che si produce nel destinatario. È la felicità dell’atto retorico. Questa adesione è un che di saldo, che coinvolge tutti e tre i fattori fondamentali della comunicazione: pistós è colui di cui ci si può fidare, è la proposta ragionevole, è colui che ha autenticamente e stabilmente aderito. 6 Adesione ragionevole La persuasione è un processo comunicativo che chiede di aderire ragionevolmente. Il momento dell’adesione è un momento in cui aderiamo con l’affezione, affectus. La ragione umana ha due momenti, aderisce e giudica - affectus: tutt’uno con la ragione, punto infuocato ultimo della ragione, là dove la ragione tende naturalmente ad aderire → to learn by heart, apprendre par cœur - intellectus: quel momento della ragione che interagisce con l’affectus, e con questo indichiamo il vaglio che riconosce il vero dal non vero. → I greci dicevano che il destinatario è un decisore: krino = atto del vagliare → vagliare con il setaccio, separando il grano (bonum) dalla pula krités = decisore → quando ci raggiunge un messaggio di tipo persuasivo ai destinatari si apre un impegno di tipo critico, si apre il compito del vaglio, ossia di setacciare il contenuto che ci raggiunge trattenendo il bonum e scartando il male → Il destinatario deve decidere rispetto alla bontà e alla non bontà del messaggio, deve decidere se il contenuto è ragionevole o no, se risponde alle esigenze della ragione. La ragione dell’uomo di fronte al bonum aderisce naturalmente. Antistrofia fra procedimenti della logica e dell’argomentazione Aristotele procede nella retorica e afferma che vi sono dei processi della logica e dell’argomentazione: quando è in atto una dinamica di persuasione, usiamo la ragione e si interpella quella ragione del destinatario. Aristotele ci mostra che gli strumenti della comunicazione sono costruiti in modo analogo agli strumenti di logica. Vi è un rapporto di antistrofia tra gli strumenti della logica e della ragione quando ci muoviamo nell’ambito della persuasione manipolativa. Vi è un un rapporto di parallelismo\antistrofia tra i procedimenti che vengono utilizzati in sede logica e in sede argomentativa. Dal teatro greco dove il coro cantava una stoffa con un movimento del coro da est verso ovest e poi seguiva l’antistrofe cantata da est a ovest. Strofa e antistrofe avevano una struttura parallela. Ragione – due modi di procedere: 1. Deduttivamente: Dall’universale al particolare 2. Induttivamente: Dal particolare all’universale Ragione - Logica - Argomentazione Deduzione - Sillogismo - Entimema Induzione - Generalizzazione - Exemplum 1. Deduttiva • Sillogismo es. Tutti gli uomini sono mortali, Socrate è uomo, Socrate è mortale Sillogismo → struttura tripartita, tre momenti espliciti - Premessa maggiore: contiene un principio incontrovertibile, ossia un principio che è evidente a tutti – è anapodittica, evidente, non deve essere dimostrata - Premessa minore: applica quel principio universale ad un caso particolare - Conclusione: a cui si arriva facendo giocare le premesse precedenti es. Tutti i canidi sono sono carnivori → premessa maggiore La volpe è un canide → premessa minore Ergo, La volpe è un carnivoro → conclusione 7 Endoxon: costruita attraverso processo inferenziale. Qual è? Bush fa leva su una adesione naturale che c’è nell’essere umano: non è possible negoziare con coloro il cui unico scopo è l’eliminazione dell’altra parte. Abbiamo visto però che per far sì che vi sia negoziazione, vi devono essere due parti. – Premessa maggiore: [it’s not possible to negotiate with those whose goal is the death of the counterpart] → Vi è un’adesione naturale tra noi – Crea l’aggancio al common ground (condivisione di principio) cui fanno riferimento l’argomentante e il decisore. Qui vi è un principio condiviso dalla comunità = endoxon culturales – Premessa minore: contiene un dato che viene evidenziato dal testo. Terrorists have as goal the death of the counterpart. – Conclusione: It’s not possible to negotiate with terrorists Antistrofia – Induzione – Exemplum Quando abbiamo parlato dell’antistrofia che vi è tra logica e argomentazione abbiamo visto la ragione deduttiva, ma non quella induttiva. Abbiamo già visto la generalizzazione, che prende in considerazione la sfera logica. Adesso vediamo l’exemplum, che prende in considerazione la sfera argomentativa: in quel caso decisivo A ha dato luogo a B, quindi è ancora possibile che A dia luogo a B: Un certo evento può aver luogo in quanto qualcosa di analogo è già successo. Ultimo segmento del discorso: da fatti passati si ricostruisce una legge generale. Si procede induttivamente dal fatto concreto alla regola. Si persuade su un fatto futuro con una regola che fatti passati hanno permesso di stabilire – Come nella storia da acerrimi nemici sono diventati amici, è ancora possibile che palestinesi e israeliani possono far lo stesso. Laboratorio di analisi dei testi Grazie ad Aristotele, abbiamo una documentazione che gli strumenti che usiamo in ambito argomentativo sottendono l’uso della ragione, quindi non impegnano una ragione depotenziata, è la stessa ragione dell’ambito dimostrativo. → Entimemi – per persuadere utilizziamo strutture argomentative che riprendono la struttura del sillogismo ma hanno una specificità persuasiva. – Costruire una strategia argomentativa di tipo entimematico con cui raccomandare l’acquisto del prodotto x. • Entimema usato da un copy di un’agenzia pubblicitaria, che realizzava un messaggio pubblicitario in cui raccomandava l’acquisto di un certo prodotto Burro delle Alpi Tesi Questo burro è genuino? Endoxon [Il latte fresco delle Alpi è genuino] → Crea l’aggancio al common ground cui fanno riferimento l’argomentante e il decisore Premessa minore: La causa materiale di questo burro è il latte fresco delle Alpi Conclusione: Questo burro è genuino • Pubblicità di un orologio svizzero Tesi messa in discussione Questo orologio è di alta qualità? Argomento È svizzero Dipanazione della struttura entimematica sottesa a questo messaggio pubblicitario: Qual è l’hooking point? Qual è il punto di aggancio dell’argomento rispetto alla tesi? È svizzero si riferisce all’agente, alla causa efficiente → qualità positive del produttore implicano qualità positive del prodotto 10 Endoxon: fa leva su un principio condiviso [gli orologiai svizzeri sono noti per essere produttori di alta qualità] → crea l’aggancio al common ground cui fanno riferimento l’argomentante e il decisore. Premessa minore: Questo orologio ha come causa efficiente/produttori orologiai svizzeri Conclusione: Questo orologio è di alta qualità Case studies: - Questa casa è solida. È tutta di cemento armato. - Questa piazza è molto bella. L’ha progettata il Bernini. La manipolazione Noi fino ad ora abbiamo visto le dinamiche per persuadere in modo sano. Partendo dall’esercizio del potere della parola, abbiamo analizzato la parola “potere” e abbiamo visto che il potere della parola si fonda su due fattori: - Sulla auctoritas per far crescere l’interlocutore → in questo caso abbiamo una comunicazione persuasiva - Sulla vis, quindi sulla violenza, non fisica per forza, ma magari per l’inganno, per manipolare = in questo caso abbiamo una manipolazione I processi manipolatori che prendiamo in considerazione hanno a che vedere con l’uso negativo e perverso che è stato fatto della comunicazione nel 900 soprattutto nei regimi totalitari – usciamo dal secolo scorso con un’esperienza fallimentare nei confronti della comunicazione. I regimi totalitari utilizzano questi sistemi di comunicazione orientati agli scopi dell’ideologia del potere – più che le armi utilizzano le parole (vd. 1984 di George Orwell) Quando si vuole analizzare le strategie manipolatorie vengono utili tre tipi di testi che corrispondono a tre fasi diverse della storia dell’avvicinamento al potere di un dato regime totalitario: 1ª fase: Testi fondativi, formulati per stendere i principi fondanti dell’ideologia la potere 2ª fase: Testi mediatici con scopo di propaganda 3ª fase: Testi scolastici, l’ideologia utilizza il testo scolastico per propagarsi attraverso le generazioni Modifiche dei dizionari e voce dei dizionari: - logocidio: il dizionario elimina alcune voci dizionariali dei termini sensibili - semanticidio: nella voce del dizionario dove alcuni termini sono particolarmente sensibili viene data una definizione influenzata dal regime al potere. Il concetto di manipolazione: un messaggio è manipolatorio quando distorce (twists) la visione della realtà dei destinatari impedendo loro un atteggiamento sano, autentico nei loro processi decisionali: il destinatario pensa di decidere a proprio favore ma in realtà decide negli interessi di chi lo sta manipolando. – Analizzare i processi manipolatori è difficile, perché operano in modo occulto: si va ad agire negli aspetti del messaggio, aspetti non evidenti della comunicazione. Strategie manipolatorie Fanno leva su aspetti del messaggio non evidenti. 1. Violazione delle presupposizioni 2. Istinto umano di riferirsi alla totalità 3. Istinto di appartenenza 4. Tentazione della polarità (polarity temptation) 11 1. Violazione delle presupposizioni “La volontà del popolo” Lo studioso Gottlob Frege, in un testo del 1892 “Über Sinn und Bedeutung“ segnala questa espressione rispetto alla possibilità di un uso manipolatorio di espressioni denotative – sostiene che questa espressione è manipolatoria in quanto rimanda ad un denotato (volontà) universale che in realtà non esiste, perché esistono solo le singole volontà → È un abuso demagogico, fa passare l’idea che esista nella realtà una volontà del popolo. Senso vs. Denotato: le espressioni nominali sono denotative attraverso espressioni diverse – Senso: significato che viene veicolato dalle espressioni denotative – Denotato: oggetto nella realtà che viene individuato attraverso una certa espressione linguistica (referente) Giacomo Leopardi Il poeta nato a Recanati L’autore di “A Silvia” → queste espressioni denotano lo stesso soggetto, cambiano i significati delle espressioni usate. ted. Morgenstern (stella del mattino, lucifero: lux + fero) e Abendstern (stella della sera, vespero) ⇒ coincidono con lo stesso astro, Venere → lo stesso denotato. Presupposizioni: significati a monte del nostro discorso Luigi parte per Roma → Luigi che esiste va a Roma che esiste… ⇒ ridondante Quando usiamo nomi comuni o propri, il nome fa scattare un presupposto di esistenza, è percepito come esistente nell'immaginario collettivo ⇒ presupposto esistenziale gatto ∃x : P1x^ P2x^ P3x^... felino, mammifero… x = entità∃ = esistenza, : = tale che, P = Predicato - modo di essere (es. essere animato) Sappiamo che esiste ed è un’entità (x) tale che (:) è un mammifero e (^) che è animato e (^) un felino ecc… quindi entità tale che è caratterizzato dalla caratteristica P1 e P2 e P3… → Presuppositional accommodation: avviene negli atti comunicativi quando formuliamo l’enunciato, fa scattare un ipotesi di esistenza. Il destinatario aderisce a questi presupposti. L'enunciato veicola un contenuto che ha esplicitato nell'enunciato ma veicolando un contenuto presupposto, un significato a monte dei nostri discorsi che rientra il nostro common ground – Asserted content vs. presupposed content - Asserted content: contenuto asserito, esplicitato nell’enunciato, significato che noi ricostruiamo dall’interpretazione dei significati dei singoli elementi (è presentato nell’asserzione) - Presupposed content: significati impliciti a monte dei nostri discorsi, fanno parte del common ground (come i presupposti di esistenza) → Sul contenuto presupposto esercitiamo un controllo minore perché siamo più attenti a controllare ciò che il messaggio presenta esplicitamente – Esercitiamo un controllo minore su quello che si nasconde nelle pieghe dei gesti. Quindi è più facile essere manipolati, rispetto che capire la manipolazione. → Perché aderiamo ai presupposti? Bisogna riprendere il concetto di common ground che sappiamo essere l’insieme di valori condivisi che ci deve essere tra il mittente e il destinatario – I presupposti di esistenza fanno parte del common ground. Aderire alle presupposizioni rappresenta l’adesione alla comunità linguistica in cui siamo. – Rifiutare dei presupposti è visto come tradimento della weness, un tradimento dell’appartenenza alla speech community. 12 → Rientra nel mondo dei Romanzi distopici: romanzi che contengono descrizioni di mondi distopici, presentano mondi negativi, e li descrivono a partire da fatti già esistenti nel presente che preoccupano, descrivendo scenari non desiderabili per mettere in guardia la gente. → Figura del Big brother (Big brother is watching you) - osserva e controlla la vita dei singoli individui → Appendice dedicata alla newspeak – lingua apposita In order to reduce the horizon of thought, one of the principles of Newspeak suggests to eliminate superfluous words from natural language through the following process of vocabulary reduction: « […] any word could be negativized by adding the affix –un. […] Thus, for example, uncold meant warm […]. By such methods it was found possible to bring about an enormous diminution of vocabulary. Given for instance the word good, there was no need for such a word as bad, since the required meaning was equally well – indeed better – expressed by ungood.» (Orwell 1984, 315). good bad good ungood → supplisce benissimo bad, bad non è necessario, perchè questo significato è espresso ugualmente, se non meglio, mediante ungood Vocabulary reduction = riduzione del vocabolario ⇒ riduzione dell’orizzonte del pensiero Ma ungood non coincide con bad, bad è l’estremo e eliminandolo si riduce l’horizon of thought. Lessico dell’affidabilità Abbiamo visto che la comunicazione persuasiva interpella la Fides o Pistis, in quanto la comunicazione persuasiva si rivolge all’adesione del destinatario. Ciò che persuade è la ragionevolezza del discorso, un discorso ancorato alla realtà nella sua verità. In questa comunicazione persuasiva si vede quanto sia rilevante questa dimensione dell’affidarsi nel momento del dire. – Questa dimensione interessa la vita umana ed è molto ampia, la si può vedere infatti anche nel nostro agire a 360°. Es. se dobbiamo andare a Roma, possiamo andarci con l’auto, ma per poter andare a New York dovremmo andare in aereo. In questo caso ci affidiamo a un pilota → è un momento del nostro agire in cui ci affidiamo a qualcuno. Qui si vede una dimensione dell’affidarsi nell’agire quotidiano. – Questa dimensione del fidarsi è presente anche a livello conoscitivo. Es. La nostra data di nascita è una conoscenza per fides – la fiducia che diamo ai nostri genitori o a documenti. Es. Noi sappiamo che ci sono i pinguini al polo sud, grazie ad un credito dato a chi l’ha visto (esperienza diretta), oppure da documentari (esperienza indiretta). La maggior parte di noi conosce questa cosa grazie ad un credito dato a qualcuno di cui ci fidiamo (documentario, prove scritte) → Diamo un credito ad una fonte autorevole. • L’epistemologia è la scienza che si occupa delle varie scienze dal punto di vista del metodo che usano per studiare un oggetto. Questa scienza descrive qual è il metodo su cui si fondano le nostre discipline, e descrive anche le conoscenze che sono raggiunte attraverso le varie scienze. – L’epistemologia dice che esistono conoscenze che noi abbiamo per presa diretta ma dice che la maggior parte delle conoscenze si fondano su un credito dato a un intermediario. → Quindi noi (A) conosciamo questi oggetti (C) attraverso un intermediario (B). Tutta questa considerazione è necessaria per segnalare quanto la dimensione della fiducia sia presente nell’esistenza umana. 15 Mappa del lessico legato all’affidabilità: Il lessico dell’affidabilità discende da Bhidh-Bheidh. Le parole con * stanno a indicare che si tratta di una radice indoeuropea che si ricostruisce attraverso un confronto delle varie lingue. La radice in questo termine prosegue nelle lingue antiche → lat. Fides, grec. Pistis, ted. Bitten, rus. Beda. È una radice che ha esiti nelle lingue si classiche che moderne. Da questo elemento Bhidh-Bheidh sono nati dei termini che costituiscono questa mappa molto articolata che esprime la dimensione dell’affidabilità. Di affidabilità vi è intessuta la vita sociale, la vita socio-politica – La nostra convivenza umana si fonda su una reciproca fiducia, cioè si fonda sulla Fides/Pístis. → Nella coscienza dell’uomo greco e latino vi era che questa intesa tra gli uomini fondata sulla Fides era presieduta da un padre, Zeus/Giove. La reciproca intesa nella convivenza umana veniva ricondotta a un garante. Gli uomini sono fratelli perché hanno un padre. Giove era considerato il fondamento di questa reciproca fiducia e proprio per questo era chiamato Fidius, era considerato fondamento della reciproca Fides. Invece i Greci lo chiamavano Pístios, in quanto garante della Pístis. Chi fonda il rapporto reciproco sulla fiducia è Fidus, quindi è una persona fidata. Chi invece tradisce questa reciproca fiducia è il Perfidus, cioè in italiano perfido. Questa intesa tra gli uomini, fondata sulla reciproca fiducia, quando diventa stabile produce un esito, questo esito è il Foedus cioè il patto, l’alleanza. Questo termine è molto importante in una serie di termini che si trovano nell’ambito politico: Federazione, Federalismo, Federale. Tutti questi termini nascondono al loro interno questo nesso con la radice Fedus. Una federazione è una serie di parti che stanno insieme sulla base di un Foedus, cioè di un patto. Questo significato di federalismo ha un riscontro preciso se si guarda la Svizzera, chiamata confederazione Elvetica. • Problemi della traduzione: Diathéke = patto e testamento – Per indicare il testo biblico, Nuovo e Vecchio Testamento, è stato tradotto con il termine Diathéke, che però in realtà significa patto. – In latino è stato tradotto in latino con testamentum che fa perdere invece quella dimensione di patto, in quanto in testa l’antico testamento parla dell’antica alleanza che Jahvè ha fatto con il popolo di Israele. Questo antico patto poi si è rinnovato nel nuovo patto fra Dio e gli uomini. • La fiducia non c’entra solo con l’ambito sociale/politico, ma di fiducia vive anche tutto il mondo economico. – Nel “De bello civili” Cesare dice che nulla era fides = non c’era nessuno disposto a prestargli denaro, proprio perché si presta denaro solo a chi gode di Fides, di fiducia. - fideiussione = operazione si ha un creditore e un debitore, tra i quali si inserisce un terzo che si fa garante che il debitore e adempie alle obbligazioni – questo terzo si fa garante di fiducia. - fido bancario = credito. Radice legata all’espressione latina credo, un termine suggestivo in quanto è costituito da due parti, due radici che appartengono a due verbi diversi. Cree (ha a che fare con crescere) + Do (ha a che fare con dare). ⇒ Dalla costruzione di questo termine si vede che credere è un affidarsi per crescere. È necessario ripercorrere l’uso di questo termine nell’antichità per capire come mai in italiano utilizziamo la radice di credere nell’ambito finanziario. 16 – La lingua italiana è una lingua neolatina. In latino il verbo credo poteva essere costruito con il dativo “credo tibi” = ti credo, ma anche con il dativo seguito dall’accusativo, come un verbo transitivo in frasi “Credo tibi pecuniam” = presto denaro. Il verbo credo continua in italiano con credere, ma ha perso l’accezione di prestare. Se in italiano il termine credo non mantiene più questa accezione di prestare, l’accezione latina persa di prestare continua in italiano nei termini che usiamo in ambito finanziario (es. Credito e Creditore si allacciano all’accezione latina di prestare). • La radice fides la troviamo anche nell’espressione fede nuziale. L’ambito matrimoniale è infatti un ambito intessuto di questa fiducia. • Per quanto riguarda le lingue moderne Bhidh continua in tedesco nel verbo Bitten u = chiedere con una certa forza. La radice Bit significa far fare qualcosa a qualcuno nel rispetto della sua volontà. Quindi il radicale Bit ha sviluppato in tedesco questo esito per cui questo verbo ha assunto il significato del costringere/forzare. • Anche nel russo antico questo radicale ha sviluppato un esito diverso per quanto riguarda il tratto della costrizione → sostantivo Beda nel russo moderno = costrizione/necessità. Si è sviluppato poi Pobedit che significa vincere. → Questa articolata mappa lessicale ci attesta la presenza nelle lingue di un lessico giocato e intessuto della dimensione di fiducia. 17 bisogna aggiungere il contesto, in questo preciso momento – bisogna osservare da chi sono usate nel contesto linguistico → io = termine deittico - categoriale La parola io ha un suo significato di per sé – nel dizionario ci sarà una definizione → c’è una parte di significato che viene dalla categoria – semiosi di tipo categoriale. Ma questa parola, utilizzata da ciascuno di noi in diverse situazioni comunicative, si aggancia a quella determinata situazione e si precisa di significato. → Semiosi con parola deittica: segni che hanno accanto al significato categoriale (semiosi categoriale), che deriva dal lemma del dizionario e che ci fa capire il significato che deriva dalla lingua, anche l’esigenza di andare ad indicare chi ha usato “io” nella situazione comunicativa → si carica di significato diverso, si precisa di significato. – Lo stesso processo lo abbiano con la parola ora che, detta in due momenti diversi, non fa riferimento allo stesso momento. Perciò bisogna, dal significato categoriale, andare a capire il momento in cui è stata detta, per far sì che venga specificato il significato → semiosi deittica di tipo temporale. – La parola “casa” usata da chiunque ha un significato generale, NON si precisa a seconda del mittente che l’ha utilizzata e della situazione comunicativa – non ha una semiosi deittica, ha solo una semiosi categoriale. Modello di Jakobson Il modello di comunicazione verbale di Roman Jakobson (1896-1982) è un punto di riferimento – diamo a lui la divisione dei fattori costitutivi della comunicazione verbale. Jakobson segnala che nel processo comunicativo intervengono 6 fattori costitutivi: un mittente che invia un messaggio ad un destinatario, in contatto, che si riferiscono ad un contesto, una realtà, suscettibile di verbalizzazione (può essere verbalizzata). Questo messaggio passa attraverso un canale (aria). Mittente e destinatario comunicano grazie al fatto che condividono lo stesso codice (lingua italiana). – Concezione funzionale del testo: il testo serve per “comunicare”, termine generico che indica di volta in volta funzioni diverse → A ciascuno di questi elementi corrisponde una funzione comunicativa specifica: - Emotiva – Mittente: enfatizza la soggettività del mittente (es. pagina di diario). - Referenziale – Contesto: per focalizzare l’attenzione sul contesto, sugli elementi del mondo appartenenti al contorno circostanziale della comunicazione. - Fàtica – Contatto: per stabilire o mantenere il contatto tra gli interlocutori. - Metalinguistica – Codice: per spiegare il significato di una parola – testi orientati al codice. - Conativa – Destinatario: ha lo scopo di agire sul destinatario mutandone idee o azioni. - Poetica – Messaggio: il messaggio si presenta come un unico intraducibile – il testo “funzionale a se stesso”. → Ritorna il termine “funzione”, come Bühler. Sia Jakobson che Bühler infatti appartengono ad una scuola linguistica strutturalista chiamata Scuola di Praga, orientata a guardare la lingua secondo la sua finalità/funzione → funzionalisti • Precisazione: tutti questi testi che abbiamo visto sono orientati prevalentemente ad uno dei fattori della comunicazione verbale, ma tutti di questi presentano anche tutte le altre funzioni. Dobbiamo intendere questa co-presenza come un concerto musicale dove c’è una nota dominante – il testo pubblicitario ha funzione conativa, ma esso descriverà anche un aspetto della realtà. – il testo poetico è orientato prevalentemente al messaggio, ma ha anche funzione referenziale, anche se non è quella dominante. 20 • Jakobson aveva una particolare attenzione alla funzione poetica. Scrive il testo “Linguistic and poetics” (1958) in cui descrive la funzione poetica del messaggio. La grandezza di Jakobson sta nel fatto di aver separato la poetica all’interno di una concezione linguistica unitaria. La poetica viene vista come una delle funzioni che la lingua svolge, in una prospettiva funzionalista. Jakobson approfondisce la funzione poetica del messaggio, non limitandosi a dire che un messaggio ha funzione poetica quando è orientato al messaggio stesso, ma descrive l’organizzazione che ha un testo che caratterizziamo come testo poetico. Spiega la poetica all’interno di una concezione linguistica unitaria. Particolare organizzazione dell’asse della combinazione e della selezione: il testo poetico proietta il principio della equivalenza dall’asse della selezione a quello della combinazione. Es. non poetico Paolo fuma. – Abbiamo combinato due elementi Paolo e fuma → dimensione di combinazione. Ma questi elementi combinati, da dove li abbiamo presi? Noi sappiamo, grazie anche a Saussure, che abbiamo in sede mentale questa “langue” e “Paolo” è stato selezionato tra una molteplicità di segni (nomi propri e non, es. l’uomo) che vivono in noi in sede mentale. L’abbiamo selezionato da elementi equivalenti, cioè potevamo selezionare anche altri nomi (Mario, Lucia). Lo stesso vale anche per “fuma”. Ogni enunciato che noi emettiamo in realtà è stato selezionato nell’ambito di un paradigma/dell’insieme di elementi equivalenti. ⇒ Vediamo come ciascun testo/enunciato si pone all’intersezione tra asse della combinazione e della selezione. Ciascun enunciato è risultato di queste due operazioni diverse: selezionare all’interno della langue e poi combinare all’interno del testo/ messaggio. Es. poetico Terzina dantesca: Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura che la diritta via era smarrita. Ci sono degli elementi equivalenti, a livello dell’asse della combinazione, ovvero la rima: “ita” e “ita”, un’identità di sillaba = Omoteleuto + tutti i versi sono endecasillabi → sull’asse della combinazione abbiamo un’equivalenza di struttura, ossia lo stesso numero di sillabe. L’equivalenza che nei testi non poetici l’abbiamo sull’asse della selezione, qui lo abbiamo sull’asse della combinazione. La traduzione • Egli ha scoperto la centralità della traduzione nella comunicazione verbale: quando pensiamo alla traduzione pensiamo a quella da una lingua all’altra; egli segnala che la traduzione ha una sua rilevanza linguistica ancor prima del rapporto tra lingue diverse. Secondo Jakobson la traduzione è il cuore di un processo interpretativo → Quando interpretiamo un segno attuiamo un processo di traduzione/trasposizione, es: - ippogrifo = cavallo alato → non l’abbiamo mai visto però capiamo il suo significato. - ambrosia → nettare degli dei ⇒ si traspone il segno in altri segni Jakobson precisa dicendo che interpretare un segno coincide con la traduzione di quel segno in altri segni. Russell sosteneva che se un parlante non ha un’esperienza extralinguistica di formaggio non può capire la parola formaggio. J. non è d’accordo con ciò, perché anche se un popolo non usa e non conosce il formaggio, gli è comunque possibile comprendere il formaggio, traducendolo in segni che si aggancino alla propria esperienza (→ latte cagliato). 21 → Nessuno di noi ha una conoscenza diretta di ippogrifi e di ambrosia perché li traduciamo in termini che si agganciano al nostro dato esperienziale. – Peirce: “la destinazione di un segno sta nella sua trasposizione in altri segni.” → Jakobson: “la destinazione di un segno sta nella sua traduzione in altri segni.” • J. individua che la traduzione può essere di tre tipi: - Traduzione endolinguistica o intralinguistica: traduzione all’interno della stessa lingua – parafrasi. Coincide con la capacità dei parlanti di comprendere. - Traduzione interlinguistica: da un lingua ad un’altra - Traduzione intersemiotica: trasposizione da un testo composto mediante una lingua storico naturale ad un altro sistema semiotico, in immagini (semiosi iconica) (es. manuali di storia dell’arte: descrizione di un’opera – da semiosi iconica a semiosi manuale, es. da romanzo a film) Linguistica pragmatica Questi linguisti della linguistica pragmatica osservano il discorso come azione. Mettono in luce che il “dire” è un “fare” con le parole. Diciamo quindi che il proverbio “tra il dire e il ma fare c’è di mezzo il mare” è sbagliato. Parlare = compiere in azione. Riprendono intuizioni sulla lingua che sono state sviluppate nel passato. All’inizio la riflessione sulla lingua era un tutt’uno con la riflessione filosofica. Platone in un suo dialogo “Cratilo” mise in luce che il dire coincide con l’agire. John Austin • John Austin: teoria degli atti linguistici (speech acts) nel saggio How to do things with words (1962) → porta a leggere la comunicazione verbale in termini pragmatici, come una vera e propria azione. Osservando le espressioni linguistiche distingue tra: 1. espressioni/enunciati constativi: es. “oggi splende il sole” – enunciati che constatano la realtà. 2. espressioni/enunciati performativi: es. “Lei è licenziato!”, o “Ti prometto di venire alla festa di Chiara” – in alcuni casi, il fatto stesso di pronunciare una certa espressione produce un cambiamento della situazione – Realizza poi che ogni uso del linguaggio, in qualche modo, è performativo, nella misura in cui si realizza un’azione che provoca un cambiamento nella realtà sociale. Ogni atto linguistico comporta tre diverse “azioni”: 1. atto locutivo – l’atto stesso di parlare 2. atto illocutivo – il parlante intende compiere attraverso il proprio atto locutivo una precisa azione es. “apri la finestra!” 3. atto perlocutivo – provoca un certo effetto sul destinatario (anche diversa da quella che il parlante si propone) es. qualcuno apre (o non apre) la finestra – in ogni caso è un atto. → I due soggetti escono dall’atto discorso in modo diverso – L’aver proferito il comando anche se il destinatario non esegue il comando, produce degli effetti nel contesto. Il rapporto tra i due, dopo il comando, è cambiato, rispetto al momento precedente alla formulazione del comando stesso. 22 Secondo Peirce, l’habit change può essere di due tipi – Le parole greche héxis e diáthesis usate in un testo di Aristotele permettono di capire cosa intende Pierce quando parla di habit change. 1. Il messaggio cambia la nostra diáthesis = atteggiamento emotivo 2. Il messaggio cambia la nostra héxis = posizione più profonda che noi abbiamo nei confronti della realtà – Più è ricco un messaggio, più cambia una posizione più stabile e profonda che abbiamo nei confronti della realtà. Quindi cos’è un messaggio? Il messaggio è uno scambio di segni che produce un senso. Il cambiamento a cui ci sollecita il messaggio rappresenta il senso del messaggio stesso. Cos’è il senso? • Senso: polisemia del termine - L’uomo ha cinque sensi. L’udito è un senso (organo percettore) - Questa strada è a senso unico (direzione) - Luca ha buon senso (sa valutare in modo ragionevole) - La parola uomo in italiano ha due sensi: in un primo senso significa essere umano in un altro senso significa essere umano di sesso maschile (accezione) - Questa espressione non ha senso: Mia moglie è un’ottima cuoca – detto da uno scapolo (insensatezza) ⇒ C’è un collegamento tra il senso e la ragionevolezza: un fatto “ha senso” quando ha un rapporto con la ragione. Vista l’insensatezza, riusciamo a capire cosa è il senso, dopo aver circoscritto il non-senso. – Esiste il non-senso nella dimensione comunicativa? Bisogna distinguere diversi livelli: - Non-sensi artificiali creati su misura dal linguista a scopo metalinguistico non sono testi reali. - Non-senso come tipologia testuale che si realizza nel Teatro dell’assurdo (S. Beckett, Waiting for Godot). - Non-senso dei testi prodotti da soggetti psicotici. ⇒ La risposta alla domanda è che nella comunicazione reale il non-senso non esiste – è un esito metalinguistico, esiste quando creiamo questi non-sensi artificiali per spiegare alcune regole del funzionamento del linguaggio. Non esiste come realtà comunicativa. Comunicare è agire • Eravamo partiti dal concetto secondo cui noi comunichiamo e nel mentre agiamo. La comunicazione presuppone la partecipazione di almeno due soggetti. Facciamo un passo ulteriore: la comunicazione verbale è ciò che ci permette di intrecciare nella realtà le azioni. Noi nella realtà compiamo azioni e riusciamo a intrecciarle grazie alla comunicazione verbale ⇒ joint actions • Natura dell’azione in generale – ontologia dell’azione: l’azione può essere rappresentata descrivendo il soggetto come agente capace di iniziativa, dotato di una certa conoscenza del mondo e di desideri, capace di immaginare stati di cose corrispondenti a tali desideri e decidere di realizzarli. La facoltà di immaginare dipende dalla capacità di sintassi, cioè di connessione sensata e innovativa tra elementi ricavati dall’esperienza reale → 25 attiva una catena di realizzazione = una serie di mosse orientate alla sua intenzione. Quando compiamo qualsiasi azione, per potere agire, dobbiamo conoscere il mondo in cui agiremo, conoscere la realtà. Ma non è la conoscenza del mondo che fa scattare l’azione: ciò che fa scattare l’azione è il desiderio. Spesso nella nostra cultura è visto un po’ come un tabù. La nostra cultura viene vista come una cultura alessitimica (alessitimia, usata in ambito medico = una patologia che si verifica in alcune persone che hanno degli shock, consiste nel fatto che il parlante sia bloccato nell’espressione dei suoi desideri del suo animo.) → alcuni studiosi (es. il professor svizzero Planten) hanno osservato che la cultura in cui siamo immersi, che rende tabù l’espressione dei desideri, si identifica un po’ come tale. La cultura alessitimica promuove il silenzio dei nostri desideri, ma è anche ciò da cui scatta qualsiasi nostra azione, perché noi siamo preda di ciò che ci fa passare potere. – In alcuni casi l’agente è autonomo nella realizzazione del suo desiderio e quindi del nuovo stato di cose, es. Luigi è a casa e desidera un caffè → se lo fa. – Ci sono tre diversi modi di intrecciare l’azione tra due soggetti: 1) Interazione: se gli obiettivi dei due soggetti sono complementari, ciascuno dei due agisce perseguendo il proprio obiettivo, ma ricorre all’altro affidandosi a lui per realizzarlo 2) Cooperazione: se i due soggetti condividono lo scopo 3) Competizione: se i soggetti sono interessati ad uno stesso oggetto che non può essere condiviso (1) Interazione: Se Luigi prova il desiderio di un caffè mentre sta passeggiando, la sua conoscenza del mondo gli suggerirà di entrare in un bar, ordinare un caffè, berlo e pagarlo → con il messaggio di richiesta di caffè, Luigi attiva l’impegno del barista a servirlo e il proprio impegno a pagare. ⇒ L’interazione non-comunicativa – lo scambio caffè-soldi – richiede la mediazione di un’azione comunicativa. Le azioni dei due soggetti – bere un caffè e guadagnarsi lo stipendio – non sono “azioni comunicative”: la loro realizzazione include tuttavia l’attivazione delle rispettive catene di realizzazione, di cui fanno parte anche gli atti linguistici (“Mi fa un caffè?”) costitutivi della comunicazione verbale. (2) Nella cooperazione gli atti linguistici assumono la funzione di coordinare le azioni rispettive degli agenti, in modo da raggiungere l’obiettivo comune – partecipazione insieme ad altri agenti ad azioni che costituiscono la catena di realizzazione di un unico scopo. (3) Nella competizione (lat. cum-pétere = “puntare al medesimo bene”), gli agenti desiderano il medesimo bene che, per sua natura, non può essere condiviso. Gli atti linguistici utilizzati in questa situazione puntano, da parte di ciascuno, a giustificare la preminenza nella propria catena di realizzazione → la comunicazione verbale assume un’organizzazione di carattere argomentativo. 26 I fattori della comunicazione verbale Quali sono i fattori costitutivi della comunicazione verbale? Eventi che servono per scambiare i messaggi – la comunicazione avviene grazie all’interazione di più fattori: 1. Semiosi: quando costruiamo i messaggi prevalentemente ricorriamo alla semiosi. a. Deittica b. Categoriale 2. Inferenza: quando un mittente formula un messaggio, affida parte del suo significato ai segni, alle parole, ma molto viene lasciato implicito, viene lasciato nascosto tra le pieghe del messaggio e del testo, e devono essere ricostruite dal destinatario inferenzialmente. 3. Ostensione: momento della comunicazione muto, in cui comunica la realtà con il suo semplice esserci. Non interviene una lingua, comunica un senso la realtà stessa. La semiosi Semiosi verbale: atto con cui si associano intenzioni comunicative a eventi fisici – concetti a suoni. Atto con cui si istituisce una correlazione semiotica. Gli eventi semiotici sono reali e sono fisici; gli eventi fisici non si esauriscono in se stessi, sono stimoli a cui è associata una precisa intenzione comunicativa. – Il segno è una realtà complessa in quanto unisce inscindibilmente due diverse componenti: qualcosa di fisico, il suono, che rimanda a qualcosa di non-fisico, il senso. Es. di correlazione semiotica: “casa”. Attraverso la semiosi, creiamo una correlazione semiotica. Associamo ad una serie di suoni (c a s a) il concetto di casa. Noi italiani associamo il concetto di casa con la successione di suoni “casa”, mentre gli anglofoni la associano alla successione di suoni “house”. Attraverso la correlazione semiotica abbiamo creato un segno che va interpretato per capire il suo senso e ricostruire il concetto. Se non conosciamo una determinata lingua non riusciamo ad interpretare il segno e nemmeno il concetto che è correlato a quei suoni. Caratteristiche della correlazione semiotica – Arbitrarietà: es. casa – non vi è nessuna ragione per cui al concerto di abitazione, vada associata questa successione di suoni “casa” (ita.), anche perché allo stesso concetto viene associata la successione di suoni “house” (ing.), l’unica ragione per cui questa connessione sussiste è la convenzione tra i parlanti – è una convenzione arbitraria. Una tentazione che potrebbe esserci è quella del fonosimbolismo, quell’orientamento che cerca di trovare una giustificazione alle parole nel suono. 27 Piove → presente Mentre andavo al cinema ho incontrato un amico. → imperfetto Questa notte ho dormito male. → passato prossimo L’anno scorso feci un viaggio alle Maldive. → passato remoto Domani partirò per Roma. → futuro b) i nomi propri – impositio nominis Confronto nome proprio vs. nome comune: Paolo vs. gatto Paolo ieri è partito per New York → Paolo deve appartenere al common ground degli interlocutori ⇒ i nomi propri hanno componente deittica, chiedono di andare prendere nella situazione comunicativa quella persona che ha ricevuto quel nome con un atto di impositio nominis. Gatto X: Q1(x)^Q2(x)^Q3(x)^Q4(x)... Sappiamo che il gatto è un’entità (X) tale che (:) è un mammifero (^), è animato (^), è un felino (^) ecc… → è un’entità caratterizzata dalla caratteristica Q1 e Q2 e Q3. Queste qualità (Q) sono dei modi di essere: vengono chiamati a natura predicativa. → Nel caso di Paolo, diciamo che Paolo è una X tale che è un mammifero, è animato, è maschio, e poi? Cosa mettiamo per differenziarlo da Giovanni? Non possiamo ricondurre il nome proprio ad una serie di modi di essere che ci dicono le caratteristiche di una certa entità. c) i sintagmi nominali definiti con funzione individuante Il Presidente degli Stati Uniti si recò immediatamente a Ground Zero – Bush Il Presidente degli Stati Uniti ha una moglie che si chiama Jill – Biden Il Presidente degli Stati Uniti ha scarsi poteri – uso categoriale d) forse, probabilmente Forse / Probabilmente Luigi è partito per Roma. → potrebbe essere interpretato con “per quanto ne so io” – c’è un riferimento alla soggettività personale. Laboratorio di analisi dei testi – consegna: Individuiamo nel testo gli elementi deittici e indichiamo la tipologia 1. Testo lirico: “L’Infinito” di G.Leopardi 2. Testo narrativo: “The old Man” di E. Hemingway (incipit) L’inferenza Dal latino infero = portare dentro – È il ragionamento, spesso complesso, che utilizziamo per interpretare i discorsi dei nostri interlocutori. Perché non lascia guidare suo figlio? 1. Mio figlio non guida. Ha 5 anni. 2. Mio figlio non guida. È sposato. (1) Noi percepiamo un senso unitario, che scatta perché tutti noi sappiamo che, per guidare, bisogna avere la patente e la maggior età, requisiti che il figlio di 5 anni non possiede → queste due mosse comunicative sono congrue e sono legate da un nesso logico di natura causale. Per ricostruirlo, lo abbiamo inferito, cioè abbiamo portato dentro un significato che non era presente. (2) La frase non ha senso, perché l’essere sposati non implica il non guidare. L’insensatezza ribadisce la presenza di un nesso che però viene leso. Dopo la prima mossa comunicativa, ci aspettiamo una ragione, che però non è pertinente come causa rispetto a quello che ha affermato precedentemente. 30 ⇒ L’inferenza è quel processo per cui noi completiamo i processi lacunosi, in quanto ciò che non viene affermato nel discorso viene recuperato inferenzialmente, grazie alla condivisione di common ground tra i parlanti. – Padre: “I denti!” – Bambino davanti al televisore: “Sta finendo!” → Nell’interazione dialogica tra A e B, i due parlanti si capiscono con informazioni minime: l’ordine di andare a letto e la richiesta di poter rimandare un po’ non sono espressi esplicitamente, attraverso la semiosi, ma vengono inferiti a partire da quel che viene detto verbalmente. – Le inferenze possono essere tanto più estese quanto maggiore è l’intesa tra gli interlocutori: se l’intesa è grande, può bastare un cenno per capirsi. ⇒ Inferenza = procedimento per cui da un’informazione ne derivo un’altra, anche se questa non è detta – è il procedimento con cui otteniamo informazioni a partire da altre informazioni. È infinitamente di più quello che si lascia intendere rispetto a quello che si dice effettivamente. Nell’inferenza opera la dinamica dell’implicito: molte cose possono essere lasciate implicite (non dette), nella misura in cui il destinatario è ritenuto in grado di ricostruire, indovinare, inferire quel che non è detto. L. Tolstoj, Anna Karenina, IV, cap.14 Ecco, diss’egli e scrisse le iniziali: q, m, a, r: q, n, p, e, q, s, m, o, a ? (Quando mi avete risposto: questo non può essere, questo significava mai o allora?) Ella scrisse: a, n, p, r, i, a, m (Allora non potevo rispondere in altro modo) Ella scrisse: c, p, d, e, p, l, a (Che possiate dimenticare e perdonare l’accaduto) → Levin e Kitty si capiscono con le iniziali delle lettere Piove. Non esco. → per capire il nesso logico sostituiamo il segnale di interpunzione con un connettore, come quindi, creando un nesso di consequenzialità. Bruto è figlio di Cesare. → nessuna inferenza è banale, può permetterci di cogliere l’intentio dicendi – Se Bruto è il figlio allora Cesare è il padre, dunque Cesare è più vecchio. A: Quando arriviamo in cima? B: Dammi lo zaino! → È una frase interrogativa che però non è una richiesta temporale – B percepisce una richiesta di aiuto e lo esplicita nella frase esclamativa, permettendo di ricostruire il senso veramente inteso. L’inferenza è presente ovunque nella comunicazione: – Inferenze decisive nei testi argomentativi: es. entimema: Luigi è un pazzo. Va a 100 km in centro città – Inferenze volute A: Stasera vieni in piscina? B: Sono raffreddata → Nella comunicazione spesso non vengono utilizzate espressioni negative perché rischiano di “offendere la faccia” dell’interlocutore. B non rifiuta esplicitamente, ma lascia che sia A a cogliere il rifiuto inferenzialmente. – Inferenze non volute: Meridionale, però gran lavoratore! → Ci fa capire come il parlante abbia un certo pregiudizio rispetto ai meridionali. 31 • Nella comunicazione la componente inferenziale opera in base ad un principio fondamentale: il principio di cooperazione o di buona volontà teorizzato da Grice. Quando si trova davanti ad un messaggio, il destinatario lo affronta ponendosi in questo atteggiamento “Deve voler dire qualcosa!” – il principio di buona volontà guida il destinatario perché egli lo presuppone e quindi si sforza di capire; ma il principio opera anche nel mittente, che lo presuppone nel destinatario. Inoltre, il professor ginevrino Moeschler, riferendosi al principio di cooperazione, parla di principe de charité – fra i due interlocutori si instaurano un rapporto di carità, cooperando per la costruzione di un senso. Questo principio opera sia nel destinatario sia nel mittente: nel destinatario perché va alla ricerca dei segni non esplicitati nel testo, nel mittente in quanto viene presupposto all’opera nel destinatario, ecco perché non viene esplicitato tutto il senso del nostro discorso. → La comprensione è un procedimento euristico di interpretazione, cioè di scoperta graduale e continua del senso, inteso dall’autore, dal parlante e dal mittente, e non di decodifica. – Rischio dell’interpretazione, messo a tema dal professor Boris Uspenskij, grande studioso di semiotica e linguistica della scuola di Mosca-Tartu: quando siamo di fronte ad un testo ci avviciniamo gradualmente al suo senso. Pensiamo al fenomeno della “seconda lettura” di un romanzo, dove la lettura non è mai ripetitiva, ma inferiamo sempre ulteriori significati. → Il rischio dell’interpretazione emerge nell’esperimento della doppia traduzione: L1 → L2 → L1 Poniamo di avere un testo in tedesco (L1), tradotto poi in italiano (L2), poi dalla versione italiana si ritraduca in tedesco (L1). Attraverso questo passaggio, dovremmo ritornare al testo originale in L1, ma non è così (vd. slogan di “traduttore traditore”): il processo traduttivo è un processo di interpretazione – l’importante è che il traduttore si immedesimi nell’intentio dicendi. • Altre inferenze: Che bello! Ho fatto un incidente. → espressione contraddittoria. – Che bello: espressione di sorpresa positiva, dopo la quale ci si aspetti un fatto positivo; – Ho fatto un incidente → momento negativo Grazie al principio di cooperazione e buona volontà, emerge che l’enunciato è ironico, non è insensato. Oppure, il parlante potrebbe essere contento perché c’è di mezzo una bella assicurazione. Un’ulteriore inferenza è che il parlante sia in realtà un masochista, che, di fronte ad un fatto negativo, si compiace → Andiamo alla ricerca di interpretazioni verosimili, di giustificazioni che restituiscano senso a questa sequenza. • Le inferenze possono essere di due tipi: 1. Inferenze comunicative: inferenze che il mittente lascia compiere a noi. Enrico aveva invitato Andrea al suo matrimonio → vuol dire che i due si conoscono (amici o parenti). 2. Inferenze comunicate: il parlante esplicita l’inferenza. Enrico aveva invitato Andrea al suo matrimonio. Perciò lo conosceva. • A volte, l’inferenza è fondamentale nella strutturazione del dialogo: A: Io non voto ancora B: Hai meno di 18 anni → Da un’inferenza comunicativa ad una comunicata ricaviamo un intero dialogo. Appena chiusa la porta, Paolo si accorse con orrore di aver dimenticato le chiavi. → Possiamo inferire che: - Precedentemente la porta era aperta - Ora Paolo è rimasto fuori casa e non dentro - Le chiavi sono state dimenticate all’interno - In un momento precedente all’azione, Paolo aveva intenzione di prenderle (ci aiuta l’espressione con orrore) 32 ⇒ Scuola di Kazan’ Baudouin de Courtenay Si concentra sull’oggetto della fonetica (che si occupa dei suoni). • Nel caratterizzare l’oggetto della fonetica Baudouin sostiene che essa ha un duplice oggetto: 1. ha il compito di studiare i suoni dal punto di vista articolatorio, dal punto di vista fisico e del loro sviluppo del tempo → orientamento diacronico 2. l’indagine della funzione dei suoni nel meccanismo della lingua → orientamento strutturalista • Approfondisce anche la natura del suono chiamata fonema e indaga il suono dal punto di vista del suo funzionamento, affermando che al di là del suono vi è un prototipo alla base di tutte le sue realizzazioni. Il suono non è ancora rilevante dal punto di vista acustico, ma per capire come operano i suoni dobbiamo analizzare il meccanismo della lingua. Kruszewski • È allievo di Baudouin. Anche in lui abbiamo delle riflessioni linguistiche che fanno emergere un orientamento strutturalista, ovvero un attenzione verso momenti di funzionamento della lingua. • Kruszewski fa emergere che “la lingua è un tutto strutturato”: si struttura attraverso delle leggi ben precise sul versante del suono (strategia di manifestazione) e sul versante del significato. – es. Lingua francese: troviamo parole originali francesi, ma anche altre parole di altre origini (lat., ita., ecc). Kruszewski sottolinea che tutte queste parole che hanno origini diverse, entrando a far parte della lingua francese , si adeguano alla sua struttura fonetica. ⇒ Sia dal punto di vista esterno sia da quello interno, la parola si deve adattare alle regole semantiche, quindi del significato. Pdv. esterno: una parola non di origine francese che deriva da altre lingue dovrà avere un significato diverso da quello già presente nella lingua francese. Pdv. interno: anche tutte le parole che fanno parte della lingua francese devono adeguarsi a leggi che caratterizzano la lingua francese. ⇒ Pertanto, Kruszewski dice che ogni lingua ha il suo interno delle leggi che governano la sua struttura, leggi che riguardano l’aspetto fonetico e anche l’aspetto semantico. Ogni lingua perciò “è un tutto strutturato” • Kruszewski, svolge un ulteriore riflessione con orientamento strutturalista, uno sguardo alla lingua osservata nel suo funzionamento. Egli fa una considerazione rispetto al modo con cui un parlante comprende le parole della sua lingua: se dovessimo imparare le parole della nostra lingua come si apprendono i nomi geografici sarebbe difficile. Ogni parlante però apprende e ricorda senza difficoltà un numero ampio di parole. Come succede questo? Quando noi apprendiamo le parole, non le impariamo isolatamente: – es. parola “conduce”, quando la apprendiamo vediamo che questa parola a divide in due parti: Conduc- (parte già nota grazie ad un insieme di parole che sono simili → Conducente, conduciamo, conducono) + -e già nota attraversa un insieme di altre parole conosciute (es. VivE, dormE ecc..) ⇒ Quando apprendiamo una parola, questa è associata ad altre parole simili. Egli scopre quindi il nesso tra le parole, un’associazione per somiglianza o similarità – questo ci semplifica il processo di apprendimento delle parole • Le parole non sono asociale tra di loro solo per somiglianza o similarità, sono connesse anche secondo un altro rapporto: – es. “Luigi ha corrisposto a Pietro una ingente... “ Come completiamo la frase? È istintivo completare con “somma di denaro” → Questo perché le parole si associano tra di loro anche per contiguità, la loro disposizione è sulla catena lineare. 35 Quando abbiamo queste parole che sono collegate tra di loro da un associazione e per continuità, continuiamo la frase in modo istintivo. ⇒ Le parole sono associate tra di loro secondo due principi: 1. associazione per somiglianza 2. associazione per contiguità → associazioni a tutti i livelli: fonetico, morfologico e semantico. • Poi Kruszewski vede come ciascun enunciato si colloca all’intersezione dei due assi della similarità (o equivalenza) e della contiguità. – es. “Luigi beve birra” - Luigi si associa per similarità ad elementi equivalenti (Martino, Giovanni) - beve è associato per similarità ad elementi simili (mangia, dorme) - birra uguale → Tra di loro si instaura anche un rapporto di continuità: “Luigi beve...” continuiamo la frase con il nome di una bevanda, questo perché troviamo sempre anche in associazione per contiguità. Quindi Kruszewski mette a tema il modo con cui la lingua funziona e si struttura, ha uno sguardo sincronico; non indaga la lingua dal punto di vista diacronico (per quanto riguarda la sua evoluzione nel tempo) ma si occupa di momenti di funzionamento della lingua. Ferdinand de Saussure Saussure (1857-1913) è il fondatore del filone dello strutturalismo. La sua teoria la troviamo nel “Cours de linguistique générale” del 1916, redatto dai suoi allievi Bally e Sechehaye tratto dalle sue lezioni universitarie. Dicotomie saussuriane Saussure è interessato ad indagare la struttura della lingua. Leggendo la sua opera, si nota come egli precisi il metodo che seguirà e propone una serie di opposizioni metodologiche e lui opta sempre per una delle due opposizioni. 1) Diacronia vs. sincronia Due sguardi: 1. diacronico: osservare la lingua nel tempo, in diversi periodi. 2. sincronico: osservare una fase temporale ben precisa. Avevamo visto che l’approccio della linguistica dell’800 aveva un orientamento diacronico (si osservava la lingua attraverso il tempo). A Saussure interessa però indagare il meccanismo secondo cui la lingua funziona – per fare ciò dobbiamo osservare la lingua in un suo momento temporale, dobbiamo osservarla attraverso uno sguardo sincronico. 2) Linguistica esterna vs. linguistica interna Quando noi indaghiamo una lingua, questa è accompagnata da una serie di fattori esterni, e concomitanti, nel senso che la lingua è sempre usata da parlanti in un certo contesto geografico, perciò è legata ad aspetti sociali e politici che caratterizzano la lingua dall’esterno → linguistica esterna Se si vuole invece indagare il funzionamento della lingua, bisogna prescindere da questi fattori concomitanti e basarsi su fattori interni. ⇒ Saussure sceglie di considerare la linguistica interna, perché gli interessa studiare il meccanismo di una lingua. 36 3) Langue vs. parole: duplice definizione Momenti costitutivi della lingua: 1. langue 2. parole → Egli da una duplice definizione di entrambi • Prima definizione: - Langue: sistema di segni (→ la lingua è un sistema di segni) - Parole: esecuzione, uso di questo sistema di segni (langue) Langue Sistema, non insieme di segni. - L’insieme è un gruppo di elementi, un sistema è un gruppo di elementi fra i quali si instaurano dei rapporti reciproci di solidarietà → solidarietà segnica, “Dans la langue tout se tient" - Ciascun elemento è se stesso in quanto vive nella solidarietà del sistema e si oppone a tutti gli altri elementi ⇒ il segno ha natura oppositiva Natura oppositiva del segno Francese: bois Italiano: bosco”. C’è una differenza tra questi due segni. → Nel sistema di elementi solidali della langue dell’Italiano, a bosco si oppongono altri segni come legno, legna, ecc ... L’area semantica coperta da bosco, che è un significato più ristretto all’area semantica di “bois”, questo perché in francese vuol dire anche “legna”. Essendo che a bois non si oppongono tutti questi altri elementi nel sistema francese, copre un’area semantica diversa. “Bosco” nella langue italiana ha un significato più circoscritto perché gli si contrappongono altri elementi. Questa era la prima definizione di langue e parole secondo Saussure. • Seconda definizione “socio-psicologica” La langue coincide con un patrimonio mnemonico virtuale, è un patrimonio che vive in sede psichica condivisa da tutti i parlanti. → Saussure quindi associa la langue alla socialità, al momento sociale (qualcosa di condiviso da tutti i membri di una comunità linguistica). La parole viene associata al momento individuale. – Osservazione critica: questa seconda definizione è una definizione socio-psicologica, perché associa i due momenti in cui si struttura la lingua alla collettività (langue) o al singolo individuo (parole) → Dando questa seconda definizione, ridefinisce parole e langue secondo i fruitori (fattori esterni) cosa che aveva detto che non avrebbe fatto. Quindi ci sono dei punti in cui Saussure ha lievi contraddizioni → Aporia: ricade in linguistica esterna Segno linguistico Entità a due facce: - signifiant = significante → immagine acustica, la traccia che il segno lascia in sede psichica - signifié = significato → concetto, idea → sono due facce inscindibili della stessa medaglia che non si possono separare – Confronto con il segno (semeion) per gli Stoici: semainon si identificava con il sensibile 37 Un altro aspetto fondamentale del meccanismo della lingua è il sistema delle differenze su cui si fonda il valore linguistico → paragone del gioco degli scacchi (se si rompe un pezzo basta sostituirlo con un altro oggetto). Così, tornando al sistema linguistico, si può sostituire in esso un elemento con un altro purché quest’ultimo non si confonda con un elemento già presente nel sistema – l’identità delle entità e quindi delle unità linguistiche è costituita soltanto dalle loro differenze. Le unità linguistiche, cioè i segni, esistono solo nel sistema, ossia esistono in quanto valori. → In questa nozione di valore linguistico, troviamo una contraddizione – aporia – nella riflessione di Saussure: per S. questo segno/valore emerge dall’unione inscindibile, opponendosi agli altri segni. Questa natura oppositiva riguarda tutto il segno: → è accettabile che il significante sia di natura oppositiva, è evidente, perché ciò che caratterizza un significate, è il suo opporsi a tutti gli altri, la successioni di suoni “c-a-s-a” si oppure a “a-l-b-e-r-o”. → Ma Saussure dice anche che la natura oppositiva riguarda anche il significato. È come se dicesse che abbiamo da un lato significanti diversi, ma anche che formuliamo diversi significati per avere significanti diversi. es. A teatro nel guardaroba ci sono contrassegni per distinguere i cappotti della gente. È accettabile che ciascun contrassegno ha come natura quello di differenziarsi da tutti gli altri. Contrassegni → significanti, Cappotti → significati Abbiamo contrassegni diversi per contraddistinguere cappotti diversi come nella lingua abbiamo significanti diversi per contraddistinguere significati diversi. Ma se noi dicessimo che a teatro abbiamo cappotti diversi per permettere contrassegni diversi? Questo è il circolo vizioso che emerge quando Saussure dice che ogni significato si distingue per permettere l’opposizione ad altri significanti. ⇒ Contraddizione interna: possiamo dire che Saussure non prese in considerazione, un fenomeno frequente, il fenomeno delle sinonimia e della omonimia → sinonimi: stella e astro – abbiamo due significanti diversi che permettono di esprimere lo stesso significato. → omonimi: lama, può indicare quella del coltello, l’animale, il Dalai Lama – abbiamo un unico significante a cui corrispondono significati diversi. ⇒ L’omonimia mette in crisi l’idea Saussuriana secondo la quale anche i significati si differenziano tra di loro per permettere significanti diversi. Saussure pone una proiezione diretta tra il pensiero (vista come una nebulosa) e il linguaggio (catena sintagmatica) → segmentando nella catena fonica una porzione, secondo Saussure si segmenta anche a livello del pensiero (= significato). La sintassi Saussure prende in considerazione il fenomeno della sintassi. Per caratterizzare questo momento della sua teoria, riprendiamo la distinzione fra rapporti sintagmatici e rapporti associativi. Avendo preso in esame i precursori dello strutturalismo, avevamo osservato Kruszewski, il quale preconizzava già alcuni aspetti di orientamento strutturalista, mettendo a tema la presenza di due assi di associazione, ovvero associazione per somiglianza/similarità e associazione per contiguità. Saussure segnala la presenza nel linguaggio di due momenti: → Rapporti sintagmatici: rapporti fra i segni/elementi in praesentia, ovvero presenti nella catena fonica nell’atto di parole; → Rapporti associativi: rapporti fra elementi in absentia, ovvero fra un elemento all’interno del nostro discorso e tutti gli altri elementi/segni ad esso a cui è associato un livello della langue. es. insegnamento – si articola in due parti: 40 - Insegn-, associata dai parlanti di lingua italiana ad altri segni che presentano questo elemento iniziale analogo (insegnare, insegnante); - -amento, presente in altre parole associate nella langue del parlante ad altri segni (armamento, cambiamento). → Saussure segnala che la sintassi è quel momento della lingua in cui condividiamo momenti sintagmatici. A questo punto, riprendiamo la duplice definizione di parole che Saussure aveva dato, considerando, però, solo la seconda, quella “socio-psicologica”, secondo la quale la langue viene associata al momento sociale, mentre la parole al momento dell’individualità. Se però il momento della parole è legato all’uso del singolo individuo, allora dove il parlante combina ‘liberamente’ gli elementi della catena sintagmatica, vi sono precise regole e norme sintattiche da rispettare. Saussure, dunque, si accorge della contraddizione – aporia – che si viene a creare tra l’aver definito la parole come il “momento della libertà” e la sintassi, che si colloca nella parole avendo a che fare con i rapporti sintagmatici, dove però non siamo del tutto liberi. Saussure allora propone una via d’uscita: a) locuzioni belle e fatte, collocations (spezzare una lancia in favore di, chemin de fer): appartengono alla langue come singoli lessemi – anche se hanno una struttura sintagmatica/una manifestazione plurilessematica, in realtà devono essere considerati come singoli lessemi. b) attribuisce alla langue i tipi generali dei sintagmi costruiti su forme regolari (SN +SV; SN+SV+SN). SN + SV – Luigi dorme SN + SV + SN – Luigi legge un libro → questi sintagmi corrispondono a tipi generali di struttura sintattica che appartengono alla langue – nel momento della realizzazione della parole, il parlante riattiva questi tipi generali di sintagmi. – Operando una riflessione, quando siamo nell’ambito dell’esecuzione del discorso, la formulazione del discorso è veramente riconducibile al ricordo delle strutture presenti a livello mnemonico/a livello di langue? Questo funzionerebbe nei sintagmi più semplici, ma non nelle strutture molto articolate. Infatti, Saussure le limita a strutture sintagmatiche formate in modo regolare. La dimensione intralinguistica Saussure segnala che esiste un non-parallelismo tra i sistemi linguistici – Anisomorfismo dei sistemi linguistici = ciascuna lingua distribuisce i significati a suo modo. Non esiste parallelismo perfetto fra due sistemi linguistici: un certo segno non ha un corrispondente perfetto in diversi sistemi linguistici (vd. bois – bosco). Però, anche se non esiste un parallelismo perfetto (per cui a bois non corrisponde perfettamente il segno bosco italiano), esiste una dimensione interlinguistica che Saussure individua attraverso la nozione di signification, nozione che ha messo in difficoltà i critici della teoria di Saussure. Per introdurci al concetto di signification, Saussure fa il seguente esempio: Je mange du mouton I’m eating some mutton Queste due espressioni possono essere tradotte come io mangio/sto mangiando carne d’agnello. Mouton e mutton però hanno uguale signification, ma signifié diverso (signifié = il concetto, ovvero, nella correlazione semiotica, l’altro rispetto al significante). Confrontando i due sistemi linguistici, mutton interagisce con sheep, mentre mouton, in francese, domina incontrastato quest’area che in inglese mutton divide con sheep: Le mouton a été tué *The mutton has been killed → The sheep has been killed. → Da questo confronto notiamo come mouton ricopre un’area semantica più ampia, coprendo sia il significato di pecora, inteso come animale vivo, sia carne di pecora, inteso come animale morto macellato, rispetto a mutton, a cui si oppone nel sistema sheep. 41 Ma Saussure che cosa intendeva per “signification”? Prima di analizzare l’interpretazione di Saussure, analizziamo l’interpretazione non proprio esatta di De Mauro, traduttore dell’opera di Saussure e critico: quando Saussure parla di signification, si pone su un piano linguistico, NON il denotato. Al contrario, De Mauro, inizialmente, pensava di interpretare signification come il denotato, ovvero l’oggetto referente nella realtà individuato dal segno. In realtà, Saussure, quando parla di signification, si colloca sul piano linguistico, NON ontologico. Per comprendere questo e l’esempio soprastante, dobbiamo distinguere la semantica di langue (livello virtuale) e invece i significati/sensi che vengono a precisarsi quando il senso viene utilizzato nella parole (livello testuale). – A livello di langue, abbiamo visto che, parlando di segno linguistico, il signifié è l’altro dal significante, il correlato del signifiant. – Passando poi alla parole, il termine mutton viene utilizzato nell’enunciato “I’m eating some mutton”, dove veicola un senso che coincide con il signifié associatogli nella langue (mutton è opposto a sheep, indicando carne di pecora macellata). Quando invece dobbiamo contestualizzare mouton, proprio perché ha più significati, il “Je mange du mouton”, mouton entra nel testo MA attiva solo un solo significato, ovvero quello di carne macellata. Dunque, nel passaggio dalla langue alla parole possiamo vedere un fenomeno per cui un termine con più significati ne veicola solo uno, un senso preciso e conclusivo. Questo senso si precisa all’apporto semantico che quel segno, mouton, dà nel testo. Pertanto, la signification introdotta da Saussure coincide con quel momento conclusivo del costituirsi del senso, passando dalla langue alla parole. Perciò, quando passiamo dalla langue alla parole, mouton, che ha un signifié molto vasto, precisa il suo significato e veicola un senso, ovvero carne di pecora macellata, e la signification, ovvero il senso conclusivo che veicola, è identico al senso nella parole veicolato da mutton. Per cui, in “Je mange du mouton” e “I’m eating some mutton”, mouton e mutton hanno la stessa signification → è lo stesso significato/senso conclusivo che viene a precisarsi nel testo quando si passa dalla langue alla parole. Pertanto, per Saussure, la signification coincide con il senso veicolato nel testo. De Mauro pensava che intendesse signification con denotato: riprendendo le strategie manipolatorie e il logico Frege, che distingueva tra Sinn (senso) e Bedeutung (significato), egli individua in Bedeutung il denotato (esempio di Leopardi, poeta di “A Silvia”). De Mauro, quindi, pensò che signification fosse intesa da Saussure come denotato, ma, poiché Saussure, quando parla di signification, non si pone sul piano ontologico della realtà, ma è un concetto che introduce e che si riferisce al piano linguistico, tutto questo lavoro di riflessione degli studiosi della teoria saussuriana ha portato a questa precisazione del concetto di signification. Epistemologia Epistemologia = discorso scientifico che assume come proprio oggetto le scienze stesse per definire in rapporto a ciascuna l’oggetto e i metodi, ma anche il linguaggio e i rapporti con le altre scienze. L’epistemologia è un lógos, ovvero un discorso che si occupa delle scienze (epistéme), le caratterizza, le classifica e le studia in base alla tipologia e all’oggetto di indagine, proponendo quindi una tipologia di scienze. • Classificazione delle scienze: 42 Dati, ipotesi, esperimenti e teoria • La scienza si incarica di costruire il collegamento razionale fra dato e fatto elaborando dei modelli, cioè delle rappresentazioni del fatto che lo descrivono e lo spiegano. Il modello deve rispettare il dato, nel senso che deve tenere conto di tutti i dati disponibili e nel senso che i dati devono diventare conseguenza logica del modello → il dato “controlla” la validità del modello e della teoria: se emerge qualcosa che contraddice l’ipotesi, questa va sostituita, o almeno riformulata. – Nello studio della comunicazione verbale, il linguista si chiede come eventi comunicativi verbali sono possibili, ossia come degli eventi fisici possono veicolare dei sensi, delle configurazioni semantico-pragmatiche che modificano le soggettività coinvolte. → L’approccio linguistico evidenzia nel messaggio quali sono le condizioni grazie alle quali è un messaggio, cioè comporta un cambiamento. ⇒ La comunicazione verbale punta pertanto a costruire un modello per spiegare la correlazione tra l’evento che chiamammo senso e l’evento materiale che veicola il senso. • Dal modello dipende anche il metodo di ciascuna scienza. Dal punto di vista del metodo, rilevante è l’esperimento, un procedimento di valutazione del modello: consiste nel sottoporre il modello a una simulazione di funzionamento. Natura del sistema linguistico Alla base del messaggio verbale si trovano le lingue storico-naturali. – Esempio di Saussure “albero”: nella mente di ciascuno dei parlanti c’è una correlazione permanente tra suoni e concetti, e tuttavia la presenza dei suoni nella mente è solo virtuale in due sensi: 1) strutture e regole linguistiche restano sullo “sfondo” della coscienza (memoria a lungo termine) e vengono attivate in base a una selezione definita dai bisogni comunicativi, 2) la presenza virtuale nella memoria non consta di rappresentazioni e immagini foniche concrete ma di modelli tratti dall’uso. ⇒ “La lingua” non è un dato, perché non la si riscontra come esistente e osservabile in qualche luogo – è solo ipotizzabile nella mente dei parlanti. → Tutti gli eventi comunicativi verbali reali, concretamente attuati dai parlanti, nel passato e nel presente, costituiscono l’insieme dei dati linguistici. • Cos’è allora una lingua? È un sistema segnico di cui si ipotizza l’esistenza nella mente dei parlanti per spiegare il comportamento linguistico di quei parlanti, che eseguendo certi suoni veicolano determinati significati e costruiscono, a partire da questi, dei messaggi entro la comunità. È un sistema di correlazioni tra immagini di suoni (o modelli) e schemi concettuali (o modelli), o anche tra potesi di suoni e ipotesi di pensieri. ⇒ è un’organizzazione semantica mentale destinata a supportare i bisogni comunicativi all’interno di una certa comunità Il metodo • Metodo, grec. méthodos (metá-hodós), “la strada da seguire”: il metodo è il “percorso per acquisire il sapere”. Comporta due fasi: 1) la scoperta (fase euristica) e 2) la verifica. 1) Il momento in cui lo studioso intravede l’ipotesi che potrebbe spiegare i suoi dati. Il metodo consiste nell’attenzione paziente e nella capacità di cogliere i particolari senza banalizzarli né metterli a tacere, ma valorizzando la contraddittorietà e le differenze. Intervengono sia il talento sia l’esperienza e la formazione 2) Il momento in cui il sapere viene messo alla prova: l’ipotesi formulata va giustificata. Dalla teoria si ritorna al dato: se l’ipotesi è corretta, il dato deve conseguire la teoria. 45 → Il rapporto tra dato e teoria non è paritetico, perché può sempre presentarsi un dato che confuta la teoria, mentre nessuna teoria può garantire di implicare tutti i dati reali. p = teoria q = dato ㄱ = negazione la falsità di q implica la falsità di p, ma la verità di p non implica la verità di p L’ipotesi implica il dato, ma la verità del dato non comporta in assoluto la verità della teoria. Esempio: abbiamo osservato che molti mammiferi sono vivipari e abbiamo formulato l’ipotesi che tutti i mammiferi sono vivipari – falsa, nuovo dato: l’ornitorinco pur essendo mammifero depone le uova. p → q p implica q (tutti i mammiferi partoriscono piccoli vivi) (allora) (la gatta partorisce i gattini vivi) p → q ㄱq ㄱp p implica q, ma q è falso, allora anche p è falso (è falso che l’ornitorinca partorisca i piccoli vivi) (allora) (è falso che tutti i mammiferi partoriscano i piccoli vivi) ma, attenzione: p → q q se p implica q e q è vero, non possiamo tuttavia concludere che p sia vero (è vero che la gatta partorisce i piccoli vivi, ma questo non implica che tutti i mammiferi partoriscano i piccoli vivi) • Pdv. metodologico: l’osservazione di un numero consistente di dati consente di rilevarne l’uniformità sotto un certo aspetto. Si formula quindi un’ipotesi, di cui quell’aspetto è una conseguenza logica (procedimento di abduzione). Da questo momento in poi l’ipotesi viene confrontata con dati sempre nuovi, tuttavia, per quanto siano numerosi i dati che confermano l’ipotesi, non si potrà mai escludere il presentarsi di un dato che la falsifichi – carattere di provvisorietà: valgono “fino a prova contraria”. ⇒ tutto il sapere umano ha carattere di provvisorietà. Livelli di astrazione • Quando si interpretano i dati, l’approccio più efficace è quello di staccarsi sempre di più dal dato: più ci si astrae dal dato, più lo si comprende. Livelli di astrazione: 1. La generalizzazione attiva il procedimento induttivo es. vedo passare tanti gatti che hanno la coda → ipotizzo che tutti i gatti hanno la coda (posso incontrare dei casi di gatto per i quali la mia generalizzazione non vale) → generalizzazione: la quantificazione è stata estesa da molti a tutti i gatti, a partire dalle molteplici esperienze di gatto che ho avuto. – Cambia la quantificazione, che passa da molti a tutti: molti e tutti sono quantificatori, cioè parole che servono ad affermare l’esistenza di un insieme determinato di entità che condividono una serie di predicati (modi dessere). Quindi, con x = “essere che è un gatto” e p = “avere la coda”, si passa da: 46 “per un numero importante di x vale che p”, a: “per tutte le x vale che p” → omogeneità categoriale tra dati e teoria: il dato presenta certe proprietà e la teoria considera le medesime proprietà. es. plurale in inglese → bisogna articolare il modello tramite i concetti di varianza e preferenzialità (cfr. cap. 5) 2. Operando un’astrazione più audace, passiamo dai dati al concetto non osservabile. – L’esperienza offre dei dati per spiegare i quali occorre ipotizzare qualcosa di nuovo, che va al di là di quanto l’esperienza mette davanti agli occhi. es. motocicletta scambiabile con una collana → introduzione del concetto di valore, che non è un dato osservabile, ma un concetto introdotto ipotizzando una spiegazione per i dati osservabili (la scambiabilità tra oggetti). – Abbiamo applicato un procedimento di astrazione, il processo di formazione di concetti a partire dall’esperienza. Astrarre (lat. abs-traho) = “strappare via” il modo d’essere dell’essere che lo possiede. es: il fonema (pagg. 72-73) 3. Porta dai dati a entità nascoste o costrutti. – Questo tipo di spiegazione è formulato a partire da indizi. es. Luigi torna a casa e vede la porta di casa aperta e la luce accesa → ipotizza che sia entrato un ladro. ⇒ Con la generalizzazione si estende a tutti quello che abbiamo visto essere di molti; con l’astrazione, invece, si mettono in luce le proprietà nascoste (es. valore) o entità nascoste a partire da indizi (ladro – porta aperta e luce accesa). Linguaggio e ragione: il lógos • Logica – intesa oggi come scienza relativa ai processi del ragionamento, e non del linguaggio: è ignorata l’originaria unità che si riscontrava nel greco lógos. → parole come linguaggio e ragione corrispondono in greco ad una sola parola: lógos. in greco antico presenta tre accezioni: 1. discorso/parola/linguaggio 2. ragione 3. calcolo Secondo i nostri predecessori greci, questi tre significati erano perfettamente correlati tra loro. Prima, però, dobbiamo capire la differenza tra omonimia e polisemia: - Omonimia: fenomeno per cui la stessa parola veicola più significati diversi e non collegati tra loro. lama1 lama2 lama3 - Polisemia: da un significato originario si sviluppa un ulteriore significato, collegato a quello precedente. carta carta dei diritti umani – carta di fabriano capo estremità iniziale del corpo umano (caput) – inizio di una certa realtà – direttore o dirigente; Dopo aver compreso la differenza tra polisemia e omonimia, torniamo alla triplice accezione di lógos. I Greci ritenevano che il termine fosse polisemico, ossia che ci fosse un nesso tra ragione e calcolo, ma anche tra ragione e discorso. Il nesso tra ragione e calcolo è abbastanza ovvio anche per noi, perché il calcolo viene percepito come un’applicazione sistematica della ragione. Invece, 47 ⇒ il linguaggio inteso come lógos, discorso, funziona perchè è articolato: ha dentro di sé due componenti reciprocamente complementari. Il lógos elementare che si costituisce con l’intreccio del verbo con il nome “indica già in qualche modo le cose che esistono e che accadono, o che sono accadute, o che stanno per esistere”: afferma e non solo denomina. • In logica, i modi d’essere si chiamano anche predicati (lat. praedicatum, su calco del greco kategoría - agoréuo + katà) e le entità coinvolte in questi modi d’essere sono chiamate argomenti ⇒ abbiamo parole-predicato e parole-argomento. ⇒ L’articolazione del discorso rispecchia la struttura della realtà: nella realtà abbiamo entità (gatto, muro, uomo) aventi modi d’essere – quando catturiamo la realtà nel discorso, le parole hanno funzioni diverse in quanto rispecchiano differenze che hanno luogo fra le cose della realtà. Platone sostiene che parlare sensatamente significa combinare concetti che sono fatti l’uno per l’altro, ossia che sono congrui → principio di congruità *ll sasso cammina Luigi cammina ⇒ non tutte le entità possono essere selezionate da un modo d’essere → La relazione fra parole congrue viene chiamata nesso predicativo-argomentale – una combinazione di parole è lógos se attiva un nesso predicativo-argomentale. ⇒ Alla base del principio di composizionalità sta il principio di congruità, per cui le parole, quando si intrecciano nel discorso, permettono di ottenere una combinazione, non una somma, di elementi in quanto vi sono dei nessi logici tra le parole differenziate che svolgono funzioni logiche, comunicative e complementari. • La composizionalità rivela che il linguaggio rispecchia la struttura della realtà. La composizionalità è stata definita combinazione significativa delle parole, cioè combinazione che produce senso. La combinazione dà origine alla rappresentazione di una realtà possibile → la symploké, ossia l’intreccio delle parole, è costitutiva della virtualità, è il luogo nel quale si situano tutti i possibili frammenti di mondo, che sono “capaci di avere luogo”. - Il bambino - dorme ⇒ lógos: Il bambino dorme Non si tratta della semplice somma dei sensi delle strutture linguistiche messe insieme – brilla un senso unitario → abbiamo la rappresentazione di una scena, di un frammento possibile di mondo ⇒ Attraverso la composizionalità l’essere umano rappresenta frammenti di mondo virtuale – abbiamo semplicemente uno state of affairs (stato di cose, potenziale), che potrebbe riscontrarsi nell’esperienza. – Attraverso la verifica nell’esperienza passiamo dalla virtualità/potenzialità all’attualità: dalla rappresentazione di frammenti di mondo virtuale a quella di frammenti di mondo reale. • La composizionalità, in quanto genera l’insieme dei possibili frammenti della realtà, può non trovare una corrispondenza con il vero stato delle cose → possibilità della menzogna nel linguaggio umano. – Linguaggio umano vs. linguaggio animale “Gli animali non sanno mentire” (Boris Uspenskij) → Ciò che ci permette di mentire è il fatto che possiamo affermare alcune cose che sono possibili, ma non risultano reali – La composizionalità assicura la libertà dell’uomo rispetto alla realtà. Parliamo di non-realtà come se fosse realtà → in questo caso noi mentiamo, facendo un uso perverso e negativo della lingua. 50 ⇒ Rapporto tra linguaggio e ragione: il linguaggio è quel “momento” della ragione che predispone le strutture semantico-pragmatiche ossia le categorie con cui il soggetto affronta la realtà nell’esperienza → la ragione non coincide con il linguaggio: il suo “di più” è soprattutto il rapporto con l’esperienza. Grammaticalità, congruità e congruenza • Bisogna legare ciascun predicato a una precisa classe di argomenti: Luigi la bambina cammina *l’acqua *la gioia (a meno che non ci troviamo in un’interpretazione non letterale es. personificazione) ⇒ camminare è un modo d’essere che può combinarsi con parole-argomento che indicano entità animate/umane/animali, ma non inanimate. → ciascun predicato seleziona i propri argomenti. – Nella buona formazione di un discorso dobbiamo perciò distinguere, oltre al livello della grammaticalità, il livello più profondo della coesione logico-semantica, ossia il livello della congruità. Quando violiamo la congruità, dicendo ad es. “l’acqua cammina” (interpretazione letterale) condizioniamo la sensatezza, ossia la capacità del discorso di fare riferimento alla realtà. – NB. non confondere sensatezza con verità e insensatezza con contraddizione: un discorso falso è comunque sensato e dunque congruo – una costruzione è congrua anche se contraddittoria. - Il senso contraddittorio è dicibile, è comunque un senso Ho mangiato una pasta alla carbonara ma sono digiuno Questo numero è pari e dispari - L’insensatezza, il non senso, è indicibile, non crea testo *Questa montagna è intelligente *Il tavolo legge il giornale *Lo scoiattolo scala il Mar Egeo ⇒ il senso contradditorio è dicibile, mentre l’insensatezza no. • Principio di non contraddizione (pnc): una cosa non può essere e non essere nello stesso tempo e sotto il medesimo aspetto (Aristotele). – è un principio alla base del nostro modo di pensare, ragione e parlare. È qualcosa di evidente, che non possiamo prescindere in qualsiasi nostro pensiero e formulazione di discorso dal principio di non-contraddizione. es. bici nera – dipingerla di rosso → In un momento diverso, sarà rossa, ma nello stesso tempo non può essere anche nera. Inoltre, potremmo osservare che su un certo punto della bici, tutta nera, ci sia il logo dell’azienda che l’ha prodotta, tutto rosso → il punto del logo può essere rosso – se consideriamo un solo punto della bici, esso, nel medesimo istante, non può essere sia nero che rosso. Però, vediamo che la bici, nello stesso istante nella maggior parte dei suoi punti può essere nera e in un suo punto, sotto un altro aspetto, è rossa. Il principio di non-contraddizione NON può essere negato: Aristotele, immagina uno Scettico che voglia mettere in dubbio il principio, volendolo confutare e dimostrarlo falso – nel momento in cui vogliamo confutarlo lo applichiamo, perché se diciamo che “il principio di non-contraddizione è falso” può essere, nello stesso tempo, non-falso. 51 Secondo semestre La natura del significato Condizioni fondamentali che determinano il processo di costituzione del senso testuale a partire dai significati delle parole: - La struttura testuale minima è di natura predicativo-argomentale e dunque richiede la combinazione di parole-predicato con parole-argomento - Un predicato è, in senso lato, un modo d’essere; un argomento è, il senso lato, un’entità. - La congruità non è garantita dalla combinazione di un predicato qualsiasi con qualsiasi argomento: ogni predicato seleziona certi argomenti. Cinque fattori costitutivi della congruità: 1. numero degli argomenti 2. qualità degli argomenti 3. ordine degli argomenti 4. campo d’azione (scope) del predicato 5. sue implicazioni → I primi tre fattori descrivono lo schema (frame) argomentale del predicato. Quando tali condizioni sono rispettate e, solo allora, il testo risulta congruo e, pertanto, sensato. 1) Numero degli argomenti – Predicati monoargomentali (monadici) → si tratta di modi d’essere che caratterizzano una sola entità. bianco verde dormire Px camminare passeggiare P = predicato, x = possibile argomento Enrico passeggia con Simona Un’entità coinvolta dal passeggiare può associare il proprio passeggiare al passeggiare da parte di un’altra entità (nello stesso tempo e luogo). Enrico e Simona passeggiano → espressione da disambiguare a) Enrico passeggia con Simona b) Interpretazione distributiva: in tempi e luoghi diversi Enrico passeggia Simona passeggia – Predicati biargomentali (diadici) P (x1 x2) leggere mangiare litigare maggiore uguale vicino davanti - Agnese e Paolo litigano. Paolo litiga con Agnese. - Luigi è uguale. A chi? A nessuno. - Luigi è maggiore. Di chi? Di nessuno. Questi aggettivi (predicati diadici) se sono costruiti con un solo argomento danno luogo a un’insensatezza. - Luigi mangia 52 - vendere/comprare - sotto/sopra - destra/sinistra marito P (x1, x2) moglie P’ (x2, x1) – Conversivo morfologico Le lingue naturali dispongono di uno strumento morfologico per creare il conversivo: la diatesi passiva. Luigi aiuta Pietro Pietro è aiutato da Luigi Ordine delle parole ≠ ordine degli argomenti La mamma promette lo skateboard a Pietro. x1 x2 x3 A Pietro la mamma promette lo skateboard. x3 x1 x2 L’ordine degli argomenti è a livello di rappresentazione semantica. L’ordine degli argomenti può essere manifestato da diversi ordini delle parole. 4) Campo d’azione (scope) del predicato Permette di individuare il contributo di ciascun predicato al senso del testo. Non lavoro per divertirmi Messaggio ambiguo – intonazione → cambia il campo d’azione Forse Maria domani parte per Roma Maria, forse, domani parte per Roma Maria domani parte per Roma, forse Maria domani parte forse per Roma Maria forse domani parte per Roma 5) Implicazioni del predicato – Il contenuto di un predicato è costituito dalle sue implicazioni. Per implicazioni di un predicato si intende tutto ciò che accade quando il predicato ha luogo. Giovanni ha costruito una casa. Se il costruire ha luogo, esso implica che x2 da non esistente cominci ad esistere. – Il testo attiva le implicazioni del predicato, che poi nel seguito del testo diventano dei presupposti che non vanno lesi da un altro predicato: * Il malvivente uccise un passante, che scappò con la bicicletta. Senso, non-senso, controsenso Congruità semantica Ogni predicato stabilisce quali sono i suoi argomenti, imponendo delle condizioni su di essi. Paolo è Questo libro è Questo cane è intelligente Questa proposta è Questo lavoro è Questo discorso è *Questa è una parete Laura è 55 Questa scelta è onesta/o *Questo cane è *Questa parete è In ogni lingua è nascosto un sapere sulla realtà. I nessi ammessi/non ammessi dalla lingua sono nessi ammessi/non ammessi dalla ragione. *Il sasso legge il libro Il computer legge il dischetto Il politico legge la situazione Leggo una vena di tristezza nei tuoi occhi Fufi legge il giornale Interpretazione figurativa tropo (gr. trepo). Metafore testuali Presupposti: significati a monte del nostro dire. Iponimo dell’iperonimo → vuol dire il genere di elemento (iponimo) che può essere inserito nel paradigma (iperonimo) Il predicato leggere impone due sedi argomentali: 1. l’argomento deve essere un umano alfabetizzato 2. l’argomento deve rientrare nel paradigma del testo scritto Caso speciale: leggo una vena di tristezza nei tuoi occhi La non-congruità con i presupposti della sede argomentale imposti dal predicato non produce insensatezza perché il destinatario interpreta in maniera retorica l’enunciato → Il parlante ha costruito una metafora testuale, rimane il significato canonico di leggere ma viene interpretato metaforicamente/figurativamente tropo → si piega il significato del predicato, in questo caso di “leggere” La lesione del principio di congruità semantica (relazione tra predicato e argomento) comporta un’opacità totale del senso, un’insensatezza. Insensatezza → non è dicibile, non crea testo La coerenza è una qualità irrinunciabile del testo, ma un testo contradditorio è pur sempre testo. Testo coerente: quando segue/rispetta il principio di non contraddizione. Un testo contraddittorio è un testo, un testo insensato non è testo, perché il senso contraddittorio è dicibile. Principio di non contraddizione → Una cosa non può essere e non essere nello stesso momento e sotto stesso aspetto. Il pnc è un’evidenza su cui il parlante basa il suo pensiero/dire ed è quindi alla base della comunicazione → ogni atto comunicativo lo implica/lo applica, è un principio inevitabile/primitivo e per tanto non è dimostrabile (→ è evidente). Il principio di non-contraddizione non può essere negato: Aristotele, immagina uno Scettico che voglia mettere in dubbio il principio, volendolo confutare e dimostrarlo falso – nel momento in cui vogliamo confutarlo lo applichiamo, perché se diciamo che “il principio di non-contraddizione è falso” può essere, nello stesso tempo, non-falso. Grammaticalità vs. congruità semantica Dobbiamo distinguere il livello della grammaticalità dal livello più profondo della coesione logico-semantica, della congruità semantica (regolata dai nessi predicativi-argomentali). Cambiamento del significato di un termine – due esempi: 1. Vero È un vero uomo È un vero medico 56 È un vero ladro Quest’oro è vero vero = dotato non solo delle proprietà apparenti, ma anche delle proprietà essenziali → Predicato monadico (argomento di natura oggettuale) Il tuo giudizio è vero Il tuo discorso è vero La tua affermazione è vera La tua storia è vera È vero che sono arrivato in ritardo vero = corrispondente a verità → Predicato monadico metadiscorsivo (argomento di natura discorsiva) 2. Dipingere L’artigiano dipinge il tavolo. Michelangelo dipinge il Giudizio Universale. 1. ‘verniciare’ → x2 oggetto fisico preesistente 2. ‘produrre un dipinto’ → x2 progetto di un’opera di arte pittorica con un certo soggetto, x2 non preesistente → predicato diadico ⇒ Il cambiamento del significato di un termine dà luogo a un altro predicato, con un’altra struttura argomentale. Cambia il contenuto del predicato (e le sue implicazioni). Significato che si racchiude negli argomenti: Gli argomenti nascondono al loro interno un plesso di predicati. Un uomo cammina X : Ux Λ Mx Λ Ax U umano M maschio A adulto → Ciascuno di questi predicati potrebbe essere ulteriormente analizzato, scomposto in predicati più elementari. I predicati interni agli argomenti hanno la funzione di caratterizzare gli argomenti; stabiliscono a quali condizioni un’entità x è di quel determinato tipo. - camminare è uno dei possibili modi di essere di uomo. - U umano M maschio A adulto individuano come deve essere una entità x per essere uomo. I determinanti I determinanti sono indispensabili per costruire un’espressione corretta. *Bambino gioca Accettabile solo in due contesti (telegrammi, titoli di giornale). Bambino cade dall’autobus. Illeso. (Un ellittico) Il determinante consente all’argomento di «fare presa» sulla realtà. Qualche bambino gioca. Un bambino gioca. Alcuni bambini giocano. La parola-argomento viene determinata, in tal modo essa viene ad indicare una realtà precisa (non importa se una sola, la cosa in generale, tutte le cose). Tre gruppi di determinanti: 57 lingua) ⇒ Parlare diventa quindi scegliere regole (già presenti in sede psichica) e segni e quindi il parlante diventa un attualizzatore passivo di un sistema già dato. – Invece, poiché la fonte del senso è nell’esperienza, il parlante quando formula un discorso deve scegliere ciò che gli permette di attestare al meglio l’esperienza → guarda paradosso dell’asino di Buridano (→ di fronte ad una scelta si usa il criterio del bene più grande per noi. Ciò vale anche per la lingua – dobbiamo scegliere strumenti linguistici che ci permettono di esprimere al meglio la nostra esperienza) → Le lingue sono quindi strumenti per poter comunicare/rappresentare con creatività le esperienze, e che quindi vi è un nesso profondo tra linguaggio-esperienza, linguaggio-libertà, linguaggio-creatività. → Nella lingua è presente una fondamentale indeterminatezza cioè una plasmabilità dello strumento espressivo. ⇒ Quali sono gli strumenti che ci mette a disposizione il sistema linguistico per la costruzione dei testi? Le strutture intermedie. Torniamo a Saussure: Osserviamo la differenza fra una parola come casa e la parola andare. Immaginiamo di recensire i valori del lemma andare, di cercare i significati ad esso associati. Andare Luigi va a casa. La macchina va. Questo vestito mi va bene. Con l’esame di matematica mi è andata bene. Questi pantaloni vanno accorciati. Non mi è andato di parlargli. La parola andare presenta una molteplicità di significati – Non è possibile parlare di un unico concetto/significato associato al significante andare. → Troviamo analoghe polisemie in altre lingue. – Polisemia: Si parla di polisemia quando sotto uno stesso significante si ha una pluralità di significati e fra i vari significati è riconoscibile un certo nesso, detto motivazione. Uno stesso segno, modificandosi, sviluppa a partire dal significato originario altri significati, relati a quelli precedenti. es. promettere Luigi ha promesso di portarmi al mare. Quel tuo giovane amico promette di diventare un grande imprenditore. Fra il primo e il secondo promettere è possibile individuare un nesso; non c’è collasso di segni diversi in uno stesso significante, ma un segno, modificandosi, dà origine a un altro significato. Luigi legge con Silvia (in compagnia di…) Luigi legge con gli occhiali (si serve di…) Fra i due con c’è una componente simile – presenza di: persona, strumento. Test della sostituzione per verificare la presenza di una componente simile nei due con: in entrambi i casi posso sostituire con mediante senza. – Omonimia: Si ha omonimia quando segni diversi collassano in uno stesso significante (es. lama). I significati veicolati dallo stesso significante sono del tutto irrelati. È spontaneo riconoscere segni linguistici distinti. → Polisemia o omonimia? Spesso polisemia e omonimia non sono nitidamente separabili ma esistono zone di penombra, di incertezza. Es. contare: enumerare, avere importanza 60 Tu conti il denaro Tu conti molto per me Non è da escludere un nesso fra enumerare e avere importanza. Omofoni e omografi - omofoni e omografi conti, lama, fiera - omografi non omofoni pésca pèsca - omofoni non omografi vert (verde) vers (verso) too two Andare: Presenta una indeterminatezza molto marcata non solo a livello del contenuto, ma anche dal punto di vista dello strumento espressivo. Si affida a una serie di suoni diversi: and-are, and-iamo, and-ate, and-rò, and-ai vad-o, va-i, va, vanno aller, nous all-ons, vous all- ez je va-is, tu vas, il va, ils vont j’irai to go, I went Riformuliamo la nozione di significante: – inteso come suono Come significante/strategia di manifestazione di una funzione comunicativa può essere usato/a: a) un non suono, un silenzio: boy0 vs. boy-s singolare espresso dal morfo 0 puer0 vs. puer-i rek0 gen. pl. b) una posizione John went home the first position in the sentence c) una classe di suoni alternativi: ing. -ed; apofonia simple past lov-ed; ate Possiamo avere come significante/strategia di manifestazione di una funzione comunicativa diverse modalità di manifestazione, non necessariamente un suono. Al posto del significante introduciamo una nozione più flessibile, quella di strategia di manifestazione. Cornice → include una parte della realtà in cui opera la semiosi Riformuliamo la nozione di significato: Anche al posto della nozione di significato introduciamo una nozione più flessibile, quella di funzione linguistica: lov-ed funzione comunicativa di tipo morfologico John loves Mary funzione comunicativa di tipo sintattico significato → funzione linguistica significante → strategia di manifestazione Otteniamo così la nozione di SI: la SI è un’entità del sistema linguistico data dalla correlazione multimultivoca di funzioni linguistiche con strategie di manifestazione. Perché intermedie? In quanto presentano una indeterminatezza sul piano sia della funzione che della strategia di manifestazione. Sono predisposte a significare e veicolano un significato preciso nel testo. 61 Strutture intermedie e loro requisiti Primo requisito – La stessa strategia di manifestazione svolge più funzioni linguistiche (tratto della polisemia). La polisemia opera ai vari livelli linguistici: a) a livello lessicale → vistosa polisemia di andare Luigi va a casa La macchina va Questo vestito mi va bene Con l’esame di matematica mi è andata bene Questi pantaloni vanno accorciati Non mi è andato di parlargli Questa ricchezza va perduta – Si parla di polisemia quando una stessa strategia di manifestazione manifesta una pluralità di funzioni comunicative/significati e fra le varie funzioni comunicative/significati è riconoscibile un certo nesso, detto motivazione. Una stessa struttura intermedia, modificandosi, sviluppa a partire dal significato originario altri significati, relati a quelli precedenti. b) a livello morfologico → imperfetto italiano 1) Andavamo a lezione tutti i giorni alle 8.30 (valore di iteratività - azione iterata nel passato) 2) Quella mattina andavo a lezione di linguistica quando mi venne un malore (continuità dell’azione nel passato) 3) Volevo un caffè (cortesia) → futuro italiano 1) Partirò domani (azione futura) 2) Avrà 50 anni (illazione) 3) La casa disterà 300 m. dalla stazione (approssimazione) 4) Dopo la laurea sosterranno l’esame di Stato (comando) → genere maschile in italiano 1) lup-o, operai-o (sesso maschile) 2) libr-o, tavol-o (categoria grammaticale) 3) soprano (sesso femminile) Secondo requisito – Una stessa funzione linguistica si affida a più strategie di manifestazione (tratto della varianza/sinonimia) Varianza: una stessa struttura intermedia che si affida a diverse basi lessematiche a seconda delle sue realizzazioni morfologiche: andare, io vad-o sono fui aller je vais, tu vas , il va j’irai to go went sein, ich bin, ich war – Sinonimia: equivalenza a livello semantico di strutture intermedie distinte. La sinonimia opera ai vari livelli linguistici: a) lessicale babbo, papà, padre Babbo Natale, Santo Padre, festa del papà 62 Le risorse comunicative del lessico Guardiamo al lessico come generatore lessico, ovvero come procedura a disposizione dell’uomo anche per arricchire ulteriormente il lessico di nuovi elementi Lessico → nell’accezione comune, è l’insieme delle parole di una determinata lingua Per definire la parola Per definire la parola, i linguisti devono ricorrere a tre nozioni: 1. Lessema 2. Forma di parola 3. Parola fonologica – Parola fonologica È un sintagma fonologico, ossia una combinazione di elementi fonici. rana sintagma costituito dalle successioni di suoni ra-na Oltre a ciò, un altro requisito è l’autonomia articolatoria, ovvero il parlante lo può pronunciare autonomamente, senza che si appoggi ad altre parole del discorso. Inoltre, ha un accento tonico proprio e rispetta le regole fonotattiche previste dai vari sistemi linguistici (→ regole che individuano la disposizione e composizione dei foni) anche cano è una parola fonologica ma, contrariamente a rana, nella lingua italiana non veicola un significato Parola fonica reale → parola fonologica che rispetta tutti i requisiti tipici di una parola fonologica e veicola un significato Parola fonica virtuale → parola fonologica che rispetta tutti i requisiti tipici di una parola fonologica, ma che non veicola un significato *pelro → non può essere una parola fonologica dell’italiano, perché non rispetta le regole fonotattiche della lingua (diversamente da altre lingue, in italiano non è ammesso il gruppo fonetico lr – ing. already) Generatore delle sillabe in italiano C1 C2 C3 V C V e, u-va, a, a-mico CV di, sa-la, su, te-la C1 C2V tra, fra-se, clo-ro C1 C2 C3V stra-da, scle-rosi, sfre-gio, stro-fa VC il, or-lo, el-mo CVC cas-sa, gat-to, sar-ta C1 C2V C stan-co, bran-co, prin-cipe C1 C2 C3V C strap-po, sfrat-to – Lessema aiut-o aiut-erò aiut-avo ha aiut-ato era stato aiut-ato aiut-are – Forma di parola alber-o, alber-i 65 cant-are, cant-o, cant-a, cant-erò → siamo nell’ambito delle parti variabili del discorso – coincide con una delle realizzazioni morfologiche del lessema Generatore lessicale Vediamo il lessico come un reparto che riceve l’ingresso degli elementi linguistici, li rielabora e crea qualcosa in uscita; è un sistema aperto perché si arricchisce di elementi attraverso il fenomeno di contatto di linguistico (→ che permette il prestito di elementi linguistici da una lingua ad un’altra), ma anche perché ciascun parlante può creare nuovi lessemi strutturati attraverso dei processi di strutturazione lessicale: – processi di formazione del lessico - derivazione - alterazione - composizione - combinazione – processi fraseologici - sintemi - funzioni lessicali In ingresso, il generatore lessicale riceve come elementi linguistici lessemi elementari, ovvero non riconducibili al loro interno ad altri lessemi, lessemi latenti, reperti del passato, come termini latini, usati per strutturare nuovi lessemi che non sono in continuità nella moderna lingua italiana (es. illudere = buttare nell’inganno qualcuno da ludus, ossia gioco/inganno) o formativi, elementi come prefissi, suffissi, infissi. (es. de-, in-, -oso) Questi elementi vengono utilizzati per formare quindi lessemi strutturati (es. inscrivere, illudere, noioso, elefantino) Il generatore lessicale può creare anche fraseologismi come sintemi (piede di porco) e funzioni lessicali (prendere una decisione) I processi di formazione: derivazione, composizione, combinazione e alterazione Derivazione Da una classe del lessico si passa per lo più ad una classe diversa (transcategorizzazione) bello – bellezza sabbia – sabbioso correre – corsa – Denominazione del derivato: classe di arrivo e aggettivo che designa la classe di origine (de-ale) mangiabile (da mangiare) aggettivo deverbale sabbioso (da sabbia) aggettivo denominale arrivo (da arrivare) nome deverbale dolcemente (da dolce) avverbio deaggettivale verdeggiare (da verde) verbo deaggettivale – Come strategia di manifestazione, questo processo ricorre a suffissi o formativi suffissali partenza < partire iroso < ira statale < stato Derivazione a suffisso zero: arrivo < arrivare 66 canto < cantare Accumulazione di suffissi affida-bil-ità affidabile < affidare total-it-ario total-ità < totale – Nomi derivati 1. Nomen agentis: scrittore, lavoratore, costruttore, giocatore/-trice 2. Nomen actionis: scrittura, lettura, arrivo, partenza, costruzione 3. Nomen loci: scrivania, scrittoio, essicatoio, lavatoio, stireria 4. Nomen instrumenti: lavatrice, bollitore – Derivazione semanticamente non marcata vs. marcata Non marcata: compratore, venditore, lavoratore ‘colui che compra, che vende, che lavora’ arrivo, corsa, caduta ‘atto di arrivare, correre, cadere’ statale, solare, culturale ‘relativo allo stato, al sole, alla cultura’ → non danno informazioni ulteriori oltre alla transcategorizzazione, ovvero al passaggio dal verbo all’agente Marcata: mangiata, dormita, bevuta, camminata intensificazione, elativo rimpatriata vs. rimpatrio → indicano sia il processo di transcategorizzazione ma anche un incremento di semantico Formativo suffissale – Anche la derivazione ha una strategia di manifestazione preferenziale: Nomen agentis: lavorare lavoratore/trice comprare compratore scrivere scrittore vendere venditore N.B. bollitore, lavatrice (possono designare strumento) – Strategia di manifestazione non preferenziale: studiare studente cantare cantante insegnare insegnante spazzare spazzino imbiancare imbianchino N.B. colino (può designare strumento) Strategia di manifestazione preferenziale vs. non preferenziale: writ-er to write driv-er to drive play-er to play cook to cook (forma di conversion con formativo zero) *cook-er Strategia di manifestazione preferenziale vs. non preferenziale: bello bell-ezza alto alt-ezza stanco stanch-ezza utile utili-tà buono bon-tà pallido pall-ore candido cand-ore 67 3) Aggettivo + sostantivo altopiano i/i o/i altorilevo i/i o/i bassopiano i/i o/i bassorilievo i/i o/i buonumore buontempone 4) Prefisso + verbo riscrivere prescrivere descrivere proscrivere sovrascrivere circoscrivere sottoscrivere inscrivere 5) Prefisso + verbo preferire indurre differire tradurre conferire ridurre afferire sedurre Lessemi latenti: *ferire dal lat. ferre (portare) *durre dal lat. ducere (guidare) Combinazione – Crea un nuovo lessema mediante semplice giustapposizione di due lessemi appartenenti alla stessa classe del lessico; tra questi si stabilisce un rapporto di tipo attributivo (→ non c’è una relazione di determinazione come nella composizione, in cui c’è un determinante e un determinato) bambino prodigio cane lupo pesce spada swordfish pesce martello hammerfish pesce gatto, pesce palla uomo ragno spider man donna cannone agro dolce grigio verde grigio perla Alterazione È un processo di strutturazione del lessico molto produttivo in italiano ed è caratterizzato da endolinguisticità. Non transcategorizza (no passaggio da una classe del lessico all’altra). gatto gattino leone leon-c-ino lupo *lupino lupetto tigre tigrotto rana ranocchio – Tipologia degli alterati - Diminutivi: casina, omino, libretto, casetta - Accrescitivi: omone, donnone (m.) - Vezzeggiativi: caffeuccio, casuccia, casettina, omettino, caffettino - Peggiorativi: libraccio, postaccio, verdastro → Accumulazione dei formativi: birrettina, caffettino, omettino – L’alterazione può colpire tutte le parti del discorso 70 casina successone Alessiona riccone pigrone bellino rossastro mangiucchiare saltellare benino, benone malaccio pochino accidentaccio – Alterati lessicalizzati: si presentano formalmente come alterati ma vanno considerati come lessemi elementari (pennino, rosone) – Funzioni semantico-pragmatiche - Diminutivum puerile: tenerezza del mondo degli adulti verso il mondo dei piccoli. - Vezzeggiativo: effetto atmosfera Vorrei un caffeuccio. Beviamoci una birrettina. – Funzione pragmatica di modulazione della forza illocutoria Gli alterati hanno anche un importantissimo ruolo nella modulazione della forza illocutoria. La forza illocutoria indica l’azione che si mette in atto durante un determinato speech act; – Questa forza può essere mitigata ⇒ gli alterati hanno funzione di downgrader Aspettami un’oretta! Copiamo una paginetta al computer! → mitigazione del coinvolgimento del parlante Ti prometto un aiutino! – Questa forza può essere incrementata ⇒ gli alterati hanno funzione di upgrader Che rispostine che dai! → intensificazione del coinvolgimento del parlante Se vieni ti prometto una fettona! I processi fraseologici: sintemi e funzioni lessicali Sono processi volti alla strutturazione del lessico (quindi di lessemi), ma che non ci permettono di ottenere derivati alterati/combinati/composti, bensì fraseologismi. Questi processi possono essere di due tipi: 1) Sintemi 2) Funzioni lessicali Combinazione – i sintemi piede di porco; arrampicarsi sugli specchi; in quattro e quattr’otto; a forza di - Ho mangiato le verze con il piede di porco: Combinazione di parole (→ sintagma) il cui significato viene ottenuto composizionalmente, ovvero sommando i significati dei singoli elementi - Ho dimenticato il piede di porco a casa → in questo caso, piede di porco è una combinazione di parole il cui significato non viene ottenuto composizionalmente (→ il significato non è dato dalla somma dei significati perché si tratta di un lessema strutturale unitario, ovvero funziona come parola unica anche se in questo caso ha manifestazione plurilessematica, non è più un sintagma), ma per motivazione (→ strumento in ferro che per la forma ricorda per analogia il piede dell’animale) → è un sintema: lessema strutturato che funziona come un lessema unico, ma che si presenta come apparenti sintagmi (come costruiti da più lessemi). 71 I sintemi possono essere di diversi tipi: - Nominali: gatto delle nevi, pan di Spagna - Verbali: gettare la spugna, mangiare la foglia, farsi in quattro - Avverbiali: alla carlona, in un batter d’occhio - Preposizionali: a forza di, alla faccia di, a furia di Funzioni lessicali Mel’ciuk: linguista russo autore della teoria linguistica “teoria senso-testo”, teoria in cui ha descritto il meccanismo sotteso alla nostra attività di parlanti, che lui individua essere un meccanismo di tipo traduttivo. La teoria, non a caso, si chiama così perché lui segnala che il parlante, quando è in fase di locuzione (→ momento di formulazione del discorso), parte da un senso, da un’esigenza comunicativa che è come donato all’uomo → l’atto comunicativo nasce dall’esigenza di comunicare questo senso che è donato/emerge dall’esperienza e che deve essere comunicato attraverso un testo; per passare dal senso che deve comunicare al testo o a più testi sinonimici, attua una serie di traduzioni – traduce il senso a livello sintattico profondo, a livello sintattico superficiale, morfologico profondo, morfologico superficiale, fonologico profondo, fonologico superficiale, fino alla realizzazione del discorso nel testo definitivo. → Questo modello vale anche all’inverso: l’attività del parlante in fase di comprensione è inversa – è raggiunto da un testo e nel processo di comprensione traduciamo dal testo al senso. Questo modello dedica molta attenzione al lessico, ovvero a quel momento in cui il parlante traspone il senso che vuole comunicare in strutture lessicali e che permette anche in fase di comprensione al parlante di capire il senso veicolato dal testo formulato dal suo interlocutore. In questo ambito, il linguista ha messo a tema questa struttura lessicale di tipo fraseologico che lui chiama funzioni lessicali – le chiama così perché fa un’analogia con le funzioni matematiche, che indicano processi che applicati sistematicamente ad un argomento x, danno un valore y Fl (x) = y decisione = prendere danno = arrecare aiuto = prestare → funzione di puro verbalizzatore Oper1 = abbreviazione dal latino operari + indice 1 – indica la messa in atto dell’azione da parte del primo attante alla situazione. Questa funzione lessicale esprime il rapporto tra il nome di una situazione (es. decisione, domanda, conclusione, aiuto) ed il verbo indicante l’azione di chi mette in atto quella situazione decisione – prendere domanda – porre conclusione – trarre aiuto – prestare → Questi verbi variano al variare della situazione a cui ci si riferisce/al variare del sostantivo a cui sono combinati, che individua di volta in volta una situazione diversa → prestare/imprestare aiuto, porre/imporre una domanda, trarre/intrarre conclusioni. Questi verbi sono quindi varianti combinatorie (ovvero dipendono dalla combinazione con il sostantivo) o allolessicali; sono dal punto di vista semantico depotenziati, perché perdono la loro funzione comunicativa canonica quando abbinati al sostantivo (es. prestare svolge la sua funzione canonica, ovvero dare qualcosa momentaneamente per poi riaverlo indietro, in enunciati tipo prestare un libro, non con prestare aiuto) → vengono quindi utilizzati, dato che non usufruiscono del loro valore canonico, con funzione di puri verbalizzatori. 72 Stabilisce che in ciascuna lingua ci sono tipi diversi di opposizioni fonologiche → tipologizza queste opposizioni a volte confrontando i due estremi (fonemi) che entrano nella opposizione fonologica. Individua diverse tipologie di opposizioni fonologiche - Opposizioni fonologiche privative (→ come ad esempio P/B): Confrontando un estremo con un altro, emerge che uno dei due estremi presenta un tratto, detto sonorità (→ rappresentata come +, ovvero che quando articolato partecipano anche le corde vocali). Il fono non caratterizzato da sonorità è invece accompagnato da – (→ es. b+/p-) – L’estremo dell’opposizione fonologica con + viene detto estremo marcato, l’altro invece viene detto estremo non marcato - Opposizioni fonologiche graduali: le definisce sempre rimanendo all’interno dell’opposizione fonologica, ma non guarda più se un estremo presenta un tratto assente nell’altro. In questo caso, guarda se c’è un tratto che è presente nei due estremi in gradi diversi Un esempio di tratto che può essere presente in gradi diversi, è l’apertura delle vocali → una vocale può essere articolata in modo aperto o chiuso es. pésca (frutto) e pèsca (atto di pescare): questa opposizione di vocale aperta/chiusa è graduale perché nei due estremi é/è è presente un grado diverso di apertura. - Opposizioni fonologiche bilaterali, le classifica secondo un altro grado di criterio: le caratterizza osservando tutto il sistema fonologico, ovvero chiedendosi se la base comune dei due estremi presi in considerazione, caratterizza solo loro o se vi è un altro fono all’interno del sistema fonologico della lingua presa in considerazione che presenta lo stesso tratto – ciò che le accomuna è il loro essere occlusive bilabiali, dentali o velari. - Opposizioni fonologiche multilaterali: hanno una base di comparazione condivisa da almeno un altro fono della lingua presa in considerazione. Es. b e d condividono occlusività e sonorità, ma questa base di comparazione è condivisa anche dal fono g. - Opposizioni fonologiche proporzionali: tra i due foni della coppia oppositiva esiste un rapporto equivalente a quello di un’altra coppia oppositiva del sistema linguistico – P:b = t:d = k:g - Opposizioni fonologiche costanti e neutralizzanti: abbiamo visto che il fonema svolge una funzione di differenziazione e diversificazione. Ci sono dei casi in cui la coppia oppositiva allenta, in alcuni contesti specifici, la sua funzione distintiva diacritica – es. In tedesco la parola RAD viene scritta con il fono D ma viene pronunciata con il fono T, l’opposizione fonologica viene quindi neutralizzata e l’esito di questa neutralizzazione è l’arcifonema (= fonema che coincide con l’estremo non marcato dell’opposizione fonologica) → Ma come distinguiamo Rad (ruota) da Rat (consiglio)? In base all’analisi del contesto. Epistemologia Epistemologia (dal greco) = discorso scientifico che assume come proprio oggetto le scienze stesse per definire in rapporto a ciascuna l’oggetto d’analisi e i metodi, ma anche il linguaggio e i rapporti con le altre scienze. - Scienze formali → matematica e logica - Scienze descrittivo-classificatore → osservano il dato e lo classificano - Scienze ipotetico-deduttive → si basa su dati non osservabili (es. fonema) sui quali vengono formulate delle ipotesi di funzionamento da cui vengono prodotti i dati. – La linguistica generale è una scienza ipotetico-deduttiva che mette in luce tutti i meccanismi sottesi a quel fenomeno particolare per cui delle successioni di suoni che noi ci scambiamo nelle interazioni comunicative sono portatori di significati. Il dato suscita una domanda, porta ad uno sforzo esplicativo diventando quindi per un ricercatore un problema 75 (dal greco proballo: mettere davanti agli occhi). E questa domanda nata dal dato suscita curiosità nel ricercatore. Aristotele ha segnalato che gli uomini hanno iniziato a ricercare proprio a causa della meraviglia. Inoltre, le scienze per interpretare un dato devono guardarlo come indizio di qualcosa di più ampio → i dati sono quindi indizi che possono essere: - Osservabili – li troviamo nella realtà - Non osservabili (vd. cap. 3) Roman Jakobson Uno dei fondatori della Opojaz, società di studiosi dell’analisi della lingua poetica. Ha indagato i disturbi dei soggetti afasici (= persone che hanno delle patologie del linguaggio in seguito a lesioni cerebrali) e da questi suoi studi è emerso che la tipologia dei soggetti afasici è riconducibile ai due aspetti del funzionamento del linguaggio: - asse della similarità - asse della contiguità La morfologia Esiste la lingua? La lingua è un dato non osservabile/esiste solo in sede mentale. Noi vediamo i dati linguistici, il lessico, i dati morfologici che dobbiamo spiegare formulando su di essi ipotesi/modelli/nozioni. Morfologia: È anche questa una struttura intermedia, è un pattern di realizzazione presente in sede mentale per cui quando nei testi/discorsi ci sono dei dati morfologici li riconosciamo grazie a questo pattern. Grazie a questo pattern della morfologia non solo riconosciamo gli elementi morfologici nei testi, ma siamo anche in grado di produrre dati linguistici con la loro componente morfologica quando noi creiamo messaggi La morfologia è il discorso sulla forma (morphé) delle parole. Infatti, troviamo morfologia quando abbiamo a che fare con le parti variabili del discorso (nome, aggettivo, verbo). Queste parti variabili sono così chiamate perché possono presentarsi con diverse realizzazioni morfologiche (ovvero diversa forme di parola). – Troviamo morfologia nei lessemi variabili es. alber-o, cant-o, cant-av-o. Trattino = individua che in queste parole c’è un componente lessematico – alber = componente morfologico, o = componente morfologico costituito da un solo morfo che si lega alla base lessematica che rimane sempre identica ⇒ Cant-o/cant-a-vo sono una delle realizzazioni morfologiche di cantare. Cantavo – realizzazione morfologica del verbo cantare. Ha un componente morfologico costituito da due morfi (av, o) Quando il componente m. è costituito da più morfi si parla di agglutinazione. Vi sono lingue in cui il componente m. costituito da più morfi è raro (→ es. italiano) ed altre in cui è più comune. Nel reparto di produzione che è la lingua vi è una struttura intermedia, un reparto di elaborazione, che è il lessico, il quale prende qualcosa in entrata e da qualcosa in uscita. In uscita il lessico può dare parti invariabili del discorso che entreranno in ingresso al reparto di produzione successivo che è la sintassi (→ altra struttura intermedia). Se il lessico genererà invece una struttura variabile, questa non entrerà direttamente nella sintassi ma entrerà nella struttura della morfologia dove subirà un processo di elaborazione morfologica → la parte variabile del discorso viene arricchita di morfi, i quali manifestano dei morfemi ( la funzione morfologica ovvero grammaticale che il morfo svolge) – es. alber-o → il morfo o in albero manifesta il morfema del genere/numero singolare, ovvero ci dice che albero è un sostantivo maschile singolare. 76 Una volta arricchita la parte variabile del discorso dal suo componente morfologico costituito da morfi e morfemi, si ottiene una forma di parola Forma di parola → sono le parti variabili del discorso con le loro realizzazioni morfologiche, queste usciranno dalla morfologia e si collocheranno all’ingresso di quella struttura intermedia con la quale noi parlanti costruiamo gli enunciati, ovvero la sintassi Morfemi → unità elementare nel sistema delle forme grammaticali che indicano la funzione morfologica, quindi grammaticale, svolta del morfo es. genere maschile e femminile/numero singolare e plurale Morfo → strategia di manifestazione dei morfemi Categorie morfematiche La morfologia è un sistema chiuso, ovvero è stabilito il numero dei morfemi contenuti all’interno di ciascuna categoria morfematica → il lessico invece è un sistema aperto in quando può continuare ad arricchirsi di nuovi elementi attraverso processi di strutturazione di vario genere/fenomeni dei prestiti e dei calchi. Perché esiste la morfologia nelle lingue? Come qualsiasi oggetto della realtà necessariamente data la sua natura prende posizione rispetto a tratti caratteristici, così quando siamo in ambito linguistico le entità linguistiche sono chiamate a prendere posizione rispetto a categorie morfologiche. – Nome: ci permette nella nostra attività di parlanti di denotare gli oggetti presenti in un frammento di realtà → il nome per sua natura necessariamente dovrà prendere posizione rispetto alla categoria morfematica del numero, genere e talvolta anche il caso con cui si dà l’entità a cui si riferisce. – Aggettivo: per sua natura prende posizione riguardo alla proprietà – genere, numero, grado – di una entità a cui si riferisce. Il grado può essere positivo, comparativo o superlativo. – Verbo: deve prendere per natura una posizione rispetto a sei categorie morfematiche: - Genere – indica la transitività, permette un complemento oggetto, o intransitiva del verbo, generalmente verbi di moto - Diatesi – può essere attiva o passiva - Modo – un’azione può essere reale o ipotetica - Tempo - Numero - Persona Tipologia delle lingue dal punto di vista morfologico Le lingue in base alla loro morfologia possono essere classificate in due grandi gruppi: 1. Lingue isolanti o analitiche: lingue povere o prive di morfologia, es. cinese – povero, utilizza altri strumenti che svolgono lo stesso compito, inglese – povero. 2. Lingue sintetiche: lingue ricche di morfologia. - lingue agglutinanti: presentano componenti morfologici molto articolati, formati da molti morfi (es. lingue turciche, finlandese, norvegese). - Lingue flessive: sono lingue che ricorrono ai casi (es. italiano) → L’italiano ha pochi casi di agglutinazioni es. cantavo – Vi sono lingue più flessive e meno flessive es. latino/tedesco/russo sono lingue più flessive rispetto all’italiano Il calcolo delle forme Possiamo stabilire preventivamente quante forme di parola avrà una certa parte variabile del discorso in una lingua o in più lingue. Possiamo predire le forme di parola perché la morfologia è 77 libro, tavolo, albero, badile sostantivi maschili Quando siamo nel caso del sostantivo che individua entità animate, il genere indica il genere naturale (maschile o femminile), mentre nel caso di entità inanimate indica il genere grammaticale. Morfolessemi – Gli ornitorinchi del sistema linguistico Morfolessemi = gli articoli determinativi e indeterminativi, non sono entità attribuibili completamente né all’insieme della morfologia né a quello del lessico – sono all’intersezione dei due insieme e sono quindi definiti per approssimazione (perché non abbiamo dei criteri di decidibilità precisi, dei set of features, che ci permettano di attribuirgli ad un gruppo piuttosto che ad un altro. Ciò nonostante, questa approssimazione ci permette di classificarli Ornitorinchi: in zoologia sono animali che, per determinate caratteristiche, non appartengono ad un insieme preciso e vengono quindi classificati per approssimazione (un approccio valido dal punto di vista scientifico laddove ci permette di essere vicini alla realtà, di accostarci alla realtà). Quali sono i paradigmi morfematici nei confronti dei quali prendono posizione? Articoli determnativi (il): determinatezza, genere, numero Articoli indeterminativi (un): indeterminatezza, genere, numero → Genere e numero sono morfemi estrinseci perché dipendono dalla concordanza sintattica del sostantivo a cui l’articolo si riferisce essendo i morfemi del genere e del numero omologhi a quelli del sostantivo (questo vale per ambedue gli articoli) (In)Determinatezza = morfema intrinseco, non dipende dalla concordanza, è intrinseco all’articolo. Determinatezza e indeterminatezza sono molto importanti perché nella comunicazione gestiscono il common ground – quando utilizziamo l’articolo indeterminativo l’entità che noi andiamo ad individuare non fa parte del common ground del nostro destinatario, quando invece usiamo un articolo determinativo segnaliamo che l’entità menzionata è nota al destinatario e denota il suo common ground. Case study 1) Analizzate dal punto di vista morfologico le seguenti forme di parola: mangio cantavo sono andato 2) Individuate quattro esempi di morfo zero nelle diverse lingue a voi note. 3) Che cosa si intende per allomorfia? Definite il fenomeno e date alcuni esempi. 4) Che cosa si intende per suppletivismo? Definite il fenomeno e date alcuni esempi. La negazione e la dinamica dello scope Proprio perché l’uomo e solo l’uomo parla, ed è quindi caratterizzato da una facultas loquendi, è in grado anche di negare, presentando quindi una facultas negandi. La negazione svolge molteplici funzioni linguistiche oltre a capovolgere il valore di verità di un giudizio → funzione che è stata messa in tema in sede logica (nei trattati di logica viene sempre presentata come operatore logico che capovolge il valore di verità di contenuti proposizionali, ovvero giudizi). La negazione è un universale linguistico, ovvero in tutte le lingue fino ad ora conosciute sono presenti lessicalizzazioni della negazione (→ in ita: non, no/ ted: nein, nicht/ ingle: no, not) Anna Wierzbicka e i semantics primitives 80 È una linguista polacca che ha svolto uno studio sui semantics primitives. Insieme ad un gruppo di studiosi è andata alla ricerca degli elementi universali linguistici, che loro definiscono primitivi semantici, verificando se questi siano presenti in tutte le lingue attualmente conosciute. Hanno stabilito all’inizio un gruppo di concetti primitivi semantici e sono andati a cercare le loro lessicalizzazioni in tutte le lingue conosciute molto diversificate dal punto di vista tipologico. → In questo gruppo di primitivi semantici hanno inserito la negazione e nell’indagine è stato rilevato che la negazione è uno dei primitivi concettuali presente in tutte le lingue prese in considerazione ⇒ ha carattere universale. Inizialmente, la Wierzbicka e i collaboratori pensavano che la negazione fosse presente sin dagli stadi iniziali della nostra attività di parlanti soltanto nella sua funzione di rifiuto e che il bambino non sapesse utilizzare la negazione con funzione di operatore logico. (con la negazione possiamo capovolgere un giudizio – funzione logica, ma possiamo anche esprimere un rifiuto – Vuoi venire al cinema? NO.) → Pensava questo perché avevano trovato in una interazione tra bimbi l’uso di “no” in un gioco: un bambino aveva chiesto ad un altro un camioncino ma l’altro gli dà una macchinetta e allora il bambino dice “No truck” e pensavano quindi che questo “no” documentasse la presenza nel bambino di un uso della negazione come rifiuto. Poi successivamente, analizzando più approfonditamente, si sono accorti che questi bambini giocando quando dicevano questo “no” non intendevano dire un rifiuto, ma bensì “this is not a truck” utilizzando il no (non aveva ancora imparato a dire “Not”) – utilizzava la marca “no” quindi per capovolgere un giudizio. Non si esclude che, anche nella comunicazione animale, vi siano manifestazione della negazione → vi è un ricorso alla manifestazione della negazione come rifiuto spesso con una componente ludica (non c’è nell’animale l’uso della negazione come operatore). Queste forme di comunicazione vengono approfondite nell’ambito della zoosemiotica – perché gli animali hanno forme di comunicazione ma non parlano? - Perché non usano segni linguistici, ma bensì segnali: i segni linguistici si apprendono in quel momento dell’educazione in cui gli adulti insegnano ai piccoli a dare i nomi alle cose, mentre i segnali sono innati. Inoltre, mediante i segni costruiamo testi, messaggi, discorsi attraverso i quali attestiamo la realtà prendendone quindi consapevolezza. Mentre il segnale al contrario non permette di rappresentare la realtà ed è solo uno stimolo che suscita una risposta - Un’altra differenza che distingue la comunicazione umana da quella animale è la comunicazione di secondo grado: noi A possiamo conoscere un certo oggetto C senza averne avuto un’esperienza diretta (es. sappiamo che al polo sud ci sono i pinguini anche se non ci siamo mai stati) ma attraverso una testimonianza dataci da un intermediario B. Questa comunicazione di secondo grado invece non esiste negli animali. Che cosa facciamo quando neghiamo – le funzioni della negazione Quando usiamo la negazione non facciamo sempre la stessa cosa – La negazione permette di svolgere diverse funzioni comunicative ⇒ possiamo compiere funzioni comunicative diverse perché questo dipende sempre dalla dinamica dello scope – Anche la negazione è un predicato (rientra nell’ambito degli avverbi) che seleziona con il suo scope aspetti diversi e a seconda della zona di attivazione abbiamo le funzioni diverse della negazione. Scope degli avverbi Forse Maria domani parte per Roma Maria, forse, domani parte per Roma Maria forse domani ….. Maria domani forse parte…. 81 Maria domani parte forse per Roma Maria domani parte per Roma, forse Scope della negazione Non esiste una terza via Non hanno commesso il fatto Ieri non è venuto a trovarci (1) In tutti e tre i casi la negazione seleziona tutto l’enunciato e capovolge il valore di verità del contenuto proposizionale → «è falso che» – È una negazione verocondizionale = opera sulle condizioni di verità; è la funzione canonica della negazione. ¬ p = rappresentazione logica della negazione di un contenuto proposizionale (2) Negazione come rifiuto di fare, selezionando con il suo scope la forza illocutoria di un atto di linguistico. Non ti prometto di venire ¬ Pr (p) Si rifiuta di promettere; è un atto linguistico commissivo (Searl) – il “non” colpisce l’illocuzione di promessa (non seleziona più il contenuto proposizionale) e indica un rifiuto di compiere un’azione. Prometto di non venire Pr (¬ p) → La negazione non è un rifiuto di promessa, interviene sul contenuto proposizionale (3.1) Scope della negazione e paradigma (multiplo) Quel vestito non è rosso La negazione seleziona con il suo scope un elemento di un paradigma multiplo (in questo caso del paradigma cromatico). La negazione, andando a selezionare questo elemento di un paradigma multiplo, apre il testo a tutti gli altri possibili elementi del paradigma. ⇒ questo vestito non è rosso ma può essere o… o… o… Dicendo questo vestito è rosso, il parlante esclude dal testo tutte le altre possibilità del paradigma perché determina quel modo di essere di quell’elemento. (3.2) Scope della negazione per dire e paradigma polare (binario – scalare) La luce non è accesa La donna non è sposata Negando l’elemento, il testo si apre all’altra possibilità prevista dal paradigma binario – spenta o sposata. Questa minestra non è calda Quel bambino non è buono Quando la negazione seleziona l’elemento polare di un paradigma scalare, il testo si apre all’altro elemento polare ma anche a tutti gli altri valori intermedi contenuti nel paradigma. (4) Scope della negazione e morfema del grado dell’aggettivo Questo caffè non è caldo, ma bollente Seleziona il morfema del grado, negando il grado positivo e affermando quello superlativo. La casa non è bruciata, sta bruciando La negazione può anche selezionare il morfema del tempo verbale. (5) Scope della negazione e direzione di lettura del conversivo Non è Maria che è moglie di Pietro ma è Pietro che è marito di Maria. La negazione qui non seleziona Maria, bensì seleziona la direzione di lettura del conversivo “moglie”. (6) Scope della negazione e implicazione Piove ma non fa freddo Abbaia ma non morde *Abbaia ma non dorme Luigi è andato al cinema ma non si è divertito 82 Bambino X umano, umano è il predicato, la nota o caratteristica che permette di individuare il denotato, l’oggetto a cui si riferisce il sostantivo. Il nome comune designa attraverso le note, mentre il nome proprio designa senza denotare. Maria, Paolo, Mario: ovviamente indicano una X ma non possiamo dire tale che, non ci permettono di individuare un referente. → L’individuazione dell’entità animata umana avviene attraverso un procedimento deittico. Dobbiamo individuare nel discorso quella realtà a cui attraverso quel processo di deissi è stato dato il nome di Maria piuttosto che di Paolo ecc.. 2. Nomi concreti e astratti Spesso si pensa che il nome concreto indichi qualcosa che esiste, si vede e si tocca, mentre il nome astratto indica qualcosa che non esiste. Questa è una caratterizzazione non corretta. – Il nome concreto è un nome che indica una certa entità, e di questa entità possiamo dire che esiste, non esiste o può non esistere. – Il nome astratto indica qualcosa di cui possiamo dire che accade o non accade, che ha luogo o non ha luogo es. bellezza, arrivo o bontà – il nome astratto deriva dal verbo latino abstraho che vuol dire strappare. Potremmo dire strappando via il modo di essere da cui deriva, bellezza deriva da bello, bello è un aggettivo, cioè un predicato che indica un modo di essere che può accadere in diversi momenti della realtà: possiamo avere un fiore bello, un volto bello, un paesaggio bello. Possiamo osservare diversi momenti della realtà a cui possiamo attribuire questo modo di essere. È possibile strappare questo modo di essere dai momenti di realtà in cui accade e una volta strappato lo trasformiamo in un sostantivo che indica questa proprietà. Una proprietà, bellezza o bontà, che può accadere o non accadere. Arrivo è un nome astratto in quanto indica un’azione che può accadere o non accadere. Possiamo avere l’arrivo di Luigi, l’arrivo del nonno… Può avere luogo o non avere luogo. Anche qui strappiamo questo modo di essere dai punti in cui può accadere o non accadere e lo trasformiamo in un sostantivo → Se il nome astratto deriva da predicati diciamo che è un nome depredicativo. Il nome astratto è il nome di un predicato, di un modo di essere. 3. Nomi numerabili e nomi di massa – Nomi numerabili come bambino, albero, notte, processo, sono nomi che, come dice lo stesso termine con cui vengono individuati, designano delle entità discrete, ossia entità che sono delimitate nello spazio o nel tempo con un inizio e con una fine. – I nomi di massa sono del tutto diversi, non indicano più entità discrete ma indicano entità che non possiamo configurare con confini precisi nello spazio e nel tempo es. acqua, zucchero, bontà, giustizia. Qualora abbiamo a che fare con nomi di massa possiamo articolare la massa mediante strutture linguistiche che possono essere di tipo diverso. Innanzitutto possiamo articolare il nome di massa attraverso i “quanta” es. zolletta per lo zucchero, panetto o noce per il burro. Inoltre si possono articolare tramite le misure: litri per i liquidi, quintale, etti, chilogrammi per le cose solide… Possiamo utilizzare anche i contenitori es. un bicchiere d'acqua, una bottiglia di vino. 4. Nomi individuali e collettivi È una distinzione del nome che viene attuata all’interno dei nomi numerabili. I nomi individuali sono ad esempio nave, pesce, ape e si differenziano dai collettivi come flotta, branco, sciame. – I nomi individuali indicano le singole entità, mentre i nomi collettivi indicano i raggruppamenti tipici di quella entità. Gli usi del nome L’uso duplice che possiamo fare del nome: uso denotativo o categoriale. Questo dipende dalla struttura semantica del nome. Per individuare il nome come abbiamo detto dobbiamo vedere se 85 indica una certa entità. In questa struttura semantica del nome (x: Px), la X è la componente denotativa, mentre la parte predicativa prende il nome di componente categoriale. Quando parliamo possiamo privilegiare l’uno o l’altro di questi aspetti. Possiamo dire: Il farmaco ha guarito il bambino. Il professore è arrivato in ritardo. In questi due enunciati facciamo un uso denotativo del nome in quanto in primo piano c'è il compito del nome di individuare una realtà, e la componente predicativa viene utilizzata per farci capire a che realtà ci stiamo riferendo. Possiamo farne anche un uso categoriale: Il leone è il re della foresta. Il presidente della Repubblica ha scarsi poteri. Qui il sostantivo è usato per fare riferimento alla categoria. Non serve che X denoti una certa entità, basta solo che individui la categoria. Se dicessimo Il presidente della Repubblica ha 75 anni dovremmo individuare colui che è attualmente presidente della Repubblica ⇒ uso denotativo, se invece consideriamo il primo enunciato ci accorgiamo che emerge solo la componente categoriale. Dalla struttura sintattica all’organizzazione testuale Strategie di manifestazione del nesso sintattico La tipologia delle lingue determina modalità diverse nella manifestazione dei nessi sintattici. - Nelle lingue prive di morfologia (isolanti o analitiche) la sintassi non può essere manifestata che attraverso l’organizzazione reciproca dei lessemi nell’enunciato. John loves Mary Mary loves John John gave Mary an interesting book - Le lingue sintetiche presentano diverse strategie di manifestazione del nesso sintattico. Emergono in esse fenomeni di tipo morfo-sintattico, in cui morfologia e sintassi sono totalmente interconnesse. I morfemi estrinseci sono strutture morfologiche la cui funzione è di manifestazione della sintassi. Segnalano il ruolo che deve essere attribuito a un certo lessema nell’enunciato. → una donna generosa – il nesso sintattico in questo caso è manifestato dalla concordanza di morfemi estrinseci, che quindi hanno la funzione di segnalare il ruolo svolto da un certo lessema all’interno dell’enunciato. – I nessi sintattici si manifestano fondamentalmente secondo tre modalità: concordanza (1), reggenza (2), giustapposizione (3). 1) Concordanza Una piccola casa Consiste nella presenza obbligatoria di morfemi omologhi nel nucleo del sintagma e nell’espansione. I morfemi estrinseci dell’articolo (determinante) e dell’aggettivo (espansione) sono omologhi di quelli intrinseci del sostantivo (nucleo). Articolo e aggettivo concordano col nome per genere e numero. 2) Reggenza 86 Quando i morfemi estrinseci che compaiono in un sintagma sono determinati da un altro sintagma. Amicus amicum iuvat sine die mit guten Freunden Il dativo del sostantivo è retto (esigito) dalla preposizione mit, mentre l’aggettivo concorda con il sostantivo per genere, numero e caso. 3) Giustapposizione Prevale in lingue come l’italiano o l’inglese – Distinguiamo le relazioni sintattiche grazie alla posizione nell’enunciato. Luigi ama Maria A red car Quando prevale la giustapposizione, è inevitabile che l’ordine delle parole assuma una funzione determinante in questo senso e sia, di conseguenza, meno libero. Ordine delle parole È una delle cinque strutture intermedie. L’odp è certamente importante per manifestare la funzione sintattica, ma svolge anche una funzione comunicativa propria. Andrea arriva Che cosa fa Andrea? Arriva Andrea Chi arriva? Cambia il vertice semantico (rema). In inglese la sintassi non è così libera: Andrew is arriving It is Andrew who is arriving (cleft-sentence) Polisemia delle strutture sintattiche Come le altre strutture intermedie anche le strutture sintattiche possono: a) Essere polisemiche John gave Mary red wine John teaches university students linguistics Magister pueros grammaticam docet L’oggetto diretto dei verbi ditransitivi (in latino e in inglese) è una struttura sintattica polisemica: manifesta sia il secondo che il terzo argomento attraverso la medesima relazione di oggetto diretto, che risulta pertanto polisemica. b) Presentare varianti John gave red wine to Mary John teaches linguistics to university students Varianti sintattiche: l’argomento fruitore viene manifestato dal sintagma preposizionale introdotto da to. Mary was given red wine by John Nella costruzione dei conversivi sintattici di to give – che pongono come soggetto sia il fruitore (Mary) e l’oggetto (red wine) si ha polisemia della relazione di soggetto. Red wine was given to Mary by John Variante sintattica: l’argomento fruitore viene manifestato dal sintagma preposizionale introdotto da to. Conversivo sintattico John gave Mary red wine Mary received red wine from John conversivo lessicale Mary was given red wine by John conversivo sintattico 87