Scarica Linguistica generale Unicatt prof.ssa Gatti e più Appunti in PDF di Linguistica Generale solo su Docsity! -Presentazione corso monografico- Prenderemo in esame la nozione di struttura intermedia che verrà introdotta sostituendo parzialmente il concetto neolinguistico, ci chiederemo come sono costituiti gli strumenti che il parlante utilizza per costruire i messaggi. Vedremo che più che segni linguistici, così come erano stati descritti da Saussure, noi parlanti utilizziamo delle entità linguistiche che chiamiamo strutture intermedie in quanto sono indeterminate sia sul versante del significato che sul versante del senso. Sono una sorta di mattoni con i quali possiamo costruire la casa del nostro discorso. Le strutture intermedie sono di vario tipo, corrispondono sostanzialmente ai livelli classici della lingua. Osserveremo innanzitutto il lessico e i suoi processi di formazione, esso è un sistema aperto che si arricchisce di continuo in nuovi elementi. Ciò non avviene soltanto attraverso il fenomeno del prestito, del mistico o del calco ma attraverso una costruzione di nuove parole strutturate che vengono costruite dal parlante stesso. Prenderemo poi in esame la morfologia, vedremo che le lingue storico-naturali si differenziano molto da un punto di vista morfologico (lingue come il cinese prive di morfologia, lingue particolarmente ricche di morfologia sono quelle flessine). Osserveremo poi un’ulteriore struttura intermedia, ovvero la sintassi. Passeremo in rassegna i processi sintattici, paratattici e ipotattici con cui costruiamo i messaggi. Altre due strutture intermedie sono l’ordine delle parole e l’intonazione che integreremo nel lessico e nella sintassi in quanto questi ultimi si appoggiano all’intonazione, la sintassi in particolare si appoggia anche al fenomeno dell’ordine delle parole. In questa rassegna delle strutture fondamentali delle nostre lingue faremo delle considerazioni di tipo contrastivo, cioè paragoneremo l’italiano con le altre lingue moderne negli aspetti di analogia e differenza. Nelle funzioni comunicative del discorso vedremo che alcune parti del discorso sono variabili e altre invariabili, tutte svolgono un compito comunicativo. Ciascuna parte del discorso verrà analizzata e descritta dal punto di vista morfologico, semantico e sintattico per farne emergere il potere comunicativo. Passeremo poi ad osservare le modalità sintattiche con cui costruiamo i nostri discorsi per poi passare dalla struttura sintattica all’organizzazione del testo, ossia vedremo come le strutture intermedie calate nel testo perdono la loro indeterminatezza e si precisano sia per quanto riguarda l’apporto di senso sia per la strategia di manifestazione. Descriveremo una serie di processi di testualizzazione con i quali il testo lavora sulle strutture intermedie e le precisa sul versante del significante e sul versante del significato. Da ultimo ci occuperemo del fenomeno della negazione, vedremo quali sono le funzioni che compiamo quando utilizziamo la negazione. Quando neghiamo capovolgiamo il valore di verità di un contenuto, la negazione ci consente però di svolgere altre numerose funzioni. Può avere diversi punti di applicazione nella lingua che producono diversi effetti di senso dei nostri discorsi. Analizzeremo i cinque requisiti perché un messaggio sia congruo e quindi possa essere sensato veicolare senso. -Rapporto tra linguaggio e ragione [Capitolo 4]- Per capire in che senso il nostro linguaggio è intessuto di nessi logici, quindi di ragione, ci lasciamo sfidare dal termine greco logos caratterizzato da una polisemia. Questa parola difatti significa nello stesso tempo ragione, discorso, linguaggio, parola. Per parola intendiamo l’atto di parola e non singolo segno linguistico. Inoltre, il termine indica anche il calcolo. La prima domanda che ci poniamo è se con questi tre significati il logos sia una parola polisemica o omonima. Occorre innanzitutto notare che questa parola greca è molto particolare, né in latino né in nessuna lingua moderna esiste un termine analogo che copra queste tre accezioni. Cicerone nel De officiis per rendere il termine logos utilizza le endiadi (combinazione di parole ordinate attraverso la congiunzione “et”) ratio et oratio. L’accezione di calcolo è conservata anche dal termine latino ratio, infatti l’espressione a rationibus caratterizzava i funzionari nell’Impero Romano che si occupavano delle caste finanziarie per l’amministrazione delle entrate e uscite. L’accezione di calcolo è stata veicolata anche dal termine italiano ragione, osserviamo infatti l’espressione palazzo della ragione che indica i municipi e quindi luoghi dell’amministrazione pubblica. -Il concetto di polisemia e omonimia- Osserviamo in italiano la parola lama essa può significare la parte contundente del coltello, l’animale mammifero oppure il Dalai-Lama. È un sostantivo che veicola tre significati logicamente non collegabili tra loro. Nel caso del termine fiera abbiamo il significato di animale selvatico o di mercati svolti periodicamente. Anche in questo esempio abbiamo una parola che veicola due significati non collegabili fra di loro, abbiamo dunque anche in questo caso un omonimo. Il francese louer significa sia lodare che affittare, anche qui non riusciamo a ricostruire un nesso motivazionale, è un omonimo. Osserviamo ora il termine carta: nell’espressione carta di Fabriano il sostantivo veicola il significato di supporto cartaceo. Il significato espresso da carta dei diritti umani non fa tanto riferimento al supporto materiale ma al testo stilato nel quale vengono elencati i diritti dell’uomo. Certamente questa accezione è un significato che può essere ricondotto al significato dell’espressione precedente. C’è una motivazione del nesso tra i due significati, per tanto una parola è polisemica quando da un significato originario si sviluppa un significato secondario. Le parole polisemiche esistono in tutte le lingue, prendiamo per esempio der Nagel che in tedesco può significare sia chiodo che unghia. I due significati sono accomunati da un elemento di durezza del materiale di cui sono costituite. Il sostantivo capo è una parola polisemica con significato di testa, da questo significato di parte superiore del corpo si è sviluppato il significato secondari di essere a capo di un qualcosa e quindi dirigente. -Ragione come organo del tutto- I significati presenti nel termine logos sono collegati tra loro? È evidente il rapporto tra l’accezione di ragione e calcolo (applicazione sistematica della ragione). Il nesso tra ragione e discorso è invece più complesso da comprendere, in italiano una continuazione di logos è logica (scienza che si occupa del ragionamento). Logos continua in italiano anche in una serie di suffissoidi per esempio analogia, glottologia, zoologia. Con analogia il suffissoide logia indica l’accezione di discorso o linguaggio. I suffissoidi sono dei suffissi particolari che derivano da un originario sostantivo, per esempio da lavorare formiamo il termine lavoratore “tore” è un suffisso che permette di creare un derivato, è un suffisso che non deriva da un originario sostantivo. Logia, in quanto deriva da logos, è un suffisso che parte da un originario sostantivo divenuto un suffisso che permette di creare parole nuove. Con glottologia o zoologia il suffissoide crea il significato di scienza che si occupa di un determinato studio. Per poter cogliere il nesso tra l’accezione di ragione e di discorso bisogna prima circoscrivere il concetto di ragione. Per descrivere cosa sia la ragione proviamo a fare un collegamento con gli organi percettori come la vista e l’udito. L’essere umano è dotato di organi percettivi che lo mettono in contatto con ambiti particolari della realtà (vista =mondo delle forme e dei colori; udito =mondo dei suoni) e se prendiamo la ragione come organo umano vedremo crea un nesso predicativo-argomentale. Alla base della composizionalità sta quindi il principio logico di congruità. -Composizionalità e virtualità- Il fenomeno della virtualità ha a che fare con quello della composizionalità, la dimensione della virtualità ha una sua sede nella lingua. Combinando i due elementi bambino e dorme otteniamo l’enunciato “il bambino dorme” che è una vox articulata, cioè il discorso è articolato in questi due elementi. Non si tratta di una semplice somma dei due segni linguistici ma nell’unione sentiamo brillare un senso unitario. Ciò che otteniamo è la rappresentazione di un frammento possibile di mondo, non abbiamo la somma di singoli significati ma la rappresentazione di una scena. Attraverso la composizionalità noi rappresentiamo frammenti di mondo virtuali. -Dalla virtualità all’attualità- Se attraverso l’esperienza esiste un frammento di mondo che può essere descritto in termini come “il bambino dorme” otteniamo la rappresentazione di uno stato di cose. È la rappresentazione di un fatto che si può riscontrare nell’esperienza. Se attraverso il confronto con l’esperienza troviamo un fatto reale che è descrivibile in questi termini usciamo dalla virtualità e potenzialità del discorso all’attualità. Il linguaggio ci permette così di uscire, attraverso il riscontro con l’esperienza, dalla rappresentazione di frammenti di mondo virtuale a quella reale. Se invece, attraverso una verifica con l’esperienza, non troviamo un frammento di mondo descrivibile in questi termini avremo prodotto una menzogna (il discorso parla di una non-realtà come se fosse una realtà). Il linguaggio umano apre dunque alla possibilità della menzogna. Il professore Boris Uspenskij con la sua riflessione “gli animali non sanno mentire” segnala che l’uomo, grazie alla facoltà del linguaggio, può mentire mentre gli animali non ne sono in grado. Abbiamo scoperto che la composizionalità assicura all’uomo la libertà rispetto alla realtà, l’uomo è libero nella rappresentazione della realtà. -Principio di congruità- Dicevamo che la composizionalità si fonda sulla congruità, perché si dia un nesso congruo non è sufficiente l’unione di argomento e predicato. Ciascun predicato non seleziona tutti gli argomenti ma seleziona i propri argomenti, un predicato non può essere combinato con qualsiasi elemento. È il predicato a stabilire quali sono gli elementi a cui poter essere combinato. Prendiamo per esempio il predicato cammina seleziona gli argomenti scartandone alcuni. -Insensatezza e contraddizione- Se combiniamo gioia con cammina otteniamo qualcosa di insensato, l’insensatezza non è da confondere con la contraddizione. Nell’immagine ci sono due enunciati contraddittori in quanto veicolano il principio di non contraddizione (pnc) che dice che una cosa non può essere e non essere nello stesso tempo e sotto il medesimo aspetto. Il pnc è stato individuato da Aristotele ed è alla base del nostro modo di ragionare. Se violiamo questo principio otteniamo enunciati contraddittori. L’insensatezza nasce invece dalla violazione del principio della congruità e non è dicibile, non crea testo. -Qualità degli argomenti [PARAGRAFO 4.6]- Dobbiamo ora prendere in considerazione una seconda caratteristica del predicato che caratterizza il suo schema argomentale, ossia la qualità degli argomenti. Se prendiamo il predicato triadico dare vediamo che individua una situazione extralinguistica di scambio. Calando questo predicato in un testo otteniamo “Luigi (X1) dà un libro (X2) a Maria (X3)” in cui X1 individua un’entità animata umana analogamente a X3. Queste due variabili oggettuali indicano entrambe un oggetto animato umano. X2 è una variabile oggettuale che indica invece un’entità inanimata. Il predicato seleziona tre argomenti di natura oggettuale, il termine oggettuale viene usato indistintamente per indicare sia gli oggetti che sono inanimati che quelli animati umani. Proviamo adesso a contestualizzare il predicato dare: “Enrico dice a Simona che Nicolò dorme” in cui X2 è il contenuto del discorso che Enrico svolge. X2 è pertanto un argomento di natura discorsiva, infatti dire è un verbo che introduce un ulteriore discorso, siamo nell’ambito dei verba dicendi. Quando abbiamo questi verba dicendi si parla di verbi meta discorsivi che introducono altri atti del dire. Utilizziamo un grafo semantico in cui contrassegnamo il vertice col predicato dire da cui partono tre frecce orientate verso gli argomenti. Il secondo argomento è a sua volta un predicato, è monadico e apre a un ulteriore argomento. X2 è un contenuto proposizionale, ovvero indica i contenuti delle proposizioni. Il dormire da parte di Nicolò è il contenuto della proposizione che coincide con il secondo argomento del predicato triadico dire. -Ordine degli argomenti- Nella frase “Sara dà un libro a Giovanni” dare individua una situazione extralinguistica di scambio. Proviamo a permutare l’ordine di X1 e X3 senza cambiare però la situazione comunicativa: “Giovanni riceve un libro da Sara”. In questo modo abbiamo ottenuto un predicato di tipo conversivo, cioè che legge la situazione di scambio in direzione opposta. Esistono diversi predicati che sono dei conversivi lessicali: “Luigi è marito di Maria” può essere “Maria è moglie di Luigi”. Proviamo ora a spostare un predicato e vediamo cosa succede dal punto di vista del campo d’azione. In alcuni casi vediamo che spostando il predicato nel testo cambia il suo campo d’azione, in altri casi pur spostandolo nel testo non cambia la sua zona di attivazione. - “Forse Maria domani parte per Roma” interpretiamo immediatamente che il forse è un avverbio che seleziona con il suo scope la totalità dell’evento. L’enunciato comunica che la partenza è probabile. - “Maria, forse, domani parte per Roma” anche se il predicato è stato spostato in seconda sede il testo va interpretato in modo analogo all’interpretazione precedente. L’avverbio rimane un predicato di rango enunciativo, ossia seleziona col suo scope l’intero enunciato. - “Maria domani parte per Roma, forse” rimane anche qui un avverbio di rango enunciativo, il suo scope è sempre l’intero evento. - “Maria domani parte forse per Roma” grazie all’interazione con l’intonazione vediamo che una volta spostato il predicato esso seleziona come scope solo il segmento per Roma. - “Maria forse domani parte per Roma” il predicato seleziona come punto d’applicazione l’avverbio temporale domani e non l’intero enunciato. -Implicazioni del predicato- Il contenuto del predicato coincide con le sue implicazioni, ovvero tutto ciò che accade quando il predicato ha luogo. Se “Giovanni ha costruito una casa” ha luogo, una volta svolta l’azione del costruire l’implicazione è che il secondo argomento di costruire è che l’oggetto da costruire da non esistente comincia ad esistere. Possiamo dire che si tratta di un predicato diadico che seleziona come primo argomento il costruttore (X1) e come secondo l’oggetto che viene costruito (X2). Il predicato costruire impone sulle due sedi argomentali dei requisiti che noi non vediamo. Sono dei tratti taciuti che si chiamano presupposti. Sono quindi dei significati presupposizionali che stanno a monte del testo e che ci guidano nella costruzione di un testo congruo. Costruire impone sul primo argomento il tratto per cui l’entità X1 (il costruttore) deve esistere. L’argomento X1 è preceduto da un simbolo che in logica è il quantificatore esistenziale. Il predicato, sempre sulla prima sede, impone inoltre un secondo tratto: X1 non solo deve esistere ma deve essere un’entità animata. In una situazione di costruire, il secondo argomento è un’entità che non esiste ancora e attraverso il processo del costruire appunto da non esistente diventa esistente. Pertanto, il requisito imposto su X2 è che questa entità non esista. La variabile oggettuale X2 è preceduta da un simbolo che in logica esprime negazione e dal quantificatore esistenziale. A questo punto possiamo capire che il contenuto del predicato costruire è dato dalle sue implicazioni; quando questo predicato accade, le sue implicazioni coincidono con il passaggio dalla non esistenza all’esistenza dell’oggetto che è stato sottoposto al processo di costruzione. Le implicazioni dei predicati vengono attivate nel testo. Queste implicazioni devono poi essere tenute presente nel proseguo del testo in quanto non devono essere lese. Si tratta di presupposti che non devono essere violati ma rispettati dal testo che segue. “Il malvivente uccise un passante, che scappò con la bicicletta” le implicazioni del predicato diadico uccidere, una volta che ha luogo, coincidono con ciò che accade. Quando il predicato uccidere ha luogo, l’entità X2 da viva passa ad essere morta. Il testo che segue deve quindi attivare queste implicazioni. In questo caso il predicato scappare viola i presupposti presenti nel testo, il nostro enunciato è dunque insensato. Il concetto di congruità semantica è alla base della costruzione di un testo congruo. Ogni predicato stabilisce quanti e quali sono i suoi argomenti imponendo delle condizioni su di essi. Proviamo a vedere un riscontro di questo in una serie di testualizzazioni del predicato intelligente. - “Paolo è intelligente” qui seleziona un’entità animata umana. - “Questo libro è intelligente” vediamo che il predicato in questione può anche selezionare un prodotto dell’attività umana. - “Questo cane è intelligente” l’animale viene umanizzato e personificato. - “Questa proposta è intelligente” l’enunciato è congruo. - “Questa è una parete intelligente” non sembrerebbe congruo, esiste una sola situazione extra comunicativa in cu l’enunciato potrebbe essere congruo (es. la parete è stata progettata in modo intelligente). Vediamo ora il predicato onesta/o costruendo delle combinazioni con degli argomenti: - “Laura è onesta” è congruo. - “Questa scelta è onesta” è congruo. - “Questo cane è onesto” in questo caso il predicato non permette di selezionare un’entità animata non umana, l’enunciato è insensato. - “Questa parete è onesta” si tratta di un enunciato non congruo in quanto il predicato non può selezionare questo argomento. I nessi ammessi o non ammessi dalla lingua sono nessi ammessi o non ammessi dalla ragione. Vediamo pertanto che nella costruzione di nessi predicativi argomentali congrui ogni lingua nasconde un sapere sulla realtà. Vedremo quali sono le condizioni che l’argomento deve rispettare per poter essere congruo nei confronti di un predicato. Nel grafo dal predicato diadico leggere partono le due frecce orientate verso i rispettivi argomenti. In una situazione di lettura l’entità X1 deve esistere, è di natura presupposizionale. Il requisito imposto sulla prima sede argomentale è che deve essere un’entità di natura umana. Non è però sufficiente che sia un’entità umana, deve anche essere alfabetizzata. Possiamo quindi dire che questi tratti definiscono il paradigma degli elementi che potranno svolgere il ruolo di argomento X1. Questi tratti definiscono un iperonimo di cui ciascun argomento è un’occorrenza. I tratti definiscono il paradigma, ovvero l’iperonimo, e ogni singolo argomento che entra in questa sede argomentale deve essere un iponimo di questo iperonimo. Nella seconda sede argomentale ritroviamo il quantificatore esistenziale insieme al presupposto che sia un testo scritto. Anche in questo caso i presupposti definiscono l’insieme di elementi che possono svolgere il ruolo di secondo argomento e definiscono un iperonimo di cui X2 dev’essere iponimo. La composizionalità non è una semplice giustapposizione, non si tratta solo di elementi messi l’uno accanto all’altro ma questi elementi sono collegati tra loro da nessi logici e inferenziali. Le parole devono essere congrue, ovvero differenziate dal punto di vista semantico, un nesso predicativo argomentale produce sensatezza. Affinché si stabilisca un senso testuale è necessaria la realizzazione di cinque fattori che caratterizzano ciascun predicato. Il primo requisito dei predicati è costituito dal numero degli argomenti che lui coinvolge, il predicato si caratterizza poi per la qualità e l’ordine delle entità coinvolte. Questi primi fattori vanno a descrivere il frame argomentale del predicato. Per caratterizzare i predicati metteremo a tema il loro campo d’azione, ogni predicato seleziona con il suo scope un punto preciso d’applicazione a una zona di attivazione. Vedremo poi che il significato del predicato coincide con le implicazioni del predicato stesso. -Numero degli argomenti- komandirovat’ che vede il coinvolgimento di sei entità. Abbiamo un’azienda (X1) che manda un suo collaboratore (X2) in missione da un luogo (X3) a un altro (X4) per un certo scopo (X5) e per un certo periodo (X6). P (X1 X2 X3 X4 X5 X6) Se proviamo a testualizzare l’avverbio nervosamente, per capire che tipo di predicato sia, otteniamo un testo del tipo “Andrea beve il caffè nervosamente”. Prima di dire che è un predicato mono argomentale vediamo come procedere. Questo predicato dice che la modalità in cui Andrea beve il caffè è nervosa. Il predicato influenza un intero evento. Prendendo solo “Andrea beve il caffè” possiamo individuare bere che è un predicato biargomentale che seleziona Andrea e caffè. L’espressione può essere presa unitariamente come un unico evento che viene catturato dal predicato nervosamente. Si viene a creare una cosiddetta gerarchia di predicati in quanto anche nervosamente è un predicato che seleziona come suo argomento tutto questo evento. Nervosamente è un predicato monadico. Al vertice del grafo vediamo il predicato bere da cui partono le due frecce direzionate verso gli argomenti Andrea e caffè. L’azione costituisce un blocco unico selezionato da nervosamente che si caratterizza come un predicato gerarchicamente più alto. Un predicato può agganciare come suo argomento un ulteriore predicato. Osserviamo ora l’avverbio piano nella frase “Maria parla piano”. È un avverbio che dice il modo con cui avviene l’azione. Parlare è un predicato mono argomentale quindi basta la selezione di una sola entità. Maria parla costituisce un unico blocco , entra come unico argomento e viene selezionato dall’avverbio piano. Questo avverbio è un predicato di rango superiore che seleziona il parlare da parte di Maria definendone la modalità. I predicati biargomentali possono spiegare preposizioni e congiunzioni. Le congiunzioni perché, se e per corrispondono a dei predicati diadici. Ad esempio: “Non ho dato l’esame perché mi sono ammalato” il perché connette e seleziona due entità, precede e segue due mosse comunicative. “Parto se non nevica” il se seleziona anche qui due mosse comunicative. “Luigi studia per superare l’esame” il per seleziona come primo argomento il fatto di studiare e come secondo il superare l’esame. Le congiunzioni sono in generale dei predicati diadici che hanno come argomenti le espressioni che connettono, sono predicati connettivi. Che siano diadici lo capiamo se esplicitiamo il loro significato mediante una parafrasi con dei verbi. Gli argomenti non devono quindi essere congrui semplicemente rispetto al predicato ma anche rispetto a quei presupposto che il predicato impone sulle sue sedi argomentali. - “Il sasso legge il libro” è un enunciato insensato in quanto vi è una lesione della congruità. - “Il computer legge il dischetto” il primo argomento non è congruo coi tratti del predicato, l’incongruità porta a reinterpretare il predicato a un livello strategico figuratico, è una metafora testuale (un tropo). - “Il politico legge la situazione” c’è un’insensatezza nel secondo argomento, l’incongruità ci porta a reinterpretare il predicato a livello figuratico facendo emergere un tropo. - “Leggo una vena di tristezza nei tuoi occhi” non è un iponimo dell’iperonimo testo scritto, anche qui avviene la reinterpretazione a livello figuratico. È una metafora testuale costruita dal parlante. - “Fufi legge il giornale” il primo argomento è incongruo rispetto al predicato, anche in questo caso vi è la reinterpretazione figuratica per dire che il cane imita il padrone. Quando è violato il principio di congruità c’è un’insensatezza. Edmond Husserl in “Logische Untersuchungen” parla di Unsinn. L’insensatezza è una lesione del principio di congruità che comporta una opacità totale del senso. L’insensatezza non è neppure dicibile, non crea testo. L’insensatezza non va però confusa con l’incoerenza (Widersinn). La coerenza ha uno statuto diverso rispetto alla congruità Un enunciato è coerente quando rispetta il principio di non contraddizione. Se il pnc viene leso abbiamo un enunciato incoerente. Il pnc dice che una cosa non può essere e non essere nello stesso tempo e sotto il medesimo aspetto. Per aspetto ci si riferisce al punto di vista preso in considerazione. Il principio di non contraddizione è il principio evidente su cui si fonda il ragionamento e discorso umano. Il pnc, formulato da Aristotele, è talmente primitivo da non poter essere dimostrato. In un passo del testo “De generatione et corruptione” Aristotele afferma che è da pazzi chiedersi le ragioni di ciò che è evidente. Il principio di non contraddizione non può dunque essere dimostrato, possiamo soltanto confutare chi cerca di negarlo. Il caso per esempio dello scettico di Aristotele il quale afferma che il pnc è falso. Possiamo confutare lo scettico facendo emergere che questa sua posizione è in sé contraddittoria. Questo perché per negare il principio di non contraddizione lo deve usare, non può evitare di usarlo. Affermando che il pnc è falso compie un atto comunicativo che si fonda proprio sul pnc che non può essere falso e vero allo stesso tempo. La congruità semantica non va confusa con la congruità sintattica o grammaticalità. “La gioia cammina” è un enunciato insensato perché abbiamo camminare che seleziona I predicati interni agli argomenti hanno la funzione di caratterizzare gli argomenti. I predicati che si racchiudono negli argomenti sono dei modi di essere che stabiliscono a quali condizioni una certa entità X è di quel determinato tipo. È una funzione diversa rispetto a quella che hanno i predicati al di fuori degli argomenti. Se prendiamo il predicato camminare è uno dei possibili modi di essere di uomo. Il termine uomo può esibire però altri modi di essere, i predicati che invece si racchiudono nell’argomento uomo sono modi di essere che stabiliscono come deve essere l’entità X perché possa essere uomo. -Determinanti- Per poter avere un’espressione corretta è indispensabile che gli argomenti siano specificati da determinanti. L’espressione “Bambino gioca” è scorretta, sarebbe accettabile solo in due contesti molto particolari (telegramma o titolo di giornale). I determinanti sono necessari affinché l’argomento possa far presa sulla realtà, i determinanti stabiliscono infatti le entità che vengono coinvolte dal predicato gioca rispetto al contesto a cui si sta riferendo: “Qualche bambino gioca”, “Un bambino gioca”, “Alcuni bambini giocano”. Sono tutti determinanti che permettono all’argomento di fare appunto presa sulla realtà. Grazie ai determinanti la parola-argomento viene specificata, ossia il determinante permette di precisare e indicare la realtà precisa a cui quel determinato argomento si riferisce. La realtà potrebbe essere una sola entità, una pluralità di entità considerate in generale oppure una molteplicità di entità considerate nella loro totalità. I determinanti si articolano in gruppi diversi a seconda della loro natura: - Determinanti indefiniti (qualche, un, alcuni, parecchi, molti, pochi) sono assolutamente necessari perché l’argomento abbia presa sulla realtà. Sono caratterizzati in quanto specificano le entità che si hanno nella realtà a cui il testo si riferisce e che sono coinvolte dal predicato. Il determinante indefinito qualche in “Qualche bambino gioca” veicola il significato per cui esiste una x (bambino) che gioca ꓱ x: (Bx ^ Gx) I determinanti indefiniti si caratterizzano perché contengono il significato dell’aggettivo indefinito qualche, aggiungono ulteriori specificazioni. All’esistenza di almeno una x che presenta le caratteristiche enunciate dal testo si aggiungono i determinanti che specificano ulteriormente il significato di base. Se consideriamo il determinante indefinito un vediamo che in “Un bambino gioca” uno contiene il significato di base (esiste almeno una x che presenta i tratti enunciati dal testo) e precisa che si tratta di una singolarità che si oppone ad altri numeri che istituiscono argomenti multipli (“Due bambini giocano”). L’indefinito alcuni contiene sempre il significato di base precisando però che si tratta di una pluralità di entità assunta in senso generico. Il determinante parecchi specifica che l’entità per la quale si predicano questi determinati tratti è una pluralità e si tratta inoltre di un numero che merita di essere considerato. Molti precisa che si tratta di una pluralità che oltrepassa le condizioni normali del contesto. Pochi specifica al contrario che il numero è inferiore alle condizioni normali del contesto. Gli indefiniti precisano l’argomento perché questo possa far presa sulla realtà e specificano se questa entità indefinita si dà in una singolarità o pluralità. - Determinanti definiti (il, questo, codesto, quel) contengono come significato di base l’articolo determinativo che viene però combinato con ulteriori specificazioni. “Questo bambino” significa difatti “Il bambino che è qui” in cui è contenuto il significato della determinatezza e specifica che il bambino si trova qui, analogamente “Quel bambino” significa “Il bambino che è là”. L’articolo determinativo [CAPITOLO 8] ha una funzione comunicativa molto rilevante, viene usato per segnalare che una certa entità messa a tema nel discorso è nota non soltanto al mittente ma anche all’interlocutore. L’entità rientra quindi nel common ground condiviso dagli interagenti. - Determinanti con pretesa di universalità (tutti, nessun, qualsiasi, ciascun, ogni) precisano l’estensione di questo argomento, quante sono le entità a cui l’argomento si riferisce. “Tutti i bambini giocano” il determinante tutti precisa che rispetto ai bambini che giocano questo dato coincide con la totalità di tutto l’insieme dei bambini presenti nel contesto. Qualsiasi e ciascuno aprono a un’interpretazione distributiva della situazione, cioè fanno riferimento ad ogni elemento dell’insieme a cui ci si riferisce nel contesto. Qualsiasi sottolinea l’indifferenza, ossia la non- differenza tra gli elementi (i bambini) dal punto di vista del predicato che viene enunciato (giocare). Nessuno esclude dal predicato enunciato tutti gli elementi dell’insieme negando l’esistenza di bambini che giocano. Non esiste una x tale che sia bambino e che giochi -Strutture intermedie [CAPITOLO 5]- Per costruire un messaggio andiamo a utilizzare delle entità che sono delle strutture intermedie in quanto sono indeterminate. Presentano una sorta di indeterminatezza sia sul versante del significante che sul versante del significato. La prima domanda da porsi è se esistono le lingue allo stato puro, per rispondere dobbiamo osservare cosa abbiamo a disposizione noi parlanti nella realtà. Abbiamo a disposizione insiemi di testi che sono formulati in una determinata lingua storico-naturale, abbiamo poi dati linguistici ma non la lingua in quanto allo stato puro la lingua non esiste. La lingua esiste in sede psichica ma come tale non esiste, la lingua è ciò che sta dietro alla produzione dei nostri testi. Noi disponiamo di dati linguistici e dobbiamo descrivere quel meccanismo linguistico che sta dietro alla realizzazione dei dati linguistici. Noi parlanti conosciamo la lingua e la sappiamo usare però non si tratta di un sapere esplicito, infatti la lingua è un sapere non saputo. Se ci viene chiesto ad esempio di precisare la differenza di significato fra due parole come gara e partita avremo difficoltà nella spiegazione, sapere il significato non equivale ad essere in grado di farne l’analisi semantica. Esempio: “Il Milan ha perso un’importante partita del campionato” e “Alla tele ci sono le gare di sci”. La lingua vive in una particolare dimensione psichica, ossia le strutture e i procedimenti della lingua sono presenti nella mente del parlante come modelli (patterns) di realizzazione. Grazie alla loro presenza siamo in grado di riconoscere le realizzazioni di questi modelli quando qualcuno ci parla. L’organizzazione delle lingue è molto complessa, può essere d’aiuto una metafora in cui paragoneremo questi modelli ai reparti di un laboratorio. Immaginiamo la lingua come un laboratorio per produrre messaggi verbali e così come un laboratorio la lingua si articola in una serie reparti. Ciascun reparto elabora in base a un certo pattern una determinata classe di strutture intermedie (lessico, morfologia, sintassi, intonazione, ordine delle parole). Le strutture intermedie sono indeterminate da un duplice punto di vista. Proviamo a confrontare la lingua con il sistema della segnaletica stradale in cui esiste un rapporto di tipo biunivoco tra il messaggio e il segnale. Se osserviamo il rapporto tra l’insieme dei padri e l’insieme dei figli s’instaura un rapporto di tipo univoco, ovvero a ciascun elemento del primo insieme corrisponde un solo elemento del secondo ma l’inverso non è necessario. Il rapporto tra l’insieme dei mariti e l’insieme delle mogli è biunivoco, ossia a un elemento del primo insieme corrisponde un solo elemento del secondo e viceversa. Il rapporto tra mogli e mariti in una società poligama è multimultivoco, a ciascun elemento dell’insieme corrispondono più elementi del secondo e viceversa. Saussure nella sua elaborazione del concetto di segno linguistico fu suggestionato fortemente da codici poveri e riduttivi rispetto al linguaggio umano. Nella sua concezione di segno vediamo che dato un significante esso veicola uno e un solo significato. Analogamente avremo che dato un significato esso è veicolato da uno e un solo significante. Per Saussure si tratta dunque di un rapporto biunivoco, osservando la lingua possiamo però trovare dei controesempi come gli omonimi fiera e lama (veicolano più significati) oppure i sinonimi stella-astro, dentista-odontoiatra, cavallo-destriero (manifestati da più significanti). Questi controesempi segnalano che nelle strutture linguistiche no esiste un rapporto di tipo biunivoco, il rapporto che s’instaura tra strategia di manifestazione e funzione linguistica non è biunivoco ma è molto più complesso, per questo le strutture intermedie sono indeterminate. Nei codici riduttivi presi da Saussure come termine di paragone il senso è prestabilito da sempre nel sistema. Tutti i significati che si riferiscono alla segnaletica stradale sono tutti racchiusi in questo sistema. Osservando il linguaggio umano vediamo che la situazione è diversa, il senso che il parlante esprime attraverso i suoi messaggi non è già tutto prestabilito nel sistema linguistico e quindi presente in sede psichica. La fonte del senso nel linguaggio umano è l’esperienza, ciò consente di esprimere sensi imprevedibili in quanto legati ad esperienze impreviste. Nei modelli linguistici codicocentrici la linguistica è giunta a concezioni deterministiche, si parla di determinismo quando il sistema linguistico determina il parlante. In una situazione linguistica codicocentrica il parlante che si appresta a parlare è immaginato in questo modo: in sede mentale l’homo loquens presenta da un lato il repertorio linguistico cioè i segni, dall’altro le regole che permettono al parlante di combinare questi segni. Quando parla il parlante non fa altro che scegliere le regole e i segni precostituiti in sede mentale per comunicare poi i segni. Se il parlante per esempio sceglie la regola R1, supponendo che questa dica di combinare un nome più un verbo, otterremo un enunciato come “Il tavolo ride” ( R1= N + V) Il parlante attiverà quindi una regola più precisa che permetta di realizzare combinazioni congrue, il parlante non è altro che colui che attiva un sistema già dato, è un attualizzatore passivo di un sistema già dato. Poiché la fonte del senso è nell’esperienza, il parlante quando formula un discorso deve scegliere ciò che gli permette di attestare al meglio l’esperienza. Qui emerge il fenomeno della creatività linguistica messo a tema da Chomsky secondo cui i parlanti sono in grado di esprimere attraverso il discorso esperienze impreviste e imprevedibili. Abbiamo così scoperto che esiste un forte nesso tra linguaggio, esperienza (sede del senso), libertà umana (il parlante deve scegliere le espressioni adeguate), creatività. quanto riguarda la manifestazione. Sono predisposte a significare ma al di fuori del testo non danno ancora un apporto semantico preciso, il rapporto semantico si precisa quando vengono testualizzate. -Requisiti delle strutture intermedie- Le strutture intermedie hanno una serie di requisiti che documentano questo nesso flessibile fra funzione linguistica e manifestazione comunicativa. Il primo tratto è quello della polisemia, ovvero una stessa strategia di manifestazione può svolgere funzioni diverse. Il fenomeno della polisemia opera a vari livelli linguistici, per esempio a livello lessicale (polisemia di andare) e a livello morfologico (imperfetto italiano può indicare un’azione passata, continuativa, forma di cortesia). Un secondo tratto è quello della varianza o sinonimia, ossia una stessa funzione linguistica può affidarsi a più strategie di manifestazione. Si parla di varianza quando una stessa struttura intermedia si affida a basi lessematiche diverse delle sue diverse realizzazioni morfologiche (es. andare, io vado). Nel caso della sinonimia abbiamo una funzione comunicativa che si affida a più strategie di manifestazione, si ottengono strutture intermedie distinte fra le quali esiste un’equivalenza a livello semantico. La sinonimia opera ai vari livelli linguistici, a livello lessicale (es. babbo, papà, padre, Babbo Natale, Santo Padre, festa del papà) e a livello morfologico (es. il plurale col morfo -e, -i, -0 come città). Il terzo tratto è la preferenzialità o naturalità che dice che la struttura intermedia ha un valore più immediato, svolge una funzione comunicativa naturale che riconosciamo immediatamente detta anche significato canonico. Proviamo a testualizzare la struttura intermedia prestare con “Ti presto la penna” qui la struttura intermedia ha il suo valore canonico primario di dare qualcosa a qualcuno con impegno alla restituzione. Potremmo però anche dire “Ti presto attenzione”, “Ti presto aiuto”, “Prestare giuramento”. Per scoprire il valore canonico si può effettuare un test ponendo la struttura intermedia in un contesto zero (= disattiviamo la realizzazione sintattica degli argomenti), esempio: X presta Y a Z vediamo che presta veicola lo stesso il suo significato. Possiamo allora dire che indipendentemente dalla polisemia le strutture linguistiche hanno un valore preferenziale, svolgono una funzione plerumque. Anche il soggetto svolge una funzione preferenziale: “Luigi parte per Roma” è la sua funzione preferenziale, cioè quella di agente, mentre in “Il pavimento brulica di topi” fa da locativo in quanto il pavimento indica il luogo in cui si svolge l’azione. Il quarto requisito delle strutture intermedie è la preferenzialità o naturalità delle strategie di manifestazione. Una funzione linguistica può affidarsi a più strategie ma ce n’è una preferenziale. Quindi anche una funzione linguistica tende a manifestarsi con una strategia preferenziale, prendiamo per esempio il significato di compagnia che possiamo esprimere come insieme a, al cospetto di, con, in presenza di sono strategie sinonimiche ma quella preferenziale s’identifica nel con. Anche il genere femminile in italiano ha una manifestazione tipica col morfo a, ci sono però manifestazioni alternative come noce e mano. Il quinto tratto delle strutture intermedie è la loro endolinguisticità, ovvero le strutture sono tipiche di ciascuna lingua. Non si può parlare di strutture linguistiche in generale, va specificato a quale lingua storico-naturale ci stiamo riferendo. Non ha senso parlare per esempio di presente indicativo in generale, bisogna precisare in quale lingua storico-naturale stiamo osservando il tempo verbale. Il soggetto è endolinguistico per quanto riguarda la strategia di manifestazione, ci sono lingue come l’italiano in cui spesso il soggetto è taciuto (abbiamo soggetto 0). Può essere lasciato ellittico in quanto la forma morfologica del verbo ci permette di ricostruire il soggetto. Nelle lingue povere di morfologia verbale come l’inglese si ricorre all’ordine delle parole, es. il soggetto occupa la first position in the sentence. Il soggetto è endolinguistico anche per la funzione svolta, in inglese svolge la funzione di tema mentre in italiano e tedesco il soggetto può essere più rematico: “Il romanzo l’ha letto Giovanni” il soggetto svolge funzione rematica. -Struttura intermedia del lessico [CAPITOLO 6]- La struttura intermedia è un pattern in sede mentale che consente al parlante di riconoscere una classe di determinate strutture linguistiche nei testi, ma anche di produrre queste strutture in fase d’elaborazione del discorso. Il termine lessico presenta un’accezione comune di repertorio linguistico e anche di generatore, è un reparto di produzione di strutture lessicali. Per poter definire una parola a livello teorico è necessario introdurre i concetti di lessema, di forma di parola e di parola fonologica. Se ci chiediamo quante parole sono presenti nella frase “Luigi ha studiato molto” notiamo che più risposte sono accettabili: Luigi/ha studiato/molto Vs Luigi /ha/studiato/molto. Sono entrambe corrette poiché ciascuna di queste risposte si colloca su un livello d’osservazione e una prospettiva linguistica diversi. Il motivo per cui entrambe le risposte sono corrette è che le parole sono tre se ci poniamo a livello lessicale, sono quattro se a livello fonologico. -Parola fonologica- Si tratta di un sintagma, cioè una combinazione di elementi, che in questo caso combina suoni dunque la parola fonologica è un sintagma fonologico. La combinazione di foni ha delle caratteristiche come l’autonomia articolatoria, ha un accento proprio ed è costruita rispettando le regole fonotattiche che dicono la corretta disposizione dei suoni e delle sillabe. Se prendiamo d’esempio cano vediamo una corretta applicazione delle regole fonotattiche ma la parola non apporta significato al testo. Si tratta di una parola fonologica virtuale, sono invece reali se danno un apporto di senso al testo (es. pelle, rosa). In italiano pelro non può essere una parola fonologica in quanto la lingua non ammette che siano in posizione continua le lettere l e r, il gruppo lr non è ammesso in italiano bensì in inglese (already). -Generatore delle sillabe in italiano- In italiano la sillaba può avere una struttura al massimo del tipo C1 C2 C3 V C (può essere costituita da un massimo di tre consonanti di seguito e poi da una vocale). Questo schema consente di generare tutte le tipologie di sillabe presenti nella lingua italiana. Il lessico è un generatore, si tratta di un reparto che utilizza processi di strutturazione lessicale di due tipi: processi di formazione del lessico (come derivazione, alterazione, composizione, combinazione) e processi fraseologici (come sintemi e funzioni lessicali). Un lessema è elementare quando non è riconducibile a un altro lessema (es. casa, sempre), è latente se utilizzato solo nei processi di strutturazione del lessico per formare alcuni prefissati (es. ludere). Il generatore lessicale riceve in ingresso anche i formativi che possono essere suffissi, prefissi e infissi (es. -de, -in, -oso, leon-c-ino). Il generatore lessicale può dare in uscita fraseologismi, ossia espressioni lessicali plurilessematiche come sintemi (piede di porco) e funzioni lessicali (prendere una decisione). -Lessema- Proviamo a osservare le diverse realizzazioni morfologiche ottenute dalla coniugazione di aiutare: aiuto, aiuterò, aiutavo, ha aiutato, era stato aiutato, aiutare notiamo la base ricorrente “aiut” che chiamiamo base lessematica o meglio lessema. Il lessema per tanto è un elemento frequente che compare nelle diverse realizzazioni morfologiche della forma lessicale. -Forma di parola- Quando siamo nell’ambito delle parti variabili del discorso il lessema può entrare in realizzazioni morfologiche diverse, il lessema può essere coniugato anche in lingue prive di declinazione. Un esempio è albero; alberi in cui il lessema entra nelle diverse realizzazioni del singolare e del plurale. Flessive= numero morfi uguale al numero di forme di parola, il numero dei morfi è maggiore, struttura sintetica Agglutinanti= numero dei morfi uguale al numero dei morfemi, il numero dei morfi è inferiore, struttura complessa della componente morfologica [CAPITOLO 7] Il compito della morfologia è trasformare il lessema variabile in forma di parola cioè in sintagma minimo. Come? Il lessema variabile deve caratterizzarsi secondo certe categorie assumendo una delle alternative= morfemi la cui assunzione attiva il morfo. - Amalgama morfematico= tipo di manifestazione morfologica in cui i morfemi sono manifestati dal morfo compatto non scomponibile in elementi significativi. - Processo flessionale= morfemi amalgamati in unico morfo. - Fenomeno di agglutinazione= manifestante morfologico scomponibile in morfi diversi che manifestano ciascuno più morfemi. Lingue isolanti e sintetiche