Scarica linguistica italiana B: il Seicento (Marazzini e Coletti) e più Sintesi del corso in PDF di Storia della lingua italiana solo su Docsity! VOCABOLARIO DELLA CRUSCA L’Accademia della crusca venne fondata nel 1582 e nel 1583 entrò a farne parte Salviati, con cui cominciarono ad affermarsi interessi filologici. L’Accademia ebbe un’importanza eccezionale nonostante fosse un organo privato e l’Italia si trovasse in una situazione che la rendeva poco adatta ad assoggettarsi ad un’univa autorità normativa. EDITIO PRINCEPS La prima pubblicazione del Vocabolario della Crusca costituì sia una tappa fondamentale nel corso della storia della nostra lingua sia un evento di prima grandezza nel panorama culturale europeo, in quanto fu di fatto il primo vocabolario di impianto moderno (rispetto ai dizionari precedenti scomparve la suddivisione tra uso della poesia e uso della prosa e l’abitudine di inserire osservazioni grammaticali all’interno delle singole voci), che fece da modello a tutti i dizionari successivi delle lingue europee; inoltre fu proprio con il Vocabolario che l’Accademia legò definitivamente la propria autorità alla lingua (venne legittimata come organo di controllo della lingua). La compilazione del Vocabolario ebbe inizio nel 1591. Si discusse sul modo di fare il Vocabolario: vennero divisi gli spogli da compiere fra gli accademici e si mise a punto un procedimento razionale di schedatura. Il lavoro venne condotto con coerenza metodologica e rigore e fu organizzato così bene da riuscire relativamente breve (nel 1595 lo spoglio era già stato pressoché portato a termine). Si concluse con la pubblicazione nel 1612, quando il volume venne stampato (grazie all’autofinanziamento degli accademici, il che permise loro una non-ingerenza delle autorità) a Venezia presso il tipografo Giovanni Alberti. Sul frontespizio portava l’immagine dello strumento che si utilizzava per separare la farina dalla crusca (emblema dell’Accademia), con un cartiglio con il motto “il più bel fior ne coglie”, allusivo alla selezione compiuta nel lessico dall’Accademia, per analogia alla selezione tra la farina e la crusca. Nella Premessa ai lettori gli accademici dichiararono di volersi attenere alle regole fissate all’interno dell’Accademia, dunque all’insegnamento di Salviati (morto nel 1589); in effetti l’impostazione filologica le scelte grafiche la selezione degli autori citati sono in pieno accordo con le idee espresse da Salviati negli Avvertimenti della lingua sopra il Decamerone. Ciò fu reso possibile dal sostanziale ‘dilettantismo’ del gruppo degli accademici, il che permise anche di mantenere una notevole collegialità nelle scelte (ad esempio, venne affidata al segretario, incaricato di controllare da vicino il procedere della stampa, un mandato molto vincolante, garantendosi che egli non potesse abusare della sua posizione di privilegio sul luogo della stampa: ogni settimana avrebbe dovuto inviare le bozze a Firenze e non avrebbe dovuto correggere o mutare alcunché di sua fantasia e nel caso di voci che all’ultimo minuto presentassero dubbi o fossero irrimediabilmente imprecise, avrebbe dovuto eliminarle senza emendare), poiché, appunto, dopo la morte di Salviati non ci furono figure di spicco all’interno dell’Accademia in grado di egemonizzare l’operato degli altri. Il Vocabolario dunque abbracciava sostanzialmente le posizioni teoriche ispirate al fiorentinismo trecentista del Bembo, ma non in modo ortodosso, piuttosto in una prospettiva temperata, filtrata dalle scelte di Salviati: dunque non venne presa in considerazione esclusivamente l’autorità letteraria delle Tre Corone, ma anche gli autori minori e minimi furono giudicati degni, per meriti di lingua, di stare accanto ai grandi della letteratura (i problemi del ‘contenuto’ vennero cioè posti su di un piano diverso da quello della forma). Venne integrato anche l’uso moderno, tuttavia gli schedatori, più che esibire l’apporto della lingua viva, avevano cercato di evidenziare la continuità tra la lingua toscana contemporanea e l’antica, documentando sì le parole del fiorentino vivo, ma generalmente attraverso autori antichi. I compilatori si sforzarono dunque di scovare quel lessico negli autori del passato, sino a ricorrere a manoscritti o fonti semi private, non verificabili da parte dei lettori (la pratica di citare ‘testi a penna’), suscitando molte critiche da parte degli oppositori. Questo eccesso nel gusto per la filologia ebbe chiari effetti negativi sul Vocabolario, il quale ambiva a definire un patrimonio lessicale a cui tutti avrebbero dovuto attingere; per cui il Vocabolario largheggiava nel presentare termini e forme dialettali fiorentine e toscane (es: manicare, danaio, brobbio) e moltissimi lemmi identici erano presenti (es: brobbio-obbrobbio), a causa della presenza di varianti proprie della lingua antica non ancora normalizzata. Il Vocabolario aveva sostanzialmente CARATTERE ARCAIZZANTE, e ciò si manifestava esplicitamente nell’esclusione di alcuni autori moderni, come Tasso. Per ciò che riguarda le scelte grafiche, invece, il Vocabolario si collocò sulla linea dell’innovazione, in quanto si osserva un distacco dalle convenzioni ispirate al latino (es: h etimologica, nessi consonantici…), per cui esso costituisce una tappa importante nella storia della grafia italiana. OPPOSIZIONI E CRITIC HE Il Vocabolario suscitò immediatamente grande interesse, ma allo stesso tempo esse accese parecchie dispute riguardo ai criteri adottati; in particolare, a molti non piacque l’aperto fiorentinismo arcaizzante proposto dal Vocabolario. 1) L’opposizione al Vocabolario e ai criteri che lo avevano ispirato si manifestò sin dal 1612, anno in cui Paolo Beni pubblicò la sua Anticrusca, nella quale egli o contrapponeva al canone di Salviati gli scrittori del ‘500, e in particolare Tasso o e polemizzava contro la lingua usata da Boccaccio, indicandone irregolarità ed elementi plebei In sostanza Beni, da modernista qual era e dunque partendo da un giudizio complessivamente negativo sulla letteratura del ‘300, voleva dimostrare come l’antica lingua fosse in realtà “inculta e rozza” e la moderna “regolata e gentile”. 2) Beni non fu l’unico a criticare il Vocabolario: Alessandro Tassoni approntò un elenco di osservazioni e postille al Vocabolario nelle edizioni del ’12 e del ’23, spesso dal carattere polemico e ironico. La sua fu dunque una polemica asistematica, non articolata in una trattazione ordinata. Egli protestava contro la dittatura fiorentina sulla lingua e per questo suo risoluto antifiorentinismo sembra molto vicino alla teoria cortigiana, soprattutto se si tiene conto del fatto che egli guardasse più a Roma che a Firenze (anche per ragioni personali, data la lunga permanenza a Roma), ricorrendo spesso nelle sue annotazioni a far riferimento all’uso linguistico di Roma in contrapposizione a quello fiorentino. Inoltre Tassoni considerava improponibili gli arcaismi ed era ostile ad ogni culto della tradizione che ostacolasse la modernità e la semplicità della comunicazione. Infine propose di adottare nel Vocabolario espedienti grafici per contrassegnare con evidenza le voci antiche e le parole da evitare. 3) Un altro intervento importante fu quello di Daniello Bartoli, autore della celebre opera grammaticale Il torto e il diritto del non si può, costituita da una serie di osservazioni eterogenee e che tratta della legittimità o meno dei veti posti dai grammatici. Il modo di procedere nei confronti della Crusca, e in generale nei confronti di dell’autoritarismo arrogante dei grammatici, è molto sottile: non si tratta di una polemica diretta e violenta né di affermazioni destinate a priori a controbattere il metodo seguito dall’Accademia, verso la quale a volte esibisce persino una certa deferenza, piuttosto Bartoli cerca di dimostrare, riesaminando i testi del ‘300 sui quali si fonda il canone di Salviati, che proprio lì si trovano oscillazioni tali da far dubitare della perfetta coerenza di quel canone grammaticale (es: la Crusca registra solo ‘il carcere’ maschile e per contro Bartoli mostra che ‘la carcere’ femminile e ‘le carceri’ si trovano in Giovanni e Matteo Villani, autori ritenuti maestri di lingua fiorentina),e nota come gli accademici avessero utilizzato voci che non avevano però lemmatizzato in quanto non attestate in autori del passato. Inoltre del Vocabolario non apprezzava la povertà di lessico tecnico e settoriale. SECONDA E TERZA EDIZ IONE Nonostante le numerose critiche, il Vocabolario assunse prestigio sovraregionale, divenne oggetto di riferimento e di uso per i non-toscani e l’Accademia si pose l’obiettivo di aggiornare di continuo il proprio strumento, dando vita ad altre edizioni del Vocabolario. Le critiche ricevute non modificarono tuttavia i criteri di lavoro degli accademici, che pubblicarono una seconda edizione del Vocabolario nel 1623, che non si discostava molto dall’editio princeps (era quasi identica, salvo qualche aggiustamento, quali correzioni o aggiunte). Artale in cui egli paragona i capelli della Maddalena alle acque del fiume Tago e gli occhi a due soli ardenti, facendo così scattare l’arguzia del fiume che asciuga le lacrime di cui si bagnano i soli). Il predominio della metafora nel sistema retorico barocco trova spiegazione in una pagina di Getto, il quale collega questa scelta retorica con la visione del mondo maturata in questa fase di radicale revisione delle certezze tradizionali: l’uso metaforico può avere una sua intima giustificazione come riflesso di quella instabilità del reale che si accampa al centro della visione del mondo barocca; cioè, la metafora, prima che un fatto retorico, sembra nell’età barocca una visione della vita. La metafora è opera dell’ingegno, cioè la capacità di produrre concetti, ossia accostamenti arguti e fulminei fra aspetti distanti della realtà, innescando nel fruitore un effetto di meraviglia. Dunque la metafora assolve una funzione gnoseologica, in quanto strumento di conoscenza del reale di cui prova a svelare le reti di significati. 3. la rottura delle regole della precettistica cinquecentesca si traduce in esercizio sperimentale, in tendenza all’innovazione: altro principio della poetica barocca è la ricerca ossessiva della novità, non solo nelle forme, ma anche nei temi. Importante è specificare che la novità viene realizzata senza dover creare un linguaggio nuovo, ma rimpastando e combinando in fogge nuove e inusitate (in modo spesso bizzarro) il linguaggio della cultura precedente. Gli autori si muovono infatti nel solco di convenzioni in parte rispettate, come gli schemi metrici e le cadenze ritmiche, che sono ancora quelle petrarchesche (mediate attraverso la lezione di Tasso) ma nel settore del lessico agiscono le spinte innovative che allargano considerevolmente le possibilità di scelta; il barocco scopre ed esalta il mutamento linguistico. Si assiste dunque ad un rinnovamento lessicale, si ha un linguaggio pittoresco e svariato (parole impoetiche e quotidiane, dialettismi, forestierismi, soprattutto ispanismi, arcaismi, lessico tecnico, soprattutto scientifico). A questo linguaggio corrisponde un’accentuata varietà di temi, si ha un allargamento del repertorio tematico petrarchesco, secondo un gusto del rovesciamento (si pensi alle poesie per donne brutte, vecchie, zoppe…) e dello scorporamento delle immagini (si scatena la ricerca del particolare). Dunque il catalogo degli oggetti poetici si allarga notevolmente: entrano nel repertorio poetico numerosi aspetti della vita di tutti i giorni (non si tratta però di realismo, piuttosto di gusto del difficile, del raro e dell’intentato), oppure si pensi all’ampliamento della gamma delle raffigurazioni femminili (il barocco celebra donne che si segnalano per particolari inconsueti, si caratterizzano attraverso imperfezioni, e vengono rappresentate intente in gesti banali o in situazioni erotico-sadiche), o ancora riferimenti botanici, ampia gamma di animali, il brutto, il deforme, il mostruoso diventano oggetto di rappresentazione (Ossola ha parlato di “riscatto estetico dell’imperfetto”) La presenza di materiale tematico prosastico o scabroso o tecnico è resa possibile dallo sforzo nobilitante e perifrastico e dalla complicata sintassi a iperbati. Si crea in sostanza una miscela di vecchio e nuovo che sarà caratteristica anche della poesia didascalica settecentesca. IL CANNOCCHIALE ARIS TOTELICO DI EMANUELE TESAURO Costituisce il vero e proprio emblema della precettistica barocca. Molte parti del libro, oltre a fornire una serie di riflessioni di carattere letterario, toccano direttamente problemi di natura linguistica: 1. polemica contro il dogmatismo grammaticale e contro l’autorità pedantesca, che si traduce in una concezione della lingua intesa come qualche cosa di libero, destinato a mutare nel corso del tempo. Le parole nascono, crescono e muoiono. Molte concause operano per rendere la lingua un sistema aperto e mutevole, dunque ne deriva una sostanziale avversità per le formulazioni normative vincolanti (come i principi dell’Accademia della Crusca). In particolare, per Tesauro, lo scrittore è libero di sottrarsi alle convenzioni grammaticali perché “non pecca contra l’Arte chi pecca volontariamente contra l’Arte, nel senso che è legittima la violazione della norma, purché fatta consciamente, da parte di chi conosce l’esistenza di essa. Tesauro contrappone la cacofonia, cioè il cattivo suono, che è un vizio di forma, alla cacozelia, il difetto di quelli che errano per essere troppo ossequiosi verso le norme artistiche convenzionali → sono stigmatizzati, insomma, il conformismo e la banalità 2. difesa del forestierismo: le parole straniere se utilizzate con abilità diventano ‘eleganze’, anzi proprio perché inusitate nella nostra lingua hanno un effetto migliore di quello che si riscontra nell’idioma da cui provengono, perché diventano ‘peregrine’ (termine già usato da Tasso) 3. lode del neologismo come libertà di fabbricare parole a proprio talento 4. polemica contro gli arcaismi lessicali, che bisogna “fuggire come pestilenza”: la lingua moderna è per Tesauro sicuramente migliore di quella antica Diverse pagine discutono poi della metafora (lo si potrebbe infatti definire un vero e proprio trattato della metafora), nella quale Tesauro individua lo strumento retorico irrinunciabile ai fini dell’espressione della nuova sensibilità e ne fa un mezzo di decodificazione di tutto il reale (già Aristotele, nella Retorica, aveva accennato alla metafora come a uno strumento di effettiva conoscenza della realtà, in quanto sarebbe capace di cogliere l’analogia esistente tra cose di per sé differenti) MARINO E L’ADONE Marino è il caposcuola indiscusso della nuova generazione di autori barocchi. Il suo merito consiste nell’abilità con cui raccolse e fece proprie tutte le spinte innovative che si esprimevano nello sperimentalismo contenutistico e formale a cui la materia poetica tradizionale veniva sottoposta nei decenni di passaggio dal Cinque al Seicento. Marino diede luogo a un processo di rinnovamento stilistico e tematico della poesia. È l’Adone del Marino ad essere il grande serbatoio delle novità barocche; esso è stato significativamente definito da Getto il compendio di tutto il poeticamente dicibile nel mondo delle cose visibili e leggibili, una smisurata “enciclopedia che vuole esaurire tutto il conoscibile”: c’è in Marino un proposito di inventariare, di raccogliere le voci più diverse della realtà, di adunare una specie di ideale museo, di creare una preziosa e stupenda galleria. E in questo disegno di raccolta di tutto il poeticamente dicibile c’è un’intenzione di meraviglia. L’aspetto enciclopedico è, ad esempio, visibile nelle molte enumerazioni che occupano intere ottave dell’Adone. Poi si ha un uso emblematico di metafore e ‘concetti’, un controllo magistrale dell’apparato retorico e della musicalità del verso. L’azione si dissolve nella descrizione minuta e ricchissima di sensazioni, supportate dalla fitta rete di concetti e metafore. Per quanto riguarda il lessico, vi è un cospicuo utilizzo di termini scientifici (insieme alla tematica e agli oggetti emblematici della scienza), ma anche sono forestierismi, elementi della tradizione comica, arcaismi, dialettismi, voci popolaresche, cultismi, grecismi, latinismi. Si arriva non solo a parole composte e derivate inedite o poco comuni (ingarzonire, isoleggiare, lingueggiare), ma anche a quelle ‘finte’ (come afferma il Tesauro), cioè parole che sono simili a quelle comuni, ma non ad esse uguali e che hanno un significato comico. Nell’Adone entra l’attualità (si pensi al cannocchiale o alle lodi di Galileo). Attorno all’Adone si sviluppò un dibattito in cui entrarono anche questioni linguistiche. Si discusse in particolare attorno alle parole ‘peregrine’ attorno ai cultismi, ai dialettismi e ai forestierismi (tra cui le parole spagnole). Il grande nemico del Marino, Tommaso Stigliani, nel suo Occhiale, non risparmia del poema neppure la lingua e produce minute tavole con tutti gli abusi dell’Adone. Lo Stigliani arriva addirittura a fare la parodia dei neologismi, nel Sonetto nello stile di moda. CHIABRERA: CLASSICITÀ MODERNIZZATA È fra quei poeti che rilanciano una poesia più classicheggiante e composta, ma vi si osserva comunque la tendenza della lirica secentesca alla novità stilistica e in parte anche linguistica. È vero che esso evita accuratamente di uscire dalla norma verso il basso comico, dialettale e tecnicistico, non ignoto al Marino, ma quanto a latinismi è ancora più generoso del poeta dell’Adone e da essi cava molti dei suoi neologismi, ma soprattutto ne chiede al greco (della cui poesia era conoscitore e imitatore). Per non dire poi dei risvolti linguistici della sua ricerca su metri e ritmo, dove egli si segnala come il primo, vero, grande innovatore della tradizione petrarchistica: molti diminuitivi, tante sdrucciole in rima (tra cui spesso superlativi assoluti), parole tronche. Chiabrera si rivelò meno sensibile alle potenzialità conoscitive del gioco metaforico e concentrò invece la ricerca formale sull’aspetto musicale del componimento poetico. La caratteristica più evidente di Chiabrera è lo sperimentalismo metrico. Il rinnovamento metrico da lui perseguito mise in discussione la metrica tradizionale, finendo per avere sulla tradizione italiana un effetto destabilizzante pari a quello ottenuto dalle innovazioni tematiche messe in atto da Marino e i marinisti. Da un punto di vista contenutistico, il classicismo di Chiabrera e dei suoi seguaci presenta sì una maggiore moderazione nelle scelte degli accostamenti metaforici rispetto alla poetica marinista, ma il cambiamento progressivo del gusto dell’epoca della varietà e della novità, influenza anche i classicisti spingendoli a superare i limiti imposti dalla tradizione all’ambito del poetabile. La poesia classicista del ‘600 rappresenta più una variante dell’esperienza barocca che una realtà opposta a questa. È questa alternativa moderata acquisterà mano a mano più peso: il linguaggio dei classicisti offrirà all’Arcadia lo strumento con cui operare quel rinnovamento della lirica italiana all’insegna della razionalità, del buon gusto e dell’armonia che segnerà l’affermazione della sensibilità settecentesca. Il predominio degli interessi musicali contribuisce a selezionare il vocabolario e ad organizzare la sintassi secondo moduli che saranno sfruttati dai testi dei melodrammi di grande successo. REAZIONI ALLA POETIC A DEL BAROCCO È noto che già alla fine del ‘600, con la fondazione dell’Arcadia (1690), si ebbe una reazione alle concezioni poetiche del Barocco in nome di un rinnovato classicismo e in nome della razionalità della poesia. A partire dalla fine del ‘600 si sviluppò e prese piede il giudizio sul ‘cattivo gusto’ del Barocco (giudizio che fu costantemente ripetuto dagli illuministi, fino a diventare luogo comune). La reazione antibarocca si ebbe prima in Francia che in Italia, e proprio qui maturò una posizione che condannava la letteratura italiana (e quella spagnola); la polemica letteraria francese contro il Barocco finì poi per coinvolgere il giudizio stesso espresso sulla nostra lingua (fissando idee che avrebbero avuto largo corso nel ‘700). Padre Bouhours (gesuita francese che godeva di grande autorità come grammatico) svolse in alcune sue opere la tesi secondo la quale, tra i popoli d’Europa, solo ai francesi poteva essere riconosciuta l’effettiva capacità di ‘parlare’, di contro gli spagnoli ‘declamavano’ e gli italiani ‘sospiravano’. Era un giudizio che ribaltava in negativo un’opinione diffusa sulla poeticità dell’italiano. Si accusava lo spagnolo di magniloquenza retorica e l’italiano di eccessiva tendenza alla sdolcinatezza poetica, solo il francese aveva il diritto di ambire allo statuto di lingua della nuova comunità politico-intellettuale europea in quanto proiezione espressiva di una società e di uno Stato che si stava affermando come grande potenza diplomatica e militare. A vantaggio del francese, secondo Bouhours, giocava la vicinanza della prosa e della poesia, indice di ‘razionalità’. Egli voleva promuovere il francese a lingua universale, lingua di tutto il mondo, nuovo latino → le rivendicazioni di Bouhours mirano a privilegiare il suo paese nel confronto con le altre nazioni d’Europa, affermandone il primato (che di fatto sarebbe stato raggiunto nel ‘700). La lingua italiana, invece veniva bollata come incapace di esprimere in modo ordinato il pensiero umano, e veniva quindi, confinata nel suo orticello poetico, come strumento della lirica amorosa e del melodramma. Emerge per la prima volta una questione legata al problema del ‘genio delle lingue’, di cui si dibatterà a lungo nel ‘700: ci si avviava ad attribuire a ogni idioma un carattere fisso, dunque le degenerazioni del gusto letterario italiano venivano riconosciute come intrinseche alla natura della nostra lingua. SVILUPPO LETTERARIO DELLA PREDICAZIONE RELIGIOSA PREDICAZIONE BAROCCA Essa presenta una serie di costanti, riassunte da Bolzoni nelle seguenti caratteristiche: forte uso di esclamazioni fitta presenza di interrogazioni, invocazioni, chiuse ad effetto ed elencazioni accumuli lessicali nei quali spesso si instaurano giochi di rima, allitterazioni e assonanze spesso sono presenti anafore Sono tendenze che sembrano essere anticipate dalle prediche cinquecentesche di Panigarola (è stato osservato che talora la predica tardo-cinquecentesca presenta arditezze retoriche anche maggiori della letteratura barocca vera e propria → non a caso Panigarola è stato individuato come modello delle Dicerie sacre di Marino). Specialmente nelle ultime opere di Panigarola si sviluppò una particolare tensione verso la metafora e la ridondanza lessicale, spesso in forma di climax o di gioco verbale, ma anche verso l’enumerazione o accumulo di parole. Le Dicerie sacre di Marino si