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Luigi Capogrossi, Storia di Roma tra diritto e potere, Sintesi del corso di Diritto Romano

Il paesaggio in cui si situavano insediamenti di umani, all’inizio dell’ultimo millennio a.C., che poi avrebbe dato origine a Roma ed a altre cittfi latine del Latium ventus, non doveva essere molto diverso da quello odierno, solo più ripido e con maggiori dislivelli. Il territorio si caratterizzava da presenza di boschi e paludi con vasti acquitrini, negli avvallamenti

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Luigi Capogrossi, Storia di Roma tra diritto e potere e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Romano solo su Docsity! Luigi Capogrossi, Storia di Roma tra diritto e potere INDICE Cap. 1 LA GENESI della COMUNITA’ POLITICA 5 1. Le condizioni materiali nel Lazio arcaico 5 2. Villaggi, distretti rurali e leghe religiose 5 3. La fondazione di Roma 6 4. Le strutture familiari e le più ampie aggregazioni sociali 6 5. La cittfi delle origini come sistema aperto 7 Cap. 2 LE STRUTTURE della CITTA’ 9 1. La chiave di volta delle istituzioni cittadine: il “rex”” 9 2. I “patres” (=padri) 9 3. Il “populus” (=persone) 10 4. I consigli sacerdotali 11 5. I Pontefici 12 6. Le radici arcaiche del diritto cittadino 13 Cap. 3 I RE Etruschi 14 1. Le basi sociali delle riforme del VI secolo 14 2. La fisionomia della nuova cittfi 14 3. Le prima riforme 15 4. L’ordinamento centuriato 15 5. Le tribù territoriali e il censimento dei cittadini 16 6. Controllo sociale e repressione penale 17 Cap. 4 Dalla MONARCHIA alla REPUBBLICA 19 1. La cacciata dei TARQUINI e la genesi della Costituzione Repubblicana 19 2. Patrizi e Plebei 20 3. Le XII Tavole 21 4. La conclusione di un percorso 23 Cap. 5 Il compiuto disegno delle ISTITUZIONI REPUBBLICANE 25 1. Il Consolato e il Governo della cittfi 25 2. Il Pretore e le altre Magistrature 27 3. Il Senato 29 4. Il popolo e le Leggi 30 5. La sovranitfi del legislatore e i suoi limiti 32 1 Cap. 6 La STRADA per l’egemonia (=dominio) ITALICA 34 1. Cittadini e stranieri 34 2. Latini e cittadini delle colonie35 3. La svolta del 338 a.C. e i nuovi Statuti giuridici di Roma 36 4. La genesi del Sistema municipale 38 5. Cittfi, “fora”, “consiliabula”, “pagi” e “vici” 39 Cap. 7 Un’ ARISTOCRAZIA di GOVERNO 41 1. La nuova direzione politica patrizio-plebea 41 2. Il “cursus honorum” 42 4 Cap. 1 LA GENESI della COMUNITA’ POLITICA 1. Le condizioni materiali nel Lazio arcaico Il paesaggio in cui si situavano insediamenti di umani, all’inizio dell’ultimo millennio a.C., che poi avrebbe dato origine a Roma ed a altre cittfi latine del Latium ventus, non doveva essere molto diverso da quello odierno, solo più ripido e con maggiori dislivelli. Il territorio si caratterizzava da presenza di boschi e paludi con vasti acquitrini, negli avvallamenti, contribuendo all’isolamento delle comunitfi umane stabilite. La primitiva economia delle popolazioni laziali si fondava soprattutto sull’allevamento di pecore e maiali, ma veniva praticata anche una forma primitiva di agricoltura, legata alla coltivazione di farro e orzo; e ad alcuni alberi da frutto come il fico e l’ulivo, mentre la vite assunse rilevanza in etfi successiva. Le prime forme di circolazione e di uomini si registrano in qsto periodo. Le principali rotte commerciali erano qlle che univano l’Etruria alla Campania, la zona ai piedi del Campidoglio e del Palatino e le vie di comunicazione dal mare verso l’interno. Infatti, il Tirreno era gifi coperto da una fitta rete di traffici che contribuivano all’intenso flusso di beni tra la zone costiera e l’entroterra: basti pensare alla Via Salaria (a Roma) – la via del sale. Quest’area gifi dal 1000 a.C. si caratterizzava dalla presenza di numerosi villaggi vicini gli uni agli altri e costituiti da poche capanne. L’aggregazione degli abitanti si fondava su relazioni familiari o pseudo parentali, legate da più o meno leggendarie discendenze comuni. Queste comunitfi non sempre e non tutte erano disposte a evolversi verso forme cittadine ed essendo piccole ma numerose e presentando infatti difficoltfi di 2 tipi: Interne governare la natura (operazione ai temi assai difficile) Esterne difendersi dai nemici 2. Villaggi, distretti rurali e leghe religiose I primi insediamenti arcaici presenti nelle varie localitfi laziali, fonti di informazioni sono le tombe d’epoca arcaica presenti, dove i defunti venivano sepolti con cibo, ornamenti, suppellettili, armi (uomini) e strumenti per tessere (donne). Qsto dimostra, come fosse gifi diffusa la credenza di una vita ultraterrena. Qste comunitfi erano unite da vincoli parentali o pseudo parentali, rafforzate dal culto degli antenati e dalla presenza di più o meno circoscritte unitfi sepolcrali che, non dovevano necessariamente coincidere con le singole unitfi familiari. Le funzioni di guida della comunitfi venivano attribuite in base all’etfi e alla capacitfi militare. La posizione dominante era attribuita al patres, i più anziani del gruppo e detentori di saggezza e con capacitfi di guidare la comunitfi; prendevano le decisioni importanti per la vita della comunitfi e alcuni di loro assolvevano anche a funzioni religiose. In momenti di pericolo o di crisi, i poteri decisionali e di comando venivano rimandati ad alcuni guerrieri di particolare valore e capacitfi. Questi piccoli villaggi situavano in un’area molto circoscritta e giacevano pochi centinaia di metri gli un dagli altri, avendo così un fitto e ininterrotto sistema di relazioni tra di essi. La cultura è di tipo comune, con la stessa lingua e cioè il latino. Vi era un interesse economico comune, qllo della gestione e o spartizione dei pascoli e delle terre agricole. Le varie comunitfi si incontravano anche in occasione di particolari riti religiosi p.es. triginta populi Albenses e attorno a particolari figure come il rex Nemorenis – da notare però che, siamo in un’epoca in cui il “sacro” si identifica con la natura e non con la religione. Verso la metfi dell’8 sec. – precisamente nel 753 a.C. vi fu la fondazione di Roma – probabilmente ci furono profonde trasformazioni nell’organizzazione economico-sociale del Lazio primitivo. 5 In questo periodo, si dimostra il sorgere di una classe economica più ricca e con connotati (=segnare) aristocratici, reso possibile da un processo di incremento della popolazione e di uno sviluppo economico. La guerra favorì una distribuzione della ricchezza iniqua, infatti attorno ai guerrieri e ai gruppi familiari più forti si concentrò un numero crescente di seguaci, qsto portò ad accentuare le differenze gerarchiche in termini di forza militare e di ricchezza. Probabilmente fi fu un primo sviluppo tecnologico, passando da una produzione “domestica” dei principali manufatti, a una produzione specializzata; mentre si moltiplicano gli oggetti metallici, la cui realizzazione implicava la presenza di un’elevata tecnologia e di adeguate risorse. Qsto deve aver determinato la nascita di un primo “mercato” di scambio tra prodotti agro-pastorali e manufatti. Quasi certamente vi fu anche un primo sviluppo delle attivitfi agricole. Probabilmente esistevano gifi dei modi per appropriarsi di beni mobili, animali e forse anche della terra ai singoli soggetti o alle singole comunitfi e si vengono così a determinare i primi squilibri. Qsti con il passare del tempo, determineranno fenomeni di “sinecismo” dal greco = “abitare insieme”; termine usato per indicare la formazione della cittfi, dall’aggregazione di abitanti sparsi delle minori comunitfi. 3. La fondazione di Roma In questo contesto appaiono i primi centri insediativi unitari di un certo rilievo che potremmo definire, “cittfi in formazione”, poiché alcuni insediamenti laziali assunsero una fisionomia diversa e più incisiva di qlla dei villaggi dell’etfi precedente. Il nucleo originario di Roma è da identificarsi sul PLATINO (lo sapevano gifi di Romani) e infatti è da qsto colle che si ricollegano le leggende più antiche (coppia di gemelli salvati dalle acque del Tevere e la “casa di Romolo”). La storia leggendaria della “fondazione di Roma” – 21 aprile 753 a.C. – comunica l’idea di una “nascita” quasi improvvisa, una nascita come rottura. Infatti, l’espansione cittadina non seguì gli schemi territoriali costituti dai preesistenti collegamenti religiosi. In qsto modo si andò verso la forma della polis e il nucleo politico delle aggregazioni perse progressivamente potere. In qsto modo si determinarono spazi per la vita della comunitfi, per l’assemblea cittadina, per i luoghi di culto e per la sede del REX: nasce così la politica. A ROMOLO risale la novitfi organizzativa della cittfi: una “costituzione”, come descrizione di qualcosa che non esisteva prima. Confermato re dal consenso degli dei e dei concittadini, il fondatore definisce la forma sociale e istituzionale della cittfi dividendo il popolo nelle 3 tribù dei Ramnes Tities Luceres; La leggenda “del ratto delle Sabine”, dove vengono a confronto-scontro la comunitfi latina del Palatino e qlla sabina del Quirinale, che si concluse con la loro fusione, come anche le due figure di Romolo e del sabino Tito Tazio, le quali segnano un balzo in avanti nella storia di Roma. 7 E’ evidente che, oltre alla storia, Roma si formò e si arricchì nel corso del tempo, grazie a elementi eterogeni e contradditori. Latini e Sabini, e poi Etruschi furono, anche se componenti diverse, i fondatori del nuovo organismo politico della cittfi, contribuendo a staccarla da uniformi radici etnico-culturali e a modernizzarla, trasformandola in una nuova realtfi. Se da prima il mondo pre-civico formato dai villaggi era fondato su una parentela, conseguentemente l’integrazione individuale avveniva sulla base della funzione dei vincoli di sangue (antenato comune), anche se inesistente, nel caso di Roma non si parla di una “padre comune”, ma di un fondatore comune. Qsto permetteva di incorporare soggetti diversi senza bisogno di un vincolo di parentela. Per cui il soggetto che si integra non è parente ma “cittadino”, membro del populus, partecipe del comune diritto. Contrariamente le Polis greche, erano solitamente molto più riluttanti ad estendere la cittadinanza ad estranei. In merito, si pensi che, sia il leggendario successore Numa (proveniva dalla cittfi sabina di Cures), sia Tarquinio Prisco e Servio Tullio erano di origini straniere. Questo spiega gli scontri avvenuti nell’etfi monarchica tra Roma e le altre cittfi, che si conclusero in una fusione (come p.es. lo scontro tra la Roma del Palatino e la comunitfi sabina del Quirinale). Processo che si ripeté nel corso dei successivi conflitti: la vittoria di una comunitfi sull’altra significava infatti la scomparsa della cittfi vinta e l’assorbimento della sua popolazione nella cittfi vincitrice. Per questo le guerre di Roma appaiono come una serie di forzata di sinecismi (= concentramento in un’unica cittfi della popolazione prima sparsa in borgate e campagne; ai componenti dello Stato nato per sinecismo competevano eguali diritti politici es. Alba Longa. La popolazione conquistata veniva trasferita a Roma e i suoi maggiorenti venivano integrati nell’aristocrazia, esempio in merito sono le comunitfi di: Ficana, Tellene, Camerica ecc. Tutto ciò determinò una crescita quantitativa e politico-militare per Roma molto significativa. Altro aspetto da considerare è che, a tempo vi erano anche gruppi che emigravano volontariamente a Roma in cerca di opportunitfi e che finivano con l’inserirsi nella popolazione e nella “neonata” aristocrazia romana p.es. il futuro re Tarquinio, caso esemplare ma non unico. Mentre in etfi avanzata si avrfi il caso di migrazione di un intero gruppo gentilizio: quello dei Claudi. Il capo dei grandi gens sabina – Appio Claudio, avrebbe abbandonato la sua cittfi d’origine (Regillum), spostandosi con tutto il suo gruppo a Roma (5 sec. a.C.). A tutti i suoi seguaci sarebbe stata concessa la cittadinanza e la proprietfi di un heredium, mentre lo stesso Appio fu ammesso nel Senato, dando così origine alla potente gens Claudia che attraversa tutta la storia di Roma fino all’Impero. 8 Cap. 2 LE STRUTTURE della CITTA’ 1. La chiave di volta delle istituzioni cittadine: il “rex”” La tradizione antica attesta la presenza di un “rex” (=re), il quale stava al vertice della cittfi primitiva e ne fu anche un fattore dinamico nel processo di unificazione politica. Il suo potere presenta tratti arcaici, fondandosi su un carattere carismatico con una forte accentuazione religiosa. Vi era però, la mancanza del principio dinastico, per cui il figlio non succede al padre. Per cui: da un lato vi era la volontfi divina che disegnava il nuovo re – rex innaguratus secondo la tradizione Romolo consultava direttamente gli dei, interpretando i segni favorevoli, mentre il suo successore, anch’egli forse una figura convenzionale, NUMA POMPILIO, ascese alla carica attraverso la solenne cerimonia dell’inauguratio (destinata a persistere nei rituali romani sino a età Imperiale. Dall’altro lato, per designare il nuovo re, c’era un percorso preciso. Il Senato designava un membro che aveva la funzione di interrex e questo designava il nuovo re, successivamente vi era l’inauguratio del nuovo re, e alla fine il nuovo rex si presentava al popolo riunito nella forma dei comizi curati da lui stesso convocati, al fine di assumere di fronte a loro il supremo comando. In questo modo i suoi sudditi e il suo esercito, partecipavano alla nomina con un atto solenne, ma non è chiaro quale fosse il reale ruolo del populus (=con qsto termine si indica in origine l’esercito, solo più tardi verrà utilizzato per indicare la comunità dei cittadini). Il rex era quindi: sacerdote, comandante dell’esercito e garante dell’esistenza e della sicurezza della comunità. Egli era colui che “sapeva” e “diceva” le norme della cittfi e le applicava nei conflitti interindividuali e nelle repressioni delle condotte criminali. Il re era coadiuvato (=appoggiato/affiancato) da una serie di collaboratori istituzionali per cui, difficilmente era solo nella sua azione di governo, in particolare vi era: Magister populi (= comandante militare) che lo poteva sostituire nel comando dell’esercito e a un magister equitum, al comando della cavalleria; Un praefectus urbi (=Prefetto) che lo assisteva nel governo civile della cittfi, questa figura, nel corso del tempo avrebbe aumentato il suo potere, soprattutto nel delicato settore dei giudizi civili e della repressione criminale; il collegio pontificale di cui il re quasi certamente ne faceva parte, che lo assisteva nel ruolo di garante e custode dei mores (=comportamenti), il fondamento consuetudinario del diritto cittadino, e di tutore dell’ordine legale della cittfi. I duoviri perduellionis (=magistrati – delitto contro lo stato) e i quaestores parricidi (=Questori con poteri giudiziali) erano competenti per la repressione di alcuni reati di particolare gravitfi. Vi sono precisi riferimenti circa l’esistenza di leges regiae (=leggi del re), addirittura riferibili ai singoli re che si successero a Roma. In origine è improbabile che il rex, analogamente al Magistrato repubblicano, sottoponesse formalmente all’approvazione dell’assemblea del popolo una sua proposta, mentre è più probabile che la regola applicata per risolvere un litigio tra cives divenisse statuizione (=introduzione di un ordine) destinata a vincolare tutti i membri della comunitfi cittadina. Si trattava di solenni pronunce del rex di fronte all’assemblea cittadina, unica garanzia di pubblicitfi in un’epoca in cui la scrittura era quasi inesistente e non c’era altro che la memoria individuale e collettiva. importante ma limitato perché: da un lato queste assemblee non dovevano avevano il potere di esprimere la volontfi della cittfi, di modificare le decisioni prese dagli organi del governo cittadino: rex e patres. Anche se, in merito alle delibere di interesse generale, come per la pace e la guerra, il parere dell’assemblea doveva rafforzarsi. Dall’altro alto l’assemblea poteva esprimere la sua approvazione o dissenso, senza mai arrivare a un foto formale. Ivi per cui era la sede d’espressione e di verifica di quel consenso, sulla quale si fondava la legittimitfi del rex. Si ricava dunque, che, sin dall’inizio vi era una comunitfi politica e non un insieme di sudditi, soggetti a un volere superiore ed estraneo. Infatti, verso la fine della Monarchia è possibile che, i comizi curati siano 10 giunti a esprimere formalmente il loro voto, almeno per alcuni aspetti specifici. In tal coso, la decisione era presa dalla maggioranza delle 30 curie. 4. I consigli sacerdotali I tre organi costituitivi della cittfi erano: rex patres e populus. Vi è una continuitfi con il mondo pre-civico e questo si osserva maggiormente nella sfera religiosa, in quanto la struttura portante era costituita da diversi collegi sacerdotali, gifi presenti in etfi monarchica. Molti sono i filoni religiosi, presenti nella societfi romana arcaica, i quali sono confluiti in essi (consigli sacerdotali). La sfera religiosa della societfi romana arcaica era ampia e comprendeva: i culti dei PENATI e dei LARI propri di ogni famiglia e di competenza del pater familias; i culti delle gentes, delle curiae o di aggregazioni più ampie, anche della cittfi stessa e i culti della cittfi. In etfi preistorica, vi erano una notevole serie di divinitfi che accompagnavano i Romani in ogni aspetto della vita e in ogni periodo, e a ciò si collegava tutta una serie di collegi e consorterie religiose. Tra i più antichi di questi collegi vi sono: i Luperci Quinctiani e i Fabini che presiedevano all’importante rito dei lupercali che, era evocativo degli arcaici legami territoriali di alcune comunitfi pre-civiche. Il collegio dei Salii una specie di sacerdoti-guerrieri, impiegati in singolari rituali di tipo magico- animistico; Il collegio dei Fratres Arvales che, sovrintendevano al culto dell’antichissima dea Dia. In una fase successiva acquisterfi notevole rilevanza il collegio dei Flamines anche questo antichissimo, con una particolare fisionomia. Ciò è particolarmente evidente nei 3 flamines maiores: DIALIS, MARTIALIS e QUIRINALIS, legati al culto della divinitfi e che solo in parte furono inseriti nel Pantheon cittadino. Tutte queste realtfi erano estranee al rex e che la cittfi stenta a farle proprie ed erano poste ai margini della cittfi. Infatti, il nucleo centrale della religione cittadina si costituì da una fusione di elementi arcaici e nuovi. Questo processo, porterfi alla sostituzione delle 3 supreme divinitfi arcaiche quali: GIOVE, MARTE e QUIRINO, con quelle della religione olimpica costituita dalla triadi di: GIOVE, GIUNONE e MINERVA, il cui culto si svolge sulla “roccaforte” della cittfi: il CAMPIDOGLIO, in un grande tempio appositamente costruito. Un altro culto dalle radici antichissime, ma centrale nella vita della cittfi era il culto di Vesta affidato a delle sacerdotesse che godevano, gifi in etfi tardo repubblicana e imperiale, di condizioni sociali elevatissime. Queste avevano il compito, oltre che a partecipare a importanti festivitfi, di custodire il fuoco sacro, che deve rimanere accesso continuamente e dell’acqua. Questo culto rappresenta: da un lato si fonda su un simbolismo che rinvia all’etfi precivica (infatti la REA SILVIA, la madre di ROMOLO e REMO era consacrata a VESTA); dall’altra l’integrazione di questo culto è attestata dalla dipendenza delle VESTALI dal rex: in un rapporto di dipendenza di tipo familiare, sostituito poi in epoca repubblicana, dal legame con il Pontefice. Altro collegio religioso che assolse un ruolo di grande rilievo, anche oltre l’etfi regia, e cioè quello del Collegio dei Feziali, i cui compiti erano circoscritti alle relazioni internazionali. Era un sacerdozio che, costituiva il sistema di comunicazione formale tra Roma e le altre comunitfi. A capo, vi era un collegio di 20 membri nominati a vita, dove al suo interno un pater patratus doveva tradurre le decisioni politiche prese, rispettando la forma dell’ordinamento romano, rispettando la validitfi degli atti internazionali. Ogni richiesta rivolta a popoli stranieri o da questi a Roma, doveva avvenire a mezzo di questi canale. Solo attraverso i Feziali si poteva dichiarare una guerra “giusta” e al suo termine, concluderla con una pace legittima. Tale sistema non andava a incidere direttamente sulla sostanza dei rapporti internazionali di pertinenza del rex e dei rispettivi detentori del potere di guerra e di pace, ma ci si limitava a tradurre le decisioni politiche nella forma richiesta dall’ordinamento romano per validitfi degli atti internazionali. Attraverso il loro rigido formalismo la pretesa diventava giusta in quanto legittima. In questo modo: si costituì un primo nucleo di diritto internazionale e anche privato (rapporti tra cittadini di diverse cittfi) e si comprese che, il diritto non era limitato alla sola cittfi. Gli antichi Romani, così come molti altri popoli, cercavano di interpretare la volontfi degli Dei per regolare la vita sociale e prendere decisioni, per cui è probabile che, il Collegio degli Auguri, avessero gifi delle origini antichissime. Il Collegio degli Auguri, era molto potente e prestigioso, composto da 3 membri (successivamente divennero 9), che venivano scelti e per molto tempo, furono solo patrizi. 11 Come per i Feziali , anche in questo campo si formò nel tempo una scienza augurale e un “diritto” augurale; tradizioni e interpretazioni che furono raccolte in vari testi. In particolar modo si distingueva in: auspicio se a interrogare la volontfi degli dei era il rex o i Magistrati; questi si riferivano a situazioni immediate e ben individuate; auguria se a interrogare la volontfi degli dei erano gli auguri – potevano avere oggetti più ampi (fino al destino della stessa Roma) e situazioni più lontane nel tempo. Dal verbo augere (=aumentare), deriva l’idea che augurium (=incanto), evochi non la semplice manifestazione di una volontfi divina, ma un arricchimento della condizione e dell’azione umana a seguito di una richiesto di intervento degli Dei. Per questo, sia un luogo che, una persona possono essere oggetto di inaguratio (=inaugurazione). Il rex, appunto, è persona inaugurata per eccellenza concentrandosi su di lui la forza magico-religiosa del consenso divino. E’ necessario sottolineare il fatto che solo pochissimi ruoli, tra quelli descritti, presupponeva una totale “consacrazione” del sacerdote alla divinitfi, con la conseguente sua separazione dalla vita corrente nella cittfi. Per cui vi erano 2 possibilitfi: se c’era una totale “consacrazione” in genere si era nominati a vita e si veniva esclusi da ogni forma di gestione diretta di potere; In tutti gli altri casi i ruoli sacerdotali erano assunti da ordinari cittadini che, continuavano a partecipare alla vita ordinaria della comunitfi, non diventando una casta separata, e nemmeno portatori di valori diversi da quelli della polis. Si arriva così, a parlare di una “laicitfi” dell’ordinamento romano. Questa si manifesta con la sostanziale debolezza dei Collegi sacerdotali e probabilmente, si spiega con l’affermarsi, in tempi molto veloci, di un’aristocrazia guerriera e dell’esercito cittadino co il suo peso politico. Questo è il tipico e proprio carattere di Roma che, spiega anche la fisionomia del rex, ben diversa dalle forme ierocratiche (=letteralmente potere dei sacri, e indica una forma di governo in mano a una divinitfi o più genericamente a persone che incarnano la divinitfi o la rappresentano e sono perciò ritenute sacre (ad esempio i sacerdoti).delle monarchie mesopotamiche [(=è un ampio bacino geografico che si estende dall'Altopiano iranico al Mediterraneo, compreso tra i corsi dei fiumi Tigri ed Eufrate (che si trovano i Turchia)] o egiziane. Il carattere patriarcale delle primitive forme religiose romane, dove il rapporto con il sacro, partiva anzitutto dalla religione domestica, amministrata da ciascun pater familias, abbia avuto un ruolo importante. La nuova impostazione cittadina non modificò radicalmente questi presupposti, ma si limitò a trasferire le funzioni religiose, nei titolari del potere legittimo sulla comunica: i Magistrati e il Senato, e nei collegi Sacerdotali. Il nucleo della religione antica (secolare) non si dissolse, ma si trasferì a livelli nuovi, articolandosi in diverse dimensioni. Tutto questo fa capire, come sia inesatta la rappresentazione ottocentesca della religione romana e cioè un fatto secondario, rispetto agli sviluppi della cultura cittadina. l’esistenza di questo potesse dipendere dall’atto normativo del Sovrano, concepito invece, come il depositario e garante di un patrimonio antichissimo. 13 Cap. 3 I RE Etruschi 1. Le basi sociali delle riforme del VI secolo Numerose sono le narrazioni storiche che, nei primi secoli, salirono al potere una serie di Re di origini etrusche. Questi esercitarono una forte modernizzazione sull’apparato politico-istituzionale, anticipando così alcuni tratti di quello che poi diventò il sistema repubblicano. Tali trasformazioni furono possibili a causa della crescita politica e sociale di Roma, diventando poi alla fine del 7 sec. una delle principali cittfi del Lazio, sia per dimensione che per abitanti (popolazione). Parallelamente agli sviluppi politico-militari che hanno permesso a Roma di espandersi, si devono considerare altri fattori: L’accresciuta importanza delle forme di proprietfi individuale Espansione delle attivitfi artigianali e mercantili; permettendo gli scambi di beni e la circolazione del bronzo come unitfi di misura e valore di pagamento. Infatti, proprio sotto il re SERVIO si arriverfi alla certificazione pubblica del peso della qualitfi del bronzo - l’aes signatum (= il bronzo marcato). Sotto i re di stirpe etrusca, si ebbe uno sviluppo della cittfi che rese possibile un incremento delle grandi opere pubbliche p.es. bonifica dei Fori, costruzione della Cloaca Massima, Tempio dedicato alla triade Capitalina. Tali opere richiesero un accresciuto fabbisogno di manodopera urbana, così come una massa crescente di popolazione, composta anche da stranieri, che si concentrarono in cittfi. Queste nuove popolazioni si trovarono a doversi inserire in un sistema chiuso delle curie, si vennero così a creare nuovi gruppi sociali e nuovi ceti, organizzandosi in nuove forme di gentes; caratterizzati da tratti di fisionomia individuale e in piccoli nuclei di familia proprio iure. Si verificò dunque: da un lato una crescita di stati sociali estranei al sistema gentilizio costituiti da piccole unitfi ai margini dell’economia cittadina, sia da strutture familiari importanti per consistenza economica, in grado di prendersi uno spazio autonomo della cittfi. Dall’altra si verificò un processo di disgregazione delle gentes, dovuto alle tendenze di singole famiglie o lignaggi (=casata/stirpe) e alla rottura dei vincoli di dipendenza dei clienti arcaici, sia per la loro emancipazione economica, sia per l’estinzione di alcuni gentes. Tutti questi elementi portarono ad un avvicinamento al sistema gentilizio da parte di questi cittadini estranei. La famiglia romana, con il pater che aveva la potestas sui suoi discendenti, si prestava benissimo a trasmettere le conoscenze tecniche necessarie per imparare un mestiere, questo dovuto anche dal fatto che, alla morte del pater, i discendenti maschi avrebbero formato ognuno una propria famiglia. Ciò contribuì a separare il mondo aristocratico (= gentes) dalla restante cittadinanza. Tale distinzione porterfi nella prima etfi Repubblicana a distinguere tra: patrizi e plebei. Il clan dei patrizi presentavano un carattere “più aggregato” e meglio evidenziato, rispetto ai gruppi sociali che poi avrebbero dato origine alla plebe. Questi ultimi (plebe), in un primo mento, erano privi di una loro specifica identitfi, potendosi definire in termini negativi come “non patrizi”. La crescita economica del 6 sec. a.C., come spesso è avvenuto nella storia, accentuò i dislivelli sociali. 2. La fisionomia della nuova cittfi Roma si vide protagonista di profonde trasformazioni politiche e istituzionali nel corso del 6 sec. a.C. I protagonisti ne furono una serie di re d’origine etrusca, portatori di un diverso e più elevato livello culturale rispetto alle societfi del Lazio primitivo, portandola a una grande crescita economica e a uno splendore culturale della loro civiltfi. Questi cambiamenti (mutamenti) coincidono con un avvicinamento di Roma alle potenti cittfi etrusche, senza una subordinazione politica. L’alleanza con Roma, da parte degli Etruschi era vista come una cosa “preziosa”, i quanto questi ultimi volevano spandersi verso la Campania, facendone un punto d’appoggio importante strategico per le diverse cittfi latine ostili. Stando a fonti unanime, il potere dei nuovi re si accentuò sia nella sostanza che nella sua rappresentazione simbolica. Questo potere era: Irregolare perché, secondo i vecchi canoni, era difettoso per l’assenza dell’inaugurato (=inaugurato) o della procedura dell’interregum (=governo transitorio) o della presentazione ai comizi curati; basato sulla spinta militare e consenso popolare con un carattere autoritario del loro comando, compensato però, da un appoggio del popolo; 14 simbolico riferito alla sovranitfi e comando, derivante (quasi tutte) dal mondo etrusco, come p.es. la corona d’oro o di alloro, la toga purpurea, le calzature rosse, il trono e lo scettro d’avorio e la guardia dei littori armati dei fasci e della scure. Simboli solenni che riappaiono nel corso di tutta l’etfi Repubblicana in occasione della cerimonia del trionfo, con l’esaltazione del ruolo militare. Essi evidenziano quel potere supremo di Governo che, la Repubblica erediterfi dai re Etruschi, indicando con il termine imperium, termine estraneo ai primi re latino-sabini. I fondamento popolare dei re Etruschi, fu a la condizione per la realizzazione di una prolungata e incisiva politica di riforme. I vecchi rapporti tra res e ordinamento gentilizio e curato furono sostituiti dalla centralitfi della ricchezza individuale e dalla proprietfi privata. A riguardo è bene ricordare che, la proprietfi, nel Diritto Romano era attribuita soltanto ai pater familias con il paradosso che, il filius familia poteva anche assumere rilevanti cariche politiche (sfera pubblicistica), ma i beni rimanevano comunque al pater (sfera privatistica). 3. Le prima riforme In riferimento ai processi sopra descritti, 2 sono le riforma avviate da TARQUINIO PRISCO: L’ampliamento del Senato l’incremento del numero dei patres da 200 a 300 fu necessario per poter avere un consenso forte e leale. I nuovi Sentori, secondo LIVIO, sarebbero stati un partito sicuro del re, per il favore del quale erano entrati nella curia. E’ comunque certo che, una riforma del genere porti al rafforzamento quantitativo dei gruppi al vertice della societfi romana. A rendere memorabile la vicenda non fu il fatto della nomina di nuovi membri del Senato tratti da lignaggi o da gentes di recente formazione o migrazione, ma la quantitfi: un blocco di 100 casi insieme. Tant’è che, esso no si fuse con i patres preesistenti, ma diede origine a un nuovo gruppo sociale, probabilmente anch’esso annoverato tra i patrizi, ma di minor rango e indicato come minores gentes – “genti minori”. Per capire questa riforma occorre considerare che, la differenza tra una gens di una famiglia numerosa e magari anche ricca e potente, era data dall’inserimento ad opera del res, di un suo membro nei ranghi del Senato (il punto di non ritorno). Per cui con TARQUINIO PRISCO, si ha il riconoscimento in blocco di un centinaio di gentes (anche se minori). L’ampliamento della Cavalleria l’idea era quella di aggiunger una nuova centuria di celeres (=veloci) alle 3 gifi esistenti, in questo modo: si allargava l’esercito e la cavalleria la vecchia aristocrazia gentilizia rischiava di perdere il suo ruolo preminente nell’esercito a favore di altri gruppi. Per questo ci fu l’opposizione dell’aristocrazie rappresentante, in questo caso dell’augure ATTO NAVIO. Questo indusse il re ad aggirare l’ostacolo raddoppiando le 3 antiche centurie (=100 soldati) di celeres. Questi interventi da una parte rispondevano a esigenze tattiche, dall’altra avevano una portata più ampia, mirando al superamento delle stesse tribù romulee con l’inserimento al vertice dell’esercito di gruppi non appartenenti alla vecchia aristocrazia gentilizia. La riforma dell’esercito implica la conoscenza della ricchezza per determinare la classe di appartenenza dei singoli cittadini, per fare ciò era necessario di uno strumento adeguato e non a caso risale a SERVIO l’introduzione del censimento. La conoscenza della struttura e relativa consistenza patrimoniale della cittadinanza permetteva così di la distribuzione dei cittadini in varie classi di centurie. Egli suddivise la cittadinanza in tribù territoriali in sostituzione delle vecchie tribù dei: Ramnes Tities Luceres con proprie divisioni amministrative, le quali dovevano fornire alle varie centurie i contingenti militari, come anche il mantenimento necessario. Sulle tribù gravava così un onere di un tributo – tassazione – tributum a tribus (=primitiva forma di tassazione), la quale veniva comparata alla grandezza delle proprietfi dei singoli cives e avente scopi bellici. 16 Il primo sistema fu fondato sulla distribuzione di tutti i cittadini in 4 tribù “urbane”, che avrebbero ricompreso non solo la cinta urbana, ma anche i territorio circostante. Successivamente, forse sempre sotto lo stesso SERVIO, alle prime 4 tribù si aggiunsero le nuove tribù rustiche, realizzando una distribuzione più articolata della cittadinanza. Nelle tribù urbane sarebbero stati raggruppati gli individui privi di proprietfi fondiaria, mentre nelle tribù rustiche, furono collocati i proprietari dei fondi in esse situati. Inizialmente, si presume che, il nuovo assetto centuriato coincidesse ancora con le sole centurie di iuniores escludendo i patres più anziani, titolari della ricchezza familiare (i titolari ne erano i patres familias), in base ai quali i figli potevano essere inseriti in un’adeguata classe di centurie. Solo con la distribuzione di tutta la popolazione in tribù territoriali, divenne possibile rendere trasparente l’organico cittadino, identificando così la distribuzione della ricchezza di pertinenza delle famiglie, che costituivano la base dello stesso ordinamento centuriato. L’unitfi famigliare – la famiglia – definita “l’unitf i economica di base” del sistema centuriato, in base al quale il singolo cittadino era collocato in una classe o in un’altra di centurie. 6. Controllo sociale e repressione penale Tutto questo portò alla venuta meno di un lussuoso funerario, ma non per un impoverimento della societfi romana, in quanto, proprio in questo periodo ci fu una fase di grandi spese pubbliche per la costruzione di templi e opere urbane. Tale svolta, sembra piuttosto il risultato i un intervento autoritario della cittfi, interessata a impedire forme di estremo sfoggio di ricchezza, che nel tempo (alla lunga), avrebbero potuto indebolire i patrimoni dei ceti aristocratici. Probabilmente le prime leggi volte a stabilire un limite alle spese funerarie, furono introdotte proprio in questo periodo e poi riprese nelle successive XII TAVOLE. Un altro settore della vita sociale in cui intervenne il rex, gifi prima dell’epoca etrusca, riguardò la repressione (=controllo) dei comportamenti individuali pericolosi per l’ordinamento cittadino. Poiché, l’aumentare della comunitfi, fece moltiplicare, causa vicinanza, i conflitti, divenne necessario introdurre forme di litigi regolati adeguate ad evitare confronti violenti e controllate a mezzo procedimenti razionali. Fu allora che, si dovettero consolidare i primi meccanismi di una procedura civile e di regole che permettessero agli organi della cittfi di decidere chi avesse ragione o toro tra i litiganti (privati). Allo stesso modo, si cercava di limitare (controllare) le condotte (comportamenti) criminali dei singoli individui, che iniziò in forma molto limitata. Diversamente, nelle XII TAVOLE la “repressione criminale” era limitata a comportamenti molto gravi e tutto il resto era lasciato all’autonomia dei singoli gruppi familiari e gentilizi e alla loro autodifesa. Inoltre, anche la comunitfi stessa interveniva a regolare le forme, sancire limiti di vendetta e dell’autodifesa privata. La cittfi imponeva il proprio ordine, senza l’intervento del privato offeso, particolarmente in 2 casi: l’uccisione violenta di un membro della comunitfi forme di tradimento proditio (=tradimento) azioni dirette contro la comunitfi politica produello; che venivano indicate con il termine di perduellio (=perduellio(termine latino) costituisce, nel diritto romano, il delitto contro lo Stato, con contenuto vasto ed eterogeneo, diversamente delineato nel corso dell'evoluzione del diritto penale romano. Etimologicamente il termine perduellioderiva da duellum (guerra) ed è ricollegabile a perduellis (nemico); crimine contro l’ordine politico e della civitas e di proditio (=tradimento), il tradimento con il nemico, che comportava per entrambi i casi, la morte del colpevole. Accanto a questi casi, vanno ricordati una serie di procedimenti repressivi di condotta asociali e dannosi, in cui spesso la punizione interveniva sul piano religioso, con conseguenze personali anche gravi, fino alla morte dell’autore del reato. Tali condotte venivano punite, in quanto, violavano precetti, regole e attiravano l’ira degli dei sull’autore del misfatto (colpevole) e con esso su tutta la comunitfi. Ne derivava, conseguentemente l’esigenza dell’isolamento del colpevole (questo atto evidenzia radici preciviche), composto dalla consacrazione (sacratio) e relativo isolamento del colpevole agli dei. Tale condizione comportava, per il colpevole, il distacco dalla comunitfi, perdita di ogni tutela giuridica e l’esposizione a qualsiasi aggressione, senza l’intervento da parte della cittfi in caso qualcuno gli avesse provocato del male. Tali pene venivano applicare alle offese arrecate dai figli al padre, dal cliente al patrono o viceversa e a chi avesse spostato i confini di un campo. Altre sono le pene che venivano inflitte ai colpevoli, previste dalla legislazione decemvirale (Decemviri = è un termine latino che significa "dieci uomini" e che indica una commissione della Repubblica romana), ma non davano diritto a un risarcimento per la vittima e nemmeno un procedimento di sacratio all’autore del reato. E’ il caso: - degli atti di magia contro il vicino - l’incendio doloso del raccolto. 17 In questi casi la sanzione prevista, consisteva quasi sempre nella morte del colpevole, avveniva a mezzo di riti religiosi arcaici (situazioni più antiche di quelle del proditio e perduellio). Comunque, anche in questi casi, doveva esserci una reazione da parte del danneggiato e la denuncia del colpevole (malfattore). Vi erano poi anche comportamenti lesivi ed effettuati ingiustamente nei confronti di singoli cittadini, come p.es. il furto, il danneggiamento di un bene e le lesioni fisiche arrecate a un individuo. In questi casi la comunitfi interveniva a proteggere il danneggiato contro l’autore (colpevole), ma lo faceva solo se la vittima si faceva parte attiva per difendersi e l’eventuale condanna aveva il duplice obiettivo di: risarcire il danno e di punire l’autore della condotta illegittima. Tali comportamenti, mostrano un leggero equilibrio tra il ruolo di giudizio (arbitrale) da parte della comunitfi politica e l’autonomia dei singoli gruppi. Incerti sono anche le liste di magistrati eponimi2, chiamati “Fasti”3 dai Romani (compaiono fino al 486 a.C. ca.), accanto a nomi di Consoli patrizi, vi sono elencati anche quelli di Magistrati plebei. Poi, questi ultimi 1 I conscripti, stando ai significati del latino storico, sono effettivamente gli 'iscritti, arruolati', in genere in un gruppo, in un esercito, tanto è vero che il termine è arrivato fino a noi col significato di 'soldato di leva appena arruolati (www.terremarsicane.it) 2 L'eponimo è un personaggio, sia esso reale o fittizio, che dfi il suo nome a una cittfi, un luogo geografico, una dinastia, un periodo storico, un movimento artistico, un oggetto o altro (www.treccani.it) 3 Nell’antico calendario romano, i giorni dell’anno in cui la trattazione degli affari non era vietata da impedimenti di carattere religioso. Per estensione, il termine passò a indicare lo stesso calendario ufficiale romano (nel quale erano distinti i giorni «fasti» e quelli «nefasti»), e, poiché il calendario era di solito accompagnato dalla lista dei magistrati eponimi, si dissero “consolari” le liste dei consoli (poi anche, per analogia, “trionfali”, le liste dei trionfi dei generali (www.treccani.it) 19 non compaiono più questo dimostra l’esclusione dei plebei dal Consolato, dalle Magistrature e dai ranghi del Senato. Incerte sono anche le sequenze delle innovazioni istituzionali. Fonti riportano che, dopo la caduta dei re si passi alla nomina di un supremo collegio di 2 Consoli sino alla metfi del 5 sec., quando per 2 anni di seguito questi sarebbero stati sostituiti da un Collegio di 10 membri, aventi il compito di raccogliere e redigere il testo delle leggi romane i decemviri legibus scribundis4 (=il consiglio dei dieci e le leggi dei Scrivundis). Con la liquidazione del Collegio nel 449, il ripristino dei 2 Consoli non sarebbe costante, essendo questa carica frequentemente sostituita dalla nomina di più tribuni militum consulari potestate5 (=Tribuni militari muniti di potestfi consolare). Fino al 367 a.C., quando si sarebbe raggiunta la definitiva parificazione politica dei patrizi e plebei, ammettendo che uno dei 2 Consoli, tornati ad essere questi la Magistratura ordinari, potesse (o dovesse) essere plebeo. Incerte indicazioni, ci permettono di immaginare un lungo periodo di una “sperimentazione istituzionale”. Gifi in tale fase emergono elementi che caratterizzano il nuovo assetto politico: il forte limite temporale nelle supreme cariche di Governo, la fisionomia miliare, unita all’elevata concentrazione dell’Imperium (loro attribuito), nonché nel Governo della cittfi e l’accresciuto ruolo dell’esercito centuriato e il valore deliberante dei comizi, e l’accresciuta rilevanza del consiglio dei patres. 2. Patrizi e Plebei La chiusura imposta dall’aristocrazia gentilizia verso altri gruppi cittadini, favorì la formazione di un’unitfi – i plebei), con interessi e azioni pericolose e questo determinò lo scontro tra PATRIZI e PLEBEI su molteplici piani: piano politico che prevedeva una radicale esclusione plebea dal Governo della cittfi, dicasi: dalle supreme magistrature, sino ai collegi sacerdotali. Lo scontro, dovuto a una pretesa di equiparazione dei due ordini. Piano economico su questo piano lo scontro appare più articolato e si sviluppò su 2 piani: una riduzione dei debiti, che gravavano enormemente economicamente sui più deboli della cittfi. In moltissime societfi precapitalistiche, i ceti agricoli più poveri avevano il problema dei debiti e cioè, bastava un anno o più di cattivo raccolto e le famiglie si vedevano forzate a consumare le poche riserve che avevano. Le famiglie facevano debiti e gli era difficile estinguerli, causa gli alti interessi. Da qui, la perdita dell’unica fonte di reddito – il terreno agrario –e la conseguenza di una totale povertfi. Dall’altro, aspetto più grave, lo sfruttamento della terra, dove, da fonti riportate, la plebe chiedeva con insistenza la distribuzione dei territori, strappati ai nemici, in proprietfi privata a tutti i cittadini. Questa pretesa era divergente dalla decisione dei PATRIZI, i quali erano interessati a conservare la maggior parte dei terreni nella forma dell’ager publicus (=il campo del pubblico) di pertinenza della cittfi, ma sfruttato direttamente dai privati. La controversia (e crisi) tra i due gruppi sociali fu tale, da portare alla morte (per opera dei patrizi) dello stesso SPURIO CASSIO, il quale tentò di venire incontro alle richiesti dei plebei. L’accusa dei patrizi verso i plebei era che, questi volessero di fatto mantenere il controllo delle terre, a loro favore e dei loro clienti. Questo ha portato a supporre, che l’esclusione dei plebei, almeno di fatto se non di diritto, dal possesso e dallo sfruttamento dell’ager publicus, sia dovuta a questo; non si capirebbe altrimenti l’interesse a voler trasformare l’ager in proprietfi privata che, giustifichi una presa di posizione (una politica) da parte dei plebei. Piano sociale un assenza di conubium (connubio=relazione) della possibilitfi di nozze fra un patrizio e una plebea e viceversa. Tale unione avrebbe comportato una degradazione sociale dei figli nati dal matrimonio e la perdita del rango della sposa, se questa fosse stata patrizia. La sanzione che formalmente confermava l’interioritfi sociale dei plebei, per la quale questi si batterono, fino ad ottenerne il superamento con la lex Canuleia6 del 445. a.C. 4 Nell'antica Roma, nome di uno dei magistrati appartenenti a un collegio composto da dieci membri. Il collegio dei decemviri legibus scribundis et rei publicae constituendae fu istituito, secondo la tradizione, nel 451 a.C., con il compito di preparare le «dodici tavole», cioè la base del diritto processuale (www.trecccani.it) 5 Il tribunato dei Tribuni militum consulari potestate era una magistratura suprema.Venne istituita nel periodo tra la caduta del decemvirato (448 a.C.) ed l’inizio della costituzione repubblicana (445 a.C.). I Tribuni militum consulari potestate sono ufficiali della legione che lavorano in maniera collegiale, deputati dal Senato all’esercizio di funzioni uguali a quelle svolte dai cònsules (www.gradit.it/articolo/108301) 6 La legge Canuleia è una legge proposta dal tribuno della plebe Gaio Canuleio nel 445 a.C. con la quale venne abolito il divieto di nozze tra patrizi e plebei, risalente alle tradizioni dell'epoca arcaica di Roma e codificato dalle Leggi delle XII tavole da pochi anni entrate in vigore (www.google.it) 20 La persistente e violente forza, da parte della plebe verso questo sistema, minacciò la sopravvivenza della comunitfi politica e tale crisi fu superata con il riconoscimento alla plebe di diversi strumenti protettivi rispetto all’abuso di potere delle magistrature patrizie. Alla guida della separazione plebea, si erano posti dei magistrati, stimolati dalla figura dei tribuni militum (=comandanti militari) o da tribuni militum dall’esercito centuriato schieratisi con la plebe, che presero il nome di tribuni della plebe. Ne conseguì un compromesso politico con il loro riconoscimento come organi della cittfi, fissando dunque, il loro “diritto d’aiuto – ius auxilii” a favore della plebe, ciò significò: una loro esclusione per molto tempo dall’effettivo Governo della cittfi, un’attribuzione generalizzata e sempre più penetrante funzione di controllo nei riguardi dell’azione degli altri magistrati repubblicani. Il loro potere “negativo”, con il tempo si estese all’intera vita politica cittadina, rendendo possibile e a loro riconosciuta la possibilitfi d’interrompere l’intercessio (=veto) un veto contro qualsiasi atto o delibera dei magistrati o dello stesso Sento. Le autoritfi dei tribuni non era sottoposta alle strutture cittadine, potendo così (in questo modo) giungere ad arrestare la vita stessa di tutta la comunitfi. La posizione di questi magistrati, gli permetteva un rinforzamento sacro della loro persona – lex sacrata (=legge accettata) giuramento assunto collettivamente dalla plebe, ma vincolante, per il suo fondamento religioso, per l’intera comunitfi – e successivamente confermato. Gli organi decisionali e di forza della plebe erano: l’assemblea il concilium plebis organizzata sulla base della distribuzione delle tribù territoriali, le quali votavano proprie delibere: i plebisciti (=norma votata dalla plebe su proposta dei tribuni) ed eleggeva propri magistrati: i tribuni e in seguito gli edili. Anche se questo fu un primo passo vero un processo di equiparazione, l’aristocrazia deteneva ancora il monopolio delle cariche magistratuali. Le altre richieste (pretese) da parte dei plebei e cioè, di riequilibrare i rapporti di carattere economico-sociali tra i due ordini, non era state ancora accolte. Per il momento, il mondo plebeo costituiva ancora una realtfi sociale autonoma e antagonista (=avversario/contrapposizione). Per questo, con i suoi magistrati, la plebe volle mantenere un’identitfi separata, con proprie tradizioni religiose, divinitfi e templi Il sistema dei diritti “privati” relativi ai rapporti tra i cittadini, mentre il “diritto pubblico” e l’organizzazione della primitiva macchina statale romana rimasero al margine. Tale raccolta ha un valore intrinseco e funge da una divisoria tra “vecchio e nuovo”, tra ciò che è stato raccolto e conservato dai decemviri degli antichi mores e le nuove regole che introdussero. Da qui, una coesistenza di molte regole arcaiche e di principi innovativi che sembrino apparire per la prima volta nell’esperienza giuridica romana, di cui: Il primo aspetto che porta a un’epoca antica antecedente le XII TAVOLE. Questo lo si può trovare nel sistema che regola le obbligazioni legali, contratte liberamente tra privati. Tali rapporti di dipendenza personale e cioè, il debitore è “legato” e sottoposto al potere personale del creditore. La figura principale (più importante) è quella del nexum (il debitore che da in garanzia se stesso al debitore). La stesa logica arcaica la si può trovare dall’insieme di vincoli personali derivanti dalle conseguenze di azioni dannose e illegittime; dove le prime forme primitive delle obbligazioni si fondono su forme semiprivate delle sanzioni. In questo campo però, si viene a introdurre un elemento nuovo, il quale da la possibilitfi alle parti di un accordo privato e tra loro vincolante, un pacisci9, da cui poi il pactum (=patto/accordo) come fonte di obbligazione, che supera la vendetta (peraltro egualmente sancita nelle XII 7 Maniera artificiosa e studiata di parlare o di comportarsi (www.google.it) 8 Membro di un collegio di dieci magistrati o sacerdoti, spec. nell'antica Roma. (www.google.it) 9 Pacisci «pattuire, fare un accordo» (www.google.it) 22 TAVOLE, con la cosiddetta “legge del taglione”), per evolversi nell’arco del tempo fino ai giorni nostri in “transazione”, in “accordo privato vincolante” e formando così un nuovo tipo di obbligazione. Il secondo aspetto relativo alla struttura dell’organizzazione sociale appare molto antico e cioè, la famiglia nucleare dominata dalla centralitfi del pater familias, l’unico titolare di diritti e legittimato alla loro gestione. In merito, i decemviri10 introdussero ampi fattori innovativi e flessibili, rispetto all’autoritfi del pater familias, tra cui: la mancipatio (=negozio solenne su persone o cose che proprio in quanto scambiabili necessariamente tramite questo atto vennero definiti res mancipi.) fu ideato per rompere la patria potestfi del pater il trinoctium (=l'assenza per tre notti consecutive, ogni anno, che impediva l'acquisto della manus per usus, cioè solo per effetto della coabitazione durante un anno una convenzionale interruzione del matrimonio, mediante l’assenza della moglie per 3 notti dalla casa del marito che, impediva l’acquisto su di essa della manus mediante l’usus11. In questo modo la moglie non veniva assimilata alla condizione di figlia. Il sistema giuridico descritto dalle XII TAVOLE è espressione di una societfi agraria stabile, con una disciplina che ha come oggetto la proprietfi fondiaria, avente lo scopo di integrarsi in un assetto territoriale e volto a massimizzare vantaggi a favore di tutti gli interessati e garantire: - una buona viabilitfi locale e - un adeguato controllo delle acque. I beni in proprietfi sono distinti in 2 categorie: le res mancipi queste erano le cose più importanti in un’economia primitiva es. immobili; in quanto il loro trasferimento era possibile solo a mezzo di una forma negoziale solenne (=ufficiale) e che chiedeva la presenza di testimoni: la mancipatio. Ma soprattutto viene riconosciuto l’usus (=derivante dall’interpretatio pontificale), il quale sanava eventuali vizi intervenuti negli atti di trasferimento della proprietfi stesa e in particolare, della mancipatio. Le res nec mancipi sottoposte a un diverso regime di circolazione. Inoltre, vi era una disciplina delle successioni testamentarie, che riconoscevano la libertfi del pater, di disporre del suo patrimonio mediante testamento con tutta una serie di conseguenze importanti. Nel secolo e mezzo successivo, dopo l’introduzione di questa legislazione, l’interpretazione dei pontefici e dei magistrati, competenti a regolare i processi tra i cittadini; determinò un’applicazione innovativa alle regole decemvirali, adattandole alle esigenze di una societfi in trasformazione. 4. La conclusione di un percorso Con la ripresa plebea e cioè, dell’istituzione dei tribuni (494 – 471 a.C.), la legislazione decemvirale, le leggi VALERIE ORAZIE e la lex CANULIA, ci fu una lunga e frammentata sperimentazione istituzionale con la sospensione dei consolari (=erano in 2). Per evitare di escludere i plebei dal Consolato, si preferì sospendere la nomina dei magistrati, questo forse anche dovuto al fatto che, esigenze militari richiedevano un numero di magistrati cum imperio maggiore della sola coppia consolare. Così negli anni dal 444 al 368 a.C., si attribuì l’imperium consulare agli ufficiali delle legioni: i tribuni militum. Questi furono eletti da 3 a 6 e sostituirono la coppia consolare ed erano titolari di un imperium di rango e forza minori di quello dei Consoli, infatti: potevano convocare il Senato solo in via eccezionale; non conservavano dopo la carica il prestigio e il ruolo particolare degli ex consoli, erano esclusi dal trionfo. 10 Membro di un collegio di dieci magistrati o sacerdoti, spec. nell'antica Roma (www.google.it) 11 Usus: come previsto dalle XII tavole, si acquistava la manus sulla donna tenuta in casa come moglie per un anno ininterrotto Non è altro che l'applicazione della mancipatio, opportunamente modificata affinché l'uomo non ottenesse la donna in mancipio, bensì in manu. 23 Cronologia: 442 a.C. Venne istituita la censura, importante magistratura, preposta alla funzione di effettuare il censimento della cittfi. Gifi dalla sua istituzione, si definì la separazione tra le funzioni del Censore e il ruolo di Governo dei magistrati cum imperio. 400 a.C. Progressi permisero di arrivare ad una quasi equiparazione politica tra patrizi e plebei, ma sul piano economico restava sempre primario il monopolio patrizio sulle terre, con un accrescimento dell’indebitamento delle fasce più povere – la plebe. 396 a.C. Roma vinse sulla potente cittfi di Veio, che bloccava l’espansione verso Nord, conquistò territori intermedi e si espanse verso il Lazio meridionale, vincendo sui Volsci. Questa vittoria portò ad un arricchimento di patrimonio fondiario, portandolo a raddoppiare il precedente ager Romanus. Questo permise la distribuzione a tutti i cittadini romani di un apprezzamento di 7 iugeri (ca. 2 ettari); portando a una riduzione d’interesse, da parte dei plebei, di ridistribuire l’antico ager publicus (=campo pubblico). La redistribuzione portò anche ad una riduzione della questione dei debiti (altro punto centrale delle rivendicazioni plebee). 396 a.C. La sequenza politico-sociale che si innesta a partire dal 396 è impressionante: 5 sec. Ristagno della popolazione e si era fermi a 17 tribù rustiche 387 – 332 a.C. Si aggiunsero 8 nuove tribù 241 a.C. Si arrivò al numero definitivo di ben 31 tribù rustiche. 367 a.C. Furono approvate 3 distinte proposte di legge che, dai magistrati proponenti sono ricordate come le Leggi Licine Sestie. Per i romani queste rappresentarono una svolta nella lotta patrizio-plebea, con una “vittoria” degli obiettivi principali che si era prefissata, sia sul piano politico che economico-sociale. Questa legislazione, accelerò il processo di trasformazione delle strutture politico- istituzionali e sociali di Roma, rendendo possibile una unione tra i due ordini sociali. I patrizi cittadini vennero estese anche nei riguardi del comando militare esercitato fuori del pomerium (=frutteto). Imporre dei tributi ai cittadini per sostenere le spese della guerra. All’interno della cittfi, nell’esercizio del Governo civile, ai Consoli era riconosciuto sin dall’inizio un duplice potere: Il ius ageni cum populo era il potere di convocare i comizi centuriati per proporre l’approvazione di nuove leggi o per eleggere i Magistrati, procedendo quindi alla proclamazione degli eletti. In questo caso essi, d’intesa con il Senato, presentavano ai comizi liste preselezionate e circoscritte dei candidati. 12 Personaggio, storico o mitico, il cui nome sia assunto a designazione o distinzione topografica. Il magistrato che dava il nome all'anno, secondo un uso comune presso Greci e Romani. 13 Gli Auspicia (plurale dal latino auspicium), secondo la religione romana, sono divinazioni tratte dall'osservazione di fenomeni considerati divini. Coloro che facevano queste divinazioni venivano a volte corrotti per renderle appunto a favore di colui che le aveva chieste. 25 Il ius agendi com patribus era il poter di chiedere il parere del Senato su problemi di particolare rilievo relativi al Governo della cittfi, soprattutto per quanto concerne la politica estera, la politica monetarie e le materie di carattere religioso. Essi inoltre potevano/dovevano: gestire il tesoro pubblico, sotto il controllo del Senato, con l’ausili dei Questori amministrare le terre pubbliche quando non erano in carica i Censori esercitare diverse competenze nel campo della repressione criminale che furono limitate dal diritto di provocazione al popolo, per quando concerne la pena di morte ed esercitare la giurisdizione sulle controversie tra privati. Trattasi dunque, di un insieme di competenze che spiegano parte degli equilibri repubblicani, dove da una parte, infatti un’ampia quota dei poteri sovrani di delibera e di orientamento appartiene al Senato e ai Comizi, ma senza l’iniziativa di uno dei due titolari dell’imperium, questi organi non potevano svolgere il loro ruolo essendo esclusa l’autoconvocazione. Il carattere collegiale di tale Magistratura faceva si che, entrambe i Consoli avessero gli stessi poteri, per cui, l’unico limite era dato dagli identici poteri in capo all’altro Console. Infatti, attraverso lo strumento dell’intercessio14, un console poteva paralizzare qualsiasi attivitfi del Collega o di ogni altro Magistrato cittadino, a eccezione del dittatore (la cui presenza in origine era alternativa alla loro persistenza in carica). Questo sistema rendeva possibile l’esplosione di crisi non risolvibili all’interno della dinamica delle Magistrature stesse. Crisi tanto più gravi se fossero intervenute in tempo di guerra dove, in teoria, il comando militare era indiviso, e quindi, un accordo era fondamentale. Solo in via empirica si cercò di ovviare a tali inconvenienti, sempre con la regia del Senato, dividendo in pratica le competenze e lasciando ciascun console a gestire in modo relativamente autonomo certi settori della cosa pubblica. Ma nulla vietava che entrambi i Consoli si ponessero alla testa della stessa armata romana, sino a dover governare, ad es. un giorno per uno; anche qui con ovvi ed evidenti inconvenienti pratici in termini di efficienza e certezza delle scelte intraprese. Nel corso del tempo l’ambito di competenze assegnate, con la regia del senato, a ciascuno dei due consoli si definì in modo più netto. Esso venne indicato con il termine provincia, che poi sarebbe passato indicare l’oggetto primario dell’imperium magistratuale, e cioè il territorio extraitalico su cui esso si esercitava. L’aumento del numero e delle figure di magistrati chiarirfi il ruolo superiore e centrale dei consoli, rispetto a tutte le altre figure in posizione subordinata, a eccezione dei censori, eccentrici rispetto all’intero sistema magistratuale. Mentre il potere consolare dell’intercessio sancirfi formalmente il carattere gerarchico dell’ordinamento delle magistrature repubblicane. Come l’imperium consulare derivava direttamente dal potere del rex, egualmente la simbologia ad esso relativa, introdotta dai re etruschi, si trasmise intatta ai Consoli: il colore porpora dei bordi della loro tunica, il particolare seggio magistratuale i littori erano le guardie del corpo munite dei fasci e delle scuri, evocatrici, del loro potere di repressione, sino alla condanna a morte del colpevole. Ma dato il diritto alla provocatio nella vita civile, la scure avrebbe accompagnato il console solo nelle campagne militari. Altro aspetto fondamentale di questa figura, che si estenderfi a tutte le altre magistrature, è l’inviolabilitfi della persona del magistrato contro cui non può essere portata, durante l’anno di carica, alcuna azione materiale e neppure una pretesa legale. Sin dagli inizi della repubblica i Romani, sospendendo il funzionamento delle cariche ordinarie, potevano ricorrere, in situazioni di particolare pericolo, a una magistratura straordinaria: la dittatura. Il dittatore era titolare di un imperium che, almeno in origine, era più forte e concentrato di quello dei consoli, in ragione della eccezionalitfi del provvedimento e del suo carattere di emergenza. Il dictator, almeno sino alla fine del III sec. a.C., era nominato da uno dei Consoli con l’accordo del collega e del Senato e non aveva, in origine, alcuna di quelle limitazioni che la libertas repubblicana aveva introdotto nei riguardi dei magistrati ordinari. La nomina del dittatore mirava a far fronte a gravi crisi di carattere militare e aveva essenzialmente funzioni di difesa da pericoli esterni, per questo il mandato non superava 6 mesi. Successivamente, questo carattere non verrfi meno, anche se in seguito le competenze del dittatore comprenderanno oltre agli aspetti immediatamente militari del governo della res publica (= cosa pubblica)15 anche quelli religiosi e politici. 14 Intervento di un soggetto in occasione di un atto compiuto da un altro soggetto, in genere un magistrato. 15 Cosa pubblica, quindi dello Stato/Governo. 26 2. Il Pretore e le altre Magistrature Subito dopo i Consoli la figura più rilevante è quella del Pretore che: • aveva la giurisdizione sui processi tra i privati (funzione primaria) e veniva indicata con il termine specifico: iurisdictio, da ius dicere =“dire il diritto” • era titolare, come i Consoli, del supremo potere di comando, l’imperium, ma era • gerarchicamente inferiore a essi: esposto quindi alla loro interessio, incapace però di interporre contro di loro la propria. • era legittimato, se necessario, a esercitare il comando militare, guidando gli eserciti romani fuori del confine sacro della cittfi, cioè che avvenne abbastanza di frequente, dati i crescenti impegni militari di Roma e il moltiplicarsi degli scenari di guerra. La iurisdictio (= dire il diritto) del Pretore si sostanziava nel controllo delle procedure e della legittimitfi delle pretese in conformitfi a quello che era il diritto vigente. Nell’esercizio di questa sua competenza si dovette precocemente verificare un fenomeno che avrebbe reso possibile una straordinaria evoluzione delle forme processuali e giuridiche romane: la separazione tra il ruolo del magistrato e la valutazione della veritfi dei fatti materiali oggetto della controversia a lui sottoposta dai privati. Infatti, il sistema processuale distingueva duefasi: 1) l’accertamento dei fatti materiali addotti dalle parti e il loro inquadramento all’interno del sistema di regole proprie del diritto romano era affidato al Pretore 2) la sentenza che decideva della causa era lasciata ad un giudice privato. Questa scissione permetteva una più semplice elaborazione delle categorie giuridiche di riferimento da parte del magistrato giudicante ma rendeva necessario un superamento del sistema delle “legis actiones” (= azioni della legge) troppo rigido ed estremamente rigoroso. Il suo formalismo circa il comportamento dei litiganti, la rigida predeterminazione delle pretese adducibili in giudizio e la fissitfi delle formule (e dei contenuti legali cui essi si riferivano) che le parti e il magistrato dovevano recitare, lasciavano poco spazio al suo ruolo giurisdizionale. Per cui a partire dalla seconda metfi del III sec., il pretore estese la forza del suo imperium (= governo) all’interno del processo fino a creare un sistema processuale più elastico. Il disegno istituzionale del 367 a.C. prevedeva anche una serie di magistrature minori, con funzioni più circoscritte e munite di una semplice potestas ,che ne legittimava l’azione. La differenza si coglieva anche per quanto riguardava gli auspicia16: i Magistrati cum imperio (=magistrati con governo) erano titolari degli auspicia maiora (=migliori auspici) e si avvalevano, nell’espletamento delle loro funzioni, di un con l’iscrizione del cittadino indegno in una classe di centurie inferiore a quella cui aveva diritto in base al suo patrimonio, o col suo allontanamento dalla classe dei cavalieri, o dai ranghi senatori. Un altro ambito di competenza dei censori concerne l’amministrazione delle proprietfi e dei beni pubblici, da loro registrati nel censimento insieme ai patrimoni privati. Essi inoltre sovrintendevano alle attivitfi economiche della cittfi, anzitutto controllando le entrate e le spese pubbliche, e provvedendo allo svolgimento di tutte quelle attivitfi fondate sul sistema degli appalti da parte dei privati. 19 Nella Roma antica, ciascuno dei due magistrati o sacerdoti investiti di funzioni di solito specificate a completamento del titolo (duumviri o duoviri perduellionis, sacris faciundis, navales, ecc.); anche, nome dei magistrati più alti delle colonie romane (fino dal 4° sec. a.) 20 Nel diritto privato si ha intercessio quando il terzo assume l'obbligazione liberando il debitore (intercessione privativa) ovvero si obbliga con il debitore (intercessione cumulativa). 21 cursus honorum - Nell'antica Roma , la serie progressiva delle cariche pubbliche (e l'ordine nel quale si succedevano) che potevano essere ricoperte dai varî cittadini, ciascuno nell'ambito della propria condizione: il cursus honorum dell'ordine senatori. 28 I censori venivano eletti ogni cinque anni e duravano in carica fino al completamento del censimento, ma non oltre i 18 mesi. Altissimi erano il loro prestigio e il rango, addirittura preminente rispetto ai consoli, pur non avendo dirette funzioni di governo o compiti militari. La severa repressione (sino alla riduzione in schiavitù) di chi dolosamente si sottraeva al censimento era attuata solo attraverso la coercizione materiale esercitata dai consoli o da altri magistrati cum imperio. Non è chiaro sino a che punto l’intercessio22 dei tribuni della plebe potesse rivolgersi contro la loro attivitfi. Anche dopo il vertiginoso allargamento del potere di Roma, l’organico delle magistrature ordinarie restò straordinariamente circoscritto. Non costituiscono un’eccezione: i praefecti23 Capuam Cumas24 i successivi PREFETTI delegati dal pretore con funzioni giurisdizionali nelle localitfi italiche i magistrati con funzioni di polizia criminale i tresviri capitales25 e i quinqueviri cis Tiberim26 i decemviri27 litis iudicandi 28giudici permanenti nelle cause di libertfi. Magistrature straordinarie sono invece quelle istituite appositamente per specifiche esigenze sorte di volta in volta al governo della repubblica. Si tratta anzitutto dei magistrati nominati agris dandis adsignandis et coloniae deducendae2930, preposti alle attivitfi richieste per la fondazione di una colonia, con la complessa procedura di divisione e redistribuzione delle terre coloniarie mediante la centuriazione. 3. Il Senato Per tutta l’etfi monarchica e per il primo secolo della repubblica il senato era composto quasi esclusivamente da patrizi. Solo quando i plebei iniziarono a essere ammessi gradualmente alle magistrature superiori essi si inserirono progressivamente nei ranghi del Senato con il nome di conscripti (=Senato). Da allora l’endiadi31 patres conscripti32, indicherf i il Senato nella sua pienezza. Quest’organo, sin dalle origini della repubblica, aveva alcune funzioni esclusive. 1) Si occupava di approvare, integrandone l’efficacia con la propria auctoritas (= autoritfi), le delibere dei comizi in tema di legge. Nel corso del tempo una serie di leggi (tra il 339 e il 290 a.C. ca.) stabilirono che questa approvazione senatoria non dovesse confermare la delibera comiziale, ma intervenire preventivamente, come autorizzazione dei vari magistrati a presentare una proposta ai comizi. Il mutamento aveva lo scopo di sottrarre la sovranitfi del comizio, nella formazione della legge, alla conferma da parte del senato, il cui ruolo non fu cancellato, ma solo ridotto ad un filtro preventivo. 2) Era il propulsore e ispiratore dell’intera politica romana, nel corso di tutta la repubblica, e il suo funzionamento come stanza di compensazione delle opposte linee politiche e di governo, trovavano un momento di particolare rilievo nell’assistenza e consulenza prestata all’azione di governo dei magistrati superiori. Consulenza non meramente facoltativa, giacché il “consiglio” non lasciava molti margini alla libertfi d’azione del magistrato steso. Infatti, soprattutto in certi settori coma la politica estera, le scelte tra la guerra e la pace, i problemi e gli affari di carattere religioso, la gestione delle entrate e delle uscite si affermò una prassi consolidata che vincolava l’azione del magistrato, prima, a chiedere il consultum (=consulente) del Senato e poi a seguirne l’orientamento. 22 L'intercessio o ius intercessionis è un concetto giuridico della Roma antica che implica l'intervento di un soggetto in occasione di un atto compiuto da un altro soggetto, in genere un magistrato. 23 Il praefectus urbi, creato dal re o dai consoli, in caso di loro assenza dal territorio della cittfi e incaricato di sostituirli specialmente nella giurisdizione. 24 Capuam Cumas = Magistrati minori nominati dai comitia 25 Magistrati ordinari erano i triumviri (o tresviri) capitales, incaricati di eseguire le condanne a morte, e i triumviri (o tresviri) monetales, che si occupavano della monetazione 26 Ciascuno dei membri di un collegio di cinque funzionarî nella Roma antica; esistevano varî quinquevirati, dei quali il più importante era il collegio dei quinqueviri cis et ultra Tiberim, stabilito intorno al 238 a. C. in aiuto ai tresviri capitales per il servizio di polizia e di soccorso contro gli incendî. 27 Decemviri (sing. decemvir) è un termine latino che significa "dieci uomini". 28 Decemviri (st)litibus iudicandis. - Collegio di giudici, che, secondo una tradizione, si vorrebbe da qualche scrittore far risalire all'organizzazione della plebe e alla legge Valeria-Orazia del 440, e, secondo un'altra versione, sarebbe stato introdotto fra il 242 e il 227 a. 29 =I campi di assegnazione di terre, bisogni e assegnazione di un numero di colonie 30 Decemviri agris dandis adsignandis e coloniae deducendae. - Commissioni, ordinate collegialmente, che avevano il compito di assegnare le terre pubbliche ai privati, soprattutto in occasione della fondazione di colonie. Queste commissioni compaiono a cominciare dal sec. II a. 31 = letteralmente “uno per pezzo di due” 32 patres conscripti. con cui erano indicati nella Roma antica i senatori, interpretata da alcuni come «senatori iscritti (nella lista del senato)», da altri come una contrazione di patres et conscripti, cioè «patrizî e [plebei] aggiunti». 29 3) aveva il potere strategico di approvare la selezione dei candidati alle varie cariche magistratuali effettuate dai magistrati in carica. 4) aveva un potere di controllo sulla gestione delle risorse finanziare (l’aerarium33 populi Romani) Questa specie di monopolio nell’impostazione e indirizzo delle linee di governo era, a ben considerare, la necessaria risposta al carattere strettamente temporaneo delle cariche magistratuali. Nel corso di un anno (la loro durata ordinaria), una politica di lungo respiro interna o estera non poteva certo essere realizzata anche se sovente, gli stessi personaggi venivano nuovamente eletti ad altre cariche nel corso di un periodo di tempo relativamente ristretto. Per cui, il luogo di dibattito e di orientamento oltre che la memoria storica delle scelte gifi intraprese e la stanza di regia delle strategie di lungo periodo della politica romana doveva essere inevitabilmente il senato, che garantiva, anche una sorta di coordinamento della coppia consolare. Inoltre è necessario aggiungere che i magistrati romani, scaduto l’anno di carica, venivano a far parte, per tutto il resto della loro vita attiva dei ranghi del senato, per cui il loro comportamento era condizionato dal senato. Ecco, spiegata l’omogeneitfi dell’organizzazione della magistratura romana con la politica e gli interessi dei senatori. Peraltro la carica a vita, unita all’assenza di elezioni senatoriali garantiva a quest’organo una notevolissima autonomia e indipendenza. Quanto agli aspetti concreti del suo funzionamento, il senato non si poteva autoconvocare, essendo questo compito affidato ai titolari del ius agendi cum patribus34 (=con il diritto di azione). La sua organizzazione interna funzionava secondo una logica gerarchica legata al rango degli ex magistrati, infatti la sua presidenza era affidata all’ex. censore più anziano. Con il consolidarsi delle sue competenze nella politica estera, il senato si arrogò il diritto d’inviare ambascerie presso i popoli stranieri per trattare accordi e ogni questione di rilevanza internazionale. I personaggi prescelti per compiere tali missioni erano indicati come legati, i cui compiti erano predeterminati da un apposito senatoconsulto. Nella tarda repubblica essi erano scelti esclusivamente tra i membri di questo consesso. tempo e molto lentamente gli interessi mercantilistici (ricchezza mobiliare) acquistarono peso in questo consesso. In ciò fu importante il precoce ruolo di Appio Claudio Cieco, con la conseguente apertura a una più accentuata innovazione politica. Nelle XII Tavole, l’autonomia del processo legislativo il cui fondamento è direttamente riferito al “popolo” e quindi ai comizi (secondo quanto riporta Livio: le XII TAVOLE stabilivano che: “qualsiasi cosa avesse stabilito il popolo, ciò divenisse diritto/legge efficace”). Ma questo principio, almeno potenzialmente poteva erodere l’altro aspetto fondante della comunitfi costituito dal carattere consuetudinario del sistema normativo romano e dal ruolo dell’interpretazione pontificale e dei giuristi. In realtfi, però, quanto detto da Livio trovò scarsa applicazione, infatti questa legislazione intervenne, nei secoli della repubblica, solo molto limitatamente per modificare il diritto civile dei Romani, e quando ciò avvenne, fu quasi sempre per una particolare rilevanza sociale o politica dell’argomento trattato o qualche specifica esigenza e difficoltfi della pratica legale, superabile efficacemente solo in via legislativa. Il settore privilegiato dall’azione legislativa dei comizi sembra essere il diritto pubblico, dove si intervenne continuamente a correggere e perfezionare il sistema di governo della res publica, infatti se si considera 36 Consiclia plebis tributa – traduzione: “Assemblee della plebe organizzata in tribù) 37 Consiclia plebis tributa – traduzione: “Assemblee della plebe organizzata in tribù) 38 La più antica “Legge Publilia” è il plebiscito fatto approvare nel 471 a.C. dal tribuno Publilio Volerone 39 La più antica “Legge Publilia” è il plebiscito fatto approvare nel 471 a.C. dal tribuno Publilio Volerone 31 l’insieme delle leggi conosciute, è possibile individuare alcuni caratteri di fondo della legislazione comiziale: una continua e spasmodica attenzione circa la definizione dell’organizzazione cittadina, le singole magistrature e i comizi. un elevato numero di delibere sono relative alla dichiarazione di guerra e agli accordi internazionali, dove il popolo interveniva accanto al senato. In questo stesso ambito non meno importanti appaiono i provvedimenti relativi alla fondazione delle colonie, all’attribuzione degli statuti municipali, e alla concessione della cittadinanza romana a singoli stranieri o a intere comunitfi. Quanto alla cittadinanza sono menzionate anche altre norme volte a impedire l’acquisizione surrettizia della cittadinanza romana e gli abusi che possano aversi in questo settore. Un altro importante gruppo di leggi riguarda aspetti di politica sociale che attengono alla sfera del diritto privato. si pensi ai: numerosi interventi in tema di debiti, volti a favorire i debitori e a limitare l’usura le leggi suntuarie40 che ponevano divieti legislativi di fare eccessive spese di lusso la vasta e ripetuta legislazione agraria. Altri interventi legislativi di grande rilievo riguardavano le “infrastrutture” cioè la costruzione e la manutenzione delle vie, dei grandi acquedotti pubblici, il sistema urbanistico, la coniazione delle monete e altre attivitfi amministrative, tutti compiti in parte deferiti all’apparato statale centrale, in parte di competenza delle autoritfi locali. Per i romani le norme giuridiche esistenti erano valide perennemente e quindi non abrogabili espressamente. Però i Romani innovarono ampiamente, modificando, e di fatto abrogando moltissime regole, sia di diritto pubblico che di diritto privato. Ma solo in pochi casi la sostituzione delle nuove regole alle antiche si accompagnava all’esplicita dichiarazione di nullitfi di queste ultime (leges perfectae41). La maggior parte delle loro leggi (leges imperfectae e minus quam perfectae42), conseguiva questo risultato indirettamente, rendendo praticamente impossibile o troppo dannoso per i privati il perseguimento delle antiche forme giuridiche, peraltro teoricamente ancora valide. 5. La sovranitfi del legislatore e i suoi limiti Il sistema istituzionale romano aveva quindi una sua fisionomia per noi di difficile comprensione, lo stesso termine “res publica” appare intraducibile, in italiano, e non può essere reso con il termine “stato” senza deformare l’idea romana della partecipazione e integrazione collettiva nella vita della cittfi. Nell’esperienza romana, infatti: • da un lato l’elemento comunitario è più forte • dall’altro non era ancora così accentuata, pur con tutta l’autoritfi degli organi di governo, la separatezza tra cittadino e lo stato, che è caratteristica dei moderni ordinamenti. Il fatto che vi fosse una pluralitfi di concezioni di Stato anche in contraddizione tra loro si evince dai diversi termini utilizzati per indicare l’ordinamento politico - res publica, civitas, pupulus Romanus Quirites - ma questa pluralitfi appare offuscata dalla moderna espressione “cittfi stato”, con tutta la proiezione in essa dei nostri valori. Inoltre si devono considerare i due aspetti del rapporto tra entitfi politica e il suo diritto: da una parte infatti ci troviamo di fronte all’idea che alcune delle sue strutture fondanti preesistono a essa, consistendo nell’originario patrimonio ancestrale dei mores. Infatti, CICERONE nel “De Republica” individua nel “consenso fondato sul diritto” la base stessa della comunitfi politica. Dall’altra, è però certo che è la cittfi a produrre il suo diritto e la sua forma istituzionale. Infatti, con la repubblica una nuova idea di legalitfi si impose rispetto all’immagine primitiva del governo semi-dispotico di un rex. Quest’idea si lega: o all’idea di un’eguaglianza dei cittadini di fronte alle norme della cittfi: idea gifi dominante all’epoca delle XII TAVOLE e certo non esclusiva dei Romani, o alla consapevolezza che l’esistenza della res publica poneva limiti a ogni titolare dei segmenti di sovranitfi ripartiti tra gli organi della cittfi. Infatti, oltre alle regole scritte vi erano dei principi, non sempre scritti, ma legati al concetto di Repubblica, uno di questi era il riconoscimento della libertfi personale (sancita dalle Leggi Valerie ORAZIE). Ciò produceva delle conseguenza altrettanto giuridiche. Ad esempio un principio generale che regolava la legislazione romana riguardava il divieto di adottare norme di carattere “singolare” ma volte a colpire 40 Che riguarda le spese, nell'espressione leggi suntuario (più raram. norme suntuario), in storia del diritto, le leggi intese a limitare le spese voluttuarie e di lusso 41 Lex perfecta: quella che vietando un atto ne elimina gli effetti 42 Lex minus quam perfecta: quella che vieta l'atto ma irroga una pena a colui che vieta il divieto. Lex imperfecta: quella che vieta l'atto, ma non ne sancisce l'inefficacia, ne irroga pena. 32 specificatamente una posizione individuale. A tale principio si legava il divieto di introdurre privilegia negativi. In linea con quanto detto si svilupperfi nella tarda repubblica un riflessione giuridica (che conosciamo grazie a Cicerone) circa un nucleo di principi e di reciproche garanzie, all’interno della comunitfi politica, legato alla esistenza di questa e immodificabile, o difficilmente e limitatamente modificabile, senza minacciare l’essenza stessa della comunitfi politica. Questa idea riaffiorava con forza nei momenti “negativi”: quando ad esempio un tribuno della plebe, senza scandalo dei consociati e senza sembrar sovvertire l’ordine costituito, chiama in giudizio un ex magistrato per una condotta, non illegittima dal punto di vista delle norme scritte, eppur lesiva di un diritto dei cittadini, sentito come acquisito e vitale da parte dell’intera comunitfi. In questa prospettiva si colloca l’altro assunto posto a salvaguardia della repubblica ma mai formulato esplicitamente da una norma positiva: il divieto di attentare all’esistenza della res publica. Ora questi stessi principi (che oggi sarebbero espressi in una costituzione), non necessariamente scritti, non erano neppure predeterminati e conoscibili ex ante, ma sono incorporati nella stessa costruzione repubblicana. Per questo alcuni punti non potevano essere messi in discussione in quanto sono fondamento da tutti condiviso, ad esempio: il ruolo dei tribuni della plebe l’esistenza della coppia consolare il diritto alla provocatio (=sfida). Si tratta di pochi e fondamentali meccanismi che possiamo considerare come il nucleo della costituzione reale della repubblica. Esso è integrato in un sistema più fluido e poco determinato di regole che ne integrano il contenuto rendendone possibile il funzionamento concreto. La loro efficacia e le relazioni tra di esse varierfi nel tempo, sia a seguito di leggi positive, come sarfi per la funzione dell’auctoritas senatoria, sia per gli equilibri concreti tra gli organi, come ad esempio nel sovrapporsi di un potere dei comizi e del senato in molte decisioni assunte alternativamente dall’uno o dall’altro organismo. Sovente si tratta di principi incorporati nel complesso edificio istituzionale e privi di una loro formale evidenza, semplicemente i rapporti tra le varie comunitfi e le comunicazioni commerciali ed economiche, cioè permette di escludere due idee: che le varie cittfi del Lazio fossero isolate completamente l’una rispetto l’altra che vi fosse un “stato-stirpe” di tutti i latini (confederazione) sostenuta da alcuni studiosi In tale contesto, soprattutto nell’ultima fase dei re, Roma affermò la sua superioritfi: incorporando le comunitfi minori (il fenomeno si concluse con la fine della monarchia) concludendo una serie di foedera: cioè veri accordi “internazionali”. Infatti era rimasta memoria di quelle leghe religiose risalenti alle comunitfi pre-civiche che avevano anche una valenza politica. Per questo Roma continuò ad avere la tendenza ad assorbire o ad affermare un certo controllo su questi stessi culti. La superioritfi politica di Roma nel Lazio è attestata da uno dei più importanti documenti del tempo a noi pervenuto: cioè il primo trattato tra Romani e Cartaginesi che, secondo POLIBIO, sarebbe stato concluso l’anno dopo la cacciata di Tarquinio il Superbo da Roma e che quasi sicuramente riprendeva delle relazioni gifi instaurate dai re etruschi, nel quadro della più generale alleanza tra Etruschi e Cartaginesi. Questo trattato ci fa capire quali erano le pretese militari di Roma. Infatti, i limiti stabiliti a possibili aggressioni da parte cartaginese riguardano infatti tutte le cittfi del Lazio. Ma questo trattato distingue tra: o cittfi “soggette” o forse più precisamente “alleate dipendenti” o cittfi “non soggette”. Questo dimostra come, alla fine del VI sec. a.C. non tutto il Lazio fosse ancora sottoposto al dominio politico di Roma, anche se essa mirava ad affermare i propri interessi esclusivi su tutta la regione. 34 Circa questo accordo sono necessarie due considerazioni: le pratiche consolidate si formarono nel tempo per cui, soprattutto all’inizio, tali accordi dovevano fondarsi sulla buona fede: quella fides (= fede) che sarfi sempre così importante in tutto l’orizzonte giuridico, ma anche politico e sociale, romano. Solo in seguito i Romani avrebbero realizzato un sistema generale e sicuro di tutela degli stranieri indipendentemente dall’esistenza di trattati internazionali che li vincolassero a proteggere legalmente i cittadini della controparte. 2. Latini e cittadini delle colonie Pochi anni dopo il trattato con Cartagine verrfi concluso un altro patto di alleanza con i Latini che prende il nome di Foedus Cassianum. Questo trattato seguiva uno schema diverso rispetto a quello concluso con Cartagine infatti, riprendendo probabilmente pratiche molto antiche, si sanciva: una comunanza giuridica tra Romani e i Prisci Latini (così gli antichi abitanti delle cittfi della Lega vennero designati per distinguerli da quelli delle successive colonie latine). il principio secondo cui il Latino che si fosse trovato in ambito romano non solo veniva assimilato ai cives Romani nella fruizione di tutto il diritto privato (ius civile) e della conseguente protezione processuale nelle forme solenni del diritto romano, ma era anche ammesso a stringere validi rapporti matrimoniali con i Romani (ius connubium = diritto di sposarsi/contrare matrimonio legittimo). Questi meccanismi di assimilazione sono indicati dai Romani con due espressioni tecniche: ius commercii (= “diritto di commercio”) e ius connubi. Questo accordo, come quasi tutti i rapporti tra Romani e Latini, erano di questa natura e si fondavano sulla reciprocitfi per cui i Latini a Roma godevano di una condizione analoga a quella dei Romani nelle altre cittfi dell’alleanza: una parziale assimilazione ai cittadini delle varie comunitfi. Quasi sicuramente non apparteneva all’originario regime del Foedus Cassianum, il “diritto di emigrare” (ius migrandi) che, in seguito, avrebbe legittimato i membri delle cittfi della Lega ad acquistare la cittadinanza di Roma, spostando la loro residenza in essa. Questo fu probabilmente uno strumento, successivamente definito per facilitare la mobilitfi e gli scambi in area laziale e divenuto, col tempo, un ambito privilegio dei membri del Latium Vetus rispetto alla sempre più prestigiosa e vantaggiosa cittadinanza romana. Altro contenuto di questo trattato era dato dalla possibilitfi prevista che l’insieme delle cittfi della Lega fondasse nuove colonie che sarebbero divenute esse stesse nuovi membri dell’alleanza. Si trattava di una pratica comune a tutto il mondo delle poleis greco-italiche che permetteva la loro espansione. In questo contesto il termine colonia indicava piccole comunitfi semi-urbane, create ex novo dalla cittfi-madre e situate in punti strategicamente importanti, anche se sovente assai distanti dalla fondatrice. Le singole cittfi della Lega, e in particolare Roma, aderendo a questa politica coloniaria comune, non avevano comunque rinunciato al potere di fondare proprie colonie. Così Roma continuò a costituire, come gifi era avvenuto all’etfi dei re, accanto alle colonie latine, anche sue proprie colonie di cittadini romani. Nel corso del tempo questa pratica avrebbe assunto un’importanza crescente e sotto più profili. Le colonie romane erano spesso insediamenti relativamente ristretti, con un organico non superiore a 300 coloni, che rispondevano a esigenze di carattere strategico. Sovente fondate in prossimitfi della costa marina, esse erano anzitutto dei presidi militari con il compito di controllare le vie di comunicazione soprattutto in territori ostili. Ciò spiega perché i cittadini fossero esentati dal servizio nelle legioni romane. A differenza della colonizzazione greca in Italia, i vincoli tra le colonie e Roma restarono sempre strettissimi ed energico e costante il controllo esercitato da questa su tutte le varie colonie, moltiplicatesi nel corso degli anni. Tuttavia, a partire dall’inizi del IV sec. a.C., con il crescente predominio di Roma, essa di fatto si appropriò del potere di fondare autonomamente nuove colonie latine, ciò divenne, anche formalmente, una sua esclusiva facoltfi con lo scioglimento della Lega nel 338 a.C. Ciò permise a Roma di: assicurarsi il controllo di nuovi territori e realizzare una nuova redistribuzione delle terra a vantaggio soprattutto dei ceti meno abbienti di Roma e delle cittfi a questa più strettamente collegate. crescere demograficamente ed economicamente Ma tra le colonie romane e quelle latine c’erano delle fondamentali differenze la principale riguardava la condizione giuridica: • la colonia romana era un segmento organizzativo di Roma composto da un certo numero di suoi 35 cittadini che mantenevano lo statuto personale preesistente. • la colonia latina era formalmente una comunitfi separata ed estranea a Roma, tantoché i cittadini romani che avessero partecipato alla sua fondazione, divenendone membri, perdevano la loro cittadinanza d’origine, acquistando la condizione giuridica di Latini. La fondazione di una nuova colonia avveniva sulla base di una delibera del Senato e dell’approvazione di comizi che stabilivano anche i magistrati incaricati delle procedure necessarie per la sua istituzione, dando istruzioni per l’emanazione dello statuto che avrebbe regolato, con una lex (=legge) data, la vita e l’organizzazione interna. Si trattava in genere di uno schema relativamente uniforme con cui si definivano i magistrati di governo, quelli preposti alla giurisdizione cittadina, l’assemblea cittadina e il Senato (con poteri locali ma più potente di quello di Roma). Un importante elemento connesso alla fondazione della colonia è costituito dal particolare assetto del territorio a essa assegnato. Sin dal IV sec. a.C. venne infatti adottato dai Romani un sistema di divisione dell’area della colonia in parcelle regolari e tutte della stessa misura indicato come limitatio (=limite). Sotto la guida dei magistrati incaricati delle operazioni di fondazione della colonia alcuni tecnici detti agrimensori determinavano un punto centrale, tracciavano due linee perpendicolari (assi centrali, chiamati cardo e decumano maggiore) e in parallelo e a distanza regolare venivano tracciate altre linee rette (cardini e decumani o semplicemente limites) che si incrociavano ad angolo retto, costituendo al loro interno tanti quadrangoli regolari: le centurie43. Secondo lo schema tipico la centuria consisterebbe in un’area di 200 iugeri (circa 50 ettari): equivalente appunto ai 100 heredia romulei44. Da questo numero ideale deriverebbe quindi il suo nome. Questa pratica ha un fondamento nelle più antiche tradizioni religiose del mondo romano- italico, collegandosi alle autoctone concezioni dello spazio come elemento di un universo religioso. Essa fu ampiamente sviluppata nei suoi aspetti tecnici, dando luogo a una vera e propria scienza in cui nozioni geometriche, conoscenze astronomiche e geologiche, elementi giuridici confluirono, lasciando importanti testimonianze anche nelle fonti antiche. Ma, il documento più importante è dato dalla persistenza, in tutto l’ambito dell’impero, delle tracce di questa colossale manipolazione territoriale. Basti pensare che ancor oggi in vari territori 47 A differenza di coloro che avevano soltanto il diritto latino, un civis optimo iure (cittadino di diritto pieno) era iscritto in una delle trentacinque tribù territoriali, che fungevano da liste elettorali e di arruolamento militare, e dunque poteva votare nelle assemblee comiziali di Roma e arruolarsi nelle legioni. 48 un civis optimo iure (cittadino di diritto pieno) 49 La civitas sine suffragio(latino per "cittadinanza senza voto") era un livello di cittadinanza della Repubblica romana che garantiva tutti i diritti di cittadinanza romana, tranne il diritto di voto nelle assemblee popolari. 50 Lo ius commercii era una prerogativa conferita fin dalla nascita ai soli cittadini romani per il libero commercio nell'Antica Roma, ovvero costituiva la capacitfi svolgere l'attivitfi commerciale, utilizzando gli atti librali tipici dello ius civile da compiersi per aes et libram. 51 Si tratta dello ius connubii, è uno dei diritti fondamentali della persona umana e del fedele cristiano: il diritto al matrimonio. Ogni persona ha diritto alla libertfi della scelta del proprio stato di vita: sposarsi o rimanere celibe/nubile 52 Municipium sine suffragio - Nell'etfi repubblicana (dalla metfi del 4° sec. a.C.), la cittfi assoggettata a Roma e sottoposta a oneri (munus capĕre). perdeva la propria sovranitfi, senza partecipazione ai diritti politici di Roma (sine suffragio). . 53 Optimo iure = con pieno diritto 37 4. La genesi del Sistema municipale La nascita di centri dipendenti con diversi margini di autonomia (le colonie) aveva messo fine l’antica identificazione della cittfi come un ordinamento autonomo. Di conseguenza l’ordinamento romano prevedeva una pluralitfi di statuti giudici personali: i Romani, i Latini (la cui condizione era inferiore rispetto a quella dei Romani ma migliore rispetto alla più vasta categoria dei peregrini cioè gli stranieri) e gli stranieri. I latini, pur essendo molto legati a Roma, continuarono a seguire gli ordinamenti delle proprie cittfi: nelle colonie cittadine, ad esempio, il regime giuridico delle terre era modellato secondo gli schemi della proprietfi romana ma non era identificabile con il Dominium (=dominio) del Diritto Romano. Per questo fino all’etfi imperiale si utilizzerfi lo ius Latii54 per indicare questa particolare posizione giuridica nei rapporti con Roma. Al contrario le colonie romane e le cittfi a cui era riconosciuta la cittadinanza romana piena o sine suffragio avrebbero dovuto vivere secondo le leggi romane. Ma qui interviene l’incredibile elasticitfi del diritto romano per cui è probabile che, almeno in parte, conservassero la loro precedente organizzazione. Basti pensare che il più importante dei diritti privati, il diritto di proprietfi sulla terra, vigente in tale comunitfi, non era retto dal diritto romano poiché il territorio di questi municipi non faceva parte delle tribù territoriali romane. Circa lo ius commercii e allo ius connubi è necessario sottolineare due aspetti: • da un lato questi erano dei privilegi che i Romani riconoscevano ai latini • dall’altro questi privilegi erano fondati sulla reciprocitfi per cui lo si deve concepire anche come “partecipazione al diritto locale del romano ubicato in territorio straniero” A partire dal 338 a.C. questa reciprocitfi venne meno e nei rapporti tra i cittadini di colonie antiche, colonie romane, municipes optimo iure55 e sine suffragio56 e i Romani si cominciò a usare solamente il diritto romano che divenne, insieme al latino, il fattore determinante nel processo di romanizzazione dell’Italia. Contestualmente divenne gradualmente omogeneo anche l’organizzazione di governo e l’assetto istituzionale di questi nuovi municipi grazie: a magistrature uniformi e di senati locali (l’ordine dei ”decurioni”) all’introduzione dei prefetti questi erano dei magistrati delegati dal pretore preposti alla giurisdizione in ambito territoriale soprattutto nei riguardi dei cittadini romani. Questo meccanismo fu sperimentato con i praefecti Capuam Cumas, competenti per le cittfi campane, gratificate dalla civitas sine suffragio, e fu poi sistematicamente applicato con i praefecti iure dicundo. Circa la persistenza, anche parziale, di forme giuridiche locali bisogna dire che, considerato lo stato delle fonti, non è chiaro per l’autore, come queste potessero coesistere con l’area di applicazione del diritto romano. Probabilmente si tratta di una realtfi quanto mai fluttuante priva di una rigida “teoria dello stato” o “dell’amministrazione”. Un vincolo che contribuì a limitare un’espansione accelerata del diritto romano era la sua connessione con l’uso della lingua latina. Infatti il carattere formalistico e orale del diritto romano, l’uso di parole e frasi predeterminate per porre in essere una serie di atti giuridicamente rilevanti (dalla trasmissione della proprietfi alle forme primitive di contratto sino ai litigi processuali) escludeva che chi non sapesse parlare latino potesse accedere al diritto romano. Ora, i Romani, non solo non imponevano la loro lingua ai popoli sottoposti, ma escludevano addirittura che essi potessero usarla negli atti ufficiali, senza loro autorizzazioni. Così, i municipi sine suffragio continuarono per secoli a usare i loro diritti e le lingue autoctone, dall’osco all’umbro, pur subendo un processo di romanizzazione, peraltro inarrestabile (anche perché queste autorizzazioni a usare il latino nella vita ufficiale delle varie comunitfi vennero comunque gradualmente rilasciate). Probabilmente furono soprattutto le elites locali a interessarsi maggiormente ai rapporti esterni, fruendo costantemente del diritto romano e portando avanti così, in forma semi spontanea, il processo di romanizzazione delle loro istituzioni. D’altra parte questi municipes potevano ben imitare i Romani nei loro usi, parlare la loro lingua, adottare anche, per quanto possibile, le loro istituzioni giuridiche. Ma questa era decisione unilaterale e, per molto tempo, più atta a introdurre dal basso, in forma disordinata e semi casuale, pezzi di ordinamento romano, che l’intero sistema del diritto civile romano e la sua integrazione costituita dallo ius honorarium. 54 Ius Latii = legge italiana 55 Municipes optimo iure = cittadini in possesso dei pieni diritti 56 Optimo iure = con pieno diritto 38 Nei territori in cui si estese questa cittadinanza senza diritti politici (Lazio e territori confinanti) questo statuto fu trasformò rapidamente nella piena cittadinanza romana, comprensiva dei diritti politici. Infatti laddove, sin dall’inizio sussisteva una forte omogeneitfi culturale, linguistica e, verosimilmente giuridica, fu possibile l’acquisizione rapida della piena cittadinanza romana senza gravi scosse. Mentre per le popolazioni e per le culture più lontane questo status intermedio durò più a lungo. La misura del successo di tali processi è data dal fatto che, alla fine della repubblica, le tradizioni, le culture e i linguaggi italici erano ormai tramontati, di fronte all’espansione dei modelli romano-latini. Di qui la relativa facilitfi con cui s’ebbe la definitiva espansione del diritto romano in tutta la penisola, almeno a partire dalla fine della guerra sociale, dopo la concessione della piena cittadinanza romana a tutti gli Italici. Ciò spiega anche come, della precedente fase di incubazione, non restasse traccia ne ricordo. 5. Cittfi, “fora”, “consiliabula”, “pagi” e “vici” La societfi romana aveva un carattere cittadino che manifestava soprattutto con la fondazione delle colonie. Così, nella progressiva penetrazione politico-istituzionale di Roma in tutto il territorio della penisola e nelle forme organizzative adottate per le popolazioni sottoposte, costante fu il riferimento al modello cittadino. Anche quando la Roma si arrogava elementi essenziali della “sovranitfi” (il diritto di pace e di guerra, il batter moneta, il diritto di vita e di morte sui cittadini) comunque favorì la persistenza di una circoscritta individualitfi politica nei vari municipi e colonie. Ciò è evidente anche al negativo, infatti per i Romani la massima sanzione al nemico era la cancellazione totale della sua cittfi (Cartagine). Anche dove, come nel mondo sannita, le forme di insediamento prevalenti erano dei villaggi, i Romani cercarono sempre di identificare un elemento, magari il villaggio potenzialmente più “promettente” da trasformare in una piccola cittfi e quindi in centro municipale a cui agganciare in forma subalterna le altre strutture territoriali (villaggi, mercati rurali, piccoli santuari circondati da abitati ecc.). La centralitfi del modello cittadino ci deve far riflettere sul fatto che l’ampia estensione territoriale pienamente romanizzata presupponesse anche nuclei minori soprattutto nelle aree dove i processi di urbanizzazione erano più lenti o addirittura inconsistenti. Ecco quindi: i fora, i conciliabula, i pagi e gli stessi villaggi (vici), quali localitfi in cui popolazioni rurali venivano a incontrarsi in mercati stagionali, si saldavano in comuni luoghi di culto e in distretti rurali aventi una loro identitfi amministrativa. Si tratta di strutture con una loro più o meno accentuata autonomia, situate all’interno e in funzione dell’ager Romanus, controllate e coordinate comunque dai magistrati romani. 40 Cap. 7 Un’ ARISTOCRAZIA di GOVERNO 1. La nuova direzione politica patrizio-plebea Il compromesso patrizio-plebeo del 367 a.C. aveva fatto venir meno l’esclusivismo dell’aristocrazia, ciò permetterfi a questa Nobilitas60 patrizio-plebea di mantenere il controllo della sempre più complessa macchina istituzionale. In tal modo essa guiderfi la più straordinaria e duratura “storia di successo” del mondo antico, realizzata con un esemplare impasto di abilitfi politica e diplomatica, di brutalitfi e competenza militare, di sapienza istituzionale e di governo. Una storia, dove vecchio e nuovo si saldano felicemente, giacché la capacitfi di far fronte al nuovo, di questa aristocrazia non attenua il suo attaccamento e il continuo riferimento al significato esemplare del passato. É necessario ora vedere come si poteva arrivare al vertice politico e a sedere in senato. In teoria, ciascun cittadino che fosse nato da padre libero, ingenuus61, poteva aspirare ad una carica magistratuale. Ma nei fatti questa carriera era aperta principalmente agli individui appartenenti a un ristretto gruppo sociale composto dall’aristocrazia di sangue (i patrizi) e ai figli della nobilitas. Era aperta anche ad altri ma in che modo? Nell’antichitfi, e soprattutto a Roma, il buon cittadino che dfi il suo contributo alla vita della cittfi è anzitutto un soldato ed è una persona che partecipa attivamente alla vita politica cittadina: il suo tempo non è dedicato all’attivitfi economica: il sostentamento suo e della famiglia è ricavato in genere da una proprietfi fondiaria lavorata da altri soggetti: gli schiavi, i contadini pagati a giornata o, come coloni, con parte del prodotto del fondo. Per cui automaticamente si escludevano tutti coloro che dovevano vivere del proprio. Quindi solo il giovane appartenente a una famiglia di buoni proprietari fondiari poteva pensare a una sua ascesa politica, condizione per il suo inserimento nella nobilitas patrizio-plebea. Ma servivano anche amicizie e protezioni altolocate: il primo fattore per il suo successo. Altra condizione essenziale per il successo era distinguersi durante i 10 anni di servizio militare. Al termine egli poteva presentare la sua candidatura ai comizi ma era importante anche il modo con cui tale impegno era stato assolto. Chiaramente essere scelto a servire direttamente nello stato maggiore del generale impegnato in una campagna militare agevolava notevolmente il giovane ufficiale, che avrebbe avuto modo così di distinguersi per abilitfi e coraggio, addestrarsi nel comando e imparare le strategie e le tecniche militari, elemento molto importante anche nelle successive tappe della sua carriera. Solo dopo questa esperienza, in cui magari si era messo in mostra capacitfi e coraggio, egli avrebbe potuto presentarsi alle elezioni per le cariche minori: questore o edile. Anche qui servivano, di nuovo, amicizie, protezioni e alleanze poiché occorreva, essere prescelti in una rosa di candidati, ciò tagliava fuori chi non avesse appoggi in senato o tra i magistrati proponenti, e occorreva impegnarsi poi in una campagna elettorale che, nel tempo, sarebbe divenuta sempre più dispendiosa, sino a costringere gli aspiranti, che non fossero molto ricchi, a indebitarsi, sperando poi di saldare i creditori con i guadagni ricavati dalle campagne militari vittoriose o dall’amministrazione (e spoliazione) delle province. É chiaro quindi che chi riusciva apparteneva sempre allo stesso gruppo sociale compresi “gli uomini nuovi” che pure vi furono. Essi infatti, quasi sempre provenivano dal gruppo immediatamente al di sotto della nobilitas senatoria cioè: la classe equestre. Così indicati in base alla classificazione propria dell’ordinamento centuriato. Questa categoria comprendeva: i grandi proprietari fondiari una serie di soggetti con fisionomia imprenditoriale e commerciale, in particolare quegli appaltatori cui furono affidate la costruzione di opere pubbliche, la gestione del patrimonio immobiliare e il prelievo fiscale. Malgrado i privilegi che la nascita assicurava in partenza ad alcuni, giocavano in genere anche le qualitfi personali garantendo un’adeguata mobilitfi nella forte gerarchia sociale e politica romana. Il collaudo così effettuato di questo insieme di competenze e di storie personali trovava il suo esito finale nel senato, dove infine essi si riversavano, assicurando la qualitfi di governo della repubblica. Sempre più, poi, man mano che aumentavano gli impegni militari di Roma, i quadri di governo, proprio attraverso il loro lungo curriculum militare precedente, erano sempre più competenti e abili. Tanto che mentre per i secoli le legioni romane furono costituite dai cittadini-proprietari, ispirati a un immediato patriottismo, i loro comandi assunsero nel tempo un carattere semi-professionale che li mise in grado di sostenere il confronto con le tecniche e le competenze delle armate di mestiere, da quella macedone e cartaginese, a quelle dei regni d’Oriente. 60 Con il termine Nobilitas si definisce la classe dirigente di Roma dai primi secoli della media e tarda repubblica romana e del principato, che si stabilì dopo la fine del conflitto degli ordini 61 Ingenui o ingenuitas (singolare ingenuus), era il termine legale dell'antica Roma che indicava coloro che erano nati liberi, per distinguerli dai liberti, che erano liberi ma che erano stati schiavi. 41 Ulteriore prova dell’enorme rilevanza dell’aspetto militare nella storia individuale era testimoniato con il trionfo. Questo era una cerimonia, decretata dal senato, con cui il magistrato, sfilava solennemente nella cittfi, seguito dalle sue legioni, esibendo il bottino della vittoria, e i prigionieri, dove il grande fasto pubblico si associava alle arcaiche forme simboliche del potere. Era un riconoscimento ambitissimo che consacrava il particolare e durevole prestigio personale e politico di chi lo avesse ottenuto. 2. Il “cursus honorum” Col tempo si definì un preciso insieme di regole volte a disciplinare la carriera pubblica dei cittadini romani: il loro cursus honorum62. Questo aveva inizio con l’elezione alle magistrature minori, presupposto per aspirare alle cariche superiori, dopo un regolare intervallo di tempo tra l’una elezione e l’altra, giungendo infine al vertice della repubblica, con l’elezione a console e a censore. Era esclusa un’immediata rielezione alla stessa carica, sempre al fine di evitare un’eccessiva concentrazione di potere in singoli individui. Malgrado il costante, anche se controllato e circoscritto, rinnovamento del ceto dirigente romano di cui s’è detto, tutta la vita politica continuò a essere controllata dalle consorterie nobiliari. La lotta di potere e le alterne vicende della politica passarono anzitutto attraverso la storia delle gentes. Pur non avendo più il monopolio delle cariche pubbliche e del senato, le gentes costituivano ancora un potente legame sociale tanto che, ben presto, anche gli strati superiori della plebe si organizzarono per gentes, accanto alle antiche stirpi patrizie. Ciò contribuì a conservare la rilevanza pubblica e sociale delle gentes stesse. Non esistevano dunque le condizioni perché si formassero alleanze o raggruppamenti politici su progetti e programmi (esperienza attuale del partito politico). Ovviamene esistevano divergenze anche molto profonde, all’interno dell’oligarchia romana in ordine alle scelte politiche, sia interne che internazionali; esistevano strategie consolidate e contrapposte. Ma tutto ciò era “letto” e vissuto in base alla propria specifica tradizione e si tendeva a ripercorrere, in contesti politici nuovi, antiche strade, richiamandosi ognuno ai propri e specifici valori. Rapporti di parentela e appartenenza gentilizia, legami di amicizia individuali e di gruppo e, soprattutto, vincoli clientelari costituivano in effetti, nel corso di tutta la storia romana quei collanti su cui si fondava la politica, e con cui si costruivano il consenso sociale e le fortune individuali. Di qui le tradizioni politiche a tutti note, come l’orientamento conservatore dei Fabi, sin dai tempi più antichi, legato ai valori agrari e cauto verso le nuove politiche imperialistiche, di contro il carattere avventuroso e capace di grandi aperture innovative dei Claudi. L’eccezionale durata nei secoli di tanti illustri lignaggi gentilizi fu possibile attraverso le diffuse pratiche di adozione. Questo era l’unico meccanismo che permettesse di limitare gli effetti dell’alta mortalitfi e della bassa vita media. In effetti, malgrado l’estinzione di molte genti e lignaggi familiari nella vita politica di Roma, per molti secoli riappariranno i nomi delle grandi stirpi nobiliari portati dagli innumerevoli magistrati che si successero al governo della repubblica. Tuttavia questa macchina politico-amministrativa si ritrovava a svolgere continuamente nuove funzioni basti pensare alla costruzione di opere pubbliche (acquedotti, strade militari) o alla gestione del patrimonio pubblico (le terre conquistate, il sistema fiscale) e infine all’opera di rifornimento e di attrezzatura di eserciti sempre più importanti. Per questo, nel corso della repubblica, tali funzioni saranno scaricate all’esterno delle strutture istituzionali della cittfi, appaltando a privati imprenditori le attivitfi a ciò necessarie e lasciando a questi tutti i vantaggi economici delle intermediazioni richieste. Lo sfruttamento delle terre pubbliche, non distribuite in proprietfi privata, fu affidato ai privati, secondo 63 Vir bonus dicendi peritus ("uomo di valore, ed esperto nel dire") è una locuzione latina attribuita a Catone e in seguito ripresa da Seneca e Quintiliano. Descrive le qualitfi importanti dell'oratore ideale, enfatizzando la prioritfi delle qualitfi morali (bonus) sulla perizia tecnica (peritus). 43 modalitfi e regimi abbastanza differenziati, ma in genere a fronte del pagamento di un canone periodico (talvolta però con un pagamento iniziale “d’acquisto” più elevato). Ma a causa della debolezza organizzativa dei magistrati responsabili della loro gestione, gran parte di tali terre non veniva direttamente assegnata alla miriade di coltivatori e di allevatori interessati al loro sfruttamento, ma concessa a grandi mediatori, in grado di pagare le elevate somme richieste dai magistrati romani per aree assai ampie. Questi poi suddividevano tali estensioni di ager publicus, tra tutti i piccoli agricoltori interessati, lucrando la differenza, spesso molto elevata, tra la cifra globale del lavoro versata alle casse di Roma e i canoni percepito dai sub conduttori. Il guadagno di Roma era minore, ma si evitava tutto il lavoro che la ripartizione delle terre pubbliche tra una molteplicitfi di coltivatori e allevatori avrebbe comportato e i costi connessi. Analogo meccanismo riguardava anche: le riscossioni tributarie nelle province > gli appaltatori privati si facevano carico di tale incombenza per conto di Roma, lucrando anche qui la differenza tra il percepito e quanto dovuto. la costruzione delle opere pubbliche come la grande rete stradale che ebbe inizio con la via Appia, alla fine del IV sec., i primi acquedotti pubblici, gli edifici pubblici, i templi e le terme pubbliche > Ciò determinò un crescente livello di investimenti. l’organizzazione del vettovagliamento e delle strutture logistiche a sostegno dell’esercito impegnato sempre più a lungo e in territori sempre più lontani da Roma. Tutto ciò fu possibile grazie alla precoce affermazione di un gruppo sociale relativamente articolato, distinto dalla nobiltfi delle cariche, tutta orientata al governo della politica e agli impegni militari. Si trattava di individui provenienti dagli strati più ricchi della popolazione: quelli che fornivano all’esercito i cavalieri, gli equites, in grado di provvedere a loro spese alla costosa cavalcatura. Questi: - avevano i capitali necessari a supportare le imprese appena viste che richiedevano forti anticipazioni finanziarie e delle garanzie patrimoniali da fornire alle pubbliche autoritfi. - avevano anche acquisito quelle competenze e quelle capacitfi finanziarie e imprenditoriali richieste per far fronte a questi compiti. Si tratta insomma di una specializzazione e anche di una peculiare destinazione di flussi di ricchezza che identificava e circoscriveva i suoi titolari dando ad essi un ruolo sempre più importante nella societfi romana, ma, insieme segnava la separatezza dalla nobilitas patrizio-plebea, proposta alla politica e in grado di monopolizzare il governo cittadino. Un sottogruppo particolare di questo ceto di “cavalieri” e di appaltatori (redemptores64) è rappresentato dagli appaltatori (e riscossori) delle imposte, i publicani, così odiosamente richiamati in tante testimonianze antiche e addirittura nei Vangeli, per il loro ruolo negativo e insostituibile nello sfruttamento dei popoli provinciali. In genere la formazione di questi nuovi gruppi sociali e l’affermarsi delle connesse attivitfi economiche viene collocato in un periodo successivo a quello qui considerato. Ma se questo sistema non si fosse gifi avviato sin dalla fine del IV sec., come sarebbe stata in grado Roma di affrontare l’imponente quantitfi di opere pubbliche che, a partire dalla censura di Appio Claudio, nel 312 a.C., venne realizzata e, poi, di riconvertire in pochissimi anni la sua forza militare, attrezzando una potente flotta, nel corso della Prima guerra punica? Senza poi considerare i prolungati e pesanti sforzi organizzativi necessari al sostentamento delle stesse sue armate nella drammatica guerra contro Annibale e di cui abbiamo precise testimonianze in Livio. 4. Le regole di un’oligarchia65 Parallelamente allo sviluppo in ambito internazionale ci fu un processo di modificazione del quadro istituzionale e di riassestamento dell’equilibrio interno tra i gruppi dominanti. Circa il quadro istituzionale le modifiche riguardavano gli aspetti più politici come: o divieto di duplicare le cariche magistratuali la disciplina delle cariche o le regole del cursus honorum Ma ci fu un continuo e incisivo intervento legislativo anche in materia di comizi. Nel tempo si modificò, infatti, la composizione delle unitfi di voto, intervenendo sul numero delle centurie, mentre nuove norme modificarono ripetutamente l’ordine che presiedeva alla loro consultazione nei comizi (sappiamo infatti come le votazioni non fossero contemporanee per tutti i distretti di voto). Altre leggi furono poi votate a ridefinire il rapporto tra le centurie stesse e il fondamentale sistema di distribuzione della popolazione per tribù territoriali. 64 Redemptores = redentori =Liberatore da uno stato di schiavitù 65 Regime politico o amministrativo caratterizzato dalla concentrazione del potere effettivo nelle mani di una minoranza, per lo più operante a proprio vantaggio e contro gli interessi della maggioranza. 44 Le innovazioni circa i poteri delle magistrature e le regole del cursus honorum appaiono costantemente ispirate: alla salvaguardia della natura oligarchica della repubblica e alla compattezza dell’aristocrazia di governo, a evitare la possibile prevaricazione di singole personalitfi politiche troppo forti, che avrebbero potuto aprire la strada ad un potere personale. Per questo si mantennero due principi fondamentali quello della non duplicabilitfi delle cariche, almeno negli anni immediatamente successivi a quello in cui si è gestita la magistratura stessa, e quello di far passare degli intervalli di tempo tra la scadenza da una magistratura e la possibilitfi di presentarsi alle elezioni per una magistratura superiore erano entrambi finalizzati a evitare il concentrarsi di troppo potere, e in un periodo troppo ristretto, nella stessa persona. E proprio nel momento in cui il massimo sforzo militare romano nella seconda metfi del III sec. aveva impedito il rispetto di queste regole, maturò la preoccupazione di riaffermarle: la lex Villia annalis, del 180 a.C. ribadì: • l’etfi minima per l’accesso alle cariche pubbliche, derivata dall’obbligo dei preliminari 10 anni di servizio militare, • l’intervallo di 2 anni tra l’una carica e la successiva. Per cui, in etfi ciceroniana, dopo gli ulteriori interventi normativi, l’etfi per accedere all’edilitfi curule era di 37 anni, 40 per la pretura, 43 per il consolato, mentre derivava verosimilmente dall’intervento di Silla il criterio dei 31 anni per la nomina questore. Certo, tutta la storia della repubblica, a ben vedere, è stata caratterizzata dalla presenza di fortissime personalitfi politiche che sembrano dare una fisionomia particolare a certe fasi storiche. Ma esse, anche se qualche volta andarono oltre alle regole del cursus honorum o in ordine alla gestione dei vari poteri, appaiono sempre rientrare all’interno di un sistema, e non giunsero mai a creare squilibri permanenti tra i poteri e gli organi della repubblica. 5. Appio Claudio Cieco: un ardito riformatore Un esempio significativo della fedeltfi alle tradizioni gentilizie e della conseguente continuitfi politica all’interno del ceto dirigente romano lo troviamo in Appio Claudio, discendente del famoso decemviro. Egli divenne censore nel 312 a.C. e fu rieletto al consolato nel 307 e nel 296 a.C. e cercò, nella sua azione di governo, di svolgere un ruolo di innovazione e di “modernizzazione”, del tutto in linea con le tradizioni familiari. Ciò che colpisce è l’amplissimo spettro dei suoi interventi che vanno dalle strutture materiali della cittfi sino al cuore dei suoi processi culturali e tecnici. Roma in quel periodo era di fronte ad una scelta fondamentale: o continuare a espandersi a nord cioè rimanere fedele alla tradizione politica di crescita territoriale e della ricchezza fondiaria 46 Cap. 8 L’evoluzone del DIRITTO ROMANO e gli sviluppi della SCIENZA GIURIDICA 1. I Giuristi e il Diritto Privato In etfi imperiale, i giuristi teorizzarono la complessa fisionomia di quel diritto da essi studiato e straordinariamente sviluppato. Così Gaio, un giurista del II sec. d.C., affermò che il “diritto del popolo Romano consiste nelle leggi, nei plebisciti, nei senatoconsulti, nelle costituzioni imperiali, negli editti di coloro che hanno il ius edicendi, e, infine, nei pareri degli esperti: i responsa prudentium66. Alla sua epoca, in effetti, il substrato consuetudinario del diritto romano, gli antichi mores, era gifi da secoli totalmente assorbito all’interno del valore fondante delle XII Tavole, per eccellenza le “leggi” della cittfi, e dell’interpretatio dei giuristi. In effetti è attraverso il lavoro di riflessione e delle opere della giurisprudenza che si trasmetterfi la conoscenza del diritto cittadino, il ius civile. Molto significativo è il passaggio, avvenuto tra la fine del III sec. e l’inizio del II sec., da un sapere proprio e limitato di un numero chiuso di persone “i pontefici” ad una prima generazione di giuristi laici (nuovi cultori del diritto estranei al collegio pontificale). Quest’ultimi, grazie anche ad una maggiore razionalitfi furono in grado, non solo di estendere a dismisura gli spazi e i tipi di relazioni governati dal diritto, ma soprattutto di elaborare un insieme di procedimenti logici, di verifiche pratiche e di astrazioni concettuali che costituiscono il sostrato di quella vera e propria “scienza” del diritto, sviluppatasi in Roma, per la prima volta nella storia del mondo antico. A riguardo particolarmente significativo fu il pontificato di Tiberio Coruncanio (fu il primo pontefice plebeo - nel 330 la lex Ogulnia aveva completato il processo di parificazione dei due ordini, ammettendo i plebei ai collegi sacerdotali). Egli infatti, nel 254 a. C., rendendo pubbliche le sedute dei pontefici, permise che anche altri acquisissero la conoscenza dei contenuti e la comprensione dei metodi applicati dagli stessi pontefici. Divenne allora possibile anche per altri cittadini dedicarsi allo studio e all’interpretazione della tradizione giuridica romana. Così a partire dal II sec. si affermarono le prime grandi personalitfi di giuristi (che solo in alcuni casi rivestirono anche la carica di pontefice), iniziando una riflessione sistematica sulle norme, sugli istituti e sulle forme processuali. Si trattava di un lavoro a metfi teorico e a metfi pratico, che si aggiunse e poi si sostituì a quello dei pontefici nell’assistere e orientare i propri concittadini: o consigliandoli sugli atti giuridici da stipulare (cavere), o aiutandoli nell’interpretare situazioni legali oscure e incerte (rispondere) assistendoli negli eventuali litigi (agere). I giuristi ricevevano nelle proprie abitazioni amici, clienti, ma anche estranei che necessitavano di un parere legale, dando consigli e assistenza. Gli incontri erano un aspetto della vita sociale e ovviamente, pubblici: pubblici i consigli e le spiegazioni. Così intorno ai più brillanti e autorevoli tra questi specialisti, da cui si andava per un parere, ma anche per istruirsi, si costituì un pubblico di auditores. E tra costoro, nascevano interessi e vocazioni, si formavano allievi che imparavano il modo di ragionare del giurista gifi affermato, comprendevano il procedimento utilizzato per giungere a certi risultati, acquisivano la conoscenza di tradizioni legali consolidate e di leggi. Diventavano insomma, essi stessi, nuovi giuristi. Inoltre al tramonto della scienza pontificale contribuì in modo non marginale la progressiva diffusione della scrittura. Questa risaliva gifi al VI sec. e infatti è pacifica la redazione scritta delle XII Tavole ma elementi come l’accentuato ritualismo, la presenza dei testimoni e la formulazione dei precetti strumentali alla memorizzazione sembravano far prevalere l’oralitfi sulla memoria. Tra il III e il II sec. a.C. ci fu un notevole ampliamento delle forme scritte e, in questo nuovo contesto, la nobilitas laica iniziò a produrre testi scritti in cui si conservava memoria dei casi e delle soluzioni gifi discusse e delle proposte avanzate dall’uno o dall’altro giurista. La raccolta di questi testi iniziò così a circolare, contribuendo all’accumulazione di un sapere trasmesso nel corso delle generazioni, con le inevitabili selezioni, consolidamenti, e ulteriori innovazioni. Inoltre, lo scritto rispetto alla memoria favoriva anche una nuova articolazione del pensiero, la stesura di ragionamenti più complessi. É necessario ora capire quale fosse l’attivitfi interpretativa dei pontefici prima e dei giuristi poi. Circa i pontefici, la loro attivitfi interpretativa aveva lo scopo di chiarire il significato letterale dei precetti contenuti nelle XII Tavole (operazione non semplice data l’oscuritfi della lingua arcaica utilizzata). Sotto questo aspetto il controllo pontificale si spinse più in lfi di quest’ambito allorché, molto liberamente e con intelligenza creativa, innovò il contenuto ed estese o mutò l’ambito di applicazione dei singoli negozi e dei vari istituti giuridici. Non vi è praticamente norma nelle XII Tavole che non richiedesse e non rendesse possibile un insieme di interpretazioni sempre più complesse e innovative man mano che le arcaiche forme del diritto antico si rivelavano di per sé insufficienti a disciplinare una realtfi sociale ed economica in rapido 66 Secondo la definizione di Gaio, i responsi dei giurisperiti sono "i pareri e le opinioni di coloro ai quali è data licenza di produzione del diritto". Sin dall'etfi repubblicana, i responsa prudentium furono una delle fonti di produzione di ius civile. 47 sviluppo. i principali strumenti dell’interpretazione dei pontefici furono: le finzioni giuridiche e l’analogia. Mentre nuovi risultati si realizzarono modificando consapevolmente il significato e la portata di un istituto per giungere a conseguenze del tutto diverse da quelle ordinarie. Questo permetteva di giungere, attraverso la reinterpretazione di vecchi istituti, a risultati totalmente nuovi e poter far fronte alla nuove esigenze che si presentavano. Adesempio: si utilizzò il divieto di abusare del potere di vendita del figlio sancito dalle XII Tavole (che stabilivano un limite al numero di vendite effettuate da parte del pater, superato il quale costui perdeva la sua potestas sul figlio), per creare il nuovo istituto dell’emancipazione: una serie di vendite fittizie con cui il padre liberava volontariamente il figlio dalla sua potestfi. Si utilizzarono i falsi processi, sicuramente gestiti dai pontefici e concordati tra le parti, per giungere a conseguire una pluralitfi di risultati: dal trasferimento della proprietfi, all’adozione di un figlio o alla liberazione di uno schiavo. Probabilmente il collegio pontificale intervenne a progettare la norma decemvirale che ammetteva la temporanea assenza della moglie dalla casa maritale, in modo da scindere un legittimo matrimonio, valido secondo il diritto civile, dal pesante potere patriarcale del marito, in origine indissolubile dal matrimonio stesso. Un’altra finzione era quella di “vendere” un patrimonio, quando in veritfi si voleva lasciare il medesimo, dopo la propria morte, ovviamente a titolo gratuito, a un successore: l’erede. In altri casi invece si trattava di utilizzare uno schema gifi esistente nell’esperienza giuridica romana per estendere l’efficacia rispetto a situazioni simili, anche se non originariamente previste. Con la “laicizzazione” della scienza giuridica venne meno l’originaria forza cogente del sapere pontificale che scioglieva difficoltfi e dubbi, esprimendosi con soluzioni univoche e in forma definitiva. I pareri, infatti, non provenivano più da un’autoritfi unica ma da una molteplicitfi d’individui, nascerfi così: lo ius controversum. Un diritto in cui l’effettiva portata e significato stesso delle regole, il suo modo di funzionamento, derivavano da un continuo e sempre nuovo dibattito tra gli specialisti. Prevalevano di volta in volta le idee e interpretazioni più convincenti e le soluzioni proposte dalle personalitfi più autorevoli. Autorevolezza, del resto, determinata essenzialmente dal consenso degli altri giuristi e dall’opinione pubblica, secondo una logica che resterfi per tutta la repubblica e fino al principato. Certo così rimanevano dei margini relativamente ampi d’incertezza circa le soluzioni di ciascun caso pratico o, circa i criteri di comportamento che doveva assumere il cittadino circa possibili accordi o nuovi affari giuridici, o circa la legittimitfi di una pretesa avanzata da lui o contro di lui, o circa i poteri che i vari diritti di sua pertinenza gli potevano assicurare. Il magistrato doveva quindi orientarsi tra una moltitudine di opinioni anche molto diverse sostenute dai giuristi in relazione alle varie questioni loro sottoposte. Ma questo è appunto il carattere “controverso” del diritto romano identificabile in un corpo di soluzioni adottate dai vari giuristi, in relazione a un’infinitfi di casi. Certo in parte si sacrificava la “certezza” del diritto ma al tempo stesso si favoriva lo sviluppo della dialettica. Questo, lungi dall’indebolire, accentuò il prestigio dei giureconsulti, fondato sulla loro continua attenzione alla coerenza logica delle soluzioni adottate rispetto alle premesse, sul parti. La struttura di queste formule e il loro contenuto prescrittivo potevano variare all’infinito, adeguando quindi la rigiditfi e l’astrattezza delle antiche regole alla varietfi dei casi pratici e alla capacitfi di progresso della riflessione dei giuristi. Si assicurava così al magistrato giusdicente una maggiore libertfi d’impostare il processo in modo aderente alla sostanza del conflitto tra le parti e al contenuto effettivo delle loro pretese. Ma soprattutto, ora, il pretore poteva attribuire un peso adeguato, ai 49 fini della decisione, a elementi di fatto, rilevanti sotto il profilo della giustizia sostanziale, che l’astrattezza delle legis actiones impediva di prendere in considerazione del dibattito processuale. La nuova libertfi del pretore in campo processuale rese possibile l’integrazione e in parte il superamento del patrimonio giuridico ancestrale: i mores e le XII tavole, fondamento dello ius civile. In questo nuovo contesto assunse un valore molto forte, a indicare insieme un valore di riferimento del pretore e un criterio guida per la giurisprudenza il termine aequitas (intraducibile con la formula equitfi). Esso evocava l’idea di un’esigenza di eguaglianza tra le parti che la soluzione adottata doveva rispettare. 3. L’editto del Pretore, il “ius gentium” e il “ius honorarium” Nel tempo, i criteri sostanziali cui il pretore si atteneva in questa sua nuova attivitfi giurisdizionale, pur derivando dalla soluzione di casi concreti e di situazioni nuove, diventarono regole e prescrizioni generali. In effetti una delle facoltfi proprie dei magistrati superiori, cum imperio, era quella di emanare degli editti contenuti delle prescrizioni da rendere note a tutta la popolazione. Così avvenne per le nuove forme di protezione giuridica: il pretore unico, prima, e poi i due pretori separatamente, ciascuno con un proprio editto, all’inizio del loro anno di carica, rendevano noto quali situazioni, non rientranti nella disciplina del ius civile, avrebbero trovato tutela da parte loro, e in che modo. Le regole elaborate dal pretore peregrino, che costituivano un vero e proprio corpus di istituti e diritti nuovi e diversi da quelli riconosciuti dal diritto civile, furono considerate come proprie di un “diritto di tutti gli uomini”ius gentium”. I vantaggi assicurati dall’elaborazione di queste nuove e più flessibili regole di condotta e delle correlate situazioni giuridiche vennero estese a tutti i cittadini. In tal modo la specifica esperienza del praetor peregrinus contribuì ad arricchire lo stesso patrimonio giuridico romano, di cui il ius gentium venne a far parte a tutti gli effetti. Solo più tardi alcuni giuristi romani identificheranno questo ius gentium con la parte comune ai diritti positivi delle varie societfi. Ma questa specie di comparazione giuridica ante litteram è sicuramente una costruzione tardiva e posticcia, giacché la genesi di questo settore del diritto romano è interna all’esperienza romana. Allo stesso modo ebbe un forte impatto sulla storia del diritto romano l’introduzione del processo formulare che esaltava l’imperium/iurisdictio del pretore. Dove egli era veramente il “sovrano” (solo soggetto a un controllo equitativo o politico dei suoi consociati, eventualmente paralizzabile nella sua azione dall’intercessio di un console, di un collega o di un tribuno, oppure chiamato a rispondere delle sue azioni successivamente alla fine della sua carica). Il pretore, non era il “servo della legge”, e pertanto poteva evitare di applicarla o poteva intervenire a condannare o ad assolvere anche in casi che la legge non prevedeva, se il senso comune di equitfi e le esigenze materiali di fronte a cui si fosse trovato avessero consigliato tali soluzioni. Di fatto, seppure sul piano strettamente processuale, era un nuovo diritto che si sovrapponeva e correggeva, integrandolo, l’antico ius civile. Anche attraverso nuovi strumenti che il pretore veniva forgiando ad esempio: un tipo di litigio che, gifi prima del processo formulare a partire dal III sec. a.C., venne introdotto mediante una scommessa che i litiganti erano costretti a stipulare tra loro dal pretore onde accertare la veritfi di una loro pretesa giudiziale (ager per sponsionem), superando così i vincoli e le rigiditfi delle stesse legis actiones. gli ordini del pretore contenuti negli interdetti (una specie di procedimento sommario e di urgenza, anch’esso gifi definito nel II sec. a.C. e volto a tutelare situazioni non configurabili come diritti individuali), le stipulationes e le cautiones con cui il pretore poteva costringere i litiganti, in via pregiudiziale, a fornire garanzie e ad assumere specifiche obbligazioni processuali per conseguire risultati lontani dal diritto civile, ma conformi a criteri di giustizia sostanziale. il potere di non ammettere una pretesa processuale pur legittima secondo lo stretto diritto civile ove ostassero motivi d’equitfi sostanziale o, addirittura di imporre al giudice di utilizzare, come se fossero intervenuti, di fatti non veramente esistenti (actiones ficticiae) o di giudicare a favore dell’attore sulla base di fatti di per sé irrilevanti per il diritto civile (actiones in factum). Questa vasta gamma d’interventi derivava dalla sovranitfi del magistrato ma non esprimeva certo un suo arbitrio personale, una sua privata alzata d’ingegno. Era qualcosa che, dopo i primi tempi, era previsto e atteso. Il successore di un pretore che aveva bene amministrato la giustizia, ricevendo consenso dalla comunitfi, non aveva interesse ad azzerare il gifi fatto: lo recepiva integralmente, modificando qualcosa che non andava, introducendo qualche altra novitfi utile e necessaria. Così l’editto del pretore di anno in anno, veniva ripubblicato dal nuovo magistrato, conservandosi e completandosi nel tempo. Certo potevano, porsi al pretore, nel corso del suo anno di carica, nuovi problemi non preventivamente previsti nel suo stesso editto e non regolati dall’antico ius civile. In tal caso egli poteva assumere qualche nuovo provvedimento con un decreto appositamente assunto. Questo, a sua volta, se si fosse rivelato efficace, poteva successivamente essere inglobato organicamente nel nuovo editto emanato dal suo successore. 50 La rivoluzione introdotta dalla giurisdizione del pretore urbano come di quello peregrino, non avvenne seguendo la logica di una giustizia “caso per caso”, al contrario proprio la conoscibilitfi ex ante, la razionalitfi e la pubblicitfi di questa condotta diedero luogo, nel tempo, ad un corpo normativo. Romani e stranieri sapevano che, anche rispetto al diritto civile, l’editto del pretore innovava nella sostanza e prevaleva, giacché, senza protezione processuale, il diritto, in sé, valeva poco. Così si formò un nuovo sistema di regole che coesistevano in modo autonomo con lo ius civile, senza abrogarlo: il “diritto pretorio”, lo ius honorarium (e del resto, nella logica romana, neppure la sovranitfi della legge abrogava formalmente il vecchio ius). Questa singolare articolazione dei processi normativi rese possibile l’enorme e relativamente rapido sviluppo del sistema del diritto romano in funzione delle grandi trasformazioni economico-sociale iniziate all’epoca delle guerre puniche. Va ricordato che, oltre al pretore, anche altri magistrati aventi competenze giurisdizionali emanavano editti di un certo rilievo, anche se minori rispetto a quello pretorio: o gli edili curuli, che erano preposti al controllo dei mercati cittadini e, in quell’ambito, erano titolari di una limitata giurisdizione. o i governatori provinciali, chiamati ad amministrare la giustizia nelle loro province, e che nel loro editto fissavano i criteri cui si sarebbero attenuti nel corso della loro carica. A partire dal II sec. a.C. sono ormai evidenti due logiche parallele su cui si struttura l’intero ordinamento giuridico romano: da una parte il “diritto” in senso stretto: le norme del diritto civile, esclusive dei cittadini romani, • dall’altra il “diritto onorario”, non meno efficace, ai fini pratici, delle regole del diritto civile, ma fondato esclusivamente sul potere magistratuale e illustrato dall’editto pretorio. Questa dicotomia resterfi, seppure in condizioni profondamente mutate, per tutto il corso della vita del diritto romano, sia nella tarda repubblica che nell’etfi del principato. Queste sicuramente avrebbe potuto determinare più di una difficoltfi se, in concreto, tali processi non fossero stati governati in modo profondamente unitario dalla cooperazione tra magistratura giusdicente e scienza giuridica laica. Infatti in questa oggettiva convergenza di funzioni apparentemente molto diverse si realizzò il punto di sutura tra i due sistemi del ius civile e del ius honorarium. Infatti senza la sanzione processuale assicurata dal pretore l’interpretazione giurisprudenziale delle regole del ius civile, elaborata dai giuristi difficilmente avrebbe portato alle profonde innovazioni effettivamente verificatesi. A lui infatti, incombeva l’onere di concedere una formula processuale atta a recepire la soluzione del problema giuridico proposta dai giuristi. D’altra parte, non solo nella stessa elaborazione del contenuto dell’editto e nella concreta condotta processuale, l’azione dei magistrati, talora del tutto incompetenti in materia legale, fu assistita dai giuristi. Questi operarono sul corpo normativo costituito dalle previsioni edittali, relative alle fattispecie previste, lo stesso insieme d’interpretazioni che gifi in relazione al ius civile era divenuto il medium tra la domanda di giustizia della societfi e “il” diritto romano. Questo complesso intreccio contribuisce a spiegare un carattere di fondo di tutto la scienza giuridica romana e cioè il suo netto orientamento verso gli aspetti processuali. sua volta, fu l’oggetto di numerosi commentari di altri giuristi successivi che, in tal modo, approfondirono lo studio di questo settore del diritto: Lelio Felice, Pomponio e Gaio. Servio Sulpicio Rufo > Cicerone era nemico di Mucio Scevola e amico Sulpicio Rufo il quale, secondo l’oratore, avrebbe elevato il diritto al rango di scienza. Sulla validitfi di questo giudizio ancora si discute ma l’autore lo accoglie e addirittura arriva a sostenere che parrebbe addirittura 52 affiorare in Servio il tentativo di riorganizzare l’intera materia giuridica all’interno di un quadro logico sistematico nuovo, ispirato a una coerenza “dogmatica” che non sarfi dato di ritrovare poi neppure nei più grandi giuristi imperiali: da Labeone a Giuliano e che solo nelle grandi sistemazioni dell’ultima stagione della scienza giuridica “classica“ riemergerfi, secondo logiche tuttavia assai meno innovative. Di Servio non esistono frammenti della sue opere (ma sappiamo che egli scrisse un libello polemico nei confronti di Quinto Mucio): sarfi la numerosa schiera degli allievi diretti e indiretti di Servio, gli auditores Servii, che ci lascerfi raccolta dei suoi pareri, i responsa, relativi soprattutto alla soluzione di casi pratici. Egli fu il primo giurista del cui pensiero resti consistente documentazione attraverso le numerose citazioni fate dai giuristi successivi, a testimoniare la grande influenza da lui esercitata su più di una generazione. Marco Antistio Labeone > fu legato a valori dell’antica nobilitas rinunciò sia a diventare collaboratore o amico di Augusto sia a intraprendere un cursus honorum ormai possibile solo con l’avallo del Princeps. Egli fu autore di un numero elevatissimo di opere nelle quali miste la sua autonomia e la sua creativitfi. 53 Cap.9 I nuovi ORIZZONTI del III Secolo a.C. e l’egemonia romana nel MEDITTERANEO 1. Le guerre Puniche e l’ereditfi di ANNIBALE La presa di Roma dei grandi centri mercantili e marittimi della Magna Grecia, conclusasi con la conquista di Taranto portò Roma a scoprire una realtfi fino ad allora in parte ignorata: il mare. Il primo urto tra Roma e Cartagine riguardò la cittfi di Messina e iniziò così una nuova drammatica stagione che si concluderfi soltanto nel 202 a.C. con la vittoria di Roma sui Cartaginesi e sul loro condottiero: Annibale. Gli aspetti militari ed economici in questa sede interessano relativamente ma i principali eventi furono: • 264 a.C. - 241 a.C. > Prima guerra punica; • 238 – 237 > Roma occupa la Sardegna e della Corsica sottraendole ai Cartaginesi; • 238 a.C. > Roma conquista la Liguria e la Gallia Cisalpina • 231 a.C. > Roma si allea con la cittfi di Sagunto per limitare l’espansione cartaginese in Spagna • 218 – 202 > si svolse la Seconda guerra punica. All’interno della classe dirigente romana si poteva distinguere tra coloro che sostenevano un più cauto e tradizionale espansionismo territoriale e coloro che invece avevano forti interessi a valorizzare il recente dominio romano sulla Magna Grecia. Nonostante le alterne vicende alla prova dei fatti prevalsero gli elementi più radicali che vollero condurre la vicenda sino alla sua estrema conclusione. Ciò non impedì che, in quello stesso lasso di tempo, il partito conservatore con i suoi interessi agrari ottenesse un parziale successo, imponendo anche un’espansione territoriale verso il Nord. In questo senso vanno ricordate le campagne militari nell’Italia centro-settentrionale che avrebbero portato all’acquisizione delle ricche terre del Piceno e della pianura padana sotto la guida del grande dirigente plebeo Gaio Flaminio. Emblematica fu in tal senso la costruzione della via Flaminia nel 220 a.C., sotto la censura dello stesso Flaminio. Diretta a Nord verso l’Adriatico essa andava in direzione opposta a quella, più antica, della via Appia quasi a simboleggiare una alternativa nella politica espansionista romana, legata ai tradizionali aspetti agrari di cui il Piceno costituiva l’esito quasi naturale. Una conseguenza di grande rilievo dello scontro con Cartagine fu il formidabile collaudo della costruzione politica romana in Italia. Se, infatti gifi nel corso della Prima guerra punica la societfi romana aveva mostrato una grande capacitfi di mobilitazione di risorse, trasformandosi in una potenza marinara, fu la seconda guerra punica, con la discesa di Annibale in Italia a dare la misura della compattezza del blocco politico costruito da Roma. In effetti, Annibale, portando il suo esercito in Italia, perseguiva un disegno strategico che andava oltre il mero confronto militare con i Romani, mirando alla disgregazione di quel sistema con cui si era venuto costruendo, tra IV e III sec., il blocco politico-militare dei popoli italici sotto il diretto controllo di Roma. Sebbene il suo genio militare gli facesse vincere tutti gli scontri diretti contro i Romani, Annibale non sarebbe riuscito a realizzare appieno il suo progetto. Infatti, solo le popolazioni più recentemente sottomesse dai Romani come i Galli e gli Etruschi, alcune cittfi della Magna Grecia, anzitutto Capua, tradirono la loro fedeltfi ai Romani. La persistenza del blocco di alleanze romano-italico riuscì a impedire che un disastro militare come Canne (216 a.C.) segnasse la fine politica di Roma. Il messaggio della classe dirigente romana, anzitutto del senato allora fu quello di mobilitare ulteriormente una cittadinanza stremata e impaurita, mandando l’inequivocabile segnale, ad amici e nemici, di una lotta a oltranza. Anche se, con il consueto complesso gioco di equilibri, la direzione delle operazioni militari passò dalle mani del partito “oltranzista” che le aveva guidate sino ad allora, ostinandosi in disastrosi scontri diretti con i Cartaginesi, a quelle del capo della fazione più prudente e meno entusiasta della guerra con Cartagine: Quinto Fabio Massimo. degli Scipioni. Comunque, anche dopo questa crisi, l’abile regia del senato romano funzionò perfettamente, guidando la rapida e relativamente 55 indolore conquista del mondo ellenistico. Ma, fu l’ultima stagione in cui esso assolse con piena efficacia al ruolo di protagonista della politica romana. Il germe dei poteri personali, di un crescente squilibrio ingenerato dalla gloria militare era stato seminato e si accingeva ormai a dare frutti velenosi: s’era aperta l’”ereditfi di Annibale”, appunto In seguito, si introdussero ulteriori cautele e restrizioni nella carriera politica: la lex Villia annalis, del 180 a.C., regolò l’etfi necessaria per presentarsi alle varie cariche, e rafforzò il divieto di iterazione delle cariche e di continuazione per più anni di seguito della medesima magistratura: dopo il terzo consolato di seguito di Marcello nel 152 a.C., non vi furono più casi in cui non si rispettasse l’intervallo decennale tra un consolato e il successivo, sino a cinque consecutivi consolati di Mario: ma, con essi, siamo gifi in piena crisi della repubblica. 3. Il Governo provinciale Negli anni immediatamente successivi alla Prima guerra punica cambiarono gli equilibri nel Mediterraneo occidentale e Roma subentrò ai Cartaginesi nel controllo di buona parte della Sicilia e della Sardegna. Queste acquisizioni territoriali d’oltremare furono indicate con il termine provincia: vocabolo usato a designare la sfera di competenza specifica riconosciuta a un magistrato cum imperio ed ora esteso a indicare l’oggetto materiale: il territorio conquistato e le sue popolazioni. Soprattutto nel caso della Sicilia i Romani la concepirono per molto tempo come un territorio e una popolazione da sfruttare e non da assorbire. Questa regione aveva gifi conosciuto un significativo sviluppo con la dominazione greca e per questo i romani delinearono un modello organizzativo fondato su modelli ellenistici preesistenti. In particolare quelli adottati da Siracusa, la più splendida e importante delle cittfi greche in Sicilia, il cui tiranno, Gerone, dette il nome allo statuto generale applicato dai Romani: la cosiddetta lex Hironica. In sostanza si assunse l’idea, dei regni dell’Oriente ellenistico, che il monarca fosse anche il proprietario dell’intero territorio. Conseguentemente tutti coloro che avessero in qualche modo acquisito e sfruttato le terre coltivabili furono considerati come affittuari che dovevano pagare al sovrano come canone annuo una quota parte del prodotto: in teoria la “decima” parte di questo. Nel caso siciliano i Romani (ma così fu in linea generale anche per le province successive) stabilirono che tutti gli agricoltori dovessero iscriversi in appositi registri, indicando la quantitfi di terra coltivata (professio iugerum), insieme al proprio nome (subscriptio aratorum) mentre alla percezione della decima si sarebbe dovuto provvedere con il consueto sistema degli appalti. La popolazione conquistata fu considerata costituita di “stranieri senza un proprio ordinamento” (peregrini nullius civitatis) alla merce del popolo romano per il diritto di conquista. Essa era considerata come “straniera”, ma non più appartenete a una comunitfi sovrana e priva ormai di un suo autonomo statuto giuridico. Nel tempo i Romani avrebbero individuato diresse categorie di terre nell’ambito provinciale: o le terre stipendiare > per queste si pagava una tassa (stipendium67) originariamente destinata al mantenimento delle truppe romane. o le terre decumane > erano regolate dalla lex Hieronica o le terre genericamente denominate “pubbliche del popolo romano” > queste furono gestite direttamente da Roma attraverso intermediari che pagavano un canone (vectigal68) per affittarne grandi apprezzamenti Anche nella realtfi provinciale i Romani si regolarono in modo diverso a seconda dei casi, nel caso di conquista di una cittfi sviluppata i Romani la potevano riconoscere come: • civitates foderate > cittfi alleate • civitates sine foedere libera > cittfi libere non in base ad un trattato che godevano di un’autonomia semisovrana. Spesso queste cittfi erano costruite a: pagare dei tributi a Roma (stipendium) adempiere a specifici obblighi (es. quello delle cittfi siciliane di vendere frumento ad un prezzo politico)oppure erano esonerate da oneri tributari (civitates liberae et immunes). In generale le cittfi provinciali conservarono, nell’ambito di una più o meno ampia autonomia, le loro istituzioni e le loro leggi. Anche su queste il governatore provinciale aveva una funzione di supervisione, 67 Stipendium - Nuovi Dizionari Online Simone - Dizionario Storico-Giuridico Romano Indice S. Era così definito in diritto romano il tributo pagato dai privati cui era concesso il godimento dei fundi stipendifirii [vedi] (siti nelle province senatorie). 68 Secondo il diritto romano, un'entrata statale d'ordine tributario. Il diritto romano la distingue in due tipi: vectigal e agri vectigales. 56 trovandosi quindi al vertice di un sistema composito in cui, ancora una volta, una molteplicitfi di statuti giuridici, sia personali che territoriali veniva a coesistere all’interno di un potere politico spesso esercitato troppo duramente. Dalla serie di orazioni di Cicerone contro Verre, il corrotto e devastante governatore della Sicilia, risulta chiaro come codesto sistema potesse sfociare facilmente in una forma di sistematica oppressione per gli abitanti locali. L’alleanza tra l’aviditfi dei governatori romani e gli appaltatori delle imposte, i pubblicani69 (che nel caso siciliano presero il nome particolare di decumani, da “decima”) comportò una pressione fiscale eccessiva che incise negativamente sulle condizioni economiche di tali territori, soprattutto delle aree meno redditizie. I pubblicani infatti tendevano ad aumentare a dismisura la percentuale dei tributi commisurata alla produzione agricola, andando molto al di lfi di quelli che erano i criteri generali stabiliti da Roma e a cui, in teoria, gli stessi governatori avrebbero dovuto far riferimento. Costoro però, invece di controllare il comportamento fraudolento e illegale di questi intermediari, si associarono sovente a essi nel taglieggiare le popolazioni sottoposte. Per le due prime province, la Sicilia e la Sardegna, era necessaria la presenza di un presidio militare che consolidasse le acquisizioni romane e per questo, richiedendosi l’esercizio dell’imperium, si affidò il governo di queste province a due nuovi pretori appositamente creati. In seguito con il moltiplicarsi dei territori conquistati e delle provincie i Romani, anziché moltiplicare il numero dei magistrati ordinari sfruttarono il precedente meccanismo e l’istituto della prorogato imperii. Al termine del suo anno di carica, ciascun console e ciascun pretore veniva inviato ad assumere il comando di una provincia, conservando l’imperium non più come magistrato ancora in carica, ma come pro-console o pro-pretore, sino a che lui stesso sarebbe stato rilevato da tale condizione dal suo successore inviato dal senato. La determinazione dei diversi magistrati destinati al governo delle varie province divenne uno degli oggetti di maggior contesa e competizione tra gli interessi e uno strumento di ulteriore potere nelle mani del senato. V’erano infatti province ricche e meno ricche, aree dove erano più facili le occasioni di arricchimento o di ulteriori glorie militari, magari a buon mercato, e zone difficili da controllare e in cui l’impegno militare avrebbe sicuramente superato i vantaggi di facili vittorie e buoni bottini. Di qui la necessitfi di stabilire le destinazioni dei vari magistrati in modo relativamente imparziale: il che avvenne con l’assegnazione di queste gifi al momento dell’assunzione della carica magistratuale, mediante sortitio70, un sistema che sottraeva al senato l’arbitrio e il potere di favorire gli amici e svantaggiare i nemici. In linea di massima ogni provincia era retta da un particolare statuto, elaborato, su incarico del senato e in base alle sue istruzioni, da 10 cittadini (decem legati) a ciò preposti all’atto di costituzione della provincia stesa. Una volta ratificato il loro operato dal senato, il governatore provinciale emanava il suddetto statuto come lex data in virtù del suo imperium. Con questo statuto si provvedeva a sopprimere le preesistenti istituzioni politiche e a dividere il territorio provinciale in diversi distretti. Uno schema di amministrazione provinciale si delineò nel tempo e alla fine comprendeva: governatore gruppo di legati di rango senatorio inviati dal senato con funzioni di ausilio e di controllo del governatore” questore con funzioni militari e finanziarie ma svolgeva anche altri incarichi A questo vertice di governo si associava però la debolezza dell’apparato burocratico che avrebbe dovuto supportarne l’azione. Il che spiega due fenomeni di segno opposto: da una parte la persistente importanza dei centri urbani presenti nella provincia cui venivano deferite molte competenze, ad esempio nell’amministrazione della giustizia, in una forma lata di autogoverno o di autonoma organizzazione della vita locale. l'ordine costituito, sia divino che umano, immancabilmente seguita dalla vendetta o punizione divina (tísis): concetto di fondamentale importanza in alcuni scrittori greci, specialmente in Eschilo. 58 5. L’espansione imperialistica e la trasformazione della societfi romana La Roma che usciva dalle guerre annibaliche era profondamente diversa dalla cittfi dei primi decenni del secolo, e sarebbe mutata ulteriormente nei decenni successivi. Anzitutto sotto il profilo dell’accumulazione di ricchezze e, quindi della trasformazione dei rapporti sociali. L’aristocrazia romana e il ceto equestre furono i principali beneficiari di questa crescita, con la conseguente concentrazione di grandi capitali nelle mani di pochi privilegiati. Soprattutto il ceto equestre costituiva il perno di tutto il meccanismo di sfruttamento provinciale, avendo acquisito un controllo strategico nella gestione dei flussi di ricchezza che l’espansione imperiale assicurava non solo a Roma, ma all’Italia intera, partecipe, seppure in forma subalterna, di questi processi. Il governo della res publica restò invece monopolio di fatto della nobiltfi, che rimase deliberatamente abbastanza al margine di queste nuove forme di gestione e di moltiplicazione delle ricchezze. Essa lucrò dalle guerre con i bottini rapinati ai vinti e con la successiva spoliazione delle provincie, ma il suo stesso ruolo la vincolava alla politica cittadina. Di qui la necessitfi d’investimenti relativamente stabili, che non la impegnassero eccessivamente in un diretto lavoro di gestione. Tuttavia spesso per amministrare i propri patrimoni la nobilitas si avvaleva di schiavi orientali esperti in attivitfi finanziarie e mercantili, molto più spesso gli investimenti erano di carattere immobiliare: anzitutto attraverso la proprietfi di grandi edifici urbani d’abitazione a più piani (insulae) che, in una cittfi come Roma, si venivano moltiplicando, a seguito della crescente quantitfi di abitanti. Molti, tra gli strati meno elevati, ma non solo, erano alloggiati negli appartamenti peggiori di queste insulae73 affittati a cifre talora abbastanza elevate attraverso la proprietfi dei grandi fondi agrari. Nelle aree agricole più facilmente integrabili nei circuiti commerciali (si tenga presente che il trasporto via terra, nel mondo antico, era infinitamente più costoso e difficoltoso di quello via acqua: sia per mare che lungo i fiumi navigabili) si venne così sviluppando un sistema produttivo orientato a soddisfare soprattutto la crescente domanda dei mercati cittadini. Esso si sostanziò nella formazione di grandi tenute, gestite da fiduciari, spesso essi stessi schiavi o liberti dei titolari, con l’impiego promiscuo di manodopera schiavistica e di contadini liberi. Il meccanismo fu favorito, per un certo tempo, dalla disponibilitfi di grandi masse di schiavi a buon mercato riversatisi nei grandi mercati specializzati a seguito delle guerre vittoriose di Roma. L’aumentato livello degli investimenti, la specializzazione e la qualitfi delle coltivazioni, le crescenti necessitfi di derrate alimentari per i mercati cittadini contribuirono a loro volta ad aumentare le dimensioni di tali proprietfi. Oggi gli studiosi sono più scettici sulla tradizionale descrizione di un generalizzato spopolamento delle campagne italiche intervenuto in quell’epoca anche se un forte deflusso di popolazione avvenne sia per la continua necessitfi di leve militari, sia per i processi di urbanizzazione allora in corso. La disponibilitfi di grandi quantitfi di schiavi fu un fattore determinante delle trasformazioni economico- sociali che ci furono. Sin dal IV sec. a.C. e sempre più in seguito, gli schiavi divennero il fondamento dell’intera economia romana. A riguardo: da un lato colpisce lo sfruttamento sistematico e brutale di questo tipo di forza- lavoro soprattutto nel settore agrario ma anche nelle miniere o nelle navi da trasporto o da guerra (come rematori). dal lato opposto, tale istituto venne utilizzato, in modo straordinariamente efficace, in una molteplicitfi di impieghi e di attivitfi che moltiplicarono la capacitfi d’azione e di gestione della classe dirigente romana. Alcuni schiavi, infatti, erano ben diversi da quelli destinati a lavorare nei latifondi: si va da artisti formatisi alla grande tradizione ellenistica, a letterati utilizzati come pedagoghi dei figli dei romani o come scribi e segretari dei ricchi romani, specialisti in ogni campo, dalla professione medica alle tecniche commerciali e bancarie - così sviluppate in oriente, ed ai vari settori artigianali. Quest’ultimo tipo di schiavi era acquistato a prezzi spesso molto elevati e quasi sempre lavorava a stretto contatto con i loro padroni. Così, attraverso la disponibilitfi di questa vasta gamma di competenze, la stessa capacitfi di gestione delle imprese agrarie, commerciali e delle attivitfi finanziarie facenti capo al pater familias migliorò notevolmente. Ciò rese possibile lo straordinario e rapidissimo incremento degli strumenti tecno e culturali di cui si provvide il ceto dirigente romano per guidare e gestire il formidabile sviluppo dell’intera organizzazione economico-sociale tardorepubblicana. Un aspetto centrale che si deve tener presente è rappresentato dalla facoltfi riconosciuto dall’ordinamento romano ai proprietari di schiavi di concedere loro la libertfi e, inscindibilmente da essa, anche la cittadinanza romana. É di grande interesse il fatto che, malgrado le resistenza al processo di ellenizzazione della societfi romana, non si registri alcun serio tentativo di arrestare il potente meccanismo di mobilitfi 73 La Insula Romana (Insulae), letteralmente isola romana (da cui deriva oggi il termine isolato), e' il tipico esempio di casa popolare, dove viveva la grande massa della popolazione. 59 sociale rappresentato dalle manomissioni degli schiavi. Ciò appare evidente nel momento in cui, a partire dal III sec. a.C. e sempre più nel tempo, Roma dispose anche di altre “cittadinanze”: la latina e lo stesso statuto di peregrinus, “straniero”, come appunto i sudditi delle province. Ai liberti dunque si sarebbe potuto dare questo più basso statuto personale, invece della sempre più privilegiata cittadinanza romana. Ma, salvo casi particolari e circoscritti, non fu questa la strada battuta: la saldatura tra libertfi e cittadinanza romana restò ferma. Questo fu, alla lunga, un formidabile elemento di arricchimento della societfi romana - una delle societfi più “aperte” del mondo antico - e conseguentemente anche una ragione del suo durevole successo; all’opposto della parabola delle cittfi greche. É chiaro che i beneficiari di questo straordinario potere furono soprattutto quegli schiavi più a contatto con i loro padroni e meglio in grado di conquistarsene la benevolenza. Divenuti liberti, essi e i loro discendenti costituirono un nuovo e importante gruppo sociale che contribuì ad arricchire ulteriormente la societfi romana determinandone una qualche mobilitfi. Infatti i figli degli ex schiavi, se nati quando il padre era gifi divenuto “liberto”, avevano lo statuto di “ingenui” potendo ulteriormente ascendere nella scala sociale. 6. La teoria della “Costituzione mista” Verso la metfi del II sec. l’autore greco Polibio nel sesto libro delle sue “storie” s’interrogò sui motivi dello straordinario successo dei romani. Egli era al seguito di Scipione Emiliano che aveva vinto a Cartagine la III guerra punica e figlio di Lucio Emilio Paolo che aveva ottenuto la vittoria di Pidna nel 168 a.C. Il grande vantaggio di Roma consisterebbe, secondo Polibio, in un equilibrio difficile e mutevole fra le tre forme di governo proprie delle societfi umane, gifi identificate dai filosofi greci: il governo monarchico, quello aristocratico e, infine quello democratico. L’avere, diciamo così “selezionato” il meglio di questi tre meccanismi di governo e averli fusi in un disegno unitario sarebbe dunque la ragione ultima del successo romano: il potere monarchico, identificabile nella forza dei consoli, il potere aristocratico, nel ruolo del senato il potere democratico nei comizi Secondo l’autore tale chiave di lettura più che chiarire la struttura dell’ordinamento politico romano mostra come: Polibio probabilmente non riusciva a staccarsi dal pensiero politico greco Molti studiosi moderni abbiano studiato il fenomeno sotto l’influenza del principio della divisione dei poteri che però è moderno e abbastanza lontano dalla realtfi di Roma. In effetti, difficilmente un romano avrebbe potuto comprendere questa tripartizione, giacché dalla sua concreta esperienza egli non avrebbe potuto scavare l’idea di tre espressioni della sovranitfi tra loro così nettamente distinte: o come distinguere autonomamente le funzioni giudiziarie con il potere esecutivo quando c’era la figura del pretore che molto spesso era chiamato a guidare le legioni romane? o Allo stesso modo si pensi al potere legislativo che era in mano ai comizi ma senza il potere esecutivo dei magistrati il popolo non avrebbe ne potuto riunirsi, ne avrebbe avuto proposte su cui decidere. Il punto è che l’esperienza romana appare ispirata a una logica, in cui più che la “divisione dei poteri”, sembra esserci la confusione di più poteri nello stesso soggetto e,