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MACROECONOMIA - EMIF PRIMA PARTE, Appunti di Macroeconomia

INTEGRAZIONE APPUNTI IN CLASSE E LIBRO SEGUITO DAL PROFESSORE

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 14/02/2023

DanieleCorvino
DanieleCorvino 🇮🇹

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Scarica MACROECONOMIA - EMIF PRIMA PARTE e più Appunti in PDF di Macroeconomia solo su Docsity! MACROECONOMIA Capitolo 1 - IL PIL La macroeconomia si fonda sullo studio della produzione, distribuzione e gli usi di un unico aggregato di beni e servizi: il prodotto interno lordo o PIL. La grandezza fondamentale della Macroeconomia è il PIL. Il PIL è il valore di mercato di tutti i beni e servizi finali prodotti in un paese in un dato periodo di tempo. “Valore di mercato” -> significa che i beni e i servizi che entrano nel PIL sono valutati ai prezzi di mercato correnti, cioè ai prezzi a cui vengono effettivamente venduti nell’anno cui si riferisce la misurazione. Il PIL nominale viene indicato da Y . “Tutti i beni e servizi” -> Nel calcolo del PIL non possono entrare i beni e servizi prodotti e venduti illegalmente, di cui non esistono rilevazioni. Inoltre, non fanno parte del PIL i beni e servizi erogati e consumati all’interno delle famiglie (preparazione pasti, assistenza e cura, ecc.) “Finali” -> questa espressione indica che non tutti i beni e servizi prodotti e venduti legalmente sul mercato entrano a far parte del PIL. I beni e servizi che vengono utilizzati come mezzi per la produzione di altri beni e servizi non vengono contabilizzati nel PIL, ma sono considerati “beni intermedi”. Esempio: la farina può essere ritenuta un bene intermedio se utilizzata per la produzione di qualcosa, altrimenti sarà contabilizzata nel PIL se venduta come bene finale, per esempio alle famiglie. È inesatto definire il PIL come “il valore della produzione di un anno” poiché esso comprende solo i beni e servizi finali. “In un paese” -> si intende che il PIL misura ciò che viene prodotto in un paese, indipendentemente dal fatto che chi produce sia cittadino di quel paese o straniero, se l'impresa che produce sia posseduta da residenti in quel paese o da residenti all’estero. Ciò che conta è il luogo dove avviene la produzione, non la nazionalità di chi produce. Il PIL include ciò che è prodotto da soggetti esteri in Italia ed esclude quanto prodotto da soggetti italiani all'estero. “un dato periodo di tempo” -> si parla della produzione di un anno solare, che va dal 1 gennaio al 31 dicembre. Quando, per definire la grandezza sia bisogno di precisare l'intervallo di tempo cui si fa riferimento, si parla di una grandezza flusso. Se è sufficiente il riferimento una certa data si sta misurando con uno stock, come nel caso del debito pubblico di un paese o del patrimonio di una famiglia. Il PIL può essere calcolato attraverso diversi metodi: 1. Metodo del valore aggiunto 1 Il valore aggiunto da un'impresa alla produzione è pari al valore della sua produzione al netto del valore dei beni intermedi utilizzati nella produzione. Y=V al or e A g g iun t o 2. Metodo del reddito Un'altra via per calcolare il PIL è il metodo del reddito, la differenza tra valore della produzione e valore dei beni intermedi in ogni impresa non può che andare a remunerare i lavoratori (salari), al pagamento di imposte indirette, a profitto dell'impresa. Y=R ed d i t o=S a l ar i+ p r o f i t t i Il quadro si complica se si considera che la produzione richiede anche il capitale. Tali redditi da capitale prendono il nome di “rendite". Le rendite, come gli altri redditi, fanno parte del PIL, in aggiunta ai salari e ai profitti. La presenza di rendite cambia la composizione del reddito ma non il suo valore complessivo. 3. Metodo della spesa Il PIL può essere inoltre calcolato anche con il metodo della spesa che va a sommare le spese per beni e servizi finali. Se un bene viene utilizzato per la produzione, non viene considerato poiché non è bene durevole. Y=C on s umi+ I n v e s t i m en t i+ E s po r t a z io ni N e t t e+S p e sa P u bb li ca Nelle economie reali la spesa non è costituita solo da quella per consumi da parte le famiglie e per servizi da parte le imprese, infatti bisogna aggiungere anche la spesa per beni di investimento, effettuata dall'imprese per l'acquisto di nuovi macchinari impianti e dalle famiglie dalle imprese per nuovi immobili. A questi investimenti fissi vanno aggiunti i cosiddetti investimenti in scorte, nei quali sono compresi tutti i beni non venduti nell'anno in corso e collocati nei magazzini delle aziende. Si parla di investimenti perché è come se le aziende acquistassero oggi una produzione per vendere negli anni successivi, indipendentemente dalla circostanza che tali acquisti siano meno volontari, cioè che le scorte si accumulino programmaticamente o perché le previsioni di vendita non si sono realizzate. Quando la produzione corrente è inferiore alle vendite correnti le scorte si riducono, investimenti e scorte negativo. N X -> è uguale alla differenza tra esportazioni (X) e importazioni (Z) Un altro componente della spesa è la spesa pubblica G per i beni in uso presso la pubblica amministrazione, detta PA, nonché per i servizi da questa acquistati, ivi compresi, ovviamente, quelli forniti ai dipendenti della PA stessa e per gli investimenti pubblici. Nella spesa pubblica non rientrano trasferimenti che, a titolo diverso dallo stipendio ai pubblici dipendenti, la PA concede ogni anno alle famiglie poiché tali sussidi non costituiscono immediatamente acquisto di beni e servizi. Tuttavia essi rappresentano uscite per le PA e sono contabilizzati nel bilancio pubblico. Nel bilancio pubblico la spesa è suddivisa in due grandi componenti: le uscite correnti e le uscite in conto capitale. Il bilancio pubblico si compone di due grandi componenti: • G n : uscite correnti come retribuzione dei dipendenti pubblici, acquisti di beni e servizi, prestazioni sociali come trasferimenti, contributi alla produzione e spese per interessi • G n : uscite in conto capitale come investimenti per opere pubbliche e trasferimenti in conto capitale 2 Human Development Index, HDI si calcola come un indice multidimensionale che include oltre il PIL pro capite, - speranza di vita, - educazione/instruzione - altri elementi qualitativi. Comunque, HDI è molto correlato con il PIL pro capite Se il PIL pro capite un reddito pro capite sono misure accettabili del benessere medio di una nazione, non ci dicono nulla sulla distribuzione del benessere tra i cittadini. Infatti l'attenzione si concentra spesso sul reddito complessivo di individui o delle famiglie. Un indice di disuguaglianza importante è il coefficiente di Gini, tale indice varia da 0, nel caso di perfetta uguaglianza, a 100, nel caso di perfetta disuguaglianza. Un altro modo di guardare alle disuguaglianze e misurare le quote del reddito prima delle imposte che va a determinare classi di percettori di reddito. Sulla retta i redditi sono distribuiti in modo perfettamente egualitario, tanto più è concava la curva e tanto meno è equamente distribuito il reddito. Sull’asse delle ordinate vi è la quota cumulata della popolazione. Un altro modo di guardare alle diseguaglianze è misurare la concentrazioni di reddito in una certa fascia/ quota di popolazione. Quanta percentuale di reddito è detenuta dal tot % di popolazione più ricca/povera. Sono tuttavia grandezze relative perché non ci dicono nulla sul benessere e le risorse in valore assoluto dei più ricchi e poveri. 5 Capitolo 2 - QUATTRO “TASSI” 2. Il tasso di disoccupazione La popolazione in età attiva o lavorativa è formata dalla popolazione meno gli anziani e i giovani. 𝑃𝑜𝑝 − (𝑎𝑛𝑧𝑖𝑎𝑛𝑖 + 𝑔𝑖𝑜𝑣𝑎𝑛𝑖) = 𝑃𝑜𝑝𝐿 La forza lavoro è formata dagli individui che partecipano al mercato del lavoro sono gli occupati e i disoccupati in cerca di occupazione. L=N+U N = occupati U = disoccupati Il tasso di partecipazione si trova come il rapporto tra la forza lavoro e la popolazione in età attiva o lavorativa. L/ P o p L x100 La presenza di lavoratori che smettono di cercare lavoro, detti lavoratori scoraggiati, riducono L e quindi riducono anche il tasso di partecipazione. I disoccupati sono gli individui che appartengono alla forza lavoro ma non hanno un lavoro ufficiale e sono quindi in cerca di occupazione. Il tasso di disoccupazione è definito dalla quota percentuale dei disoccupati rispetto alla forza lavoro u=U / L=(L−N )/L esprimibile, inoltre, come 𝑢 = 𝑙 − 𝑛     dove l e n sono i logaritmi naturali di L ed N. Un’economia in cui il tasso di disoccupazione è elevato corrisponde ad un’economia in cui una quota non piccola di lavoratori non ha un reddito o riceve il sussidio di disoccupazione, e ciò implica una perdita di benessere per molti individui. Un certo tasso di disoccupazione è inevitabile e anche utile se ad esso corrispondono posti di lavoro vacanti, il problema sussiste quando il tasso di disoccupazione sale al di sopra di un valore che viene definito frazionale. 6 Il tasso di occupazione invece è il rapporto tra gli occupati e la popolazione attiva N / L=1−u Tale definizione implica che una diminuzione del tasso di occupazione non si riflette automaticamente in un aumento del tasso di occupazione  quindi una diminuzione di u fa aumentare il tasso di occupazione solo se si mantiene costante o aumenta il tasso di partecipazione. Un basso tasso di occupazione è sempre un fenomeno negativo, anche se corrisponde a molti lavoratori in nero, poiché essi diminuiscono le entrate dello Stato. 3. Livello dei prezzi e tasso di inflazione La stabilità dei prezzi o un tasso di inflazione moderato (2-3%) costruiscono una garanzia non trascurabile dello svolgimento delle attività economiche. Un tasso di inflazione elevato erode il potere d’acquisto dei soggetti economici, mettendo in un clima di incertezza le famiglie. Inoltre un elevato tasso di inflazione mette in crisi i creditori che abbiano prestato denaro con contratti definitiva termini nominali, al contrario la deflazione impaurisce i debitori, che dovrebbero restituire somme di denaro dal valore reale più alto pagare interessi più elevati. Il tasso di inflazione misura la variazione percentuale dei prezzi da un momento all’altro del tempo. Per calcolare il tasso di inflazione è necessario disporre di una misura del livello generale dei prezzi, essa viene effettuata usando degli indici ponderati, costruiti a partire da un paniere predefinito di beni e servizi. I più usati tra tali indici sono l'indice dei prezzi al consumo (IPC) e il deflatore del PIL. Il peso che ciascun bene o servizio ha nel paniere di riferimento viene utilizzato per ponderare l'indice dei prezzi che si intende costruire. Naturalmente, i panieri devono essere periodicamente aggiornati, rendendoli rappresentativi delle abitudini dei consumatori. L’indice dei prezzi al consumo è un indice in cui la ponderazione dei prezzi è effettuata utilizzando le quantità dell’anno base. Un simile indice tende a stimare l’inflazione per eccesso e a trascurare una variazione dei prezzi relativi spinge i consumatori a sostituire i beni più cari con quelli meno cari e che quindi il paniere rappresentativo dei consumi non viene invariato, con la conseguenza che la spesa effetti aumenta meno di quanto stimato dall’indice. Nell’ambito dell’area euro è stato sviluppato un indice armonizzato dei prezzi al consumo (IAPC) per determinare una misura comune del tasso di inflazione nei vari paesi dell’area, misura che è utilizzata dalla Banca Centrale Europea come punto di riferimento per la politica monetaria. Esso è calcolato considerando un paniere di beni e servizi che tiene conto sia delle peculiarità di ogni stato membro che delle regole comuni utilizzate per la ponderazione dei beni che compongono il paniere stesso. Core inflation -> evidenzia la componente comune della variazione di tutti i prezzi dalla componente di tale variazione dovuta alla variazione dei prezzi relativi, escludendo dunque i beni i cui prezzi dipendono molto dalla stagionalità. 4. Il tasso di crescita del PIL Il tasso di crescita del PIL è definito dalla variazione percentuale del PIL in un determinato intervallo di tempo, in genere l’anno di calendario. 7 Altrimenti la differenza tra tasso di interesse reale effettivo e tasso di interesse reali atteso sarà semplicemente 𝜋 − 𝜋𝑒. L’importanza del tasso di interesse reale è che misura il costo reale del denaro che deve essere preso a prestito per effettuare oggi investimenti i cui rendimenti saranno disponibili soltanto nel futuro. Un alto tasso di interesse ridurrà la quantità degli investimenti ed implica effetti negativi sulla crescita economica però aumenterà i risparmi in quanto rinunciano al consumo oggi per consumare nel futuro avendo risorse per i prestiti.   Anche il tasso di interesse nominale ha la sua importanza in quanto determina l’onere del debito pubblico (maggiore è i, maggiore sarà la spesa che dovrà sostenere per pagare i suoi creditori), in secondo luogo il tasso di interesse nominale influenza la convenienza ad impiegare o meno risorse in un paese od un altro. I tassi di interesse nominali salgono quando l’inflazione sale, ciò consente di mantenere i tassi reali sufficienti a spingere le famiglie a risparmiare. Tassi di interesse a medio-lungo termine   Esistono molti tipi di prestiti/obbligazioni ciascun con un tasso di interesse diverso. In generale un prestito a lunga scadenza avrà un rendimento (tasso d’interesse) superiore a quello di un prestito a breve scadenza, in quanto un tempo maggiore significa maggior tempo per il prestatore senza poter disporre della somma liquida e questa rinuncia ha un prezzo, inoltre con il lungo termine aumenta anche il rischio del prestito. (Più uno stato è indebitato maggiore sarà il rischio e di conseguenza il Tasso di Interesse).   Per analizzare l’esistenza o meno della relazione che lega i tassi di diversa durata occorre trascurare la diversa rischiosità e liquidità dei prestiti e guardare solo la durata. È ragionevole pensare che il rendimento di un titolo a lungo termine sia uguale alla media dei rendimenti offerti di un insieme di titoli a più breve termine, si avrà quindi l’indifferenza tra un’opzione e l’altra. Indicando con 𝑖2,𝑡 il rendimento annuale di un titolo a due anni, emesso nell'anno t; con 𝑖1,𝑡 il rendimento annuale di un titolo a un anno, sempre emesso nell'anno t, e con 𝑖1,𝑡+1 il rendimento atteso di un titolo a un anno emesso nell'anno t + 1 (infatti, in t tale rendimento non può essere noto non essendo il titolo ancora emesso), si avrà: • Il tasso a lungo termine è una media dei tassi a breve presenti e futuri (non noti ma attesi), per molti tipi di titoli e per qualsiasi orizzonte temporale. Si nota che qualsiasi evento in grado di influenzare il tasso a breve eserciterà un’influenza anche sui tassi a lungo termine. • Come si può notare dai dati reali la differenza tra tassi a breve e a lungo non è costante perché è influenzata dalle aspettative sui tassi futuri e dalla variabilità del premio per il rischio e del premio di liquidità. • Esiste una relazione sui tassi dei prestiti relativi a scadenze diverse che sono legati da una “struttura a scadenza dei tassi di interesse”  10 Capitolo 3 - LA BILANCIA DEI PAGAMENTI E ALTRI DUE TASSI 1. Introduzione All’origine della globalizzazione c’è il commercio internazionale di merci tra residenti di diversi paesi. Oltre a questo si manifesta tramite liberalizzazione dei flussi finanziari, possibilità di aprire stabilimenti all’estero, movimento dei lavoratori ecc. Questi flussi (di merci, redditi, finanziari e di moneta) vengono registrati nella bilancia dei pagamenti di ciascun paese, seguendo le regole del Fondo Monetario Internazionale. 2. La bilancia dei pagamenti La bilancia dei pagamenti (BP) di un paese è un conto registra il valore di tutte le transazioni tra un paese ed il resto del mondo, tanto che si tratti di cittadini, società o PA. Si divide inoltre in 3 capitoli a loro volta articolati in più voci. In alcuni stati è strettamente nazionale come per l’Italia (contano anche le transazioni con altri paesi dell’UE), in altri stati come USA, Canada, Australia e Germania viene redatta anche a livello federale. Il primo capitolo è il CONTO CORRENTE (CC) che registra i flussi di beni, servizi e redditi tra residenti e non residenti. 3. La prima componente riguarda le export (+) e import (–) di beni (prodotti energetici e non) espresse in euro. Tra i servizi rientrano i viaggi. (il viaggio di un italiano all’estero implica importazione mentre il turismo in Italia di stranieri fa aumentare le export) Il saldo è dato dalle esportazioni nette 𝑁𝑋𝑛 = 𝑋𝑛 − 𝑍𝑛 4. La seconda componente riguarda i redditi (passaggi di reddito che escono o entrano nello stato) suddivisi tra primari RP e secondari RS. In 𝑅𝑃 rientrano i compensi in entrata ed uscita dei lavoratori dipendenti, i redditi da capitale (non i capitali) ovvero interessi su titoli stranieri detenuti da italiani (+) e interessi su titoli italiani detenuti da residenti esteri (−), dividendi distribuiti da società estere a residenti italiani (+) e dividendi distribuiti da società italiane a residenti esteri (−). 𝑅𝑆 riguardano i pagamenti internazionali per assicurazioni, trasferimenti correnti da e verso istituzioni internazionali come UE o FMI, denari che immigrati inviano ai loro parenti residenti nei paesi esteri oppure che gli emigrati italiani inviano in Italia. 𝐶𝐶 = 𝑁𝑋𝑛 + 𝑅𝑃 + 𝑅𝑆 = 𝑋𝑛 − 𝑍𝑛 + 𝑅𝑃 + 𝑅𝑆 Il secondo capitolo è il CONTO CAPITALE (CK) che riporta i flussi di attività non prodotte e non finanziarie come i brevetti e tutti i trasferimenti in conto capitale da e verso l’UE o altre organizzazioni internazionali di cui si fa parte o eventuale cancellazione di debiti dei paesi esteri. 𝐶𝐶 + 𝐶𝐾 ci dice il risultato netto surplus o deficit dell’economia italiana nei confronti dell’estero. Net lending o net borrowing Il terzo capitolo è CONTO FINANZIARIO (CF) le cui voci costituiscono: acquisizioni nette (acquisizioni - dimissioni) di attività finanziarie (+) e variazioni nette di passività finanziarie (aumenti - rimborsi) (−). • La prima voce sono gli investimenti diretti esteri (IDE), tutti i rapporti di partecipazione in cui la quota detenuta dall’investitore nel capitale sociale con diritto di voto dell’impresa partecipata è uguale o maggiore del 10%. Gli investimenti si dividono tra quelli italiani all’estero (+) e quelli esteri in Italia (−) • La seconda voce sono gli investimenti in portafoglio (IP) transazioni e consistenze riguardanti azioni e altre partecipazioni, quote di fondi di investimento e titoli di debito (attività diverse da quelli inclusi negli investimenti diretti esteri) • Derivati 11 • Altri investimenti: tutti gli investimenti che non rientrano nelle voci precedenti • Variazione delle riserve ufficiali della Banca Centrale: le riserve sono definite come crediti nei confronti dei non residenti denominate in valuta estera oppure oro, diritti speciali di prelievo o posizione di riserva sull’FMI. La riserva è la quantità di valuta estera presente nella Banca centrale. 𝐶𝐹 = 𝐼𝐷𝐸 + 𝐼𝑃 + 𝐷 + 𝐴𝐼 + ∆𝑅𝑈 I flussi che entrano nella bilancia dei pagamenti garantiscono la coerenza dei conti e per tenere conto di eventuali discrepanze si introduce una voce chiamata errori ed omissioni. Dunque 𝐶𝐶 + 𝐶𝐾 = 𝐶𝐹 + 𝐸𝑂 Ogni transazione finanziaria (3° capitolo) implica una variazione degli stock di attività (∆𝐴𝐹𝐸) e passività (∆𝑃𝐹𝐸). Quindi un saldo positivo del conto finanziario implica un incremento delle attività maggiore dell’aumento delle passività verso l’estero o viceversa una diminuzione delle attività inferiore alla riduzione delle passività. Tali variazioni implicano cambiamenti nella posizione patrimoniale netta nei confronti dell’estero (∆𝑃𝑁𝐸) cioè la variazione dello stock di attività meno la variazione dello stock di passività ∆𝑃𝑁𝐸 = ∆𝐴𝐹𝐸 − ∆𝑃𝐹𝐸 Un’occhiata al crescente deficit di parte correnti e al crescente indebitamente estero degli Stati Uniti per finanziarlo non crea un problema di crisi come per l’Italia perché nessuno ha interesse ad attaccare gli USA in quanto il dollaro è una moneta di riserva mondiale e nessuno vuole farlo crollare. L’eventuale permanere nel tempo di rilevanti deficit del conto corrente crea un crescente indebitamento con l'estero. Ma ciò implica un crescente onere degli interessi per il servizio del debito estero. Poiché la spesa per gli interessi sul debito estero viene registrata in uscita (con segno -) in CK, un aumento di tale spesa contribuisce al peggioramento di CC, che a sua volta richiede un crescente finanziamento dall'estero, con il rischio che si inneschi una spirale pericolosa. 3. Cosa è un’economia aperta Si parla di economia aperta quando: - ai residenti del paese sono consentiti gli scambi di beni con i residenti di un altro paese - quando sia anche consentito ai residenti di avviare attività produttive all’estero (investimenti diretti all’estero) e ai non residenti di avviare attività produttive nel paese (investimenti diretti dall’estero); - quando sia consentito ai residenti di lavorare in qualsiasi paese estero desiderino mentre è consentito ai non residenti di lavorare nel paese.   Sembrerebbe però che nessuna economia del mondo è realmente del tutto aperta. Non del tutto liberi almeno ci sono infatti quote sui beni importati, tasse (dazi) su beni importati, limitazioni all’esportazione di capitale all’estero e la libertà di lavorare in qualsiasi paese è limitata dalle leggi sull’immigrazione approvate in gran parte dei paesi ricchi per frenare l’arrivo di lavoratori dei paesi poveri.   Quando alcuni paesi si mettono d’accordo per eliminare dazi, quote, limiti ai movimenti di capitali e persone si dice che viene creata un’area di libero scambio. Quest’area può inoltre evolvere in un mercato unico come per l’UE in cui anche le regole di funzionamento sono armonizzate. 12 livello più basso che da quel momento ci si impegnerà a difendere cercando di tenerlo fisso. La rivalutazione è invece la decisione di alzare il tasso di cambio a fronte di un eccesso di domanda permanente di una valuta. Nel 1971 i tassi di cambio ritornano ad essere flessibili e le fluttuazioni di mercato dovute al comportamento degli investitori non vengono più controbilanciate da interventi delle banche centrali e le valute sono libere di apprezzarsi e deprezzarsi. Il tasso di cambio nominale è definito per ogni coppia di valute, il che implica che siano definiti anche dei tassi di cambio incrociati cross rates. La matrice dei tassi di cambio ci mostra che sono tra loro coerenti e che non è possibile ottenere guadagni mediante operazioni di arbitraggio.   Il tasso di cambio reale determina la convenienza relativa delle merci prodotte in paesi diversi, è il rapporto tra livelli generali dei prezzi in 2 paesi espressi in valuta comune ε = 𝑒 ∙ 𝑃 / 𝑃𝑓 dove 𝑃𝑓 è il livello dei prezzi estero, con ε si riesce ad indicare la competitività di un paese   • Se ε = 1 allora le merci dei 2 paesi hanno uguale convenienza e si parla di parità dei poteri d’acquisto. • Se ε < 1 allora 𝑒𝑃 < 𝑃𝑓 le merci nazionali sono più competitive di quelle estere • Se ε > 1 allora 𝑒𝑃 > 𝑃𝑓 le merci nazionali sono meno competitive di quelle estere Una diminuzione del tasso di cambio reale indica che le merci straniere sono diventate meno competitive e un aumento del tasso di cambio reale indica una perdita di competitività delle merci nazionali. Utilizzando i logaritmi è possibile vedere come il tasso di crescita del tasso di cambio reale dipenda dal tasso di cambio nominale e dal differenziale del tasso di inflazione tra USA ed Europa ε̂ = ?̂? + (𝜋 − 𝜋𝑓) Se ε̂ = 0 il potere d’acquisto relativo si mantiene e il tasso di cambio reale rimane costante e quindi le eventuali differenze nei tassi di inflazione devono essere compensate da variazioni di segno opposto del tasso di cambio nominale. In particolare:   • se l’inflazione estera è maggiore di quella interna 𝜋 − 𝜋𝑓 < 0 allora la valuta nazionale si apprezzerà ?̂? > 0 in quanto i miei beni sono più competitivi e si richiede la mia valuta • se l’inflazione interna è superiore a quella estera 𝜋 − 𝜋𝑓 > 0 allora la valuta nazionale si deprezzerà ?̂? > 0 Poiché non c’è la garanzia che la parità dei poteri d’acquisto sia mantenuta, non c’è neanche garanzia che le variazioni dei tassi di cambio nominali siano esattamente tali da compensare i differenziali d’inflazione. 6. Il PIL a parità di potere d’acquisto Problema —> il livello dei prezzi a cui è possibile acquistare uno stesso paniere di beni e servizi in diversi paesi può essere diverso anche se è espresso nella stessa valuta. 15 7. Si applica al PIL dei paesi di cui si vuole convertire la moneta il tasso di cambio —> così si convertiranno tutti i valori nella stessa valuta 8. Essendo che i livelli dei prezzi sono diversi occorre parificare i poteri di acquisto, si ottiene il PIL reale cinese dividendo il valore nominale del PIL cinese espresso in dollari per il livello dei prezzi cinese sempre espresso in dollari. Si moltiplicherà il risultato per il livello dei prezzi americani e si otterrà così il PIL cinese ai prezzi americani (PPA) Il PIL a prezzi comuni viene definito “a parità di poteri d’acquisto” , di norma i valori dei paesi poveri tendono ad essere più vicini a quelli dei paesi ricchi rispetto a quando si considera solo il tasso di cambio corrente. La ragione —> il livello dei prezzi nei paesi poveri è bassa in quanto i salari dei paesi poveri sono più bassi e ciò si traduce in prezzi inferiori. ESEMPIO: 7. La parità “scoperta” dei tassi di interesse Le variazioni del tasso di cambio influenzano la convenienza relativa degli impieghi finanziari in diversi paesi. Supponendo che esistano due titoli con un tasso di interesse nominale differente, si potrebbe pensare che il migliore sia quello che rende maggiormente. Bisogna però valutare anche il deprezzamento o l'apprezzamento delle monete considerate nel futuro. Infatti se si attende che una determinata moneta si a prezzi o dei prezzi dei prezzi può risultare conveniente o meno l’acquisto. Si può rappresentare la condizione di arbitraggio tra attività finanziarie di due diversi paesi con un'equazione chiamata parità scoperta dei tassi di interesse: Trascurando il premio per il rischio, la parità scoperta di tassi di interesse si riduce a Ovvero, data la relazione tra tasso di interesse reale tasso di interesse nominale: Se si ipotizza che venga mantenuta la parità di potere d'acquisto si otterrà: Se la variazione del tasso di cambio nominale attesa e quella effettiva coincidono e anche le aspettative di inflazione coincidono con quella effettiva, sostituendo l'ultima formula della parità scoperta e semplificando, si ottiene: 16 Capitolo 4 - MONETA E BILANCIO PUBBLICO 2. La natura e le funzioni della moneta La moneta è qualunque cosa sia accettata dagli individui, dalle imprese e dalle amministrazioni pubbliche in cambio di beni e servizi. • La moneta consente la facilità degli scambi e consente di ridurre i costi di transazione connessi al processo di scambio. • Oltre a essere mezzo di pagamento, la moneta è unità di conto mediante la quale sono definiti i prezzi dei beni e servizi e le retribuzioni dei fattori produttivi. • La moneta è anche strumento per trasferire potere d’acquisto dal presente al futuro, perciò si dice che la moneta svolge la funzione di riserva di valore. • Ha inoltre la proprietà di essere liquida, nessuno può rifiutare il pagamento con essa. Il valore reale della moneta è l’inverso del livello generale dei prezzi, cioè è il suo potere d’acquisto: se aumentano i prezzi, il valore reale dea moneta diminuisce perché con essa si possono acquistare meno beni e servizi: la moneta si deprezza. Al contrario se i livello dei prezzi diminuiscono il valore della moneta aumenta. 17 di imprese solventi. Questo spiega il ruolo fondamentale delle banche nella creazione di moneta che non viene svolta solo dagli impulsi della banca centrale.   9. L’equazione quantitativa della moneta L'utilizzazione della moneta avviene ogni volta che si effettua una transazione per la quale il pagamento avviene in forma monetaria. Ad ogni transazione la moneta cambia di mano, si dice che essa circola nel sistema economico. Il numero di volte che la moneta cambia mano per compiere le transazioni viene chiamata velocità di circolazione della moneta. Chiaramente tale velocità dipende dalla frequenza dei pagamenti e dalle abitudini di spesa dei soggetti economici. M=k P Y L'equazione della domanda di moneta potrà essere scritta anche come: M=P Y /V Tanto maggiore è la velocità di circolazione e tanto minore è la domanda di fondi liquidi che viene richiesta. Se domanda e offerta di moneta sono uguali si avrà: M V =P Y Definendo PYt il valore nominale delle transazioni e Vt la velocità di circolazione delle transazioni avremo l’equazione: M V =P Y A parità di valore delle transazioni, maggiore è la velocità di circolazione e minore è la quantità di moneta necessaria “sostenere” quelle transazioni. La BCE Caratteristiche: - Indipendenza dai governi dei paesi EuroArea - Credibilità e trasparenza - Obiettivo centrale: stabilita dei prezzi (inflazione bassa, 2%) clausole di salvaguardia -> casi temporanei e straordinari. Effetto - Altri obiettivi: stabilita finanziaria, regolamentazione bancaria Strumenti: - Tasso di interesse (Eng; interest rate on Main Refinancing Operations) - QE – sfrutta l’utilizzo della bilancia della BCE - Comunicazioni, interviste, interventi (ex. Whatever it takes) - Controlli, norme e regoli per le banche 10. Il bilancio pubblico Il bilancio pubblico è il conto economico consolidato delle PA (Amministrazioni Pubbliche es. polizia magistratura o ssn, istruzione ecc.). in sostanza è la somma algebrica di spesa pubblica, trasferimenti ed entrate fiscali. La somma fornisce il disavanzo (se positiva) o l’avanzo (se negativa) del bilancio. Il conto evidenza la natura economica delle operazioni effettuate, se si tratta cioè di entrate o spese correnti o in conto capitale. 𝐺𝑛 = 𝐷𝑛 = 𝐺𝑛 + 𝑇𝑅𝑛 − 𝑇𝑛 Il conto può essere rappresentato in due modi: - il primo consiste nel raggruppare tutte le spese e le entrate e pervenire subito ad un bilancio complessivo 20 - Il secondo consiste nel produrre due bilanci, uno di parte corrente e uno di parte capitale, e dopo averli analizzati, produrre il bilancio complessivo. Tra le entrate correnti figurano: - le imposte dirette: pagate sui redditi o sulla ricchezza delle persone e delle società - Le imposte indirette che vengono pagate al momento in cui si effettuano le transazioni (IVA) Imposte dirette e indirette fanno parte dell’entrate tributarie - I contributi sociali, pagate dai datori di lavoro ai lavoratori per finanziare il sistema pensionistico obbligatorio e le assicurazioni sociali. La voce più pesante tra le spese correnti è quella relativa alle prestazioni sociali, cioè il pagamento di pensioni, sussidi di disoccupazione ecc. Se alle prestazioni sociali si sommano i contributi alla produzione e gli interessi pagati sui titoli del debito pubblico, si ha il complesso della spesa per trasferimenti (TR). Le altre due voci delle spesa corrente sono i redditi da lavoro dipendente e i consumi intermedi, cioè la spesa per l’acquisto di beni e servizi utilizzati da tutte le PA. La differenza tra spese correnti ed entrate correnti rappresenta l'accreditamento o indebitamento di parte corrente, altrimenti noti come avanzo o surplus e come disavanzo o deficit di parte corrente. Guardando la parte capitale del conto consolidato, tra le entrate, la maggior parte è dovuta alle privatizzazioni e alle parziali dismissioni del patrimonio pubblico, che vengono registrate tra le altre entrate, ad eccezione dei proventi della vendita di immobili pubblici che vengono registrati tra investimenti fissi lordi. Un peso molto ridotto hanno l'imposta in conto capitale. Le spese in conto capitale ammontano a quasi sei volte le entrate in conto capitale. La parte del leone è fatta dagli investimenti fissi lordi e i contributi in investimenti. Tra i saldi più importanti vi è l’indebitamento netto delle PA e il deficit/surplus primario.   L’ indebitamento netto delle PA è il deficit del bilancio pubblico nel suo complesso, si definisce indebitamento in quanto occorre che lo stato si indebiti per finanziare il deficit di bilancio. Il deficit/surplus primario è ottenuto togliendo le spese per interessi dall’indebitamento netto delle PA e rivela la situazione della finanza pubblica se non vi fosse un debito accumulato negli anni precedenti, su cui si pagano interessi (dipendono dal tasso d’interesse e dall’ammontare del debito). Isola quindi le spese della PA finalizzate a fornire servizi alla cittadinanza.   Negli anni 60 il saldo primario era vicino allo zero, poi negli anni 70 picco negativo poi torna negli anni 90 sopra lo 0. Gli interessi occupano una parte sempre minore della spesa corrente in quanto gli interessi medi che si pagavano nel 2000 sono molto più alti degli interessi medi che si pagano oggi nonostante il debito pubblico sia aumentato.   𝐷𝑛 = 𝐺𝑛 + 𝑇𝑅𝑛 − 𝑇𝑛  dove la D corrisponde all’indebitamento netto delle PA. Il rapporto tra indebitamento netto delle PA e PIL è un parametro importante per i paesi che aderiscono all’Unione Monetaria Europea, nel 1992 il trattato di Maastricht sancì che bisognasse rispettare un rapporto tra disavanzo e PIL non superiore al 3% , venne ribadito nel 1997 con il patto di Amsterdam. Al fine di rendere le regole di finanza pubblica più stringenti è stato siglato nel 2012 il treaty on stability, coordination and government.   21 Ha avuto un ruolo importante l'avanzo primario Ap che ha permesso la riduzione del debito pubblico. Lo Stato può avere altrimenti un disavanzo primario dato dal saldo di bilancio pubblico meno la spesa per interessi D = D - S —> l'esistenza di un consistente avanzo primario serve allora a controbilanciare la spesa obbligatoria per gli interessi sul debito.   Il saldo primario italiano quando è stato portato in avanzo ha permesso la riduzione del debito pubblico, l’Italia ha avuto sempre un avanzo primario maggiore della media degli stati dell’eurozona. Avere un avanzo di bilancio significa che le entrate fiscali sono superiori alla spesa pubblica per beni e servizi resi alla collettività  difficile sostenibilità a livello pubblico Il rapporto debito PIL : ragione del rapporto è la sostenibilità del debito che dipende dal reddito del debitore. Lo stato al contrario del privato può tuttavia aumentare le sue entrate aumentando l’imposizione fiscale. La dinamica del debito nel lungo periodo dipende dai deficit annuali che se accumulati possono accrescere eccessivamente il PIL. 11. Il debito pubblico Quando il bilancio pubblico presenta un deficit complessivo D > 0 lo Stato deve trovare le risorse per finanziare l'eccesso di spesa rispetto alle entrate. Queste risorse le ottiene indebitandosi, generando debito pubblico. Il debito pubblico generato da un disavanzo di bilancio va ad aggiungersi allo stock di debito accumulato negli anni precedenti. Soltanto un avanzo complessivo di bilancio consente, al contrario, di ridurre lo stock di debito. La pubblica amministrazione può indebitarsi nei confronti della Banca centrale e nei confronti dei cittadini residenti o dei non residenti. La Banca centrale può acquistare spontaneamente oppure essere “tenuta” ad acquistare i titoli nuovi emessi dallo Stato. In tutti e due i modi lo Stato si indebita nei confronti della Banca centrale, ma mentre l'indebitamento connesso la creazione di moneta risponde ad esigenze fisiologiche dell'economia e, comunque, viene deciso dalla Banca centrale e non dallo Stato, mentre il finanziamento forzato del debito tramite emissione di moneta può avere conseguenze pesanti sul tasso di inflazione e sulla stabilità del sistema economico. L'unica modalità per finanziare il deficit di bilancio può oggi essere considerato il collocamento di titoli del debito pubblico presso soggetti privati nazionali o esteri, che accettino di prestare soldi allo Stato in cambio del pagamento degli interessi.il debito pubblico così fidanzato, assorbe la parte di risparmi privati o dei capitali dall'estero, sottraendolo e investimenti privati. Anche questo può avere conseguenze negative sull’economia. Nel breve periodo il deficit pubblico può avere anche effetti salutari sull'economia, impedendo al PIL di ridursi nei periodi di recessione e alla disoccupazione di espandersi e stimolando la ripresa congiunturale. In questi casi un aumento del rapporto tra debito pubblico e PIL è inevitabile e non suscita preoccupazione a patto che però nei momenti di crescita economica lo Stato compie passi necessari per far scendere nuovamente questo rapporto. Va considerata anche la capacità del debito pubblico di autoalimentarsi, l'accumulazione del debito pubblico va avanti nei periodi successivi per il pagamento degli interessi, fintanto che lo Stato non deciderà di avere un avanzo primario tale da coprire tutta la spesa per interessi. Dunque è facile vedere che ogni anno il debito pubblico cresce a un tasso che è pari al tasso di interesse. 22 Capitolo 5 - LE FLUTTUAZIONI E LA CRESCITA 14. Introduzione La teoria macroeconomica si divide in due parti: analisi fluttuazioni (ora) e analisi crescita. Si tratta di semplificare lo studio della crescita tanto quanto quello delle fluttuazioni evitando di considerare le interrelazioni tra i due fenomeni. Non si considerano però l’influenza delle fluttuazioni sulla crescita e della crescita che può avere sulle fluttuazioni.   Lo studio della crescita riguarda l’andamento dell’economia nel corso degli anni, al centro dell’attenzione vi è: accumulazione di capitale fisico, sviluppo conoscenze tecnologiche , crescita popolazione, accumulazione delle capacità tecnico scientifiche dei lavoratori e le relazioni economiche internazionali politiche. (LUNGHISSIMO PERIODO)   L’analisi delle fluttuazioni riguardano le fluttuazioni del PIL, del tasso di disoccupazione e inflazione che possono subire dopo shock transitori o permanenti.   La teoria delle fluttuazioni ha bisogno di identificare nei dati empirici le componenti ascrivibili a tendenze di lungo periodo e quelle derivanti da fluttuazioni. Lo studio si divide tra breve, medio e lungo periodo. 2. I fatti stilizzati della crescita economica I fatti stilizzati della crescita economica: 15. Il Pil pro-capite varia enormemente tra paesi ricchi e paesi poveri 16. La posizione di un paese nella graduatoria mondiale del reddito pro capite può variare nel tempo, tale cambiamento dipende dai tassi di crescita. 17. I tassi di crescita, variano molto da paese a paese e da area ad area del pianeta 18. I tassi di crescita non sono costanti nel tempo 3. Le fluttuazioni, il trend e il Più potenziale 25 Tasso di crescita Italia e USA anno per anno dal 1800: periodo post bellico le fluttuazioni diventano meno accentuate e quasi sempre in territorio positivo (al contrario del diciannovesimo secolo. I tassi di crescita dal 1950 al 2015 sono in declino, costantemente in diminuzione.   Crescita del PIL procapite in Italia dal 1950 al 2018 il valore di trend è concavo, la linea concava meglio riflette i dati e si ottiene migliore correlazione: ci dice che il tasso di crescita medio è in diminuzione soprattutto dovuto alla crisi del 2008 ancora oggi si hanno valori di PIL pro capite simili al 1998-99; per gli stati uniti invece la linea di trend è esponenziale; Il logaritmo del PIL reale pro capite, il trend può essere quindi rappresentato con una retta. Di solito le analisi si fanno in trend lineare e per analizzare un fenomeno lineare occorre utilizzare un logaritmo.   Le osservazioni di una serie temporale contengono una componente di fluttuazioni ed una di crescita. Al fine di separare le due componenti occorre individuare il trend nella serie temporale del PIL. Le fluttuazioni sono caratterizzate da movimenti congiunti (comovimenti) di più variabili (PIL e consumi o investimenti o inflazione o disoccupazione). Se la variabile va nella stessa direzione dei movimenti del PIL si parla di variabile pro-ciclica altrimenti anti-ciclica. Associazioni tra diverse variabili  relazione tra andamento PIL reale e tasso di disoccupazione ci dice che l’andamento del PIL è crescente mentre quello del tasso di disoccupazione no  anticiclica. Per rispondere occorre depurare il movimento della crescita del PIL intorno al trend (PIL effettivo – PIL trend) si nota ora  il tasso di disoccupazione ed il gap PIL e PIL di trend mostrano un andamento simile mostrando una relazione inversa tra le due variabili (fluttuazioni sopra e sotto del trend e tasso di disoccupazione) Utilizzando questa tecnica di non considerare la componente della crescita fa perdere qualcosa nella complessità dei fenomeni macroeconomici, ma si acquista molta chiarezza. Italia cambiamento strutturale con cui c’è una riduzione del numero di lavoratori per produrre e la retribuzione era salita troppo, quindi un aumento dell’uso di capitale e meno lavoro, la disoccupazione aumenta e negli anni 2000 si riprende la relazione ciclica Calcolo trend log lineare: 𝑦𝑇 = 𝛼 + 𝛽𝑡 dove β rappresenta la pendenza ed il tasso di crescita del PIL di trend mentre α è l’intercetta della retta di trend. I valori effettivi del logaritmo del PIL saranno 𝑦𝑡 = 𝛼 + 𝛽𝑡 + 𝑥𝑡 dove 𝑥𝑡 è dovuto ad uno shock transitorio (sia positivo sia negativo) che colpisce l’economia nell’anno t ed esaurisce i suoi effetti sul PIL nello stesso anno.   Se gli effetti perdurano nel tempo si tratta di shock permanenti che influenzano il PIL in tutti gli anni successivi 𝑦𝑡 = 𝛼 + 𝛽𝑡 + 𝑥𝑡 + 𝑥𝑡−1 + 𝑥𝑡−2 + 𝑥𝑡−3 + … + 𝑥0 𝑦𝑡 − 𝑦𝑇 = 𝑥𝑡 si ottiene così lo scostamento dal trend Pil potenziale e output gap Un altro modo di osservare le fluttuazioni economiche è calcolare l’output gap 26 Oppure utilizzando i logaritmi 𝑦˜𝑡 = 𝑦𝑡 − 𝑦 ̅𝑡 avendo dunque log PIL effettivo - log PIL potenziale Il Pil potenziale è definito come il livello massimo della produzione di beni e servizi che un’economia può sostenere per un lungo periodo di tempo utilizzando in maniera normale la sua capacità produttiva senza generare pressioni inflazionistiche. Si ritiene ragionevole pensare che il PIL nel lungo periodo 𝑦𝐿 coincida con il PIL potenziale e quindi l’output gap sarà semplicemente 𝑦˜𝑡 = 𝑦𝑡 − 𝑦𝐿 Tenendo conto che anche 𝑦𝐿 evolve nel tempo: - Un OUTPUT GAP POSITIVO significa che l’economia sta utilizzando la sua capacità produttiva oltre il livello normale, crescita economica con tendenza di inflazione - Un OUTPUT GAP NEGATIVO significa che l’economia non utilizza capacità produttiva, questo è un indice di recessione e prezzi stabili o decrescenti (deflazione) Occorre sottolineare che la misurazione dell’output gap non è facile  il PIL Potenziale non è osservabile. Può essere solo stimato a partire da relazioni affidabili tra livello di produzione e quantità di lavoro, capitale, tecnologia, capacità imprenditoriali. Difficoltà soprattutto con cambiamento del mix servizi prodotti e cambiamento tecnologico  spesso si identifica PIL potenziale con il PIL di trend. Si notano inoltre le differenze delle stime dell’output gap calcolato da diverse istituzioni. La difficoltà deriva anche da una relazione che esiste tra PIL potenziale ed effettivo, può portare a rilevazioni di output gap diverse in quanto se uno scende pure l’altro però 2 output gap uguali possono avere due tassi di disoccupazione molto diversi. 19. Le fasi e le caratteristiche del ciclo economico Il ciclo economico si suddivide in 2 fasi: una ascendente composta da ripresa ed espansione ed una discendente caratterizzata da recessione. Essendo il trend di lungo periodo crescente ovvero il tasso medio di crescita è positivo nella fase ascendente si registrano tassi di crescita maggiori a quello di trend e in quella di contrazione tassi di crescita inferiori a quelli di trend.   Il punto di svolta superiore del ciclo è detto picco del ciclo economico, il punto di svolta inferiore è detto valle. La fase di ripresa ed espansione copre la distanza tra una valle ed il picco successivo. Le fasi espansive sono i media molto più lunghe delle fasi recessive soprattutto nel secondo dopoguerra in quanto i policy makers hanno imparato la lezione di John Maynard Keynes e sono stati in grado di mettere in atto efficaci politiche di contrasto delle recessioni e di controllo delle espansioni eccessive. Le variabili economiche possono comportarsi in maniera pro od anti ciclica:   • Tasso di disoccupazione: Vi è una relazione inversa (variabile ANTICICLICA) tra tasso di disoccupazione e variazione del PIL anche se la correlazione 𝑅2 è bassa, in quanto ci sono altri fattori che incidono sulla disoccupazione strutturale, dunque la 27 Lungo periodo Breve periodo Medio periodo Prezzi e salari Perfettamente flessibili Fissi In aggiustamento Relazioni tra variabili nominali e reali ® Dicotomia » Neutralità Variabili monetarie influenzano quelle reali * Neutralità in steady state {stato stazionario) e Interazionitra variabili reali e nominali nella dinamica Elementi cruciali Le variabili dell'Offerta: Le variabili della Domanda e Offerta: ® Produttività Domanda: e Curvadi Phillips ® Struttura dei mercati | * Propensioneal e Aspettative d'inflazione * Riformestrutturali consumo «e Dinamica nel tempo * Preferenzaperla liquidità e Condizionedel credito e Comportamento delle banche Formule y= yi(0, 0,0) y= AD(C,I,r) x(n, n°, hs) = AD(1,C,1,7,Aa) SM=IM SO) =IM SG.,y) = I(7,9) n= n=0 t= (me, y, Aa As) Capitolo 6 - DOMANDA E OFFERTA AGGREGATA CON MERCATI IMPERFETTI La domanda aggregata è ricavabile dall’equazione quantitativa della moneta, ipotizzando che la quantità di moneta domandata sia uguale a quella offerta, che dice che il PIL nominale sarà sempre uguale al prodotto tra la quantità di moneta e la sua velocità di circolazione Y=M V / P si evince quindi la relazione inversa tra livello dei prezzi e quantità domandata. Tuttavia non si tratta di una sostituzione della domanda di un bene come in microeconomia ma trattandosi di PIL si cerca un’altra ragione. La domanda aggregata è rappresentabile come un’iperbole equilatera e quindi con elasticità unitaria, posto che V è costante. All’aumentare di M la curva si allontana dagli assi. Inoltre per una curva corrisponde un certo PIL nominale, se si considera un livello dei prezzi minore i soggetti avrebbero più risorse e cercheranno di spenderle aumentando la domanda aggregata. La domanda aggregata log-lineare : 𝑦𝐷 = 𝑚 + 𝑣 − 𝑝 ; dove -1 è la pendenza della retta e l’elasticità. Come prima un aumento di M sposterebbe in alto la retta. La curva di domanda esprime quindi un trade off tra prezzo e quantità (AD)   3. Salario reale determinato dal prezzo   L’economia è rappresentata da un oligopolio omogeneo (modello realistico) di J imprese (J > 1) con rendimenti costanti, producono un unico bene (il PIL) utilizzando solo il lavoro e la tecnologia presenta rendimenti costanti. Essendo un contesto di iterazione strategica le imprese hanno un certo potere di mercato nell’influire sul prezzo che varia in base al numero di imprese. Si tratta di concorrenza imperfetta. Funzione di produzione: 𝑌𝑖 = Θ ∙ 𝑁𝑖 dove 𝑁𝑖 rappresenta il lavoro impiegato dalla i-esima azienda e Θ rappresenta la produttività media (anche marginale) del lavoro. Se si log-linearizza si ottiene 𝑦𝑖 = 𝜃 + 𝑛𝑖 Le imprese interagiscono tra loro in un oligopolio alla Cournot fissando quindi le quantità. Il lavoro è omogeneo e retribuito con un salario nominale uniforme pari a W. Oligopolio omogeneo: la tecnologia è costante e pure il capitale è colto dal valore 𝜃 che rappresenta la produttività media e marginale. In Cournot l’uguaglianza tra 𝑀𝐶 𝑒 𝑀𝑅 si ottiene con P (1-1/J) = W/Θ dove Θ è il costo marginale e 𝑃 (1 − 1/J) è il ricavo marginale inferiore al prezzo in quanto nella parentesi il valore è < di 1. Il mark up è u = 1/J-1 è decrescente all’aumentare delle imprese. Relazione inversa tra mark up e numero di imprese. Il salario reale compatibile con la massimizzazione del profitto di tutte le imprese è W/P = (1/1+u) x Θ se si log linea rizza si ottiene che 𝜔𝑃 = 𝜔 − 𝑝 = 𝜃 − 𝜇 31 La retta che rappresenta tale livello del salario è chiamata PRICE SETTING cioè salario reale determinato dal prezzo. 𝜃 rappresenta il prodotto per occupato di cui solo la parte che non viene assegnata ai profitti 𝜇 finirà ai lavoratori ovvero 𝜃 − 𝜇. Il salario reale è indipendente dal numero dei lavoratori ma dipende dal numero delle imprese. Maggiore è il numero di imprese e minore sarà quindi il potere di mercato e quindi il mark up diminuirà e il salario reale sarà maggiore. •  Contrasto tra potere di mercato e potere di acquisto dei lavoratori Il potere d’acquisto dei lavoratori è quindi in funzione della produttività media e potere di mercato. Il salario reale 𝝎𝑃 dipende positivamente dalla produttività e negativamente dal mark up. È inoltre il salario ottimale in funzione del prezzo per le imprese. 𝜃 è indipendente da n. Significa che dato un certo prodotto per occupato una parte andrà ai salari ed un’altra andrà ai profitti. Dove n è il numero degli occupati     Per una certa produttività 𝜃 ciò che determina la distribuzione dei redditi è il potere di mercato.   4. Il sindacato e il salario contrattato   Il sindacato è un organizzazione che difende gli interessi dei lavoratori nei confronti dei datori di lavoro. Noi supporremo che l’alternativa al lavoro remunerato secondo quanto contrattato dai sindacati sia la disoccupazione. Salario reale contratto 𝜔𝐵 = 𝜔 − 𝑝 = ?̅? + 𝛾 (𝑙 − 𝑢) ; si nota la relazione inversa con la disoccupazione. Si ipotizza un pavimento ?̅? (sussidio di disoccupazione) sotto il quale non si pagano salari, perché risulta più conveniente non lavorare e che si alza nel tempo nel momento in cui aumenti la disoccupazione. Si tratta di un buon ammortizzatore sociale che rende più sopportabile la disoccupazione e rende flessibile il mercato del lavoro. Non deve tuttavia essere troppo alto se no si disincentiva a cercare un’occupazione. 𝑏 ̅ è il salario di riserva. Inoltre ?̅? + 𝛾 (𝑙 − 𝑢) si nota che se il tasso di disoccupazione diminuisce il salario minimo dei lavoratori aumenta di una quota 𝛾 che rappresenta il potere dei sindacati. 32 Si nota inoltre che se AS è più a sinistra (minor PIL) implica un livello dei prezzi maggiori ed un livello di occupazione minore (CONCORRENZA IMPERFETTA) rispetto a PIL, occupazione e prezzi ottenibili in concorrenza perfetta. 6. La neutralità della moneta   Il modello è formato dalle seguenti equazioni:   • 𝐴𝐷: 𝑝 = 𝑚 + 𝑣 − 𝑦 • Funzione di produzione aggregata 𝑦 = 𝜃 + 𝑛 • W𝑆: 𝜔𝐵 = ?̅? + 𝛾𝑛 • 𝑃𝑆: 𝜔𝑃 = 𝜃 − 𝜇 • Mark up 𝜇 =  1/ 𝐽−1  Le incognite sono il mark up 𝝁, il livello di occupazione n, il PIL y ed il livello dei prezzi p. Da cui si calcola il livello di occupazione compatibile con l’equilibrio distributivo 𝑛𝐿 = 𝜃−𝝁−?̅? / 𝛾 Sostituendo si trova il valore del PIL di equilibrio FORMULA così si sono calcolate tutte le variabili reali ora si passa al calcolo delle variabili monetarie per determinare il livello dei prezzi ed il salario monetario. Il livello dei prezzi è determinato solo dalle variabili nominali m (esogena decisa dalla banca centrale) e la velocità di circolazione (considerata costante in quanto le abitudini di pagamento cambiano in termini molto lunghi) —> 𝑝𝐿 = 𝑚 + 𝑣 − 1/y ∙ [𝜃(1 + 𝛾) − ?̅? − 𝜇]  poi conoscendo 𝜔 𝑒 𝑝𝐿 si può ricavare il salario nominale come w = w + p quindi   • Il modello si risolve in maniera sequenziale, prima i valori di equilibrio delle variabili reali e una volta noti si utilizzano tali valori per determinare le variabili nominali. • Esiste quindi una dicotomia tra variabili reali e nominali che mette in luce la completa indipendenza economica tra loro. • Neutralità della moneta: ininfluenza dei cambiamenti nelle variabili nominali sui valori di equilibrio delle variabili reali. • Le variabili monetarie 𝑚 𝑒 𝑣 influenzano il livello dei prezzi: • Se ∆𝑚 > ∆𝑃𝐼𝐿 allora il prezzi aumenteranno • Se ∆𝑚 < ∆𝑃𝐼𝐿 allora i prezzi diminuiranno Al variare della quantità di moneta varia anche il livello dei prezzi e quindi anche il salario nominale W, mentre le variabili reali restano immutate. Le variabili monetarie m e v influenzano il livello dei prezzi e il salario monetario. NEUTRALITA’ —> salari reali, livello di occupazione e di produzione aggregata rimangono immutati. Ruolo nullo delle autorità di politica monetaria nel lungo periodo sul PIL.   Cosa succede se cambiano le strutture di mercato? • + imprese , diminuisce il mark up —> aumenta occupazione, PIL e salario reale 35 • + quantità di moneta —> maggiore livello dei prezzi • Se varia la produttività 𝜃 —> aumenta il PIL potenziale si tratta di uno shock reale Solo gli shock reali influenzano il PIL, mentre gli shock monetari come un aumento della moneta a parità di velocità di circolazione provocano un aumento dei prezzi.   7. Politiche per far aumentare occupazione e PIL di lungo periodo  Le politiche idonee a questo fine devono influenzare il punto di incontro tra WS e PS. • Come si influenza il mark up effettivo? FINE —> ottenere una PS più alta —> disponibilità delle imprese a pagare salari reali maggiori   36 Esistono entità antitrust che ha il compito di garantire concorrenza sul mercato ed impedire pratiche che riducano la concorrenzialità sul mercato come: accordi di collusione per alzare i prezzi oppure utilizzare la quota rilevante sul mercato per praticare prezzi più alti o fare discriminazioni di prezzo oppure gli aiuti di stato con sussidi o altre regole le compagnie nazionali a scapito delle concorrenze tra diverse compagnie.   Algebricamente a parità di numero di imprese l’unico modo è aumentare la produttività 𝜃 oppure ANTITRUST.   L’intervento antitrust non modifica J ma a limitare il potere di mercato 𝝁0 effettivo che le imprese sul mercato possono esercitare. —> 𝜇0 = 𝜇 − 𝑎 = ( 1/ 𝐽−1 ) − 𝑎 dove a è la misura del potere dell’antitrust. Quindi 𝜔𝑃 = 𝜃 − (𝜇 − 𝑎) = 𝜃 − 𝜇 + 𝑎       Aumentando il grado di concorrenzialità sul mercato è possibile fare aumentare occupazione di lungo periodo facendo aumentare inoltre il PIL di lungo periodo e i salari reali. Limitazione del potere di mercato non piace alle imprese. Le imprese massimizzano i loro profitti con riguardo sia al numero di imprese sia al potere dell’antitrust. La nuova PS curve 𝜔𝑃 = 𝜃 − 𝜇 + 𝑎 è comunque la situazione migliore per l’azienda in una situazione. • Più si riduce il profitto per occupato più ci si avvicina alla condizione di equilibrio   Data 𝜔𝐵 = 𝜔𝑃 → 𝑛𝐿 che dipende positivamente da 𝜃 𝑒 𝑎 Allo stesso modo si nota che 37 Obiettivo: ridurre il costo del lavoro —> comprimere potere dei sindacati, ridurre il sussidio di disoccupazione o ridurre le imposte sui redditi da lavoro 𝜔𝐵 = 𝑏 ̅ + 𝑡𝜔 + 𝛾𝑛 la quota 𝑡𝜔 non rientra nelle tasche dei lavoratori. 𝑡𝝎 riguarda solo le imposte sul lavoro come contributi o imposte dirette sui redditi. Il salario che le imprese sono disposte a pagare è 𝜔𝑃 = 𝜃 − 𝜇 Ponendo 𝜔𝐵 = 𝜔𝑃 —> 𝑛𝐿 = 𝛩−𝜇−?̅?−𝑡ω Pil potenziale e occupazione vanno in contrasto con l’aumento della tassazione.   Tuttavia la domanda aggregata non viene influenzata nel lungo periodo dalla tassazione ma viene influenzata solo l’offerta e quindi all’aumentare di 𝑡𝝎 diminuirà nel lungo periodo il PIL potenziale e l’occupazione.   Non tutte le tasse sono uguali. 𝑡𝜔 riguarda solo le tasse sul lavoro. L’IVA non influenza il PIL potenziale perché viene pagata sui beni venduti in Italia e quindi non influenza la competitività delle merci al contrario del cuneo fiscale. Solo le imposte che gravano sul lavoro influenzano il PIL potenziale e l’occupazione nel lungo periodo. SECONDA PARTE CAPITOLO 7 - RISPARMIO ED INVESTIMENTO Si considera un’economia chiusa agli scambi con l’estero e senza trasferimenti dallo stato verso le famiglie.   Finora si è considerata una produzione e domanda di beni e servizi che sono parte del PIL senza porsi il tema delle decisioni di risparmio ed investimento  se tutto il reddito fosse speso in beni e servizi di consumo allora la domanda e l’offerta di beni e servizi si uguagliano ma se così fosse non ci sarebbero investimenti.   40 Nella realtà le famiglie risparmiano e le imprese investono, come fa ad esserci compatibilità tra la spesa e gli investimenti? 𝐿𝑎 𝑠𝑝𝑒𝑠𝑎 è 𝑌 = 𝐶 + 𝐼 + 𝐺 𝑚𝑒𝑛𝑡𝑟𝑒 𝑔𝑙𝑖 ℎ𝑖𝑚𝑝𝑖𝑒𝑔 𝑖 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑌 = 𝐶 + 𝑆 + 𝑇      se la spesa e gli impieghi si eguagliano allora 𝐼 + 𝐺 = 𝑆 + 𝑇   oppure 𝑆 = 𝐼 + 𝐺 − 𝑇 se G – T è il deficit pubblico allora: • 𝑆 − 𝐷 = 𝐼 il risparmio finanzia l’investimento ed il deficit pubblico Le decisioni di risparmio, investimento e deficit sono prese da soggetti diversi (famiglie, imprese e governo) e indipendenti tra loro.   𝑆 − 𝐷 = 𝑆𝑁 è il risparmio netto. Al netto del risparmio negativo dello stato ovvero il deficit. 𝑆𝑁 = 𝐼 L’equilibrio tra investimenti e risparmi è necessario purché si realizzi l’equilibrio tra domanda ed offerta aggregata. Dove 𝐴𝐷 = 𝐶 + 𝐼 + 𝐺 𝑆𝑁 = 𝐼 𝑠𝑒 𝑠𝑖 𝑣𝑒𝑟𝑖𝑓𝑖𝑐𝑎 𝑎𝑙𝑙𝑜𝑟𝑎 è 𝑣𝑒𝑟𝑜 ℎ𝑐 𝑒 𝐴𝐷 = 𝑌 dove Y è il reddito prodotto mentre AD è la spesa, domanda aggregata è uguale al PIL di lungo periodo e quindi implica che   Se 𝑆𝑁 > 𝐼 allora 𝐴𝐷 < 𝑌 eccesso di offerta aggregata 𝑆𝑒 𝑆𝑁 < 𝐼 𝑎𝑙𝑙𝑜𝑟𝑎 𝐴𝐷 > 𝑌 eccesso della domanda aggregata sull’offerta della produzione Il modello garantisce che quest’uguaglianza è garantita. Cosa rende il risparmio desiderato netto uguale agli investimenti desiderati —> Il tasso d’interesse Meccanismo basato su un prezzo che mette d’accordo le decisioni di risparmio e di investimento.   L’identità contabile è garantita dal modo di contabilizzazione delle scorte: il prodotto non venduto rientra negli investimenti e quindi nella spesa. Le scorte sono solo 𝑌 − 𝐴𝐷 La variazione del tasso d’interesse concilia la quantità di risparmio desiderata con quella d’investimento. Il risparmio —> offerta di fondi L’investimento —> domanda di fondi Ipotesi che il mercato finanziario sia perfettamente concorrenziale nel senso che sia investitori sia risparmiatori prendono il tasso d’interesse come un dato. Quindi il tasso di interesse reale consentirà di equilibrare risparmi ed investimenti 3. Il risparmio   Il comportamento di un risparmiatore tende a cercare di massimizzare la propria utilità utilizzando il vincolo di bilancio. Risparmio —> impiego del reddito diverso dal consumo. Si ha quindi una scelta tra consumo presente e consumo futuro.   Il consumo di oggi è 𝐶0 = 𝑌0 − 𝑆 𝑚𝑒𝑛𝑡𝑟𝑒 𝑖𝑙 𝑐𝑜𝑛𝑠𝑢𝑚𝑜 𝑑𝑖 𝑑𝑜𝑚𝑎𝑛𝑖 è 𝐶1 = 𝑌1 + 𝑆(1 + 𝑟) ipotizzando che i prezzi rimangano costanti nel tempo.   Se sostituisco ottengo il vincolo di bilancio intertemporale: 𝐶1 = 𝑌1 + [(1 + 𝑟)(𝑌0 − 𝐶0)] 41 Il prezzo del consumo futuro è 1 mentre del consumo di oggi è (1+r). Il vincolo di bilancio rappresenta il trade off tra consumo presente e consumo futuro. La scelta del paniere ottimo sarà il punto di tangenza tra il vincolo di bilancio e le curve d’indifferenza. Il vincolo di bilancio si sposta nel tempo al variare del tasso di interesse, deve però comunque passare dal paniere di dotazione iniziale che è sempre raggiungibile indipendentemente da r perché si spende tutto il reddito sia di oggi sia di domani senza rinviare consumo dall’oggi al domani e senza prendere a presto risorse oggi. Il tasso d’interesse: prezzo richiesto per rinunciare a consumare oggi per farlo domani.   ·      Effetti di sostituzione: dovuto al prezzo (r) che rende più conveniente il consumo domani ·      Effetto di reddito: se r aumenta il mio reddito pure. Vanno nella stessa direzione. All’aumentare del tasso di interesse 𝑟 il risparmio aumenta.   Il risparmio è una funzione del tasso d’interesse, dei redditi e di un parametro 𝝆 che indica la preferenza temporale ovvero tra consumo presente e consumo futuro (variabile soggettiva) è il SMS (dice a quanto consumo di oggi sono disposto a rinunciare per avere consumo futuro). 𝑟 è invece una variabile oggettiva è il prezzo (dice quanto si ottiene di consumo futuro se non si consuma un’unità oggi, lo dice il mercato)   𝑆 = 𝑆(𝑟, 𝑌, 𝜌) dove la funzione risparmio dipende positivamente dal tasso di interesse e dal reddito e negativamente dalla preferenza temporale. 42 per r ottengo che Il tasso d’interesse è il meccanismo equilibratore tra risparmio ed investimento nel lungo periodo. Sostituendo si ottiene poi i livelli di risparmio e investimento   • Se il reddito aumenta  l’impatto sul tasso di interesse è positivo in quanto aumenta 𝑆 ̅ • Ruolo di 𝐷 ̅  mette in luce un ruolo particolare dello stato diverso da quello del breve periodo. ∆𝐷 > 0  ⇒ −∆𝑆𝑁 = −∆𝐼 Un aumento del deficit genera spiazzamento. Deve prendere a prestito più soldi ed entra in competizione con i soggetti privati quindi aumenterà il tasso di interesse  aumenta l’ offerta di fondi ma diminuir à la domanda di fondi da parte delle imprese private. Aumento deficit  si sposta a sinistra S e il nuovo punto di equilibrio avrà un tasso di interesse maggiore con un 𝑆𝑁 𝑒 𝐼 inferiori. —> guardare libro Lo spiazzamento non avviene secondo keynes che dice che un aumento di deficit provoca un aumento di reddito e che quindi la retta potrebbe spostarsi verso destra invece che verso sinistra. CAPITOLO 8 - L’INFLAZIONE E I SUOI COSTI (Stabilità dei prezzi è intesa come obiettivo di un tasso di inflazione del 2% che dopo 20 anni porterà ad una diminuzione del potere d’acquisto del 32% se le retribuzione ed i salari monetari rimangono costanti. Esistono diversi tassi di inflazione in base alla componente osservata e che l’inflazione generale è influenzata dai beni energetici che presentano un’elevata volatilità. Si tende quindi a guardare la core inflaction che è depurata dai beni energetici.) Il tasso di inflazione è legato alla quantità della moneta che porta conseguenze sulla produttività e sui salari. 45   Nel lungo periodo le variazioni del livello dei prezzi sono spiegabili interamente con le variazioni della domanda aggregata partendo da: 𝐸𝑞𝑢𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑞𝑢𝑎𝑛𝑡𝑖𝑡𝑎𝑡𝑖𝑣𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑚𝑜𝑛𝑒𝑡𝑎: 𝑚 + 𝑣 = 𝑝 + 𝑦 —> 𝑝 = 𝑚 + 𝑣 − 𝑦 se viene ritardata di un periodo vale anche per il periodo precedente 𝑝−1 = 𝑣−1 + 𝑚−1 − 𝑦−1 Sottraendole ottengo che 𝑝 − 𝑝−1 = (𝑚 − 𝑚−1) + (𝑣 − 𝑣−1) − (𝑦 − 𝑦−1) dove nel lungo periodo il secondo e terzo membro valgono in quanto il PIL mantiene il suo livello potenziale e quindi: 𝑝 − 𝑝−1 = 𝑚 − 𝑚−1  in variazione percentuale si ha che 𝜋 = 𝑀^   Immaginiamo che il PIL cresce lungo il suo trend e abbandoniamo un lungo periodo statico e considerando un PIL che evolve nel tempo sempre comunque mantenendo l’equilibrio. Avremo quindi 𝜋 = 𝑀^ − 𝑌^ se 𝑌^ = 𝑌^𝐿 ·       𝑀^ > 𝑌^ 𝑎𝑙𝑙𝑜𝑟𝑎 𝜋 > 0 ·       𝑀^ = 𝑌^ 𝑎𝑙𝑙𝑜𝑟𝑎 𝜋 = 0 ·       𝑀^ < 𝑌^ 𝑎𝑙𝑙𝑜𝑟𝑎 𝜋 < 0 Figura 8.2 La funzione di produzione 𝑌 = Θ ∙ 𝑁 dove 𝑁 = (1 − 𝑢)𝐿 = 𝝃 𝐿 Quindi —> 𝑌^ = Θ^ + 𝑁^ = Θ^ + 𝜉^ + 𝐿^ se l’occupazione nel lungo periodo è costante Esso è la somma del tasso di crescita della produttività del lavoro, più il tasso di crescita della forza lavoro, più la variazione del tasso di occupazione. allora —> 𝑌^ = Θ^ e di conseguenza 𝜋 = 𝑀^ − 𝑌^ = 𝑀^ − Θ^ Quindi solo se la crescita della produttività e quindi del PIL è pari a 0 allora la variazione dei prezzi è uguale alla variazione della quantità di moneta altrimenti è influenzata dalla produttività e nel breve anche dall’occupazione —> 𝝃 = (1-u) 3. Costi dell’inflazione Si sono verificati episodi di iper inflazione che hanno caratterizzato alcuni paesi europei nel periodo tra gli anni 20 e gli anni 40, tutti caratterizzati dalla contemporanea presenza di disavanzi pubblici molto elevati finanziati attraverso l'emissione di moneta. Lo shoe-leather effect —> costo del consumo della suola delle proprie scarpe dovuto alla necessità di approvvigionarsi più frequentemente di contanti. I problemi più rilevanti riguardano i contratti finanziari, questi sono in genere definiti in termini puramente nominali dunque non sono cioè indicizzati all'inflazione. L'inflazione favorisce debitori, che si trovano a dover restituire un capitale svalutato da pagare e tassi di interesse reali più bassi di quelli implicitamente fissati al momento della sottoscrizione del contratto di prestito. La deflazione, al contrario, favorisce i creditori aumentando il valore reale degli interessi del capitale quando verrà restituito. L'inflazione avrà effetti redistributivi rilevanti tra creditore debitore con potenziali conseguenze macroeconomiche se questi soggetti diversi sono di nomerosità sta 46 differente e hanno diverse abitudini di spesa, per cui le riduzioni domanda provocata le parte degli uni non siano compensati degli aumenti di domanda favoriti dai guadagni degli altri. Non solo i contratti finanziari non sono indicizzati all’inflazione, non lo sono anche le aliquote delle imposte. Esse sono percentuali del reddito nominale e sono progressive. Se i salari nominali crescono quanto i prezzi, i redditi nominali aumentano e saranno tassati con aliquote superiori. In realtà però quei più elevati redditi nominali corrispondono a redditi reali invariati. Grazie all'inflazione un reddito reale invariato subirà una tassazione maggiore, con conseguente riduzione del reddito reale disponibile. Questo fenomeno è riconosciuto come fiscal drag.   Dunque a fronte di un reddito indicizzato si realizza un reddito disponibile inferiore al precedente, la causa non è l’inflazione in quanto il reddito è indicizzato ma a livello di reddito disponibile il sistema delle imposte è rimasto uguale senza tenere conto dell’inflazione.   Se il tasso d’inflazione è minore l’effetto di perdita di valore del reddito disponibile è minore, infatti oggi non viene fatto per livelli di inflazione bassi, mentre negli anni 80 si rivedevano spesso gli scaglioni Domanda di inflazione da parte dello stato: incassa di più e sottrae potere di acquisto, non vuole proporre indicizzazioni.   Lo stato attraverso l’inflazione riesce a drenare potere d’acquisto. Per mantenere costante il potere d’acquisto anche gli scaglioni dovrebbero essere indicizzati (modo di eliminare il fiscal drag) In caso di drenaggio fiscale —> variazioni moneta e dei prezzi genera drenaggio fiscale e quindi i valori reali non sono più uguali —> viene meno la neutralità della moneta. Si tratta quindi della rigidità delle imposte. Lo stato può inoltre ottenere incassi fiscali dall’inflazione: (Nel passato i signori che battevano moneta limavano le monete di metallo prezioso e ricavavano l’oro per fare altre monete però le monete avevano meno oro e quindi meno potere). L’operazione di riduzione del valore della moneta prende il nome di signoraggio perché il sovrano che limava la moneta era per tenersi potere d’acquisto. Il signoraggio esiste ancora oggi, la moneta viene creata dalla banca centrale accreditando i conti di riserva delle banche presso sé stessa. Il signoraggio è ancora possibile in quanto ogni volta che aumenta 𝑀 ed i prezzi lo stato si sta regalando il potere di acquisto. La crescita di quantità di moneta provoca inflazione e l’inflazione riducendo il potere d’acquisto della moneta può essere considerata come un’imposta sui saldi monetari reali dove l’aliquota dell’imposizione è il tasso d’inflazione.   Se vale la teoria quantitativa   Poi se si rapporta 𝑇𝜋/𝑃 si ottiene il potere di acquisto sottratto dallo stato. 47 CAPITOLO 10 - REDDITO, SPESA E POLITICHE DI BILANCIO Difficile spiegare le cause delle fluttuazioni, teoria controversa.   L’analisi di lungo periodo è basata sulla dicotomia classica: separazione delle variabili in variabili reali (quantità di beni che posso comprare con quella somma di denaro, unità di misura: i beni) e variabili nominali (misurate in termini di unità di moneta) e sulla neutralità della moneta  Variazione dell’offerta di moneta influenza solo le variabili nominali quali i prezzi. Economisti keynesiani si distaccano dall’economia classica e si ritiene che l’offerta di moneta abbia impatto anche nel breve periodo (1 anno). Non si parla più di neutralità.   Nel breve periodo le variabili nominali e reali sono strettamente connesse, la domanda aggregata diventa il primo anello della catena. Le variazioni di moneta allontana il PIL reale dal PIL di trend.   È necessario un nuovo modello, bisogna abbandonare la dicotomia classica e la neutralità della moneta. L’analisi delle variabili nominali e reali interagiscono tra loro.   Nel breve periodo i prezzi e salari monetari sono fissi e le imprese reagiscono al cambiamento della domanda aggregata. Shock dovuti a politiche monetarie e fiscali, volere delle istituzioni. Le imprese reagiscono al cambiamento della domanda aggregata: • Variare la quantità prodotta ∆𝑦 • Varia il numero di occupati ∆𝑛 Nel lungo periodo prezzi e salari invece si aggiustavano completamente. Keynes dimostra che manovrando la domanda aggregata era possibile: • Contrastare gli shock negativi senza aspettare il lento riaggiustamento dei prezzi e salari • La politica economica si sostituisce ai meccanismi del mercato per evitare recessioni troppo lunghe Le nostre assunzioni: • Economia chiusa • Trascuriamo fattori monetari N.B. differenza tra variabili endogene (dipendono dal reddito) ed esogene (indipendenti dal reddito)   50 Ipotesi di concorrenza imperfetta dove le imprese hanno potere di mercato AS sempre orizzontale in quanto i salari monetari e prezzi sono rigidi ed a prescindere dalla variazione dell’output il prezzo è quello. La curva di domanda di lavoro in concorrenza imperfetta dipende dalla produttività marginale che è una costante 𝜃 , w = w̅ e il potere di mercato costante 𝜇 w − 𝑝 = 𝜃 − 𝜇 espressa in funzione del prezzo si avrà 𝑝 = w̅ − 𝜃 + 𝝁 Quindi i prezzi sono costanti indipendentemente dall’occupazione e dal PIL I salari monetari sono costanti nel breve periodo perché: • I sindacati contrattano i salari monetari con un processo lungo e costoso e non influenza il breve periodo. I contratti hanno una validità per un intervallo di tempo non breve. Solo al termine del periodo i salari monetari potranno essere aggiustati • Esistono ragioni per cui le imprese possono trovare conveniente mantenere i prezzi costanti nel breve periodo, variare i prezzi ha un costo perché si deve stampare e mettere in rete nuovi e lunghi listini da portare a conoscenza dei consumatori. Quindi se un buon numero di imprese non li varia allora anche le altre non sono indotte ad aggiustarli. Se solo una varia in aumento rischia di perde quote di mercato.   Se il mercato è perfettamente concorrenziale non si porrebbe neanche la scelta tra aggiustamento e non aggiustamento dei prezzi in quanto vengono decisi dal mercato senza che le imprese li possano mai fissare. Breve periodo 𝑠𝑒 𝑦𝐵 < 𝑦𝐿 𝑎𝑙𝑙𝑜𝑟𝑎 𝑛𝐵 < 𝑛𝐿 ; la differenza tra 𝑦𝐵 𝑒 𝑦𝐿 è l’output gap, avremo output gap positivo se l’equilibrio di breve periodo si trova alla destra dell’equilibrio di lungo, altrimenti output gap negativo se si trova a sinistra. L’equilibrio di lungo periodo si può raggiungere: • Facendo scendere l’AS: diminuendo i salari w̅ ↓ e di conseguenza si raggiungerebbe il PIL di lungo periodo con un prezzo inferiore 𝑝 ↓ e la moneta acquista potere di acquisto 𝑃 𝖳 e 𝐴𝐷 𝖳 questa strada non è consigliabile perché quando si riducono i salari monetari e non si accompagna con una simultanea riduzione del livello dei prezzi (tentativo delle imprese di accrescere i propri margini di profitto) allora non avrò l’aumento del potere della moneta e dell’AD ma una riduzione dell’AD perché i lavoratori sarebbero costretti a ridurre la propria spesa per consumi  si creano scorte indesiderate e si potrebbe ridurre la produzione e non i prezzi finendo in una lunga e profonda recessione (AD ferma e ci si sposta sulla AD) • Aumentare la AD: espansione della domanda aggregata può essere pienamente efficace nel breve periodo (leva diretta per aumentare il PIL) considerando i prezzi costanti. Per avere l’AD verso destra bisogna aumentare 𝑚 l’aumento di liquidità in circolazione aumenta il livello di reddito. Una politica monetaria (influenza m) oppure con una politica di bilancio espansiva (Si sposta la AD) 51 3. Funzione del consumo e moltiplicatore   La domanda (AD) si divide tra:   • CONSUMO di beni e servizi acquistati dai consumatori (gruppo d’interesse) come cibo, biglietti d’aereo, vacanze, automobili nuove. È la componente più importante • INVESTIMENTO detto anche investimento fisso per distinguerlo dalle scorte di magazzino. Si distingue tra investimento non residenziale (impianti e macchinari comprati dalle imprese) e investimento residenziale (acquisto di nuove case o appartamenti da parte degli individui). I due tipi di investimento e le decisioni che li motivano sono più simili di quanto non si pensi perché le imprese comprano impianti e macchinari perché pensano al futuro e produrre di più nel futuro così come le persone quando comprano le case lo fanno per ottenere più servizi abitativi nel futuro. In entrambi i casi la decisione di acquistare dipende dai servizi che questi beni daranno in futuro.  L’analisi di breve si basa su 3 ipotesi:   1. Le imprese producono tutte lo stesso bene e può essere usato indifferentemente come bene di consumo da parte dei consumatori sia come bene di investimento da parte delle imprese  permette di poter analizzare 1 solo mercato e non tutti i mercati dei singoli beni. Noi vogliamo sapere la domanda e l’offerta del mercato e non la differenziazione dell’offerta 2. Le imprese sono disposte a fornire qualsiasi quantità ad un dato prezzo. Focus nel ruolo della domanda nella determinazione della produzione aggregata (solo nel breve) 3. Economia chiusa e le decisioni dipendono da molti fattori: • Reddito disponibile: reddito dopo aver ricevuto i trasferimenti dal governo ed aver pagato le imposte. Se aumenta le persone consumeranno di più • Parametri: §  𝑐 = effetto sul consumo aggregato di un euro aggiuntivo di reddito disponibile. Ci sono 2 restrizioni naturali: ·   𝑐 > 0  Un aumento del reddito disponibile fa aumentare il consumo ·   𝑐 < 1  Gli individui vogliono consumare una parte del loro incremento di reddito e risparmiare il resto. §  𝐶 ̅ = rappresenta il consumo desiderato in corrispondenza di un reddito disponibile nullo. Restrizioni naturali: Se il reddito disponibile corrente è 0 il consumo sarebbe comunque positivo con o senza reddito, le persone dovranno pur mangiare. 𝐶 ̅ > 0 com’è possibile consumare con reddito nullo? Con un prestito oppure attingendo ai risparmi. La funzione del consumo è 𝐶 = ?̅? + 𝑐𝑌 dove l’inclinazione è 𝑐 Nei modelli economici troviamo 2 tipi di variabili: endogene (le variabili del modello che sono spiegate all’interno del modello stesso) ed esogene (indicate con una barra sopra, non sono spiegate all’interno del modello stesso) 52 Dato un certo moltiplicatore 𝑚 maggiore è la produttività del lavoro tanto più basso sarà il moltiplicatore dell’occupazione  perché una produttività del lavoro alta consente di raggiungere un certo PIL reale occupando un numero inferiore di lavoratori rispetto a quanti se ne impiegherebbero con produttività minore.   ANALISI DI BREVE: modello “REDDITO – SPESA”   ·       Moltiplicatore del reddito e dell’occupazioni sono indipendenti dal potere di mercato delle imprese, perché dipende da una uniforme propensione al consumo, ma la propensione a consumare dei percettori di redditi da lavoro (salari) è maggiore di percettori dei redditi da profitti/ capitale  il potere di mercato delle imprese influenza negativamente il moltiplicatore 𝜇 𝖳 𝑒 ↓𝑚 ·       Antitrust deve regolare i mercati per contenere i mark up e facilitare i processi moltiplicativi, più concorrenzialità porta ad una maggiore efficacia delle politiche espansive   È possibile studiare l’effetto di una variazione dell’investimento autonomo ?̅? sul consumo aggregato 𝐶   Il potere di mercato non ha influenza sul moltiplicatore nel breve periodo soltanto se la propensione al consumo sia uniforme Qualora sia diversa la propensione al consumo (maggiore per i percettori di stipendi rispetto a quello dei percettori di profitti) il potere di mercato influenza negativamente il moltiplicatore.   3.2 Paradosso della parsimonia   Condizione di equilibrio macroeconomico: 𝑟𝑒𝑑𝑑𝑖𝑡𝑜 = 𝑠𝑝𝑒𝑠𝑎 (𝑌 = 𝐴𝐷), 𝑟𝑖𝑠𝑝𝑎𝑟𝑚𝑖𝑜 = 𝑖𝑛𝑣𝑒𝑠𝑡𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 (𝑆 = 𝐼). Partendo da 𝑌 = 1 / 1 -c∙  (?̅? + 𝐼)   Sostituisco nella funzione del risparmio la funzione del consumo   𝑆 = 𝑌 − 𝐶 = 𝑌 − ?̅? − 𝑐𝑌 = −𝐶 ̅ + (1 − 𝑐)𝑌 55 𝐼 ̅ = −?̅? + (1 − 𝑐)𝑌    ⇔    𝑆 = −𝐶 ̅ + (1 − 𝑐)𝑌 • La funzione di risparmio ha intercetta verticale negativa −𝐶 ̅ • Quando si realizza l’equilibrio 𝑌 = 𝐴𝐷, allora dato 𝐴𝐷 = 𝐶 ̅ + ?̅? + 𝑐𝑌 si realizza anche l’uguaglianza tra 𝑆 = 𝐼 in corrispondenza del PIL di equilibrio 𝑌𝐸 • La funzione del risparmio interseca l’asse delle ascisse nel punto di intersezione tra la retta a 45° e la retta del consumo Y = C allora S = 0 • Il valore di equilibrio di 𝑌 𝑜𝑣𝑣𝑒𝑟𝑜 𝑌𝐸 per il quale si realizza l’equilibrio 𝐴𝐷 = 𝑌 è lo stesso per il quale si realizza 𝑆 = 𝐼 Cosa succede al risparmio di equilibrio se le famiglie cercano di risparmiare di più? Se le famiglie risparmiano di più allora 𝑠 𝖳  allora 𝑐 ↓  diminuisce il valore del reddito d’equilibrio 𝑌 ↓ 𝑆 = −𝐶 ̅ + (1 − 𝑐)𝑌  1 − 𝑐 aumenta (EFFETTO DIRETTO), 𝑌 diminuisce (EFFETTO INDIRETTO)  il paradosso del risparmio ci fa chiedere quale effetto prevale. Pur cambiando il comportamento della propensione al risparmio il risparmio complessivo può aumentare, rimanere uguale o diminuire.   L’ampliamento della propensione al risparmio comporta una riduzione del reddito a causa della riduzione della domanda  nonostante aumenti la propensione al risparmio non aumenta il risparmio aggregato   𝑆 = −?̅? + 𝑠𝑌  𝑆 = −?̅? + 𝐴 = 𝐼 Se gli investimenti sono dati a un certo livello per quanto le famiglie possano desiderare di risparmiare di più il loro risparmio aggregato non cresce.   Ruolo del risparmio nel breve è diverso dal ruolo nel lunghissimo periodo: 𝑠 𝖳 𝐼 𝖳 𝑃𝐼𝐿 𝑑𝑖 𝑒q𝑢𝑖𝑙𝑖𝑏𝑟𝑖𝑜 𝖳   Il paradosso della parsimonia è stato utilizzato dai primi economisti Keynesiani come argomento per contrastare le raccomandazioni degli economisti classici che nei primi anni della grande depressione, raccomandavano di risparmiare di più.   Un’ipotesi cruciale per l’analisi di breve è che: il consumo dipende dal reddito corrente (altrimenti il moltiplicatore non esiste) i consumatori non riescono a fare il consumption smoothing ma si indebiteranno o daranno a prestito in modo da 56 mantenere costante la spesa per consumi a livello preferito che corrisponde al reddito di lungo periodo. Quando si realizza il consumption smoothing: il consumo e gli investimenti sono proporzioni costanti del reddito lungo periodo e sono quindi esogeni nel breve dato che il reddito di lungo periodo è esogeno (somma di tutti i redditi della vita) 𝐶 = ?̅? ∙ 𝑌𝐿 ; 𝐼 = ?̅? ∙ 𝑌𝐿 la condizione di equilibrio sarebbe 𝑌 = 𝐴𝐷 𝑜𝑣𝑣𝑒𝑟𝑜 (𝐶 + 𝐼)  𝑌 = (?̅? + ?̅?)𝑌𝐿 𝑌 / 𝑌𝐿 = (𝑐 ̅ + ?̅?) Se 𝑐 ̅ + ?̅? = 1  lo scostamento del reddito corrente dal quello di lungo periodo sarebbe nullo.   L’output gap: 𝑌˜ = Y - YL / YL = ?̅? + ?̅? − 1 quindi solo uno shock esogeno alla domanda aggregata rende possibile un output gap diverso da 0 𝑌˜ ≠ 0 Comunque è assente qualsiasi effetto del moltiplicatore. Lo shock che fa crescere la domanda aggregata farà aumentare i risparmi ma non i consumi Nella realtà invece: Se ?̅? + ?̅? = 1 —> 𝑌˜ = 0 ma vi è la presenza comunque di 1/1−𝑐 che amplifica lo shock in caso di shock esogeno della domanda.   Se togliamo l’ipotesi che il consumo dipenda dal reddito corrente allora non ci sarebbe il meccanismo del moltiplicatore   “Reddito permanente: soggetto razionale considera tutti i redditi che si percepiranno nella vita, si dividono i redditi per ogni anno e spalmo il consumo in maniera costante negli anni.”   4. Politiche di bilancio  La pressione fiscale complessiva: t = T / y assumo sia costante • I nuovi membri dell’UE  una pressione fiscale inferiore • Paesi scandinavi  pressione fiscale elevata ma accettata perché la qualità dei servizi pubblici è alta e vi è ampia protezione sociale 57 I trasferimenti rientrano nel reddito disponibile  𝑌𝐷 = 𝑌 − 𝑇 + 𝑇𝑅 𝐶 = 𝑐(𝑌 − 𝑇 + 𝑇𝑅) I trasferimenti hanno un impatto moltiplicativo inferiore rispetto alla spesa pubblica perché un aumento della spesa produce nel primo round del circolo virtuoso un aumento di pari entità mentre solo la frazione 𝑐 dei maggiori trasferimenti si traduce in domanda addizionale.   4.2 Deficit di bilancio, spesa pubblica e altri “stabilizzatori automatici”   Il disavanzo di bilancio è: 𝐷 = 𝐺 + 𝑇𝑅 − 𝑇 = 𝐺 + 𝑇𝑅 − 𝑡𝑌   La spesa pubblica influisce sul disavanzo sia direttamente sia indirettamente attraverso Y. Un aumento di spesa pubblica mi fa aumentare immediatamente il disavanzo (EFFETTO DIRETTO), ma un aumento della spesa pubblica 𝐺 𝖳 → 𝑌 𝖳 → 𝑇 𝖳 potrebbe ridurre il disavanzo (EFFETTO INDIRETTO). Caso limite t = 1 allora derivata di D per G = 0 —> maggiore è la aliquota fiscale di tassazione minore è l’aggravio sul deficit prodotto da un aumento di spesa pubblica. 60 Se i trasferimenti dipendono dal livello di reddito (sussidi di disoccupazione). 𝑇𝑅 𝑎𝑙𝑡𝑖 𝑞𝑢𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑌𝑖 è 𝑏𝑎𝑠𝑠𝑎   I trasferimenti hanno effetti simili al prelievo fiscale e sono stabilizzatori automatici.   Moltiplicatore è minore in presenza di endogeneità dei trasferimenti. È maggiore quello senza endogeneità dei trasferimenti: quando aumenta qualsiasi variabile esogena sia spesa pubblica o investimento, la presenza di tassazione o trasferimenti fa sì che l’unità in più viene tassata o trasferita. L’aumento del reddito viene frenato dal prelievo o dai minori trasferimenti.   Sussidi di disoccupazione è uno stabilizzatore automatico anche per il disavanzo pubblico. 61 CAPITOLO 11 - IL RUOLO DELLA MONETA E DEL TASSO DI INTERESSE Curva IS (INVESTMENT - SAVING) ci permette di porre in relazione di equilibrio la variabile del reddito e la variabile del tasso di interesse reale 𝑌 𝑒 𝑟. La banca centrale operando sul tasso di interesse nominale e quindi su quello reale, in quanto il tasso di inflazione è nullo con i prezzi fissi, può ottenere qualsiasi livello di PIL reale compreso quello coincidente con l’equilibrio di lungo periodo.   Il modo in cui la banca centrale ottiene che il tasso di interesse si collochi al livello prescelto è attraverso la variazione dell’offerta di moneta. Offre moneta comprando titoli aumentando il prezzo e facendo scendere il tasso di interesse  politica espansiva 2. La IS e il mercato dei beni Finora l’investimento è esogeno. Ora ci avviciniamo alla realtà  l’investimento è funzione del tasso di interesse reale, quindi la componente A stessa dipende da 𝑟. È possibile determinare un valore di equilibrio sul mercato dei beni di 𝑌 per ogni dato valore di 𝑟. Per ogni valore di 𝑟 è possibile individuare un valore di PIL compatibile con l’equilibrio sul mercato dei beni o con l’uguaglianza tra risparmi e investimento. La curva IS rappresenta la relazione tra 𝑌 e 𝑟 Prezzi sono fissi e quindi 𝜋𝑒 = 0  𝑖 = 𝑟 Funzione dell’investimento: 𝐼 = ?̅? − 𝑞𝑟 ̅̅𝐼 = componente autonoma degli investimenti che si realizzano indipendentemente dal tasso di interesse, rappresenta le aspettative che le imprese hanno di vendere le merci da loro prodotte. Tanto sono più ottimistiche le aspettative e maggiore sarà la componente autonoma.   •𝑆 = 𝐼 + (𝐺 − 𝑇) •𝐶 = 𝑐𝑌𝐷 •𝑌𝐷 = 𝑌 − 𝑇 •𝑇 = 𝑡𝑌 •𝐼 = ?̅? − 𝑞𝑟 •𝐺 = ?̅? 62 𝑟𝐿 < 0 si raggiunge il reddito di lungo periodo. (In Italia dal 1973 e 1981 c’era alta inflazione e 𝑖 − 𝜋𝑒 = 𝑟𝑒 < 0 ) Estremamente improbabile che se l’economia è in recessione 𝑌𝐵 < 𝑌𝐿 a causa di una AD debole e IS è a sinistra rispetto al reddito di lungo vi sia inflazione (+ probabile si aspettino deflazione). Dato che il tasso di interesse nominale non può scendere sotto 0 (nessuno può essere costretto a pagare interesse per aspettare denaro) Interesse non può essere troppo negativo altrimenti le persone ritirerebbero tutta la liquidità dalle banche e terrebbero solo contanti.   In questo caso la politica monetaria consistente nel seguire regole di tasso è inefficace in quanto non si può portare 𝑟 negativo e di solito in recessione non c’è inflazione.   1.  Offrire più liquidità non fa scendere il tasso di interesse nominale e reale  unico modo è la politica di bilancio espansiva per raggiungere 𝑌𝐵 = 𝑌𝐿 (TRAPPOLA DELLA LIQUIDITA’)   Una riduzione del disavanzo pubblico ha effetti fortemente restrittivi che non potranno essere compensati da una politica monetaria espansiva a questi tassi di interesse.   Quindi l’austerity fiscale che si proponeva nel 2010 ha avuto effetti depressivi sul PIL reale. 2.  IS verticale: gli investimenti non sono sensibili alla variazione del tasso d’interesse  per qualsiasi livello di tasso di interesse, il reddito non ne è influenzato 𝑌 = 𝑚𝑔 ∙ 𝐴 ̅ . Qualsiasi riduzione del tasso di interesse non è in grado di riportare il reddito da 𝑌𝐵 𝑎 𝑌𝐿  Politica monetaria inefficace. Può esserci solo una politica di bilancio che è perfettamente in grado aumentando 𝐺 o diminuendo le tasse si avrà uno spostamento verso destra la IS.   4. Il mercato della moneta La banca centrale riesce a controllare il tasso di interesse nominale overnight (brevissimo termine) tramite le operazioni di mercato aperto o con le operazioni marginali con cui si fa variare la base monetaria. ∆𝐵𝑎𝑠𝑒 𝑚𝑜𝑛𝑒𝑡𝑎𝑟𝑖𝑎: riserve delle banche ordinarie presso la banca centrale. Le banche ordinarie possono: tenere la loro moneta in riserva presso la banca centrale (obbligatorie e facoltative) oppure prestare le risorse in eccedenza sul mercato interbancario overnight. Se la banca centrale annuncia di essere disposta a prestare qualsiasi ammontare ad un certo tasso:  • Nessuna banca ordinaria sarà disposta a prendere a prestito ad un tasso maggiore (risulterebbe più conveniente prendere dalla banca centrale) • Nessuna banca ordinaria riuscirebbe a prestare ad un tasso inferiore (altrimenti rimarrebbe priva di liquidità ed aumenterebbe il tasso per far fronte alle richieste di tutte le altre banche) poi depositerebbero presso la banca centrale per lucrare sul differenziale   Problema  come il controllo del tasso overnight può trasformarsi nel controllo del tasso reale a medio lungo termine. 65 Nominale = reale nel breve data l’inflazione attesa nulla  il controllo del tasso nominale eguaglia il tasso reale.   La struttura per scadenza dei tassi di interesse è costruita tramite le relazioni tra i tassi a breve e a lungo, che esistono affinché non vi siano opportunità di arbitraggio  qualsiasi evento che influisca sui tassi a breve o sulle aspettative dei tassi a breve futuri  influenza anche i tassi nel medio – lungo periodo. Una riduzione del tasso overnight da parte della Banca Centrale riesce a ridurre il tasso a medio – lungo termine tanto più facilmente quanto più gli operatori sui mercati finanziari si aspettino che la decisione di ridurre il tasso a breve non venga invertita rapidamente e quanto più la decisione di oggi segnali la volontà della Banca Centrale di procedere in futuro con ulteriori riduzioni dei tassi. Diminuendo i tassi a breve si abbasserà tutta la curva dei tassi.   Immettendo o drenando liquidità la banca centrale riesce a fissare il tasso a breve e attraverso la curva dei tassi a controllare il tasso a medio lungo termine ci chiediamo cosa assicuri che la moneta offerta sia effettivamente assorbita dalle banche e dagli altri operatori. Quando la banca centrale vuole ridurre il tasso d’interesse compra più titoli sul mercato secondario o rinnova il pronto contro termine per un importo maggiore e aumenteranno i prezzi facendo scendere il tasso. Sulla base della teoria quantitativa si nota che la domanda di moneta è in funzione diretta con il livello dei prezzi e reddito e inversa con la velocità di circolazione. M = PV / V   Se la velocità di circolazione dipende dal tasso d’interesse allora il tasso d’interesse influenza la domanda di moneta e quindi: 𝑀𝐷 = 𝑃𝑌/ 𝑉(𝑖) Tenere moneta nel portafoglio ha dei costi  rinunciare al rendimento che si avrebbe impiegando le risorse in attività redditizie. Il costo opportunità della moneta è rappresentato da questo rendimento che poniamo uguale al tasso di interesse nominale 𝑖 = 𝑟 + 𝜋𝑒 in quanto oltre al rendimento si subisce la perdita di valore della moneta stessa dovuta all’inflazione mentre il rendimento atteso della moneta è – 𝜋𝑒 ·       𝑟 − (−𝜋𝑒) = 𝑖 . Nel breve periodo il costo opportunità è 𝑖 La moneta avrà una circolazione che sarà maggiore al crescere di 𝑟. 𝑀𝐷 = 𝑃𝑌 / 𝑉(𝑟) La velocità sarà crescente al crescere di 𝑟 e dal momento che la domanda di moneta ha una relazione negativa con la velocità  esiste una relazione negativa tra tasso di interesse e domanda di moneta. 𝑀𝐷 = 𝑘𝑌 / ℎ𝑟 Dove 𝑉(𝑟) = ℎ𝑟/k . La curva è un iperbole che si sposta verso l’alto all’aumentare di 𝑌 e all’aumentare di 𝑟 diminuirà la curva.   Secondo la teoria Keynesiana il tasso di interesse è il prezzo della rinuncia alla liquidità ovvero la rinuncia al principale vantaggio della moneta, attività finanziaria + liquida ma che non frutta interessi. 66 Quando si sceglie il portafoglio di attività si rinuncia la moneta nella misura in cui si riceve un interesse soddisfacente dal possesso di attività meno liquide come titoli obbligazionari o azionari.   La preferenza della liquidità è inversamente proporzionale al tasso di interesse.   Affinché esista una certa preferenza per la liquidità è necessario che vi sia incertezza circa il livello futuro del tasso di interesse  bisogna introdurre un elemento di rischio associato alla rinuncia di liquidità. Inoltre l’incertezza sul futuro del tasso d’interesse è la stessa incertezza riguardante l’andamento del prezzo dei titoli. Maggiore è il tasso d’interesse e più bassi saranno i prezzi dei titoli e maggiore sarà il costo opportunità di detenere moneta. • Un tasso di interesse elevato oggi può generare aspettative di ribasso e quindi prezzi di titoli più elevati in futuro  si rafforza la spinta ad acquistare titoli con ottica speculativa • Un tasso di interesse basso oggi può spingere gli speculatori a vendere in attesa che il prezzo si riduca in futuro  vendita di titoli = domanda di moneta oggi La preferenza per la liquidità è dunque connessa strettamente a un movente tipicamente speculativo per detenere moneta.   Modificando il tasso di interesse  si modifica la quantità di moneta   Modificando l’offerta di moneta  la banca centrale crea eccessi di domanda e offerta di moneta che spingeranno in alto o in basso il tasso d’interesse sul mercato interbancario Le variazioni del tasso a breve attraverso la curva dei tassi influenzerà i tassi a più lungo termine.  𝑀 = 𝑘𝑌𝐿 / ℎ𝑟𝐿 L’offerta di moneta è endogena e viene decisa dalla banca centrale al fine di raggiungere 𝑟𝐿 che a sua volta è lo strumento necessario per riportare l’economia al livello del reddito obiettivo.   La derivazione della domanda di moneta   La moneta ha una propria utilità derivante dalla sua liquidità ovvero il potere d’acquisto misurato in termini reali  saldi monetari reali M/𝑃  l’utilità sarà crescente al crescere dei saldi monetari reali e del reddito   Il reddito della famiglia si compone di 2 parti: reddito da lavoro e reddito derivante dalla ricchezza finanziaria ipotizzata in questo modello che frutti un interesse nominale pari a 𝑖, mentre la moneta è infruttifera. Reddito effettivo: differenza tra reddito massimo (dove tutta la ricchezza è detenuta in forma fruttifera) e il mancato rendimento ottenuto dal detenere la ricchezza sotto forma di moneta  rappresenta il vincolo di bilancio  punto di tangenza con la curva d’indifferenza dà la massimizzazione dell’utilità 67 • La price setting (PS) esprime il salario reale che le imprese sono disposte a pagare dati 𝜃 𝑒 𝜇  L’incontro tra le determina l’equilibrio distributivo e la disoccupazione di lungo periodo. Qualora l’equilibrio di breve periodo IS – RT implichi un tasso di occupazione inferiore a 𝑢𝐿  il salario desiderato dai lavoratori sarebbe maggiore di quello che le imprese sono disposte a pagare  CONFLITTO DISTRIBUTIVO  aumento dei prezzi Analisi di Phillips evidenzia una relazione tra variazione dei salari e tasso di disoccupazione espresso in logaritmi e si ottiene una retta negativa.   Ipotizziamo che il mark up delle imprese sia costante 𝝁 ̅ W𝑆: 𝜔𝐵 = ?̅? + 𝛾𝑛 = ?̅? + 𝛾(𝑙 − 𝑢) Si prenda la wage setting del periodo precedente W𝑆−1: 𝜔𝐵 = 𝑏 ̅ + 𝛾𝑛−1 = ?̅? + 𝛾(𝑙 − 𝑢−1) 𝜔𝑏 − 𝜔𝑏 = −𝛾(𝑢 − 𝑢−1)  L’aumento del salario sarà tanto maggiore tanto diminuirà il tasso di disoccupazione rispetto al periodo precedente. Se u = u quindi 𝝎𝐵  = 𝝎𝑃 = 𝝎 quindi si ipotizzare la situazione iniziale è quella di equilibrio di lungo periodo.   La relazione 𝜔𝐵 − 𝜔 = 𝛾(𝑢𝐿 − 𝑢) per passare ai salari monetari occorre semplicemente: w𝐵 − 𝑝 − (w − 𝑝) = 𝛾(𝑢𝐿 − 𝑢) wB − w = 𝛄(uL − u) + (p − p−1) W^ 𝐵 = 𝛾(𝑢𝐿 − 𝑢) + 𝜋 La variazione dei salari monetari non è influenzata solo dalla variazione della disoccupazione ma anche dal tasso di inflazione in quanto in caso di inflazione alta allora il salario monetario deve incorporare l’aumento dei prezzi. I salari nominali vengono contrattati all’inizio del periodo e il tasso di inflazione non è ancora noto. Se si verifica un inflazione più bassa i salari monetari saranno cresciuti di più, occorre inserire quindi 𝜋𝑒 W^B = Xe + 𝛄(uL − u) 70 Si ottiene così una retta con pendenza costante pari a – 𝛾  CURVA DI PHILLIPS   Mette in relazione la variazione dei salari monetari e lo scarto della disoccupazione dal suo livello naturale. L’intercetta verticale è Xe + 𝛄 ∙ uL e ci dice quale sarebbe la variazione dei salari monetari qualora il tasso di disoccupazione fosse nullo. Si ottiene che se 𝑢 = 𝑢𝐿 allora W⌃𝐵 = 𝜋𝑒 , sia se 𝜋𝑒 = 0 allora W⌃𝐵 = 0 mentre per valori di 𝜋𝑒 > 0 , ma sempre 𝑢 = 𝑢𝐿 allora W⌃𝐵 > 0 e avremo una retta verticale chiamata curva di Phillips di lungo periodo  si afferma così la completa indipendenza nel LUNGO PERIODO del tasso di disoccupazione non solo dal livello dei prezzi ma anche dall’inflazione attesa. (Fig 14.2)  In caso Xe > 0 e u G uL si avrebbero rette parallele spostate più in alto al crescere di 𝜋𝑒 mentre in caso di deflazione attesa la curva di Phillips sarà parallela ma più in basso.   Questa descrizione viene da Phelps e Milton Friedman.   La curva di Phillips esprime un trade off espresso dalla pendenza tra variazione dei salari monetari e tasso di occupazione in presenza di diverse curve di Phillips ci sono diversi trade off che peggiorano all’aumentare del tasso di inflazione atteso Avendo un certo tasso di disoccupazione obiettivo 𝑢∗  la pendenza della curva di Phillips mi dice data una certa aspettativa d’inflazione quale tasso di inflazione devo accettare oppure ipotizzare un inflazione obiettivo la curva di Phillips ci dice quanta disoccupazione devo accettare per ottenere quel tasso di inflazione  27. A parità di tasso di disoccupazione il tasso di inflazione effettivo è tanto maggiore quanto maggiore è il tasso di inflazione atteso 28. Se il tasso di disoccupazione è uguale al suo valore naturale il tasso di inflazione è uguale a quello atteso 3. Il NAIRU e il processo inflazionistico   Immaginiamo inizialmente un inflazione uguale a 0, si ottiene un tasso di disoccupazione minore al lungo periodo  inflazione al 5% > di quella attesa . Se il governo lascia stare l’inflazione tornerà a 0. Mentre se vuole mantenere la disoccupazione più bassa di quella di lungo periodo  l’inflazione attesa potrebbe rimanere al 5%  aumenta quindi l’aspettativa di inflazione al 5% e la curva di Phillips è sopra a quella precedente  mantenendo un tasso di disoccupazione come prima l’inflazione sale al 10% e se in futuro si deciderà di mantenere quel livello di occupazione le aspettative di nuovo aumenteranno al 10%  sale la curva di Phillips e si ottiene un inflazione al 15%  se il governo mantiene costanti i propositi di mantenere costanti i propositi occupazionali  accelerazione del processo inflazionistico Vediamo cosa dice la curva di Phillips riguardo al processo inflazionistico?   Supponiamo 𝑢 < 𝑢𝐿  i lavoratori desiderano un salario reale maggiore di quello di equilibrio  l’aumento di salario sarà quindi maggiore dell’inflazione attesa di un importo pari a 𝛾(𝑢𝐿 − 𝑢)  le imprese aumenteranno i prezzi di più dell’inflazione attesa  𝜋 > 𝜋𝑒  una disoccupazione più bassa di quella di lungo periodo impiega allora un inflazione crescente e sempre 𝜋 > 𝜋𝑒 I salari reali percepiti dai lavoratori risultano inferiori a quelli desiderati e su cui si era basata la contrattazione ciò genera una spirale inflazionistica. 71 L’inflazione è costante solo quando si verifica 𝜋 = 𝜋𝑒 mentre per mantenere l’economia ad un tasso di disoccupazione minore di quello di lungo periodo bisogna accettare un inflazione crescente accelerazione inflazionistica   Tasso di disoccupazione di lungo è compatibile con un tasso di inflazione che non accelera.   Mentre il tasso di disoccupazione di lungo non è stimabile  si può stimare il NAIRU  quindi si trova il tasso di disoccupazione compatibile con un inflazione costante  è il tasso di disoccupazione di equilibrio di lungo periodo. Se la curva di Phillips è piatta  non c’è il NAIRU  impatto economico diventa debole Un aumento del sussidio di disoccupazione fa aumentare il NAIRU  sposta verso l’esterno la curva di Phillips  peggioramento di trade off  si parte da tassi di disoccupazioni maggiori La curva di Phillips incontra l’asse delle ascisse per NAIRU maggiori e anche più ripida (per maggiore potere sindacale  maggior inclinazione della WS)  dinamica inflazionistica + accentuata Shock di produttività : diminuzione della produttività  trade off peggiora  spostamento in basso della PS  diminuisce l’occupazione di lungo periodo e aumenta il NAIRU  curva di Phillips si sposta in alto Shock di mark up: diminuzione del mark up  sposta in alto la PS  NAIRU si riduce  curva di Phillips si sposta in basso Il conflitto distributivo mette in moto richieste di aumento dei salari incompatibili con il profitto degli imprenditori  si crea domanda di inflazione  solo l’offerta di inflazione che nasce da una politica monetaria accomodante da parte della banca centrale che permette al processo inflazionistico di andare avanti   L’aumento della disoccupazione è il costo per ridurre l’inflazione e tale costo dipende dalla curva di Phillips. 72 • Si ha quindi uguaglianza tra tasso di inflazione atteso ed effettivo se e solo se il reddito è pari al suo livello naturale. • All’aumentare del tasso di inflazione atteso la curva AS si colloca sempre più in alto • I cambiamenti nei parametri che modificano la posizione della curva di Phillips modificheranno anche la posizione della AS: o   Riduzione del sussidio di disoccupazione  la AS verso il basso a destra o   Riduzione del potere di mercato/aumento potere antitrust/aumento della produttiva  la AS verso il basso a destra o   Riduzione del potere dei sindacati  sposta verso il basso a destra la AS e ridurre la pendenza   Le riforme strutturali permettono di ridurre il NAIRU e di aumentare il PIL potenziale a parità di tasso di inflazione attesa ovvero si migliorare il trade off 5. La IS e le RT nel medio periodo   Nel breve periodo ci sono 2 elementi la IS e la regola di tasso  modello reddito spesa additivo e si rimane lineare  l’offerta aggregata invece è nei logaritmi  La IS può essere formulata come scostamenti dal PIL di lungo periodo Gli shock alla domanda dipendo da politica fiscale e shock sui consumi e investimenti  effetto di spostare la IS   𝐼𝑆  d − 𝛗rt + 𝛈D  rapporto inverso col tasso di interesse • d è l’atteggiamento di politica fiscale  se d = 0 significa che abbiamo il bilancio in pareggio, atteggiamento neutrale di politica fiscale  lo stato non sta né espandendo né restringendo la domanda aggregata  se d > 0 vi è una politica espansiva mentre se d< 0 vi è una politica restrittiva • Á𝐷 : è uno shock esogeno che può colpire la domanda non controllabile da nessuno Nel lungo periodo la IS sarà yL = dL − 𝛗rL è il valore del tasso di interesse nel lungo periodo Il tasso di interesse naturale consente di raggiungere il PIL di lungo periodo compatibilmente con una politica fiscale rappresentata da 𝑑𝐿  𝑦𝐿 = 𝑑𝐿 − 𝜑𝑟𝐿   Se sottraggo ottengo: 𝑦𝑡 − 𝑦𝐿 = (𝑑 − 𝑑𝐿) − 𝜑(𝑟𝑡 − 𝑟𝐿) + 𝜂𝐷 yt − yL = g − 𝛗(rt − rL) + 𝛈D  IS nel medio periodo:  Si mette in relazione output gap con lo shock di politica fiscale (g), con la distanza tra il tasso di interesse reale e il suo livello naturale e la possibilità di uno shock esogeno alla domanda • G è la variazione della politica di bilancio del governo. •𝝋 ci esprime l’elasticità dell’output gap al variare del tasso di interesse Gli shock di politica fiscale o esogeni di domanda privata faranno spostare la IS sul piano a destra se positivi e a sinistra se negativi   INFLATION TARGETING   75 Il tasso di interesse si determina dalla regola di tasso che viene fissata dall’autorità di politica monetaria   Se l’inflazione è maggiore dell’obiettivo si alzano i tassi e viceversa se l’inflazione è minore con limite vicino a zero. Quando i tassi sono a zero la banca centrale segue politiche non convenzionali.   Per ora siamo immersi nel mondo degli anni 80 dove occorreva contenere l’inflazione.   La più semplice delle istruzioni per una banca centrale è seguire la politica di controllo dell’inflazione ed è l’inflation targeting espressa da:  rt = rL + kX(Xt − X∗) •𝜋∗ è l’obiettivo di inflazione basso ma positivo •𝜋𝑡 > 𝜋∗ allora fisserò 𝑟𝑡 > 𝑟𝐿 , mentre se il tasso di inflazione effettivo è uguale all’obbiettivo all’interesse viene mantenuto il asso reale di equilibrio di lungo periodo • Maggiore è k allora maggiore è la volontà ed aggressività della politica monetaria di rimanere vicini all’obbiettivo. Ciò che conta nella variazione del tasso reale e poi nominale è il parametro k che ci dice quanto è avversa all’inflazione la banca centrale  si alzano in maniera significativa i tassi di interesse nominali   Questa regola di inflation targeting  molto stringente che spinge la banca centrale a fare variazioni molto ampie dei tassi Se l’inflazione è maggiore dell’obiettivo la regola di tasso si sposta in alto e viceversa se è minore.   Se si alza il tasso d’interesse  la domanda aggregata diminuirà e attraverso la politica monetaria influenza la domanda aggregata (fa ridurre la AD)  così si contiene l’inflazione  minor pressione inflazionistica per le imprese ad aumentare i prezzi   In un contesto in cui l’inflazione è possibile per controllare la domanda aggregata si possono utilizzare i tassi in modo da centrare l’obiettivo e quei tassi influenza la domanda aggregata e attraverso questo anche l’inflazione   Il tasso di interesse nominale cresce più che proporzionalmente rispetto all’inflation gap 𝑖𝑡 = rL + Xt + kX(Xt − X∗)     LA REGOLA DI TAYLOR   Questa regola comincia a ricevere interesse a partire dagli anni Novanta. Secondo la regola di Taylor la banca centrale non dovrebbe concentrarsi esclusivamente sull’inflaction gap, ma dovrebbe guardare anche all’output gap, quindi preoccuparsi anche degli scostamenti del Pil dal suo livello naturale.   La regola tiene conto del fatto che un’inflazione elevata è un male ma se accompagnata ad un output negativo la BC non deve ridurre troppo la domanda aggregata altrimenti aggraverebbe l’output gap.   La regola è: rt = rL + kX(X − X∗) + ky(yt − yL)   76 Se il tasso di inflazione è maggiore del target la BC deve far salire il tasso di interesse reale e se il Pil scende sotto il suo livello di lungo periodo la BC deve far scendere il tasso reale.   La banca centrale si preoccupa anche delle oscillazioni del PIL, quando il PIL è inferiore all’obiettivo e l’inflazione è maggiore dell’obiettivo  STAGFLAZIONE Se il tasso di inflazione è di un punto superiore al target la banca centrale deve far salire di 𝑘𝜋 punti il tasso di interesse reale e se l’output gap è negativo la banca centrale fa scendere il tasso di interesse reale di 𝑘𝑦 k𝜋 𝑒 k𝑦 rappresentano il grado di reattività della banca centrale rispetto all’inflation gap e all’output gap, se il primo è maggiore significa che la BC è più avversa all’inflazione che all’output gap La regola di TAYLOR è meno aggressiva nei confronti dell’inflazione rispetto all’inflaction targeting in questo contesto  il tasso di interesse reale sarà minore del contesto in cui non si considera il PIL • Se c’è deflazione e recessione  la politica espansiva monetaria è ancora più forte • Se c’è inflazione e crescita  la politica monetaria restrittiva si rafforza La regola di TAYLOR considera sullo stesso piano l’inflazione e le variazioni di PIL   In conclusione si può scegliere tra: 2 regole  una con un obiettivo di sola inflazione (INFLATION TARGETING) mentre l’altra con 2 obiettivi PIL e inflazione (TAYLOR RULE)   Curva di Phillips per l’Italia ora è particolarmente piatta  trade off molto ridotto  si può avere un inflazione bassa con tassi di disoccupazione bassi  curva di Phillips oggetto meno utile Graficamente la regola di Taylor è rappresentabile come una retta crescente nello spazio Per 𝑟 = 𝑟𝐿 si ha 𝜋𝑡 = 𝜋∗ E per 𝑦 = 𝑦𝐿 la TR interseca la IS in corrispondenza della ASL ovvero il Pil di lungo periodo. L’inclinazione della TR è k𝑦 mentre il livello effettivo dell’inflazione e il parametro k𝜋 determina lo spostamento della TR al variare di 𝜋𝑡. Tanto più energica è la reazione a una shock inflazionistico da parte della BC, maggiore sarà lo spostamento a sinistra in alto della TR.   6. Dalle curve IS e RT alla AD La regola di tasso combinata con la IS ci dice qual è il livello di output gap che la BC sceglie in corrispondenza di ogni possibile tasso di inflazione. Occorre quindi mettere in relazione inflation gap con output gap: è una relazione negativa   yt − yL = g − 𝛟kX(Xt − X∗) + 𝛈D Utilizzando la Taylor rule otterremo:   77 Il Pil nel secondo periodo è più alto rispetto al valore del periodo 1 ma inferiore al valore di steady state.   L’inflazione è più bassa che nel periodo 1 perciò più vicina all’obiettivo 𝜋∗, la BC avrà ridotto il tasso di interesse reale e quindi ridotto l’output gap. Ripetendo i calcoli per i periodi successivi si otterranno valori di Pil sempre più vicini a 𝑦𝐿 e del tasso di inflazione sempre più vicini a 𝜋∗ e un tasso di interesse reale che si avvicinerà sempre più a 𝑟𝐿.   Utilizzando invece la regola di TAYLOR si avrebbe avuto una minore perdita di PIL con output gap minori e una maggiore inflazione ed il processo di aggiustamento sarebbe stato più lungo. Mantenendo le stesse ipotesi si otterrebbero le seguenti equazioni:   Ponendo:   Si ottiene:   𝑦1 = 𝑦𝐿 − 𝛽𝑇 ∙ 𝜂𝑆 𝜋1 = 𝜋0 + (1 − 𝛽𝑇) ∙ 𝜂𝑆   Si nota subito che β > βT  la BC è disposta ad accettare un può più di inflazione e scaricare meno lo shock sul PIL creando un minor output gap. Con la regola di Taylor si avrà un più lento ritorno più lento allo steady state.   Qualsiasi regola usi la BC non è in grado di neutralizzare uno shock inflazionistico anche se temporaneo  il rialzo del tasso reale è il prezzo da pagare per stabilizzare l’economia. SHOCK DI DOMANDA NEGATIVO TEMPORANEO Ora analizziamo il caso in cui la banca centrale segue una regola di tasso anti – inflazionistica che reagisce a shock di domanda negativi. La BC impone un prezzo all’economia facendole sopportare un output gap negativo e una riduzione dell’inflazione sotto l’obiettivo che potrebbero essere evitati se la banca centrale neutralizzasse lo shock di domanda. Seguendo la regola di Taylor la BC creerà impatti negativi inferiori ma ha tempi di aggiustamento più lunghi.   Si ipotizza sempre una partenza con l’economia allo steady state e a 𝑡 = 1 , avviene uno shock temporaneo esogeno alla domanda pari a Á𝐷 < 0   Lo shock negativo di domanda ha un impatto negativo sia sul PIL che sull’inflazione ed entrambi vanno di sotto al valore di steady state. La BC non reagisce al formarsi dell’output gap negativo e non riduce sufficientemente il tasso di interesse reale: 𝑟1 = 𝑟𝐿 − 𝛽𝜂𝐷 80 La differenza tra inflazione attesa ed effettiva mette in moto la revisione delle aspettative verso il basso e la AS si sposterà verso destra  essendo lo shock temporaneo la curva AD tornerà nella posizione iniziale. 𝑦2 = 𝑦𝐿 + 𝛽(1 − 𝛽)𝜂𝐷 𝜋2 = 𝜋0 − (1 − 𝛽)2𝜂𝐷 Il punto di equilibrio in 𝑡 = 2 creerà un output gap positivo e con un’inflazione maggiore del periodo 1 e maggiore di quella attesa  aspettative riviste verso l’alto che fanno spostare a sinistra la AS e così via fino a convergere nuovamente allo steady state con l’output gap positivo che andrà a ridursi e l’inflazione che aumenterà fino all’obiettivo  di conseguenza anche il tasso di interesse tornerà al livello di lungo periodo.   Applicando invece la regola di Taylor si nota che vi è un minor impatto dello shock sul PIL e un processo di aggiustamento più lungo:     Essendo 𝛼𝑇 < 𝛽 si nota che a parità di shock di domanda 𝜂𝐷 , la TR è più stabilizzante rispetto alla regola semplice.   𝑦2 = 𝑦𝐿 + 𝛼𝑇𝛽𝑇𝜂𝐷 𝜋2 = 𝜋0 − 𝛼𝑇(1 − 𝛽𝑇)𝜂𝐷 Nel secondo periodo l’output gap risulta positivo e l’inflazione si avvicina verso il suo obiettivo e dal terzo periodo inizia la convergenza verso lo steady state. Si nota che né l’inflation targeting né la regola di Taylor consentono alla BC di neutralizzare completamente lo shock della domanda  per mantenere il livello del PIL al pari del potenziale occorrerebbe ridurre il tasso reale di Á𝐷 in quanto la IS per il periodo 1 è 𝐼𝑆: 𝑦1 − 𝑦𝐿 = −(𝑟1 − 𝑟𝐿) − 𝜂𝐷 basterebbe 𝑟1 = 𝑟𝐿 − 𝜂𝐷  La banca centrale fa fatica a comprendere immediatamente la natura e dimensione dello shock e si attiene ad una delle due regole per minimizzare il rischio di compiere errori ed amplificare lo shock. SHOCK INFLAZIONISTICO PERMANENTE   Se lo shock permanente fosse inflazionistico  l’economia non convergerebbe allo steady state in quanto l’output negativo permarrebbe e tenderebbe ad ampliarsi mentre l’inflation gap positivo non sparirebbe.   Sia la politica monetaria di IT e sia di TR riescono a impedire l’avvitamento crescente di stagnazione  le politiche monetarie sono efficaci in modo da porre un limite all’output gap negativo e alla crescita dell’inflazione. Tuttavia la RT stabilirebbe l’inflazione ad un livello superiore e allo stesso output gap in un tempo comunque più lungo.   Una volta resosi conto della natura permanente dello shock la BC accetta di ridurre il PIL di lungo periodo e quindi far crescere il NAIRU e quindi l’inflazione obiettivo non è più compatibile con il PIL. La BC dovrà rivedere uno dei due obiettivi: ridurre il PIL o aumentare quello dell’inflazione. “Aggiustamento automatico dell’economia”   81 A seguito di uno shock negativo di domanda permanente la AD scende e si sposta verso sinistra in basso, l’inflazione sarà minore di quello attesa e il meccanismo di revisione delle aspettative farà spostare la AS verso destra e le aspettative di inflazioni saranno sempre maggiori delle effettive però il PIL si incrementa fino a convergere autonomamente al livello del PIL di lungo periodo ad un livello di inflazione più basso.   Questo era l’argomento per criticare l’economia keynesiana  il meccanismo automatico di stabilizzazione indipendentemente dagli interventi del governo o della banca centrale  ritorno allo steady state con un inflazione minore di quella obiettivo   MACROECONOMIA PUNTI SALIENTI CAPITOLO 1 1.PIL è il valore di tutti i beni e servizi Anali prodotti in un passe in un de, periodo di tempo. 2. Il Pil può essere calcolato utilizzando tre metodi: e come somma del valore aggiunto in ogni settore dell'economia in un date periodo di tempo (metodo del valore aggiunto); o come somma dei redditi (salari, profitti e rendite) dell'economia in in determinato periodo di tempo (metodo del reddito). 82 base monetaria è misurato dal moltiplicatore della moneta. 5. L'equazione quantitativa della moneta definisce l'ammontare totale delle tr sazioni come il prodotto delle scorte monetarie per la velocità di circolatin della moneta. Essa ci dice che esiste una proporzione tra Pil nominale e quare di moneta in circolazione, proporzione che dipende dalla velocità di circolati della moneta. 6. L'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche è il disavanzo compla sivo del bilancio pubblico, ovvero la differenza tra la spesa pubblica e le entre fiscali di un anno. Il disavanzo primario è invece il disavanzo complessivo netto degli interessi sul debito pubblico. 7. Il debito pubblico è una grandezza di stock che misura il valore di tutti i tit emessi dalla Stato e detenuti da vari soggetti in un determinato istante di temp Il debito si autoalimenta anche quando il saldo primario è nullo. Affinché debito pubblico non cresca è necessario che vi sia un avanzo primario pari spese per il pagamento degli interessi. 8.S. In Italia, a partire dagli anni '80, il rapporto tra debito pubblico e Pil è cresciuto vertiginosamente. I Trattati europei del 1992 e del 1997 hanno posto vincoli al bilancio pubblico dei paesi aderenti alla moneta unica europea: il rapporto tra debito pubblico e Pil deve rientrare entro la soglia massima del 60%, e il rapporto tra disavanzo e Pil non può superare il tetto del 3%. 9. Tali rapporti possono essere mantenuti nel tempo con una crescita annua del Pil nominale pari al 5% e un tasso di inflazione pari al 2%, che è, in effetti, l'obiettivo di inflazione fissato dalla banca centrale Europea. 10. Grazie all'adesione alla moneta unica, il tasso d'interesse sul debito pubblico italiano si è andato sostanzialmente riducendo fino al 2007, alleviando il peso della spesa per interessi che lo Stato italiano deve sostenere. Dal 2008 perè lo spread tra i tassi italiani e quelli esteri (soprattutto tedeschi) è tornato ac allargarsi, con conseguente nuovo aumento dell'onere del debito, almeno fin all'inizio del 2013 CAPITOLO 5 1. La teoria della crescita cerca di fornire spiegazioni di alcuni fatti stilizzati quali • il reddito pro-capite, in valuta comune, varia enormemente tra paesi ricchi e paesi poveri; • la posizione di un paese nella graduatoria mondiale del reddito pro-capite può cambiare nel tempo; • i tassi di crescita variano molto da paese a paese e da area ad area del pianeta; • i tassi di crescita non sono costanti nel tempo e ciò implica che la gradua- toria tra paesi in termini di quote del Pil mondiale cambi e con essa la leadership economica del mondo.toria tra paesi in termini di quote de fa moraiane cambi e con a leadership economica del mondo. 2. La teoria delle fluttuazioni cerca di spiegare cosa provochi le oscillazioni e dell'economia intorno al suo trend di crescita. 3. I movimenti congiunti delle variabili economiche vengono detti comorir Se tali comovimenti vanno nella stessa direzione dei movimenti del Pi le variabili si dicono pro-cicliche, se invece si muovono nella direzione on rispetto al Pil vengono dette anti-cicliche.4. Tra le variabili pro-cicliche troviamo i consumi e gli investimenti e tra quelle anti-cicliche troviamo la disoccupazione. 5. Per cogliere i comovimenti tra variabili che hanno un trend (Pil) e variabili prive di trend (disoccupazione), si può detrendizzare il Pil, concentrando l'attenzione sugli scostamenti dal trend, oppure sull'output gap, cioè la distanza del Pil dal suo livello potenziale. 85 6. Dal punto di vista del benessere aggregato, la bassa crescita ha costi elevatis- simi e crescenti nel tempo; ma le recessioni hanno effetti asimmetrici - poiché colpiscono maggiormente i giovani e i soggetti più poveri e meno istruiti - e questi effetti possono essere molto prolungati, specialmente se la recessione è profonda e la ripresa lenta. 7. Alla crescita economica è dedicata l'analisi di lunghissimo periodo, in cui si suppone che non solo aumenti la dotazione di capitale fisico e di lavoro, ma anche che vi sia progresso tecnologico e crescita del capitale umano. 8. Nel lungo periodo tutti i prezzi sono perfettamente flessibili e l'economia produ- ce sfruttando tutta la sua capacità produttiva alle date condizioni di mercato, ovvero produce il suo livello di Pil potenziale. L'unica politica economica in grado di modificare il Pil potenziale è quella capace di incidere sulla struttura dei diversi mercati, mentre la politica monetaria e quella di bilancio non sono efficaciCULO queld capace di incidere sulla struttura dei diversi mercati, mentre la politica monetaria e quella di bilancio non sono efficaci. 9. Nel breve periodo i prezzi sono completamente rigidi. Qualsiasi variazione della domanda aggregata si traduce in una variazione della quantità prodotta. Perciò la politica di bilancio e la politica monetaria sono in grado di stimolare l'economia, se qualche shock ne provoca la caduta in recessione, o di frenare eventuali "surriscaldamenti' 10. Nel medio periodo i prezzi si aggiustano progressivamente e l'inflazione può salire. Perciò gli effetti reali sia degli shock esogeni sia delle politiche economiche vengono riassorbiti fino a riportare il Pil al suo livello potenziale. CAPITOLO 6 1. In una economia di concorrenza imperfetta, i prezzi fissati dalle imprese sono un mark-up sui costi marginali. Il mark-up è una funzione decrescente del numero delle imprese. 2. Il salario reale che le imprese sono disposte a pagare ai lavoratori è funzione decrescente del mark-up e crescente della produttività. Dato un valore della produttività e dato il mark-up, tale salario reale è indipendente dal livello di occupazione ed è rappresentato da una retta orizzontale, denominata Price Setting (PS) 3. In presenza di sindacati, se i lavoratori non possono essere assunti ad un salario inferiore a quello contrattato, le imprese assumono gli iscritti al sindacato, con retribuzioni più elevate di quelle che sarebbero offerte se il mercato del lavoro fosse concorrenziale. 4. La curva del salario reale contrattato, o Wage Setting (WS), rappresenta l'o. ferta aggregata di lavoro ed esprime una relazione diretta tra salario reale e occupazione (inversa tra salario reale e tasso di disoccupazione). 5. Il punto di incontro tra la PS e la WS identifica l'equilibrio distributivo tra salari e profitti e determina il livello di occupazione di lungo periodo. Dall'equilibrio PS-WS si ricava una curva AS verticale. 6. Il livello di occupazione e il Pil di lungo periodo aumentano all'aumentare della produttività del lavoro e al diminuire dei sussidi di disoccupazione, del potere contrattuale del sindacato e del potere di mercato delle imprese. 7. Nel lungo periodo la moneta è neutrale, non ha cioè effetti sul Pil reale e sul- l'occupazione. Cambiamenti dell'offerta di moneta provocano uno spostamento della AD, mentre lasciano invariata la AS verticale. Varia soltanto il livello dei prezzi. 8. Politiche dal lato dell'offerta volte a ridurre il potere di mercato delle impres fanno aumentare l'occupazione e il Pil. Esempi di tali politiche sono dare maggior potere all'antitrust e ridurre i costi dell'entrata di nuove imprese ne 86 mercato. 9. Analogamente, politiche dal lato dell'offerta finalizzate ad abbassare la WS come quelle rivolte alla riduzione del cuneo fiscale, producono un livello à occupazione di lungo periodo più alto. 10. La presenza di congrui sussidi di disoccupazione può contribuire a ridurre i costi di licenziamento delle imprese, le quali potrebbero essere più disponibili ad assumere lavoratori a tempo indeterminato. 11. Quando in un mercato ci sono costi di entrata molto elevati, le imprese inside godono di un mark-up più elevato. In questi casi è possibile che i sindacal abbiano un potere maggiore e che riescano ad imporre una maggiore protezior legislativa per i propri iscritti. 87