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Manuale di archivistica dalle fonti analogiche a quelle digitali
Tipologia: Appunti
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L'obiettivo è presentare un percorso che parta dalla formazione e gestione degli archivi fino alla conservazione digitale. I. IL DOCUMENTO ARCHIVISTICO (di Luciana Duranti) Il concetto di documento archivistico è stato al centro del dibattito sulla dottrina archivistica per più di un secolo. Si era tentato di dare una definizione generica dell'archivio in relazione alla sua caratteristica di oggetto d'uso; non tutti gli studiosi però furono d'accordo: era meglio dare una definizione in base allo scopo che esso ha e tutto ciò ha a che fare con la selezione che doveva fornire la definizione stessa del documento, considerando la sua natura originaria e le sue proprietà. Non è possibile parlare di documento senza trattare dell'archivio, perché entrambi i termini sono collegati, in quanto l'archivio è un complesso organico di documenti, perché è costituito dall'aggregazione di questi ultimi. L'archivio è l'insieme dei documenti redatti e ricevuti da una persona fisica o giuridica nel corso della sua attività come strumento e residuo, e conservati da questa stessa persona o da un suo successore legittimo. Gli archivisti del secolo scorso hanno definito il documento archivistico al singolare, ma hanno sempre completato la definizione con le caratteristiche riconducibili ai contesti esterni di:
II. L'ARCHIVIO IN FORMAZIONE (di Monica Grossi) L'archivio è il complesso dei documenti prodotti e acquisiti da un soggetto nell'esercizio delle sue attività. Dobbiamo sottolineare la sua natura organica, il suo essere costituito da più oggetti, ovvero i documenti, legati tra loro da relazioni espresse dal vincolo archivistico. Stefano Vitali definì l'archivio come una tecnologia della memoria nata da esigenze pratiche di gestione, controllo amministrativo e attestazione giuridica che solo tecniche di registrazione, una comunicazione formalizzata delle informazioni e la loro conservazione organizzata nel corso del tempo rendono praticabili. Leopoldo Sandri disse che «le fonti documentarie per la storia nascono e si difendono nell'archivio in formazione». Il ciclo di vita dell'archivio La teoria archivistica riconosce tre momenti nel ciclo di vita dell'archivio:
1. Archivio Corrente: conserva le carte relative ad affari ancora in corso. 2. Archivio di Deposito: conserva la documentazione non più necessaria alle esigenze dell'ente, ma che continua ad avere valenza giuridica ed amministrativa che dovrà essere sottoposta a selezione e scarto per poi passare all'archivio storico. 3. Archivio Storico: conserva documentazione e pratiche concluse da molto tempo e che adesso vengono sottoposte alla conservazione permanente. L'archivio Corrente L'organizzazione di un archivio corrente prima di essere legata a problemi di ordine tecnico è legata a problemi di tipo politico ed amministrativo, perché ancora oggi lo Stato fatica a garantire una corretta gestione e conservazione dei documenti e dell'archivio visto che in passato si dava troppa importanza alla valorizzazione delle fonti storiche, la cui gestione era affidata a persone incompetenti che non avevano coscienza del ruolo che ricoprivano. Oggi si punta a fornire personale preparato per una corretta gestione degli archivi e dei documenti conservati in esso in accordo con la normativa vigente. Dal 2000 è stato predisposto che le amministrazioni pubbliche abbiano un manuale di gestione che fornisca le direttive necessarie per un corretto funzionamento del servizio dei flussi documentali. Un documento per essere conservato e trattato all'archivio deve essere: 1. Identificato e acquisito: si definisce l'oggetto del documento (cartaceo o digitale) e gli si attribuisce un identificativo univoco e progressivo a una data sequenza. L'identificazione può avvenire con la registrazione di protocollo se si tratta di documento analogico o con la registrazione sequenziale se si tratta di documento digitale. 2. Assegnazione: il documento viene assegnato al responsabile del suo trattamento 3. Classificazione: è un'attività strategica per la gestione dei documenti archivistici e permette di collegare il documento e il fascicolo all'attività a cui essi si riferiscono attraverso l'indice di classificazione (che collega il documento ad una delle voci logiche di cui si compone il piano di classificazione), ciò permette di rendere più facile il reperimento del documento, rendere specifico il suo valore d'uso e dividere i documento in serie omogenee. L' obiettivo è quello di creare un sistema documentario che rifletta fedelmente l'operato dell'ente produttore, quindi che diventi il rappresentante della realtà amministrativa che lo ha generato. Raffaele De Felice ha dato la definizione di classificazione sistematica di competenza per distinguere la classificazione archivistica da qualsiasi altra classificazione. L'attività di classificazione è strettamente legata alla riconduzione del documento ad un'aggregazione archivistica complessa chiamata unità archivistica che raccoglie tutti i documenti relativi ad una specifica istanza di cui si compone una determinata attività, cioè la fascicolazione, i documenti che costituiscono l'unità archivistica sono raccolti e collocati all'interno di un raccoglitore chiamato camicia o carpetta. In ambito digitale invece si realizza con il collegamento del documento all'unità archivistica corrispondente oltre ai fascicoli si possono fare accorpamenti per tipologia però i documenti in questo caso si ordinano in sequenze cronologiche. L'indice di classificazione e posizione del fascicolo formano la segnatura archivistica con cui si individua univocamente ogni unità archivistica all'interno del fondo di appartenenza. La fascicolazione e la classificazione permettono di gestire meglio i documenti anche nella fase successiva quella dell'archivio storico, mentre tutte le informazioni legate alla gestione documentale prendono il nome di strumenti di corredo coevi, invece i metadati sono strumenti descrittivi dell'oggetto e delle sue relazioni.
La selezione è l'attività che stabilisce la durata e il valore dei documenti al fine di deciderne la conservazione o lo scarto. Le sue azioni devono essere regolate sia dai soggetti produttori che dagli archivisti. La serie è costituita dal raggruppamento, per ordine cronologico, di unità archivistiche di contenuto omogeneo, nel senso che raccolgono una documentazione riflettente l'aspetto dell'attività dell'ente cui l'archivio si riferisce ad esempio le serie dei registri di stato civile. Le serie sono le partizioni di cui si compone un archivio; Costituite da criteri diversi è necessario comprendere il nesso di collegamento tra i fascicoli che le compongono, che a volte si evince dalle segnature archivistiche, altre si desume indirettamente dall'oggetto dei fascicoli: ciò significa che anche in un archivio disordinato e senza un indice di classificazione, se troviamo fascicoli riconducibili a una sfera di attività, possiamo ritenere che costituiscano una serie. Nei documenti analogici la selezione è esercitata nella fase inattiva, valutando i documenti come componenti del processo di sedimentazione; per quanto riguarda i documenti digitali invece, sono necessari selezioni periodiche. GLI STRUMENTI IN GRADO DI FAVORIRE LA SELEZIONE
1. MASSIMARI DI SCARTO: è l'elenco dei documenti prodotti dall'ente nell'espletamento delle sue funzioni, con l'indicazione dei tempi di conservazione previsti. Esso serve sia ad uniformare le operazioni di scarto, sia ad individuare la documentazione che dovrà essere conservata illimitatamente ed andrà a far parte dell'archivio storico dell'ente. 2. PIANI DI CONSERVAZIONE: Sono elenchi ufficiali in cui, con riferimento agli elementi che compongono l'archivio (categorie del titolario, serie, etc..) vengono indicati, per ciascuno di essi, i periodi minimi di conservazione. 3. MANUALI DI GESTIONE E DELLA CONSERVAZIONE Il primo trattato di archivistica del 1928 scritto da Eugenio Casanova sottolineava che la selezione è una procedura complessa e delicata. Elio Lodolini ricordava l'opinione contraria alla distruzione dei documenti. I numerosi rischi di questa procedura vengono bilanciati dall’accuratezza del sistema di gestione documentaria in uso presso il soggetto produttore che è l’unico garante della correttezza del processo; comunque sia lo scarto è sempre avvenuto anche se viene visto come qualcosa di negativo. La selezione ormai costituisce un’attività cruciale per la valorizzazione del patrimonio documentario, uno strumento positivo di ciò che si conserva. L'Italia vi dedica scarsa attenzione anche se, con l’introduzione di tecnologie informatiche nella produzione documentaria, il problema è stato riproposto. Ci si chiede se il lavoro di selezione abbia un fondamento scientifico; molti studiosi hanno riflettuto su come ridurre al minimo la soggettività di scelta. Antonio Romiti ha cercato di elaborare un sistema coerente di regole, sottolineando che l’archivista svolge un lavoro collocabile su due distinti livelli:
particolari per cui è previsto un alto grado di discrezionalità, e statistiche per la necessità di individuare elementi significativi in un insieme più ampio). Le prime normative sulla selezione sono state introdotte in Italia ai tempi della legislazione post-napoleonica degli stati preunitari. Nel 1875 il regolamento archivistico stabiliva che lo scarto doveva avvenire successivamente al versamento della corte negli archivi di stato e che lo scarto dovesse avvenire senza creare danno alla storia dell’amministrazione. La norma però non venne rispettata con rigore, infatti in seguito furono necessarie cernite precoci. La legge del 1990 approvata con decreto regio, prevedeva che venisse nominato un commissione ad hoc formata da due ufficiali superiori del Ministero al quale appartenevano gli atti, e dal direttore dell’archivio del Regno; inoltre richiedeva che la selezione avvenisse prima del versamento; questo provvedimento poi si estese agli uffici periferici con la composizione mista che prevedeva la partecipazione degli impiegati dell’ufficio a cui appartengono i documenti e del direttore dell’archivio competente. Nel 1939 vennero stabilite le regole per gli archivi privati vietando ai proprietari di archivi di inviare al macero scritture che potessero offrire interesse storico – politico. Nel 1963 furono istituiti presso tutti gli Uffici di Stato,commissioni di sorveglianza sui rispettivi archivi a cui vennero affidati compiti riguardanti lo scarto, mentre agli enti pubblici furono obbligati a motivare lo scarto dei propri archivi, per quanto riguarda i proprietari di archivi privati la procedura di scarto doveva essere autorizzata del sovrintendente d’archivio che poteva disporre il deposito nell’archivio di stato. Nel 1975 si stabilì di comunicare al ministero dell’Interno gli elenchi dei documenti da destinare allo scarto. Nel 2000 viene introdotto il testo unico che introduce il piano di conservazione che sostituisce il massimario di scarto porgendo l'attenzione sul procedimento di conservazione, inoltre fu imposto di redigere un manuale delle procedure documentarie da parte di ogni struttura amministrativa. Nel 2004 il codice dei beni culturali viene approvato confermando alle Commissioni di sorveglianza il ruolo di vigilare sulla tenuta degli archivi correnti e di deposito e nel 2005 fu approvato il codice di amministrazione digitale. Ultimamente il legislatore italiano venendo meno il dettato della commissione Cibrario, (fu istituita nel 1870 per risolvere problemi relativi agli archivi italiani. Presieduta da Luigi Cibrario, la commissione fu concorde nell'utilizzare nell'ordinamento archivistico il metodo storico. Stabilì un tempo di 5/10 anni di versamento, con il risultato che l'archivio di Stato fungeva anche da archivio di deposito, con la prevalenza degli aspetti amministrativi su quelli storici), ribadì che le ragioni che inducevano allo scarto non dovevano essere il poco spazio e la poca moneta e tali riferimenti si trovano anche nella spending review (miglioramento della spesa pubblica attraverso la sistematica analisi della pubblica amministrazione nelle sue strutture organizzative), bisogna comunque attuare metodi più rigorosi e innovativi per questo problema della selezione.
gestione doveva dipendere dal ministero dell'Interno. La scelta ricadde su quest'ultimo e un secolo più tardi la scelta passò al ministero per i Beni culturali e ambientali. L'unità archivistica italiana si compie tra il 1874 e il1875. La legge nel 1939 istituì un archivio di Stato per ogni provincia e sovraintendenze archivistiche per vigilare sugli archivi non statali. Negli anni 60 la storia degli archivi respira un nuovo clima culturale. La traduzione del volume di Adolf Brenneke creò la guida generale degli archivi di Stato con la collaborazione di diversi archivisti italiani. L'attenzione si spostò dallo Stato alla Società, indagando nuovi periodi della storia d'Italia (movimento operaio, socialista e cattolico). I principi di eurocentrismo e il concetto di cultura vengono messi in discussione. La cultura rappresentò tutte le manifestazioni ed espressioni umane, individuali e collettive. Nel 1967 il testo elaborato dalla commissione Franceschini riporta che per bene culturale si intende una testimonianza materiale avente valore di civiltà. Nel 1974 viene creato il ministero dei beni culturali e ambientali, una nuova amministrazione insieme alle biblioteche, musei, gallerie precedentemente gestiti dal ministero della pubblica istruzione. Una parte ristretta del patrimonio documentario ha trovato ricovero presso gli archivi di Stato, altra documentazione ha trovato posto presso gli archivi storici dello stesso soggetto produttore. Philippe Belaval ha parlato di balcanizzazione archivistica per descrivere l'aumento di archivi autonomi. In Italia un esempio è la nascita degli istituti della Resistenza. Il consiglio superiore per gli archivi di Stato il 1 luglio 1948 riconobbe la facoltà agli istituti di resistenza di svolgere il ruolo di conservazione della documentazione archivistica. Nel corso degli ultimi decenni del Novecento nuovi usi coinvolto gli archivi, considerati i luoghi della memoria. Il modello statale è passato da una struttura gerarchica a un pulviscolo amministrativo, da una forte dominanza statale a una base reticolare. Tutto ciò rende difficile capire quale intervento lo Stato deve esercitare per facilitare la consultazione e la destinazione finale dei documenti. In passato il ministero dell'Interno rappresentava un progetto politico culturale che identificava la memoria pubblica con la memoria della nazione. Il nuovo sistema privilegia l'autogestione dei soggetti produttori. I Poli archivistici sono quei luoghi di cooperazione interistituzionale per la conservazione, gestione e valorizzazione del patrimonio documentale. Nel 2011 i ministeri (Interno, Giustizia e Beni culturali) sottoscrissero una convenzione per la costruzione di poli archivistici territoriali rivolti a concentrare archivi di deposito di uffici periferici in tre ministeri.
Di fronte alla grande quantità di documenti provenienti dagli archivi di Stati preunitari, si presentava l’esigenza di ordinarle. I primi archivisti sono paleografi e diplomatisti, e avendo una formazione storico-giuridica, potevano analizzare aspetti sostanziali e formali dei documenti, studiare le cancellerie presso cui il documento si è formato. Alla metà dell’800 si diffonde il principio di “respect de fonds” che tende a rispettare la configurazione di un complesso documentario. Si afferma un uso più attento delle fonti in ambito storiografico, ed è quindi necessario rigore filologico ed uso critico dei documenti, instaurando un rapporto tra l’archivistica, la storia delle istituzioni e la ricerca storica. I distinti documenti risultano interamente o parzialmente ordinati o in stato di più o meno grave disordine al momento dell’acquisizione, e ciò ne rende difficile la comparazione; infatti non tutta la documentazione archivistica e facilmente consultabile, compito dunque dell’archivista e quello di rendere la documentazione alla ricerca storica, attraverso verifiche di elenchi di versamento e di specifici interventi di ordinamento e ricostruire un quadro organico dei fondi conservati. L’ordinamento deve essere eseguito secondo una scala di priorità e richiede tempi molto lunghi e una valutazione molto attenta. I termini più importanti che ci fanno capire meglio questa procedura sono:
Gli archivi non si formano spontaneamente. La formazione e la sedimentazione degli archivi sono atti complessi e volontari. L'atto riflessivo “sedimentarsi” significa sia depositarsi, in riferimento al concetto di “accumulo”, sia decantare, un procedimento di suddivisione e smistamento che distingue i documenti “pesanti” da quelli “leggeri”. Nella decantazione le carte assumono forma compiuta a seguito della separazione dei fascicoli prodotti da certe attività o autori specifici. La sedimentazione si attua a “pelle di leopardo”, ovvero a macchie, senza regole costanti e uniformi all'interno dell'area storico – geografica o all'interno dello stesso soggetto produttore. Per le carte sciolte spesso avviene il processo di condizionatura degli atti , che può essere in due modi distinti: