Scarica "Manuale di letteratura e cultura inglese", Crisafulli. e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura solo su Docsity! Riassunto dettagliato del Manuale di letteratura e cultura inglese - Crisafulli IL CINQUECENTO INTRODUZIONE Dall’estate del 1499 fino al gennaio 1500, Erasmo da Rotterdam (1466-1536) si trovava in Inghilterra. La sua presenza testimoniava l’esistenza di una cultura umanistica e preludeva a un secolo di riforme religiose, scolastiche e sociali che avrebbero portato il paese al volgere del secolo successivo, alla sua ricchezza culturale e letteraria. Se la cultura umanistica si era radicata così tanto in Inghilterra già alla fine del ‘400 fu merito soprattutto del re Henry VII (1485-1509). La sua corte, ispirandosi consapevolmente ed esplicitamente al modello italiano, fu il punto di riferimento per studiosi e scrittori. Il Rinascimento arrivò tardi in Inghilterra per quanto riguarda le arti visive, la nuova musica e il teatro laico i quali si affermarono pienamente solo verso la fine del Cinquecento. Una fiorente editoria ebbe inizio negli anni 70 del Quattrocento; infatti il primo libro stampato a quell'epoca fu Canterbury Tales (1476) di Chaucer. Il 500 inglese vide cinque regni tre quali quello di Elizabeth (1558-1603). Non tutti i sovrani Tudor manifestarono la stessa dedizione alla cultura: il figlio di Henry VII, Henry VIII (1509-1547) impegnò la maggior parte delle sue energie nelle guerre religiose in Europa anche se continuò a offrire il patronato nei confronti degli studi umanistici, e presso la sua corte si affermarono poeti aristocratici quali sir Thomas Wyatt (1503-1542) e il conte di Surrey Henry Howard (1517-1547). Inoltre, come tutti i Tudor, Henry VIII incoraggiò la diffusione della cultura tramite una politica scolastica piuttosto illuminata. Dopo l'Act of Supremacy del 1534, che diede al monarca sovranità sulla Chiesa e sui suoi beni, le vecchie scuole ecclesiastiche furono sostituite dalle laiche grammar schools aperte anche a figli di famiglie non benestanti. Il maggior numero delle nuove grammar schools si aprirono sotto il regno di Edward VI (1547-1553), con la fondazione di numerose King Edward VI schools in tutto il paese. L'accesso all'istruzione più o meno gratuita creò la possibilità per tutta una generazione di scrittori (oltre a Shakespeare, Christopher Marlowe (1564-1593) e Ben Johnson (1572-1637), di formarsi malgrado le loro origini relativamente. Il periodo maggiormente associato con il Rinascimento inglese è quello elisabettiano. Il regno di Elizabeth video la più grande fioritura letteraria della storia inglese e la più proficua sperimentazione e moltiplicazione dei generi letterari, dalla poesia epica al canzoniere. E, dalla saggistica alla prima narrativa in prosa. Il fenomeno culturale più caratterizzante dell'epoca elisabettiana fu il teatro che nacque ufficialmente nel 1576 con la costruzione del primo teatro pubblico, The Theatre (precursore del più famoso Globe Theatre di memoria shakespeariana). Mentre l'esplosione della drammaturgia letteraria elisabettiana bene verso la fine degli anni 80 grazie soprattutto all'arrivo sulla scena della prima generazione di drammaturghi professionisti, i cosiddetti "University Wits", quali Thomas Kyd (1558-1594), Robert Greene (ca. 1560-1592) e Christopher Marlowe. Il periodo elisabettiano fu anche quello più fertile per le traduzioni che influenzarono in modo determinante la letteratura e il teatro. Il termine "Renaissance" non è appropriato, secondo molti commentatori recenti, al contesto del Cinquecento inglese che poco ha a che fare con l'Italia di Leonardo e Michelangelo. Per questo viene spesso preferita la dicitura più neutrale "early modern", anche se il periodo storico detto early modern viene solitamente esteso anche a tutto il Seicento. I PREDECESSORI DI SHAKESPEARE: MORALITY PLAYS E INTERLUDI 1. II TEATRO DELLA MORALITÀ Nel '400 oltre alle mistery plays nasce un altro tipo di teatro allegorico e didattico, il teatro della moralità. Rispetto ai mystery plays i morality plays sono portatori di molte novità: lo scopo era edificante e I’argomento deriva dal sermone medievale e dalla letteratura devozionale; inoltre le rappresentazioni avvenivano in ogni momento dell'anno e non erano più collegate a particolari festività religiose. Mentre i mistery plays venivano rappresentati dai membri delle corporazioni delle arti e dei mestieri occasionalmente “prestati” al teatro, gli esecutori dei morality plays potevano portare le loro opere in tour ed esibirsi dunque in più località e per periodi di tempo più lunghi: novità di grande importanza sia per la nascita del teatro moderno e tappa fondamentale in direzione della professionalizzazione dell’attività attoriale. I personaggi delle morality sono astrazioni e a venire messa in scena e la psicomachia, cioè il conflitto tra i 7 peccati capitali (i Vizi) e le 7 virtù per il possesso dell'animo umano. II protagonista rappresenta l'intero genere umano, e la scena è allegorica: vengono drammatizzate la tentazione, la caduta e la redenzione dell'anima (in extremis) attraverso la penitenza. La prima moralità pervenuta per intero: The Castle of Perseverance (ca.1425), mentre della più antica, The Pride Of Life, della metà del XIV secolo, non ci rimangono altro che 502 versi. The Castle of Perseverance è un dramma molto lungo e complesso (ci sono ben 35 personaggi). La storia segue la parabola spirituale, dalla nascita al giorno del giudizio, del personaggio Umanità, conteso tra le forze del bene e quelle del male. II nome del manoscritto in cui ci è stato tramandato The Castle of Perseverance è "Macro”. Questo manoscritto conteneva anche una pianta annotata in cui notiamo che il play era messo in scena all'aperto, in uno spazio circolare (il place) circondato da un fossato con al centro un castello, sotto al quale era posto il letto di Umanità. Attorno al place si trovavano altri 5 palchi dedicati a Dio, alla Carne, al Diavolo e all'Avarizia. II Macro conteneva anche altre due moralità: Wisdom e Mankind. Mankind: è diversissima rispetto a The Castle of Perseverance perché e più corta e ha meno personaggi (solo 7) che dunque rendono più facile una rappresentazione in tour. Inoltre c’è una maggior concretezza nel rappresentare i personaggi e cambia anche il tono. Dominano la routine comica messa in atto dai Vizi capeggiati che rappresentano la vita terrena capeggiati da Mischief e aiutati dal diavolo Titivillus. I personaggi sono dei buffoni che si lasciano spesso andare in turpiloqui e in scherzi pesanti. Tuttavia le oscenità di cui il dramma abbonda non entrano in contrasto con I’elemento educativo del dramma perché alla fine si esprime il disperazione del protagonista che si pente e I’epilogo è affidato a Mercy: la volgarità dei Vizi mette in risalto la risibilità del Male e la sua miseria ed impotenza davanti alla misericordia divina. Everyman: il capolavoro di questo genere teatrale, appartiene già all'epoca Tudor, ed è la probabile traduzione di una moralità fiamminga. Il dramma è introdotto da una prefazione che dimostra come il genere abbia tanta autoconsapevolezza. del poeta a prevalere. Thomas Lodge (1558-1625) scrive una Defence of Poetry, Music and Stage Plays (1579-1580) per difendere le arti. L'unica opera attribuita in modo più certo a Lodge (in collaborazione con Greene) è A Looking Glasse for London (1594), il cui evidente intento è additare la corruzione dei costumi agli abitanti della nascente metropoli londinese. Un altro tentativo di leggere la storia contemporanea attraverso quella antica compare in The Wounds of Civil War, Lively Set Forth in the Tragedies of Marius and Silla (1587). Robert Greene (1558-1592) illustra perfettamente il rapporto dell'autore elisabettiano con i modelli e le fonti. Alcune delle sue opere più importanti sono l'adattamento dell'Ariosto in Orlando Furioso (1594) e James IV (1594). I personaggi esprimono la loro natura allegorica tramite lunghi dibattiti in un contesto arcadico e pastorale di derivazione italiana (in dialoghi che hanno poco a che fare con l'animazione teatrale) e con un'azione scenica quasi inesistente. L'opera teatrale riceve la sua legittimità dalla comunanza con la poesia, ricalca trame, motivi, modelli stranieri, la concezione romantica ed esotica come favola travestita sotto cui cogliere i riferimenti al presente. La prevalenza di questi modelli giunge al suo culmine nell'opera elisabettiana che sancirà la possibilità di creare un teatro moderno, la Spanish Tragedy di Thomas Kyd a cui viene attribuita anche una versione di Hamlet precedente a quella shakespeariana. La storia è basata sulla ricerca di vendetta da parte di Hieronimo (Maresciallo di Spagna) dell'omicidio del figlio a cui assistono come coro i fantasmi di Andrea e la personificazione della Revenge. Il contesto apparentemente forestiero permette di fingere che quelli stravolgimenti della psiche e dell'eloquio siano esclusivo appannaggio dei mediterranei, laddove la tematica della vendetta e dell'onore è anche una preoccupazione elisabettiana. Nella storia sono presenti anche: il gusto per la rappresentazione dell'intrigo di corte e delle vessazioni inferte alla donna; i fantasmi di gusto senecano; il gusto per la cornice e metateatrale, con uno spettacolo finale dentro lo spettacolo che permetterà a Hieronimo di raggiungere la sua vendetta che diverrà negli anni successivi una caratteristica fondamentale della revenge tragedy; il testo che ricorre a un caotica moltitudine di frasi in latino. Ma la caratteristica fondamentale della Spanish Tragedy è soprattutto la compresenza di modelli poetici e di fonti con un'insolita ricchezza di azioni sceniche. 4. LA TRADUZIONE ELISABETTIANA: MARLOWE E JONSON La compresenza di modello poetico e fonti molteplici la troviamo anche nelle opere del principale autore di questa fase, ovvero Christopher Marlowe (1564-1593), ma con un fondamentale cambiamento nella polifonia. Limitazione di Marlowe, a differenza degli altri autori, trae dalle fonti straniere soprattutto storie e trame: i modelli espressivi sono quelli classici infatti adottano uno stile elevato, riservato tradizionalmente alla tragedia e ai personaggi di alto rango. I suoi protagonisti dominano la scena e sono gli unici capaci di argomentare tramite amplificazione di argomenti e di la ricchezza retorica la loro smisurata ambizione di potere. Ad esempio un'opera di grande successo Tamerlane (1587): il despota, opportunamente orientale e dunque rappresentante di raffinatezza e crudeltà associate allora a quella parte del mondo, conduce in prima persona stragi, omicidi e guerre di conquista. Marlowe fa uso del verso sciolto (blank verse) Che diventerà il metro principale del teatro elisabettiano. La polifonia elisabettiana permane, ma con un cambiamento fondamentale rispetto quella iniziale che era basata sulla molteplicità di rimandi stilistici e tematici. La polifonia di Marlowe si concentra sul singolo passo testuale: in un solo discorso compaiono sia riferimenti aulici alla tradizione antica con riferimenti alla storia contemporanea, sia la tradizione biblica e omiletica che si sposa a quella retorica e comica. In Marlowe queste fonti tematiche stilistiche sono raggruppate nelle battute più memorabili dei suoi protagonisti. Questo cambiamento apre la strada a Shakespeare e rappresenta, ancor più della Spanish Tragedy, il vero inizio del teatro elisabettiano. Alcune sue opere importanti furono: Jew of Malta (1589-90), Doctor Faustus (1589?, 1593?) dal testo molto incerto e probabilmente riscritto dallo stesso Marlowe, Edward II (1592) e The Massacre at Paris (1593). Verso la fine del cinquecento e merge Ben Johnson (1572-1637). Le sue prime opere riportano la stessa struttura che la commedia classica disegno italiano e schematizzano la suddivisione dei personaggi in umori il cui accesso né spiegherebbe il comportamento. Con Marlowe e Johnson le fonti disponibili non vengono soltanto ripetute ma anche adattate al pubblico inglese con una distinzione fondamentale: - per Marlowe la traduzione delle forme classiche e rinascimentali è soprattutto la creazione di un linguaggio poetico elevato ed iperbolico a scapito della trama; - Per Johnson la traduzione delle forme classiche e rinascimentali è piuttosto la creazione dei tipi inglesi ricalcati su quelli classici e rinascimentali e sulla formazione degli intrecci. IL TEATRO DI SHAKESPEARE. DALLA SCENA AL TESTO 1. QUALE SHAKESPEARE? Quale Shakespeare? Tira le somme dei diversi tipi di Shakespeare il percorso che si sceglie di affrontare è quello delle relazioni tra le opere shakespeariane e le convenzioni del teatro elisabettiano e giacomiano che lo condizionano moltissimo. 2. SHAKESPEARE SCRITTORE PER LA SCENA: FRA OCCHIO E ORECCHIO Quando leggiamo le opere teatrali di Shakespeare dobbiamo cercare di situare discorso e azione delle opere in un preciso ambiente fisico/artistico (quello elisabettiano) nella sua configurazione spazio/temporale, oltre che culturale. Prima di diventare autore Shakespeare era un attore presso i Lord Chamberlain's Men. Probabilmente inizia la sua carriera di attore a fine anni '80 del '500 e le prime notizie di lui come drammaturgo risalgono al 1592. Dunque i suoi drammi sono il risultato della sua esperienza di attore. Shakespeare era anche uno dei proprietari del Globe Theatre per cui aveva un triplice interesse: come attore, come drammaturgo e come proprietario (dunque percepiva una cospicua parte dei ricavi). Anche se al tempo non esisteva il copyright, visto che i copioni erano della compagnia (il drammaturgo li vendeva per una somma a forfait). Shakespeare aveva comunque da guadagnare dal successo dei suoi lavori. Inoltre Shakespeare era molto attento ai suoi guadagni come risulta dai registri delle numerose cause civili in cui fu coinvolto. Ma riuscì comunque ad arricchirsi a tal punto da potersi permettere di acquistare una delle case più prestigiose di Stratford. Dunque una delle prime considerazioni del drammaturgo nel comporre le sue opere fu la loro efficacia scenica e il loro appeal per il pubblico. Ma questo non significa che le sue opere fossero progettate come macchine per far soldi. Shakespeare riesce a sposare il fatto che la scena sia accessibile a tutti con la ricchezza intellettuale e retorica del testo. Tale fenomeno è in parte da attribuire ad una cultura del tempo dal momento che il pubblico elisabettiano era abituato ad esempio a seguire lunghi e complessi discorsi orali soprattutto grazie ai sermoni. Anche l'istruzione scolastica presso le grammar schools era incentrata sulla retorica. La straordinaria articolazione poetica delle opere di Shakespeare rappresentava una delle maggiori attrattive perlomeno fra gli uditori istruiti. All'epoca di Shakespeare si usava dire "ascoltare un dramma" anche se l'impresa di Shakespeare accontenta orecchio e occhio insieme facendo vivere la poesia sulla scena, in modo che possa entrare a far parte dell'azione scenica e risultare così non solo visibile al pubblico ma anche indicibile, gestibile e recitabile dall'attore. Le opere di Shakespeare nascono anche grazie a una compagnia di attori che il drammaturgo conosceva bene e di cui si fidava. Tutti i personaggi shakespeariani furono concepiti per specifici attori dei Chamberlain's Men o King's Men. Analogamente e tutte le opere furono composte per uno spazio fisico specifico ovvero il teatro pubblico, all'aperto, appartenente alla compagnia di Shakespeare (The Teatre, poi The Globe). La forma del teatro pubblico elisabettiano incide non solo sugli aspetti esteriori o meccanici dei plays, ma anche sulle ragioni profonde della drammaturgia shakespeariana. Secondo la tesi di Harold Bloom, Shakespeare ha inventato l'uomo moderno in quanto secondo lui Shakespeare avrebbe esplorato la multiforme soggettività umana ponendo il soggetto, il singolo attore-personaggio, al centro della scena. Infatti il teatro elisabettiano era caratterizzato dal dominio dell'attore i cui movimenti e gesti, la cui voce, il cui costume costituivano il motore dinamico di tutto lo spettacolo e per molti versi erano lo spettacolo. Secondo i suoi colleghi attori, Shakespeare creava personaggi in grado di dominare la scena e di creare intorno a sé e il mondo della fiction teatrale: l'attore-personaggio pone in essere il proprio status all'interno di quell'ambiente geografico, storico e sociale, nonché all'interno delle proprie azioni verbali e fisiche alle quali egli stesso dà vita. A sua volta il personaggio viene costruito proprio da quell'ambiente, da quello status e da quelle azioni. (Nel teatro shakespeariano ogni battuta contribuisce alla costruzione della soggettività dell'individuo e del suo mondo, quindi non esiste un prima e un dopo nel rapporto dialettico fra il soggetto e il suo agire). L'attore-personaggio era un portatore di segni: ogni suo aspetto poteva assumere un determinato peso simbolico e informativo ad esempio in mancanza di indicazioni sceniche l'attore, attraverso le sue battute, i suoi gesti e il suo costume e trucco, raffigurava al pubblico luogo, tempo e contesto sociale (come accade nell'incipit di Othello). La centralità dell'attore nel creare la fiction drammatico-teatrale, con l'aiuto di pochi oggetti e pochissima scenografia, all'epoca provocò lo sdegno di critici neoclassici (come Philip Sidney) che lamentavano la mancanza di realismo mimetico in quanto si tratta di un teatro che faceva affidamento alle azioni sceniche dei personaggi e che chiedeva al pubblico un notevole sforzo di immaginazione. Ciò è esattamente quello che Shakespeare richiederà esplicitamente ai suoi spettatori nel prologo di Henry V. Dunque il teatro elisabettiano si basava su questo patto convenzionale tra attori e pubblico, d'accordo nell'interpretare i segni teatrali come finendo che è di una realtà più vasta. 3. LA PROPRIETÀ DEL TEATRO SHAKESPEARIANO: LA SCENA APERTA Ci sono tre proprietà che rendono possibile l'emergere dell'attore-personaggio shakespeariano: la sua apertura, la sua multidimensionalità e la sua fluidità. Apertura dipende dalla forma del palcoscenico e dal rapporto che si instaura tra la scena e l'arena nel teatro pubblico. Si trattava di una scena aggettante (thrust stage), che appunto si "gettava" o proiettava in mezzo al pubblico, quindi il palcoscenico era aperto e privo di ostacoli alla vista come oggetti scenici. Gli unici aspetti fissi della scena erano la frons sceanae (il fondo della scena) e i due pilastri di legno dipinti per assomigliare a colonne romane di marmo che sostenevano il tetto soprastante il palco. Vantaggi che l'apertura della scena pubblica offriva all'attore e dunque al drammaturgo: - addossava quasi esclusivamente all'attore la responsabilità di essere oggetto dell'attenzione del pubblico e fonte di informazioni, di emozioni e di intrattenimento; ciò di conseguenza permetteva alla scena elisabettiana di essere un teatro di azione scenica (centrato sul corpo dell'attore) e un teatro di parola (lasciando ampio spazio e libertà alla scrittura poetica e drammaturgica dell'autore). - in secondo luogo, consentiva agli spettatori un accesso visivo e uditivo privo di barriere. - infine dava anche una presentazione scenica la possibilità di svolgersi in modo rapido e dinamico. Infatti ci sono riferimenti testuali che parlano di una durata della rappresentazione di circa due ore. 4. L’ARTICOLAZIONE SPAZIALE: DIMENSIONE ORIZZONTALE E VERTICALE La seconda caratteristica del teatro shakespeariano è la sua multidimensionalità che riguardava la struttura del palco e la sua articolazione nello spazio. L'ampiezza del palco, oltre a simboleggiare la grandezza del mondo raffigurato e a permettere a tutti gli attori della compagnia di stare contemporaneamente sul palco, offriva la possibilità di moltiplicare l'azione orizzontalmente creando effetti di simultaneità e di contrapposizione. Un ruolo cruciale nell'utilizzo della dimensione orizzontale è svolto dalle due porte di scena collocate nella frons scenae sullo sfondo con la doppia funzione di nascondere il tiring house (spogliatoio degli attori) e di permettere loro l'ingresso e l'uscita. I plays elisabettiani non venivano divisi in atti e scene; ciò che segnava la fine di una scena e l'inizio di un'altra era semplicemente la vicenda degli attori o di gruppi di attori che erano momentaneamente compresenti in scena (la convenzione elisabettiana voleva che i due attori o gruppi in questione fossero invisibili gli uni agli altri). L'utilizzo delle due porte e giocava anche un ruolo simbolico per presentare due realtà spaziotemporali distanti fra di loro. Inoltre, la possibilità di dividere la scena in due o più spazi sul piano orizzontale permetteva di creare effetti di contrapposizione fra parti o schieramenti opposti e di stabilire importanti in essi narrativi fascine trame distinte. Non meno significativa è la dimensione verticale della scena creata grazie all'esistenza di ben tre aree di recitazione: sotto il palco, sopra il palco e sul piano del palco. La presenza di un sottopalco utilizzabile dalla compagnia derivava dall'elevazione del palco di circa 1,5 m dal suolo, permettendo così il maggiore visibilità alla scena. Tale caratteristica era in parte retaggio dei pageants (carri) tardomedievali impiegati per la performance in piazza dei mystery plays e morality plays, nei quali l'utilizzo del sottopalco aveva una finalità strettamente simbolica e ideologica, in quanto area moralmente proibita, abitata da diavoli e spiriti maligni che facevano le loro entrate ed uscite attraverso una botola. Così gli attori elisabettiani continuavano a usare la zona sottostante il palco come hell (inferno). Analogamente, il soffitto sovrastante il palco, il quale presentava dipinti delle costellazioni, veniva chiamato dagli attori heavens. Il teatro di Shakespeare era il luogo destinato alla rappresentazione dell'uomo i cui affari terreni si trovano posti equidistanti fra il cielo e l'inferno. Non a caso il nome del secondo che altro della compagnia di Shakespeare, The Globe, allude alla nozione del theatrum mundi: È un teatro del mondo intero, capace di navigare liberamente nello spazio e nel tempo, in grado di rappresentare tutte le tipologie, i motivi, le azioni e i comportamenti del genere umano. Il teatro (The Theatre, The Globe) diventa la scena privilegiata in cui l'uomo si autorappresenta e si autorispecchia. Collocazione in alto, sopra la scena, vicino al cielo, assume talvolta in Shakespeare un significato simbolico ideologico. I drammi storici di Shakespeare fanno spesso riferimento alla nozione della sacralità della corona richiamando la dottrina medievale del diritto divino dei re al trono, dottrina conservatrice che Franci va a incontestabili ta del potere del sovrano, anche se i drammi storici Shakespeare dimostreranno che nei fatti la corona è tutt'altro che incontestata (dramma Richard II). In altre opere l'antitesi tra stage e upper stage assume connotazioni più sociali e politiche o religiose. 5. FLUIDITÀ, DISTANZA VARIABILE E RAPPRESENTAZIONE DELL’IO La terza caratteristica del teatro elisabettiano e la fluidità che riguarda il rapporto fra attore e spettatore. Il palco era dotato anche di una non indifferente e profondità (8 m) Che permetteva alla compagnia di variare molto le distanze che intercorrevano fra azione e ricezione. L'attore era in grado di stabilire rapporti di notevole vicinanza col pubblico ponendosi all'estremità anteriore della scena in modo da essere al massimo nove, se il metri dagli spettatori più lontani e in contatto quasi fisico con quelli più vicini, i cosiddetti groundlings in piedi intorno al palco. Tale complicità e intimità con il pubblico ha influito sullo sviluppo della drammaturgia shakespeariana. Shakespeare sperimentò la creazione del personaggio-io, dominatore di avanscena e platea nel dramma storico giovanile Richard III (l'ultima opera della prima tetralogia dei drammi storici) che segna una rottura decisa e drammatica già dalle prime battute con l'entrata in scena del protagonista. È il primo dramma shakespeariano a dare ampio spazio al soliloquio già dal discorso di apertura. Invece alle opere precedenti della tetralogia, Henry VI, I, II, III, sono drammi corali, ricchi di azioni militari e basati su una struttura di tipo cronachistico. Il monologo iniziale di Riccardo è basato proprio sulla opposizione io-altro, dunque i pronomi e aggettivi plurali iniziali "our" cedono al pronome singolare "I", e chiama in causa la fluidità del palcoscenico ovvero la discesa del personaggio verso l'avanscena che lo porta direttamente in contatto con il pubblico costringendolo ad entrare in un rapporto di intimità e complicità con lui. Perciò il monologo prende la forma di confessione e ha l'apparente funzione di una prolungata captatio benevolentiae che in realtà maschera a malapena il vanto del personaggio nell'annunciare profeticamente il suo piano scellerato per la conquista del trono. Quello che probabilmente impressionò al pubblico fu l'autopresentazione nel qui ed ora Del tempo scenico è reale di un personaggio storico. Il diritto tardo almeno tre dimensioni temporali e conoscitive: il momento storico in cui il personaggio è collocato; il momento storico della messa in scena; il momento in cui l'attore personaggio si rivolge direttamente al pubblico. Tale convergenza di tempi distinti e distanti costituisce gran parte del fascino del teatro storico di Shakespeare, rendendo il personaggio storico e mitico un "io-qui-ora" tramite la finzione scenica. Riccardo presenta una dimensione soggettiva dell'io in quanto inganno il pubblico e tutti quelli che lo circondano con la sua apparente sincerità confessionale. Il dramma permette a Shakespeare di inventare per la prima volta la messa in scena dell'io nel contesto della storia inglese. Riccardo è il primo personaggio shakespeariano ad accennare ad una dimensione psicanalitica seppure all'insegna dell'inganno. Shakespeare rivisiterà discorso intimo ma ingannevole qualche anno più tardi con un altro celebre personaggio malvagio di nome Iago. L'uso dell'avanscena porta all'esplosione della personalità individuale: il dramma moderno prende il via proprio da queste circostanze. Cosa diversa è invece la soggettività messa in mostra da Amleto, altro grande esponente del soliloquio e del rapporto a tu per tu con l'ascoltatore. Il monologo "To be or not to be" al primo ascolto sembra una auto-interrogazione segreta sulle ragioni più profonde del vivere, ma ad una lettura più attenta si rivela discorso pubblico durato come un intervento in un dibattito sulla questione vita vs morte. James Burbage costruì il primo teatro pubblico, The Theatre, nel 1576. Un altro aspetto della fluidità del teatro elisabettiano è che si trattava di una scena pluriprospettica, che è proprio in assenza di un unico punto di focalizzazione, permetteva l'uso di tutte le aree reciti statica del palco e chiedeva agli attori grande agilità e abilità negli spostamenti e nei posizionamenti in scena. L'attore doveva essere in grado di catturare l'interesse da qualsiasi parte del palcoscenico egli si trovasse. Gli spettatori privilegiati, perché più ricchi e influenti, stavano in posizioni diverse rispetto alla platea moderna, ossia nelle gallerie, specialmente quelle più in alto o dietro il palco nell'upper stage o balcone posto sopra la frons scenae. Anche quando il teatro elisabettiano sfruttava la profondità del palco per creare effetti di strategica lontananza fra azione scenica e platea, non perdeva l'interesse del pubblico. Tale lontananza viene solitamente sfruttata da Shakespeare per dare vita a scene pubbliche e formali dove occorre una visione panoramica e di insieme da parte dello spettatore. 6. DONNE SULL’AVANSCENA Shakespeare è il primo trauma turco inglese a dare spazio alla donna come protagonista dell'azione drammatica mettendo la donna davanti alle dramatis personae (=maschere del dramma / personaggi) maschili. Il teatro elisabettiano escludeva le attrici, per cui i più celebri ruoli femminili dovevano essere recitati da ragazzi o da giovani uomini, i cosiddetti boy actors. Altre opere in prosa, tutte appartenenti al regno di Elizabeth I (1558-1603), mirarono in modo più vistoso all'intrattenimento di un pubblico che si andava sempre più allargando e diversificando. Gli anni 60 e 70 videro un'esplosione di interesse per la novella, perciò traduzioni e adattamenti di novelle trovarono grande favore presso il pubblico inglese. Gli anni ‘70 videro anche lo svilupparsi della narrativa cortese i cui autori principali furono George Gascoigne (1573, The Adventures of Master F.J. --> 1575, The Poesie of George Gascoigne) e John Lyly (1578, Euphues: The Anatomy of Wit). Il tema principale sono le avventure amorose e i personaggi dibattono le diverse ed opposte opzioni di comportamento e si auto-propongono al lettore come esempi ("mirrors") da cui trarre insegnamento. EUFUISMO Il nome Euphues deriva dal greco euphyés, che significa "cresciuto, benfatto, ben formato", ed era già stato usato da Roger Ascham nel suo Schoolmaster (1570). La prosa eufuistica segue un principio di simmetria: è caratterizzata dal succedersi di frasi perfettamente bilanciate, in un gioco di antitesi protratte, similitudini ricercate, corrispondenze verbali, allitterazioni e assonanze. Tra i molti autori inglesi che imitarono lo stile eufuistico di Lyly ricordiamo Robert Greene, Thomas Lodge e Barnaby Rich. Vari personaggi shakespeariani parlano in stile fu distico spesso con un chiaro intento parodico da parte dell'autore. In effetti già alla fine del secolo eufemismo era diventato bersaglio di parodia. Questo stile creato da Lyly È stato spesso visto come una forma di barocchismo che più tardi troverà dei corrispettivi nel marinismo italiano, nel preziosismo francese e nel gongorismo spagnolo. L'eufemismo non fu solo una fuga letteraria ma anche un fenomeno sociale in quanto i gentiluomini e le gentildonne dell'Inghilterra elisabettiana, anche a corte, considerarono alla moda scrivere e parlare in stile eufuistico, così come anche la stessa sovrana. Anche il romance in prosa di Philip Sidney, Arcadia, esercita un'enorme influenza sia sui contemporanei sia sulle generazioni successive. Nell'Arcadia Sydney combinò il genere pastorale (allora molto in voga) con il romance cavalleresco e, alla narrazione in prosa, inserì delle egloghe. La narrativa degli anni 80 fu dominata dalle opere di Robert Greene (1558-1592), il primo scrittore professionista tra quelli incontrati finora. La grande produzione in prosa di Greene, che fu anche il drammaturgo, attraversò varie fasi, una prima fase eufuistica (1583-84), una seconda fase che va dal 1585 al 1588. L'ultima fase di Greene comprende i cosiddetti "repentance pamphlets" in cui l'autore condanna le follie della sua vita spericolata e propone il suo pentimento come sempre per il lettore, e i "cony-catching palmphlets", ambientati nel mondo dei bassifondi e della malavita londinese. Lo scopo dichiarato di questi pamphlets è denunciare le astuzie e gli inganni ideati dalla schiera di furfanti londinesi (i "rogues") per truffare o derubare le loro ingenue vittime, i cosiddetti "conies". Due elementi dominano questi lavori: la descrizione delle truffe e la descrizione della malavita londinese (con le sue leggi, la sua gerarchia e il suo gergo). I "cony-catching pamphlets" appartengono a un tipo di produzione in prosa più popolare e realistica a cui è associato il capolavoro narrativo di Thomas Nasche (1567-1601) "The Unfortunate Traveller" (1594), amico di Greene e anch'egli scrittore professionista e autore di drammi. Nashe affianca e mescola una molteplicità di generi e modi: gli scherzi da raccolta di facezie, il sermone e il pamphlet moraleggiante, la satira, la letteratura di viaggio, la narrativa storica, i racconti di vendetta, la tragedia e la tragicommedia. Anche la produzione di Thomas Deloney (ca. 1543-1600) è di natura popolare e realistica. A differenza di Greene e Nashe, Deloney non ebbe un'istruzione universitaria, ma era un tessitore di seta, e compositore di vallate. Le sue opere narrative sono ambientate tra gli artigiani e i mercanti del passato. Le sue opere sono caratterizzate da uno stile altamente drammatico: il lettore entra nel mondo dei personaggi principalmente attraverso i dialoghi e l'azione. L'autore struttura la narrazione in scene, e spesso usa i singoli capitoli come unità narrative distinte. Il dialogo ha sempre un carattere naturalistico e colloquiale, del tutto insolito nella narrativa del tempo. LA POESIA DEL CINQUECENTO 1. TRADIZIONE E INNOVAZIONE Nel 1579 Edmund Spenser (ca. 1552-1599) pubblicò The Shepheardes Calender presentandosi come il nuovo poeta ma già in qualche modo classico. La poesia del Cinquecento inglese era caratterizzata dall'opposizione tra novità e classicità, tradizione ed innovazione. Il termine "classico" nel Rinascimento inglese comprende sia gli autori della tradizione greca e latina, sia gli autori italiani e francesi, ovvero i più diretti continuatori ed innovatori di quella tradizione antica. I modelli della poesia epica venivano messi alla pari con quelli italiani, tanto era alto il prestigio che la letteratura e la cultura italiane godevano presso la corte inglese. Spenser incarna un'ansia di rinnovamento, mi sono sentito già gli inizi del secolo ed espresso da John Skeleton nel poemetto Philip Sparrow (ca.1505) dove lamenta la rozzezza, piattezza e povertà della lingua poetica inglese. Lo svecchiamento della lingua inglese necessario per staccarsi dalle forme poetiche medievali è testimoniato dalla ricchezza dei trattati che furono pubblicati negli ultimi decenni del Cinquecento come The Defence of Poesy di Sir Philip Sidney. 2. TRADUZIONE COME INNOVAZIONE Uno dei mezzi principali messi in atto per questo lavoro di rinnovamento fu la traduzione, sia di autori classici che di autori contemporanei. Tradurre significava accostarsi a testi considerati come modelli da imitare; implica uno sforzo cosciente di rendere in lingua inglese e forme nuove, nuovi schemi metri e ritmici; significò una sfida di appropriazione e di rielaborazione. Henry Howard, conte di Surrey (1517-1547), diede negli anni ‘30, con la traduzione dei canti II e IV dell'Eneide, il primo esempio di poema epico in blank verse. Vennero tradotte anche le metamorfosi di Ovidio, l'Orlando Furioso di Ariosto, la Gerusalemme liberata di Tasso. Importante fu la traduzione dei Salmi: tradurre i salmi significò attuare un incontro diretto con le sacre scritture esprimere una risposta personale ed individuale ad esse, ma anche sperimentare una varietà infinita di forme metriche, di soluzioni ritmiche, di assonanze, consonanze e rime. La traduzione, più che resa letterale, era più spesso intesa come interpretazione e rielaborazione, come sperimentazione ed espressione personale. Un ruolo importantissimo e Sir Thomas Wyatt (1503-1542), il primo che tradusse alcuni sonetti di Petrarca nella loro propria struttura e forma metrica. Wyatt fu in Italia in missione diplomatica per conto di Henry VIII nel 1527. Wyatt dovette venire in contatto con le discussioni allora in corso in Italia, e ne fece tesoro, importando la forma del sonetto in Inghilterra. Questo significò per i poeti inglesi: - appropriarsi di una forma e di un metro stranieri e adattarli alle esigenze della lingua inglese; - appropriarsi di una tematica obsoleta ed inserirla in un contesto storico-sociale del tutto diverso. Traducendo Petrarca, Wyatt colloca un suo sonetto nell'ambiente della corte di Henry VIII modificandone profondamente la lettera e il senso con un processo di smontaggio, rettifica e rimontaggio che nel risultato finale lascia ben poco del poeta italiano. Wyatt cancella le descrizioni paesaggistiche di Petrarca e la sua staticità conferendogli una certa dinamicità. Inoltre la tensione spirituale di Petrarca lascia il posto ai tormenti e alla frustrazione di una concreta avventura cortigiana. La spinta al divino diviene un gioco crudele retto dalle leggi della corte: in Petrarca Laura, la donna volta a Dio la cui collana di diamanti è simbolo di purezza che la rende intoccabile agli uomini perché è volta al solo Dio; la collana di diamanti della donna di Wyatt invece è un dono di un potente e dunque ella è intoccabile perché appartiene ad un altro uomo dinanzi al quale il cortigiano Wyatt non può far altro che retrocedere. 3. POESIA E CORTE Questo ci porta alla corte, l'ambiente che condizionò e influenzò l'attività poetica del cinquecento, e al rapporto con i due sovrani più importanti della dinastia Tudor, Henry VIII ed Elizabeth I. La sorte dei poeti cortigiani e della loro poesia è legata al monarca. Il cortigiano si trova in uno stato di perenne incertezza ed oscillazione perché è soggetto agli sbalzi d'umore del sovrano e ai rapporti tra le grandi famiglie nobiliari. Tema ricorrente dei poeti e allora la Fortuna, del Caso, dell'instabilità della vita dell'uomo. Dal canzoniere di Petrarca i poeti inglesi trassero a tutto la dimensione della sospensione esistenziale del poeta italiano, il suo descriversi come intimamente diviso tra gioia e disperazione, tra speranza e disillusione trascurandone il dato più spirituale e religioso e affascinati dall'uso dell'ossimoro come trama di lunghi testi (ricordiamo che l'ossimoro è una figura retorica che blocca e immobilizza, Che non risolve e non scioglie i nodi esistenziali che avvincono l'anima del poeta. La voga dei canzonieri di stampo petrarchesco fu iniziata dalla pubblicazione, nel 1591, di "Astrophel and Stella" di Sir Philip Sidney (1554-1586). Esso fu seguito da numerosi altri canzonieri o sonnet sequences la cui dimensione è la terra dove la carne domina sullo spirito. Il culmine di questo percorso di allontanamento dallo spirito di Petrarca sarà raggiunto con i Sonnets di Shakespeare nel 1609, dove l'io poetico è diviso tra due diversi amori (e non è semplicemente sospeso tra la speranza di ottenere l'amore della donna amata e la coscienza disperata di non poterla mai raggiungere) per un "fair youth" e una "dark lady": all'amore per una donna si aggiunge l'amore per un ragazzo. La regina Elizabeth fu cantata con svariati nomi tra cui Astrea che secondo i miti classici fu l'ultima divinità a lasciare la terra prima del trapasso all'età del ferro. Il ritorno di Astrea significa un ritorno all'età dell'oro, perduta col passare dei secoli, un ritorno all'età dell'ordine e dell'armonia. Questo è il nucleo centrale della poesia rinascimentale inglese: la sua tendenza all'ordine, la lotta contro il caos, l'aspirazione a un ricomposto e riconquistato cosmos. La vita di corte è una vita di insicurezza, le nuove scoperte geografiche ampliano la misura conosciuta del mondo, l'esperienza del mondo e del reale è esperienza della molteplicità della frammentarietà, perciò la poesia cerca di dare un ordine a questo disordine, Di unire la frammentarietà, di sospendere il passare del tempo. E lo fa attraverso la metrica e le forme chiuse di sonetti, ordini, stanze epiche, elegie... anche la retorica è importante e strumento perché intesa come mezzo razionale che dà ordine: prima il pensiero, poi alla forma letteraria e di conseguenza al mondo. I poeti prediligono forme fisse e chiuse per ingabbiare e fissare l'esperienza del sensibile. A questo proposito è importante il canzoniere di Edmund Spenser, composto dalla sequenza di sonetti Amoretti e dal poemetto "Epitalamio": È l'unico caso in cui l'amata accetta l'amore del poeta e lo sposa. La celebrazione poetica della cerimonia nuziale è un pretesto per celebrare l'unità dell'amore divino e dell'armonia cosmica in un canto in cui le voci del mondo cantano all'unisono con le voci celesti. 4. POESIA E POETICA I trattati di poetica insistono sul valore conoscitivo, formativo e normativo della poesia. Per Sydney la poesia è superiore alla filosofia e alla storia perché supera il dato particolare per giungere all'universale; E il poeta può dare vita a mondi nuovi, ideali, i quali si pongono come modello da imitare. Lo scopo della poesia è ordinare e insegnare, trasmettere la conoscenza di quest'ordine che poeta, per primo, ha saputo cogliere e al quale ha dato forma. Fondamentale è il concetto di "teaching" implicito in gran parte della poesia rinascimentale. Scopo della poesia è insegnare, invitare l'uomo a pensare a riflettere non solo perché al pensiero e alla riflessione deve seguire l'azione, ma anche per dare un senso a un "mondo senza senso". Però l'utopia poetica che vince il tempo, il sogno di un'armonia cosmica, devono scontrarsi con la realtà del mondo sensibile. Il mondo quindi è raffigurato come un teatro dove l'uomo è un semplice attore, la vita è rappresentata come un palcoscenico dove commedia e tragedia si alternano (come in Amoretti di Spenser o nei Sonnets di Shakespeare). L'io è in crisi, e se in Amoretti, dal caos dell'io si giunge ad un ordine che è esteriore ed interiore, ciò non accade negli altri canzonieri. Le sonnet sequences di Sidney, Daniel e Drayton si chiudono con l'immagine di una separazione definitiva tra amata e amante provocando una perdurante di visione interiore rafforzata dagli ossimori. La più grande opera poetica del secolo è The Faerie Queene di Spencer, un'opera immensa incompiuta e composta da sette libri, con cui l'autore ha voluto dare all'Inghilterra quel poema epico che ancora le mancava ovvero quello che doveva celebrare la dinastia Tudor nella figura di Elizabeth I e la nuova religione anglicana. Nel corso del cinquecento fece la sua comparsa la scrittura femminile. Una figura importante fu Mary Sidney la quale diffuse i propri componimenti poetici tra la nobiltà. La prima donna a pubblicare un testo poetico in Inghilterra fu Isabella Whitney, donna di modesto centro sociale che pubblicò The Copy of a Letter (1567) e A Sweet Nosegay (1573). Ella compie l'atto rivoluzionario di una donna che, anziché dedicarsi alle faccende domestiche, prendi in mano la penna e scrivere. Ma a questa rivoluzione fa da contraltare il tono moralizzante dei suoi versi, la volontà di insegnare alle sorelle il retto comportamento femminile rivelandosi garante dell'ordine costituito. LA TRADUZIONE E LA LINGUA LETTERARIA 1. INTRODUZIONE I traduttori elisabettiani contribuirono allo sviluppo e all'arricchimento della propria lingua mediante la lingua o le lingue straniere con cui erano entrati in contatto. 2. UN SECOLO DI TRADUZIONI Il ‘500 è contrassegnato da un'intensa attività traduttiva in lingua volgare: la traduzione trasporto dal passato e dal presente opere di ogni genere. Nell'epoca elisabettiana (1558-1603) non si può non menzionare alcune traduzioni significative per l'impatto sulla lingua, la cultura e la letteratura di opere passate e coeve come le Metamorfosi di Ovidio, Vite Parallele di Plutarco, i Saggi di Montaigne, la storia di Roma "ab urbe condita libri" di Tito Livio, Le vite dei Cesari di Svetonio, la traduzione dell'Odissea di Omero (1614-1615). 3. “TRANSLATION […] IS LEARNING IT SELF”: LA TRADUZIONE COME MEZZO DI CONOSCENZA Questa frenetica attività traduttiva era alimentata dalla forte istanza divulgatrice dei traduttori e degli stampatori, supportata dai bassi costi della stampa che rendevano il libro un prodotto largamente accessibile ai cosiddetti "unlearned" (illetterati), "unlatined" o "non expert in tongues", coloro cioè che non erano in grado di capire le lingue straniere sia classiche che moderne. Il desiderio di alfabetismo di un pubblico sempre crescente di lettori. Il volgare era d'obbligo nei testi religiosi perché si poteva fare a meno dell'intermediazione degli uomini di chiesa (così come rivendicato dalla Riforma), nei testi laici invece perché era più facile autoistruirsi in una società moderna in cui era sentita la necessità di consultare manuali di ogni genere, di conoscere il mondo dell'antichità con la lettura dei classici da poco riscoperti e il mondo circostante con la lettura di opere contemporanee di paesi culturalmente più avanzati. L'intento didattico e utilitario dei traduttori e degli stampatori a volte viene dichiarato già nei frontespizi, nei paratesti e nelle prefazioni delle traduzioni attraverso parole ricorrenti come "benefit", "profit", "profitable", "useful", "necessary". A volte lo scopo didattico-utilitario della traduzione veniva espresso estesamente dal traduttore. L'istanza democratizzatrice che spingeva a tradurre dagli antichi e dai moderni, per abbattere le barriere culturali tra letterati e il letterati, era accompagnata dalla difesa della traduzione intesa non solo come mezzo per accedere a sapere, ma anche come mezzo di arricchimento della propria lingua. C'era una stretta correlazione tra traduzione, sapere e lingua: la traduzione apriva gli scrigni del sapere, e ne diffondeva le ricchezze, i contenuti e le forme, nella cultura e nella lingua di arrivo, appropriandosene e tramutandoli. 4. VERSO UNA LINGUA ‘ELOQUENTE’ Nella prima metà del secolo era diffusa la convinzione dell'inadeguatezza della lingua volgare rispetto alle lingue lessicalmente più ricche da cui si traduceva. I traduttori erano consapevoli di portare dalla lingua di partenza fatti, idee e parole che non trovavano equivalenti adeguati nella lingua di arrivo ed erano quindi costretti a coniare nuove parole. Ai sostenitori dell'arricchimento della lingua per mezzo dei prestiti (borrowings) dalle lingue classiche, principalmente dal latino, si opponevano i puristi, il cui maggiore rappresentante è il professore di greco di Cambridge John Cheke (1514-1557), in nome della chiarezza e della purezza, note virtù dell'oratore della retorica classica. Alla base dell'opposizione c'era sì l'istanza divulgatrice che propugnava una lingua comune, d'uso, accessibile a tutti, ma c'era anche l'orgoglio nazionalistico che opponeva resistenza all'ammissione di termini stranieri. Alla fine il processo di arricchimento prevalse. La lingua si arricchì di nuovi lessemi e di nuove accezioni semantiche con un incremento medio di 50 nuovi lessemi e accezioni semantiche all'anno intorno al 1500, e di 350 intorno al 1600. La lingua si arricchì anche retoricamente: le traduzioni più riuscite presentano figure retoriche come la sinonimia, l'anafora, il poliptoto, la figura etimologica, l'antitesi e il parallelismo. Il traduttore tenendo in mente il suo pubblico "unlatined" per il quale usava una lingua piatta, comune, obbediva al tempo stesso alla pressione della lingua di partenza antica o moderna, lessicalmente e retoricamente ricca, trasportando parole e figure nella sua lingua. Il traduttore rispondeva così alle due tensioni del volgare: una verso il basso per raggiungere i suoi lettori, uno verso l'altro per conferire "eloquenza" ovvero l'elocutio della retorica classica alla sua lingua. Già verso l'ultimo quarto del secolo, la lingua non era più considerata "barbara" ma "eloquente". LA TRADUZIONE ELISABETTIANA: IERI E OGGI Per decenni la traduzione elisabettiana è stata considerata dal punto di vista della 'resa' dell'originale. Questo punto di vista, caratterizzato da una forte impronta critica personale che portava ad innalzare la traduzione allo stato di arte tramite l’uso di una lingua vigorosa ed audace, è stato ridimensionato e superato. 3. L’AGGREGAZIONE PER GENERI 3.1. LA TRAGEDIA Nel primo gruppo di opere si segnala la predominanza della tragedia ritenuta la forma più adatta a provare lo status dell’autore moderno. In primo luogo assistiamo a esperimenti eruditi: - sono di questo periodo le tragedie di Jonson basate sull’attenta traduzione e selezione di fonti classiche; - un esperimento analogo di closet drama (o dramma riservato alla lettura) è la “Tragedy of Mariam di Elizabeth Cary” scritto da Elizabeth Cary (1585-1639). Ma è soprattutto la tragedia domestica ad avere successo che trattava eventi di cronaca nera. Questo è anche il periodo delle tragedie shakespeariane in particolare di “Hamlet”: fiorisce infatti il genere della tragedia di vendetta dove ritroviamo l’analisi del male insito nel potere, una psicologia contorta e aggrovigliata risolta dallo spargimento di sangue o di veleno. Le tematiche principali sono la falsità, la vendetta. 3.2. LA COMMEDIA A questa concentrazione di tragedie dei primi anni del Seicento si contrappone la creazione di un canone nazionale comico che non ha più bisogno di chiedere in prestito per intero le trame. Nasce il genere della city comedy che trae spunto dall’osservazione dei costumi decadenti e corrotti della Londra di inizio secolo e degli eccessi moralistici dei puritani, genere comico concentrato sulla scena sociale in cui vive l’autore elisabettiano. La trama tipica si basa sulla rappresentazione dei meccanismi economici e sessuali di creazione e circolazione del potere e dell’autorità. 4. LA MATURITA’ ELISABETTIANA • In questo periodo compaiono le maggiori commedie di Jonson come “Volpone” (1607), “The Alchemist” (1610, pubblicata nel 1612). La prima riproduce i meccanismi e gli intrecci dell’imbroglio e della seduzione propri della city, nella seconda svela le motivazioni profonde che si celano dietro ai personaggi più grotteschi. • A questo stesso gruppo appartengono le due tragedie principali di Webster: “The White Devil”: raffigura le vicende della tresca tra il duca di Brasciano e Vittoria Accoramboni; “The Duchess of Malfi” (1614, pubblicata 1624): rappresenta le persecuzioni e le vessazioni, con particolari orridi, condotte dai fratelli sulla duchessa a causa del suo matrimonio segreto con il maggiordomo Antonio Bologna. Entrambe sono di ambientazione italiana: il contesto italiano permette di proseguire la finzione e di additare la corruzione di solito addossata polemicamente ai cattolici e la loro ossessione per il veleno. In queste tragedie è così evidente il lavoro di scavo psicologico e di creazione dei personaggi, che raramente si avverte la natura convenzionale esotica dell’ambientazione. L’orrore e l’eccentricità sono segno di una perversione morale e di una corruzione non più riparabile. Di Webster si ricorda per lo più la predilezione per l’oscurità fisica e morale, l’interesse per il dettaglio truculento, il gusto per la dissezione corporea e la tortura fisica e psicologica. Nelle opere di Marlowe ora c’è un eccesso inspiegabile di oscurità. • I principali drammi di Middleton invece segnano un ritorno alla potenza jansoniana dell’intreccio, soprattutto le ultime due opere (“A Game at Chess”; “Women Beware Women”) in cui viene mostrata la macchinosità degli eventi. L’occasione italiana serve a tratteggiare una questione anche domestica, l’effetto dell’arricchimento sulle virtù delle nascenti classi medie. Il capolavoro di Middleton, e forse la tragedia più significativa del periodo, è “The Changeling”. In quest’opera sono presenti l’ambientazione italiana in cui le passioni si scatenano, l’arte comica delle scene ambientate nel manicomio, l’orrore e l’omicidio come simbolo del male interiore, la degradazione della donna. • Il masque finale fra tutti segnato dall’avvelenamento, sotto la scorza italianeggiante e depravata, non fa dimenticare che la fonte principale d’ispirazione resta tuttavia la city. 5. LA PROLIFERAZIONE Nel terzo gruppo di opere assistiamo ad una proliferazione dei generi. Segno distintivo di questa produzione è l’affermarsi della tragicommedia, nata da una contaminazione di generi ma a sua volta pronta a strutturarsi con precise convenzioni di genere. Altrettanto notevole è la presenza di temi, elementi e trame tratte dalla tradizione europea che ora vengono resi da una marca più evidente per un più generale gusto per l’avventura romantica tipico dell’età carolina. Tuttavia sono Beaumont e Fletcher a maneggiare con sapienza lo stile tragicomico che attingono non solo a fonti italiane ma anche spagnole. Massinger ripristina invece le vecchie forme di miracle play quasi in una nascosta apologia cattolica, inoltre riprende il modello jonsoniano della tragedia classica e tratteggia l’antico tema della rivolta degli schiavi. Ford invece predilige l’ambientazione italiana: dietro i continui spostamenti di ambientazione, permane un’identica atmosfera morale cupa e sorda. IL TEATRO DEL SECONDO SEICENTO 1. IL CONTESTO STORICO E CULTURALE 1.1. L’ISTITUZIONE DEL SISTEMA MONOPOLISTICO. LA CORTE E LE SCENE • Nonostante i continui editti di censura contro le rappresentazioni teatrali emessi dai puritani, i quali ordinarono la chiusura di tutti i teatri nel 1642, durante il protettorato di Oliver Cromwell (1653-1658) gli spettacoli teatrali continuarono irregolarmente in sedi temporanee (Rutland House, Cockpit) della capitale destinate a rappresentazioni semi-clandestine. • Al termine del protettorato questi luoghi teatrali ospitarono i primi drammi musicali di Davenant come “The Siege of Rhodes” (1656) e “The Cruelty of the Spaniards in Peru” (1658). Davenant innestò nei suoi drammi un’innovativa componente musicale (da qui la definizione di operatic dramas), tesa a volgere l’attenzione del censore dall’elemento parlato dello spettacolo, fermamente osteggiato dai puritani, a quello cantato, meno avversato. • Al termine dell’Interregnum repubblicano (1649-1660), durante il quale le attività teatrali erano sospese, il sovrano restaurato Charles II (in carica dal 1660 al 1685) concesse nel 1660 il “privilegio reale” (royal licence) a Davenant e Killigrew. Questa licenza permetteva di fare teatro con l’approvazione diretta del sovrano. Così Davenant e Killigrew diedero vita a due compagnie teatrali collegate direttamente alla corte come è evidente dai loro nomi: rispettivamente la “Duke of York’s Men” e la “King’s Men Company”. 1.2. IL REPERTORIO E LE DONNE La sospensione delle attività teatrali durante l’Interregnum aveva compromesso la composizione di nuovi lavori drammatici, dunque con la riapertura dei teatri il repertorio delle due compagnie risultò formato da una combinazione di lavori elisabettiani e giacobini (principalmente ad opera di Jonson, Beaumont, Fletcher e Shakespeare). A ciascuna delle due truppe fu affidato un repertorio drammatico ben preciso: Killigrew si accaparrò il diritto di da rappresentare i drammi più noti costringendo Davenant invece a rivolgersi alla messinscena spettacolare tesa a compensare un repertorio oggettivamente debole e attori meno esperti. Per la prima volta si segnala la presenza di un certo numero di attrici che ora avevano il compito di calcare le scene (ben presto la presenza femminile divenne evidente anche come un nuovo elemento drammatico determinante a livello formale e tematico nella tragedia e nella commedia). Il sistema delle licenze istituito da Charles II dette dunque vita a un “duopolio teatrale” che perdurò fino al secolo successivo. Uno degli effetti del duopolio fu il consolidamento di un’ideologia drammatica. Il duopolio infatti da un lato comportò implicitamente la limitazione del numero di nuovi lavori, dall’altro pose un considerevole freno allo sviluppo di una produzione teatrale autonoma al femminile che era priva di quella tradizione culturale pregressa e di quel consolidato successo scenico che l’avrebbe resa un buon investimento per Killigrew e Davenant. Il teatro tardo-seicentesco inoltre dipendeva politicamente ed economicamente dal favore reale, infatti c’erano dei vincoli di dipendenza politica ed economica che legavano il sovrano e gli attori. Perciò i drammi storici messi in scena in questi anni venivano riadattati, anche da un punto di vista linguistico, secondo i criteri predeterminati di esaltazione ideologica dell’autorità monarchica e del ritrovato ordine civico. 1.3. DALLA CORTE ALLA CITY: LA NASCITA DI UN NUOVO PUBBLICO Il periodo della Restaurazione è stato convenzionalmente delimitato dagli storici tra la salita al trono di Charles II (1660) e l’ascesa al trono della regina Anne (ultima sovrana Stuart) (1702) che costituisce dunque una simbolica data di chiusura di questa fase tardo-seicentesca della storia del teatro e della letteratura drammatica inglese assai diversificata al suo interno. Il periodo di transizione dalla dinastia Stuart a quella Hannover è segnato da due eventi epocali: l’affermazione della cultura della coffee-house e la nascita del giornalismo. Questa rivoluzionaria democratizzazione della cultura materiale a stampa investì inevitabilmente anche l’universo teatrale. Il passaggio da un secolo all’altro coincise con la testualizzazione di parte del repertorio drammatico, valutato sempre più adesso come testo da leggere in solitudine e non più come testo da guardare a teatro in compagnia. Queste mutazioni sociali testimoniano il tramonto dell’aristocrazia e allo stesso tempo preannunciano l’ascesa della middle class borghese e mercantile, seguita dal trionfo domestico e di vocazione urbana. A sua volta il teatro cominciò ad attrarre un pubblico sempre più vasto e variegato i cui gusti avrebbero modellato il repertorio degli anni a venire. 2. IL REPERTORIO DRAMMATICO 2.1. LA TRAGEDIA Il dramma politico e la tragedia eroica All’interno del genere tragico fu il dramma eroico a cogliere compiutamente il legame tra politica e rappresentazione teatrale. Esso rispecchiava i criteri dell’estetica aristotelica: i personaggi erano eroi ed eroine nobili, appartenenti a epoche e civiltà distanti nello spazio e nel tempo, spesso vittime di un conflitto distruttivo tra invincibili sentimenti personali di amore e dedizione per l’amato e altrettanto forti obblighi di onore e fedeltà nei confronti dello stato. Era un genere artificioso che aveva lo scopo di suscitare l’ammirazione del pubblico, colpito dalla nobiltà d’animo dei protagonisti che costituiscono proiezioni esemplari irraggiungibili dallo spettatore medio. Successivamente si nota come allo sbalordimento del pubblico vada ad affiancarsi e poi a sostituirsi un nuovo sentimento di partecipazione umana ovvero la compassione: l’elemento patetico (commovente, toccante) e la componente privata iniziano ad imporre le proprie ragioni sulle vicende di stato come dimostrano due opere di Drury Lane “All for Love” e “the World Well Lost”. In esse infatti i sentimenti provati diventano di importanza pari se non superiore al dovere di uomo pubblico. I massimi esponenti di questa tradizione drammatica furono Nathaniel Lee e John Dryden. Il dramma tardo barocco La commistione di sentimentale ed eroico rimanda all’affermazione di uno dei sottogeneri del dramma barocco ovvero la tragedia patetica consolidatasi nel decennio 1670-1680. In esse a prendere il posto del sentimento dell’ammirazione sarà la pietà per le sventure private dei protagonisti e ciò si nota già dai titoli delle opere che focalizzano già l’attenzione sulla vittimizzazione della protagonista. I profondi mutamenti del teatro vengono riassunti ne “The Mourning Bride” di William Congreve, esponente della commedia del periodo della Restaurazione. The “she-tragedy” Mentre a livello tematico va affermandosi sempre più l’elemento patetico e sentimentale, a livello formale invece predominano scene di forte impatto emotivo (tableaux) costruite sulle abilità teatrali di grandi primedonne come Elizabeth Barry il cui scopo principale era quello di provocare una reazione affettiva nel pubblico, mosso a compassione e pertanto istruito (secondo la teoria aristotelica della catarsi), proprio attraverso l’impatto emozionale dell’evento rappresentato. Le “she-tragedies” non sono altro che drammi caratterizzati da una forte componente emotiva incentrati su figure di donne perseguitate e costantemente vittime della loro stessa virtù e dunque sempre centrali a livello tematico. Il dramma patetico e la tragedia al femminile tipici del secondo Seicento dimostrano come la focalizzazione sulla dimensione privata implichi una forte mutazione culturale resa evidente attraverso la maggiore corrispondenza tra opera teatrale (il dramma) e la realtà che essa imita, così diversa dall’enfasi sull’elemento politico e pubblico propria del dramma eroico. Dunque pian piano la tragedia abbandona le sfere della ragion di stato o della storia classica e inizia a privilegiare un’ambientazione realistica e domestica. E’ così che si preannuncia la centralità dell’individuo medio, poi destinata a essere celebrata nel secolo successivo. 2.2. LA COMMEDIA Al polo opposto della tragedia eroica troviamo la commedia caratterizzata da ambientazioni, eventi, personaggi e linguaggio realistici facilmente riconoscibili e dunque pienamente condivisibili da parte del pubblico. Questa unione tra spettatore e spettacolo evidenzia la dimensione sociale della produzione leggera della Restaurazione, nota anche con i nomi di satira sociale, commedia di costume, commedia d’intrigo o London comedy nel rispetto di ciò che andavano a privilegiare: le forme, i contenuti, l’ambientazione. I dialoghi adottano quella conversazione basata sul witticism che caratterizzava la vita della corte Stuart. Evidente è l’influenza del teatro francese le cui figure ricorrenti sono dotate di un patronimico che determina già il loro comportamento. Inoltre queste figure ricorrenti sono rappresentate da una triade costantemente in azione: ad una coppia di giovani amanti (gay couple) si affiancavano da un lato il rake (virile) e dall’altro il fop (effemminato) in contrasto alla brutale virilità del rake. 3. DAL TEATRO AL ROMANZO E’ proprio dalla tradizione drammatica della Restaurazione (1660-1702) che ebbe origine la grande tradizione del romanzo inglese-settecentesco. Questo fu possibile grazie all’influsso che la commedia operò sulla narrazione fortemente basata sul dialogo portando con sé l’ambientazione contemporanea, l’uso di personaggi e situazioni realistici in cui il pubblico poteva riconoscersi e immedesimarsi. Dalla tragedia barocca si adottò invece l’interesse per le trame incentrate su vicende private, in particolare di personaggi femminili. Un altro contributo del dramma seicentesco allo sviluppo del romanzo fu dato dalla descrizione delle passioni attraverso quel repertorio scientifico di segni del corpo, gesti e toni della voce che solo pochi anni prima aveva trovato origine sui palcoscenici londinesi. 4. IL TEATRO MUSICALE E L’OPERA Il teatro del secondo Seicento è anche ricordato per numerose produzioni musicali. La più importante fu “The Tempest” di William Shakespeare il cui riadattamento fu a caratterizzarne il più clamoroso e duraturo successo. Esso fu frutto della collaborazione congiunta di Davenant e Dryden che la pubblicò nel 1670 ma fu rappresentata nel 1667. The Tempest dunque rappresenta la versatilità che contraddistingue la produzione degli autori della Restaurazione, epoca in cui per altro non era stata ancora rigidamente stabilita né l’idea dei generi letterari né quella delle autorità e perciò gli autori privilegiavano spesso forme di composizione congiunta, in collaborazione. Nel periodo della Restaurazione l’edificio teatrale era stato immaginato come adatto all’allestimento di due tipologie di spettacoli quelli drammatici e quelli musicali con specifiche necessità di messinscena. Le “semi-opere” della Restaurazione rispecchiano perfettamente questa versatilità di ambientazione. Su questa struttura si innestava la componente teatrale di origine europea. Un esempio anticipatore di questa unione tra dialogo e spettacolo tipica del teatro musicale inglese risale già al 1656 quando venne usato per “The Siege of Rhodes” di Davenant un elaborato scenario mobile il cui autore era l’architetto neoclassico John Webb che negli anni ’30 aveva collaborato col suo maestro alla realizzazione di articolati spettacoli di corte quali masques e balletti. LA PROSA DEL SEICENTO La produzione in prosa del Seicento rispecchia la complessità dell'epoca la quale assiste a radicali trasformazioni in ogni campo del sapere. Fioriscono scritti su argomenti religiosi, filosofici, politici, scientifici e letterari, a cui vanno Dopo la guerra civile (fu un conflitto civile combattuto in Gran Bretagna tra il 1642 e il 1651, nell'ambito delle cosiddette Guerre dei tre regni) fu incarcerato ed è in prigione che scrive il suo capolavoro: The Pilgrim's Progress (1678). Si tratta di una narrazione allegorica che ha per oggetto il viaggio del protagonista, Cristiano, dalla Città della Perdizione alla Città Celeste. Le località attraverso le quali il protagonista si trova a passare rappresentano le varie fasi e le varie prove che l'anima deve superare nel suo cammino verso la salvezza. Anche i personaggi in cui Cristiano si imbatte sono allegorici. La seconda parte, pubblicata nel 1684, è di minore interesse perché è tratta della decisione di Cristiana di percorrere il medesimo cammino del marito. 6. I SERMONI Nonostante i progressi della scienza, uno dei maggiori interessi del secolo rimane quello religioso e i libri dedicati a questo argomento tra cui le raccolte di sermoni, trattati teologici ecc. furono numerosissimi. I sermoni soprattutto furono molto popolari, sia orali che scritti, grazie anche alle diverse arti che vi confluivano (retorica, logica, l’erudizione teologica e linguistica): la gamma di stili e di figure usate era vastissima. Tra i tanti predicatori ricordiamo Lancelot Andrewes (1555-1626) (sermoni dallo stile serrato e intenso con cui si sviluppano le varie argomentazioni). John Donne (1572-1631), i cui sermoni erano molto popolari e famosi, le argomentazioni molto curate che partono da una citazione della Bibbia che poi viene amplificata criticamente e con commenti o applicazioni pratiche. In Donne colpiscono i mutamenti di tono (rapsodico -> elegiaco), e l'unione di elementi passionali ed intellettuali che conducono a esiti linguistici originali e coinvolgenti. Non dimentichiamo John Taylor (1613-1667). I diversi saggi e pamphlet, come già detto, anticipano il genere del saggio giornalistico degli inizi del ‘700. 7. LA PROSA DI MILTON Fondamentali per lo sviluppo del futuro pensiero liberale sono le opere in prosa di John Milton tra cui annoveriamo i 4 trattati sul divorzio scritti tra il 1643 e il 1645. Negli stessi anni apparve anche Areopagitica (in sostegno della libertà di stampa) e in The Tenure of Kings and Magistrates, scritto subito dopo la morte del re Charles I (1650) per giustificarne l’uccisione (primo regicidio della storia europea), Milton afferma che tutti gli uomini sono nati liberi, sviluppa il principio del contratto sociale e aggiunge un importante corollario in cui egli sostiene il diritto dei sudditi di ribellarsi al tiranno e di condannarlo a morte. Questo scritto fu molto apprezzato dal parlamento puritano, che fece dello scrittore il sostenitore del governo di Cromwell e gli procurò l’incarico di segretario dello stato per le lingue straniere. 8. SAGGISTICA E DIARI Va ricordato il saggio di John Dryden (1631-1700) Essay of Dramatic Poesy (1668) in cui quattro personaggi esprimono i loro diversi punti di vista sull’argomento. Importanti sono anche i saggi di Sir William Temple (1628-1699) che trattano di argomenti politici o economici inframmezzati da commenti e riflessioni personali; non si può menzionare inoltre The Complete Angler, or the Contemplative Man’s Recreation di Isaac Walton (1593-1683) scritta in forma di dialogo fra tre uomini che abbandonano la città per trascorrere alcuni giorni nella campagna attorno a Londra dedicandosi alla pesca: si parla molto delle varie tecniche per pescare e dei modi in cui cucinare il pesce, ma vengono descritte soprattutto le bellezze della vita bucolica ed espressa la nostalgia per il tempo passato. L’avvento del giornalismo settecentesco lo dimostrano anche fogli dal contenuto fortemente politicizzato e partigiano e il Diary di Samuel Pepys (1633-1703) che copre il periodo che va dal 1666 al 1669 e quello di John Evelyn (1620-1706). ▲ Samuel Pepys traccia un quadro vivo e dettagliato degli avvenimenti di quegli anni: • • il ritorno di Charles II • la sua incoronazione • la peste del 1665 • l’incendio di Londra del 1666 • le guerre contro i Paesi Bassi È un a testimonianza diretta dei più importanti eventi del tempo e offre anche aneddoti divertenti e quadretti di vita coniugale e rivela la passione dell’autore per il teatro fornendoci notizie curiose sui drammi e sulle commedie che godevano di maggiore successo durante la Restaurazione (1485-1603). ▲ Anche Evelyn nel suo Diary, molto più esteso di quello di Pepys, descrive gli eventi drammatici di cui fu testimone, ma la sua narrazione è sempre obiettiva e misurata, mai o quasi mai partecipe o commossa come quella di Pepys. Evelyn era un uomo investito di importanti cariche pubbliche che lo videro impegnato anche nella progettazione e nella ricostruzione di Londra dopo il grande incendio del 1666 e nella organizzazione della Royal Society della quale fu segretario. LA POESIA DEL SEICENTO 1. POESIA METAFISICA E CLASSICISMO: JOHN DONNE E BEN JONSON Se la poesia cinquecentesca è caratterizzata dalla tensione verso l'unità e l'armonia, entrare nel seicento significa fare esperienza di una poesia che privilegia la frammentazione e la dissonanza. Una delle maggiori e più influenti personalità dell'epoca è John Donne (1572-1631) che immette anche nella lirica amorosa più matura toni spregiudicati e irriverenti che gli derivano dai modelli latini. Nella raccolta Songs and Sonnets (pubblicata postuma nel 1633) di Donne si trovano anche composizioni che celebrano l'amore reciproco come esperienza di supremo valore. Anche se il titolo associa il canzoniere di Donne alla tradizione petrarchescamente e alla voga del sonetto, i Songs and Sonnets non si presentano come una raccolta di sonetti, ma come una collezione di poesie scritte in forme e metri diversi. Inoltre, queste composizioni d'amore non sono destinate ad una sola donna, né sono riconducibili a un soggetto unitario. Donne fu un instancabile sperimentatore e l'anticipatore in Inghilterra della corrente 'metafisica' (termine impiegato da John Dryden sinonimo di 'intellettualismo' e 'astruseria' e in tale accezione consacrato da Samuel Johnson). La poesia di Donne propone un modello nuovo di interpretazione del mondo, facendo leva sui contrasti e instaurando un collegamento costante fra gli oggetti dell'esperienza sensibile e il mondo dell'intelletto e della moralità: egli amalgama pensiero e sentimento trasformando l'uno nell'altro e viceversa cioè trascrivendo esperienze di vita e sentimenti nei termini astratti del linguaggio filosofico e teologico o traducendo concetti astratti in immagini emblematiche e oggetti concreti. Un altro tratto distintivo della poesia di Donne E l'immediatezza espressiva prodotta da un linguaggio colloquiale spesso calato in un'implicita la situazione drammatica. La sua poesia infatti è caratterizzata da una forte intensità emotiva e passionale che si combina a un'intelligenza attiva e analitica. Egli è sempre alla ricerca di una verità che scaturisca dall'esperienza, diffida dalle convenzioni sociali e dalle opinioni passivamente condivise affidandosi al wit (l'arguzia e il paradosso intellettuale). Le nuove scoperte in campo astronomico, provoca la crisi dei valori rinascimentali, perciò i rapporti fra gli uomini risultano destabilizzati e viene dimenticata ogni relazione e gerarchia ordinatrice: ciascuno arriva a sentirsi come un'entità a sé stante, indipendente e autonoma rispetto agli altri (viene esaltata la dimensione individuale). Nei componimenti amorosi di Donne (Songs and Sonnets) mancano le consuete celebrazioni della donna amata, mentre ciò che viene resa centrale è l'esperienza dell'amore. A parlare è un io libertino secondo il quale ogni donna è incostante e dunque si proclama a sua volta alla ricerca di tutte reclamando piena libertà d'azione. Nella sua raccolta egli reagisce e supera le convenzioni petrarchesche anche in un altro modo ovvero insistendo sul bisogno di reciprocità in amore. L'amore reciproco viene celebrato come stato di pienezza totale e perfezione assoluta. A differenza del pensiero neoplatonico secondo cui l'amante può ascendere all'amore spirituale solo rinnegando il corpo impuro, secondo Donne l'amore spirituale e trascendente è anche sessuale. Contemporaneo di Donne è Ben Jonson (1572-1637), drammaturgo e autore considerato il maggior poeta dell'età giacomiana. Johnson, a differenza del suo contemporaneo Donne, pratica una poesia ben diversa, infatti si rifà ai criteri di equilibrio, decoro, disciplina. Diversamente da Donne, John sonno si pone sulla scia dei classici latini e in particolare di Orazio, celebrando i valori della mediocritas E quelli connessi alla figura del poeta-vate, di cui aspira a ricoprire il ruolo civile e morale. Un'ulteriore differenza tra i due poeti è che Donne volle che i propri scritti fossero destinati in forma manoscritta a un gruppo ristretto di lettori, mentre il Johnson ne curò personalmente la pubblicazione scegliendo di dare alle stampe i suoi testi drammatici e le sue composizioni in versi. Johnson tratto poco il tema dell'amore preferendo mettere in scena le sue frustrazioni di amante piuttosto che i suoi ardori. Egli privilegio i temi sociali e civili che lo portarono a fare parodia di vizi e malcostumi del suo tempo, ritraendoli in tipi umani (cortigiani, usurai, poetastri e così via) di cui seppe cogliere i tratti salienti con versi lapidari e fulminei. Johnson scrive epigrammi, epistole (The Firest), satire, elegie, epitaffi (On My First Son), odi, tutti i generi che attestano la sua padronanza di un'ampia gamma di forme metriche e tonalità espressive. Si tratta di risultati che contribuiranno a rinnovare il panorama della lirica tardo-cinquecentesca, infatti l'esempio di Johnson diverrà un punto di riferimento decisivo per un numero di poeti di più giovane generazione, i quali, pur senza condividere il rigore etico del maestro, si riconosceranno suoi figli e ne riprenderanno parzialmente i modi e le tematiche. 2. POESIA RELIGIOSA E SECOLARE: GEORGE HERBERT E ROBERT HERRICK Tra il 1605 e il 1617 circa, Donne si cimentò anche in versi di carattere religioso con i miei e sonetti confluiti poi nei Divine Poems (1633 e 1635). Più memorabile e influente nel campo della poesia devozionale risulta la raccolta di George Herbert (1593-1633), The Temple che non presenta un filo narrativo, infatti a strutturarla è il gioco delle giustapposizioni e dei riflessi incrociati fra idee e stati d'animo indicativi a loro volta di un soggetto diviso, eternamente vittima dell'incostanza. Tutti i stati d'animo che Herbert concretizza in oggetti (principalmente arrivi o parti architettoniche della chiesa). Robert Herrick (1591-1674) è il poeta che più da vicino segue il modello jonsoniano. Nella Londra degli anni ‘20, Herrick entrò a far parte del cenacolo di Johnson, la 'Tribe of Ben' allora costituitasi. Herrick privilegiò la stagione primaverile, le gioie dell'amore, di svaghi e feste campestri. Tutti momenti festosi di cui il poeta sette cogliere la fugace gioia in lirica e leggiadre e per lo più brevi. Mentre Jonson è il poeta della satira e dell'encomio idealizzante, Herrick cantore di un edonismo (materialismo) lieve, ma consciamente vissuto. Nella sua celebrazione dei piaceri si è vista la volontà di sanzionare la politica dei re Stuart. Herrick manifesta un continuo bisogno di evadere nella gioia di un giorno di festa o in effimere avventure galanti un po' ovunque nella sua poesia svagata e superficiale. 3. DALL’ETÀ CAROLINA ALL’ETÀ DELLA RIVOLUZIONE (1640-1660): “POETI CAVALIERI” E “POETI RELIGIOSI” Negli anni '40, primo decennio dell'età della Rivoluzione (1640-1660), numerosi poeti passano dalla pratica della circolazione manoscritta alla pubblicazione dei loro versi. Si scelse di dare alle stampe anche testi già circolanti nel decennio precedente perché - erano diffusi solo fra gruppi ristretti di lettori di cui si è ipotizzato il disperdersi di queste stesse élites di lettori e di poeti dovuto ai dissesti della guerra civile; - ha influito l'intenzione di alimentare il grande pubblico il sentimento monarchico e anglicano (in tempi di contestazione prima della guerra civile e di sconfitta dopo) con la divulgazione di scritti di autori legati alla corte o votati alla causa del re e alla religione anglicana. Da ciò nasce l'appellativo di "Cavaliers" usata per indicare i gentiluomini di corte che difesero con le armi la causa della monarchia e che, in ambito letterario, è stata poi genericamente applicata ai poeti di parte monarchica, identificando in loro altrettanti "Sons of Ben": discepoli di colui il cui classicismo avrebbe fatto la loro scuola. A dimostrarlo è la triade dei Cavalier poets Per eccellenza, Thomas Carew (1595-1640), John Suckling (1608-1646), Richard Lovelace (1618-1658), tutti poeti cortigiani sui quali influì molto anche la poesia secolare di Donne, infatti nelle loro opere facevano uso del wit e della galanteria fondendoli. Predominante nella loro produzione è infatti il tema d'amore accostato maggiormente con mondano disinganno: non si lascia spazio al sentimento, si passa dalla frivolezza artificiosa alla ribalderia libertina o al franco erotismo spesso ostentando un materialismo cinico e disilluso che riduce tutto ad un gioco dissacratorio e puro passatempo. L'edonismo disinibito, che per Carew e Suckling non fu solo un tema letterario ma anche uno stile di vita, trova un correttivo severo nel ventennio rivoluzionario testimoniato da Lovelace, il più giovane dei tre Cavalier poets summenzionati, e il solo ad assistere alla caduta della monarchia. Anche nella produzione di Lovelace non mancano composizioni riconducibili al scetticismo. Più significative appaiono le sue più tarde poesie: nelle liriche che risalgono agli anni '40 ritrovano infatti valore i sentimenti dell'amicizia, dell'onore e dell'amore. Nuovi significati acquista anche il tema del 'ritiro campestre' che per i Calavier poets fu un modello di riferimento costante che inizialmente costituiva un luogo di eccessiva abbondanza e generosità per poi tramutarsi in una difensiva 'island mansion' fino a divenire solo uno spazio interiore in segno di devozione per la morte del re. Un altro poeta a risentire della prima guerra civile fu Henry Vaughan (1622-1695) Che abbandona l'attivismo politico e al termine della prima guerra civile (1642-1646) fa ritorno in Galles dove conosce la 'Regeneration' e pubblica l'opera Silex Scintillans (1650, 1655). L'avversione puritana per il rituale religioso aveva provocato la scomparsa letterale degli edifici destinati al culto, e per questo il più tardo poeta converte in tempio la natura e muove alla ricerca di Dio fra le sue creature. Dunque la sconfitta monarchica spinge l'anglicano Vaughan verso un misticismo che muove a ritroso verso un "prima" più vicino a Dio. Questa stessa crisi consegna all'esilio un altro importante coevo poeta religioso, Richard Crashaw (ca.1613-1649) che abbandonò l'Inghilterra nel 1643, e poco dopo anche la religione anglicana di cui era sacerdote, infine nel 1645, si convertì al cattolicesimo. I temi trattati nelle sue opere sono i santi come modelli di possibile eroismo spirituale. Diversamente dalla poesia introspettiva, sofferta ma sempre intellettualmente vigile, di Herbert o di Donne, Crashaw privilegia l'abbandono dinanzi a verità che, scavalcando l'io, non possono che essere registrate nel loro impatto emotivo: è così che troviamo un'esaltazione dei sensi e la musicalità dei versi e che competono con la musica nel produrre effetti di indubbia suggestione. 4. L’INTERREGNUM (1649-1660): ANDREW MARVELL E ABRAHAM COWLEY Il panorama poetico degli anni ’50 (età di Cromwell in Inghilterra e dell’esilio a Parigi della sopravvissuta corte degli Stuart) può essere sintetizzato attraverso due figure predominanti quali Andre Marvell (1621-1678) e il poeta monarchico Abraham Cowley (1618-1667). Marvell fu una personalità poetica di grande rilievo, testimone privilegiato del suo tempo. Conobbe di persona e frequentò i grandi eroi della Rivoluzione come Cromwell e il comandante dell’esercito parlamentare Fairfax. La sua ammirazione verso di loro è evidente nei componimenti, ma traspare anche uno spazio lasciato al partito avverso. A Cromwell, Marvell dedicò 3 odi, la più nota è l'Horatian Ode (1650) che celebra l’uomo e rievoca la memorable hour in cui il consolidamento del potere preso con le armi rese necessaria la decapitazione del re. Circa Lord Fairfax, della cui figlia Marvell fu precettore, è da ricordare almeno Upon Appleton House (1651), una lunga country- house poem che onora l’uomo e il suo casato dipingendone la dimora nello Yorkshire che mette in luce alcuni tratti salienti della scrittura sofisticata del suo autore. C'è in grande risalto il tema della natura, portato in primo piano dalla sensibilità di un poeta che ebbe un senso nuovo e personalissimo dell'ambiente naturale. Fondamentale il gioco del wit che si esercita in velocissimi mutamenti prospettici fino a far sconfinare nel simbolo il conceit. L'immaginazione di Marvell è essenzialmente metamorfica e alla concentrazione sul dettaglio su cui il poeta indugia si accompagna una percezione soggettiva eh rinvia a qualcosa di ulteriore. Nascono immagini che sono materializzazione di un’apprensione che trasfigura gli oggetti del mondo naturale in sostanza del pensiero. Cfr. stanza 47 di Appleton House, o The Garden dove lo stato di grazia che si ottiene dalla contemplazione del verde faccia ritrovare in sé e fuori di sé l'innocenza della condizione originaria. In Marvell confluiscono sia la poesia metafisica che quella classicista, unite da una pratica poetica che anticipa quelle moderne. Abraham Cowley (1618-1667): diversissimo da Marvell, già negli anni '40 scrive The Mistress, raccolta di liriche amorose composte a Parigi presso la corte in esilio di Henrietta Maria e, nel '56 scrive una raccolta di Poems che gli porta fama tra i contemporanei. Anche nelle sue opere c'è l'allusione al tema politico, per esempio nell'incompiuto “Davideis” dove la lotta tra Davide e Saul è metafora di lotte intestine. Con le odi pindariche da lui tradotte e imitate Cowley dà il meglio di sé. Alla forma metrica si rifaranno infatti poeti successivi ed è con tali composizioni che Cowley si afferma il cantore della modernità. La crisi del sapere registrata da Donne negli Anniversaires si trasforma con Cowley in un inno agli eroi del nascente spirito razionale e scientifico. In The History of Royal Society (1667) di Thomas Sprat è inclusa un’ode di Cowley in cui rende omaggio a Hobbes, Il Settecento inglese si fa partire convenzionalmente dalla Glorious Revolution (1688-1689) e si fa terminare con la Rivoluzione industriale (il cui inizio si situa negli anni ’70 del ‘700) per collegare la vita culturale con il destino politico del paese che vede emergere la coscienza dell’identità nazionale (1753 fondazione del British Museum, 1768 nascita dell’Encyclopedia Britannica). La Glorious Revolution segnò la definitiva sconfitta della corte e dell’aristocrazia come classe egemone, elevò il Parlamento a soggetto dominante e fonte di sovranità e stabilì il diritto alla libertà di ogni possessore di proprietà. Dopo la Glorious Revolution l’Inghilterra si avviò fiduciosa verso uno sviluppo maturo e raffinato che ci suggeriva un confronto con lo splendore dell’antica Roma. In letteratura i termini “Augustan Age” o “Neoclassical Age” indicano l’armonia che le lettere aspirano ad assumere sia nella formazione degli intellettuali sia nella produzione scritta tra la fine del 1600 e la morte di Alexander Pope (1688-1744), in rispettosa imitazione di modelli classici come Virgilio e Orazio. Quest’armonia superava la contrapposizione fra scienza e fede. Questa è un’epoca: - di pacificazione e compromesso tra le ali estreme del Parlamento inglese - di dominio dell’oligarchia Whig - di forti mutamenti economici - di controllo esercitato dal primo ministro Robert Walpole (1721-1742): durante i regni di George I (1714-1727) e George II (1727-1742), Walpole operò in modo da mantenere la pace all’estero e una politica fiscale che favorisse sia i proprietari terrieri sia l’industria manifatturiera. ▲ A livello politico con l’Act of Union del 1707 nacque ufficialmente la Gran Bretagna che accorpava il Regno d’Inghilterra e d’Irlanda a quello di Scozia. Così intorno alla metà del secolo i termini “English” e “England” lasciano il posto a “British” e “Great Britain” sia nel vocabolario ufficiale che nella lingua quotidiana. Questa unione secondo Defoe era solo politica in quanto intesa a favorire l’avvento della dinastia protestante degli Hanover evitando il ritorno del cattolico James Francis Edward Stuart (figlio del re Giacomo II) alla morte della regina Anne (1714). Ma ciò non impedì due ribellioni da parte dei clan delle Highlands scozzesi sollecitati dal pretendente cattolico nel 1715 e nel 1745 ovvero le cosiddette Jacobite Risings (1715, 1745). L’ultima delle due, guidata da Charles Edward Stuart, fu sconfitta a Culloden (1746) e segnò l’inizio della repressione per i clan locali. ▲ A livello sociale va rilevato il fenomeno della nuova ricca borghesia mercantile dei gentlemen che: • Controllava la Bank of England e le grandi compagnie “chartered” • Sosteneva Walpole, il Whigghismo e la nuova dinastia degli Hanover • Era tollerante in materia religiosa e tendeva sempre più ad inserirsi nel sistema di vita tradizionale dell’aristocrazia. Lo strato intermedio della popolazione era invece costituito dai piccoli imprenditori e commercianti o artigiani (the people). Al limite estremo vi era poi la gran massa dei derelitti (the mob) che sopravviveva faticosamente nelle città. Nel corso del secolo il diffondersi del sistema delle enclosures provocò nelle fasce dei deboli dell’Inghilterra rurale un progressivo impoverimento della popolazione, se non l’espulsione di fatto dalle terre. Sullo sfondo europeo si palesava sempre più il problema del dominio coloniale, ma anche la forte unione interna anticattolica soprattutto nei confronti della Francia, l’eterno altro da cui distinguersi, rivale nel controllo del Nord America e dell’India. Perciò furono introdotte una serie di festività nazionali, ancor oggi in vigore, intese a celebrare momenti di rafforzamento del protestantesimo. Quanto all’espansione coloniale, con la guerra della successione spagnola (1701-1713) la Gran Bretagna acquisì la baia di Hudson e Terranova (tolte alla Francia). Con la guerra di successione austriaca (1740-1748) si assicurò il controllo delle rotte atlantiche. Infine con la guerra dei Sette anni (1756-1763) riuscì a consolidare la conquista dell’India dove la Compagnia delle Indie aveva stabilito un predominio commerciale già dalla prima metà del secolo. Con il Regulation Act e l’India Act del 1784 viene sancito il controllo politico della Gran Bretagna, necessario a seguito di una scorretta gestione della popolazione locale da parte di alcuni funzionari della Compagnia delle indie. Il trattato di Parigi (1763) ratificò l’acquisizione del Canada e della Louisiana a spese della Francia. La Gran Bretagna dunque divenne il più vasto e forte potere coloniale esistente grazie ai successi militari del primo ministro William Pitt (1757-1761) che legittimarono il predominio britannico su altri popoli. La guerra d’indipendenza delle colonie americane si consumò tra il 1775 e il 1783, e si concluse con il distacco di una parte rilevante dei possedimenti britannici; ciò però venne compensato dalle esplorazioni di James Cook nel Pacifico che portarono all’acquisizione dell’Australia (1768-1780). Il re George III (1760-1820) dopo un’iniziale popolarità ebbe rapporti difficili col Parlamento e con il paese aggravati da ripetuti attacchi di malattia mentale. Egli fu accusato della perdita di 13 colonie americane: la pace di Parigi del 1783 (stipulata dopo la guerra d’indipendenza delle colonie americane) segnò di fatto la fine del primo impero britannico. La rivoluzione industriale chiuderà l’epoca inasprendo il contrasto tra l’esibizione del lusso delle classi agiate e la miseria e l’ignoranza del popolo. Il quadro tracciato consente di individuare alcune linee di tendenza del secolo anche nell’ambito della letteratura del Settecento: • Età augustea (nei primi quattro decenni del secolo) • Età della ragione • Età della prosa La celebrazione di sé e del proprio paese, il dibattito pacato sui temi del giorno, le aperture su altri mondi portate dalle conquiste militari o dai viaggi di esplorazione e rilevamento scientifico si traducono di fatto in alcuni dei generi letterari peculiari del secolo: l’autobiografia, il romanzo, il giornalismo, la scrittura di viaggio. IL ROMANZO DEL SETTECENTO 1. NARRARE IL QUOTIDIANO La letteratura del Settecento si presenta sotto forma di periodici, lettere, diari, notizie, relazioni di viaggi, autobiografie spirituali ecc. come frutto della coincidenza di fattori socio-economici e culturali. In tutte queste forme di letteratura “minore” è evidente l’interesse per la quotidianità di gente qualsiasi in situazioni riconoscibili come realistiche. Da questo interesse si sviluppa la forma del romanzo attraverso tentativi diversi ma con una caratteristica in comune: la distanza dalle forme di scrittura in prosa, conosciute all’epoca come romance, dominate da personaggi alti, idealizzati o allegorici alle prese con avventure fantastiche destinate ad un pubblico di lettori acculturato e socialmente adeguato. La storia presentata nel novel invece deve essere riconosciuta credibile e plausibile e perciò viene preceduta da un’avvertenza in cui l’autore spiega come è venuto in possesso di un manoscritto e garantisce la veridicità degli eventi che va a raccontare. Con questo escamotage (menzogna tipica della fiction) l’autore previene censure e invita il lettore ad identificarsi nelle situazioni e nei personaggi narrati. Il progressivo allargamento dell’audience tramite l’accesso ai libri di fasce meno colte grazie ai prestiti delle circulating libraries (sistema esistente dagli anni ’40) implica: - un accorpamento dei lettori in comunità ideali capaci di condividere valori e conoscenze - limitare le tematiche letterarie entro i confini di semplice ed interessata ricettività al di fuori della tradizione della cultura alta. Nel romanzo gli autori rappresentano comportamenti e situazioni di adeguamento sociale. Il tema fondante il novel invece è la ricerca della sopravvivenza e di un ruolo appropriato e gradevole nella società da parte dell’eroe. Ciò talvolta implica una quest (ricerca) per individuare la propria origine (famiglia, status) o il matrimonio giusto (i due indicatori sociali essenziali nella modernità). Mentre l’eroe è costretto a percorrere tutta la scala sociale per raggiungere l’agognato status, l’ordine cronologico e casuale del racconto ne mima il progresso con totale coincidenza di intreccio e forma del discorso. La forma prescelta nella prima fase di sviluppo del romanzo è la narrazione in prima persona (Daniel Defoe 1660-1731 e Samuel Richardson 1689-1761). Henry Fielding (1707-1754) introdurrà invece la narrazione in terza persona con narratore onnisciente. REALISMO Il realismo ci dà l’illusione, l’effetto di reale. Lennard Davis afferma che il termine “realism” non fu usato in inglese fino alla metà del 1800, e non c’era nessuna parola simile che potesse descrivere questo concetto prima di quel periodo, però afferma che esisteva un modo di alludere a tale tecnica. Richardson infatti parla in una lettera di “rappresentare la vita reale”. In questo senso il novel nasce con una contraddizione interna che porta Davis a coniare l’espressione di “factual fiction” per definire un testo che cerca di coprire la propria “fictionality” affrontando vicende plausibili, razionali, o fingendo di averle raccolte dai protagonisti stessi. Il genere secondo Davis è caratterizzato da “ansia di veridicità” che ne caratterizza il discorso. Che va inteso nel senso di “social discourse” in quanto la letteratura è un discorso definito e controllato dalle istituzioni sociali, prodotto dalla società e dunque strumento per la formazione e legittimazione delle forze e delle istituzioni economiche. In tal senso Davis vede il sorgere del novel parallelo a quello delle news. I due discorsi si distinguono tra loro solo in base alla necessità di regolamentare la veridicità delle notizie giornalistiche: da un lato abbiamo i facts, dall’altro la fiction che elaborò un modo obliquo di alludere alla realtà per sfuggire alle censure, raffigurandone gli aspetti e i protagonisti in modo fittizio. 2. IL RUOLO DEL LETTORE Nel Settecento emerge lo scrittore di professione , cioè quello che vive della sua penna, dunque il lettore non diviene altro che il compratore. Dai testi inoltre scompaiono le lettere ai mecenati e proliferano le Prefaces e Introductions, ovvero metadiscorsi che chiamano in causa il lettore e se ne accaparrano l’interesse. Nel numero 420 dello Spectator (1712) da alcuni interventi di Joseph Addison (1672-1719) e di Samuel Johnson (1709-1784), che si protraggono da inizio a metà secolo, deduciamo una serie di osservazioni sul genere della novel: • La discussione si svolge dalle pagine di giornali a vasta diffusione • L’assenza del termine novel da entrambi i testi che parlano espressamente del genere • L’attenzione al processo della ricezione del testo, quindi al lettore più che al testo stesso. La verità poetica infatti secondo Addison non è attribuito alle cose ma alla percezione di esse. La seduzione del testo va creata dagli autori in base alle nuove condizioni di fruizione: il pubblico è vasto e diversificato, e fra di loro le donne sono in numero sempre crescente; il modo della letteratura sta cambiando per farsi privato, silenzioso, individuale. Henry Fielding introdurrà la figura del narratore onnisciente. Egli abbandona ogni presunzione di realtà del romanzo e si assume in pieno la responsabilità della storia come invenzione in quanto autore. Neanche egli parla di novel ma di history perché riteneva che il racconto storico fosse in posizione di netta superiorità rispetto al racconto di finzione. 3. ROMANCE/NOVEL Nel Settecento perciò nasce un problema terminologico per quanto riguarda il romance, il novel, e le histories. Il termine novel, oggi in uso, esisteva nella lingua inglese sotto forma di aggettivo (col significato di “nuovo”) e di sostantivo plurale (news “notizia”), anche nell’accezione di “novella italiana” dall’inizio del Seicento. L’area semantica era in ogni caso quella della novità. Richardson e Fielding rappresentano dunque due tradizioni distinte della fiction inglese: • Da Richardson, di estrazione middle-class, deriva il romanzo di introspezione e di scavo psicologico e l’uso dello stile epistolare per una finzione confessionale in grado di giustificare le scelte morali individuali. • Da Fielding, membro della gentry (piccola nobiltà di campagna. Essa era costituita dai grandi e dai piccoli proprietari terrieri e dai piccoli ereditieri, detti gentlemen), magistrato di professione, deriva la tradizione di uno stile arguto e l’ironia della commedia sociale, che lascia la scelta morale ai semplici contrasti tra istinto naturale ed ipocrisia, bontà d’animo e astuzia. La vera genialità di Fielding sta nella gestione del plot. In tutti gli autori si individua la tensione verso una rappresentazione dell’esperienza umana nell’ottica dell’individuo e del suo confrontarsi con il mondo. Ecco dunque: • personaggi credibili e riconoscibili • luoghi e situazioni identificabili o immaginabili • sviluppo secondo un arco temporale che si può testare storicamente L’interesse per il documento e il dettaglio e la dinamica narrativa legata al tempo del racconto avvicinano la scrittura della fiction a quella della storia in senso moderno: • se il romance poteva ancora parlare alla nobiltà e ai suoi modelli comportamentali • il novel apre alla diffusione di idee e comportamenti e valori quanto i saggi periodici del giornalismo. Emarginando il meraviglioso, l’illusione, e l’incredibile in funzione di una messa a fuoco del probabile, il novel incarna anche le implicazioni positive di credibilità e contemporaneità. Clara Reeve (1729-1807), autrice di romanzi gotici, nel 1785 evidenzierà questa contrapposizione nel suo ed unico primo vero trattato sulla fiction in inglese “The Progress of Romance through Times, Countries and Manners”. In esso la Reeve distingue vecchie e nuove forme: • il romance: descrizione fantastica di cose mai successe nella realtà • il novel: rappresentazione del quotidiano e della gente comune. (Col termine “real” sembra che l’autrice voglia enfatizzare “the lower social rank of characters”. Inoltre Reeve ritiene che “il novel” dia un rapporto familiare di queste cose come se passassero ogni giorno sotto i nostri occhi, così come può accadere ai nostri amici o a noi stessi”). La prima metà del ‘600 è caratterizzata da approcci diversificati alla narrativa infatti il genere prende da subito una varietà di forme le cui differenze vengono esplicitate al fine di attrarre il lettore alla lettura. Si va così dalle biografie esemplari di personaggi comuni narrate in forma autobiografica (es: “Robinson Crusoe” di Defoe) o epistolare (“Pamela e Clarissa” di Richardson) a piccanti storie segrete. 4. ROBINSON E LA SUA PROGENIE Robinson viene indicato come il punto iniziale del romanzo moderno. Robinson incarna, così come il suo autore, peculiarità epocali e una complessa dialettica tra realtà e finzione, nonché un’assenza totale dell’amore e della sessualità (che avevano dominato il romance) sostituiti da problematiche di obbedienza e controllo dell’altro e della materialità del mondo. Defoe presenta un personaggio appartenente alla middle-class che usando l’abilità e la cultura e il materiale recuperato dal naufragio trasforma la propria disgrazia in occasione di proficuo progresso, glorificando allo stesso tempo la tecnologia europea. Se il suo isolamento viene presentato come la giusta punizione per la sua arroganza spirituale e inquietudine esistenziale, il suo successo finale (metafora della fase iniziale del colonialismo europeo) gli concede la compagnia di servo/compagno cui impone nome e cultura e la possibilità del ritorno alla civiltà. In Robinson il legame con il mondo materiale è quasi erotico infatti è presente un’ossessiva descrizione degli oggetti. La produzione romanzesca di Defoe costituisce una summa di fantasie di sopravvivenza, di avventure eroiche di mobilità sociale che carica di enorme importanza la figura di eroi middle-class solitari di cui si descrive il milieu e che immette in un mondo di rischi, di avventura ben familiare al pubblico dei lettori, sottolineando la necessità del “fai da te” finanziario ed esistenziale. Il romanzo del Settecento si appropria dell’interazione tra reale ed immaginario e si appropria del viaggio per trasformarlo in spazio avventuroso. L’incrocio dà vita a quello che Davis chiama “factual fiction” (vedi *REALISMO) ovvero ibrido fattuale, ibrido letterario capace di coniugare la realtà con la fantasia, di occultare l’artificiosità sotto la forma della vita vissuta e giustificare così l’invenzione spacciata per realtà. Gran parte della scrittura di fiction del Settecento si fonda sul desiderio/necessità di migliorare a livello personale attraverso prove e di proclamare l’unicità e esemplarità del soggetto. Quando questa unicità del soggetto non è presente Defoe esplora il rapporto del suo secolo col denaro e con le relazioni di gender, anzi Defoe (“Roxana, or the fortunate mistress”) invita a collegare sessualità ed indipendenza economica in un contesto sociale che offre alle donne solo la massima precarietà. La donna è al centro dell’attenzione anche di Richardson (“Pamela”), romanziere e stampatore di professione, che indica il comportamento morale da seguire e la prudenza e il controllo delle passioni con la ragione. La grande novità stilistica di Richardson è la scrittura delle lettere da parte dei personaggi nel momento in cui si svolgono gli avvenimenti della storia che sarà ripresa in Europa da Goethe, Rousseau e contribuirà ad incoraggiare ad una maggiore attenzione ai sentimenti e all’espressione delle emozioni. Burney decise di curare per le stampe il proprio journal che alla sua morte lasciò alla nipote la quale lo pubblicò in sei volumi “The Journals and Letters of Fanny Burney”, il primo diario femminile di queste dimensioni ad essere pubblicato in Gran Bretagna. Il peso della scrittura epistolare nel Settecento si riversò su tutti i generi (dalla letteratura di viaggio al romanzo). Autobiografie/biografie fittizie sono anche i primi esempi di romanzi. 5. STORIA E CRITICA LETTERARIA La comparsa di Prefaces nelle opere in prosa dell’epoca testimonia la diffusa preoccupazione degli autori di spiegare ai propri lettori come selezionare e come leggere i testi. Lo scopo primario è offrirgli piacere: siamo così alla nascita dell’estetica. La vasta partecipazione dei filosofi educati al dibattito, alla retorica e alla logica nelle università scozzesi contribuì a rafforzare l’unione politica diffondendo le ambizioni cosmopolite dell’Illuminismo scozzese: • Gli studi di Thomas Blackwell su Omero introdussero il principio che ogni opera letteraria riflette uno stadio della civiltà che la produce. Questo principio stimolò un interesse crescente nei confronti delle società primitive e del genio poetico allo stato naturale (è su questa linea che nasce il patriottismo). Shakespeare rappresentò l’età dell’oro da contrapporre alla venalità del presente. L’allargamento dell’impero britannico al termine della guerra dei Sette anni impose un ripensamento della storia nazionale e della letteratura capace di accogliere epoche e terre lontane. Il secolo registrò una grande produzione storiografica con grande successo commerciale: il genere era considerato adatto a tutte le fasce d’età e a entrambi i sessi perché istruttivo ed educativo. I suoi contenuti si ampliarono ad accogliere temi economici, culturali, e sociali. A metà Settecento comparvero almeno tre storie nazionali. La nascita dello storico di professione si accompagnò alla separazione della storia dalla voce autobiografica modificando anche il modo di raccontare il passato: non è più come esperienza vissuta ma al di fuori della prospettiva dei protagonisti. Dunque alla fine del secolo nuove forme di biografia e memoria contribuiranno a ridisegnare il rapporto tra vita vissuta e tempo della storia, tornando così alle radici secentesche. LA POESIA DEL SETTECENTO FINO AL 1785 1. L’ETA’ DI POPE Tra il 1700 (anno della morte di John Dryden) e il 1744 (anno di morte di Alexander Pope) si trova un’epoca soggetta alla transizione fra il wit metafisico, inteso come arguzia che dà vita a paradossi intellettualmente destabilizzanti, e il wit inteso come pungente vivacità e destrezza linguistica. Inoltre grazie al virtuosismo linguistico popiano, si stabilizza l’uso del couplet (coppia di versi rimati) che fu difeso da Dryden mentre Alexander Pope (1688-1744) privilegiò una prosa più concisa e i generi che privilegiò furono la poesia satirica e didattica. Pope si fece paladino di ideali estetici. Non diversamente dalla bellezza naturale, la bellezza artistica è armonia fra le parti e quindi frutto di un dosaggio di ingredienti diversi, stessa cosa se si passa dal piano artistico a quello cosmico. Pope si fa portavoce della dottrina secondo cui <<Tutta la natura è ma l’arte a te sconosciuta […] / Tutto disaccordo, armonia non compresi/ Tutto il male parziale, bene universale”>>. Questo ordine, sinonimo di virtù e garanzia di felicità, deve essere emulato dentro e fuori di noi. Pope trasforma e riscatta trite opinioni: <<Non fu mai la povertà di conoscenza e la volgarità di sentimento così felicemente travestiti. Il lettore sente la sua testa piena, anche se lui non impara niente>>. Pope si lascia affascinare dalla molteplicità proteiforme del reale. Gli opposti coesistono in Pope che, non solo manifesta la consapevolezza del disordine che sottende e minaccia la cultura e la civiltà, ma a questo disordine vi partecipa. Accade così che ciò che la ragione, la misura o il decoro gli vietano, venga recuperato da Pope come infrazione e sovvertimento della norma anche formale, attraverso la parodia, il sarcasmo della caricatura, la satira, la commistione dei generi. Questa ambivalenza già percepibile in “The Rape of the Lock” (1712-17) è presente anche nelle sue opere della maturità come “The Dunciad” pianificata sul modello dell’Eneide è un epopea grottesco della stupidità. Questo poema registra lo svilimento e la mercificazione delle lettere, di quella cultura “alta” la cui estinzione provocherebbe il crollo della civiltà. La degenerazione delle lettere non è che l’inizio di un fenomeno degenerativo che coinvolge l’élite culturale fino alla corte e il trono occupato dal 1727 da re George II insensibile ai valori poetici. Non solo grazie a Pope Londra entra da protagonista nella poesia primo-settecentesca ma portano il loro contributo anche John Gay (1685-1732), Jonathan Swift (1667-1745) e Samuel Johnson (1709-1784). La “London” di Johnson è soprattutto un universo immorale di arroganza e corruzione, una protesta politica contro il lungo e corrotto governo di Walpole, alimentata dall’umiliazione dei poveri. 2. L’ETA’ PREROMANTICA Il panorama poetico dell’età preromantica (1740-1785 all’incirca) presenta molteplici esperienze accomunabili sotto il segno della reazione alla poesia augustea. Ciò a cui si ispira l’età preromantica è una poesia che commuova, che mobiliti l’immaginazione o che trascini, che produca entusiasmo. Si passa da una visione mimetica dell’arte ad un’estetica e una pratica poetica che privilegiano il momento della ricezione: la cultura del sentimento, l’amore del gotico e del primitivo, la ricerca del sublime spingono i poeti ad avventurarsi nella sfera dell’interiorità, spesso attraverso la mediazione della natura o di un lontano passato medievale e cavalleresco. La poetica preromantica è soggettiva, introspettiva e disancorata dalla realtà: quel presente che si sente troppo a lungo aver monopolizzato l’attenzione dei poeti augustei, finendo così per svilire la natura stessa della poesia. Negli anni ‘40 questa idea di poesia sublime è capace di mobilitare le energie politiche. Il compito della poesia non può essere solo quello di istruire e di dilettare ma occorre anche che essa agisca ben più in profondità suscitando emozioni. L’opera di maggiore successo anche a livello europeo e che meglio mette in evidenza questa urgenza di cambiamento è il poema di Edward Young (1742-1745) “The Complaint: or Night Thoughts on Life, Death, & Immortality” (1742-1745). Con esso Young, al contrario di Pope, sceglie la dimensione del trascendente e, ancora in polemica con Pope, sceglie il blank verse. Il poema di Young, suddiviso in nove parti intitolate “Notti”, è una lunghissima meditazione sulla morte cristianamente intesa come inizio della vera vita. In questo poema la “notte” non è altro che un simbolo della morte e del lutto del poeta: la tenebra che avvolge l’io poetante intende richiamare un’idea di poesia posta al servizio non dell’imitazione ma della visione che dischiude all’io poetico la dimensione dell’ultraterreno. Nessuno più di Edward Young fu ossessionato dalla psicologia dell’infinito. La nota più caratteristica della poesia di Young è il sublime stupore suscitato da quell’infinitezza con cui si cimenta. Egli ama la vertigine, lo slancio. Anziché il sensibile, Young sceglie l’intangibile, invece del limitato, l’infinito, più del tempo lo spazio in cui si rinascerà a nuova vita. Dinnanzi a questo spazio smisurato, da intendere come proiezione del futuro o più modernamente come territorio interiore, cambia anche l’espressione linguistica che si presenta enfatica, declamatoria e sovraccarica di interiezioni prorompendo incontrollata sotto la spinta di emozioni che necessariamente sopraffanno il dominio della razionalità. Nei “Night Thoughts” si trovano elementi comuni alla poesia di questi anni: • La solitudine del poeta che si dipinge come man apart in dissidio con l’esistente; • La coltivazione di stati d’animo tristi o dolorosi che tuttavia portano con sé i “piaceri” spirituali della malinconia • Il discorso enfatico, inteso a trascrivere il prorompere di emozioni incontenibili suscitate da spettacoli maestosi offerti dalla natura incontaminata, opera e manifestazione di Dio • L’aspirazione ad una visionarietà che spezza gli stretti confini del reale empirico per scoprire o riscoprire territori (dell’io o dell’esistente) ignoti o a lungo ignorati. Ciò che passa in primo piano è l’immaginazione, facoltà produttrice di immagini e dunque di visioni ora non più equiparate ad assurde fantasticherie. L’idea della visione si offre e si sottrae al poeta. Diversamente dall’ode classica o neoclassica l’ode preromantica dà voce ad un’esperienza soggettiva: dà voce alla visione del poeta, al suo sentire, alla sua interiorità, quell’ispirazione che secondo Collins è negata al poeta moderno. Infatti sia Collins che Gray fu tra i primi a subire il fascino delle culture primitive. • Il primitivismo e la concomitante riscoperta del Medioevo, fenomeni culturali che si registrano a partire dagli anni ’50, ebbero importanti influenze sulla poesia. • A partire dagli anni ‘60 si assiste alla produzione di veri o presunti “falsi” (forgeries = falsificazioni), ovvero iniziative che, apparentemente si dedicavano alla riscoperta del passato e dei suoi manoscritti dimenticati, ma che in realtà miravano a reinventare il passato, tenendo conto delle esigenze del presente. Tratto comune di questi lavori di straordinario successo è l’ibridismo cioè il loro essere in bilico tra “riscoperta” e “invenzione”. • A fronte di tanta irrequietezza, il panorama poetico dagli anni ’70 al 1785 presenta un abbassamento di tono che, da solenne o scomposto, diventa umile e familiare: c’è un ritorno alla realtà contemporanea, accompagnato dalla ripresa del tema sociale. Quindi fa ritorno non solo il couplet che però questa volta stempera il rimpianto del poeta e ingentilisce la scena evocata; il villaggio viene spopolato dalla sete di guadagno dei grandi proprietari terrieri e dalla loro indifferenza per la comunità rurale. Dunque per tracciare una real picture of the poor occorre ritrarre stenti, abbruttimenti, copri piegati dal lavoro. William Cowper è il poeta maggiore dell’età preromantica; egli mette a punto un “familiar style” che gli consente di usare il blank verse per parlare il linguaggio della prosa senza essere prosaico (noioso, banale). IL TEATRO DEL SETTECENTO FINO AL 1785 1. PREMESSA Fino alla fine del Settecento l’insegnamento, l’esempio morale risiede con frequenza maggiore nell’espressione dell’emozione a cui si attribuisce un duplice valore – didascalico e intrinseco – e che diventa la base della produzione dell’intero secolo. L’affermazione dell’etica borghese comporta il rifiuto di quei valori aristocratici che avevano caratterizzato il secolo precedente. La trasformazione dialettica delle convenzioni di genere investe la rappresentazione delle relazioni di classe. 2. IL REPERTORIO Una Talia confusa: la commedia morale e la commedia sentimentale A seguito dell’editto parlamentare, il Licensing Act (1737), abbattutosi sulle scene inglesi per volontà del primo ministro Robert Walpole (1676-1745), venne ad imporsi un nuovo tipo di commedia, la commedia morale, commedia apolitica e del tutto priva di allusioni pungenti contro l’autorità costituita oppure le convenzioni morali e sociali dominanti. Questa nuova tipologia del comico si dedicava alla descrizione del sentimento nella sfera delle relazioni umane in cui il vizio viene punito e la virtù trionfa. I personaggi dai costumi distinti e dalla moralità non impeccabile vengono giudicati con occhio critico dal pubblico settecentesco. Esso rimane sempre disposto alla clemenza di fronte alla constatazione che i peccati sono ampiamente compensati da una salda moralità di fondo. La trama economica che caratterizza gran parte della produzione leggera della Restaurazione (1660-1702) è trasformata in un intreccio sentimentale al termine del quale si retribuisce il sincero amore dei giovani amanti, mentre l’avidità e l’ipocrisia dei loro parenti vengono messe alla berlina e punite. Adesso è solo per libera scelta d’amore e non tanto per obbligo filiale che i giovani innamorati si uniscono in matrimonio (commedia sentimentale). Il commediografo dell’epoca georgiana, portavoce di quella riforma di costumi che si era venuta ad imporre nella società inglese fin dall’inizio del secolo, trasporta sulla scena leggera trame costruite intorno ai criteri di serietà, rispettabilità e rigore morale introdotti dalla Society for The Reformation of Manners (attiva a Londra dal 1691). Il suo scopo era quello di far scaturire il sorriso, la commozione educativa e la compartecipazione umana; questo tipo di commedia prende il nome di genteel comedy, dai toni sentimentali e moralistici. Questo processo di moralizzazione del comico ha il risultato di far mutare radicalmente anche i lineamenti della gay couple intorno alla quale ruota la vicenda comico-seriosa: essa è composta da un innamorato e un’eroina e da un secondo intreccio di compensazione, affidato a personaggi secondari a cui viene affidata la vis comica (forza comica). Melpomene si fa borghese: il dramma georgiano – Grazie alla domesticizzazione del dramma storico e politico (frutto dello smantellamento dei valori della tragedia eroica della Restaurazione) si ebbe la nascita della tragedia borghese di ambito domestico (dramma georgiano), i cui personaggi medi e vicende private, capaci di risvegliare l’ammirazione e la pietà del pubblico, anticiparono, (come già preannunciato nel caso del dramma barocco) l’affermazione del romanzo. Importante è il valore interiore dell’individuo, riconosciuto come indipendente dallo status sociale. Questa constatazione, determinata dai precetti della filosofia morale contemporanea, permise l’elevazione del personaggio umile a soggetto delle azioni tragiche di stampo elevato (che la precettistica aristotelica aveva riservato esclusivamente ai nobili e agli eroi). La necessità didattica tipizza i personaggi dei drammi settecenteschi rimandando non soltanto a professioni o condizioni sociali rivalutate nel panorama economico nazionale ma spesso con evidenti implicazioni simboliche anche a qualità morali, virtù e vizi. All’argomento medio e ai personaggi comuni corrisponde un linguaggio efficace e immediato. A livello stilistico la nuova poesia domestica fu accompagnata dall’abbandono del metro poetico (i distici eroici o il verso libero) tipico del dramma barocco, adesso sostituito dalla prosa. Anche la commedia politica assume sempre più i toni della she-tragedy: come già nel dramma borghese, il personaggio nobile viene rappresentato nella sua dimensione di individuo privato. Quando il fulcro tragico è incarnato da una figura femminile, essa viene sacrificata alla ragion di stato, da cui viene schiacciata. 3. LA POETICA DELL’IBRIDISMO Al prezzo di un unico biglietto il pubblico settecentesco poteva fruire di un vero e proprio pacchetto composto da molteplici segmenti di spettacolo conosciuti con i nomi di mainpiece, entr’acte e afterpiece in base alla loro lunghezza che ne decretava la loro posizione in scaletta. Ad essi si andavano ad aggiungere vari numeri di puro intrattenimento musicale o di ballo e canto. Ciascuna delle porzioni del ‘whole show’ era caratterizzata da forte ibridismo e commistioni di genere, da citazioni e interpolazioni, in una combinazione poliforme e continuamente rinnovata paragonabile ad un palinsesto televisivo odierno. 4. IL TEATRO POPOLARE Il teatro del Settecento è caratterizzato da una ricca tradizione di intrattenimento popolare e di strada pubblicata sotto forma di chapbooks e almanacchi a basso costo. All’inizio del secolo l’argomento principale di questa produzione teatrale di margine erano le gesta di criminali, con il passare degli anni crebbe il successo delle trame fantastiche o mitologiche degli spettacoli di pantomima, un genere ibrido di argomento popolare (rappresentazione scenica muta affidata ai gesti e alla danza). I palchi mobili (booths) ospitavano gli spettacoli di marionette, le esibizioni di acrobati e la fisicità incontenibile, dissacrante e spesso violenta delle farse. Questa tipologia di spettacolo di strada venne adottata dai teatri legittimi che la riproposero con forme culturalmente più rispettabili nei popolari afterpieces con cui si concludeva la serata a teatro. 5. L’EVOLUZIONE DELLO SPETTACOLO E LA NASCITA DEL DRAMMA GOTICO La crescente popolarità delle pantomime riflette l’aumento della componente spettacolare della messinscena caratterizzata non solo dall’elaborazione delle scenografie, ma anche da quella della musica, dei costumi, dell’effettistica ecc. D’altra parte le più vaste dimensioni dei teatri necessitavano di uno stile recitativo maggiormente dipendente dal colpo d’occhio e dalla magnificenza scenografica. L’attore adesso non si muoveva davanti ad una scena prospettiva ma nella scena stessa, cioè all’interno di essa. La commistione di fine secolo tra la spettacolarità degli unpatented theatres e i temi e le forme del teatro alto divenne particolarmente evidente nei drammi a carattere storico, che si prestavano a magnifiche rappresentazioni scenografiche ambientate in interni o esterni elaboratissimi. Si diffonde la passione per l’antiquariato, che coniugata con la ricerca dell’effetto scenografico trovò piena attuazione nei popolarissimi spettacoli gotici di fine secolo. Con il dramma gotico la distinzione tra teatro alto della “parola” e quello basso e corporeo del “gesto” divenne sempre più vaga e inconsistente. IL TEATRO AL GUINZAGLIO: DAL PREGIUDIZIO DEI MORALISTI ALLA CENSURA POLITICA. Le motivazioni principali dietro al Licensing Act del 1737 sono due: - nasce dal pregiudizio antiteatrale dei puritani, avversi alle rappresentazioni drammatiche in quanto ostentazione impura e di imitazione della realtà: la commedia della Restaurazione era considerata blasfema nel linguaggio, scandalosa nei temi e sobillatrice al vizio. - legata alla fase storica della vita dell’ufficio di Robert Walpole (1676-1745), primo ministro di George II. Il conflitto ideologico tra i riformisti e i politici sfociò in un editto parlamentare ovvero il Theatratical Licensing Act approvato nel 1737: l’autorizzazione ad andare in scena limitò il numero di teatri a cui era permesso operare sul territorio londinese; venne vietato ogni riferimento a eventi potenzialmente rivoluzionari o a personaggi importanti; vennero banditi volgarità, riferimenti sessuali e rimandi religiosi. Si preferì mettere in scena opere vecchie con un consenso consolidato, piuttosto che lavori nuovi. Il teatro inglese ne risultò soffocato e mutilato quasi fino al 1968, anno in cui la censura teatrale fu definitivamente revocata. nudo la solitudine e la frustrazione ma anche la caparbia volontà di denuncia. Nostalgia e malinconia sono alimentati anche dal gusto antiquario che attraversa due generazioni di poeti romantici. Questo gusto antiquario inglese fu il frutto della tensione verso un universo ricco di pulsioni e di desiderio e della necessità concreta di ricostruire una nazione e un sentimento nazionale. E’ frequente il ricorso al genere letterario della ballata così come il clima malinconico, notturno e fantastico delle antiche ballate. WALTER SCOTT (1771-1832) assemblò un repertorio di antiche e popolari ballate come “Ministrely of the Scottish Border” (1802-1803), “The Lay of the Last Ministrel” (1805). Nelle sue poesie di grande successo è presente il suo interesse per il racconto cavalleresco e per il romance. Egli fu il primo a scrivere il romanzo storico. ROBERT SOUTHEY (1774-1848) riscosse grande successo dai suoi long poem. Egli fu il terzo dei “poeti dei laghi” (con Wordsworth e Coleridge). Southey con Coleridge pianificò nel corso di un soggiorno a Bristol tra il 1790-1795 l’idea della “Pantisocracy”, una sorta di comune formata da giovani coppie di uomini e donne che dovevano stabilirsi in Pennsylvania. Quest’idea nacque assumendo prima posizioni politiche radicali e poi fu portatrice di istanze conservatrici del governo inglese. JOANNA BAILLIE (1762-1851), molto ammirata da Walter Scott, si nutrì del gusto celtico e popolare del suo tempo. Baillie divenne una delle principali autrici teatrali del Romanticismo grazie al suo amore per la poesia. Ella rivolge la sua attenzione ai moti dell’anima, alle passioni che condizionano le scelte umane, la “sympathetic curiosity” che lo spettatore deve nutrire per il personaggio che si agita e soffre sul palcoscenico per misteriosi dolori, paure e conflitti morali e il suo interesse per la necessità di ricorrere ad un linguaggio semplice per suscitare più direttamente tali sentimenti. La poesia di Baillie, come quella dei “poeti dei laghi” (Wordsworth, Coleridge e Southey), è capace di suscitare emozioni e di rendere spirituale il naturale. I versi sono ricchi di musicalità per le abbondanti assonanze e consonanze. I personaggi favoriti sono i fanciulli e la gente semplice oppure la gente ai margini della società e si comportano in modo bizzarro perché la vita li ha messi a dura prova. Anche in Lyrical Ballads di Wordsworth troviamo personaggi socialmente marginali rappresentati come eroi e le loro pene, i loro sentimenti vengono amplificati. 4. LYRICAL BALLADS E DOROTHY WORDWORTH: IL LINGUAGGIO DELLA NATURA Nella Preface alle Lyrical Ballads nell’edizione del 1800, Wordsworth tenta di guidare il lettore alla riscoperta di un modo di vivere più semplice e più naturale. Anche il linguaggio è semplice, popolare. Il poeta è per Wordswoth un uomo che parla agli uomini. Che cos’è un poeta? A chi si rivolge? E quale lingua ci si aspetta da lui? E’ un uomo che parla agli uomini: un uomo, è vero, dotato di una sensibilità più viva, di più entusiasmo e tenerezza, che ha una maggiore conoscenza dell’umana natura, ed un animo più comprensivo di quello che si suppone ci sia nel restante genere umano. […] A queste qualità egli aggiunge la propensione ad essere colpito più degli altri uomini dalle cose assenti come se queste fossero presenti; una capacità di evocare in sé passioni che sono in verità lungi dall’essere le stesse di quelle prodotte da fatti reali, eppure (soprattutto in quelle parti della simpatia generale che sono piacevoli e deliziose) le fa quasi sembrare passioni prodotte da fatti reali. Wordsworth esprime un preciso orientamento democratico. Nella raccolta di poesie si registrano le inquietudini e le esperienze del tempo attraverso i tratti delicati del sentimento. La ricerca di Wordsworth approda al mondo degli umili e della natura, quella di Coleridge conduce alla dimensione spirituale e pragmatica testamentaria del marinaio errante di “The Rime of the Ancient Mariner”. Il marinaio è costretto a narrare la sua storia di sangue e di morte. Egli è colpevole di aver ucciso, senza motivo, come Caino il proprio fratello, l’albatro, un uccello salvifico simbolo dello spirito divino. Per questo il “vecchio marinaio” perde i propri compagni. Il suo pellegrinaggio è purgatoriale e la sua vita è riscattata solo alla fine del racconto dall’amore che il marinaio manifesta nei confronti di tutte le creature viventi. Il rito a cui il marinaio è sottoposto è un atto linguistico dove la parola si fa azione: narrare per cancellare la colpa. Egli lo tiene con la scarna mano, "C'era una nave", disse. "Smettila! Via la mano, vecchio pazzo!" Subito la mano lo lasciò. Egli lo tiene con l’occhio scintillante, immobile rimane l’ospite alle nozze e ascolta come un bambino di tre anni: la volontà del marinaio lo vince. L’ospite siede su una pietra: non ha scelta, può soltanto ascoltare; e così parlò l’uomo antico, il marinaio dagli occhi chiari. (I, vv. 12-20) Si può intuire che entrambi gli autori hanno la volontà di mescolare sentimento e storia, naturale e spirituale, la soggettività dell’esperienza e il valore universale che questa ha su ogni legge. La capacità poetica di riflettere e far riflettere sull’esperienza vissuta dal soggetto illumina l’io e lo muta in un’eco del divino, in qualcosa di permanente. Nel capitolo XIV della “Biographia Literaria” (1817) Coleridge annota il senso che lui e l’amico Wordsworth avevano inteso dare alla comune impresa poetica: Durante il primo anno che Mr. Wordsworth e io fummo vicini, le nostre conversazioni volsero spesso intorno ai due punti cardinali della poesia, al potere che ha di suscitare il consenso del lettore mediante fedele aderenza alla verità di natura, e all'altro potere di dar l'emozione della novità trasfigurando con i colori dell'immaginazione. […] Questi sono i versi della natura. […] In questo ordine di idee nacque il piano delle Ballate liriche; nel quale fu convenuto che i miei sforzi dovessero essere diretti alle figure e ai caratteri soprannaturali, o almeno fantastici; beninteso in modo da trasferire dalla nostra intima natura un interesse umano e una sembianza di verità bastevoli a produrre, dinanzi a quelle larve dell'immaginazione, quella volontaria e momentanea sospensione dell'incredulità che costituisce la fede poetica. Mr. Wordsworth, d'altro canto, si sarebbe proposto come oggetto di dare il fascino della novità alle cose di ogni giorno e di suscitare sentimenti analoghi al soprannaturale risvegliando l'attenzione della mente dal letargo dell'abitudine e rivolgendola alla vaghezza e alle meraviglie del mondo dinanzi a noi. Le Lyrical Ballads appaiono come “poetry of nature” perché contengono due elementi cardini: il primo è il potere di suscitare la simpatia del lettore, il secondo è il potere di “defamiliarizzare il mondo”. Coleridge spiega il procedimento poetico adottato nelle ballate dai due autori: Coleridge ha scelto personaggi e situazioni soprannaturali ma, impregnandoli di sentimenti ed emozioni del tutto umani, li ha resi verosimili. Wordsworth tratta di fatti naturali e di persone umili in modo da trasformarli in soprannaturali grazie all’incantamento e all’emozione che essi avrebbero trasmesso al meraviglioso mondo della natura che lo sguardo-fanciullo del poeta avrebbe rivelato al lettore. Wordsworth arrivò anche a coniare in “The Prelude” la definizione di “spots of time” che non sono altro che i momenti di incontro tra l’io e il mondo: è allora che la poesia di Wordsworth acquista la dimensione di un magico realismo. In Wordsworth memoria e visione diventano una stessa categoria: attraverso la memoria l’acuta sensibilità del poeta riporta al presente accadimenti e persone incontrati nel passato e li fa rivivere con la stessa intensità percettiva provata la prima volta grazie ai colori caldi dell’immaginazione. Per questo il linguaggio deve essere chiaro, un efficace mezzo di comunicazione e una sorgente di emozioni libero da orpelli retorici. Nella “Preface” alle Lyrical Ballads il poeta osserva: Si è adottata anche la lingua di questi uomini […] poiché questi uomini comunicano costantemente con le cose migliori dalle quali deriva originariamente la parte migliore della lingua; e perché […] soggiacendo in misura minore all’azione della vanità sociale, essi comunicano i propri sentimenti e le proprie idee con espressioni semplici e non elaborate. Una simile lingua […] è dunque una lingua più stabile e di gran lunga più filosofica di quella che viene frequentemente sostituita a essa dai poeti che pensano di attirare tanto più onore a sé stessi e alla propria arte quanto più si alienano le simpatie degli uomini […]. Il sodalizio tra Wordsworth e Coleridge, iniziato a Bristol e continuato nel Lake District, ebbe come testimone Dorothy, la sorella di Wordsworth autrice di straordinarie pagine diaristiche e di poesie sul mondo naturale nelle quali lo sguardo poetico si pone orizzontalmente a ciò che canta. La sua scrittura è criticata per la capacità di stabilire con cose e persone un rapporto paritario: nelle sue opere le cose sembravano vivere in assoluta comunione con l’io poetico. La prospettiva di Dorothy è oggettiva. Dorothy trascorse la sua prima infanzia felice, quando a sei anni morì la madre iniziò una lunga peregrinazione ospite nelle case dei parenti. Dopo la morte del padre anche i quattro fratelli lasciarono la casa per essere affidati ad altre famiglie. Dorothy dunque concepì il sogno di avere una casa per sé e i fratelli. Il ritorno di William dalla Francia rese possibile la riunificazione. Egli aveva soggiornato un anno in Francia e vissuto con entusiasmo lo scoppio della Rivoluzione francese e per questo al suo rientro in patria fu rifiutato dai parenti e dagli amici pieni di sospetto. Dorothy invece lo accolse con gioia stabilendosi con lui in un cottage di Grasmere, nel Lake District. Nell’opera di Dorothy l’immagine della casa è ricorrente. Dorothy iniziò a scrivere diari in cui registrava gli eventi della giornata e le esperienze sensoriali da lei provate. Accanto a questi poeti della natura della prima generazione romantica vale la pena menzionare un poeta della seconda generazione, JOHN CLARE (1793-1864), anche lui era un poeta della natura. 5. MONDO ONIRICO E BELLEZZA IN MARY ROBINSON E JOHN KEATS MARY ROBINSON presenta un’ampia campionatura di generi e modi poetici: nei “Lyrical Tales” (il titolo richiama quello delle Lyrical Ballads dei “poeti dei laghi” Wordsworth e Coleridge, pubblicate un anno prima) si riscontrano temi e melodie che si ispirano al gusto antiquario. Nella poesia “The Savage of Aveyron” usa versi brevi (tetrametri) e una stanza di 12 versi. Il tono è quello nostalgico narrativo proprio delle ballate e la melodia viene enfatizzata da un alternarsi di rime maschili e femminili. Nel poema vi si racconta l’episodio vero di un bambino ritrovato nel 1799 in condizioni selvagge nei boschi della Francia centro-meridionale. Nel poema il bambino non ha l’uso della parola ma la voce poetica se ne fa interprete e racconta la sua storia immaginando la morte della madre per mano di fuorilegge. Aveva i capelli lunghi e neri, e lui dall'infanzia era stato da solo: da quando aveva cinque anni aveva visto che, nessuno ha segnato il suo destino! Nessun orecchio mortale aveva sentito il suo gemito, per lui nessun raggio di speranza aveva brillato: mentre era triste egli sospirò- "da solo, da solo!" Sotto l'albero maledetto. E poi, O! Boschi di Aveyron, O! Deserti di triste solitudine, tra i tuoi spinosi vicoli maleducati io ho pensato a me stesso come un viaggiatore-solitario. Il bambino lamenta tutta la sua incolmabile solitudine per aver perso i suoi cari e invita il lettore a condividere la sua incolmabile malinconia. JOHN KEATS frequentò il circolo che si era formato a Londra negli anni ’20 dell’800 attorno a Leigh Hunt (editore del giornale liberale “The Examiner” a causa del quale finì più volte in prigione). I membri del circolo di Hunt venivano violentemente attaccati dalla critica conservatrice. Keats appartenne alla piccola borghesia londinese e morì di tisi a soli 25 anni e così come gli altri membri del circolo era appassionato di antichità classiche (greche e romane). Inoltre nutriva interesse per il mondo medievale. Il medievalismo keatsiano emerge infatti chiaramente in “La Belle Dame Sans Merci: A Ballad” del 1819 e altri poemetti. In “La Belle Sans Merci” un cavaliere racconta di aver scoperto che la donna da lui amata dalla quale è stato soggiogato è una donna serpente. In questa ballata così come altri poemetti di Keats seguono tutti un percorso che parte dal romanzo medievale fino a giungere al presente attraverso un processo di svelamento e di finale straniamento (compie un rovesciamento rispetto al tradizionale romance). Keats nutriva anche un particolare interesse per la cultura mediterranea, per la Grecia e per l’Italia che condivise con i poeti della seconda generazione romantica. Keats non si concentra sulle azioni di leggendari dame e cavalieri, ma esclusivamente sulle passioni che li consumano e per le quali essi sono pronti a morire. In queste poesie viene contemplata anche la natura, l’unica realtà tangibile a differenza del fantastico e del soprannaturale che nelle poesie restano categorie sospese, irreali. Il poeta per Keats deve mostrare di possedere una negative capability e cioè <<quando un uomo è capace di stare nell’incertezza, nel mistero, nel dubbio senza l’impazienza di correre dietro ai fatti e alla ragione>>. Il mistero, la nostalgia, le incertezze che attraversano la poesia keatsiana sono propri della stessa natura umana, come sono del tutto umani il senso di perdita e le rinunce dei suoi personaggi. Nella sua ode più celebre “Ode on a Grecian Urn” Keats canta le scene di vita quotidiana raffigurate su un’urna greca come fossero congelate per l’eternità dall’arte che li raffigura. Nelle grandi odi Keats supera l'emotività "romanticista", esplorando con densa musicalità il rapporto tra arte e vita, piacere e dolore. Il canto dell'usignolo, la perfetta bellezza delle decorazioni dell'urna, il paesaggio autunnale (uno dei massimi esempi di poesia descrittiva) simboleggiano l'eternità, e la speranza di immortalità. Nei giorni del commercio e del materialismo, l’arte rischia il tramonto e sta al poeta custodirla e celebrarla. In Keats etica ed estetica sembrano sovrapporsi: l’arte, che è un piacere infinito, può lenire l’infinita pena del vivere e trasformare la realtà. 6. PATRIA E PATRIE NELLA SECONDA GENERAZIONE ROMANTICA Tra alcuni poeti della seconda generazione romantica i termini patria e patriota continuarono ad avere un valore tradizionale. È il caso di Thomas Campbell che ne fece i suoi temi più caratteristici. Per altri poeti della seconda generazione romantica patriottismo si coniugò con internazionalismo. Per Byron e Shelley patria e patriota furono il lessico della speranza con la quale ripartire dopo la sfiducia degli anni del Terrore e della Restaurazione Byron e Shelley pur diversi nella loro visione della società (il primo pessimista e scettico e idealista e utopista il secondo) cercarono sempre di promuovere il progresso dei popoli e la libertà delle nazioni. BYRON si divise fra le preoccupazioni delle sorti dell'Inghilterra e l'interesse verso i popoli oppressi ai quali offrì sostegno morale finanziario e persino la vita (morì di febbre nel 1824 a soli 26 anni in Grecia dove si era recato per sostenere la lotta per l'indipendenza dei greci e turchi). • Byron fece il primo lungo un Grand Tour tra la Francia Turchia Spagna Portogallo e Albania tra il 1809 e il 1811. (Al suo ritorno scrisse i primi due canti del "Childe Harold's Pilgrimage" (1812) che lo trasformarono nel rappresentante di una nuova forma di Romanticismo, lontano dal magico realismo di Wordsworth o dal mondo dei fairy-tales medievali di Walter Scott). Dopo il Grand Tour Byron riprese il suo posto nella Camera Alta nel momento storico caratterizzato dall'egemonia del partito Tory. Byron si era iscritto al partito Whig, più aperto e liberale, che era stato posto in minoranza nei due Parlamenti (House of Lords e House of Commons) dalla vittoria elettorale del partito Tory sin dagli anni '80 del 1700. I conservatori restarono al potere durante il regno di George III e la reggenza del Prince of Wales, futuro George IV. L'emarginazione dei Whigs durò fino alla riforma elettorale del Great Reform Act del 1832. • Nel 1816 partì per il suo secondo Grand Tour, questa volta lungo il Reno e poi in Francia e in Svizzera dove trascorse qualche mese a Villa Diodati e dove frequentò assiduamente gli Shelley: Percy Bysshe Shelley, la compagna Mary Wollstonecraft Godwin e la sorellastra di lei con la quale Byron e ebbe una breve relazione. Tra Byron e Shelley si stabilì un'amicizia destinata a durare. Alla fine dell'estate gli Shelley tornarono in Inghilterra (che lasceranno per sempre due quello scozzese: alla fine nel diritto naturale, alla libertà e all'eguaglianza si accompagna la fede nella bontà della natura umana nella sua istintiva propensione al miglioramento e al progresso. Il romanzo è un “veicolo per insegnare una lezione” è che per “mettere in moto la mente” intorno ai temi quali la struttura gerarchica della società, il rapporto tra oppressori e oppressi, i sessi, pubblico e privato, ragione e sensibilità, pensiero e azione, e per proporre modelli sociali e morali nuovi rispetto a quelli tradizionali. I personaggi, acquistano un'importanza centrale tendendo a diventare complessi e androgini: donne che hanno coraggio, cultura e forza morale " virili ", uomini dotati di sensibilità femminile. 5. IL ROMANZO GOTICO E ANN RADCLIFFE Il romanzo gotico ha da sempre occupato una posizione di secondo piano, definito come letteratura popolare e d’evasione ed è stato genericamente definito con l’etichetta di “romanzo nero” e una corrispondente “ricetta” di temi e topoi ricorrenti: la fanciulla perseguitata, i problemi nei castelli, monaci diabolici, delitti ecc. Il romanzo gotico riflette le ansie e le paure che accompagnano l’uomo borghese nel suo viaggio di autoaffermazione individuale, il senso di colpa e di peccato nei confronti dell’ordine divino e naturale (anticipato nel Doctor Faustus di Marlowe, in Macbeth di Shakespeare e Paradise Lost di Milton). Il romanzo gotico ha come compito quello di denudare ed esporre la coscienza borghese, di mettere a paragone conscio e inconscio, ha una funzione psicanalitica. Per questo il romanzo gotico è stato marginalizzato con il pretesto del suo infimo valore letterario. I personaggi sono “piatti”, senza profondità psicologiche, non individualizzati, perché sono moralmente ben definiti e soprattutto per favorire l’identificazione del lettore e la sua partecipazione all’avventura. Per questo stesso scopo il luogo della trama erano i paesi mediterranei e il tempo in cui era collocata era il Medioevo. C’è inoltre un’ambivalenza e un antagonismo tra visibile ed invisibile che va a distruggere le convenzioni narrative correnti. “The Castel of Otranto” di Horace Walpole è considerato il prototipo del genere. Qui l’aggettivo “gotico” va inteso nel senso di ‘medievale’. Nell’ambito del romanzo gotico si è soliti trattare Mary Shelley con il suo “Frankenstein” (or the Modern Prometheus), la cui stesura nasce dalla lettura di racconti di terrore e da una gara di scrittura tra gli Shelley, Lord Byron e il medico Polidori sul lago di Ginevra nel giugno del 1616. Frankenstein è però considerato più di un romanzo gotico e quindi un romanzo fantascientifico e per il valore che la scienza assume nel corso della vicenda. Nasce anche il romanzo gotico femminile grazie alla Reeve, mentre Ann Radcliffe fu subito riconosciuta come inventrice di un nuovo genere narrativo: il “romance di suspense”. La Radcliffe fu importante nella storia del romanzo per aver inventato il linguaggio per descrivere il paesaggio. Il genere del romanzo gotico maschile invece è il “roman noir” caratterizzato dalla miscela di sesso, sangue e sadismo. 6. JANE AUSTEN E IL NOVEL OF MANNERS L’espressione novel of manners (romanzo di costume) è stata usata in una serie di romanzi e molti racconti didattici. Da Jane Austen in poi tale definizione appare ridondante poiché le manners diventano sostanza stessa del racconto, nel senso che sono il linguaggio in cui si creano le interazioni tra individuo e società. Le manners in senso generale sono espressione della struttura sociale e legate alla sua evoluzione, mentre quelle individuali coincidono con lo stile personale che, per quanto trasgressivo, non può recare l’impronta del più ampio stile epocale trasgredito. I novel of manners precedono e influenzano la Austen. I suoi sei romanzi, pubblicati tra il 1811 e il 1818, sono divisi in Steventon novels (Northanger Abbey, Sense and Sensibility, Pride and Prejudice) e Chawton novels (Mansfiel Park, Emma e Persuasion) dai luoghi in cui sono stati composti. • Con Northanger Abbey la Austen vuole servirsi della letteratura per mettere sotto analisi critica la cosiddetta realtà patriarcale, è una critica delle trasfigurazioni dei crimini della società borghese soprattutto nei confronti delle donne, trattate come schiavi. • Sense and Sensibility presenta il rimaneggiamento di una primitiva versione epistolare, Elinor and Marianne, con l’aggiunta di alcune scene teatrali. Il suo intento non era quello di far trionfare la prudenza e il buonsenso di Elinor a danno della sensibility di Marianne. Con il lieto fine nessuna viene punita ed è difficile stabilire quale dei due matrimoni possa definirsi il più saggio così come quale tra prudenza o sensibilità è più dannosa per una giovane donna. • In Pride and Prejudice c’è la risposta trasgressiva alla morale borghese in cui si contrappone il fascino dell’intelligenza al potere del denaro e del rango. • In Mansfield Park, considerato il romanzo più significativo di Jane Austen, evidente è il senso di oppressione che accompagna la condizione femminile nella realtà della società borghese. Basta ascoltare la narratrice onnisciente per capire dai principi mercenari e misogini che informano il suo discorso che ci troviamo di fronte a un moralista evangelico, esperto nell’insegnare alle fanciulle a stare al poto loro nella società patriarcale. Lo scopo dell’autrice è di far percepire al lettore l’immoralità di un mondo come quello di Mansfield, dominato solo dall’interesse economico ipocritamente nascosto dietro una morale malleabile, in cui la donna vive perennemente esposta al rischio di essere sacrificata al dio denaro come Maria Betram o Fanny Price. La Austen indossa proprio i panni di uno di loro. Fanny possiede le prescritte virtù cardinali dell’umiltà e self-denial: per lei l’unica dote consiste nella capacità di esemplificare al meglio l’ideale femminile utile a dimostrare che l’unica strada per l’affermazione personale femminile è quella della passività. A molti lettori Mary Crawford è apparsa come la vera eroina di Mansfield Park: Mary, che rifiuta di ‘farsi comandare dall’orologio’ è espressione della visione giacobina e libertaria di Lovers’ Vows, la popolare commedia di Mrs Inchbald (1798), che nel romanzo sta a suggerire l’utopica versione alternativa al racconto originale. • Il tema della schiavitù femminile è ripreso in Emma con implicazioni più esplicite. Questa volta l’autrice usa l’eroina come occhio narrativo principale senza mai identificarsi con esso. L’autrice si esprime esclusivamente attraverso la pratica artistica nella sua veste di drammaturga e regista: tutto il racconto si svolge attraverso la coscienza della protagonista. • Nell’ultimo romanzo, Persuasion, inizia una nuova fase artistica dell’autrice: si concentra sull’interiorità dell’eroina, Ann Elliot, una giovane donna ventisettenne avviata a restare zitella. L’atmosfera appare permeata di nostalgia e di rimpianto poiché la felicità dipende dall’imprevedibile evoluzione degli eventi. Persuasion sottolinea l’accurata sensibilità della Austen nella percezione dei mutamenti sociali: le difficoltà economiche della gentry e il benessere dei professionisti della Marina. 7. WALTER SCOTT E IL ROMANZO STORICO Walter Scott ha il titolo di iniziatore del romanzo storico, nuovo genere che coniuga vicende forti e drammatiche e personaggi della psicologia realistica e con un’ambientazione storica precisa e rispettosa delle tradizioni e del folklore. Esso avrà grande successo nell’Ottocento borghese in cui il rapporto di odio-amore con il passato si manifesta in tutta la sua duplicità rendendo visibile il legame con la narrativa gotica. Esso a differenza del romanzo gotico, supera la trasgressiva conflittualità rappresentando una visione di pace, prosperità e progresso per il Regno Unito e l’impero britannico. IL TEATRO ROMANTICO 1. IL PANORAMA CRITICO Il teatro romantico ha attirato la critica per l’invenzione di nuovi generi, l’ingresso delle donne sia come autrici che actor- managers, la nascita di una nuova e autonoma professionalità di attori che portò a una vasta produzione di manuali sulla recitazione, nuove tecnologie teatrali e dell’arte scenica. Anche il pubblico cambia: entrano a far parte del pubblico teatrale i ceti medio-bassi grazie ad una nuova politica dei prezzi e la componente femminile grazie all’ascesa della borghesia e alla presenza delle donne sulla scena letteraria. 2. I TEATRI Con il Theatre Regulation Act del 1847 si pose fine alla limitazione del numero di teatri autorizzati a rappresentare lo spoken drama. Ma fu solo nel 1968 che l’ufficio di censura abbandonò le scene inglesi. Così fu il censore, ovvero il Lord Chamberlain, ad avere un ruolo determinante nella scelta nella scelta dei testi da rappresentare. Nei testi non era ammessa alcuna offesa politica o religiosa. Il successo dei teatri e la grande affluenza popolare sollecitavano i benpensanti a condannare il teatro come luogo di vizio e di prostituzione. La stessa professione di attore ricevette delle accuse infamanti e d’immoralità. Tra ‘700 e ‘800 si assistette ad una radicale trasformazione dello spazio scenico con la costruzione o il riadattamento a Londra e nelle province di numerosi teatri: se la platea si ampliò, il palcoscenico ne seguì la sorte. Il teatro si trasformò rapidamente da salotto dei ceti dirigenti nello spazio di massimo intrattenimento popolare cittadino. I teatri patentati, il Drudy Lane e Covent Garden, furono ristrutturati secondo principi estetici e architettonici rivoluzionari: alle grandi dimensioni del palco e dell’auditorio si aggiunsero sofisticate attrezzature meccaniche, scenografie ricche e spettacolari, elaborati sistemi di illuminazione, nonché nuove tecniche recitative. Nel 1800 i legitimate theatres o licensed theatres erano presenti anche fuori Londra. I molti illegitimate theatres o unlicensed theatres si suddividevano in minor houses e penny graffs (o penny theatres). • Le minor houses erano teatri di medie dimensioni in cui si rappresentavano teatri musicali, danzanti o acrobatici (i generi che andavano in scena: melodrama, burlesque, pantomima, interludio, ballad opera, dramma equestre,dramma nautico). Talvolta questi teatri si specializzavano in un certo tipo di spettacolo. Il loro pubblico apparteneva in maggioranza alle classe media e piccolo borghese. Invece l’alta borghesia e gli aristocratici guardavano con un certo disprezzo le masse popolari che costituivano il pubblico dei nuovi teatri e perciò preferivano andare al King’s Theatre, Haymarket, il teatro dell’opera: genere teatrale e musicale che ottenne grandissimo successo. Tra il 1780 e il 1810 si diffuse nelle dimore degli aristocratici e a corte il fenomeno degli spettacoli privati “private theatricals” di cui troviamo un’eco esplicita in Mansfield Park di Jane Austen. Gli spettacoli nella major e nelle minor houses duravano dalle 5 alle 6 ore ed erano composti da una parte centrale preceduti e seguiti da spettacoli brevi come farse, pantomime o burlette. Per alcuni decenni fu in voga la pratica denominata “half-price system” che consentiva l’ingresso in sala a spettacolo iniziato, pagando solo la metà del biglietto. Alla fine del decennio dell’800, per evitare l’irrompere nelle sale di masse rumorose, si stabilì che l’ingresso a metà prezzo poteva essere consentito esclusivamente nel corso di un intervallo tra uno spettacolo e l’altro. I penny graffs o penny theatres costituivano una miriade di teatri popolari gestiti da singole famiglie o piccoli gruppi di attori. Talvolta i penny gaffs occupavano spazi ampi, il loro pubblico includeva la piccola borghesia, gli artigiani, i venditori ambulanti e più in generale la classe operaia. Gli spettacoli duravano da 1 ora a 1 ora e mezza e offrivano due esibizioni di cui una era una farsa e l’altra una riduzione di una tragedia o un melodramma. Spesso questi spettacoli venivano sostituiti da pantomime ed esibizioni acrobatiche o da performances con animali addestrati. Le compagnie della major houses erano più numerose rispetto a quelle delle minor houses. LEGITIMATE E ILLEGITIMATE THEATRES Il re Charles II riaprì i teatri chiusi dai puritani di Cromwell e nominò due drammaturghi a capo delle compagnie da lui autorizzate ad esercitare la recitazione in pubblico col Royal Licence nel 1660: i King’s Men e i Duke of York’s Men. La prima fu affidata a Thomas Killigrew, la seconda a William Davenant. I teatri dotati delle licenze reali furono il Drury Lane (aperto nel 1674) e il Royal Theatre a Covent Garden (inaugurato nel 1732). Un’eccezione fu rappresentata dal “Little Theatre in the Haymarket”. Fu proprio questo piccolo teatro a offrire il pretesto per l’emanazione del Licensing Act (1737) il cui vero intento era quello di contenere le satire politiche e dei burlesque che imperversavano nei teatri londinesi ma che sul palcoscentico del Little Theatre erano divenuti piuttosto virulenti ad opera di Henry Fielding. La corona inglese e il governo di Sir Robert Walpole li giudicarono talmente offensivi da mettere fine alla carriera di Fielding di drammaturgo e ad imporre un provvedimento legislativo che introducesse un vero e proprio ufficio di censura al cui vaglio sarebbero dovuti passare tutti i testi drammatici. Il Licensing Act sanciva anche una multa di 50 sterline per chiunque avesse messo in scena uno spettacolo teatrale non autorizzato preventivamente dal Lord Chamberlain. Così la legge ratificava e rendeva permanente quello che Charles II aveva avviato in forma provvisoria con la riapertura dei teatri, autorizzando i soli patent theatres o legitimate theatres, dotati di licenza reale, a mettere in scena lo spoken drama o “dramma di parola”. I teatri cosiddetti illegitimate o unlicensed, al contrario dovevano ricorrere a forme di intrattenimento che non si fondassero sulla sola parola recitata: dunque rappresentazioni musicate, cantate, o danzate con una recitazione verbale assente o solo intramezzata. 3. LE TECNICHE Le innovazioni teatrali furono: il progressivo arretramento del palcoscenico rispetto al tradizionale palco aggettante con la conseguente eliminazione delle porte laterali e l’introduzione di accessi al palco dal fondo; il calare del sipario ad ogni atto; un sistema di illuminazione che rese le figure sulla scena sempre più tridimensionali; i macchinari e i congegni che mettevano in moto i vari binari su cui far scivolare le scene e i fondali si presentavano organizzati in un sistema complesso che attraversava in lungo e in largo il palcoscenico. Le scenografie divennero sempre più capaci di sostenere l’illusione drammatica ricorrendo a rapide sostituzioni di sfondi e ambienti e riproducendo rumori, scoppi, fuochi o vapori. L’arte pittorica dei fondali divenne sempre più grandiosa e raffinata. È grazie a David Garrick che il teatro inglese attraversò una grande rivoluzione: per la tecnica utilizzò grandi pittori e lasciò il pubblico al buio illuminando la scena con delle lampade ad olio (spotlights); per la ricerca recitativa favorì lo stile naturale di recitazione e la verosimiglianza storica nei costumi e nelle ambientazioni. In epoca post-Garrik due invenzioni contribuirono ulteriormente a rivoluzionare le scene: la lampada a kerosene (1783) e la lampada Argand (1785). Nel secondo decennio dell’800 poi venne introdotta la lampada a gas. 4. ATTORI, ATTRICI E MANAGER TEATRALI I cambiamenti teatrali favorirono la crescita del fenomeno dello “star system” e l’affermarsi dei grandi “actor-managers”. Nel nuovo spazio scenico era stato introdotto un altrettanto innovativo stile di recitazione che tendeva verso la “naturalezza” e verso la “passionalità”. Tutti i grandi attori e le grandi attrici si cimentavano col teatro shakespeariano. Il culto shakespeariano portò all’indiscusso successo per ben due anni di seguito di un bambino prodigio, l’anglo-irlandese William Henry West Betty (1791-1874) soprannominato “Master Betty”. Alcuni degli interpreti più significativi del teatro fra fine ‘700 inizio ‘800 furono: Richard Brinsley Sheridan, Sarah Siddons, John Philip Kemble, Edmund Kean, William Charles Macready, Dorothy Jordan e Madame Vestris. 5. I MANUALI DI RECITAZIONE E L’ESTETICA DELLE PASSIONI Gli attori e i drammaturghi studiavano la produzione manualistica teorica e metodologica sull’arte della recitazione che circolava nel periodo romantico e che conobbe una straordinaria fioritura dalla metà del XVIII secolo. Degni di menzione sono: • i contributi di Aaron Hill (1685-1750) per il suo “Essay on the Art of Acting” del 1746. Secondo le sue teorie, le qualità migliori per l’attore sono understanding (conoscenza o comprensione, la qualità che permette all’attore di comprendere e fare propria ogni singola battuta del personaggio e di accompagnarla con il gesto appropriato), sensibility (la capacità di sentire il personaggio interiorizzandone i sentimenti ed esprimendone le passioni), fire (temperamento dell’attore e la sua abilità nel coinvolgere il pubblico attraverso la forza interpretativa della sua recitazione). • i contributi di John Hill (ca. 1716-1775) per “The Actor: a Treatise on the Art of Playing” del 1750. Centra il suo discorso sulle passioni e ne individua 10 rappresentabili in scena: gioia, dolore, paura, rabbia, pietà, disprezzo, odio, amore, gelosia e meraviglia. Egli presenta una galleria di ritratti in cui descrive l’atteggiamento che deve seguire a quella determinata passione evocata. Il rapporto tra la teoria delle passioni e la prassi attoriale produce altri interessanti sviluppi: ne fanno fede i contributi di Charles Macklin, David Garrick e Henry Siddons. SYMPATHETIC CURIOSITY È una definizione attribuibile alla drammaturga Joanna Baillie che la pose a fondamento della propria scrittura teatrale. Può essere definita come un processo di simpatia e di identificazione nei confronti dei propri simili e va vista in riferimento alla tradizione del pensiero filosofico di Rousseau (Discorso sopra l’origine e i fondamenti della disuguaglianza fra gli uomini). Secondo Rousseau <<la pietà è un sentimento naturale, che moderando in ogni individuo l’attività dell’amor di se stesso, concorre alla mutua conservazione di tutta la specie. Essa ci porta impulsivamente in aiuto di quelli che vediam soffrire…>>. Dall’altro canto David Hume osserva: <<la simpatia è quel principio che si solleva tanto fuori di noi stessi da provare di fronte al carattere di un altro piacere o una pena come se tendesse al nostro svantaggio o vantaggio […]; non possiamo mai formulare un desiderio che non abbia un riferimento alla società. […] La simpatia è l’anima o il principio animatore; ed essa non avrebbe alcuna forza se facessimo completamente astrazione dai pensieri e dai sentimenti altrui…>>. 6. SHAKESPEARE, IL TRAGICO E IL RICORSO AL GOTICO Se gli attori si cimentarono con successo con i drammi di Shakespeare, l’influenza shakespeariana mise a dura prova il talento dei drammaturghi. I romantici guardavano l’opera shakespeariana come paradigma di un linguaggio squisitamente lirico che iscriveva nella propria sintassi le passioni del personaggio e il corpo dell’attore. Shakespeariano è il ricorso al blank verse a cui si accompagnò un linguaggio attento al gesto, al movimento e alle relazioni interpersonali. Il questo processo di transizione tra mondo antico e mondo moderno la scena inglese della fine del ‘700 si riforma contaminando i generi classici, delineando una nuova categoria di tragico, patetico e sentimentale, volti alla rappresentazione del mondo domestico e privato, delle emozioni e dell’interiorità. In questo nuovo genere di tragedia è proprio il terrore ad assumere un ruolo particolare perché vi si fa ricorso anche al fine di accendere la compassione e con l’intento di alimentare prudenza e carità. L’elemento del terrore viene poi alimentato ulteriormente dall’effetto sorpresa da eventi inaspettati che cambiano il corso del Pakistan e alla sua nascita come stato indipendente; lo stesso avviene per Ceylon (Sri Lanka) e Birmania. Mentre a partire dagli anni ’50 il processo di decolonizzazione accelera coinvolgendo i protettorati del Nord Africa, Cipro, i territori dell’Africa orientale e occidentale e il Kenia. L’impero si è trasformato in un Commonwealth, una rete commerciale in cui sempre più forte e antagonistica si fa la presenza degli Stati Uniti. Tale tumulto attraversato da autonomia, ricerca e affermazione di una nuova identità (politica, economica, letteraria) trasforma la letteratura di lingua inglese che si muove in due direzioni: la prima che interessa i Dominions, rilegge e narra da un’altra ottica la propria esperienza alla luce di quelle che sono considerate le istanze del postmoderno, e quella del postmoderno, (che non necessariamente coincide col postcoloniale) in cui gli scrittori delle ex colonie sono costretti a scegliere la lingua inglese per avere una ribalta internazionale. 2. CANADA L’idea di letteratura canadese fondata sulla social imagination coincide con quella stessa del Canada e la sua originalità risiede nell’essere frammentata, discontinua, caratterizzata dal vuoto, dall’assenza. Quel vuoto che l’intellettuale canadese tenta di colmare con l’aiuto dell’imagination, immergendosi nella Natura e confrontandosi con essa, gli permette che il mondo naturale colmi i vuoti della società mentale. Lo spazio geografico diventa uno spazio scritto, uno spazio all’interno di una mappa letteraria in cui le frasi, le parole e il narrato hanno la stessa funzione delle strade e delle ferrovie: sono la testimonianza di una presenza, sono la certezza del proprio esistere ma servono soprattutto a conferire un’unità della quale si avverte il bisogno. Si ha così il passaggio da una fase pre-nazionale a una post-nazionale e il passaggio dal settlement al development. La crescita del paese è scandita dal ricordo della propria infanzia, da un senso del passato che si può identificare soltanto con la nostalgia per un mondo di pace e protezione dove spontaneo è il rapporto con la Natura, con l’idealizzazione della memoria. Tale sistematizzazione teorica nel creare il “mito della terra” indica ai giovai poeti una direzione ben precisa: • Da una parte danno vita ad una poesia metropolitana elegante e allusiva, tradizionale nella forma e colloquiale nel tono • Sul versante opposto ricorrono all’imagery, al grottesco, all’uso del simbolo e della parodia, per produrre componimenti brevi, densi di paragoni e di continui riferimenti alla storia e al mito che ritraggono da diverse prospettive la scena canadese. La struttura dicotomica della cultura canadese si riflette in queste due linee di tendenza che si rafforzano nel corso degli anni Sessanta e Settanta. Questi sono gli anni del cosiddetto “Rinascimento canadese” durante i quali si recupera la storia locale. Il Canada diviene finalmente una patria, il luogo della ritrovata serenità in cui il poeta può abbandonarsi ad un viaggio a ritroso nel tempo alla ricerca delle proprie radici. Non è un caso dunque che accanto alla scoperta di personaggi storici e letterari e al recupero del patrimonio orale degli Indiani che compongono la nuova mitologia, emergano con prepotenza le voci delle minoranze, prima tra tutte quella ebraica. Questi sono anche gli anni della “creazione verbale”, della ricerca di nuovi modelli espressivi che mescolano i generi. Nascono così la poesia visiva di George Bowering che fa muovere le parole come una palla sul campo di gioco e le poesie costruite per gioco di Margaret Atwood. Il punto di incontro di queste esperienze diverse è rappresentato dalla “West Coast Renaissance” l’unico vero movimento del periodo che si forma intorno alla rivista Tish. Le opere dei poeti non tralasciano di misurarsi con il landscape, con un elemento naturale che è impregnato della storia e della cultura delle tribù indigene. Questa visione che si estende fino a comprendere i poeti delle Praterie per i quali la parola ha lo stesso effetto divinatorio, si identifica, in un certo senso, con quella degli esploratori e dei cartografi. Anche nella narrativa riscontriamo un processo analogo grazie ai nuovi e più dotati talenti. Questo non significa una rottura col passato, anzi il rafforzamento di una linea di lotta contro la violenza che si identifica con lo sforzo di antropomorfizzare (conferire qualità umane) il landscape e di conferirgli, attraverso l’immaginazione, una forma articolata e originale. Le conseguenze di questo impegno sono: • Un accresciuto “nazionalismo” culturale che dà vita ad un fioritura di iniziative editoriali e teatrali • Una più marcata caratterizzazione al femminile della letteratura che nelle tematiche della condizione femminile individuano la metafora della storia del Canada • Un frequente ricorso alla forma del racconto • La rivoluzione sessuale come reazione al soffocante moralismo calvinista che avvia la discussione su sesso e genere. La letteratura al femminile costituisce il lato più eclatante e interessante. Si tratta di una poesia scritta da donne e che parla di donne. Essa ripropone un’identificazione tra la femminilità e il processo naturale, tra donna e paesaggio e individua una correlazione tra corpo e linguaggio, tra la lotta per vedere affermati i propri diritti in una società maschilista e la survivance, tra l’immaginario femminile e l’essenza stessa dell’arte. Il dialogo con la storia (personale, locale e nazionale), diviene l’elemento che accomuna il continuum immaginativo che si identifica con i romanzi di autori altrimenti diversi. Il passaggio dal Modernismo al Postmodernismo segna un'altra tappa fondamentale, attraverso termini tecnici e stilistici (l'ironia, il paradosso, la commistione dei generi ecc) consentendo di superare l'assenza di una tradizione culturale e linguistica autonoma e originale e di arrivare, quindi, a una definizione dell'identità o del "sense of the place" come coscienza collettiva, come l'unione di tante specificità, di tanti regionalismi o addirittura personalismi. Ciò giustifica voci sempre più forti e autorevoli che si levano dalle diverse minoranze e propongono una lettura nuova delle tematiche dell'esilio e dell'immaginazione. Il sentimento di displacement cerca un ruolo e un'identità "canadesi", dimostrando come dai bordi o dalla periferia possa emergere un'arte vitale e spontanea che si opponga all'uniformità imposta da una società che rimane o vuole apparire fondamentalmente anglosassone. Si tratta di fare del Canada una nazione e non più un paese di immigrati. Il teatro di marginalità, quello femminista, può dunque essere considerato l'elemento innovativo più dirompente e più efficace degli ultimi due decenni. Tuttavia il focus di questo teatro militante è diretto verso le grandi problematiche femminili, dall'aborto allo sfruttamento, dalla disoccupazione alla violenza, alla liberazione sessuale, trasformate, attraverso l'esperienza della "collective creation" in uno strumento di denuncia e di azione politica. 3. AUSTRALIA E NUOVA ZELANDA A partire dagli anni ‘50 la letteratura australiana cerca di uscire da un "modernismo mancato" percorrendo due strade distinte ma destinate a rispecchiarsi: da un lato quella di un impegno più maturo, distaccato dalla ‘mistica del bush’, fortemente critico nei confronti dell'establishment con una vocazione internazionale e simbolica; e dall'altro, quella della produzione aborigena che, offre un output straordinario per originalità e tragicità. La poesia nel secondo dopoguerra imitava i modelli americani. Il dato certo è rappresentato dal grande numero di scrittori che si misurano con il verso, quelli che la storiografia letteraria corrente ha identificato con la generazione del '68, la generazione del '79, la generazione del '99. 4. AFRICA Con il termine ‘postcoloniale’ si intende l’insieme della teoria e della prassi del processo di decolonizzazione che l’indipendenza dell’India mette in moto, a partire dall’Africa dov’esso è più violento. Si parte dalla formulazione della nozione di dependency complex, quello dei figli nei confronti dei genitori, che viene superato con il raggiungimento dell'età adulta, ma che talvolta può originare un complesso di inferiorità. È proprio questo complesso di inferiorità che ha permesso il realizzarsi del colonialismo e te dal suo superamento che bisogna ripartire per giungere a un'indipendenza politica e culturale. La letteratura è un'attività comune, un'azione sociale che si allarga dall'individuale al collettivo, dal nazionale al mondiale. Il colonialismo è un processo di differenziazione, trasposizione, traduzione che genera una zona intermedia, un "terzo spazio" in cui si realizzano una serie di dislocazioni, dentro e fuori i confini stabiliti. L'intellettuale si identifica con il migrante, colui che è costretto a emigrare, a cercare una negoziazione con la cultura dominante. La nascita della letteratura africana postcoloniale si fa generalmente risalire a un autore, il nigeriano Achebe nato nel 1930 wow che pubblica il suo primo romanzo nel 1958 "Things Fall Apart". La poesia africana in lingua inglese è caratterizzata dalla sperimentazione linguistica e stilistica e dalla contaminazione fra la cultura poetica britannica e la tradizione dei canti africani. I poeti che hanno dato contributi significativi in questo senso vengono in genere classificati come autori della Altair-native tradition africana, dove native si riferisce non solo al recupero del folklore e della lingua nativa, ma anche all'interpretazione tradizionale del ruolo sociale del poeta quale voce e maestro della sua gente, che allarga la propria sfera alla denuncia politica. 5. I CARAIBI La narrativa postcoloniale dei Caraibi nasce, negli anni '50, grazie ad un gruppo di scrittori di provenienza diversa che si ritrovano a Londra per studiare e per iniziare la loro carriera letteraria. Questi scrittori sono accomunati dal tema dell'esilio, dalla ricerca dell'identità e dalla necessità non solo di misurarsi con "la seconda patria" ma di servirsene come di un filtro per riappropriarsi della propria cultura. Nella poesia, la tendenza alla sperimentazione si fa più marcata, sia per la tradizione orale, sia per l'uso degli altri englishes, sia per l'uso ritmico della musica in special modo del calypso o della dub poetry con il testo poetico che sostituisce quello della canzone, sovrapponendosi alla base musicali. 6. INDIA L'India, il luogo che meglio incarna la fase più recente writing back che provoca un vero e proprio terremoto e in termini di immaginario collettivo, restituendoci un ritratto veritiero dell'India liberato dalle sovrastrutture occidentali, in termini linguistici, facendo compiere alla lingua inglese una vera e propria rivoluzione che ce la restituisce paradossalmente più vicina ai modelli della Grande tradizione classica, più agile, più colorita, più incisiva e metaforica, pronta a cogliere e a raccontare i grandi cambiamenti del mondo. Coloro che si occupano del problema della Partition, della separazione, cioè, del Pakistan dall'India (con la lunga sequela di lotte fratricide e massacri che la caratterizzano e lo orrore che esse provocano) vengono portati a mettere in discussione i grandi miti su cui fino ad allora il paese si è retto. In questo periodo emblematico fiorisce la scrittura al femminile che si incentra sulla condizione della donna e, richiamandosi alle dottrine di Gandhi, ne mette in evidenza i limiti, le contraddizioni e la giusta aspirazione alla libertà. Non meno importante è la poesia, alternativa a quella tradizionale in lingua indiana, che si è andata formando nei workshops (seminari) di Calcutta e Dehli e che attraversa tutto lo spettro frammentario indiano riuscendo tuttavia a cogliere il senso di una realtà che si dipana quotidianamente nel contesto urbano, che modella e definisce i contorni dell'anima umana, le sue ansie, le sue passioni, i suoi amori, i suoi dolori, le sue contraddizioni. LA SFERA PUBBLICA POSTCOLONIALE IN GRAN BRETAGNA 1. ORIGINE E SVILUPPO DEL CONCETTO DI SFERA PUBBLICA Il concetto di "sfera pubblica" deve la sua origine all'intellettuale tedesco Jurgen Habermas, il quale nota che "in un tempo in cui l'Illuminismo e la Rivoluzione stavano distruggendole legittimità di regimi e dei regni dinastici, le sfere pubblica e privata diventarono strettamente complementari". Uno degli effetti più visibili di questa "autorità di stato resa impersonale" fu la fuoriuscita, dal campo della sfera privata vera e propria, di una serie di questioni che riguardavano sia le sfere private di numerosi individui che lo stato stesso. Ad esempio le tasse i dazi e altri aspetti amministrativi, con cui ogni cittadino aveva che fare, "diventarono finalmente l'oggetto di una nascente sfera critica" raffigurando i primi segni di quella che oggi viene comunemente definita opinione pubblica. Così comincia a prendere forma questo "confronto politico che era peculiare e senza precedenti: l'uso della ragione da parte del popolo". Habermas definisce questo modello settecentesco e ottocentesco di sfera pubblica come "un forum in cui individui si riunivano per dare forma ad un pubblico e costringevano l'autorità pubblica a legittimarsi e legittimare le proprie decisioni di fronte all'opinione pubblica". Dunque, da questa prospettiva, il termine "pubblico" diventa sinonimo del concetto di individui che analizzano e discutono questioni di interesse comune tramite l'uso critico della ragione. I fora (gli spazi) alla base di questo tipo di sfera pubblica furono inizialmente caffè, piazze, mercati e tutti i luoghi che permettessero la discussione e il libero scambio di opinioni fra chiunque volesse e potesse dibattere questioni di interesse comune. L'idea di forum si arricchì notevolmente rispetto a questa definizione di spazio fisico quando la tecnologia di stampa introdusse il giornale, subito identificato come lo spazio più congeniale. La sfera pubblica comincio a giocare un ruolo fondamentale nell' "assicurare a livello istituzionale il legame tra legge ed opinione pubblica", mettendo a disposizione dei cittadini degli spazi in cui si potessero discutere e contestare pubblicamente le decisioni del governo e proporne possibili alternative. I fora, i veri strumenti di questa sfera pubblica, come i giornali, permettevano al dibattito di raggiungere sezioni consistenti della popolazione, inclusi i mobili cittadini analfabeti che scambiavano regolarmente le proprie opinioni con i molti che già leggevano libri e giornali. La sfera pubblica in uno Stato costituzionale garantiva tre fasce di diritti fondamentali: - la prima si riferiva alla difesa e alla promozione del "pubblico nell'atto del dibattito critico nazionale" (le libertà di stampa, di assemblea e associazione, di pensiero e di parola). - una seconda fascia si riferiva agli "scambi commerciali tra proprietari di beni nella sfera della società pubblica", inclusa la protezione della proprietà privata e l'uguaglianza di tutti cittadini davanti alla legge. - la terza fascia riguardava "il singolo come essere umano libero, all'interno della sfera intima della famiglia coniugale patriarcale" (la libertà personale e l'inviolabilità del domicilio). 2. STRUMENTI DELLA SFERA PUBBLICA IN GRAN BRETAGNA Il ruolo dei giornali si trasformò velocemente e da "pubblicista" è legato ad interessi dello Stato, cominciò a divenire quello di una stampa sempre più indipendente. Dal 1720 al 1730 questa crescente indipendenza dei giornali fu resa possibile dall'opposizione dei Tories ai Whigs che allora erano al potere. Così l'opinione pubblica era guidata dal consolidarsi di un giornalismo indipendente e che sapeva come contrapporsi al governo. Tuttavia secondo Habermas lo spazio per queste forme di partecipazione popolare diretta negli affari di interesse comune non sarebbe durato a lungo. Habermas descrive la caduta della sfera pubblica. Secondo il suo punto di vista, il creare e condizionare l'opinione pubblica divento un affare elitario, legato ad atti manipolativi del pubblico e a slogan propagandistici. "Il cittadino rientrò in uno stato di tutela" sotto la supervisione dei gruppi dominanti nella società. Dunque, già dalla fine del 19° secolo, "la società fu costretta ad abbandonare anche l'idea di simulare vagamente una sfera in cui l'influenza del potere fosse sospesa". La sfera pubblica perse il suo carattere critico razionale a favore di un'opinione pubblica manipolata da interessi privati. È emersa una sfera sociale ri-politicizzata a cui non si poteva più applicare la distinzione fra pubblico e privato. Le possibilità di comunicazione diminuirono, almeno per quanto riguarda gli organi di informazione che attraversarono un processo di privatizzazione dei loro interessi economici, diventando quindi parte di una società di consumo di massa piuttosto che uno strumento critico nelle mani del pubblico. 3. POSTCOLONIALISMI IN AZIONE Nel periodo in cui l'Inghilterra era uno fra i paesi a godere dello sviluppo una sfera pubblica, essa consolidava il suo impero di colonie da un capo all'altro del globo. Mentre milioni di sudditi dell'impero britannico vivevano in condizioni di sottomissione, in molti casi rasentante la schiavitù. All'inizio del 20° secolo, l’impero si estendeva fino a includere circa un quarto della popolazione mondiale. L'enorme volume e i contenuti delle produzioni letterarie che trattano il tema del colonialismo, testimoniano le violenze e le barbarie perpetrate dal governo di Sua maestà per secoli in questi territori. Tutto ciò accadeva mentre si diffondeva l'umanesimo come strumento per ottenere diritti e democratizzare l'Inghilterra. Questo contrasto fra principi di uguaglianza e di democrazia all'interno, da una parte, è un imperialismo spesso spietato all'esterno, dall'altra, era evidente nella maggior parte dei casi occidentali che hanno insistito nel progetto coloniale fino oltre la metà del secolo scorso. Sono molti gli osservatori che sostengono una visione benigna del colonialismo britannico rispetto quello delle altre nazioni. Essa è però anche basata sul concetto di libertà, che secondo molti trova le sue origini negli ambienti anglosassoni. Questa interpretazione sembra alquanto paradossale. Il colonialismo trasformerà il panorama etnico e culturale britannico, mettendo in dubbio il modello tradizionale di "britannicità" e l'insieme di valori su cui si è a lungo basato. Gli studi postcoloniali hanno inteso da una parte analizzare le tematiche dominanti relativi all'identità etniche e culturali e, Dall'altra, criticarle mostrandone la frequente arbitrarietà e la natura spesso artificialmente costruita. Nel saggio di Hall, al termine "postcoloniale" si attribuisce certamente una connotazione temporale (dopo il coloniale) ma viene inteso anche come un vasto bacino di sentimenti, dinamiche ed esperienze. Dunque, la parola "post" indica i modi in cui si affrontano queste problematiche. Non significa abbandonare questo terreno, ma piuttosto usarlo come punto di riferimento. Il termine "post" si riferisce a un continuo interagire con gli aspetti e le implicazioni del termine che lo segue. Il termine "postcoloniale" riguarda questioni relative all'identità, al colonialismo, alla globalizzazione, alla migrazione, all'ibridismo, al concetto di diaspora, a quello di etnicità e alle forme di nuovo razzismo. L'analisi approfondita di quella inerente alle politiche razziali È centrale nel progetto postcoloniale. Secondo Paul Gilroy, ciò significa esempio riconoscere che "le nozioni riduttive del concetto di cultura che alimentano le politiche razziali di oggi sono legate evidentemente a un modo antico di pensare e di parlare di differenze razziali ed etniche che è fortemente radicato nella storia dell'idea di cultura nel mondo occidentale. In questo modo antico ha trovato spazio la teoria del "fardello dell'uomo bianco", secondo cui il suo destino è quello di sollevare dall'inciviltà e dall'ignoranza gli altri gruppi etnici. Nei secoli, oltre a un’ampia giustificazione per le sottomissioni e le violenze, ciò ha giustificato anche il mantenimento di un atteggiamento critico, diffidente e stereotipato verso tutti i gruppi etnici e le culture, tranne per coloro che avevano stabilito le regole: i bianchi. Le nazioni hanno ognuna un quid di stereotipato, caratteristiche essenziali che differenziano i membri di quella nazione da quelli delle altre e che donano quel senso di nazionalità. Ma quest'idea di nazione è come una moneta con "il senso assoluto di differenza etnica" all'esterno, stampato su un lato, e il