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Manuale di Letteratura e Cultura inglese - Crisafulli Elam, Sintesi del corso di Letteratura Inglese

Riassunto completo del manuale di letteratura e cultura inglese di Crisafulli Elam

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019
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Scarica Manuale di Letteratura e Cultura inglese - Crisafulli Elam e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Inglese solo su Docsity! Manuale di letteratura e cultura inglese (Crisafulli, Elam) – Lingua e letteratura inglese (D’Amore) Il Romanticismo Nella cultura della Gran Bretagna a cavallo tra Sette e Ottocento non vi sono manifesti letterari tesi a dichiarare l’esistenza di una poetica romantica, e ciò in netto contrasto con quanto succede nel resto d’Europa. È più accurato definire il Romanticismo letterario della Gran Bretagna come un momento di intersezione tra diversi modi di scrittura, ovvero un “periodo romantico” in cui temi e stili nuovi si intrecciano in una convivenza vivace e feconda con gli elementi ancora vitali della letteratura e delle arti del passato. Storicamente, è fuor di dubbio che si tratta di un’età di rivoluzioni le cui radici affondano nei rivolgimenti della storia recente, a partire dalla Restaurazione. In questo senso, la rivoluzione industriale scaturisce dalle scoperte tecnologiche e porterà all’esplosione demografica del Settecento. A livello letterario e culturale molte sono le linee di continuità con il Settecento. L’estetica neoclassica raccoglie ancora ampi consensi e molte sono le tracce di questo suo influsso in campo letterario. Anche il romanzo del periodo romantico si innesta saldamente sul tronco del genere settecentesco, come anche il medievalismo reso popolare da Scott ha le sue radici nelle teorie storiografiche e nelle rivalutazioni storiche dell’illuminismo scozzese, così come la stessa riscoperta delle letterature antiche o esotiche è il prodotto della curiosità e del cosmopolitismo tipici del pensiero illuminista. F 0 E 0 L’eclettismo costituisce la marca distintiva del Romanticismo in Gran Bretagna, dove alle forme di continuità col passato vengono ad aggiungersi elementi di profonda innovazione. Emerge una nuova concezione dell’identità individuale fondata su un sé autocosciente e autonomo, nonché un’idea complessa di identità nazionale. Nel contempo si fanno sempre più pressanti anche le istanze liberali, tra cui il proto-femminismo di fine Settecento, i movimenti di rivendicazione dei diritti dei non anglicani, il riformismo politico e l’abolizionismo. F 0 E 0 Il periodo romantico registra importanti conquiste come l’abolizione del commercio di schiavi nel 1807, l’emancipazione dei cattolici nel 1829, la riforma del sistema elettorale (Great Reform Act) nel 1832 e l’abolizione della schiavitù nel 1833. Si ha l’ampliamento del mercato dei libri e del pubblico dei lettori e si assiste all’emergere della figura del letterato di professione indipendente dal mecenatismo privato. Elementi chiave della nuova estetica sono un ritrovato sperimentalismo poetico, la creazione di nuovi generi, il rinnovato interesse per il sonetto , la moda del frammento, il romanzo gotico e quello di maniere, il dramma storico. A livello tematico, si diffondono la descrizione e l’analisi dei sentimenti e degli stati d’animo, un interesse per l’esperienza e la coscienza individuali come sedi di un sentire privilegiato, un’idea della natura e del cosmo come organismi viventi e sensibili, la rappresentazione dei lati oscuri e delle pulsioni inconfessabili dell’essere umano, un’attrazione per i luoghi altri sia in senso temporale che geografico. → La letteratura del periodo romantico è un articolato intreccio di elementi della tradizione e nuove manifestazioni. Il rispetto e l’amore per il passato vanno di pari passo con il rilancio della letteratura verso orizzonti nuovi. Romantic L’aggettivo romantic risale al XVII secolo, quando inizia a essere usato nel senso di “proprio del romance”, ovvero “meraviglioso” e “avventuroso”, “ricco di immaginazione” ma anche “eccessivamente fantasioso” in senso dispregiativo. La prosa del Romanticismo Tradizionalmente si fa risalire l’inizio del romanticismo inglese all’anno 1798, data di prima pubblicazione della raccolta di poesia Lyrical Ballads di William Wordsworth e Samuel Coleridge, che siglò una svolta radicale nei temi, nello stile e nella sensibilità poetica rispetto alla precedente produzione neoclassica. Oggi, tuttavia, la critica anglosassone preferisce collocare il romanticismo britannico in un arco di tempo più ampio. Molti critici ritengono che lo si possa porre fra gli anni della rivoluzione americana e gli anni 30 del 1800, anno della salita al trono della regina Victoria che inaugura “ufficialmente” il Vittorianesimo. In sostegno di tale ipotesi di espansione temporale vi sono alcuni elementi di continuità sia di carattere storico sia di carattere testuale. La rivoluzione americana trasformò la garbata e “witty” conversazione privata dei salotti e dei club in acceso dibattito pubblico sui giornali e in parlamento, creando una “public opinion” capace di opporsi alla politica governativa e di ostacolarne, seppure solo di misura, le mire espansionistiche. Non è casuale che in Gran Bretagna, proprio in seguito alla spinta ideale della guerra di indipendenza americana, il movimento abolizionista prese forma per ufficializzarsi negli anni 80 del 1700. A Wilberforce, Clarkson e al movimento abolizionista si dovette infine la sospensione prima della tratta degli schiavi da parte della Gran Bretagna e poi la messa al bando definitiva della stessa condizione di schiavitù nei territori inglesi che era così ritenuta illegale sul suolo britannico ma non nelle sue colonie. La storia del romanticismo fu, se non altro per questioni temporali, legata inevitabilmente alla storia del colonialismo e, quindi, della schiavitù. → Fra i contributi poetici al movimento abolizionista ricordiamo “On Slavery” di William Cowper, che ben documenta lo smarrimento del poeta di fronte alla violenza dell’uomo sull’uomo. Nel caso di William Blake, è la sua intera poesia ad ergersi contro ogni forma di schiavitù, mentale, politica o perfino religiosa. Un significativo esempio, nella produzione di Blake, di esplicita opposizione alla politica di sfruttamento e disuguaglianza è il poemetto “The Little Black boy”, tratto dalla raccolta “Song of Innocence”. Nella poesia, scritta in prima persona, la voce del piccolo africano esprime il desiderio di parità di tutti i bambini di fronte a Dio e una gioiosa fraternità con il bimbo bianco. William Wordsworth, nel 1829, pubblica la poesia intitolata “Humanity” dove il poeta sottolinea l’assurda contraddizione dell’Inghilterra che da un lato rifiuta la schiavitù sul proprio suolo in nome delle libertà sancite per ogni cittadino britannico sin dal Medioevo e, dall’altro, è complice del commercio degli schiavi in altri territori. Le poetesse giocarono un ruolo preminente nella campagna abolizionista facendo udire forte e chiara la loro contrarietà e resistenza. In quanto donne si sentivano esse stesse private dei diritti civili, in consonanza con l’affermazione polemica di Mary Wollstonecraft per la quale “gli uomini schiavizzano le donne: quante generazioni sono necessarie per dare vigore alle virtù e ai talenti?”. Nel periodo più caldo del movimento abolizionista furono numerose le poetesse che fecero udire la propria voce con piglio e autorevolezza contro la tratta degli schiavi. La poetessa Ann Yearsley, appartenente alla classe operaia, contribuì al dibattito con “A Poem on the Inhumanity of the Slave Trade”, una poesia di genere ibrido che mescola l’ode, l’epica e la poesia narrativa. Hannah More, in The Sorrows of Yamba, pur suggerendo la religione come una forma di possibile conforto alle sofferenze della povera schiava Yamba, non esita a denunciare la brutalità dei mercanti britannici e dei marinai delle navi negriere che, lontano da casa, tradiscono ciò che in patria considerano di più sacro e inviolabile, la libertà e gli affetti domestici. Dal punto di vista economico il boicottaggio dei consumi fu uno dei mezzi più persuasivi della campagna: chiedendo alle donne di boicottare i prodotti derivanti dal lavoro degli schiavi. Il destino che segna la vita di questi bambini, altrimenti gaia e spensierata, è ancora buio, cupo e simbolicamente rappresentato da un cielo nero che grava sulla città come “un oscuro sudario”. 3. Nostalgia, gusto antiquario e medievalismo Al realismo di cui danno prova i romantici si affianca una inevitabile nostalgia per il passato. La rivoluzione francese generò sul suolo inglese un clima politico oppressivo che ne limitò le tradizionali libertà. Nel 1794 il governo di Goerge III promulgò leggi che sospesero la libertà di stampa e di adunata e introdussero i reati di opinione. La rivoluzione che aveva inizialmente alimentato speranze straordinarie ed era stata accolta come realizzazione delle più alte predicazioni illuministe, finì, a causa del periodo del Terrore e del conflitto anglo-francese, con inimicizie, delusioni e timori. Charlotte Smith ebbe il coraggio di promuovere la fratellanza fra gli abitanti delle due sponde della Manica. Una fratellanza che era divenuta perfino impossibile immaginare e la cui sola ipotesi era considerata atto di alto tradimento. Nella sua produzione poetica, ai toni malinconici della perdita e del pianto non fa seguito la consolazione. I sonetti della Smith mettono a nudo solitudine e frustrazione ma anche una caparbia volontà di denuncia. Il gusto antiquario inglese fu il frutto della tensione verso un universo ricco di pulsioni e di desiderio e della necessità concreta di ricostruire una nazione e un sentimento nazionale. Il ricorso alla ballata come genere letterario è frequente nel Romanticismo così come il clima malinconico, notturno e fantastico che caratterizza quelle antiche ballate a cui i poeti attinsero a piene mani. Walter Scott, grande fautore dello Scottish revival, si prodigò nell’assemblare un repertorio di antiche e popolari ballate. La sua predilezione per il racconto cavalleresco e per il romance, che trova la sua più riuscita realizzazione nei romanzi storici, è presente anche nelle sue poesie che ottennero un successo straordinario. Nel 1819 fu Felicia Hemas, poetessa della seconda generazione romantica a raccogliere il testimone ricevendo un premio di poesia nazionale con l’opera Wallace’s Invocation to Bruce, che offre un quadro patriottico della Scozia medievale e dell’eroe scozzese William Wallace. Un caso particolare è rappresentato da Joanna Baille, che si nutrì del gusto celtico e popolare del suo tempo per distillarne una poetica del tutto personale che a ben vedere anticipa il manifesto romantico. L’attenzione ai moti dell’anima, alle passioni che condizionarono le scelte umane, la “sympathetic curiosity” che lo spettatore deve nutrire per il personaggio che si agita e soffre sul palcoscenico e la necessità di ricorrere a un linguaggio semplice per convogliare più direttamente tali sentimenti, furono elaborati e sperimentati. I poems presentano al lettore un mondo perfettamente scandito dai ritmi dei cicli naturali. Qui sono le passioni e i sentimenti dei personaggi, piuttosto che le loro azioni, a essere esplorati e rappresentati attraverso la magia di un verso musicale e in tutta la loro semplice ma profonda umanità. In questi testi, nonostante sia chiaro il riferimento ai paesaggi scozzesi, le scene, i personaggi, i sentimenti descritti conservano un valore universale, spogliato da qualsiasi rigida connotazione localistica. I personaggi favoriti dalla Baille sono i fanciulli e la gente semplice ma vi è anche una grande attenzione verso figure che vivono al margine della società e si comportano in modo bizzarro perché la vita li ha messi a dura prova. In questi casi la narrazione si sofferma a descriverne il comportamento, a presentarne, con comprensione per la loro fragile umanità, la instabilità psicologica senza esprimere giudizi o condanne, conservando per intero il mistero della visione unica e personale che essi perseguono. Individui trascurati dalla poesia tradizionale perché socialmente marginali assumono in questi testi dimensioni eroiche, e i loro sentimenti e le loro pene, invisibili ai più, vengono amplificati dalla sensibilità dell’io poetico che se ne fa portavoce. 4. Lyrical Ballads e Dorothy Wordsworth: il linguaggio della natura Nella preface alle “Lyrical Ballads” nell’edizione 1800, Wordsworth illustra la sua poetica e il tentativo di guidare il lettore alla riscoperta di un più semplice e naturale modo di vivere, dando rilievo a un particolare tipo di linguaggio che egli vuole altrettanto semplice e autenticamente popolare. F 0 E 0 Per Wordsworth il poeta è “a man speaking to men”. Le poesie di Wordsworth registrano le inquietudini e le esperienze del tempo attraverso i tratti delicati del sentimento. La sua ricerca approda al mondo degli umili e della natura. La ricerca di Coleridge, da altro lato, conduce alla dimensione spirituale e paradigmatica. In The Rime of the Ancient Mariner, il marinaio è costretto a narrare la sua storia di sangue e di morte, come dirà all’invitato a un banchetto di nozze in cui irrompe, dall’obbligo morale di ripetere ritualisticamente il suo racconto di espiazione. Egli è colpevole di aver ucciso senza motivo l’albatro, un uccello salvifico simbolo dello spirito divino. Per questo il vecchio marinaio perde i propri compagni di viaggio e perfino il diritto a morire. Il suo pellegrinaggio è purgatoriale e la sua vita si trasforma in vita in morte riscattata solo alla fine dal racconto dell’amore che il marinaio manifesta per tutte le creature viventi. F 0 E 0 Il rito a cui il marinaio è sottoposto è soprattutto un atto linguistico dove la parola si fa azione: narrare per cancellare la colpa, affinché la parola che esprime la colpa venga essa stessa purgata e, una volta rigenerata, riacquisti lo statuto originario di segno e manifestazione di un ordine divino. Se Wordsworth canta i destini della vita degli umili dando a essi un’identità e un volto, Coleridge dipinge un affresco maestoso e allegorico delle condizioni spirituali di un’umanità pellegrina sulla terra. Intuiamo che i due autori esprimono la loro volontà di mescolare sentimento e storia, naturale e spirituale, la soggettività dell’esperienza e il valore universale che questa ha su chi legge. Le Lyrical ballads appaiono quindi come “poetry of nature” perché contengono due elementi cardine: il primo è “il potere di suscitare la simpatia del lettore”, il secondo è “il potere di defamiliarizzare il mondo” vedendolo come per la prima volta attraverso il potere dell’immaginazione. Dell’incantamento e dell’emozione Wordsworth continuò ad occuparsi ben oltre le “ballate liriche” arrivando a coniare la definizione di spots of time per indicare i momenti di rivelazione che hanno luogo allorché l’io e il mondo misteriosamente si compenetrano generando vere e proprie epifanie. Il sodalizio fra Wordsworth e Coleridge ebbe come testimone e ulteriore protagonista la sorella di William, Dorothy, autrice di straordinarie pagine diaristi che e di poesie sul mondo naturale nelle quali lo sguardo poetico si pone orizzontalmente a ciò che canta. Decantata dal fratello come musa domestica e custode dei legami familiari, Dorothy trascorse la prima infanzia felice, ma a soli sei anni, alla morte della madre, iniziò una lunga peregrinazione. Ella iniziò a scrivere diari che registrano gli eventi della giornata e le esperienze sensoriali da lei provate: gli odori, i colori, ogni piccolo suono che l’avevano colpita. Sono appunti preziosi, tratteggi epifanici di un quotidiano speciale. Nelle pagine di Dorothy la natura sembra diventare essa stessa casa, luogo d’integrazione fra pensiero e immaginazione. 5. Mondo onirico e bellezza in Mary Robinson e John Keats Mary Robinson e John Keats, il più giovane di quello che viene indicato come il canonico trio romantico della seconda generazione (insieme a Byron e Shelley). La Robinson presenta un’ampia campionatura di generi e modi poetici, con temi e melodie che si ispirano al gusto antiquario. Ad es., la poesia “The Haunted Beach” propone un’interessante eco dell’atmosfera incantata e surreale dell’Ancient Mariner di Coleridge. Come in Coleridge lo sfondo è il mare e i personaggi sono marinai onirici. L’immagine centrale è quella di una spiaggia abitata da spettri e dal ricordo in marinaio ucciso per denaro. In The Savage of Aveyron la Robinson usa il tono nostalgico narrativo proprio delle ballate, e la melodia viene enfatizzata da un accorto alternarsi di rime maschili e femminili. Vi si riscontra l’episodio vero di un bambino ritrovato nel 1799 in condizioni selvagge nei boschi della Francia centro-meridionale, una scoperta che destò molto scalpore e avviò vari studi sul piccolo orfano. Nel poema il bambino non ha l’uso della parola ma la voce poetica se ne fa interprete e racconta la sua storia immaginando la morte della madre per mano dei fuorilegge, l’abbandono del piccolo alla fame e alla foreta, la sua immensa solitudine. – Al racconto fa da contrappunto il ritornello “Alone, Alone!”, parole che l’io poetico ascolta e ripete ma che non sgorgano dalle labbra del piccolo ma dalla sua anima. John Keats frequentò il circolo che si era formato a Londra nel secondo decennio dell’800 attorno a Leigh Hunt, editore del giornale liberale The Examiner. I membri dei circolo di Hunt venivano violentemente attaccati dalla critica conservatrice che definiva con spregio il loro gruppo una “Cockney School” per le idee politiche ed estetiche che professavano. Keats, come gli altri membri del circolo, era appassionato di antichità classiche, greche e romane, la cui moda era in gran voga sin dalla seconda metà del ‘700 in seguito agli scavi di Pompei e di Paestum che avevano invaso tutta Europa tramite riproduzioni pittoriche, ceramiche e bassorilievi. Oltre al fascino per la classicità, Keats subì quello del mondo medievale. La nostalgia di un tempo passato, il senso di declino e di perdita che vi si respira, ampiamente teorizzato nel mondo tedesco nella distinzione fra “moderni” e “antichi”, li rendono invece affini a poesie che guardano più direttamente al mondo del romance medievale. Il medievalismo keatsiano emerge in effetti chiaramente in “La Belle Dame Sans Merci: A Ballad” del 1819 e nei poemetti raccolti in Lamia, Isabella, The Eve of St.Agnes, And Other Poems. In “La belle dame sans merci: a ballad” un pallido cavaliere in armatura racconta di aver scoperto che la donna da lui amata e dalla quale è restato crudelmente soggiogato è una donna serpente. La modernità di Keats risiede nell’eros che queste poesie sprigionano e nel rovesciamento che egli compie rispetto al tradizionale romance che nella poesia keatsiana non si concentra sulle azioni di leggendari dame e cavalieri ma esclusivamente sulle passioni che li consumano. E se l’eros è il motore della poetica keatsiana, è proprio il desiderio che da esso irradia a riempire i suoi versi e a sovvertire ogni regola e tradizione. Per Keats il poeta doveva mostrare di possedere una negative capability. Il mistero, la nostalgia, le incertezze che attraversano la poesia keatsiana sono propri della stessa natura umana, come sono del tutto umani il senso di perdita e le rinunce dei suoi personaggi. Keats vede in Shakespeare il campione del “poeta camaleonte”, nel quale egli stesso si identifica, in grado di nascondere la propria identità e le proprie idiosincrasie. 6. Patria e patrie nella seconda generazione romantica Il percorso di William Wordsworth può dirsi paradigmatico di gran parte dei poeti della sua generazione, da un iniziale entusiasmo per le idee rivoluzionarie francesi a posizioni più conservatrici e nazionaliste e che segnò il suo finale allontanamento dal cosmopolitismo dei radicali e dissenzienti. Fra alcuni poeti della seconda generazione romantica i termini “patria” e “patriota” continuarono ad avere un valore tradizionale: è il caso di Thomas Campbell che ne fece i suoi temi più caratteristici. Per gli altri poeti della seconda generazione romantica patriottismo si coniugò con internazionalismo. Il potenziale pubblico detta il valore economico dell’opera e quindi il suo diritto alla vita sulla carta stampata. Per tutto il primo ventennio dell’800 è la poesia, con Scott e Byron a dominare il gusto e il mercato; poi negli anni 20 i grandi editori smettono di investire in poesia mentre le riviste incominciano a pubblicare racconti e romanzi a puntate. 3. Generi e forme del romanzo La sperimentazione delle forme, iniziata nella seconda metà del secolo, e incentivata dal dibattito teorico che si sviluppa sui giornali a partire dagli anni Ottanta, si intensificò producendo un panorama così complesso e articolato che un qualsiasi tentativo di delinearne un quadro sintetico risulta necessariamente inadeguato. I grandi maestri della prima metà del secolo avevano solo cominciato a foggiare gli strumenti narrativi per rendere il nuovo out look realista e individualista nella sua pienezza: la memoria autobiografica di Defoe, ponendo l’io al centro della narrazione, forniva la forma narrativa individualista per eccellenza. La narrazione di Sterne si sforzava di riflettere parodicamente quella che è la riconosciuta sostanza del romanzo moderno – il tempo – Rappresentare le cose in motion è il grande target dell’epoca: F 0 E 0 Il movimento è ciò che distingue l’uomo moderno, che rappresenta il suo destino. Non a caso quest’epoca coincide con la preistoria del cinema. La visualità, legata all’apparire, pervade il gusto contemporaneo in tutti i suoi ambiti e quindi anche la letteratura. Il word-painting, o pittura verbale, di Ann Radcliffe rappresenta un momento fondamentale nello sviluppo del romanzo moderno. È in questo periodo, sul finire del secolo, che il termine novel – dall’italiano novella – comincia ad entrare nell’uso con un significato che lo distingue dal romance – da romance, raccontare. Fino ad allora i due generi, novel e romance, erano stati accomunati nella condanna dai recensori e dai moralisti come veicoli di corruzione soprattutto per le giovani donne. Il novel diventerà il genere canonico, il romance per il suo anti-individualismo, il genere dell’anticanone. I due generi diventano sinonimi rispettivamente di “romanzo realistico” e di “romanzo fantastico e d’avventura”, soprattutto nel regno della fantasia, delle stravaganze, del passato. Sebbene siano rari gli esemplari che incarnano i due generi allo stato puro, la distinzione teorica è fondamentale per il giudizio critico: spesso opere anticanoniche o scomode sono state condannate perché “mislette” e giudicate con parametri di un genere diverso. F 0 E 0 Questo metodo è stato usato spesso con la letteratura femminile che è sempre anticanonica essendo antipatriarcale, con il risultato di far entrare nel canone le opere più innocue e meno “femminili” o più facilmente neutralizzabili. F 0E 0 F 0 E 0 Tutta la letteratura narrativa fu a lungo considerata un genere da donne, le quali erano accettate o lodate solo quando scrivevano fiction istruttiva dei valori patriarcali. L’atteggiamento di paternalistica superiorità di moralisti e recensori è comprensibile se si tiene conto che all’epoca l’inferiorità femminile era un dato acquisito – una donna “può capire al massimo come uno scolaro” (!!) Questa bassa considerazione diffusa attraverso recensori e moralisti spiega perché, nonostante la produzione narrativa femminile sia di gran lunga quantitativamente superiore, i nomi che spiccano nelle storie letterarie siano, per la maggior parte, maschili e su di essi si sia costruito un canone che è in realtà artificiale e quindi in via di necessaria modificazione. Fermo restando che didatticismo e sensibilità sono caratteristiche costanti, presenti seppure in varia misura, nella narrativa del periodo, il romanzo didattico propriamente detto – moral tale o conduction book – rientra in una produzione per la maggior parte femminile e destinata al female sex, che non conosce crisi. Si tratta solitamente di racconti esemplari fonologici, dove è sottinteso che il punto di vista morale di autrice, narratrice onnisciente, eroina e lettrice coincidano. Tale genere narrativo si presenta in tre forme: 1) nei contrast novels si raccontano le storie di due ragazze, una buona e una cattiva, per poi dimostrare come la buona venga premiata con un bel matrimonio e la cattiva rovini se stessa e la sua famiglia; 2) nei female-Quixote novels la “cattiva” è invece la fanciulla che segue l’istinto e la fantasia e così facendo rischia la rovina, propria e della famiglia, poiché la sua fantasia e i suoi desideri sono solo illusioni ingannevoli, una malattia pericolosa da cui è meglio guarire, affidandosi alla superiore saggezza di un consigliere spirituale in genere maschile; 3) negli evangelical novels l’intento didattico prevale al punto di irrigidire eroina e intreccio in un incredibile exemplum di totale e acritica adesione alla dominante morale patriarcale. Per addolcire l’orlo del vaso in cui è contenuta la “medicina”, il romanzo didattico si traveste e adotta espedienti narrativi di monda, anche dai generi più criticati dai recensori, come per esempio il gotico. 4) nei sentimental novels è certamente più stretto il connubio tra didatticismo e sentimentalismo. Poiché sentiment (e sensibility) si rivelano sempre più in contrasto con il credo della ruling class basato sul perseguimento dell’interesse individuale, fioccano le condanne di recensori e moralisti che mettono in ridicolo l’entusiasmo, la benevolenza e l’altruismo. La “colpa” di questi romanzi, come di quelli gotici, è quella di fare appello all’istinto, all’emozione, all’irrazionale e di non essere quindi valutabili e controllabili attraverso un approccio filosofico-razionale. Il romanzo gotico fiorisce negli ultimi decenni del Settecento con una ricca gamma di varietà e di sfumature: dal gotico “del terrore” a quello “dell’orrore”, dal gotico “sentimentale” o quello “esotico”. 4. Il romanzo giacobino Con questa espressione coniata dal critico Gary Kelly ci si riferisce a un gruppo di opere accusate dai contemporanei di promuovere gli ideali della rivoluzione francese. L’aggettivo giacobino che bolla indiscriminatamente con nemici della patria tutti coloro che sono critici del governo è tratto da una pubblicazione che rappresenta la voce più conservatrice e reazionaria nell’acceso dibattito innescato dalla pubblicazione nel 1790 delle Reflections on the revolution in france di Burke. In realtà, i romanzi giacobini rappresentano un ampio spettro di opinioni che hanno in comune l’accento sui cambiamenti pacifici piuttosto che la rivoluzione violenta e le cui radici risalgono oltre l’illuminismo francese. F 0 E 0 Alla fede nel diritto naturale, alla libertà e all’eguaglianza si accompagna la fede nella bontà della natura umana e nella sua istintiva propensione al miglioramento e al progresso. Lo scopo comune di questi romanzi è produrre “a general review of the modes of domestic and unrecorded despotism” (Godwin). F 0 E 0 Il romanzo è un veicolo per insegnare una lezione e per mettere in moto la mente intorno a temi quali la struttura gerarchica della società, il rapporto tra oppressi e oppressori, i sessi, pubblico e privato, ragione e sensibilità, e per proporre modelli sociali e morali nuovi rispetto a quelli tradizionali. I personaggi, come portatori delle idee degli autori e incarnazione dei nuovi conflitti, acquistano un’importanza centrale tendendo a diventare complessi e androgini: donne che hanno coraggio, cultura e forza morale “virili”e uomini dotati di “sensibilità femminile”. Lo sforzo per rendere questa nuova realtà conflittuale, che è soprattutto interiore, si traduce in una sperimentazione tecnica ben più significativa per lo sviluppo del romanzo di quanto non sia stato finora ammesso a causa del convenzionale presupposto dell’incompatibilità tra intento politico ed eccellenza artistica. La scrittura epistolare, accoppiata al diario, costruisce la forma adatta ad esprimere l’isolamento delle I suoi sei romanzi rivelano riscritture realistiche delle forme più comuni della narrativa contemporanea, che la “grande lettrice di romanzi” – come lei stessa si definiva – conosceva benissimo. A uno spirito comico, Orgoglio e pregiudizio, la narrativa moralistica e didattica, con la sua condanna della witty female, non poteva che risultare insopportabile. La Austen affida il racconto a una narratrice onnisciente per poi, intervenendo a livello di “regia”, farla apparire dogmatica, prevenuta, ipocrita, inaffidabile, a seconda dei casi. In questo consiste l’invenzione che fa di lei l’iniziatrice della grande tradizione del romanzo inglese: l’inaffidabilità della voce narrante sarà il device centrale del romanzo moderno. I sei romanzi, pubblicati tutti tra il 1811 e il 1818, sono convenzionalmente divisi in “Steventon novels” e “Chawton novels”, dal luogo delle loro prime stesure. Tra i tanti motivi del duraturo successo di Orgoglio e pregiudizio c’è la risposta trasgressiva alla morale borghese in cui si contrappone il fascino dell’intelligenza al potere del denaro e del rango. Dal punto di vista della realizzazione dei sogni femminili, Orgoglio e pregiudizio può apparire un romanzo “rosa”, una cinderella story ma con la fondamentale differenza che la bacchetta magica è lo spirito, il wit, una caratteristica condannata dai moralisti poiché risaputo che “un uomo di buonsenso non sposa mai una femmina spiritosa” (!) Qui sono invece la vivacità dello spirito e la “maleducazione” di Elizabeth a conquistare Darcy, trasformando il romanzo in una witty comedy che è chiaramente un anti-conduction book. Lo stesso titolo suona infatti come un’ironica presa in giro delle sottili discriminazioni dei moralisti, impiegati per distinguere caratteristiche così ambigue, la cui valutazione come pregi o difetti dipende più che altro dal punto di vista da cui si guarda e, in ultima analisi, dall’esito degli avvenimenti. Nel romanzo, la centralità del wit sottintende un’analisi profonda da parte della Austen dei motivi per cui l’establishment lo aborra: la “vivacità della mente” femminile è espressione di vitalità, mentale e fisica, e quindi anche sessuale. Il wit è – scrivevano nel settecento – una prova di agilità intellettuale, una dichiarazione di forza, l’invito a una sfida che, tra i due sessi, non può non assumere una dimensione erotica. Elizabeth spiegherà di aver “vinto” perché lasciando da parte l’atteggiamento femminile convenzionale, ha attaccato Darcy che deve “maturare” e superare le varie prove per mostrarsi degno lui di una “femmina spiritosa”. 7. Walter Scott e il romanzo storico Scott è, insieme alla Austen, la figura di maggior rilievo del periodo. Alla basa della sua enorme produzione, oltre ad una prodigiosa ispirazione, ci furono sempre motivazioni economiche, responsabili delle inevitabili cadute di stile e della pesantezza descrittiva. È innanzitutto all’enorme produzione e all’immediato successo commerciale che Scott deve l’incontestabile titolo di iniziatore del romanzo storico. Scott seppe mettere a frutto la feconda lezione della narrativa femminile: a partire dal romance “gotico”, al nationa tale, al novel of manners. Questo “nuovo” genere narrativo, che coniuga vicende forti e drammatiche e personaggi dalla psicologia realistica e coerente con un’ambientazione storica precisa e rispettosa delle tradizioni e del folklore, avrà grande successo nell’800 borghese in cui il rapporto di odio- amore con il passato si manifesta in tutta la sua duplicità. Tra i motivi del romanzo storico di Scott che hanno suscitato l’interesse di storici e filosofi, si è a lungo considerato il fattore “politico” che esso rappresentasse il superamento della trasgressiva conflittualità del gotico, che veniva così composta in una visione di pace, prosperità e progresso per il Regno Unito e l’impero britannico. È tuttavia indubbio che proprio come grande autore di romances egli contribuì potentemente allo sviluppo del nuovo atteggiamento verso il passato e del senso della comunità nazionale. Il teatro romantico 1. Il panorama critico A partire dagli anni ’90 del novecento, il teatro del romanticismo ha suscitato l’attenzione della critica anglosassone, che ha messo in discussione una serie di pregiudizi che ne avevano a lungo condizionato la ricezione. L’accusa più grave era quella di essere stato responsabile del tramonto del teatro tout court, decretando il declino della grande tradizione drammaturgica. Anche coloro che avevano tentato una parziale rivalutazione della drammaturgia del romanticismo si erano arresi alla presunta incompatibilità fra il dramma romantico e le esigenze pragmatiche della performance. → Tale incompatibilità era testimoniata dal clamoroso insuccesso di molte opere a firma dei maggiori poeti romantici e dal trionfo del cd. “dramma da camera”, essenzialmente poetico e per lo più composto per la lettura che per la rappresentazione. Il teatro del periodo romantico veniva accusato di un duplice e forse contradditorio reato: aver decretato la fine della drammaturgia nella sua dimensione letteraria (morte dei grandi generi) e quello di un eccesso di letterarietà e poeticità che pregiudicarono la stessa teatralità della rappresentazione. Il teatro romantico diede, in realtà, nella molteplicità e nella vitalità delle sue manifestazioni, un impulso determinante alla nascita di un’arte teatrale pienamente moderna. Ne fanno fede l’ingresso delle donne sia come autrici sia come “actor-managers”, la nascita di una nuova e autonoma professionalità attoriale che portò a una vasta produzione di manuali sulla recitazione, lo sviluppo delle tecnologie teatrali, dell’arte scenica. F 0E 0 Intorno a questo teatro rinnovato nasce una nuova “arte”, quella della critica teatrale. È importante rilevare che il pubblico che frequentava i teatri era anch’esso profondamente cambiato, con l’ingresso dei ceti medio-bassi, grazie a una nuova politica dei prezzi e della componente femminile, grazie all’ascesa della borghesia. Numerosissimi anche i giovani e i giovanissimi, questi ultimi spesso appartenenti alla classe operaia e artigiana. F 0 E 0 F 0 E 0 Di conseguenza, il teatro del romanticismo si può definire un grande strumento mediatico, un luogo di intrattenimento popolare e di massa, il cui “appeal” presso i ceti sociali medio-bassi arrivò a spaventare corona e governo, che intervennero più volte ad arginarne la forza persuasiva e il ruolo di “opinion maker”. Le vicende storiche che animarono il periodo fra fine ‘700 e inizio ‘800 non agevolarono il lavoro delle compagnie drammatiche né la libera creatività e lo sguardo critico. Il periodo del terrore, la tratta degli schiavi (bandita in Inghilterra nel 1807), la caduta dell’impero napoleonico, il Congresso di Vienna, furono eventi che trasformarono radicalmente il tradizionale patto sociale inglese. 2. I teatri Il teatro inglese del periodo romantico doveva fare i conti tanto con la propria storia quanto con la pesante eredità lasciatagli dal seicento puritano e dalla restaurazione del 1660. Dal 1737 in avanti il numero limitato di teatri reali o patentati nel regno, assieme all’atto di censura, non favorirono di certo il mondo teatrale inglese. Sebbene l’universo dello spettacolo non si arrendesse alle regole severe imposte, tanto che vi furono varie petizioni al re, si dovette attendere il Theatre Regulation Act del 1847 perché si ponesse fine alla limitazione del numero dei teatri autorizzati a rappresentare lo spoken drama (in cambio venne introdotta la censura anche sui generi cd. minori). F 0 E 0 Fu solo nel 1968 che l’ufficio di censura abbandonò le scene inglesi, così un ruolo determinante nella scelta dei testi da rappresentare lo giocarono i censori per i quali non era ammessa alcuna offesa politica o religiosa. Era compito del censore, del Lord Chamberlain, controllare scrupolosamente ogni pagina scritta per la scena. Fu il re Carlo II che, rientrando dall’esilio francese, riaprì i teatri chiusi dai puritani e nominò due drammaturghi manager rispettivamente a capo delle compagnie “King’s Men” e “Duke of York’s Men”: la prima fu affidata a Kilingrew, la seconda a Davenant. Queste furono le sole compagnie a ottenere la licenza reale per esercitare la recitazione in pubblico. I teatri “insigniti” delle licenze reali furono il Drury Lane e il Royal Theatre. Un’eccezione fu il Little Theatre in the Haymarket il cui proprietario ottenne una patente estiva nel 1766. Fu proprio questo piccolo teatro a offrire il pretesto per l’emanazione del Licensing Act, il cui vero intento era quello di contenere le satire politiche e i burlesque che imperversavano nei teatri londinesi ma che erano divenuti piuttosto virulenti proprio sul palcoscenico del Little Theatre. F 0 E 0 La corona inglese e il governo li giudicarono talmente offensivi da mettere fine alla carriera di Fielding come drammaturgo e insieme imporre un provvedimento legislativo che introducesse un vero e proprio ufficio di censura al cui vaglio sarebbero dovuti passare tutti i testi drammatici, pena una multa di 50 sterline per chi avesse messo in scena uno spettacolo teatrale non preventivamente autorizzato. I teatri cd. illegitimate o unlicensed dovevano ricorrere a varie forme di intrattenimento che non si fondassero sulla sola parola recitata: dunque rappresentazioni musicate, cantate o danzate, con una recitazione verbale assente o solo intramezzata. 3. Le tecniche Le innovative tecniche teatrali testimoniano il rapido evolversi del fenomeno “teatro”: il progressivo arretramento del palcoscenico rispetto al tradizionale palco aggettante e l’introduzione di accessi al palcoscenico dal fondo, il calare del sipario ad ogni atto, né mancavano le botole di tradizione elisabettiana che, in epoca romantica, attestano il crescente interesse per il gotico con “grave traps” da cui far emergere fantasmi o demoni, oppure con le “flying machines” che consentivano invece alle aperture poste sul soffitto di far scendere anche “spiriti” o “divinità”. Le scenografie divennero sempre più capaci di sostenere l’illusione drammatica ricorrendo a rapide sostituzioni di sfondi e ambienti, e riproducendo rumori, scoppi, fuochi o vapori dall’innegabile effetto scenico. L’arte pittorica dei fondali divenne a sua volta sempre più raffinata. È a David Garrick che il teatro inglese dovette una prima grande rivoluzione. Garrick fece spegnere i grandi candelieri che illuminavano egualmente scena e pubblico, lasciando “l’audience” al buio e illuminando con delle “spotlights”, costituite da lampade ad olio, la base e i lati del palcoscenico, favorendo in tal modo l’immedesimazione e l’arte interpretativa degli attori. Fu tuttavia in epoca post-Garrick che due invenzioni contribuirono ulteriormente a rivoluzionare le scene: la lampada a kerosene e la lampada Argand, quest’ultima meno pericolosa delle candele e meno fumosa della lampada ad olio, capace di garantire più intensità e stabilità di luce oltre a essere variamente regolabile. Per quanto riguarda la tecnica recitativa fu determinante per favorire lo stile naturale di recitazione la verosimiglianza storica nei costumi e nelle ambientazioni che ebbero tanto successo fra il pubblico. 4. Attori, attrici e manager teatrali I cambiamenti che ebbero luogo nei teatri favorirono la vertiginosa crescita del fenomeno dello “star system”e l’affermarsi dei grandi “actor-managers” e delle attrici “dive”. Nel nuovo spazio scenico era stato introdotto un altrettanto innovativo stile di recitazione che da un lato tendeva verso la “naturalezza” e dall’altro verso l’istrionismo passionale che riempiva il vasto palcoscenico. Tutti i grandi attori e le grandi attrici si cimentarono con il teatro shakespeariano trasformandolo nell’autentica arena del loro talento – memorabile rimase la Lady Macbeth di Sarah Siddons. – La bardolatria shakespeariana arrivò al punto di portare all’indiscusso successo per ben due anni di seguito anche un bambino prodigio, William Betty. L’importanza che l’arte attoriale ricoprì nel corso del romanticismo sulla scia di colui che aveva rivoluzionato le scene del tempo, David Garrick. Sarah Siddons è a tutt’oggi ricordata come una delle principali attrici tragiche inglesi. Riscosse il suo primo vero successo interprentando al Drury Lane il personaggio del dramma Isabella. Il personaggio di Isabella ben si adattava alle sue doti attoriali, poiché ella da sempre sembrò tagliata per rappresentare figure di donne tormentate e sofferenti. Questi personaggi femminili tragici, per lo più edificanti per le virtù che rappresentano, la sofferenza che provano e il coraggio che dimostrano, divennero la maschera permanente che la Siddons indossò di lì in avanti. – Si diffuse così la “Siddonian idolatry”. L’attrice infondeva nelle sue eroine un’emozionante passione e una profonda immedesimazione tanto da far pensare che vivesse e sentisse i tormenti e le peripezie dei suoi personaggi. Pur proteggendo con cura quasi maniacale la sua vita privata (bruciò interi carteggi di lettere prima di morire) la Siddons affascinò numerosi pittori che la immortalarono e vari critici che scrissero copiosamente sulle sue performances teatrali. John Philip Kemble, fratello della Siddons, fu manager teatrale di successo e il più grande degli attori inglesi d’impostazione classica. La sua interpretazione di King Lear, regale quanto il personaggio che interpretava, fu notevolmente apprezzata. Il 20 settembre 1808 al Covent Garden scoppiò un incendio che obbligò Kemble a chiudere per un anno. Nel 1809 il teatro riaprì e Kemble, per le spese affrontate, fu costretto ad alzare i prezzi d’ingresso e ad aumentare il numero di palchi e gallerie, spostando nelle gallerie più alte il pubblico popolare, tradizionalmente accolto in platea. → Tali cambiamenti provocarono una serie di rivolete, i cd. “old price riots”. Kemble fu costretto a ritirare l’aumento dei prezzi ma la nuova struttura classista degli auditori non mutò, né migliorarono le difficoltà visive e acustiche accusate dagli spettatori all’interno di questi grandi teatri. Edmund Kean fu l’attore che meglio rappresentò lo spirito romantico. Figlio illegittimo di un’attrice itinerante, il suo debutto sui palcoscenici fu precoce e accompagnato da un subitaneo successo. La sua eredità fu raccolta dal figlio Charles che, abile manager, curò con particolare attenzione l’aspetto storico e filologico delle sue rappresentazioni, un’accuratezza che lo rese celebre. William Charles Macready è l’attore che traghettò il teatro dal romanticismo al vittorianesimo. Rese le passioni umane, naturali e i personaggi che li esprimevano sempre più realistici. Così fece apparire commovente l’breo Shylock del Mercante di Venezia e pieno di paterno amore il Lear shakespeariano. Eliza O’Neill, attrice romantica per eccellenza, si ritirò precocemente dalle scene (la sua attività durò solo cinque anni). La sua recitazione influenzò la composizione di uno dei drammi più significativi del romanticismo inglese, The Cenci di Shelley: infatti mentre Shelley era in Italia aveva rivelato che sperava di vedere rappresentato il suo dramma con la O’Neill come protagonista. La O’Neill interpretava un tragico controllato, domestico, interiore. Dora o Dorothy Jordan e Madame Vestris appartennero rispettivamente a due dei filoni teatrali più fortunati di questo periodo: al commedia e il burlesque. Dora Jordan non curò molto la propria reputazione e la sua vita privata fu data in pasto alle cronache del tempo per i suoi numerosi figli illegittimi e le varie relazioni amorose. Si specializzò nei ruoli comici, cui era particolarmente predisposta per l’aspetto florido e la vivacità recitativa. Ella interpretò le cd. “breeches parts”, parti recitate con travestimenti maschili che, se ingeneravano divertimento nel pubblico, fomentavano pesanti pettegolezzi a spese delle stesse attrici che li adottavano alle quali non si perdonavano volentieri la “trasgressione” sessuale, neppure scenica. Madame Vestris recitava, danzava e cantava e fu abile manager teatrale. Dopo iniziali ruoli da contralto nell’opera italiana, nel 1815 debuttò interpretando Proserpina mentre nell’anno successivo cantò nelle Nozze di Figaro. Nel 1820 ebbe un grande successo interpretando un ruolo “en travesti”, il Don Giovanni nella burletta Giovanni in London di uno degli autori che meglio sapevano sfruttare le mode del momento, Moncrieff. Notevole interprete di canzoni romantiche e vittoriane, la Vestris fu anche apprezzata soubrette per la sua bellezza fisica. 5. I manuali di recitazione e l’estetica delle passioni Il quadro di riferimento al quale tutti gli attori e drammaturghi guardavano era costituito dalla produzione manualistica teorica e metodologica sull’arte della recitazione che circolava abbondantemente nel periodo romantico e che conobbe una straordinaria fioritura a partire dalla metà del XVIII secolo. Degni di nota sono i contributi di Aaron Hill – Essay on the Art of Acting - e di John Hill – The actor: a treatise on the art of playing. F 0 E 0 Entrambi i manuali pongono l’accento sulle capacità espressive dell’attore e sostengono la necessità di una recitazione naturale affinché la passione e lo stato d’animo che s’intende esprimere siano quanto più possibile convincenti. F 0 E 0 F 0 E 0 Le qualità migliori dell’attore volte a conquistare il pubblico devono essere: “understanding”, “sensibility” e “fire”. Per “understanding” (comprensione) si intende quella qualità che permette all’attore di comprendere e fare propria ogni singola battuta del suo personaggio e accompagnarla con il gesto appropriato. La sua interpretazione non dovrà tuttavia mai perdere di grazia e dovrà garantire la necessaria attenzione al linguaggio, considerato poderoso veicolo di emozioni. Con “sensibility” si rinvia alla capacità di “sentire” il personaggio interiorizzandone i sentimenti ed esprimendone le passioni, una predisposizione al sentimento che si manifesta in modo più ampio e variegato nella commedia che nella tragedia nella quale all’attore è richiesto di rappresentare “great and striking incidentes”. Il “fire” ha a che fare con il temperamento dell’attore e la sua abilità nel coinvolgere il pubblico attraverso la forza interpretativa, il fuoco della sua rappresentazione. Hill individua dieci “passioni” come rappresentabili sulla scena: gioia, dolore, paura, rabbia, pietà, disprezzo, odio, amore, gelosia e meraviglia. Tuttavia si può esprimere una passione solo nella misura in cui l’attore sarà in grado di viverla. Nel saggio The Art and Duty of an Actor, Macklin sottolinea l’importanza per l’attore non solo di rispettare gli intendimenti originali dell’autore ma anche di osservare il comportamento di uomini e donne e le loro caratteristiche particolari nonché il modo individuale di esprimere le passioni. L’osservazione da parte dell’attore di “genius, species and individual characteristics” del personaggio che interpreta diviene una vera e propria “conoscenza filosofica” che gli permette di penetrare l’intima personalità del personaggio stesso e di offrirne una convincente personificazione. Henry Siddons, attore e trattista, scrisse un vero e proprio manuale dal titolo Practical Illustration of Rhetorical Gesture and Action, pubblicato con illustrazioni sulle posture riferite alla singole passioni. In questo manuale l’autore si preoccupava di mostrare agli attori l’importanza dei gesti e delle espressioni del volto per rappresentare un particolare stato d’animo e l’insorgere di una determinata passione nel personaggio. Si raccomandava agli interpreti la naturalezza dell’espressione e del gesto, condannando ogni forzatura che, invece di catturare lo spettatore, finisce per mostrarsi pesante e fuorviante. L’intento era far sì che lo spettatore si addestrasse a cogliere i nessi fra causa ed effetto, fra le passioni che muovevano i personaggi ad agire in un certo modo e le conseguenze di tali azioni. F 0 E 0 Più lo sguardo è acuto e partecipe, più si è portati ad osservare e a prendere parte alla vita dell’altro e ciò grazie a quel sentimento di “sympathetic curiosity” che ci lega gli uni agli altri. Ed è proprio la “sympathetic curiosity” che ci spinge non solo a volgere la nostra attenzione al comportamento degli altri, ma a compatire chi soffre o ad interessarci alla sorte dei deboli e degli umili. La ricaduta di queste considerazioni sulla scena teatrale è ovvia: lo spettatore sarà interessato ad osservare in modo particolare l’agire di chi è sottoposto a prove straordinarie e testimonia angosce insolite e dominanti. Tutti noi siamo infatti portati a con-patire e simpatizzare con le sofferenze di chi le vive sulla scena e a cercare di prefigurarne le future azioni e reazioni mentre, al contempo, si avvia un processo di catarsi per cui l’identificazione con l’altro ci aiuta a liberarci, almeno temporaneamente, di quelle ansie. Il meccanismo dell’immedesimazione, di ciò che ci conquista e ci commuove, anche fino alle lacrime, allorché come lettori o spettatori ci troviamo di fronte a un prodotto artistico nel quale si rappresenti uno Il teatro nazionale inglese rinasce proprio nel romanticismo e riflette i dibattiti epocali sui processi identitari scaturiti dal formarsi della nazione britannica ma, implicitamente, anche la sua necessità di rafforzarsi di fronte alla minaccia repubblicana e internazionalista della rivoluzione francese. Un altro tipo di coinvolgimento storico si evince nella tragedia Falkner di William Godwin, rappresentata nel 1807 che è un riuscito innesto di storico e tragico con abbondanti sfumature di gotica suspance. La tragedia è ambientata a Firenze nel 1669 ma evoca gli effetti della rivoluzione puritana inglese dopo il regicidio di Carlo I e l’esilio in Francia di Carlo II. Il teatro romantico inglese si interrogò poi su altre grandi questioni identitarie e politiche affrontando il tema della “libertà” di popoli altri, di popoli oppressi, delle lotte per l’indipendenza italiana, greca o spagnola, della denuncia di brutali tirannie e di poteri arbitrari. Emblematici per le tematiche storico-politiche sono i drammi di Felicia Hemans, The Siege of Valencia o The Vespers of Palermo. La geografia teatrale del romanticismo ci porta ad ambientazioni che di volta in volta riguardano la Scozia, l’Inghilterra, l’antica Roma o la Roma papale del ‘500, la Sicilia dei Vespri, ecc… Byron, Hemans, Mitford e Landon scrissero drammi storici e in versi che ben rispondevano a quel ricorso all’altrove, ma che adombravano le preoccupazioni politiche e sociali del loro tempo. Così Byron discute il rapporto tra potere e democrazia, fra individualismo e collettività e dimostra come sia facile, anche per i governi più stabili o condivisi, divenire preda della cupidigia dissoluta di pochi uomini intriganti. Le tragedie di Byron, che per alcuni versi ricordano quelle di vendetta rinascimentali, mettono a fuoco i momenti di crisi che possono scuotere anche le società più civili e l’esile confine che separa l’ordine dal caos. Il conflitto fra affetti e ambizione porta ad esiti devastanti. Mary Mitford mette a fuoco con grande perizia la stretta connessione fra mondo privato e sfera pubblica e presenta accanto ad eroi maschili convincenti eroine femminili. Nel dramma in versi The Siege of Valencia della Hemans viene invece messa a confronto la diversa scala di valori che guida i vari personaggi: i valori materni e famigliari paiono scontrarsi con i valori maschili della patria e della politica per poi trovare una sorta di equilibrio e superamento nella conclusione del dramma, dove sarà proprio una giovane donna a sacrificarsi in nome della patria. 8. La commedia “The days of Comedy are gone!” scriveva Hazlitt. La categorica affermazione sul decline della commedia si deve forse alla valutazione da parte del critico romantico delle conseguenze del Licensing act su questo genere drammatico. L’introduzione del Licensing Act, inteso originariamente a mettere un freno alle satire politiche, lasciò segni indelebili sulla successiva produzione di commedie. La commedia tradizionale, sottoposta a varie ibridazioni per aggirare la censura, si andò scomponendo in 1) commedia satirica e farsesca da una parte e 2) commedia sentimentale, lacrimevole o “pathetic” dall’altra. La prima continuò per alcuni versi il genere cd. “laughing comedy”, ma via via si trasformò anche in brevi afterpieces che accompagnavano l’opera principale e riempivano di pubblico le sale delle minor houses, travasandosi in burlette, pantomime, ecc… La semtimental comedy acquistò i tratti malinconici e moralistici del pre-romanticismo. Tale commedia è umoristica e vivace, e gioca con varie situazioni sociali e di “gender” (come la caccia al miglior partito), mettendo in ridicolo il gusto sentimentale dell’epoca ed esibendo giochi verbali divertenti. La commedia romantica fu anche commedia al femminile, in particolare grazie alle due autrici che dominarono la scena inglese in quel periodo: Hannah Cowley e Elizabeth Inchbald. In Hannah Cowley colpisce il ricorso al travestimento, al “cross-dressing” dei personaggi femminili. Elizabeth Inchbald fu insieme attrice, romanziera e drammaturga di successo. Sui suoi taccuini, 11 dei quali giunti sino a noi, annotava via via aneddoti, riflessioni legate alle sue molteplici letture e incontri nella Londra contemporanea, dando conto della vita teatrale che elle stessa animava e dei circoli letterari che frequentava. Gli intrecci di tutti questi drammi affrontavano i temi che più stavano a cuore alla drammaturgia inglese: si tratta di tematiche “scottanti” come il conflitto tra sensibilità e libertinaggio, libertà e dispotismo, la disparità fra i sessi, la lotta di classe, l’educazione femminile. 9. Lo spettacolare teatro illegittimo Come ha dimostrato Jane Moody nel suo Illegitimate Theatre in London, il teatro illegittimo del periodo romantico animò e rivoluzionò le scene inglesi arricchendole di spettacolari e popolari performances. Teatri patentati e minor houses competevano nel mettere in scena spettacoli musicali e danzanti, acrobatici o equestri, con combattimenti navali o effetti speciali quali quelli che abbondavano ad es. nei drammi gotici. I generi illegittimi, per lo più in uno o due atti, includevano il melodramma, il burlesque e la farsa ma anche il dramma nautico. La farsa raccoglieva il gradimento del pubblico perché combinava assieme elementi tragici e comici, ma anche effetti spettacoli non privi di una certa violenza. Era il melodramma a riscuotere la massima popolarità. Si trattava di una forma drammatica poco apprezzata dai critici del tempo perché basata sulla ricerca del sensazionale e caratterizzata da trame poco plausibili, dove la musica serviva da sfondo al dialogo o il dialogo si intervallava alla musica, a differenza dell’opera, genere straordinariamente popolare ma più d’élite al tempo, dove musica e dialogo si fondevano. Nel melodramma si celebravano i buoni sentimenti, i valori patriottici, il senso di giustizia e si rappresentavano molti dei problemi sociali come il fenomeno del vagabondaggio, della povertà, il vizio del bere. Il genere del melodramma trova la sua origine in Francia, dove Jean Jacques Rousseau l’inaugurò con il suo Pygmalion. Il melodramma continuò ad avere grande fortuna in Gran Bretagna e poi negli Stati Uniti . Se la critica continuava a protestare per l’eccesso di sperimentazione e di trasgressione dei parametri “legittimi” del teatro romantico, il pubblico ne decretava invece la legittimità. Importando novità e ibridazioni sempre diverse nel tradizionale spoken drama, il teatro di primo ‘800 favorì una straordinaria “modernizzazione” sia tecnica che recitativa del dramma inglese i cui frutti si colsero appieno solo nel tardo teatro vittoriano. Intanto la vena gotica degli autori inglesi era tutt’altro che esaurita, anzi, il romanzo di Polidori The Vampire aprì la strada a un ricorso più estremo al macabro e al soprannaturale anche a teatro. Sia la pantomima che l’arlecchinatura affondavano le proprie radici negli intrattenimenti offerti dagli attori girovaghi francesi e nell’italiana commedia dell’arte. La pantomima, nata all’inizio del ‘700 conquistò l’Inghilterra e quando venne introdotta la censura teatrale allo spoken drama – i teatri vi ricorsero regolarmente come afterpieces (breve atto unico recitato alla fine dello spettacolo principale). Questo tipo d’intrattenimento, mimato, danzato o cantato, a carattere mitologico o legato alla tradizione delle maschere. La critica romantica 1. La critica romantica fra categorie estetiche e disputa ideologica L’ambito della critica del periodo 1790-1830 è territorio complesso di produzione culturale che più di altri coniuga istanze illuministe e istanze romantiche e al suo interno si osservano fenomeni quali la messa in crisi della “repubblica delle lettere” e, in seguito, la ridefinizione profonda del suo significato. Alla idealizzata unità di uomini di lettere che esercitavano il pensiero critico all’interno della moderna cultura si sostituì un sovrapporsi di dispute ideologiche che segnalavano la necessità di una ridefinizione del rapporto della critica con il pubblico, in presenza di nuove condizioni culturali e storiche. Esemplificazione del dibattito di metà settecento fu la controversia su nuove categorie estetiche, quali il “sublime” e le polemiche sulla qualità “oggettiva” o “soggettiva” del gusto. 2. Il poeta come critico, il critico come educatore L’ambiente letterario in Germania risentiva del dettato critico-filosofico Kantiano e della radicalizzazione successiva relativa al superamento della chiusa società di letterati e alla formazione di una sfera pubblica in cui si imponeva dall’alto il ruolo del critico come educatore. Fu il gruppo dell’Atheneum dei fratelli Schlegel che inaugurò una comunità ideale di scrittori critici e di lettori critici per cui “la letteratura è teoria e la teoria è un tipo di letteratura”. All’idea che la funzione della critica era educare il proprio lettore, Schlegel sostituì l’idea della critica che crea il proprio lettore come dovrebbe essere. L’istanza critica doveva essere presente all’interno della stessa poesia in modo programmatico se si consigliava al lettore di non rivolgersi agli scritti dei critici bensì a quelli dei poeti stessi e se la poesia romantica continuerà ad interrogarsi sulla propria essenza, liberando quell’effetto ironico che contribuirà alla presa di distanza da ogni soluzione defintiva anche in merito alla propria forma. Interrogarsi su che cosa è il poeta, sul perché scrivere in versi e individuare la poesia come trasposizione verbale di una sovrabbondante, spontanea sensibilità che tuttavia non può prescindere da un processo di rielaborazione consapevole in cui la memoria gioca un ruolo centrale, identificano ambiti cruciali della riflessione teorico-critica. Coleridge si muove su due motivi rilevanti: l’uno, una definizione di poesia che non può non tenere conto del “poetic character of the poet”, vale a dire che ogni poetica trova dei legami che superano la rigidità del testo per immettersi negli interstizi della vita, come sarà appunto il caso della riflessione dello stesso Coleridge. Il dibattito sulla natura della poesia si anima nel 1820 per la pubblicazione del pamphlet The four ages of poetry, interessato in particolare a stigmatizzare l’opera della “egregious confraternity of rhymesters” peraltro già derisi da Byron, per il quale la poesia appartiene al passato e il poeta contemporaneo è invece un “semi-barbarian in a civilized community”. Il pamphlet provocò la reazione di Shelley il quale propose e realizzò la difesa della poesia fra le più rinomate in lingua inglese. La matrice platonica della Defence of poetry di Shelley fa si che essa si elevi dalla occasione di risposta al pamphlet dichiarando che la poesia è “spirito del mondo” “prima ghianda che contiene tutte le querce”. La poesia è armonia vibrata sulle corde della sensibilità umana così che l’uomo, a somiglianza di una “Aeolian Lyre” e sensibile alle alterazioni del suo soffio, continuerà a vibrare allorché la brezza si sarà dissolta. Dal confronto con le altre arti, il linguaggio della poesia si rivela nella sua capacità di produrre il piacere estetico più puro. Per Shelley, Omero, Dante e Milton sono i poeti per eccellenza, insieme emanazione e autori di quel “great poem” che è “a mountain for ever overflowing with the waters of wisdom and delight”. Oltre alle pubblicazioni in tre volumi vi erano altre tipologie di divulgazione del romanzo: forme più abbordabili da parte delle classi meno abbienti. Per questo mercato venivano serializzate settimanalmente, al costo di un penny, storie e relative ambientazioni speso di genere gotico o sensazionale, ed è ben noto il caso di Dickens che scelse una modalità di pubblicazione mensile (al prezzo di uno scellino) per rendere i suoi romanzi accessibili a un numero sempre più ampio di lettori. Dopo la prima edizione in tre volumi, o la pubblicazione a episodi in un periodico, a seconda del grado di successo ottenuto, il romanzo poteva uscire in un formato meno costoso: un unico volume con un prezzo assai inferiore, o addirittura in brossura, fenomeno sempre più frequente. Verso un pubblico di massa Gli sviluppi dell’editoria erano riflesso, ma anche conseguenza, di un pubblico sempre più vasto e socialmente trasversale. La lettura di romanzi, inizialmente prerogativa di chi vantava origini aristocratiche o alto-borghesi, diviene gradualmente di pari passo con la diminuzione dell’analfabetismo, appannaggio anche di persone di nascita più umile. Si diffonde la sensazione che la lettura dei romanzi diventi sempre più un’esigenza condivisa, in quanto modalità di fuga e rifugio da una realtà spesso opprimente. Tuttavia, come conseguenza del propagarsi della lettura fra i ceti “bassi” si manifesta immediatamente la volontà di controllare, censurare e “guidare” i lettori da parte dei direttori dei periodici in cui i romanzi vengono pubblicati. Chi scriveva romanzi lo faceva per guadagnarsi da vivere, vendendo un prodotto in un mercato ormai ben regolato dalla legge del “supply and demand”: quando il compratore richiedeva un prodotto impacchettato in una certa maniera, lo scrittore non poteva che privilegiare il denaro rispetto alla coerenza estetica. Aspetti del romanzo realista Se il romanzo borghese, almeno in Inghilterra nasce all’inizio del Settecento, è sicuramente nell’Ottocento, in particolare nell’epoca vittoriana, che riscontra il suo più grande successo. Il concetto di realismo costituisce il punto di partenza per la prosa narrativa del periodo, persino nel caso della narrativa “fantastica”. Il romanziere vittoriano aveva a sua disposizione modi e modelli di scrittura ormai comprovati. La storia solitamente si svolgeva con un/a protagonista giovane che dall’ingenuità iniziale, attraverso diverse peripezie, raggiungeva la maturità e spesso anche un lieto fine. F 0 E 0 La differenza tra questi personaggi e quelli del secolo dei Lumi è che la società in cui essi si trovano a fare le proprie esperienze di vita è di gran lunga più complessa e varia rispetto a cento, o anche soltanto cinquanta anni prima. La mole della storia, o delle storie, e la varietà dei discorsi rappresentati spingeva lo scrittore vittoriano a elaborare certe convenzioni formali che avrebbero facilitato l’opera del lettore, impegnato a seguire i protagonisti nel loro viaggio testuale e, insieme a questi, a imparare quelle lezioni di “Verità” che la società imponeva per contrastare l’egoismo dell’individuo. F 0 E 0 Il modo di narrazione più facilmente riscontrabile è regolato dal narratore onnisciente, abitualmente extradiegetico, che istruisce e guida il lettore, aiutandolo a raggiungere le stesse conclusioni dell’eroe “illuminato”. → Tutti i grandi scrittori sono concordi nel criticare la società di cui fanno parte e le sofferenze da essa stessa prodotte. Basti pensare a Dickens quando descrive tutti i mali della vita dei ceti poveri o le sofferenze cui devono sottostare bambini e adolescenti in Oliver Twist. Le conclusioni di intrecci inevitabilmente tragici spesso vengono manipolate allo scopo di fornire una cornice convenzionalmente rassicurante e consolatoria alle storie narrate, qual è il caso paradigmatico del finale di Jane Eyre. E così per tante altre protagoniste di romanzi sensazionali, sebbene gli avvenimenti non siano sempre favorevoli e una risoluzione euforica. Il famoso “lieto fine” del romanzo ottocentesco spesso non è che il momento del romanzo “realista” dove la finzione finalmente si palesa e lo scrittore, sino ad allora dedito alla ricerca di un senso di immersione nel quotidiano, sembra tradire la propria strategia. Al di là del reale: il racconto “fantastico” L’Ottocento vede il fiorire del genere noir, che deriva dal romanzo gotico romantico e che raggiunge uno splendore e una ricchezza unici in questo periodo, addirittura scindendosi in diversi sottogeneri che daranno spunto ai vari romanzi “di genere” del XX e XXI secolo, tra cui il fortunatissimo giallo: Sherlock Holmes che nasce infatti nel 1891 da Artun Conan Doyle; il romanzo sensazionale, la “science fiction”, il romanzo del soprannaturale e del paranormale. Nell’Ottocento il fantastico come modo di raccontare è meno differenziato del suo modello romantico, inserendosi soprattutto nel sottogenere del racconto di aventi assolutamente non realistici. Viene subito in mente A Christmas Carol di Dickens, con il celebre protagonista Scrooge, l’usurario, e gli spiriti dei suoi natali. Ma tra questo racconto morale, dove il soprannaturale insegna la retta via e un’altra storia ben più perturbante come The Signalman c’è una notevole differenza. Qui, il soprannaturale assume un aspetto più soggettivo, più strano: il protagonista, il casellante, muore sotto un treno alla fine della storia dopo aver raccontato al narratore di un incidente che l’ha poi lasciato con l’impressione di sentire suoni e percepire figure inesistenti, gli stessi che anche il narratore distinguerà nel finale del racconto attorno al corpo della vittima. – Allucinazioni o fantasmi? Quando si esamina il fantastico vittoriano insieme al realismo si tende a considerarlo come una specie di ritorno del represso, e anche se può sembrare un po’ banale agli occhi del XXI sec., può rilevarsi un esercizio funzionale. Nella storia di Villette di Charlotte Bronte, la cui protagonista Lucy è bruttina, povera e inibita, appare l’ombra di una suora. Allo stesso modo la Gaskell si è di mostrata un’abile giocatrice con le convenzioni del racconto fantastico e si permette di esprimere una profonda insoddisfazione verso gli ideali di progresso storico e sociale, tanto cari all’establishment. Nei racconti di fantasmi e di terrore che pubblica in Household Words la Gaskell fa trapelare straniamento, isolamento, paura, alienazione, vittimizzazione sessuale, suicidio e assassinio. La produzione di Joseph Sheridan si inscrive quasi tutta nella tradizione fantastica dei sottogeneri del gotico inglese e del mystery vittoriano. Le sue storie sono particolarmente interessanti perché tendono a rifiutare gli effetti dichiaratamente soprannaturali, preferendo lasciare al lettore almeno la possibilità di una spiegazione “naturale”. Particolarmente significativa la novella gotica Carmilla che racconta la vicenda del rapporto vampiresco tra la protagonista e un lemure donna: a parte l’ovvio interesse per un racconto di amore lesbico, Carmilla è anche da considerarsi come fonte, e non solo di ispirazione, del Dracula di Bram Stoker, che comparirà venticinque anni dopo. Durante gli ultimi anni del secolo tre casi paradigmatici arricchiscono la già rigogliosa panoramica del fantastico vittoriano. Nel processo di sviluppo e affinamento della narrazione fantastica si intensifica progressivamente il concetto di sdoppiamento della personalità del personaggio: ● nel 1886 Stevenson scrive The strange case of Dr Jekyll and Mr. Hyde; ● nel 1891 Oscar Wilde scrive The Picture of Dorian Gray ● nel 1897 Stoker scrive Dracula F 0 E 0 Si tratta di tre testi fantastici completamente diversi dal tipico racconto romantico del male, che aveva avuto il suo proptotipo in Frankenstein di Mary Shelley. Da una collocazione esterna, il diabolico si insedia nella psiche dell’uomo (o della donna) sfidandone la “naturalità” e la sua manifestazione viene rappresentata da uno sdoppiarsi dell’identità dei vari personaggi. Dr Jekyll and Mr. Hyde. Nel celebre racconto di Stevenson abbiamo un esempio perfetto della psicologia pre-freudiana. Dr Jekyll scoprirà come lo scopo delle sua ricerche, ovvero la separazione dei principi del bene e del male che si trovano a convivere in un solo corpo sia irrealizzabile, e capirà come il male, rappresentato dalla figura di Hyde, è indubbiamente correlato alla crudeltà fisica, all’assassinio e dunque alla morte, ma anche alla trasgressione erotica e sessuale. Dorian Gray. È altrettanto difficile per il lettore trovare una chiave interpretativa certa di questo racconto che al principio sembra manifestare “il sogno di un libero godimento di sensazioni moralmente indifferenziate e di un nicciano travalicamento del bene e del male”. Quando Dorian, alla fine dell’opera, vuole distruggere il ritratto e così facendo uccide se stesso, il messaggio globale del racconto viene deliberatamente lasciato nell’ambiguità. → Il viso di Dorian, rimasto incontaminato dall’età e dalla depravazione fino alla sua morte, si riprende i segni fisici, mentre il ritratto torna ad essere quello di un bellissimo giovane. F 0 E 0 Allora non è chiaro se è la morale che ha sconfitto l’arte o viceversa: dipende infatti da qual è il viso cui dirigiamo lo sguardo, se quello “vero” o quello dipinto, ed è così che voleva Wilde. Dracula. Costituisce il culmine della grande produzione ottocentesca di orrori gotici. A livello tematico discende da The Vampire di Polidori e dalla Carmilla di Le Fanu, continuando e sviluppando il sottogenere del vampire tale intensificandone l’atmosfera perturbante. Non è solo la figura imponente del conte Dracula a conferire al romanzo un fascino particolare. La narrazione multipla, lo sdoppiarsi dei personaggi e il fatto che il mito del vampiro sia forse la rappresentazione simbolica dell’erotismo non plus ultra, fanno di quest’opera un caso unico e un fenomeno permanente nella letteratura fino ai nostri giorni. La presenza del sub text di tabù e desiderio, di repressione e status quo, permette una lettura marxista- freudiana attraverso la quale emerge la lotta combattuta dai valori vittoriani basati sulla chiesa, l’impero e la borghesia che alla fine hanno la meglio sul diabolico e la sovversione. Anche la topografia che passa da Londra alla Transilvania “goticizzata” con il castello e la casa del conte a Whitby, paesino di pescatori sulla costa nord-orientale dell’Inghilterra, e infine alla città di Exeter, , includendo lo strano nel familiare, secondo uno stilema che è il marchio stesso della letteratura fantastica. Tra le opere più affascinanti e meno “classificabili” della produzione inglese dell’Ottocento sono da ricordare “Alice in Wonderland” e “Through the looking-glass” di Lewis Carroll [le due avventure di Alice 1) nel paese delle meraviglie; 2) attraverso lo specchio]. Sono testi che si presentano come fiabe per bambini ma si inseriscono in un sottogenere di fantasie dell’immaginario vittoriano. “Gender” e realismo Una presenza notevole di scrittori di fiction durante l’Ottocento rappresentava un ostacolo in più alle pretese del realismo vittoriano di rappresentare “la verità”. All’universo femminile – almeno quello borghese che leggeva i romanzi – molti aspetti di questa verità venivano convenzionalmente celati, in particolare tutto quanto riguardava l’eros. Scrivere la verità allora divenne un’impresa irta di difficoltà. Alcune scrittrici preferirono almeno all’inizio della loro carriera pubblicare con pseudonimi maschili. In una lettera Charlotte Bronte scrive: vorrei tanto che lei non mi pensasse come donna. Vorrei che tutti i critici credessero che “Currer Bell” sia un uomo, sarebbe più giusto verso di lui. Il discorso vale anche per le altre romanziere che presero un nome maschile: il desiderio di essere giudicate alla pari, la voglia di potersi esprimere francamente su questioni come l’amore e il comportamento maschile, argomenti sui quali spesso non potevano avere un’opinione. E, prima di tutto, di poter essere fedeli ai propri ideali estetici, alla volontà di scrivere la verità. F 0 E 0 Le autrici, come gli autori, erano coscienti del fatto che questa agognata verità obiettiva fosse un concetto piuttosto scivoloso. L’aspirazione dell’arte è sempre quella rappresentazione della realtà, cioè della verità. Il realismo individua come proprio compito, come dovere primario, il dire la verità sulla vita quotidiana, ma tale compito e estremamente difficoltoso, forse impossibile, perché le parole sono cariche di associazioni e spesso aperte a tante possibili denotazioni. Il romanzo industriale: la realtà negata Il romanzo vittoriano cerca di denunciare una delle realtà più tremende del periodo: la sorte dell’operaio, e dell’operaia, nelle fabbriche e nei fatiscenti alloggi dei nuovi sobborghi delle grandi città. La malattia, la morte, l’ingiustizia, la povertà, la condizione dei bambini costretti a lavorare fin dalla più tenera età, fanno parte di un quadro che i romanzieri vittoriano hanno saputo trasmettere, trovando in questi temi la possibilità di sfruttare sia le doti descrittive sia la capacità di rappresentazione drammatica. Geniale è l’espediente del ritratto, simbolo della coscienza di Dorian, che invecchia al posto suo finché il giovane, non sopportando più di vedere raffigurata nel quadro non solo la propria vecchiaia ma anche la bruttezza della propria anima, lo pugnala ma muore all’istante e assume le sembianze del ritratto, mentre questo torna a raffigurare Dorian in tutto il suo splendore giovanile. Il romanzo, una storia “gotica” ambientata nella Londra contemporanea, scandalizzò il pubblico vittoriano al suo apparire in quanto venne considerato come una esaltazione del piacere e della vita trasformata in un’opera d’arte, ma in realtà può essere anche considerato come una complessa riflessione sull’ambiguità dell’arte capace di cogliere la verità dell’uomo e di rivelarne l’intima natura o di dissimularla ingannevolmente. Il successo più grande Wilde lo riscosse con le sue brillanti commedie, portando una ventata di vitalità nell’esanime teatro ottocentesco. Il suo capolavoro, L’importanza di chiamarsi Ernesto è un’opera costruita su un linguaggio raffinato ricco di umorismo e di divertenti aforismi e paradossi, che danno voce alle idee anticonformiste di Wilde consentendogli di prendersi gioco con eleganza della sofisticata alta borghesia inglese. Wilde appartiene decisamente più al nuovo secolo che all’Ottocento vittoriano. La sua estetica trasgressiva tende a trasformarsi in energia propulsiva dello stesso desiderio di trasgressione, offrendogli l’assoluta libertà di un’identità decentrata e multipla, aperta a ogni possibile sollecitazione. Il rifiuto di qualsiasi stabile identità, imposta dal di fuori e precostituita, rappresenta il “leitmotiv” di tutta la sua opera. La perdita del centro e del senso profondo della realtà nei sempre più complessi rapporti fra uomo e mondo potrebbe racchiudere in sé una possibilità liberatoria. Sempre che, naturalmente, si riesca ad accettare la molteplicità e le contraddizioni di un mondo dove nulla, e tanto meno l’essere, è stabile e permanente. La New Woman La “nuova donna” tra affermazione e derisione L’ultimo decennio del XIX sec., il periodo ambiguo e contradditorio definito in tutta Europa fin de siècle, segnò in Gran Bretagna la fine dell’epoca vittoriana e vide l’inizio di una fase di transizione e incertezza. Insieme a dande ed esteti decadenti le New Women – nuove figure di donne che incarnavano un tipo di femminilità più moderna e consapevole – sfidarono gli austeri dettami della morale sociale vigente. L’immagine di New Woman che appariva più frequentemente sui giornali dell’epoca, satirici e non, la dipingeva come una donna spregiudicata che, abbandonati i rigidi corpetti, fumava in pubblico e pedalava liberamente con la sua bicicletta. F 0 E 0 La “nuova donna” è una donna “strana”: determinata e colta, ha spesso avuto accesso a un livello di istruzione che le precedenti generazioni non potevano raggiungere e, proprio per questo, sembra incapace di adattarsi al proprio tradizionale ruolo sociale di moglie e madre. Vera e propria icona della cultura storico-letteraria del fine secolo, la new woman è una creatura sfuggente, dalle molteplici identità, allo stesso tempo soggetto e oggetto della scrittura letteraria a cui furono dedicati più di un centinaio di romanzi e un numero ancora maggiore di storie brevi. Le origini Lyndall, eroina ribelle e femminista del romanzo The story of an Africa Farm della scrittrice Schreiner è considerata la prima new woman della letteratura di lingua inglese e quasi un prototipo dell’intellettuale moderna. Questo movimento proto femminista di fine secolo non compare dal nulla ma riprende una serie di tematiche già presenti in opere come Vindication of the rights of Woman o The subjection of Women. F 0 E 0 Le new women si battevano per la perfetta uguaglianza di uomini e donne di fronte alla legge, nella vita professionale e familiare, e osteggiavano violentemente la promulgazione di leggi quali i Contagius desease acts: tali leggi, infatti, non solo legittimavano il pregiudizio che le donne dovessero essere sessualmente più inesperte e innocenti degli uomini, ma stabilivano anche che coloro che fossero risultate affette da malattie veneree avrebbero dovuto essere forzatamente internate in ospedali specifici, mentre i loro “contaminatori” potevano rimanere impuniti e liberi di trasmettere la malattia. La scrittura delle new women La ribellione delle new women ebbe modo di esprimersi in larga parte attraverso la scrittura letteraria e i dibattiti che essa suscitava, e si profilò come una sfida lanciata alle convenzioni sociali e morali per conquistare una libertà che fosse insieme sessuale, artistica e intellettuale. I loro romanzi svelano alcuni e ben precisi dati comuni: un autonomo desiderio di auto definizione, la determinazione a voler cambiare il futuro, la necessità di riforme politiche e sociali volte a migliorare la condizione femminile. La new woman era spesso accusata di essere una cattiva madre, in grado solo di allevare una ragazza degenere, eppure – questa è una delle contraddizioni più rilevanti nella storia di questo movimento – molte delle nostre autrici furono accorate sostenitrici della politica imperiale britannica e della sua ideologia di superiorità razziale. La new woman e la poetica narrativa La produzione femminile di fine secolo è rimasta per tanto tempo nell’ombra. Eppure, se da una parte è vero che le scrittrici del movimento delle new women erano figlie di un’epoca di cui non sempre seppero superare i limiti culturali, è anche vero che esse furono protagoniste del lento e graduale percorso che avrebbe portato all’abbattimento delle rigide barriere imposte dai gender codes vittoriani. Nei romanzi di queste scrittrici si percepisce un chiaro distacco dalle convenzioni letterarie del passato, basti pensare, per es., all’uso privilegiato della short story, percepito come genere più “femminile”, veloce e diretto, o ancora al cambiamento radicale del ruolo del matrimonio nella narrazione. Nel romanzo vittoriano tradizionale le nozze rappresentavano il punto di chiusura del plot, e la soluzione dei problemi. All’opposto le esponenti del movimento vedranno nel matrimonio il punto di partenza e l’origine di difficoltà che non sempre potranno essere risolte e quasi mai porteranno a un happy ending. Le new women di fine ottocento posero indubbiamente le basi per lo sviluppo del movimento femminista contemporaneo. Origine del termine New Woman Il significato del termine New Woman era e rimane alquanto ambiguo e contestato. L’a “designazione” di questo nuovo tipo di donna apparve in un periodo in cui il dibattito sulla necessità di un’eguaglianza di parametri sociali ed educativi tra i due sessi si era prepotentemente fatto strada. La new woman – oggetto di ammirazione per alcuni, di derisione e polemica per altri – divenne un’icona dell’immaginario letterario e politico che, nei romanzi come nei giornali dell’epoca, avrebbe rappresentato nel bene e nel male le ragioni e le battaglie che condurranno alle importanti conquiste storico-politiche ottenute dalla suffragette nel XX secolo. La poesia vittoriana All’inizio del lungo regno della regina Vittoria la poesia inglese era ancora sotto il forte influsso dei poeti romantici. Ciò che i poeti di questo periodo di transizione ereditarono dai romantici furono soprattutto le languide cadenze e la ricca sensualità del linguaggio e le atmosfere estranianti dall’altro, mai disgiunte da un audace sperimentalismo linguistico e metrico. I poeti di transizione Fra i poeti più interessanti di questa prima stagione si annovera Thomas Hood, le cui composizioni sono spesso caratterizzate da sentimenti umanitari e impegno sociale, con una certa vena satirica. D’ispirazione più semplice è la poesia di John Clare, “il poeta contadino del Northamptonshire” che, giudicato pazzo dai contemporanei, trascorse gli ultimi vent’anni di vita in un manicomio. Nei suoi versi egli descrive scene di vita rurale, rivelandosi un osservatore sensibile e attento. La figura più memorabile di questi anni di transizione è Thomas Lovell Beddoes che finì suicida a poco più di quarant’anni. Famoso soprattutto per Death’s Jest-book. I grandi vittoriani Alfred Tennyson è considerato il poeta più rappresentativo del periodo vittoriano. Fu in occasione della prematura morte dell’amico Arthur Hallam che egli compose quello che alcuni considerano il suo capolavoro e che certo è uno dei suo tentativi più ambiziosi: In memoriam, una raccolta di oltre centotrenta liriche, tutte imperniate sul tema della morte e dell’immortalità. È la raccolta Poems in two volumes a essere oggi ritenuta la sua prova più alta. Contiene infatti The Lady of Shalott, Morte d’Arthur e The Lotos-Eaters, dove il tono dominante è quello elegiaco e prevale un’atmosfera di dolce malinconia; e Ulysses: monologo drammatico ispirato al personaggio omerico e dantesco, dove le parole del vecchio Ulisse, pronto a ripartire per appagare la propria sete di conoscenza, interpretano quella vitalità e quella volontà di agire che rappresentano gli aspetti più positivi dell’animo vittoriano. Come altri intellettuali del suo tempo, Tennyson era un uomo inquieto. Lo turbavano la scienza moderna – specie le teorie darwiniane – e i suoi riflessi sulla fede, il significato della vita e il pensiero della morte. La scomparsa prematura dell’amico Arthur Hallam intensificò le angosce di una mente particolarmente sensibile, trovando una forma poetica nella raccolta di liriche In Memorian, espressione del turbamento personale di un uomo e di un’intera epoca. Elizabeth Barrett Browning, sebbene in vita fosse più famosa del marito, oggi è ricordata soprattutto per le romantiche circostanze del suo matrimonio con Robert Browning. La sua poesia si caratterizza per una forte emotività che si esprime solitamente in un repertorio di immagini e in un linguaggio convenzionali. Necessario ricordare il suo appoggio sentimentale a causa umanitarie come la denuncia dei patimenti subiti dai bambini nella società industriale. I poeti del dubbio La poesia del movimento di Oxford fu segnata dal conflitto tra aspirazioni estetiche e rigorosa fede religiosa, energicamente affermata e professata. 6. Gli ultimi vittoriani Uomo del suo tempo e tuttavia proiettato verso il futuro, verso una più ampia e libera visione del mondo e dei suoi problemi, George Meredith è più conosciuto come romanziere che come poeta. La sua produzione poetica iniziò con la pubblicazione di Poems che presentava subito le caratteristiche che sempre lo contraddistinsero, di grande sottigliezza psicologica e di un’allusività talora al limite dell’astruso. Un discorso a parte merita Modern Love, formato da cinquanta composizioni che raccontano la storia di un adulterio e del progressivo straniarsi di una moglie dal proprio marito. Il tema, tristemente biografico – la moglie lo lasciò dopo otto anni di matrimonio – è trattato con voluto distacco e crudo realismo che, paradossalmente, accentua la portata drammatica della situazione. Robert Bridges abbandonò gli tsudi di medicina per dedicarsi interamente alla poesia: una poesia a volta elegiaca e meditativa, più spesso percorsa dalla gioia di vivere, le cui cadenze, a volte delicate, rammentano la poesia di Spencer. Thomas Hardy è più famoso come romanziere che come poeta, conosciuto ancora oggi da un vasto pubblico anche grazie alla trasposizione cinematografica di alcuni suoi romanzi. Un cupo pessimismo, influenzato dal pensiero di Shopenhauer, pervade sia la sua prosa che la sua poesia. Le sue raccolte esprimono una visione tragica della condizione umana in versi scabri e possenti, che eserciteranno un forte influsso sui poeti novecenteschi. Il teatro vittoriano 1. Teatro popolare, teatro di repertorio Il XIX sec. rappresenta, nella storia del teatro inglese, un momento del tutto singolare in cui si assiste a un aumento vertiginoso del numero degli spettatori e alla diffusione di un gran numero di generi – melodramma, extravaganza, music hall – che trasformano lo spettacolo teatrale in un vero e proprio fenomeno di cultura di massa. Questa tendenza si era già largamente affermata durante il Settecento. L’assenza di un repertorio drammatico di alto profilo culturale e letterario favorì ancor più la diffusione di generi popolari e l’allargamento della base sociale degli spettatori. A ciò si aggiunse l’espansione demografica delle città britanniche, in particolar modo di Londra, e il miglioramento dei mezzi di trasporto che consentì a un numero sempre maggiore di cittadini di spostarsi per andare ad assistere agli spettacoli. F 0 E 0 Un ulteriore momento di svolta fu rappresentato dalla promulgazione del Theatre Licensing Act (1843) con cui non solo venivano limitati i poteri del Lord Chamberlain, ma si dava anche maggiore autonomia alle autorità locali che erano così libere di concedere licenze, spezzando il monopolio detenuto fino ad allora dai teatri “patentati”. Accanto quindi ai due tradizionali teatri patentati – Covent Garden e Theatre Royal – Londra nell’epoca vittoriana ebbe un progressivo pullulare di teatri. Ad incarnare tale imponente fenomeno era la stessa regina Victoria che grazie alla sua passione per il teatro s’impegnò a sostenerlo per tutto il periodo del suo lungo regno, recandosi regolarmente a vedere spettacoli di farse, pantomime e melodrammi. 2. Melodrama e pantomima Uno dei generi più rappresentativi dell’800 inglese, che ebbe il merito di mettere d’accordo un po’ tutti, fu senza dubbio il melodrama, che era comparso sui palcoscenici inglesi tra sette e Ottocento. Durante il periodo vittoriano il melodrama, che usava gli stereotipi dell’eroe, dell’eroina e del villain, e che contrapponeva in maniera schematica il vizio e la virtù premiando il bene contro il male, aveva senza dubbio il merito di riuscire a divertire lo spettatore borghese e a fornire all’esponente della working class una rappresentazione moralistica e idealizzata della realtà. Il melodrama – che era sempre accompagnato dalla musica – pur basandosi molto sui cliché, era però alquanto realistico nella descrizione della Londra del periodo o dei villaggi rurali della provincia. James Robinson Planché fu autore di libretti, melodramas, farse ma soprattutto di extravaganzas e pantonimes. Viene ricordato soprattutto per The sleeping beauty in the wood, la prima di una lunga serie di extravaganzas ispirate alle fiabe francesi. Fra i tanti generi popolari che proliferarono in questo periodo ricordiamo anche il burlesque, sorta di comic play che si prendeva gioco delle opere e dei drammi amati dalle classi abbienti. ► Accanto ai teatri veri e proprio, crebbero in maniera esponenziale i cd. music hall, nati come mescite per soli uomini, per lo più operai, in cui si beveva ascoltando delle canzonette, ma che dopo le liberalizzazioni del 1843 si trasformarono in vere e proprie sale costruite accanto ai bar. Dalle semplici canzonette si passò a un tipo di offerta più varia, come ben testimonia una delle music halls più tradizionali della Londra vittoriana, il Canterbury in cui si eseguiva musica operistica e il cui pubblico era costretto a pagare un regolare biglietto non incluso nell’ordinazione. I music hall proliferarono a Londra e nel resto dell’Inghilterra e, nonostante l’aumento degli intrattenimenti offerti, rimasero sempre locali di stampo prettamente popolare. Tuttavia, sui palcoscenici britannici comparve un repertorio nuovo che non solo metteva in scena la realtà della borghesia con i suoi problemi e le sue aspirazioni ma si rivolgeva anche in maniera specifica a un pubblico che apparteneva a questa stessa classe. 3. Il naturalismo Uno dei primi drammaturghi ottocenteschi a creare dei plays di stampo pre-naturalistico che affrontano argomenti di carattere sociale fu Thomas Robertson. Caste, il maggiore successo di questo consumato uomo di teatro, adattatore di opere francesi, ha ancora le caratteristiche del melodramma ma attraverso il realismo delle scene e la forte impronta sociale, aprì la strada a un tipo di teatro che aspirava a ritrovare sostanza e dignità culturale. 4. Shaw Se il teatro inglese ottocentesco si caratterizza per una crescita esponenziale di pubblico e per un’accentuata spettacolarizzazione, a tratti anche volgare, sarà il fin de siècle a determinare – grazie soprattutto a due autori, Wilde e Show – una vera e propria svolta con la maturazione di una drammaturgia letterariamente ricercata e ideologicamente provocatoria. L’unico commediografo ad accettare le novità rivoluzionarie di stampo naturalista provenienti dal continente fu proprio Shaw, uno dei messimi rappresentanti della drammaturgia europea del Novecento. Egli era un profondo conoscitore di Ibsen, alla cui opera dedicò il saggio The quintessenze of Ibsenism. Shaw apprezzava di Ibsen proprio la visione di un teatro nuovo che ponesse al centro, commentandoli e criticandoli, i problemi della società borghese, svelandone le brutture e le ipocrisie. Pone al centro dell’attenzione del pubblico l’importanza del tema trattato mantenendo invece dal punto di vista formale una sostanziale continuità con la tradizione popolare del teatro ottocentesco melodrammatico. Shaw affrontava consapevolmente temi “sgradevoli” come il denaro sporco guadagnato attraverso lo sfruttamento dei quartieri poveri, o attraverso la prostituzione, o i problemi legati all’istituzione sociale del matrimonio utilizzando il mezzo teatrale per trasmettere al pubblico la consapevolezza di importanti tematiche sociali. F 0 E 0 Affrontava i falsi ideali che impediscono ai singoli individui di comprendere i valori reali della vita. In Candida, ad es., uno dei suoi capolavori di ironia e probabilmente il più ibseniano dei suoi plays. Shaw crea le basi di quella che sarà la sua produzione novecentesca fatta di grande padronanza tecnica, dialoghi brillanti, calibrata caratterizzazione dei personaggi. 5. Wilde Altro indiscusso protagonista del teatro inglese della tarda età vittoriana fu il grande esteta e autore decadente Oscar Wilde, che ha lasciato dei contributi del tutto geniali alla storia del teatro occidentale. I primi due plays scritti da Wilde negli anni Ottanta sono Vera e The duchess of Padua. Salomé – atto unico scritto in francese per la grande attrice Sarah Bernhardt – costituisce un dramma del tutto singolare e un trionfo dell’estetismo decadente. È però con le quattro commedie Lady Windermere’s fan, A woman of no importance, An ideal husband, The importance of being Earnest, che Wilde dà vita a un esempio unico di opere che, apparentemente in armonia con il society drama tanto in voga nell’Inghilterra tardo vittoriana, ne sovverte in realtà le regole dall’interno. Sulla base di testi dalla struttura drammaturgica tradizionale, egli inserisce la polemica sociale attraverso battute ironiche e paradossi cinici, come appare evidente il Lady Windermere’s fan, che affronta un tema apprezzato dal pubblico del tempo, quello di una donna dell’alta società innamorata del proprio marito ma contesa da un altro uomo. Wilde è in realtà interessato al wit, all’arguzia, che traspare dai dialoghi in cui trionfa l’umorismo più paradossale. Egli affronta il contrasto esistente tra i condizionamenti della tradizione sociale e il valore dei sentimenti e della comprensione umana, ottenendo sempre un enorme consenso di pubblico. F 0 E 0 F 0 E 0 Con L’importanza di chiamarsi Ernesto, Wilde – proponendo una caricaturale parodia delle convenzioni teatrali ottocentesche tra farsa e melodramma – raggiunge una perfezione e una grazia stilistica senza precedenti, muovendosi con funambolica abilità fra giochi di parole e motti di spirito, aforismi e paradossi che danno a quest’opera un ruolo di rilievo nella storia del teatro inglese. 6. Le drammaturghe La presenza alquanto numerosa di donne drammaturghe che, soprattutto a partire dalla seconda metà dell’8000, acquistano sicurezza e consapevolezza artistica scegliendo di mettere in scena opere sempre più impegnate e connotate politicamente. Si pensi, per es., alla scrittrice Catherine Gore con il suo play Quid pro quo, o alle drammaturghe di maggior successo dell’epoca, Madeline Ryley e Clotilde Graves che misero in scena opere accolte con enorme favore di pubblico. Le tematiche privilegiate da queste autrici erano incarnate da eroine passionali magari non ancora esplicitamente femministe, ma sicuramente in aperta polemica con i limiti imposti dall’ottusa società patriarcale vittoriana. Elizabeth Robins, americana naturalizzata inglese, è una delle donne di teatro certamente più rappresentative del tardo periodo vittoriano; notissima interprete dei drammi di Ibsen. rappresentazione, ovvero le tecniche e gli stili adatti a rendere percepibili le idee costituenti la genesi dei testi. 1. Modernismo versus Modernità Il termine inglese Modernism, che trova un unico riscontro terminologico nello spagnolo “modernismo”, ha i propri equivalenti ideali nel termine Avant-garde in Francia, Decadentismo in Italia. Ciò che lega questi eterogenei movimenti è l’angoscia condivisa dai loro esponenti di una crisi di rappresentazione, la percezione ansiogena dell’incapacità di tutte le discipline umanistiche di raffigurare e significare la natura. Tutti i movimenti modernisti europei tendono a contrapporsi alla “modernità”, termine con il quale la filosofia designa una categoria di pensiero che risale all’Illuminismo, e le cui figure centrali sono Cartesio e Kant. Ai filosofi moderni delle certezze, le avanguardie novecentesche contrappongono i maestri modernisti del sospetto: Marx, Nietzsche, Freud. Se Marx ha additato la crisi ideologica del sistema capitalistico, Nietzsche ha demistificato la scienza quale modalità fraudolenta dell’essere moderni, insegnandoci che il valore supremo è la vita e che l’uomo, dopo la paradossale “morte di Dio” è l’unico rimasto, nel mondo attuale, investito dell’antica capacità demiurgica del creare. Quanto a Freud, la sua sconvolgente scoperta dell’inconscio ha consentito di costruire sistemi di pensiero in grado di elencare e codificare sia le complesse leggi e le tortuose dinamiche della libido, sia gli strabilianti processi metamorfici della formazione dei sogni. F 0E 0 F 0 E 0 Tutti elementi che i letterati e gli artisti del Modernismo introiettarono, elaborandoli e trasfigurandoli nei loro componimenti. La crisi esistenziale, la contestazione dei valori positivi propone un interessante corollario nella manipolazione dei valori religiosi o quantomeno metafisici. La “morte di Dio” proclamata da Nietzsche provoca infatti un duplice fenomeno: la perdita di forza delle religioni istituzionali va di pari passo con la ricerca di forme di religiosità alternative. Fenomeno macroscopico del rifiuto di un Dio canonico (occidentale, cristiano), che è sempre e comunque stato il costante punto di riferimento della modernità, si presenta il rinnovato favore verso il ritrovamento di altri dei, tipico dell’esperienza modernista. Molto riconoscibili negli autori del Modernismo sono le varie teorie sul cd. animismo, per spiegare i meccanismi del sonno e del sogno, e più in generale dei rapporti tra vita e morte, poiché l’anima è un qualcosa di inafferrabile, comune a essere umani, animali e vegetali, che sopravvive a qualunque aspetto della sparizione corporea. Enorme impatto ebbe la grande mole di studi antropologici ed etnologici, la cui summa è rappresentata dalla massiccia documentazione ed estesa sistematizzazione di miti di J.G. Frazer in The golden bough cui praticamente tutti gli scrittori e artisti modernisti attinsero a piene mani. Mentre Freud, riconducendo le fasi della storia umana (magica, religiosa, scientifica) agli stadi dello sviluppo della psiche, consegnava all’arte a alla letteratura modelli di correlazione delle istanze metafisiche alle strutture dell’inconscio. Gli autori modernisti accolsero l’appassionato imperativo di un rinnovamento sia esistenziale sia estetico sintetizzato nella formula di Ezra Pound “make it new”, consapevoli che tale compito comportava simultaneamente il piacere di decostruire o riconfigurare la nostra grande tradizione culturale, ma anche l’onere di giustificare la decostruzione o riconfigurazione su basi teoriche corrette e accettabili. 2. “alto” e “basso” modernismo La critica attuale concorda su una distinzione binaria tra “alto” e “basso” modernismo, soprattutto con significato tanto estetico quanto sociologico. L’obiettivo primario dei maestri modernisti era la ricerca di attimi preziosi benché fuggevoli, di penetrazione metafisica di un reale assoluto, immutabile, incorporeo, che per es. Joyce chiamava “epifania”. F 0E 0 Attimi in cui l’artista intuisce che la realtà deve avere uno scopo, un senso, una proiezione, pur nella consapevolezza che il senso, qualunque senso, sfugge, si sottrae, si nasconde. Da ciò deriva un’ulteriore consapevolezza che le forme letterarie e artistiche, tutte inserite nella crisi superiore di modelli del mondo, non possono perseguire la perfezione formale, riflettendo invece la natura parziale e i caratteri frammentari delle esperienze quotidiane. Il 1922, annus mirabilis del Modernismo “alto” segnò con la pubblicazione dell’Ulysses e di The Waste land (di Eliot) il culmine della sperimentazione e del rinnovamento predicati da Ezra Pound. Proprio i due testi più significativi del modernismo ne segnalarono anche la natura colta, elitaria, autoreferenziale, nonché l’inaccessibilità linguistica. L’artista, nuovo “dio della creazione estetica” è un essere superiore, distaccato, smaterializzato, investito unicamente del dovere di denunciare, in un codice di trasmissione verbale a lui proprio. F 0 E 0 Perciò gli autori principali dell’”alto” modernismo propongono una tipica combinazione di forme sperimentali faticosamente comunicabili con grandiose, addirittura epiche, ambizioni. Tuttavia, a fronte dell’”alto” modernismo, ne possiamo incontrare uno diverso, chiamato per convenzione “basso”, identificabile nella scrittura e nell’editoria di divulgazione popolare. La progressiva emanazione degli Education acts, che allargavano enormemente l’accesso alla scuola e poi all’università, provocò una forte richiesta di produzione di giornali e riviste, quale base di diffusione di una letteratura prima solo popolare, poi anche colta. Quello delle riviste è un fenomeno rilevante, diviso un due manifestazioni contrapposte. Da un lato, periodici nati per incontrare il grande pubblico come The strand magazine o Tit bits, che pubblicavano a puntate romanzi sensazionali e polizieschi (p. es., Shlerloch Holmes). Dall’altro lato, un fondamentale veicolo di trasmissione per le opere dei principali scrittori che furono chiamate “piccole riviste” dal titolo del loro prototipo la Little review: tra le più celebri The dial e Vanity fair, che in un primo tempo avrebbe dovuto ospitare il capolavoro poetico eliotiano. Un ulteriore aspetto rilevante della cultura comunicativa ed economica del modernismo va individuato nel fatto che, di regola, la forza di distribuzione dei materiali a stampa dipendeva dall’illuminato mecenatismo di facoltosi patroni, inseriti in ricche attività professionali o commerciali, e caratteristicamente quasi tutti americani. Ci potremmo anche chiedere che cosa ne sarebbe stato di Ulysses se l’ereditiera statunitense Sylvia Beach non fosse approdata a Parigi per impiantare la libreria e casa editrice Shakespeare & Company. Ulteriore aspetto di interesse è il fatto che questi mecenati degli scrittori modernisti angloamericani fossero al contempo grandi appassionati di arti figurative. Collezionisti di pitture e sculture delle avanguardie, sollecitarono e sostennero, nelle riviste da loro finanziate, la combinazione di testi letterari con fotografie di opere d’arte, contribuendo così ad una interconnessione tra letteratura e arti visive, tipica del modernismo. 3. Teorie e movimenti: vorticismo e imagismo Il Vorticismo si propone come l’unico movimento di avanguardia novecentesca esclusivamente e peculiarmente inglese. Nasce da un’avvertita necessità di porre in relazione letteratura e arti visive e ha il suo centro privilegiato a Londra. Trova il proprio riferimento teorico-metodologico, ma anche operativo, nella rivista Blast. Il Vorticismo configurò una visione “esplosiva” – come suggerisce lo stesso nome della sua rivista (Blast = esplosione) – della scena artistica e letteraria, dove un numero limitato di figure anticonformiste decise di dar vita a un movimento di pensiero e azione rivoluzionario. La metafora del “vortice” che diede il nome al movimento, la si deve a Ezra Pound il quale, in una lettera del 1913, memore di un folgorante simbolo di Blake, la ripropose a distanza di più di un secolo, per suggerire l’idea di un centro di intensa e vigorosa attività mentale, da cui deriva la più proficua operatività culturale. Il 12 giugno 1914apparve per la prima volta pubblicamente il termine sulle riviste Manchester Guardian e Spectator. Sul versante artistico, il movimento sceglie contenuti desunti dal mondo del lavoro, oppure della strada, ma anche dell’immaginazione, purché corpi in movimento, contaminati dalla macchina, che portano la psiche sotto pressione. Lo stile verticista appare caratterizzato da una tensione controllata con sforzo, una richiesta di stasi psichica che tuttavia non si sottrae alla lotta mentale, un inquietante bisogno di astrazione sublimata, che comunque non sa rinunciare alle lusinghe della fisicità corporea. Sul versante letterario, consegnato anch’esso a due manifesti di Blast, la poetica vorticista si presenta quale emanazione di un connubio di poesia e prosa incaricato di promulgare un’arte rivoluzionaria adeguata a esprimere l’età della macchina: il vortice è immobile ma in azione, al contempo è veloce ma tendente alla stasi, “bianco nell’astrazione e rosso fuoco nella velocità”. Tale evidente ambiguità teorica si riflette nell’impossibilità di pervenire a una teorizzazione normativa, paragonabile a quella dei contigui futuristi. Né il primo né il secondo numero di Blast proposero, per capacità di codificazione e durata culturale, manifesti programmatici omologabili a quello di Marinetti. La storia istituzionale del movimento corrisponde all’attività degli “Omega Workshops”, attivi dal ’13 al ’19 e prosegue con la straordinaria mostra alla Doré Gallery. Si conclude con la Exhibition of the Vorticists at the Penguin Club organizzata a New York nel 1917. Malgrado la sua breve vita, l’attività del Vorticismo fu tanto frenetica, coinvolgendo quante mai persone, e stimolando accesissimi dibattiti teorici. Il movimento parallelo, l’Imagismo, risale tradizionalmente alla pubblicazione in appendice ai Ripostes di Ezra Pound, di cinque componimenti poetici del filosofo, critico e poeta T.E. Hulme. In una nota, Pound definiva le proprie e le altrui poesie, imagistes. La pubblicazione della prima antologia, Des Imagistes, è del 1913. La storia dell’Imagismo non è molto più lunga di quella del Vorticismo, ed è altrettanto complicata e discussa. Il teorico di riferimento dell’imagismo è Hulme, assai influenzato dal coevo pensiero francese, nelle specie soprattutto del filosofo Bergson, ideatore delle images successives (ovvero delle immagini in successione, e spesso in collisione l’una con l’altra, che sconvolgono il solito modo di percepire e pensare) nonché i poti del vers libre. Hulme avev a importato dalla Francia quello che a lui sembrava il “nuovo spirito della poesia”, un altrettanto nuovo “atteggiamento psicologico” – nella filosofia, nella cultura e nella vita quotidiana. Appaiono legate all’imagismo due istituzioni prestigiose, che proprio nelle loro denominazioni ne denunciano il carattere inevitabilmente privato e confederativo: il Poets Club e il Secession Club (poi School of Images). I principi dell’imagismo erano anzitutto economia verbale – poche, sane parole! – libertà nelle forme espressive ma esattezza nell’immagine. Il movimento perse presto la sua propulsione radicale e innovativa, vuoi per una intrinseca disomogeneità di approcci teorici, vuoi per una sostanziale anarchia di pratiche poetiche soggettive e fra loro poco integrabili. La fase più pura del programma originario resta consegnata alla celebre definizione di “immagine” fornita: l’immagine è ciò che presenta un complesso intellettuale ed emotivo in un istante di tempo, le sue coordinate operative consistono nella totale libertà dai limiti spazio-temporali, massima concentrazione espressiva, brevità comunicativa: “non usare mai una parola superflua, un aggettivo, se non rivela di per se stesso qualcosa”. Sul piano dei contenuti, sia a livello formale, le poetiche imagiste e vorticaste vertono sul movimento, sull’energia, insieme con la ricerca dell’io nascosto del soggetto, conformandosi alla rabbiosa, provocatoria teoria del Futurismo. Movimento, energia, ma soprattutto ritmo: “tutte le arti aspirano sempre alla condizione della musica”. E sarà proprio la musica e ancor più la danza, a proporsi come paradigma eccellente delle estetiche moderniste. La danza in particolare viene avvertita come paradigma atto a esprimere l’impellenza modernista della libertà e del rinnovamento, in quanto manifestazione ed espressione del corpo. Loie Fuller incorpora nel balletto giochi di luce elettrica e riflessi di tessuti colorati, per aumentare l’effetto dinamico della raffigurazione panoramica; Isadora Duncan danza a piedi nudi e appena rivestita di morbide mussoline Diversa appare l’applicazione di principi modernisti nella drammaturgia di Yeats. Egli compone una serie di drammi incentrati sulla tradizione culturale celtica e persegue un itinerario di mitologia celtica a favore del movimento nazionalista irlandese, inventando nell’esperienza culturale, estetica e antropologica dell’Abbey Theatre i personaggi fantastici o leggendari che traggono concretezza da una tradizione mitologica locale ma che si sublimano nell’astrazione dell’immaginario archetipico. Di tutt’altro stampo fu l’esordio teatrale di Elito con Sweeny Agostines dove in un sogno fatto di incubi il protagonista eponimo drammatizza un trascendente uxoricidio. Testo sperimentale, di avanguardia, che Eliot dimenticò subito per temi religiosi tradizionali. Per divergenti ma omologabili motivi, né Yeats né Eliot seppero configurare forme di compromesso vincenti, atte a convogliare istanze teoriche moderniste cosa che invece seppe fare George Bernard Shaw, nella sua incisiva e autoironica ristrutturazione del dramma romantico e borghese tradizionale. Se i drammi di Shaw mantengono strutture di tipo “narrativo” il ricorso continuo alle qualità intellettualistiche dell’ironia e del paradosso mina le fondamenta del discorso naturalistico. Man and Superman incorpora una sequenza onirica al di là del tempo e dello spazio dove il demonio compare in compagnia, per es., di Don Giovanni. 7. Il cinema: dal “make it new” al “see it new” Il film configura la quintessenza della forma modernista, soprattutto fino agli ultimi anni Venti, allorché la nascita del film sonoro mise in discussione quel primato assoluto della visività che contraddistinse la sperimentazione iniziale. Il cinema significò la rottura completa con gli schemi convenzionali della rappresentazione. La formula poundiana del rendere tutto nuovo la si poté applicare all’imperativo di fare vedere tutto nuovo. Se già dall’Ottocento la fotografia aveva messo insieme natura, arte e tecnologia, il film novecentesco incorpora l’immagine nell’azione, tentando di rappresentare il mondo nel suo naturale moto perpetuo, proprio come auspicavano di poter realizzare, nei loro linguaggi, le avanguardie artistiche e letterarie. Il valore intrinseco della mobilità e del moto informa di sé le forme sperimentali filmiche che cominciano a presentarsi all’inizio degli anni ’20 con registi e molti artisti e letterari che proiettano nel cinematografo il modello di tutto quanto l’arte dovrebbe rappresentare nel futuro: spostamento, svolgimento, fluttuazione. Quando a Joyce – fondatore a Dublino della prima sala cinematografica in Irlanda, poi fallita – fu proposta una trasposizione filmica di Ulysses egli fece subito i nomi di Walter Ruttmann, grande giocoliere dell’assemblaggio di immagini e di Sergei Einstein che aveva riscontrato nel capolavoro di Joyce il romanzo modernista per eccellenza. Il Momento delle avanguardie Il periodo precedente la prima guerra mondiale si propone quale momento di energia e radicale sperimentazione. Parallelamente al balzo verso l’astrattismo in pittura, all’affermarsi in architettura dell’espressionismo plastico, la scrittura modernista cerca di superare la refenzialità del linguaggio, la sua funzione rappresentativa del reale. L’esempio francese del vers libre, con il rifiuto di metri e rime tradizionali, costituisce un aspetto importante delle novità della poesia modernista la quale si avvale inoltre di inclusioni di frammenti di altri “discorsi” (figurativi, sonori) nonché di allusioni o citazioni di altri testi letterari. Un particolare interesse per l’aspetto tipografico del testo induce poeti e scrittori a trattare la pagina come un collage di termini disseminati a caso, secondo il modello inaugurato dai Calligrames di Apollinaire . Caratteristica delle avanguardie è l’organizzazione di artisti in gruppi più o meno omogenei, con la tendenza a pubblicare insieme e a individuare un leader che ne diviene il portavoce ufficiale. Dato che i modernisti si rivolgono a un pubblico di livello culturale piuttosto elevato, diviene fondamentale il ruolo delle cd. “piccole riviste” solitamente sovvenzionate dagli stessi collaboratori. Il tipico interesse degli autori sperimentali per gli effetti formali e tecnici dell’opera stimola un’attenzione esponenziale verso il medium tramite cui l’opera viene prodotta: dal numero di pennellate in un dipinto ai materiali usati nei collages. F 0E 0 Quel che conta per l’artista è perseguire una sintesi di tutte le arti. Modernisti e antimodernisti 1. I grandi modernisti Fra tutti gli autori che parteciparono alla messa in atto dell’esperienza estetica modernista, tra si propongono tuttora con particolare rilievo per il grado di innovatività: James Joyce, Thomas S. Elit, Virgina Woolf che potremmo correttamente definire come i padri fondatori del Modernismo. 1.I James Joyce Sebbene la fama di Joyce sia legata principalmente a Ulysses, è tutto il suo percorso evolutivo di scrittore a configurare una traiettoria profondamente rappresentativa del fenomeno modernista. Nato in una numerosa famiglia irlandese, da Dublino si allontanò nel 1904 per un definitivo esilio verso l’Europa continentale; tuttavia Dublino – odiata e amata – sarà al centro della sua elaborazione mentale. Delle tre componenti fondanti della sua esistenza, tutte e tre rinnegate – famiglia, patria, religione – Joyce non riuscirà mai a disfarsi. La prima opera importante, una raccolta di quindici racconti, non a caso si intitola Dubliners. La paralisi dei dublinesi joyrciani è simultaneamente morale, intellettuale, spirituale. La struttura dei racconti è suddivisibile in una rappresentazione della sua città natale “sotto quattro aspetti: infanzia, adolescenza, maturità e vita pubblica”. Un discorso a parte richiede The dead, il lungo racconto che conclude la raccolta, aggiunto nel 1907, definito “il capolavoro della novellistica non soltanto inglese e non solo del novecento”: esso discopre una propria configurazione sia tematica che stilistica. Joyce mette lucidamente e spietatamente in gioco se stesso, si sottopone a un auto-da-fe psicologico. Questo testo inaugura il metodo tipicamente joiciano e modernista dell’autobiografismo estetico. In questo senso diviene esemplare il caso del romanzo A portait of the Artista s a young man che narra in cinque capitoli la storia dell’iniziazione di Stephen Dedalus (maschera di Joyce) alla vita artistica. Il nome del protagonista evoca un destino di sofferenze e tradimenti, sia sul piano esistenziale che su quello sociale. Il protomartire S. Stefano che testimonia la “follia della croce” cristologia e il “favoloso artefice” Dedalo che insegna la fuga dal labirinto. F 0E 0 Dedalo e Stefano alludono anche alla doppia matrice culturale, simultaneamente classica e cristiana, tipica dell’arte di cui i modernisti si fanno promulgatori. Tanto la dimensione mitica quanto la frammentazione della personalità soggettiva divengono elementi strutturali nel capolavoro del romanzo modernista per antonomasia, l’Ulysses. Qui incontriamo due protagonisti autobiografici: lo Stephen Dedalus del Portrait, alter ego di Joyce giovane e una nuova maschera dell’autore, più maturo, Leopold Bloom. Stephen nel ruolo di Telemaco, alla ricerca simbolica del Padre e Leopold in quello di un moderno Ulisse alla ricerca del Figlio. Accumuli letterari e filosofici, argomentazioni teologiche e disquisizioni estetiche ingigantiscono progressivamente il tema primario della quest padre/figlio, che si dispiega comunque in una dimensione ironica e autoironica, cui concorrono parodie di linguaggi e di stili. Assolutamente esorbitante risulta la quantità e la qualità dei discorsi dispiegata nei diciotto episodi di questo incredibile romanzo, che è anche il primo modello di quello che dovrà essere l’antiromanzo novecentesco. Il centro delle istanze e delle angosce di Joyce è quella stupefacente figura di donna che assorbe in sé simultaneamente l’idea di famiglia, di patria, di religione, e il rifiuto globale di tali categorie. Parliamo di Molly, maschera di Nora Barnacle, la giovane belle e incolta irlandese che Joyce convinse facilmente a seguirlo nell’esilio in Europa e che poi lo tenne sempre attratto a sé con il proprio fascino sensuale e una sessualità irriverente. Molly Bloom, il suo inarrestabile, sgrammaticato e a-sintattico monologo che chiude il romanzo è tuttora un modello non solo del flusso di coscienza novecentesco, ma di uno strabordante e coinvolgente eterno femminino innervato nella modernità. È con questo testo che Joyce inaugura quello che T.S..Eliot definisce “metodo mitico”: prendere in prestito e manipolare i rassicuranti miti della “grande tradizione” mitico-antropologico-letterarie, per stabilire correlazioni ironiche e parodistiche tra i mondi assestati della cultura classica e i mondi prospettici delle culture future. Tutti i personaggi dell’Ulysses sono individui inseriti nella moderna Dublino, eppure la loro paradossale coniugazione alla tradizione letteraria e mitologica di matrice classica allargando il loro orizzonte semantico, fa di personaggi tutto sommato banali, se non addirittura squallidi, dei paradigmi esistenziali. La struttura del testo si presenta rigorosa, aristotelica: tre parti distinte, relative ai tre protagonisti. La prima parte ruota attorno a Stephen, studente universitario, il “giovane artista” tuttora in formazione; la seconda a Bloom (moderno, sminuito Ulisse); la terza a Molly, meta di entrambi i personaggi maschili e conclusione del sillogismo joyciano. Queste tre parti imitano in forma parodistica le tre parti dell’Odissea: Telemaco/Stephen parte alla ricerca del padre; Ulisse/Bloom viaggia per tornare a casa; nella terza si ricongiungono per arrivare a Molly/ Penelope. Il sistema della corrispondenze omeriche, e non solo, venne precisato dall’autore in uno schema che fornì in due momenti diversi e con significative differenze interne, prima all’amico italiano Carlo Linati, poi all’amico francese Larbaud. Lo schema è un tabulato che stabilisce relazioni simboliche tra i personaggi e i capitoli del romanzo, identificando per ciascun episodio l’arco di ore in cui si sviluppa, durante il 16 giugno 1904, dal mattino a notte fonda. È difficile capire se questa tabulazione abbia preceduto, accompagnato o seguito la stesura del testo. Dopo un’infinita lotta per vedere la luce in forma di romanzo, Ulysses venne pubblicato a Parigi nel 1922 grazie all’interessamento e il finanziamento di un’ereditiera americana, Sylvia Beach. Joyce dedicò diciassette anni, gli ultimi della sua vita, alla scrittura di un’opera ancora più ambiziosa, Finnegans Wake, da lui concepito come un inesauribile e incontrollabile work in progress, il libro più difficile mai scritto in lingua inglese. F 0E 0 L’ambizione dell’autore era di costruire una mitologia in cui ogni dettaglio del comportamento umano, dal passato al presente al futuro, potesse venire ricondotto ai cicli della vita – nascita, matrimonio, morte e resurrezione. 1. I modernismi La grande stagione modernista comprende i decenni dagli anni venti alla fine dei trenta, lo sperimentalismo in letteratura non cessa tuttavia di esercitare un profondo influsso su molti degli autori attivi anche dopo la seconda guerra mondiale. In questa fase le innovazioni stilistiche e le preoccupazioni tematiche degli inizi del secolo continuano a influire su nuove generazioni di autori. In questa prospettiva, un esempio di grande importanza per originalità e innovazione è Under the Volcano di Malcolm Lowry. Quest’opera va considerata uno dei capolavori del romanzo inglese del ‘900, un romanzo insolito. Tranne il primo, ambientato il giorno dei morti, gli altri undici capitoli che lo compongono sono ambientati il 2 novembre 1938 nella cittadina messicana di Quauhnahuac. La narrazione si snoda, come in Ulysses, durante un solo giorno in cui il lettore segue gli spostamenti, i pensieri e i ricordi del protagonista. Il romanzo, la cui struttura è ricca di anacronie e slittamenti temporali, è incentrato sul tema duplice dell’autodistruzione e del tracollo della civiltà occidentale annunciata dall’imminente trionfo dell’esercito del generale Franco. Più avanti, verso la metà degli anni Sessanta, sulla scena letteraria britannica emerge la figura tormentata di B.S. Johnson altro esponente di spicco dello sperimentalismo narrativo e autore di romanzi popolati da personaggi cupi e dalle vite sofferenti, che in parte rispecchiano la sua personalità minata dalla depressione. L’apice del suo sperimentalismo è rappresentato da The unfortunates, un romanzo composto da 27 capitoli non rilegati, che rappresentano i frammenti della vita di un amico dello scrittore morto di tumore a soli 27 anni. 2. Realismi Se la traiettoria modernista non si arresta con la seconda guerra mondiale, altrettanto vivace e fecondo è lo sviluppo della fiction realista. Dopo l’esperienza traumatica del conflitto mondiale, molti fra i letterati britannici sentono il bisogno di ritrovare i punti di riferimento fondanti della cultura, della storia e del paesaggio tipici della realtà nazionale e insulare. Così, in questo periodo si diffonde un genere di narrativa che si propone di fornire un ritratto verosimile e attendibile dei mutamenti della realtà sociale ed economica. La vena realistica trova espressione nei romanzi del cd. “giovani arrabbiati” degli anni ’50. Le opere di questi autori sono generalmente ambientate nelle province, presentano descrizioni dettagliate del mondo delle classi lavoratrici e sono incentrate su vicende private intensamente vissute; soprattutto l’insoddisfazione dei giovani nei confronti della realtà fortemente conservatrice dell’epoca. La ribellione degli arrabbiati si concretizza in figure di protagonisti maschili che si scontrano con un sistema retto da un establishment geloso dei propri privilegi. La loro insoddisfazione scaturisce dall’impossibilità di conquistare un proprio spazio in una società che li relega ai medesimi ruoli tradizionalmente ricoperti dai loro padri. Tra le opere di impianto realista del secondo dopoguerra un posto a sé e un’attenzione particolare merita The Go-Between di L.P. Hartley, trasporto in versione cinematografica dal regista Joseph Losey. Hartley raggiunse il grande pubblico con questo romanzo, il cui incipit è diventato famoso “the past is a foreign country: they do things differently there”. Già da queste parole è evidente come l’opera, interrogandosi sulla distanza fra passato e presente, si sofferma sul problema della memoria e dell’accuratezza del ricordo. L’opera presenta una sofisticata struttura temporale. Nel presente del secondo dopoguerra, il protagonista ritorna con la memoria all’estate del 1900 in cui, alla vigilia del suo tredicesimo compleanno, è invitato a trascorrere le vacanze estive nella tenuta del Norfolk di un ricco compagno di scuola. Lì conosce la famiglia e i loro amici e rimane particolarmente affascinato dalla sorella, nonché dalla figura del fattore con cui lei ha un rapporto clandestino. I due amanti iniziano a servirsi di Leo come loro messaggero e il bambino, da innocente, inizia gradualmente a comprendere la natura del loro rapporto. Lo sviluppo narrativo si incupisce fino a culminare nella catastrofe finale, quando la scoperta in flagrante dei due amanti spingerà Ted al suicidio. Segnato da questa esperienza traumatica, da adulto Leo è alla ricerca della comprensione del passato e della capacità di perdonare chi gli ha causato una sofferenza. Recatosi a trovare in visita un’ormai anziana Marian, questa per l’ultima volta gli chiede di essere il suo messaggero e recapitare una lettera al nipote che si rifiuta di entrare in contatto con lei. Accettando di fungere un’ultima volta da “messaggero d’amore” (questa la tradizione italiana del titolo), Leo riuscirà a superare i propri dissidi e a trovare pace. Impostato sullo scarto temporale fra passato e presente, il romanzo torna alle origini del ‘900, cosicché simbolicamente il trauma di Leo rappresenta le sofferenze dell’umanità durante un secolo segnato da disastri e carneficine come mai prima. Il valore allegorico dell’esperienza del bambino è poi ulteriormente arricchito da elementi simbolici ricorrenti, come quello della temperatura esterna che continua a salire o quello della magia e dell’astrologia. Il realismo ha una funzione essenziale in molta narrativa femminile a partire da uno dei romanzi di maggior rilievo dei primi anni ’60, The golden notebook di Doris Lessing, opera in cui temi cruciali della riflessione femminista come il lavoro, la maternità, la politica, l’amore e il sesso sono trattati dal punto di vista della realtà sociale e storica in cui si muove la protagonista Anna Wulf e costantemente filtrati tramite l’interiorità e l’incessante stesura su vari “taccuini”. 3. Fantasy, distopie e magie Se tanto il romanzo modernista quanto quello realista del secondo dopoguerra sono spesso venati di componenti magiche o esoteriche, nello stesso periodo il romanzo di impianto prettamente fantastico e magico è una forma narrativa a sé stante di grande diffusione. Ne sono prova le opere del genere comunemente chiamato fantasy pubblicate nel dopoguerra, tra cui emergono quelle di J.R.R. Tolkien e C.S. Lewis, autori rispettivamente de Il signore degli anelli e delle Cronache di Narnia. Stretti da un legame di amicizia, dalla comune professione di docenti di letteratura inglese presso l’università di Oxford, nelle loro opere questi romanzieri si dedicano alla creazione di nuovi miti e cicli mitologici per un’epoca che sta perdendo la concezione epica dell’esistenza e della storia umana. Altrettanto popolare sin dai primi anni del dopoguerra è il romanzo distopico, forma narrativa che si snoda attorno a riflessioni sul futuro intessute di commenti di natura politica e visioni catastrofiche. Fra queste opere la più nota è senza dubbio 1984 di Orwell, uno dei più celebri ritratti del totalitarismo, della disumanizzazione indotta dai sistemi, del controllo esercitato dai media sugli individui e sulle società intere. Allo stesso modo è nota la favola politica La fattoria degli animali, versione allegorica delle vicende della rivoluzione russa dalle origini all’epoca del totalitarismo staliniano. Negli anni Settatna, rifacendosi a Orwell, Burgess pubblica 1985, altra visione distopica in cui si immagina un’Inghilterra del futuro dominata da una tirannide di matrice sindacalista. All’interno di questo raggruppamento si possono far rientrare i tanti romanzi che rielaborano le modalità narrative e le tematiche della ricchissima tradizione gotica della letteratura inglese. Già negli anni sessanta, Fowles utilizza ampiamente i moduli narrativi, i temi e le atmosfere del gotico in The Collector, The Magos e in A Maggot. A partire dagli anni Ottanta, Ackroyd inizia a pubblicare una nutrita serie di romanzi regolarmente ambientati a Londra che si addentrano negli aspetti più misteriosi della città. Tra le sue opere ricordiamo Hawksmoor, dedicato a una serie di omicidi avvenuti nel presente che misteriosamente corrispondono ad altrettanti crimini compiuti all’epoca della ricostruzione di Londra dopo il grande incendio del 1666. Il nome che nell’ultimo scorcio del ‘900 è stato forse più insistentemente collegato alla revisione del gotico, e poi le cui opere spesso si usa la definizione di “neo-gotico” è quello di Patrick McGrath. Fra i suoi romanzi che più marcatamente si rifanno agli stilemi del gotico ottocentesco vi è sicuramente The grotesque, la cui atmosfera cupa e macabra fa da sfondo al monologo interiore di un personaggio dal cervello malato. In questo come nei romanzi successivi McGrath rielabora coscientemente, ovvero con un gusto tutto post moderno per la citazione e la riscrittura, le convenzioni narrative e i temi del gotico tradizionale, trasformandoli e attualizzandoli. 4. Metafinzioni Dagli anni sessanta in avanti acquisisce sempre maggior visibilità una delle correnti fondamentali della narrativa del secondo ‘900, quella dello sperimentalismo metafinzionale. Con “meta finzione” si vuole definire un mood narrativo atto ad evocare un mondo fittizio ma che contemporaneamente procede ad analizzare i meccanismi narrativi che danno origine a questa illusione di realtà. Negli anni sessanta, un esempio rilevante di questo tipo di romanzo sperimentale è Alexandria Quartet di Durrell, pubblicato con un buon successo di critica e pubblico. I romanzi che compongono questo ambizioso e imponente complesso narrativo trattano di una serie di eventi situati ad Alessandria d’Egitto prima e durante la seconda guerra mondiale, visti da quattro prospettive distinte. È con il fortunato The french lieutenant’s woman di Fowles che il romanzo sperimentale di meta finzione diventa un fenomeno letterario di più ampia diffusione tra i lettori. Il romanzo è ambientato nel periodo vittoriano e si incentra su tre personaggi principali. La ricreazione dell’ambiente d’epoca e della cultura vittoriana è accurato e minuzioso, ma non per questo siamo in presenza di un romanzo storico nel senso tradizionale. Tra le modalità di scrittura che raccolgono il consenso degli autori contemporanei un posto di rilievo spetta al pastiche, mimesi talmente accurata di un modello narrativo tradizionale da far credere al lettore di trovarsi in presenza di un originale. Questo tipo di reinvenzione del passato nelle prove migliori è sostenuto da una forte tensione ironica, dal sorriso dell’autore e con la sua perdita progressiva del senso di prospettiva storica. Esempio di pastiche, traboccante di riscritture di poesia vittoriana, è Possessioni di Byatt. Il romanzo, quasi una summa dei tipici procedimenti della meta finzione, ha per protagonisti due critici letterari contemporanei che si mettono alla ricerca del legame insospettatato tra una poetessa e un poeta dell’ottocento, protagonisti delle sezioni narrative ambientate con minuziosa accuratezza nel passato. Un’ulteriore modalità, inscindibile da quella del pastiche, è quella della riscrittura di un’opera o di una trama del romanzo classico secondo un punto di vista contemporaneo. Esempio recente la riscrittura di Robinson Crusoe ad opera di Coetzee. In questo ambito, in particolare, un ruolo importante è riservato all’intertestualità e alla citazione. Infine, un posto di rilievo nella produzione recente è occupato dalla meta finzione storiografica, di cui possiamo citare Waterland di Swift, romanzo che mette al centro dell’attenzione la storia ma con il risultato di continui spostamenti di prospettiva cronologica che crea un senso di disorientamento e vertigine, perché ogni storia ne contiene un’altra più estesa o più ridotta. È necessario ricordare che la meta finzione storiografica non è l’unica forma di romanzo storico coltivata dagli autori contemporanei. altrettanto ricco, infatti, è il filone del romanzo storico tradizionali in cui gli autori ricreano il passato in modo verosimile e credibile senza evidenziare le complessità insite nel proprio lavoro di costruzione narrativa e funzionale. Una delle principali rappresentanti di questo genere è Rose Tremain con i suoi Restoration e Music and Silence. La poesia britannica dopo il 1945 1. La reazione alla guerra La reazione del “postmodernismo” alla seconda guerra mondiale è stata meno eclatante, almeno dal punto di vista letterario, di quella dei primi modernisti alla “terra desolata” lasciata dalla grande guerra. Il modernismo aveva comunque bruciato i ponti con i suoi predecessori, soprattutto riguardo a forma e stile e il cd. postmoderno, malgrado le messe in gioco e discussioni di tali fenomeni da parte degli “antimodernisti” conserva sostanzialmente quella frattura. In ogni caso il mondo, dal 1945 in poi, è di fatto un altro mondo. Gli avvenimenti storici principali e le correlate reazioni dei poeti: il declino della religione organizzata, lo smantellamento dell’impero nei vari Il teatro di Samuel Beckett 1. Dalla narrativa al teatro Alla fine degli anni ’40, lo scrittore irlandese Samuel Beckett si trovò a un bivio creativo ed esistenziale. Era alle prese con la sua opera narrativa più importante e impegnativa, la cd. “Trilogia”, ma nel contempo sentiva l’esigenza di trovare spazi espressivi nuovi e diversi. La Trilogia fu intrapresa dopo la fine della seconda guerra mondiale, evento che aveva visto Beckett partecipe attivo per conto della Resistenza francese, tanto che ricercato dai tedeschi, era stato costretto a rifugiarsi in clandestinità per tre anni. Molloy, il primo romanzo della trilogia, ha ancora una parvenza di trama, di tipo pseudo-poliziesco, nonché di una seppur sdoppiata soggettività e di un discorso più o meno coerente, nel secondo romanzo Malone Dies, le cose si complicano e si offuscano: qui il derelitto Malone giace in un letto, in un’altra stanza claustrofiliaca, aspettando di finire e nel frattempo scrive storie su personaggi forse inventati e comunque instabili. Nell’ultimo romanzo, The Unnamable, non rimane neanche una simile consolazione pronominale. L’eponimo protagonista è letteralmente ridotto ai minimi termini corporei ed espressivi: è senza arti, senza naso, senza sesso e senza nome. Seduto, forse in una giara, in un corridoio immerso nella penombra, racconta le sue storie, che hanno probabilmente lo stesso protagonista sotto nomi diversi. F 0 E 0 Prigioniero dell’obbligo “etico” di andare avanti con la storia anche quando non c’è nulla da raccontare, l’innominabile è emblema della strategica povertà di mezzi espressivi di cui Beckett si dota, a mo di suprema auto-sfida artistica. Il punto di approdo della narrativa beckettiana è anche un punto di non ritorno. È piuttosto evidente che oltre, sulla strada del minimalismo o del riduzionismo, Becketto non poteva andare. Il miracolo di Waiting for Godot è che, pur senza alcuna esperienza teatrale diretta, Beckett si trovò immediatamente a suo agio nel gestire i linguaggi drammaturgici e a sfruttare le tre dimensioni dello spazio scenico; anzi, trovava la scrittura scenica “un meraviglioso, liberatorio diversivo”. Oltre allo straordinario dialogo, sempre e comunque auto-decostruente, Beckett riesce a creare in Godot anche una serie di memorabili immagini cariche di un forte impatto iconico e di una notevole pregnanza simbolica, a partire dall’immagine base delle due figure maschili su una strada che porta verso l’infinito, nella cornice di un paesaggio spoglio interrotto da un solo albero privo di foglie. Sarà proprio questa potenza iconica e immaginifica a caratterizzare il teatro successivo di Beckett, un teatro sempre più centrato sull’icona soprattutto del corpo dell’attore-personaggio, un corpo sofferente prigioniero di una scena cupa e ostile. 2. Un teatro metafisico mancato La produzione drammatica di Beckett copre un arco di 35 anni, periodo nel quale lo scrittore compone 32 opere drammatiche, oltre a un film intitolato “Film”. Il teatro di Beckett ripropone un percorso analogo a quello già tracciato dalla sua narrativa, che aveva subito una graduale metamorfosi, dall’esuberanza affabulatoria e stilistica di Murphy alle sottrazioni e reticenze della Trilogia. Le opere teatrali di Beckett diventano progressivamente più brevi e più spoglie sia verbalmente che iconograficamente, offrendo alla fine lo spettacolo di un unico personaggio, privo di buona parte del corpo, il cui discorso si disarcola e si disintegra. Il teatro di Beckett riparte da zero, specie per quanto riguarda la poetica del rapporto scena-parola. Destabilizza radicalmente le coordinate spaziotemporali del dramma. Lo stesso senso di identità personale dei due personaggi risulta assai labile, così come è incerta e instabile l’identità di Pozzo e Lucky, per non parlare dell’assente e inafferrabile Godot. Quanto all’azione drammatica, è celebre la battuta del critico Vivian Mercier “Beckett ha scritto una piece in cui nulla succede, due volte”. In realtà, che nulla succede è esagerato, ma è vero che l’azione centrale di aspettare un evento che non avverrà, non rientra certo nei canoni tradizionali. Che l’inazione si ripeta due volte è pure un’esagerazione, dal momento che cambiamenti significativi avvengono fra il secondo e il terzo atto: la cecità di Pozzo, la comparsa di foglie sull’albero (se è lo stesso albero) ecc… Il nucleo tematico di Godot, oltre l’attesa, è la possibilità di redenzione. Vladimir racconta la storia dei Vangeli sui due ladroni, uno dei quali fu salvato da Cristo. La storia implica che essi abbiano il 50% di possibilità di essere salvati (da Godot?), oppure che uno di loro possa salvarsi. Ma Vladimir smonta l’ipotesi dicendo che uno solo dei Vangeli riferisce l’episodio e, quindi, hanno solo il 12,5% di possibilità. F 0 E 0 Questo passaggio sottolinea un aspetto essenziale delle opere di Beckett: vale a dire, non si tratta di un teatro serenamente laico, bensì di un teatro che pone costantemente la questione di un possibile senso ultimo e trascendente delle cose, anche se per poi rispondere negativamente. È, per così dire, un teatro metafisico mancato. Krapp è la più efficace raffigurazione beckettiana dell’illusorietà dell’autoconoscenza, se non della conoscenza tout-court. L’io si frantuma sotto gli impietosi colpi del tempo e non vi è nessuna possibilità di ricomporre i frammenti della soggettività, tanto meno nella conoscenza del soggetto stesso. Krapp è anche l’opera che inaugura la nuova e forse definitiva fase della drammaturgia beckettiana. Da qui in poi il drammaturgo produrrà pièces sempre più brevi e minimali, sia scenicamente che discorsivamente. L’immagine centrale delal figura seduta di un vecchio, illuminata da sopra ma per il resto circondata dal buio, stabilisce i parametri per la scena beckettiana tipo, una scena sempre più crepuscolare e sempre meno mimetica o illusionistica. 3. Teste morte e pene infernali: i dramaticules Per dare espressione alla sua nuova drammaturgia minimalista, Beckett inventa un sottogenere drammatico: il cd. “dramaticule” (drammucolo), pièce che non supera i venti minuti di performance eche impiega la massima economia di mezzi scenici. Questo genere ha inizio “ufficiale” con Come and go, altra opera crepuscolare in cui tre donne dai nomi abbreviati sono coinvolte in un malinconico gioco triangolare in cui a turno una delle donne rivela a un’altra l’imminente morte della terza; ma viene il sospetto che siano già tutte e tre nell’aldilà, come in un breve dramma precedente, Play, che presenta un altro triangolo composto da un trio di “teste morti”: tre defunti, due ex coniugi e l’amante di lui. Play tende piuttosto esplicito un aspetto determinante della poetica beckettiana, cioè a dire il suo debito nei confronti della Commedia dantesca (tanto che il titolo francese di Play è “Comedie”). Il punto di arrivo dei vari processi drammaturgici esaminati fin qui – l’abbreviazione temporale, la frammentazione discorsiva, la reticenza retorica, la riduzione – è rappresentato dal brevissimo capolavoro del 1972, Not I. La durata della piece oscilla fra i dodici minuti della prima messa in scena ai venti minuti di allestimenti meno frenetici. L’esperienza dello spettatore è, a dir poco disorientante: all’inizio della performance egli si trova di fronte a una scena buia dalla quale emana un fiume rapido ma disarticolato di parole da una fonte inizialmente scarsamente discernibile; pian piano riesce a distinguere nella penombra tale fonte, una bocca “disincarnata” e apparentemente sospesa in aria a un’altezza di due metri e mezzo. La protagonista di Noi I, Mouth è bocca di nome e di fatto, un corpo ancora più ridotto. Not I mette in scena lo psicodramma esistenziale e enunciazionale della protagonista, costretta a narrare, in modo frammentario ed ellittico, la propria vita ma nel tentativo disperato di dissociarsi dal proprio recit attraverso il ripudio del primo pronome personale. Tale tentativo si rivela assai difficoltoso, tanto che Mouth subisce ripetute crisi nelle quali incombe la prima persona, rabbiosamente respinta: “what? Who? No! She!! Not I è probabilmente il primo dramma nella storia a basarsi su un agone pronominale. Ciononostante è l’opera più intensa di Beckett, ed è senz’altro una sfida senza pari per l’attrice. Mouth-bocca richiama il personaggio dantesco Bocca dell’Abate. 4. Beckett fra etica e politica Un’altra sorprendente novità dell’ultimo teatro di Beckett è la sua esplicita apertura verso la politica. Per tutta la sua carriera letteraria Beckett si era astenuto dal commentare direttamente questioni politico- ideologiche, anche se le sue opere, a cominciare da Godot, erano soggette a interpretazioni politiche. Nel 1982 Beckett rispose all’appello rivoltogli dai difensori dei diritti umani di contribuire a una serata in favore del drammaturgo ceco dissidente Vaclav Havel, allora incarcerato. La risposta di Beckett fu il dramaticule intitolato Catastrophe dove la riduzione della soggettività del protagonista è compiuta in diretta in scena, a opera del regista che ambisce a realizzare uno spettacolo in cui l’attore-dramatis persona non solo non abbia il diritto di parola, ma sia anche sottoposto al divieto di intercettare lo sguardo dello spettatore. Nella parabola drammatica i soprusi ai danni del protagonista alludono agli abusi di poter del regime autoritario. Tutto funziona secondo copione fino all’ultimo momento, quando improvvisamente l’attore- protagonista compie una micro-ribellione dalle notevoli implicazioni politiche: alzando la testa, contrariamente al diktat del Director-Dictator, P osa guardare il pubblico negli occhi, mettendo fine così al finto applauso della platea, pre-registrato. Sul piano della storia la parabola politica di Beckett si avvererà quasi alla lettera: di lì a poco, il drammaturgo incarcerato Havel non solo verrà rilasciato, ma sarà una figura chiave nella caduta del regime cecoslovacco, diventando poi il primo presidente della nuova Repubblica ceca. È piuttosto evidente che certe etichette critiche disinvoltamente applicate a Beckett si rivelano discutibili, se non dannose. Prima fra queste è senz’altro l’assegnazione, da parte del critico Esslin di Becket al “teatro dell’assurdo”, insieme a drammaturghi contemporanei come Ionesco e Genet. F 0 E 0 Ma Beckett non celebra l’anarchia di un modo privo di senso. Il suo teatro, al contrario, è teso verso la ricerca di un significato che si rivela tragicamente inafferrabile. Ancora più fuorviante è la marchiatura di Beckett quale nichilista: anche se è senz’altro vero che la poetica di Beckett adotta la “via negativa” nel suo procedere per sottrazione e per negazione, la dimensione etica della scrittura di Beckett lo allontana dal nichilismo inteso come negazione di qualsiasi valore non solo metafisico ma anche morale. Forse più adatta a Beckett è la descrizione adottata da Anthony Holden “the last modernist”. Beckett è l’”ultimo” modernista, non solo per la sua epica lotta, lungo buona parte della sua carriera, per misurarsi con i grandi autori modernisti quali Proust e Joyce, ma anche perché porta il modernismo letterario e drammaturgico al limite estremo delle sue possibilità. Il teatro contemporaneo 1. Il mito delle origini Fino agli inizi degli anni ’50 del secolo scorso, il teatro inglese sembra perseguire in modo autoreferenziale, riproponendo all’infinito il modello della well-made plau e della sitting-room comedy. Due furono gli avvenimenti, culturali, sociali, storici e politici che contribuirono a creare il clima giusto affinché nuovi autori e nuovi drammi trovassero la strada delle scene inglesi con successo: lo sgretolamento dell’impero coloniale, che troverà il suo apice con la crisi di Suez (1956), e la visita a Londra del Berliner Ensemble, la compagnia teatrale di Bertolt Brecht, nel 1956. È indubbio che sia Look back in anger sia Waiting for Godot rappresentino una specie di spartiacque fra il “prima” e il “dopo”. 2. I teatri e le compagnie