Scarica manuale di psicologia generale, anolli e legrenzi e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! MANUALE DI PEDAGOGIA GENERALE : PAOLO LEGRENZI QUINTA EDIZIONE, IL MULINO CAPITOLO 1. ORIGINI E SVILUPPI DELLA PSICOLOGIA SCIENTIFICA Il nostro antenate ominide toumai viveva nel deserto del Ciad e in lui avvenne la separazione del DNA per sottrazione dagli scimpanzé, divenendo così sempre più l’uomo che conosciamo oggi giorno nonostante ciò con gli scimpanzé cui ad oggi condividiamo comunque il 96% del genoma. Venne eliminato il gene che implicava la presenza delle spine cheratinose del pene in modo da poter avere rapporti più lunghi e creare un rapporto più stabile tra i partner per poter così portare avanti la specie; scompare inoltre anche il gene inibitore del tumore cerebrale che permise di poter avere più massa cerebrale a disposizione dell’uomo. Lo sviluppo dell’uomo non risulta essere lineare ma anzi, irregolare infatti nella storia ci sono dei buchi evolutivi e dei salti in avanti e proprio per questo si parla di “modello degli equilibri punteggiati” quando si parla dell’evoluzione umana. Non vi è ne vi potrà mai essere una data degli arbori della psicologia. 100.000 anni fa nacque la specie umana simbolica ovvero quella in grado di maneggiare simboli e di ciò ne sono un esempio l’impiego di pigmenti di colore e la realizzazione di collane di conchiglie. In questo stesso periodo si data la nascita del linguaggio che, associato alle capacità simboliche e al linguaggio non verbale, fa si che l’uomo possa essere definito come una “specie psicologica” ovvero in grado di riflettere sugli eventi in termini mentali. Gli elementi che diedero impulso all’inizio del periodo del neolitico furono: l’agricoltura, la nascita della nozione di territorio, la predisposizione di un cassetto degli attrezzi mentali e la nascita della cultura. Per gli empiristi la conoscenza deriva dall’esperienza per il tramite delle emozioni (esperienza = totalità delle singole esperienze) formata da conoscenze esplicite ed implicite acquisite tramite l’esperienza personale o tramite l’imitazione dei comportamenti altrui. Le conoscenze sono pragmatiche ovvero consentono di prendere decisioni e di agire in modo efficace in una data situazione ma sono anche teorie ingenue in quanto fondate su conoscenze poco attendibili e si ha così una possibilità elevata di commettere errori. Se vengono introdotti processi di verifica otteniamo risultati più sicuri e questo è il caso della psicologia scientifica che si fonda sul metodo sperimentale e tale psicologia pone le sue fondamenta sulla psicologia ingenua. Occorre attendere il 700 per parlare di psicologia nel senso inteso al giorno d’oggi quando Wolff fece una distinzione tra la filosofia razionale basata su riflessioni teoriche e messa poi in discussione da Kant e la filosofia empirica che si fonda sulle osservazioni concrete ed è la radice da cui è sorta la psicologia scientifica contemporanea. Tra i contributi filosofici da ricordare abbiamo: • Aristotele con il De Anima dove procede a una descrizione dei processi cognitivi di percezione e memoria • Ippocrate che riconosce 4 tipi di personalità uno per ognuno dei 4 umori, distinzione del temperamento in base ai 4 elementi primari esistenti sulla terra: il Fuoco, l’Aria, la Terra e l’Acqua, a questi 4 elementi Ippocrate fece corrispondere 4 tipi di fluidi corporei che hanno una fondamentale incidenza sulla formazione delle caratteristiche principali e dominanti dell’individuo, che sono la bile, il sangue, la bile nera, la linfa.Ad ogni elemento una particolarità dell’essere umano: – Al FUOCO corrisponde la bile prodotta dal fegato quindi il carattere collerico – All’ARIA il sangue che proviene dal cuore quindi il carattere sanguigno 1 – Alla TERRA la bile nera elaborata dalla milza quindi il carattere melanconico – All’ACQUA la linfa che proviene dal cervello quindi il carattere flemmatico • Tommaso d’Aquino con la sua riflessione sull’anima • Cartesio che propone il dualismo tra res cogitans e res extensa e vede il corpo come una macchina e la mente come sede delle idee innate. Le sue teorie sono espresse sotto il nome di Razionalismo e si contrappongono all’empirismo di Locke. Tra i principali teorici in ambito psicologico abbiamo: Whytt è il primo a parlare di arco riflesso per indicare una connessione tra la sensazione ed il movimento. Gall e Spurzheim con la loro frenologia definiscono come le funzioni mentali dipendano da aree del cervello ben delimitate e l’efficienza delle funzioni traeva origine dallo sviluppo dell’area cerebrale di riferimento e dunque la ripetizione della funzione aumentava il volume cerebrale corrispondente. Kant oltre a rifiutare la psicologia razionale aveva negato la possibilità di una psicologia empirica poiché la matematica non risultava essere applicabile al senso interno. Venne successivamente individuato un parametro atto all’analisi del tempo interno ovvero il tempo stesso: il primo a occuparsene fu Helmhotz che notò come stirando il nervo a distanze diverse poteva calcolare il tempo che intercorreva tra la stimolazione e la contrazione dello stesso. Successivamente Exner introduce il concetto di “tempo di reazione” ovvero il tempo di stimolazione tra due diverse parti della cute del corpo. Fechner nota come vi sia connessione tra gli stimoli e le risposte ovvero come a un dato stimolo coincideva una risposta psicofisica. Infine Donders elaborò il “metodo della sottrazione” e individuò così 3 tempi: 1. tempo semplice dove a uno stimolo deve seguire una risposta 2. tempo composto dove uno stimolo è composto da 2 o più input e bisogna fornire una risposta in base alla funzione dello stimolo somministrato 3. tempo composto dove uno stimolo è composto da più input e si deve rispondere a uno solo di questi la velocità va crescendo da 1 fino a 3, 1 e 3 sono tempi di discriminazione tra gli stimoli e 3-2 è il tempo dii discriminazione tra le risposte. Nasce in questo modo la cronologia mentale. Wundt è il principale esponente dello strutturalismo (scuola di Lipsia), corrente che da importanza all’introspezione e all’esperienza immediata infatti la scienza non ha bisogno di mediare perché il soggetto è lo strumento di se’ stesso e i protocolli che vengono forniti dall’esperienza sono sempre accettabili. L’introspezione viene definita come la capacità di accertare che cosa avviene nel momento in cui si verifica un determinato evento. Tale teoria presenta però due limiti fondamentali: 1. come avviene lo spostamento dell’attenzione da un evento all’analisi introspettica? 2. la mente altrui risulta essere insondabile e dunque oscura. Si tentò di arginare tali limiti tramite il metodo sperimentale dove ciò che conta non è il contenuto dell’introspezione ma la variazione tra un atto di introspezione e un altro comparabile e si passò alla distinzione tra: • percezione: di sensazioni immediate • appercezione : per l’organizzazione di sensazioni in processi mentali • volontà di reazione: come volontà per riprodurre azioni 2 Un altro filone fondamentale è quello riguardante l’Intelligenza Artificiale (IA) che tende a considerare i processi computazionali della mente come simili a quelli effettuati con i computer infatti anche alla mente occorre predisporre un’elaborazione digitale delle informazioni poiché i processi del computer elaborano solo in modo binario con valore dicotomico 0, 1. Tutto ciò servirebbe a far fare alle macchine tutto ciò che richiederebbe intelligenza se fatte dagli uomini, il prototipo di tale macchina è quella di Turing che compie operazioni aritmetiche e rappresenta l’embrione dei computer odierni. Dunque tramite essi si potrebbe simulare l’intelligenza umana. Della IA esistono una versione radicale più forte che fa coincidere l’intelligenza umana con quella digitale e una versione meno forte che sostiene che il computer simula solo alcuni processi cognitivi. Da qui nacquero numerose critiche verso tale corrente. Fodor è una figura molto importante, egli vede la mente come governata dal linguaggio della mente che è la combinazione di concetti innati in grado di esprimere verità necessarie. La mente è concepita secondo una visione modulare (il modularismo) secondo cui essa è organizzata in moduli o cassetti e ognuno di essi ha una struttura specializzata che lo rende un sistema esperto in un ambito specifico. I moduli risulterebbero essere il risultato della selezione naturale per affrontare i problemi e sarebbero universali costituendo nella loro totalità una mappa attendibile del mondo. A metà degli anni ‘80 si sviluppò la corrente del connessionismo che pone in relazione l’architettura biologica del cervello con l’architettura funzionale dell’attività cognitiva. Le reti neuronali riproducono le proprietà ed i processi di funzionamento del sistema nervoso e l’elaborazione delle informazioni avviene all’interno di ogni rete. Le reti sono in grado di influenzarsi tra di loro mediante connessioni eccitatorie o inibitorie e la conoscenza è distribuita su tutta la rete. Ogni rete presenta un architettura a 3 strati: - unità input – unità nascoste – unità output Un ennesima teoria presente anche ai giorni nostri e riferibile alle scienze psicologiche vede il funzionamento della mente umana come soggetto a vincoli biologici ed ecologici, non può essere isolata e procedere automaticamente. Tale teoria è vittima dell’errore dell’essenzialismo che considera gli stati mentali come entità fisse corrispondenti a fenomeni isolati. La mente è situata immersa in un contesto immediato inteso come l’insieme delle informazioni disponibili nella situazione attuale e si fonda sull’esperienza intesa come motore di ogni attività mentale ed è profondamente radicata nel corpo. CAPITOLO 2. METODI DELLA RICERCA IN PSICOLOGIA 2.1 percorso standard della ricerca in psicologia • predisposizione di un disegno di ricerca quale architettura della ricerca stessa • all’inizio di una ricerca deve esserci la meraviglia così da poter sviluppare un pensiero creativo e produttivo che spinga il ricercatore a trovare nuovi modelli di spiegazione • l’interesse di avvio implica una domanda di ricerca di cui è necessario delimitare i confini facendo sì che non siano troppo estesi, che la rendano complessa e deve essere dotata di originalità • ogni ricerca per quanto originale deve fondarsi su basi già verificate ovvero alle letterature di riferimento • la domanda deve tradursi in ipotesi di ricerca (se… allora..) e tale ipotesi deve essere verificata tramite operazioni ovvero atti documentabili e osservabili da più ricercatori 5 indipendenti ovvero avere dei Criteri di Protocollabilità quali criteri specifici ai quali ogni scienza decide in via immediata sull’accettabilità o meno dei dati acquisiti. • Bisogna procedere a una verifica sperimentale, non è possibile dimostrare l’ipotesi in modo diretto poiché in ogni operazione di misura commettiamo errori, si usa la via indiretta ovvero tramite l’ipotesi nulla che stabilisce che la totalità dei risultati ci porta a negare che l’ipotesi nulla è la regione critica. • Occorre verificare l’accettabilità delle ipotesi con il metodo scientifico che prevede la partecipazione di soggetti che rispondano a variabili scelte dal ricercatore (età, condizione sociale ecc…) il gruppo Target costituisce la fonte di informazioni e in numerosi esperimenti è previsto il gruppo di controllo per verificare la differenza relazionale tra il gruppo guidato e il gruppo di controllo • i soggetti possono essere chiamati a svolgere consegne in un luogo controllato come il laboratorio o in un ambiente esterno. Il primo è molto attendibile ma con basso livello ecologico mentre il secondo ha un alto livello ecologico ma prevede il rischio di risultati poco attendibili • si possono usare situazioni sperimentali quali la Strange Situation per analizzare l’attaccamento infantile alla madre e il paradigma della still face per analizzare le capacità emotive del neonato tra i 3 e i 6 mesi. • Il ricercatore si serve del controllo di manipolazione che consente di verificare la congruenza tra gli obiettivi di ricerca, la consegna e il comportamento dei soggetti • i dati ottenuti sono sottoposti ad elaborazione statistica che può essere descrittiva quando vengono ordinate le informazioni numeriche e inferenziale quando si tenta di fare previsioni future sull’evento analizzato • segue poi la pubblicazione ma prima la ricerca viene sottoposta ad un esame da esperti così che essa abbia maggiore validità 2.2 ricerca in pratica nella psicologia L’uomo ricerca sempre una spiegazione più o meno plausibile degli eventi che accadono, non si basa solo sull’evidenza delle cose, è un illusione del potere esplicativo che conduce al principio di casualità in grado di rispondere al perché si verificano certe connessioni fra due o più fenomeni. La casualità fisica è rappresentata dal moto mentre quella psicologica dall’intenzione (caratterizza gli animali). L’uomo è un sistema teleonomico ovvero incline a ragionare sui fenomeni in termini di scopi e funzioni e tale sistema è prettamente dominante nei bambini. Una via maestra per fornire una spiegazione ammissibile degli accadimenti è la sperimentazione che implica il metodo sperimentale. Si definisce vero esperimento quando il ricercatore è in grado di controllare sia l’assegnazione casuale dei soggetti alle condizioni sperimentali sia alla manipolazione delle variabili grazie a un gruppo di controllo, quando uno di tali requisiti non viene soddisfatto di parla di quasi-esperimento. Gli eventi assumono un certo valore e dunque come tali sono delle variabili che variano in qualità e quantità e possono essere dipendenti o indipendenti. Le indipendenti vendono manipolate dal ricercatore mentre quelle dipendenti dipendono dalle prime e il ricercatore può produrre delle variabili indipendenti o selezionare tra le variabili indipendenti quelle più adatte alla ricerca. Le variabili possono essere estranee: sistematiche quando esercitano un’influenza costante sulla variabile dipendente (come nel caso del tempo) e asistemiche quando sono interferenze casuali e imprevedibili. In tutti i casi le variabili sono standardizzate e il ricercatore fornisce una definizione operativa a ognuna di esse. 6 Occorre determinare le variabili con processi di misurazione; misurare significa mettere in relazione proprietà degli eventi con proprietà numeriche. Esistono diversi livelli di misurazione: • livello nominale: proprietà della cardinalità dove ogni numero è differente dagli altri, non si eseguono calcoli aritmetici ma si notano solo le differenze tra eventi • livello ordinale: i numeri reali sono messi in progressione e fra essi esiste una relazione asimmetrica di ordine crescente o decrescente. In modo corrispondente alcuni eventi possono avere un’intensità maggiore o minore • livello ad intervalli: le differenze fra numeri possono essere evidenziate da intervalli, lo 0 è arbitrario e finalmente è possibile misurare la reale differenza tra due eventi • livello di rapporto: mi consente di affermare che 20 è il doppio di 10, nei numeri reali lo 0 non è arbitrario ma reale, il valore zero è stato inventato dagli arabi per consentire l’elaborazione di una scala governata da rapporti metrici uguali tra loro poiché ha origine fissa Individuate le variabili il ricercatore deve confrontarle per verificare se vi sono legami significativi tra loro (disegno di ricerca). Negli esperimenti sono predisposte differenti condizioni sperimentali chiamati trattamenti e possiamo avere: l’esperimento tra i soggetti dove ad ogni trattamento corrisponde un gruppo e l’esperimento entro i soggetti in cui lo stesso soggetto è sottoposto a diversi trattamenti. Nel disegno entro i soggetti il comportamento di un singolo soggetto in una situazione viene confrontato con il comportamento dello stesso soggetto in un’altra situazione. Questa condizione è più economica perché richiede un solo gruppo con un numero ristretto di soggetti ma può essere minacciato dagli effetti dell’ordine e della sequenza. L’effetto dell’ordine riguarda la posizione delle condizioni nell’esperimento infatti qualsiasi condizione sia applicata per prima rischia di produrre una prestazione diversa rispetto alle condizioni successive poiché i soggetti sono molto più attenti o non hanno ancora sufficiente pratica del compito. L’effetto della sequenza dipende dalle interazioni tra le condizioni, è noto come effetto ancora o effetto contrasto e prevede che la sensazione dello stimolo antecedente influenzi quello successivo. Per evitare ciò occorre procedere a una distribuzione casuale o controbilanciata degli stimoli. Nel disegno tra i soggetti, utilizzabile quando non è possibile evitare effetto dell’ordine e della sequenza, si fa corrispondere una condizione ad ogni gruppo e i soggetti vengono assegnati alle condizioni in modo casuale. Si formano così un gruppo sperimentale e uno di controllo, al primo si applica l’esperimento vero e proprio mentre al secondo un trattamento finto in modo da poter controllare le differenze di reazione (es. campo farmacologico). Si definisce effetto placebo quando i partecipanti a un esperimento modificano le loro risposte in assenza di una qualunque manipolazione sperimentale indotti dalla convinzione che, prendendo una compressa, la loro condizione di salute migliori (es. psicofarmaci). Per tenere sotto controllo tale effetto si usa il metodo del doppio cieco ovvero ne’ i soggetti ne’ chi somministra conosce realmente il tipo di sostanza, solo il ricercatore è tenuto a conoscerla. Parliamo ora dell’importanza dei disegni fattoriali con cui il ricercatore valuta nello stesso esperimento l’effetto di due o più variabili indipendenti sulla variabile dipendente per individuare gli elementi comuni e i diversi fattori che emergono. I disegni fattoriali danno risultati più robusti e forniscono quindi un elaborazione di previsioni più articolate ma presentano alcuni limiti: quanto più aumenta il numero di fattori tanto più aumenta il tempo necessario alla realizzazione dell’esperimento. 7 CAPITOLO 3. SENSAZIONE E PERCEZIONE 3.1 La sensazione L’ambiente in cui viviamo produce stimoli che giungono ai nostri organi di senso, la sensazione è quindi definibile come: l’impressione soggettiva e immediata che corrisponde a una data intensità dello stimolo fisico. Le sensazioni sono soggettive ma comunicabili poiché simili tra loro e quindi difficilmente comprensibili dagli altri. Si parla di relazioni psicofisiche quando a date configurazioni di stimoli fisici corrispondono determinate sensazioni sul piano psicologico. Siamo capaci di rispondere a stimoli grazie a particolari apparati recettivi che lo rilevano presentando però 2 limiti fondamentali: 1. necessitano di una certa intensità e 2. cogliamo in realtà solo pochi stimoli. La soglia assoluta segna il confine tra gli stimoli che vengono percepiti dall’organismo e quelli che pur essendo presenti non vengono percepiti ed è quindi definibile come il valore di uno stimolo che nel 50% dei casi ha la possibilità di suscitare la sensazione corrispondente. La soglia iniziale è il valore più basso rilevabile mentre la soglia terminale è il valore massimo rilevabile. La soglia differenziale segna la variazione di intensità tra due stimoli e tale variazione deve essere piuttosto intensa affinché venga avvertita. Per la misurazione della soglia assoluta esistono 3 differenti metodi psicofisici ovvero che mettono in relazione la sensazione e lo stimolo: 1. METODO DEI LIMITI: al soggetto sono ripetute diverse serie di stimoli, alcune con ordine di stimoli ascendente e alcune discendente, il valore di soglia assoluta corrisponde allo stimolo avvertito nel 50% dei casi. Può capitare un errore della direzione della serie dove i valori soglia tendono a essere diversi nelle due serie. 2. METODO DELL’AGGIUSTAMENTO: il soggetto stesso regola con una manopola lo stimolo fino a quando questo diventa percepibile 3. METODO DEGLI STIMOLI COSTANTI: viene presentato al soggetto in ordine casuale e per diverse volte, un certo numero di stimoli con varia intensità. Lo stimolo che ottiene il 50% delle risposte corrisponde al valore soglia. La misurazione della soglia differenziale usa metodi analoghi, si presenta una coppia di stimoli, uno stimolo standard che è invariabile e fisso e uno stimolo di confronto che invece varia e il soggetto deve riferire se nota differenze tra i due stimoli. Possono avvenire 2 tipi di distorsioni: l’errore del campione dove lo stimolo standard viene sopravvalutato e l’errore di posizione dove i due stimoli sono posti nello spazio a vicinanza minima e possono così coincidere e sovrapporsi. 3.2 La psicofisica Weber ha creato una formula per poter misurare la sensibilità tattile ovvero k= ∆*R/R ovvero il rapporto tra la soglia differenziale e l’intensità dello stimolo iniziale danno la costate k che appunto è definita come costante di Weber. Successivamente Fechner ha elaborato una formula per comprendere come la sensazione potesse variare al variare continuo dell’intensità dello stimolo: S = c log*R+C dove S corrisponde alla sensazione, c alla costante di Weber, R allo stimolo iniziale e C alla costante di integrazione. 10 Stevens è l’esponente della psicofisica soggettiva, creata in quanto la psicofisica classica non giunge direttamente all’esperienza individuale . L’individuo stesso può valutare l’intensità di una sensazione associandola semplicemente ad un numero facendo così una stima di grandezza: Ѱ = k*In in cui il giudizio sensoriale è uguale alla sensibilità tattile moltiplicato per l’intensità dello stimolo elevata a n volte. In questo compito di rilevazione si possono avere diverse risposte: • falso positivo (fa) ad es. sentire rumore ma solo un rumore di sottofondo • vero positivo (H) ad es. sentire un rumore vero • falso negativo (O) ad es. non sentire rumore anche se è presente • vero negativo (Rc) quando non si sente rumore e rumore non c’è secondo la teoria della detenzione del segnale si hanno persone propensi o al rischio o alla prudenza. Chi è propenso al rischio dirà più H e Rc ma farà errori in Fa mentre chi è prudente dirà più Rc ma aumenterà errori in O. 3.2 La percezione Molti ritengono che la percezione sia una copia dell’ambiente ma è un concetto di realismo ingenuo ovvero il mondo si presenta a noi così come è. Già Kant pose in evidenza come non era possibile un noumeno (vera realtà). In molte occasioni infatti accade di percepire qualcosa che non è come esiste nella realtà e ne sono un chiaro esempio: l’effetto kanizsa dove figure anormali vengono generate da margini quasi- percettivi oppure quando vediamo più cose in una cosa sola, o ancora quando vediamo ciò che in realtà non esiste (figure paradossali) e infine illusioni ottico – geometriche. Le sensazioni sono pressoché infinite e puntiformi, indipendenti tra loro e non bastano a spiegare le percezioni ma servono delle mediazioni psichiche note come catena psicofisica. Gli oggetti producono una molteplicità di radiazioni di varia intensità e frequenza e ciò produce lo stimolo prossimale che se abbastanza intenso produce eccitamenti nervosi che trasmettono il messaggio a specifiche regioni cerebrali. La percezione è dunque l’impressione diretta e immediata della presenza di determinate forme della realtà ambientale e quindi organizzazione diretta e immediata delle informazioni sensoriali. La complessità della percezione prevede due flussi di processi: • dal basso verso l’altro: flusso immediato dove vengono attivate specifiche aree cerebrali, le informazioni sensoriali sono quindi necessarie perché senza essesi avrebbero allucinazioni ma non sono sufficienti poiché caotiche e possono essere eccessive poiché servono più atti percettivi. • dall’alto verso il basso: è una strategia cognitiva i cui segnali partono da specifiche aree cerebrali e influenzano i recettori sensoriali. Sono fondamentali le conoscenze già contenute in memoria poiché grazie a un attività di riconoscimento e confronto degli stimoli si arriva alla classificazione del nuovo stimolo. I due metodi sono interdipendenti tra loro vista la complessità della funzione. Tramite lo studio dello sviluppo percettivo negli animali si è visto che vi sono periodi critici nei quali bisogna sviluppare determinate competenze percettive. 3.3 PRINCIPALI TEORIE SULLA PERCEZIONE La teoria empirista da importanza al passato e all’esperienza poiché le nuove sensazioni elementari sono associate a quelle già apprese e in tal modo possono essere confrontate. Nell’adulto tale tecnica è automatica sotto forma di inferenza inconscia. 11 La Scuola della Gestallt si oppone all’empirismo, il passato serve solo in alcune condizioni. La percezione è un processo primario e immediato che conduce alla segmentazione del campo fenomenico in unità distinte con le loro proprietà. Il movimento New Look si è sviluppato negli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale e sostiene l’organizzazione della percezione in fattori intrinseci più processi mentali poiché il soggetto categorizza tramite degli indizi le nuove percezioni. La teoria ecologica di Gibson rigetta tutte le interpretazioni precedenti e sostiene che il soggetto impone la propria elaborazione degli stimoli. Le informazioni sono già contenute nella stimolazione e nella distribuzione spaziale e temporale degli stimoli e il soggetto deve solo cogliere tali informazioni (approccio ecologico). Si definisce affordance l’insieme di azioni che un oggetto invia e produce nel soggetto. La teoria computazione di Marr sostiene che il osggetto codifica le immagini in funzione delle variazioni di intensità luminosa e esistono diverse fasi: la prima di abbozzo primario durante la quale si formano linee, punti e barre sula base della luminosità, la seconda di abbozzo a due dimensioni e mezzo che aggiunge movimento alle ombre (stereopsi) e la terza per creare un modello tridimensionale. Marr segue due schemi di riferimento: il punto di vista dell’osservatore e il sistema astratto a 3 coordinate della geometria euclidea. 3.4 PRINCIPALI FENOMENI PERCETTIVI DELLA VISIONE La nostra mente organizza l’attività percettiva così da cogliere gli oggetti in modo coerente, questa segmentazione consente una corretta visualizzazione della mappa dello spazio. La percezione è resa possibile dalla presenza di energia luminosa e dall’informazione ottica proveniente dall’ambiente (dislivelli della luce). La prima segmentazione consiste nell’articolazione figura-sfondo infatti non esiste figura senza sfondo. La figura ha forma e lo sfondo no, la figura è un oggetto e lo sfondo è meno distinto, il contorno appartiene solo alla figura. Diversi fattori sono alla base di tutto ciò: • inclusione: diventa figura la regione inclusa • convessità: diventa figura la parte convessa • area relativa: diventa figura la regione minore • orientamento: diventa figura la regione direzionata secondo le direzioni principali dello spazio Se tali fattori non riescono a intervenire si creano le figure reversibili ovvero si ha un inversione tra la figura e lo sfondo. Esistono processi asensoriali che assegnano risalto a quanto percepito come figura e ciò pone in evidenza che il sistema visivo sia dinamico. Wertheimer pone in evidenza alcuni principi fondamentali: • principio della vicinanza: a parità di condizioni si unificano oggetti vicini • principio della somiglianza: a parità di condizioni si unificano gli oggetti simili • legge del destino comune: parità di condizione si unificano gli oggetti con la stessa direzione di movimento • legge della buona direzione: si unificano elementi con continuità di direzione • legge della pregnanza: sono preferite le configurazioni più semplici L’articolazione degli elementi dipende dall’organizzazione totale della configurazione degli elementi (proprietà del tutto) dove il tutto è più della somma delle singole parti. 12 Tutto ciò grazie al ATTENZIONE SPAZIALE che ha coincidenza tra sguardo e attenzione ma è possibile separare tali processi e rivolgere lo sguardo da una parte e prestare attenzione verso qualche altra parte (si parla di visione periferica). È il bersaglio dell'attenzione ciò che mettiamo a fuoco, il fuoco dell’attenzione consente di concentrare le risorse attentive verso uno specifico stimolo ambientale. Nella rilevazione di uno stimolo hanno particolarmente importanza il tempo di esecuzione ed il grado di accuratezza. Importante è la validità dello stimolo ricercato ovvero l’effettiva individuazione del bersaglio ricercato. Si possono verificare 3 condizioni: 1. stimolo valido: il bersaglio compare nel riquadro 2. stimolo negativo: il bersaglio compare nel quadro opposto 3. stimolo neutro: la freccia indica entrambi i riquadri Abbiamo un notevole aumento della velocità e accuratezza della rilevazione dello stimolo in base al nostro interesse, gli stimoli che rispondono a interessi centrali ovvero primari sono catturati più velocemente dei secondari anche grazie alla rilevanza emotiva. La rapidità della rilevazione risulta essere fondamentale in caso di emergenze dove entra in azione la via subcorticale dell’amigdala (porzione del diencefalo) che consente in modo automatico di compiere gli opportuni movimenti nonostante si disponga di informazioni grossolane. Esiste il fenomeno della cecità al cambiamento in cui la forza degli stimoli salienti conduce a trascurare e ignorare stimoli ambientali ben visibili ed a volte macroscopici. Esiste anche l’effetto Simon dove i tempi di reazione sono più brevi quando la posizione dello stimolo e la posizione della risposta coincidono rispetto a quando non coincidono. Nella rilevazione degli stimoli hanno importanza sia l’elaborazione controllata che è lenta e consapevole, richiede un notevole impegno e risorse attentive, è accompagnata da errori e non consente di svolgere altri compiti nello stesso momento sia l’elaborazione automatica che è rapida, non coinvolge la memoria a breve termine e non richiede risorse attentive perché è sostanzialmente inconsapevole. Oggi tale distinzione appare meno netta poiché nessuna elaborazione è completamente automatica e in ogni caso richiederebbe risorse attentive, per contro anche le attività guidate nel tempo diventano automatiche grazie al tempo e alla ripetizione degli esercizi. L’attività di selezione è presentata secondo diverse ipotesi: • SELEZIONE COME FILTRO di Donald Broadbent la selezione fa da filtro per selezionare le informazioni rilevanti per l’organismo eliminando quelle superflue. Gli stimoli giungerebbero a un magazzino sensoriale di durata molto breve dove vengono analizzati per comprenderne l’importanza. È l’ipotesi della selezione precoce dove gli stimoli irrilevanti sono scartati. Tale ipotesi però non spiegherebbe l’intero processo di selezione degli stimoli, occorre che tutte le informazioni siano elaborate per determinare le caratteristiche fisiche e il contenuto semantico. Nel caso dell’effetto cocktail party uno stimolo inatteso interrompe l’azione in corso di svolgimento (per esempio essere in un locale a parlare con un amico e qualcuno pronuncia il nostro nome). Occorre modificare il termine e parlare di selezione tardiva secondo cui nella nostra enciclopedia delle conoscenze alcuni stimoli hanno un livello di attivazione inferiore ad altri. 15 • SELEZIONE COME FASCIO DI LUCE attività di selezione come un fascio di luce che illumina specifici elementi di una scena, tale ipotesi non è stata verificata a livello sperimentale e appare poco verosimile poiché vede l’attenzione come un processo on-off in cui le informazioni fuori dal campo visivo sarebbero ignorate • SELEZIONE COME RICERCA DEGLI STIMOLI si presentano 2 casi 1. ricerca disgiunta: il bersaglio differisce dagli altri per una sola caratteristica e risulta più facile poiché il bersaglio salta fuori in modo immediato 2. ricerca congiunta: il bersaglio è definito dalla congiunzione di più caratteristiche rendendo il processo più lento e complesso. Nella teoria dell’integrazione delle caratteristiche se ricerchiamo un bersaglio in base a una sola caratteristica basta fare riferimento solo ad essa e la rilevazione procede spedita se invece ricerchiamo un bersaglio in relazione a due caratteristiche bisogna confrontarle ed incrociarle tra di loro. Secondo la funzione di potenza di Stevens ogni elemento è valutato singolarmente per accertare se rappresenta o meno il bersaglio. Capita di dover far fronte a più compiti contemporaneamente (multitasking) e serve quindi un frazionamento dell’attenzione: Nell’attenzione focalizzata la concentrazione si rivolge ad una fonte informativa e esclude ogni altra mentre nell’attenzione divisa si presta attenzione a entrambi gli stimoli ma la loro elaborazione è parziale e mediocre a causa della disponibilità limitata di risorse attentive. Si parla di interferenze da doppio compito quando abbiamo due fonti di stimolazione di tipo diverso in competizione tra loro che comporta il deterioramento delle prestazioni. Si parla di interferenza strutturale quando i due compiti da eseguire nello stesso tempo condividono lo stesso canale di elaborazione. Il compito primario assorbe più risorse attentive che sono quindi limitate per il compito secondario, si ha quindi un’interferenza da risorse dove la ripartizione dell’attenzione è inversa (tanto più alta sarà l’attenzione del compito primario e tanto più bassa sarà quella del secondario). Esistono anche vari effetti che hanno le stesse caratteristiche: • effetto Stroop dove si hanno tempi di reazione più bassi in stimoli congruenti rispetto agli incongruenti • effetto Navon dove il soggetto posto di fronte a stimoli incongruenti è invitato a prestare attenzione alle lettere locali. La presenza di una lettera incongruente a livello globale produce un netto rallentamento nei suoi tempi di risposta. Abbiamo due diversi tipi di competizione tra gli stimoli: 1. COMPETIZIONE SEMPLICE: dove lo stimolo che riceve più risorse attentive per la sua salienza viene analizzato in modo dettagliato, ciò può essere influenzato da stimoli cognitivi che la rendono soggetta a distorsioni sia nelle caratteristiche dello stimolo che della sua pertinenza rispetto alle aspettative del soggetto. 2. COMPETIZIONE POLARIZZATA: emerge quando gli stimoli sono presentati simultaneamente e mette in evidenza che l’attenzione produce una distorsione degli stimoli in funzione delle loro caratteristiche e sulla loro pertinenza agli scopi del soggetto. 16 4.2 La coscienza è uno stato particolare della mente in cui si ha conoscenza di se’ e dell’ambiente. È l’esperienza esclusiva e privata di ciascuno di noi in modo inesorabile rinvia al concetto di se’. Il se’ non è statico ma dinamico in continuo cambiamento in funzione della situazione contingente immediata. Dunque la coscienza NON è la vigilanza, quest’ultima è un prerequisito per la coscienza ma non è ancora definibile come coscienza, essa infatti consente la rappresentazione mentale degli oggetti, la pianificazione delle azioni e il controllo delle nostre azioni. La dissociazione tra vigilanza e coscienza è ben definita nei soggetti in stato neurovegetativo poiché pur non essendo consapevoli il loro elettroencefalogramma presenta un’alternanza tra sonno e veglia e spesso aprono gli occhi senza dirigere lo sguardo verso un particolare bersaglio. La coscienza presenta diverse proprietà: • CONSAPEVOLEZZA COGNITIVA: consiste nella capacità di rispondere agli stimoli qui ed ora (consapevolezza percettiva). Chi è in coma può essere vigile ma non è in grado di fornire una risposta consapevole agli stimoli e dunque si trova in uno stato di incoscienza. Per contro quando dormiamo abbiamo un certo grado di risposta, soprattutto in seguito a stimoli forti. La coscienza di uno stimolo sensoriale emerge dopo circa mezzo secondo dalla sua comparsa. La coscienza ha la funzione di comparatore poiché confronta lo stato attuale del mondo con quello previsto in base alla propria esperienza. (consapevolezza cognitiva). • CONTROLLO: la coscienza esercita un certo controllo sui processi cognitivi, è un monitoraggio costante che consente di pianificare le attività mentali e svolge quindi anche un ruolo di rilevatore di errori: se qualcosa non va bene nei processi per l’esecuzione di un’azione la coscienza scopre l’errore e lo modifica o interrompe. • AUTO RIFLESSIONE: la coscienza può essere consapevole di se’ stessa in un processo senza fine (consapevolezza metacognitiva) sappiamo di sapere. Tale caratteristica è alla base dell’evoluzione della nostra specie e dello sviluppo psicologico di un individuo. Si possono distinguere dei livelli qualitativi della coscienza distinti da Damasio • IL SE’ ORIGINARIO: è il livello basilare di coscienza si hanno processi che riguardano l’organismo e che forniscono una descrizione dei suoi elementi stabili. Indica il grado di funzionamento dell’organismo momento per momento e può variare da uno stato ottimale a uno alterato, in quest’ultimo caso si ha l’esigenza di adottare le opportune correzioni per garantire l’omeostasi (condizioni interne stabili). Tale condizione è garantita da processi automatici presenti in ogni organismo ma è fortemente potenziata da meccanismo consci. Elaborati da specifiche regioni cerebrali i segnali somatoviscerali danno origine a sentimenti primordiali (benessere o pena) che confluiscono poi nelle emozioni. • IL SE’ NUCLEARE: il se’ come soggetto, livello intermedio di coscienza gli stimoli somatoviscerali dipendono anche dagli stimoli ambientali che forniscono indicazioni favorevoli, sfavorevoli o neutre per il nostro organismo. Generano immagini mentali che consentono la costruzione dell’enciclopedia delle conoscenze. A volte viene richiesta una risposta dell’organismo in termini di difesa o attacco, diventiamo quindi protagonisti e agenti in grado di influenzare l’ambiente circostante. È una coscienza contingente poiché riguarda il presente, se si verifica un nuovo evento la coscienza si sposta da quello precedente a quello esistente nel momento in cui si verifica. • IL SE’ AUTOBIOGRAFICO: forma di coscienza avanzata 17 ➢ MEDITAZIONE è lo stato modificato di coscienza attraverso l’esecuzione ripetitiva di alcuni esercizi mentali. È un metodo di rilassamento mediante il quale il soggetto mantiene l’attenzione su un dato oggetto e azione ed è in grado di regolare la respirazione giungendo a poter limitare il suo campo di attenzione e ricezione degli stimoli. La meditazione crea uno stato di benessere psicofisico durante il quale alcuni soggetti possono avere esperienza mistiche durante le quali si ha piena coscienza di se’ e si assumono forme di conoscenza più ampie. Le forme tradizionali di tale tecnica sono lo yoga e lo zen, esiste: - la meditazione di apertura che serve a liberare la mente per accogliere nuove idee; - la mediazione di concentrazione che serve a concentrare tutta l’attenzione su un oggetto, idea o parola escludendo ogni altra cosa; - la meditazione trascendentale che serve a focalizzare l’attenzione sulla ripetizione mentale di un suono o sulla respirazione nasale e distogliere totalmente l’attenzione dai normali stimoli esterni. Ciò produce un abbassamento del ritmo respiratorio, una diminuzione del consumo di ossigeno e a livello psicologico combatte lo stress e l’ansia cronica, aumenta la capacità di memoria e l’efficienza mentale. 4.3 L’azione è un sequenza consapevole e deliberata di movimenti finalizzati al raggiungimento di uno scopo, svolta in base a un piano e controllata dall’attenzione esecutiva idonea a generare specifici effetti sull’ambiente. • l’attività è una serie di azioni coordinate in modo coerente per il raggiungimento di un unico scopo primario • il concetto di agentività è quando siamo in grado di far accadere delle cose nel corso degli avvenimenti • l'autoefficacia è quando siamo convinti di poter ottenere i risultati desiderati mediante le nostre azioni Le azioni non sono movimenti casuali o automatici come nel caso del movimento riflesso che ad esempio ci porta a ritirare immediatamente la mano se appoggiata su una superficie che scotta, ma sono volontari atti volti a realizzare uno scopo. Ogni azione si svolge secondo un piano che controlla la sequenza di movimenti da svolgere per realizzare lo scopo. Il MODELLO TOTE definito modello esplicativo serve quando occorre verificare la situazione e procedere alle opportune operazioni, per controllare il loro esito e anche per decidere di terminare o meno l’azione. Il piano di azione consiste in una mappa mentale della traiettoria delle operazioni da svolgere una dopo l’altra ovvero è una simulazione mentale che in base al modello riproduce quanto avverrà nel corso dell’azione. Ogni azione è una totalità unitaria di una sequenza di operazioni composte a sua volta da movimenti volontari. Tra azione e operazioni vi è un rapporto mezzo-fine. Il modello tote vale quindi non solo per la totalità delle azioni ma anche per ogni singola fase. Durante la pianificazione dobbiamo tenere conto delle condizioni dell’ambiente poiché a volte presenta variazioni anche macroscopiche che determinano le condizioni ed i vincoli per l’esecuzione dell’azione. Ogni azione è contingente perché l’esito è la congiunzione tra la nostra attività personale e gli aspetti causali. Nell’esecuzione abbiamo responsabilità limitata perché intervengono necessariamente fattori ambientali (extrasoggettivi). 20 Ogni azione non va solo pianificata ma eseguita, i processi sono definiti processi esecutivi, essi fanno parte della memoria di lavoro e sono contenuti nell’esecutivo centrale. Le aree cerebrali coinvolte si trovano nella corteccia prefrontale (PFC) che ha molteplici proiezioni di ritorno da sistemi secondari, percettivi e motori. Ciò ha condotto all’ipotesi dell’esecutivo frontale che possiede numerose attività mentali. L’attenzione esecutiva dirige e governa le operazioni implicate nello svolgimento delle azioni, determina le regole da seguire, tramite essa si ha la visione globale di ciò che sta accadendo e svolge la funzione di regia della complessa rete di connessioni interdipendenti tra individuo e ambiente; serve inoltre a determinare quale compito avrà il sopravvento sugli altri (di solito prevale quello che ha il più alto grado di compatibilità con la situazione in essere per il raggiungimento degli scopi previsti). L’alternanza del fuoco dell’attenzione è la necessità di spostare l’attenzione da un compito a un altro. Consente di essere tempestivi e dinamici nello svolgere attività diverse entro la stessa situazione ma essa ha dei costi infatti impieghiamo più tempo e risorse per spostare l’attenzione. Tale alternanza dimostra che le funzioni esecutive sono metaprocessi (processi su altri processi) e in particolare sono presenti in due livello mentali: 1. processi esecutivi ovvero nel coordinamento 2. processi legati al compito come nel caso dell’identificazione degli stimoli essi sono processi tra loro indipendenti e dissociati, governati da due sistemi distinti a livello cerebrale. L’inibizione della risposta è la soppressione di una risposta parzialmente già preparata. Tale azione è associata all’intervallo di tempo tra l’identificazione delle informazioni pertinenti e la preparazione della risposta: quando più tale intervallo è lungo e tanto sarà difficile inibire la risposta. La sua carenza produce impulsività ben osservabile nei bambini, più sono piccoli e meno inibiscono la loro risposta. A 7 anni i bambini presentano un livello di inibizione conforme a quello degli adulti. Se non fossimo in grado di inibire la risposta avremmo gravi disagi relazionali. La realizzazione di qualsiasi compito è multifunzionale ovvero dalla sensazione/percezione del movimento al pensiero e ragionamento pratico. Vi è un legame intrinseco tra percezione e sistema motorio che consiste nella trasformazione di modelli percettivi in modelli motori (ciclo percezione/ movimento). La percezione non solo riconosce gli oggetti ma fornisce feedback costanti ai movimenti da compiere. L’accuratezza e l’agilità nell’eseguire l’azione è strettamente associata all’esercizio, l’azione è una fonte di apprendimento situato perché avviene in una specifica situazione ed è un apprendimento riflessivo perché stabilisce riflessioni all’indietro e in avanti. La memoria di lavoro ci consente di produrre ciò che vogliamo fare, la memoria ricorda di più le cose (item) che il loro ordine, tali processi sono distinti (i soggetti con anni alla PFC non elaborano l’ordine ma ricordano gli item). Quando dobbiamo svolgere azioni complesse è utile avere un copione che stabilisca lo schema di riferimento generale. Lo svolgimento di un’azione implica una condizione di verifica, tale monitoraggio consente di fare confronti tra cosa ci si era prefissati e come si sta svolgendo attualmente un’azione. Nel caso di errori o allontanamenti dal piano iniziale è fondamentale poiché a livello comportamentale sarebbero rilevati tardivamente. 21 A conclusione dell’azione si procede a una valutazione finale per accertare se è stata eseguita in conformità al piano di partenza, se gli spostamenti sono accettabili l’azione è andata a buon fine in caso contrario occorre rimediare. Il sentimento di autoefficacia è la credenza di riuscire a controllare l’attività e di svolgerla con una buona riuscita ed il piacere funzionale è il piacere che deriva dal raggiungimento di uno scopo. CAPITOLO 5. RAPPRESENTAZIONE MENTALE, CONOSCENZA E SIMULAZIONE MENTALE 5.1 Mente computazionale Per conoscere e capire eventi è necessario rappresentarli nella nostra mente, la rappresentazione è un’entità che sta per quell’oggetto e trasmette informazioni inerenti ad esso e può essere: • analitica quando il rapporto è arbitrario tra rappresentazione e cosa • analogica quando vi è un rapporto di somiglianza tra la cosa rappresentata e la rappresentazione La rappresentazione mentale è quindi un immagine o simbolo o modello presente nella mente basato su una mappa cerebrale, in corrispondenza a un certo oggetto od evento. La differenza è alla base della coscienza, i significati si fondano sul contrasto o sull’opposizione, la stessa condizione vale per i valori; anche l’identità è differenza poiché è basata e generata da una rete di relazioni. È la mente computazionale di Fodor e Marr in grado di fare calcoli, confronti, scelte fra alternative; tale modo funzionale della mente trova fondamento nell’attività cerebrale. Negli ultimi decenni del secolo scorso le scienze cognitive hanno rivolto il loro studio verso le strutture mentali rispetto alle funzioni elaborando in tal modo una modellistica mentale che va dai modelli ai modelli ed al linguaggio della mente. Fodor ha difeso una concezione forte della mente computazionale proponendo l’ipotesi di un linguaggio della mente (mentalese) analogo a una lingua naturale costituito da: • parti costituenti che si combinano tra loro secondo regole di logica • composte da parti atomiche innate • sono composizionali ovvero le proprietà semantiche di una rappresentazione complessa dipendono dalle proprietà semantiche degli elementi atomici • sono regolari secondo le condizioni di verità e le relazioni di implicazione. Le rappresentazioni mentali sarebbero quindi la combinazione di concetti semplici innati, intesi come entità univoche e chiuse e sarebbero attente solo alla forma ma cieche al significato. Nonostante tale cecità semantica, le regole logiche hanno la capacità di conservare la veridicità delle premesse. La mente computazionale è in grado di tradurre le rappresentazioni mentali in proposizioni, assume il carattere di mente proposizionale e grazie al mentalese il pensiero è comunicabile e condivisibile. Nella prospettiva di Fodor la mente è un sistema chiuso che non interagisce con l’ambiente, essa procede a compiere computazioni sui simboli amodali ovvero presenti in modo innato. Searle ha dimostrato l’insostenibilità della mente chiusa tramite l’esperimento della stanza cinese: prendiamo una stanza chiusa con due finestre aperte, un italiano è invitato ad entrare ed esso non conosce il cinese, gli viene consegnata una serie A di ideogrammi che gli non comprende e successivamente gli vengono date sia una serie B di ideogrammi che egli non conosce sia delle istruzioni in lingua italiana. Il suo compito è quello di abbinare gli ideogrammi A a quelli B e se segue le istruzioni tale persona sarà capace di farlo anche se non conosce il cinese e per il cinese all’esterno della finestra sarà logico pensare che l’italiano conosce alla perfezione la lingua cinese in quanto ha completato il compito senza errori. 22 Le ZCD sono organizzate gerarchicamente fra loro e lavorano in parallelo, gli interneuroni di livello superiore mettono in connessione e integrano le informazioni provenienti da ciascuna ZCD per dar luogo a informazioni più complete e complesse. Le informazioni provenienti dalle varie modalità sensoriali elaborano una rappresentazione multimodale, unitaria e globale dell’evento o oggetto, fondata sull’esperienza e radicata nell’organismo. Dall’evoluzione degli studi di Damasio sul funzionamento cerebrale è stato elaborato il modello dei simboli percettivi in cui le rappresentazioni mentali derivano da processi con cui sentiamo e percepiamo gli accadimenti circostanti, occorre indagare in che modo esse sono elaborate a livello mentale. Nel flusso della nostra esperienza quotidiana incontriamo numerosi esempi del medesimo oggetto che consentono all’organismo di cogliere le informazioni concernenti le sue specifiche proprietà (sagoma, movimento ecc…). Un simbolo percettivo è la registrazione dell’eccitazione di una popolazione di neuroni a seguito di un processo percettivo o di un’azione motoria, è quindi una rappresentazione inconsapevole di natura schematica e parziale, indeterminata e generica della realtà. La formazione di tali stimoli procede dal basso verso l’alto per ogni aspetto dell’esperienza, abbiamo così una varietà illimitata di simboli percettivi archiviata nei vari depositi di memoria, essi sono collegati in relazione al medesimo oggetto, sono integrati in una cornice riguardante un certo oggetto nella quale le informazioni visive sono associate a numerose altre informazioni. Barsalou ha definito tale sistema come: simulatore mentale in grado di funzionare secondo due livello: 1. funge da cornice che integra i simboli percettivi relativi ad un dato oggetto in base all’esperienza di molte occorrenze 2. opera come dispositivo generatore in grado di produrre simulazioni mentali a partire dalla cornice I simulatori costituiscono sistemi aperti, dinamici, contingenti, in grado di modificarsi e arricchire le nostre possibilità di rappresentazione mentale della realtà in base alle nuove esperienze. Una volta elaborato un simulatore mentale è in grado di riattivare parte degli stimoli percettivi in esso contenuti per dare origine a specifiche operazioni mentali e riportare in modo attendibile le proprietà percettive e motorie anche in assenza dell’oggetto. Tale operazione mentale è chiamata simulazione mentale in grado di riprodurre certi segmenti dei simulatori mentali che rimandano a oggetti che nella realtà attuale sono assenti. “le simulazioni mentali sono processi dall’alto verso il basso, son contingenti poiché all’occorrenza riproducono un elemento dell’esperienza. La simulazione mentale serve a comunicare una data credenza o conoscenza per esprimere una certa intenzione o emozione nonché per raggiungere un dato scopo” 5.3 La conoscenza ci consente di capire e di spiegare le cose, è un vincolo per la nostra sopravvivenza e in quanto tale è comprensione degli accadimenti della nostra esperienza. Comprendere significa letteralmente afferrare la mente ed è dunque la capacità di intendere e di interpretare in modo appropriato una data situazione. Comprendere vuol dire cogliere il significato e la traiettoria di senso di un certo evento. Il significato è inteso sia come riferimento alla realtà (componente referenziale) sia come valore linguistico (componente differenziale) sia come percorso interpretativo dell’esperienza (componente cognitiva); è una realtà complessa e analizzabile. Comprendere vuol dire anche 25 trovare una spiegazione plausibile e sufficientemente attendibile dei fenomeni ed eventi di esperienza. Se conoscere il mondo significa padroneggiarlo ciò implica la capacità di disporre di oggetti ed eventi in un sistema di categorie. La categorizzazione è un’attività mentale universale, basilare per gli esseri umani e presente in ogni cultura. Se la categorizzazione non esistesse imboccheremmo due vicoli ciechi: da una parte saremmo incapaci di governare i singoli fenomeni ed oggetti a se’ stanti (rischio della frammentazione) e dall’altra saremmo incapaci di governare la globalità dell’esperienza (rischio dell’opacità). Si parla di errore della fallaci referenziale quando procediamo a segmentare l’esperienza e non la realtà anche se abbiamo la forte convinzione di mettere le cose in ordine con le nostre categorie mentali. È un errore prettamente diffuso nella psicologia ingenua. Spesso abbiamo anche la convinzione che esse esistano in natura ma non è così in quanto sono solo il risultato di una convenzione in cui le categorie dipendono dalla cultura di riferimento. In tal modo si evita l’errore dell’oggettualismo ovvero il ritenere che siamo in grado di conoscere la realtà in quanto tale e che essa sia così come noi la vediamo. Con il termine categoria si indicano i raggruppamenti in cui separiamo il magma della nostra esperienza, ogni categoria raggruppa unità che hanno proprietà simili (omogeneità interna) e che presentano differenze discriminanti ovvero specifiche rispetto alle entità di altre categorie (eterogeneità esterna). Di solito procediamo a raggruppare entità diverse all’interno della stessa categoria tramite regole ovvero una o più proprietà condivise o alla somiglianza ovvero per consonanza di proprietà morfologiche o funzionali. Le categorie definiscono le coordinate per il nostro pensiero e comportamento e consentono di orientarci nelle scelte e nelle decisioni. Tale processo conduce all’inclusione di entità tra loro simili in una classe e alla separazione rispetto alle classi che racchiudono entità diverse. Questo andamento trova fondamenti nell’attività cerebrale: se osserviamo pazienti con specifici danni cerebrali vediamo che alcuni di essi sono incapaci di impiegare certe categorie ma sono competenti per altre. Le categorie mentali possono essere più o meno estese, alcune a grana grossa e altre a grana fine a seconda dei criteri adottati, sono etichettabili ovvero sappiamo cosa contengono, sono esaustive ovvero no hanno angoli reconditi e sono mutualmente esclusive ovvero non dovrebbero esserci sovrapposizioni. Le categorie costituiscono un sistema di differenze e sono fra loro interconnesse, in tal modo abbiamo abbiamo una tassonomia intesa come un sistema gerarchicamente organizzato di categorie fra loro intrecciate e inserite l’una nell’altra in funzione del livello di astrazione. Il principio di inclusività sostiene che le categorie sono incapsulate una nell’altra. Nello stesso tempo non siamo capaci di richiamare tutte le informazioni racchiuse in una categoria quando ci viene chiesto di descriverla poiché la nostra mente elabora le categorie con gli indizi a disposizione in quel momento. Il processo dell’induzione basata su categorie rende possibile estendere la conoscenza al di la’ dell’esperienza immediata, le relazioni di somiglianza fra categorie costituiscono la guida per fare inferenze e consentono di valutarne la forza infatti quanto più una proprietà è simile fra i componenti di diverse categorie tanto più robusta è l’inferenza induttiva. 26 Esistono vari tipi di categoria: • CONCEZIONE NATURALISTICA: elaborata da Rosh e secondo cui la struttura dell’ambiente fisico determinerebbe la configurazione delle categorie poiché le caratteristiche sensoriali del mondo non sarebbero distribuite in modo casuale bensì in costellazioni ricorrenti di indizi. Le categorie presentano due dimensioni: la dimensione verticale che collega tra loro diverse categorie attraverso il processo di inclusione, vi sono 3 livello di inclusione: 1. superordinario (arredamento) 2. livello base (sedia) e livello subordinato (sedia da tavolo). Le categorie di base sono le più importanti poiché gli oggetti che ne fanno parte implicano un certo programma motorio e condividono il numero più elevato di attributi comuni. Hanno maggiore validità di indizio ovvero la probabilità che un oggetto appartenga a una certa categoria se possiede una certa proprietà. Esiste inoltre anche una dimensione orizzontale che concerne il modo in cui ogni categoria è organizzata al suo interno e quali relazioni vi sono tra i suoi elementi in termini di appartenenza e rappresentanza. I vari membri hanno valore di prototipo perché sono i migliori esemplari della categoria, quelli che la rappresentano meglio. Attorno ad essi si sviluppa tutta la categoria in se’. • CATEGORIE PER SOMIGLIANZA DI FAMIGLIA: i membri con polisemia semantica intesa come molteplicità di significati connessi con la medesima parola, un’unica parola significa cose differenti ed entra di diritto in categorie diverse. Ad esempio il “fresco” è una categoria polisemica (appartiene a più categorie) e non può avere un prototipo perché non ha un unico tipo centrale preminente. La spiegazione più soddisfacente è data da Wittgestein secondo cui il modello della somiglianza di famiglia è un modello di categorie organizzate solo orizzontalmente in grado di analizzare termini complessi. Fra i significati di una parola polisemica non esiste ne un prototipo ne proprietà comuni ma solo sotto-categorie ciascuna delle quali è fondata su somiglianze parziali e locali condivise da almeno 2 componenti. • CATEGORIE RADICALI: Lakoff ha introdotto la nozione di categorie radicali che partono da una categoria centrale e procedono in modo associativo. Considerando i Dyirbal, una popolazione aborigena dell’Australia che possiedono solo 4 categorie che comprendono elementi totalmente diversi tra loro per esempio la categoria Bayi comprende: uomini, canguri, opossum e la maggior parte dei serpenti. • CATEGORIE FUNZIONALI: le categorie strutturali fino ad ora presentate vanno integrate con le categorie funzionali che si basano su uno scopo, ciascuna di esse è formata in modo coerente da comportamenti indispensabili per raggiungere un dato scopo. Ad esempio per esame di matematica è importate che nella categoria siano contenuti matita e calcolatrice. • CATEGORIE AD HOC: non emergono fino a quando non sono attuate le nostre conoscenze enciclopediche che comprendono le proprietà degli oggetti e come esse sono fra loro collegate. È una categoria momentanea e contingente, appare e scompare insieme all’evento che l’ha generata. Le categorie ad hoc sono molto utili per il funzionamento della mente poiché facilitano la ricostruzione di problemi. Non esistono categorie universali poiché culture differenti hanno categorie diverse per gli stessi aspetti della realtà. Il sistema di categorie disponibili è una condizione necessaria per ottenere un soddisfacente livello di competenza in riferimento a specifici habitat. Tale sistema aumenta la rapidità e l’efficacia della discriminazione dei fenomeni ed eventi dell’ambiente. 27 L’intervallo di tempo per compiere movimenti è pressoché simile sia nella simulazione che nella vita reale, i tempi dei movimenti mentali riflettono le caratteristiche dei movimenti fisici secondo la legge di Fitts, essa sostiene che “il tempo di un movimento è una funzione logaritmica della distanza e delle dimensioni di un bersaglio poiché il tempo di un movimento aumenta la distanza ma diminuisce con le dimensioni dei bersagli”. Quanto più siamo abili nell’eseguire certe attività motorie e tanto più siamo capaci di simulare e tanto più si attivano i neuroni specchio coinvolti nell’attività. La simulazione è un dispositivo mentale che può ricostruire: • eventi del passato del pensiero controfatturale ci riferiamo a eventi del passato e ipotizziamo cosa sarebbe potuto accadere se ci fossimo comportati in modo diverso. È una forma di pensiero condizionale in cui siamo difronte al modo congiuntivo delle possibilità dove si fa riferimento a ciò che è accaduto e a ciò che sarebbe potuto accadere. • Eventi del futuro del pensiero prefatturale anticipazioni di come attuali condizioni potrebbero essere nel futuro. Si svolgono secondo la logica delle proposizioni condizionali e possono rappresentare condizioni future: inferiori quando anticipano risultati peggiori di quelli attesi e superiori quando cambiano le premesse attuali per giungere a un quadro migliore di quello atteso. Si da maggiore importanza alle simulazioni del futuro prossimo che a quello remoto poiché ci prefiggiamo di migliorare nel breve periodo mentre quello lungo è più incerto. Servono a disegnare il futuro del proprio se’ (il se’ possibile) e ciò porta al consolidamento della propria identità, sostiene il nostro impegno in certo comportamenti, innalza il livello di fiducia e di autoefficacia, governa le emozioni negative e soddisfa il bisogno di sentirsi preparati. Le simulazioni di eventi del futuro oscillano quindi tra la desiderabilità e la fallibilità. La simulazione è un motore della creatività umana che attraverso la simulazione crea combinazioni mai considerate prima grazie ad accostamenti insoliti. La simulazione non è esente da limiti, i motivi di tale scontatezza concernono due dimensioni: il livello di costruzione da parte degli esperti e il livello di impiego da parte dei destinatori, vediamo ora nel dettaglio: • LIVELLO DI COSTRUZIONE la simulazione può consistere in una riproduzione distorta o lontana dai fenomeni che intende rappresentare diventando così una font sistematica di errori. L’architettura può anche essere troppo semplificata rispetto ai fenomeni reali. Si possono commettere errori di grammatica nella connessione delle variabili • LIVELLO DI IMPIEGO possiamo avere un impiego cieco ovvero automatico delle simulazioni, la simulazione rischia di diventare una scatola nera che rende opaca la comprensione dei fenomeni esaminati. Si può avere un eccesso di fiducia nella simulazione con il rischio di confondere simulazione e realtà-il Occorre seguire il principio di rispetto-sospetto ovvero bisogna trattare i fenomeni con il dovuto sospetto e rispetto per ridurre la probabilità dell’errore dello stimolo ovvero descrivere ciò che si conosce e non ciò che si vede e l’errore dell’esperienza ovvero attribuire alla realtà proprietà che appartengono solo al soggetto. La mente simulativa può essere fondamento del disagio e del disturbo psicologico perché possiamo fare un impiego patologico delle simulazioni come nel caso di: 30 • REATO DI SIMULAZIONE: usare la simulazione per imbrogliare la società e far sorgere in altri un falso giudizio sia per mezzo di dichiarazioni concordate fra le parti ma non corrispondenti alla volontà delle stesse sia con la denuncia di fatti inesistenti o diversi da quanto accaduto. (ad es. fabbricare documenti falsi o contraffare prodotti) • SIMULAZIONE MACHIAVELLICA: ricostruzione manipolatoria della realtà con la trasformazione di dati di realtà a proprio vantaggio- richiede il ricorso all’astuzia, al primato dell’apparire sull’essere, creare la realtà sia con la finzione che con la menzogna. La menzogna esibisce i segni del suo non essere vera (maschera) e la menzogna vuole far credere ad altri una realtà che non esiste • SIMULAZIONI DERIVANTI: elevato grado di deformazione rispetto alla realtà, nonostante vi siano sempre indizi di realtà essi sono particolari insignificanti per la persona comune ma non per la persona sospettosa e paranoica. CAPITOLO 6. APPRENDIMENTO ED ESPERIENZA 6.1 L’apprendimento è un dispositivo universale negli animali, ed è la modificazione duratura e stabile del comportamento a seguito di un’esperienza, di solito ripetuta nel tempo. È anche uno dei due dispositivi per l’esistenza della nostra specie assieme ai geni implicati nella selezione naturale e maturazione, l’altro corrisponde ai dispositivi culturali basati sull’esperienza. Fra geni e ambiente esiste un intreccio profondo e continuo studiato dall’epigenetica. La radice dell’apprendimento è l’esperienza vista come vincolo primario per l’apprendimento, per definizione ogni apprendimento è esperenziale. Si impara sempre, non è un tempo per imparare e uno dove non si impara, gli stimoli sono gli elementi fondamentali per l’apprendimento e sono sempre presenti in quanto racchiudono elementi di novità. La leva motivazionale è data dall’esistenza di interessi rilevanti che è una predisposizione esistente fin dalla nascita. Senza input la mente ed il cervello entrano in una condizione di sofferenza e apatia. L’alternativa a smettere di imparare è il coma vegetativo. Esistono diversi tipi di apprendimento: • APPRENDIMENTO ESPERIENZIALE: passa attraverso l’azione e il fare, imparare facendo è un apprendimento situato ovvero legato al contesto immediato in cui è immerso l’organismo. • APPRENDIMENTO INTENZIONALE: orientato al raggiungimento di uno scopo in grado di promuovere un’elaborazione acuta delle informazioni • APPRENDIMENTO ACCIDENTALE: collegato a fattori imprevedibili, impariamo per caso • APPRENDIMENTO CONTINGENTE: implica la combinazione fra elementi incidentali che provengono dall’ambiente (processo dal basso verso l’alto) e opzioni operate dagli individui in base ai loro interessi ed esigenze (dall’alto verso il basso) • APPRENDIMENTO LATENTE: forma di apprendimento implicito, impariamo senza accorgercene, apprendimento spontaneo poiché non ha bisogno di rinforzi. Esso è stato dimostrato da Tolman che tramite un esperimento di laboratorio servendosi di 3 gruppi di ratti in cui: il primo gruppo non viene mai rinforzato come ricompensa per aver percorso il labirinto, il secondo gruppo che viene rinforzato ad ogni prestazione e l’ultimo gruppo che viene ricompensato solo dopo l’11 giorno di esperimento. Nel momento in cui il terzo gruppo venne rinforzato ebbe prestazioni immediate e superiori rispetto al gruppo due e tale risultato è possibile solo se i ratti del terzo gruppo hanno appreso in modo latente e senza bisogno di alcun rinforzo. 31 L’esposizione all’ambiente conduce alla distinzione tra competenza ovvero ciò che si apprende e prestazione ovvero l’esecuzione di ciò che si è appreso. Nello svolgimento delle attività prendiamo indizi dall’ambiente per formare delle mappe cognitive che portano ad avere soluzioni più brevi ed efficaci secondo il principio del minimo sforzo. La dimostrazione di ciò prevede che in un labirinto a croce ci sia un gruppo P di ratti che partiva in modo indifferente dal box a (in alto) o dal box B (in basso) e trovava sempre il cibo nel box 2 (a destra). I ratti R del secondo gruppo erano collocati o nel box A o nel box B e chi partiva da A trova il cibo nel box 1 mentre chi partiva da B lo trovava nel box 2. i ratti P si dimostrarono assai più veloci nell’apprendimento rispetto a R perché basavano il loro apprendimento sulla mappa del labirinto anziché sull’associazione S-R. Le mappe cerebrali cognitive sono elaborate attraverso un apprendimento per segnali per raggiungere il cibo. L’apprendimento latente è fondamentale in quanto economico ovvero contiene il dispendio di risorse mentali ma soprattutto per le grandi opportunità che offre, è coinvolto nelle conoscenze procedurali che sono il fondamento della conoscenza tacita. • APPRENDIMENTO FISIOLOGICO: è un vincolo per la sopravvivenza e mantenimento della salute fisica poiché ci fornisce le conoscenze indispensabili per avere completo governo del nostro corpo. Tale apprendimento si fonda sull’esperienza diretta che facciamo del nostro corpo in connessione con gli stimoli somatoviscerali e le sensazioni propriocettive. Riguarda sia la salute che la malattia. Tale funzionamento è regolato da dispositivi genetici automatici affiancati da un certo numero di libertà che ci consentono di intervenire in modo deliberato. Per mantenere un certo grado di omeostasi è necessario riuscire a riconoscere i segnali del nostro corpo ovvero i sintomi che possono manifestarsi in modo patologico o standard. Le sensazioni somatoviscerali rappresentano in modo soddisfacente il funzionamento del nostro corpo formando dei modelli di apprendimento fisiologico, tanto più sono discriminanti e tanto più sono evolute le possibilità di svolgere azioni di prevenzione e cura. L’apprendimento fisiologico varia con il mutare dello stato di salute del corpo, in caso di disturbo o malattia occorre procedere a nuovi modelli di apprendimento poiché i parametri di riferimento sono cambiati • APPRENDIMENTO MOTORIO: corrispondenza tra movimento e simulazione mentale dell’azione, implica la consapevolezza di conoscere potenzialità e limiti del nostro organismo. Riguarda le conoscenze procedurali e esecutive. • APPRENDIMENTO RESPIRATORIO: funzione fisiologica automatica e inconsapevole, in alcune circostanze può diventare consapevole, imparare a respirare è molto importante nelle culture orientali mentre appare meno importante in quelle occidentali. È stata elaborata una vasta gamma di tecniche di respirazione idonee ad affrontare le diverse situazioni a cui andiamo incontro nel corso della vita. • APPRENDIMENTO ASSOCIATIVO: associare due o più entità tra loro, tale apprendimento è presente anche negli animali come dimostrato da Pavlov: egli era interessato inizialmente a studiare la composizione della saliva e aveva associato come mettendo del cibo in bocca al cane si producesse un immediato aumento della salivazione. Questa reazione tra stimolo e risposta è la conseguenza di un riflesso ovvero di una risposta automatica geneticamente presente nel sistema nervoso dell’animale. 32 Tale operazione di connessione degli elementi avviene come una sorta di intuizione (insight) e comporta una ristrutturazione globale del campo cognitivo a seguito di una specifica esperienza (nuova configurazione mentale). La dimostrazione di ciò vede porre uno scimpanzé in una situazione apparentemente insolubile ovvero porre lo scimpanzé dentro una gabbia e una banana fuori dalla stessa in modo che non sia raggiungibile con le zampe dell’animale. Lo scimpanzé a questo punto prova ripetutamente a prendere la banana ma senza successo e deluso torna a giocare nella gabbia in cui sono inseriti degli oggetti tra cui dei bastoni. l’animale afferra un bastone e si dirige verso le sbarre della gabbia e con il bastone avvicina la banana fino a quando non riesce a prenderla con la zampa, se il bastone fosse corto ne prenderebbe uno più lungo e in alcuni casi ha anche imparato a incastrare un bastone con un altro per ottenere uno strumento più lungo. L’apprendimento per insight si fonda sull'attivazione di processi cognitivi che conducono alla soluzione di difficoltà ed imprevisti che incontriamo nel corso della nostra vita quotidiana, l’animale è un protagonista attivo e tale processo è alla base della creatività umana. L’APPRENDIMENTO INDIVIDUALE: è la competenza nell’acquisire nuove informazioni a seguito di un’esperienza personale con l’interazione nell’ambiente. Richiede un elevato dispendio di energie mentali, è lungo poiché va ripetuto nel tempo, è soggetto ad errori perché è difficile da verificare in una gamma estesa di condizioni ma è efficace in situazioni di cambiamento. L’APPRENDIMENTO SOCIALE - DA MODELLI: è la competenza di acquisire nuove informazioni tramite e con i propri consimili. Implica un’interazione indiretta con l’ambiente ed è fondata sull’esperienza altrui. È un metodo economico poiché consente il risparmio di energie, veloce perché non occorre ripetere vari tentativi, è stabile perché gli altri di norma forniscono “pacchetti” già preparati di informazioni ed ha un soddisfacente grado di attendibilità perché già altri lo hanno verificato. È un apprendimento socialmente esteso e condiviso e appare meno valido nei periodi di cambiamento poiché tende a riprodurre forme già consolidate. L’IMPRINTING è l’apprendimento precoce e si dimostra in laboratorio infatti: gli uccello dimostrano una reazione di inseguimento verso il primo oggetto mobile che vedono dopo la schiusa, di norma tale oggetto è la madre e la costruzione del legame sociale neonato-modello è guidata da dispositivi genetici, avviene nel corso di un ristretto periodo definito come periodo critico ed è irreversibile. Oggi si valuta un modello meno rigido in cui per ottenere un imprinting si ha bisogno di un modello di riferimento confortevole. Il periodo critico è stato rinominato come periodo sensibile per indicare quel periodo in cui le influenze ambientali sono più efficaci per l’apprendimento di conoscenze e abilità e dove si ha un apprendimento facilitato. Tale concetto si estende al genere umano dove si è osservato che il secondo semestre di vita è il periodo sensibile per lo sviluppo del legame di accoppiamento da parte del bambino con la madre. Tra i 2 e i 6 anni è il periodo privilegiato per l’apprendimento della lingua materna. L’APPRENDIMENTO OSSERVATIVO: si basa su una rete di dispositivi che comprendono l’attività dei neuroni specchio, l’interdipendenza tra percezione e azione. È una forma di apprendimento che si trova tra i mammiferi superiori e la funzione principale è svolta dal modello che fornisce i criteri per la condotta da seguire. Avviene grazie all’interazione tra individui e non alla successione degli stimoli. Viene anche chiamato apprendimento vicario. Tale apprendimento conduce all’APPRENDIMENTO IMITATIVO che avviene quando un individuo risponde in modo consapevole all’azione di un altro per raggiungere il medesimo scopo. L’uomo ha un cervello in grado di gestire relazioni con 150 consimili, risulta quindi ovvio che nella specie umana l’apprendimento privilegi l’interazione sociale. 35 Si ritiene che il bambino sia un soggetto attivo e competente dotato di capacità cognitive ed emotive specifiche, di meccanismo di autoregolazione in grado di ricevere ed elaborare le informazioni provenienti dall’ambiente. Il bambino possiede competenza sociale fin dalla nascita ovvero riconosce la voce materna, preferisce il volto umano, sorriso sociale e a 4/6 settimane di vita si crea un sistema di interazione tra adulto e bambino caratterizzato da sincronia ritmica. Tale interazione è alla base dell’apprendimento del bambino. (ad esempio la condivisone congiunta dell’attenzione nei confronti di un oggetto che consente al bambino di partecipare in modo attivo con l’adulto nella condivisione di un interesse). Nel primo semestre di vita il lattante si limita ad interagire in modo esclusivo o con un oggetto (escludendo un adulto) o con l’adulto (escludendo l’oggetto) e forma così una relazione diadica. A 6 anni compare la capacità di prestare attenzione nello stesso momento all’adulto e all’oggetto e la relazione diviene triadica. In tale situazione l’adulto commenta verbalmente ciò che accade e vi attribuisce specifiche proprietà e qualità (predicazione). Tale condivisione comporta un incontro di menti tra adulto e bambino e tali interazioni sono sistemi aperti idonei a proteggersi e a autoregolarsi in funzione degli scopi. Si ha la costruzione di modelli di interazione ovvero cornici consensuali in cui l’accordo sul come fare le cose ha più importanza del cosa viene fatto. L’apprendimento in tal caso è appropriazione ovvero la tendenza ad acquisire le credenze, valori e pratiche di un certo gruppo umano procedendo a una loro parziale trasformazione. Si parla allora di APPRENDIMENTO CULTURALE dove le acquisizioni di informazioni culturali hanno luogo in modo episodico e fondate sulla condivisione di esperienze mediante la collaborazione tra i partecipanti. In tal modo il novizio ha modo di fare le proprie le forme della cultura di appartenenza diventando così esperto. L’appropriazione è anche dei processi adattivi all’ambiente, è un dispositivo domino-generale in grado di affrontare in modo flessibile i vari aspetti dell’esistenza umana. Gli uomini tramandano la cultura da una generazione all’altra formando un accumulo di apprendimenti esclusivo della nostra specie attraverso il processo di sedimentazione integriamole vecchie informazioni con le nuove. Si ha l’effetto a dente di arresto dove una volta compiuto un certo apprendimento e raggiunto un certo artefatto questo è soggetto solo a modifiche successive dalle quali non si può tornare indietro. BERTRAND RUSSEL – TEORIA DEI TIPI LOGICI ha distinto vari livelli di apprendimento che prevedono una gerarchia di livelli logici tra concetti, predicati e simboli: • APPRENDIMENTO ZERO: quando si giunge al massimo dell’apprendimento di una certa competenza e l’individuo non è più in grado di acquisire reali informazioni. Si ripetono quindi gli apprendimenti già acquisiti come nel caso dell’abitudine. • APPRENDIMENTO UNO: “impariamo ad imparare”: consiste nella modificazione della condotta dell’individuo e implica un miglioramento delle prestazioni in oggetto come ad esempio gli intervalli di percorrenza di un labirinto da parte del topo diminuiscono con la ripetizione delle prove. • APPRENDIMENTO DUE: è un cambiamento nel processo di apprendimento uno, occorre che le situazioni di un certo apprendimento uno siano simili e comparabili tra loro. Serve un contesto di apprendimento stabile dove il soggetto apprende non solo i contenuti ma anche i contesti nei quali i contenuti si trovano. • APPRENDIMENTO TRE: vi è un cambiamento nel processo di apprendimento che consiste nella modificazione di contesti di apprendimento come ad esempio la conversione che comporta una ristrutturazione profonda degli apprendimenti fatti fino ad ora. 36 L’APPRENDIMENTO A DISTANZA con lo sviluppo dei nuovi media è possibile un apprendimento a distanza ovvero la possibilità di imparare conoscenze e competenze cognitive attraverso attività specifiche di formazione online. Il termine FAD indica proprio la formazione a distanza che vede un rapporto virtuale tra allievo e docente. Il termine e-learning è sorto negli anni ‘70 ed è un metodo di FAD tramite il computer con l’applicazione di programmi di apprendimento specifici. Oggi si parla con frequenza di NET LEARNING poiché si prevedono forme collettive per apprendere insieme. Esso è un sistema versatile, è indispensabile una connessione internet ma si ha indipendenza nel processo di apprendimento. Occorre un continuo monitoraggio del livello di apprendimento attraverso una valutazione esterna o autovalutazione ed è caratterizzato da un buon livello di usabilità ovvero il grado in cui uno strumento elettronico può essere impiegato dagli utenti per raggiungere certi obiettivi. Le sue caratteristiche sono: • multidimensionalità: integrazione tra diversi media • ipertestualità: possibilità di effettuare in tempo reale una serie di collegamenti o links fra vari testi di riferimento • interattività situata • ipermedialità: connessioni tra un dato contenuto ed altre fonti di informazione come foto o video Ad esempio Serious Games è molto diffuso nel mondo anglosassone e nordeuropeo e sono attività digitali interattive che attraverso la simulazione virtuale consentono ai partecipanti di fare esperienze precise e accurate in grado di promuovere attraverso la forma del gioco percorsi attivi. È la nuova frontiera dell’apprendimento grazie a una grande forza motivazionale e all’utilizzo di simulazioni mentali. Si impara facendo (learning by doing). L’epigenetica esplora la possibilità dell’interdipendenza tra gene e ambiente, l’ambiente costituisce la terza elica del DNA poiché i geni da soli non sono in grado di agire e produrre comportamenti. Il Potenziamento a Lungo Termine (PLT) è un passo in avanti per capire la plasticità neuronale e per spiegare l’apprendimento, esso consiste nell’applicazione di uno stimolo potenziale a una via nervosa: la risposta sinaptica aumenta notevolmente rispetto alla risposta standard. Il PLT crea nuove connessioni sinaptiche e svolge una funzione centrale nell’elaborazione delle informazioni e mantenimento dei ricordi. Esistono PLT tardivi o precoci, sono ritenuti omologhi, rispettivamente dalla memoria a lungo termine e dalla memoria di lavoro. Ciò dimostra come l’elaborazione dell’informazione ed il suo apprendimento siano strettamente collegati in un meccanismo con memoria e ricordi. CAPITOLO 7. MEMORIA E OBLIO 7.1 La memoria è la capacità di conservare nel tempo le informazioni apprese e di rievocarle quando servono in modo pertinente, la memoria è un sistema in continuo divenire, è la nostra storia come individui ( memori personale) e come comunità alla quale apparteniamo (memoria collettiva). Implica un certo grado di distorsione rispetto alla realtà oggettiva dei fatti. Infatti la memoria è soggetta a suggestioni e a processi di rielaborazione personale che conducono ad un miglioramento dei ricordi (ottimismo mnestico). La memoria è limitata sia in termini quantitativi (il numero di informazioni che possiamo immagazzinare) sia in termini di durata (molti apprendimenti decadono dopo un certo periodo di tempo). La memoria è strettamente connessa con l’oblio. 37 Operazioni diverse sono: • la rievocazione quale capacità di ricordare in modo spontaneo la quantità massima del materiale prima esposto • il riconoscimento quale capacità di identificare correttamente le informazioni presentate in precedenza, distinguendole dalle altre informazioni non pertinenti ovvero distrattori • il riapprendimento ovvero apprendere nuovamente materiale già presente in memoria ottenendo un risparmio del tempo, il riapprendimento è aiutato dalla familiarità dello stimolo. • I ricordi falsi sono il fenomeno della falsa attivazione, sono frequenti quando uno stimolo nuovo è simile a uno già codificato e la memoria per aver pensato una parola associata è confusa con la memoria per aver visto tale parola (distorsione, bias). I soggetti sottoposti a ipnosi riferiscono ricordi che per almeno il 50% delle volte descrivono episodi mai esistiti ovvero sono delle vere e proprie confabulazioni. Per questo motivo le testimonianze ottenute sotto ipnosi sono state bandite dai tribunali degli Stati Uniti. Anche l’interpretazione dei sogni e la tecnica dell’immaginazione guidata ovvero immaginare un avvenimento complesso per alcuni minuti come se fosse un film, favoriscono la produzione di falsi ricordi nel 25% dei casi perché l’intervento dello psicologo finisce per indurre il paziente a crearsi ricordi su fatti mai esistiti. La costruzione di falsi ricordi è facilitata da domande fuorvianti che producono il ricordo di una realtà non esistente, tale tecnica può essere impiegata in ambiti giuridici e polizieschi. Il ricordo è una ricostruzione soggettiva dell’esperienza, la memoria conduce inevitabilmente a deviazioni di dati della realtà. Già negli anni ‘30 Frederic Bartlett aveva posto in evidenza che nel ricordare un breve racconto fatto da altri le persone procedono a importanti variazioni: riduzione delle informazioni contenute nel racconto anche del 50%, diversa organizzazione delle informazioni, sottolineandone alcune, tralasciando e omettendone altre (fenomeno dell’accentuazione). E infine l’assimilazione rendendo coerente il racconto completandolo. Schacter ha elencato i 7 peccati della memoria per indicare i modi principali in cui la memoria fallisce ovvero: • labilità: ci impedisce di ricordare cosa abbiamo fatto a distanza di tempo • distrazione: connessa con la mancanza di attenzione • blocco: incapacità di recuperare un’informazione che non abbiamo dimenticato • errata attribuzione: riferire informazioni a una fonte sbagliata • suggestionabilità: creare falsi ricordi • distorsione: le nostre convinzioni attuali modificano i contenuti precedenti • persistenza: incapacità di dimenticare e genera il fenomeno della ruminazione mentale per cui il soggetto ritorna sempre sugli stessi pensieri. La psicologia della testimonianza concerne lo studio della validità, attendibilità ed accuratezza dei ricordi di un testimone. Gli errori possono dipendere da due ordini di fattori: a) non sono presentate a un testimone di un processo tutte le alternative possibili a una data ricostruzione dei fatti b) si pensa che la memoria funzioni in modo attendibile, succede che persone dotate di psicologia ingenua ritengano ricordi di eventi con forte carica emotiva non siano soggetti a distorsioni tuttavia vanno incontro a processi di amnesia, ricostruzione e distrazione dalla registrazione di eventi. 40 L’ipermesia è la capacità lucida di ricordare scene complesse in tutti i loro particolari anche se lontani nel tempo, di solito è un fenomeno transitorio che ha luogo durante l’estasi maniacale o ipnosi o sotto farmaci o sostanze stupefacenti. Può anche essere una competenza permanente e parziale negli artisti come Proust o Mozart. Essa può essere associata a disturbi psichici come nella sindrome post-traumatica da stress (in caso di abuso o esperienza nei campi di concentramento) o per danni cerebrali. Il caso di Seresevskij: “egli possedeva una memoria formidabile e inesauribile, era in grado di ricordare formule molto lunghe ma anche situazioni precise, la sua incapacità di dimenticare lo condusse ad una condizione di emarginazione” L’amnesia è intesa come perdita totale o parziale di memoria a seguito di un trauma o di una malattia cerebrale, può essere totale fino a dimenticare il proprio nome o parziale ovvero limitata a un certo ambito di conoscenze e competenze. L’amnesia retrograda è la perdita di memoria per eventi accaduti prima del trauma mentre quella anterograda limita la capacità di memorizzare le informazioni presenti (come nella sindrome di Alzheimer). 7.3 Oblio e dimenticanza La mente non è in grado di conservare tutto ciò che elabora e deve affrontare due problemi: 1. la selezione delle informazioni in entrata 2. l’eliminazione delle informazioni non rilevanti o diventate tali. Ebbinghaus esaminò come la memoria per stimoli codificati cambi quando l’intervallo di ritenzione (ovvero il periodo tra la codifica e la rievocazione) aumenta. Tale curva segue una legge di potenza: il tasso della dimenticanza diminuisce con il passare del tempo. Essendo tale curva basata sul tempo è stata interpretata come effetto del decadimento: i ricordi più lontani nel tempo sarebbero i primi ad essere dimenticati. Tale ipotesi non si è dimostrata attendibile poiché il trascorrere del tempo non è causa diretta dell’oblio. Con oblio si intende l’eliminazione volontaria o involontaria di informazioni già memorizzate e va quindi inteso come parte integrante della memoria. Non è un processo negativo ma una risposta utile ed economica delle richieste avanzate alla memoria dell’ambiente in cui viviamo e va distinto dall’amnesia che rappresenta una condizione patologica. Dimenticare non significa perdere definitivamente una data informazione dalla memoria. L’oblio svolge un lavoro di selezione dato che la memoria ha dei limiti di capienza se vogliamo che funzioni nel presente occorre che certi ricordi del passato vengano eliminati. Wegner ha studiato l’effetto ironico, “non pensare ad un orso bianco” e scoprì che non si riesce a non pensare a qualcosa a lungo se si è istruiti in quel senso, si ha un fallimento nella soppressione dei pensieri. La memoria di lavoro è gravata pesantemente da processi di monitoraggio volti a controllare i cambiamenti volontari nei contenuti di coscienza. Anche quando siamo stanchi diventa molto più difficile evitare pensieri che vorremmo sopprimere. La concentrazione su casi positivi è molto più facile che sui casi negativi, quando non dobbiamo pensare a qualcosa siamo costretti ad arrivare questo secondo tipo di processo, è più facile concentrarsi mentalmente su qualcosa che non su “non qualcosa”. Perché dimentichiamo? 1. IPOTESI DEL DISUSO: se un ricordo non è rievocato per molto tempo, a poco a poco va perduto, ma tale teoria non spiega come mai certi ricordi possono riattivarsi dopo molto tempo e a volte in modo spontaneo 41 2. IPOTESI DELL’INTERFERENZA: è proattiva quando i ricordi più remoti interferiscono con la memoria di informazioni acquisite successivamente ed è retroattiva quando i ricordi più recenti limitano o danneggiano la memoria di quelli registrati in precedenza. Nella vita quotidiana tali processi agiscono insieme. 3. BLOCCO di un informazione già depositata in memoria: è un impedimento che si verifica quanfo vi sono diverse associazioni riferite ad un indizio, l’associazione più forte vince sulle altre e viene ricordata mentre le associazioni deboli perdono e sono dimenticate. La RAM è come se fosse una memoria di lavoro che è flessibile rispetto ai contenuti e quanto più è estesa e tanti più programmi può far girare insieme. La capacità della memoria di lavoro, ovvero la quantità di informazioni che può mantenere accessibili, è direttamente proporzionale alle nostre competenze mentali (intelligenza). James aveva distinto la memoria primaria ovvero il deposito iniziale provvisorio in cui le informazioni non vanno perse e la memoria secondaria ovvero la memoria a lungo termine da cui le informazioni non possono essere recuperate se non con un processo mentale attivo. Miller scoprì il numero 7+-2 per indicare la portata limitata della memoria a breve termine ovvero siamo in grado di ricordare 7 unità di informazioni diverse dopo una singola prestazione in assenza di ripetizione. Nel codificare le informazioni possiamo procedere per informazioni elementari singole separate o raggruppate a 2 o 3. La valutazione della portata della memoria a breve termine è data dal test span di cifre, una serie crescente di cifre da ripetere nel medesimo ordine o in ordine inverso, lo span di cifre all’indietro è assai più impegnativo di quello in avanti. La valutazione di tale memoria viene anche calcolata con il compito Brown-Petterson che consiste nel presentare ai soggetti una serie di 3 consonanti da ricordare e d’impedire una futura reiterazione chiedendo di iniziare a contare all’indietro da 100 a 3. I soggetti sono invitati a ricordare la sequenza a diversi intervalli di tempo, dopo 6 secondi l’accuratezza del ricordo decade del 50% e a 18 secondi è praticamente nulla. In presenza di compiti distrattori la volatilità della memoria a breve termine può diventare molto elevata con una durata di appena due secondi. Se vogliamo evitare il rapido deterioramento delle informazioni è quindi necessario ripetere con frequenza per mantenerle nel tampone di reiterazione. Richard Atkinson e Shiffrin proposero il modello multi processo della memoria, basato sullo scambio input-output: ogni stadio riceve input che trasforma in output che diventano input per lo stadio successivo. Gli stadi principali sono 3: 1. registro sensoriale 2. memoria a breve termine (MBT): funzione della reiterazione fondamentale 3. memoria a lungo termine (MLT) con collocazione stabile delle informazioni è una teoria infondata sul piano empirico poiché i pazienti con danni cerebrali tali da intralciare la MBT sono egualmente capaci di registrare nuove informazioni nella MLT. La MEMORIA SENSORIALE è la capacità do mantenere in modo sostanzialmente fedele le informazioni ambientali, è una memoria modale perché corrisponde alle varie modalità sensoriali. Occorre possedere un registro sensoriale in grado di captare e trattenere per il tempo necessario le informazioni sensoriali. La presenza del registro sensoriale è stata provata da George Spearling che si chiese “cosa possiamo ricordare con un solo sguardo?”. Ad alcuni soggetti era stata presentata per soli 50 ms una matrice 3x3 contenente 9 lettere, il compito era quello di nominare quanto più lettere possibili. Essi dicevano di averle viste tutte e 9 ma in effetti riuscivano a nominarne solo 4 o 5 (tecnica del resoconto finale). 42 “immaginiamo di poter scegliere, prima del lancio di una moneta, che cosa è preferibile tra 1 e 2 in cui 1. se esce testa non vinci nulla e se esce croce vinci 60 euro e 2. vinci 30 euro di sicuro. La maggior parte delle persone preferisce la 2 ma consideriamo ora una seconda situazione in cui a. se esce testa non vinci nulla, se esce croce perdi 60 euro e b. perdi 30 euro di sicuro. In questo caso le persone tendono a scegliere la prima opzione” Si parla di avversione alle perdite quando si rischia pur di evitare le perdite, sapendo che esse fanno più male rispetto al guadagnare la stessa quantità e si parla di effetto dotazione quando si ha preferenza per ciò che si ha per il fatto stesso che è in nostro possesso. Talvolta ci può essere una caduta dell’autocontrollo e scegliamo azioni di gratificazione nel breve, questo pur avendo un effetto iniziale piacevole può avere conseguenze negative. Siamo indotti a comportaci così da una tendenza ad apprezzare il presente e svalutare il futuro, tale tendenza è chiamata sconto temporale o temporal discounting. 8.2 Induzioni, abduzioni, analogie e creatività Quando siamo per la prima volta difronte ad uno stato di cose fino a quel momento sconosciuto, i tentativi di comprensione avvengono in modo consapevole: • si procede ad induzioni ovvero a ragionamenti che producono generalizzazioni a partire da esperienze ma che non conducono a conclusioni necessarie, le induzioni possono anche essere false. • Si possono usare abduzioni ovvero non solo abbiamo fatto una generalizzazione ma l’abbiamo anche spiegata • un altro metodo è l’analogia che non garantisce conclusioni certe ma fa parte degli strumenti mentali più usati dall’uomo. Nel ragionamento analogico usiamo come sorgente la conoscenza specifica di un certo dominio e la trasformiamo in un dominio diverso, tale ragionamento segue 5 sottoprocessi: 1. recupero: va tenuto nella memoria di lavoro il bersaglio mentre si accede a un caso più familiare che troviamo nella MLT. 2. Corrispondenze: bisogna allineare sorgente e bersaglio 3. valutazione: decidere se l’analogia è utilizzabile ed efficace 4. astrazione: isolare le invarianti tra sorgente e bersaglio 5. spiegazione e predizione: sviluppare ipotesi sul comportamento o sulle caratteristiche del bersaglio basandosi su quello che si sa della sorgente queste 5 operazioni sono simulate tramite modelli computazionali. Molte ricerche si sono concentrate sull’interazione tra apparenze superficiali e struttura di un problema non solo quando si deve trovare una soluzione ma anche quando va presa una decisione. Le somiglianze superficiali sono spesso più appariscenti delle differenze della struttura profonda. Ci sono analogie fatte per convincere, evocando schemi cognitivi collaudati ma ci sono anche analogie che portano a soluzioni creative ai problemi, persino per problemi mai concepiti in precedenza. 8.3 La deduzione La deduzione è la capacità di ricavare conoscenze vere a partire da altre conoscenze vere, tale processo serve a spiegare le nostre esperienze con il mondo soprattutto quando qualcosa ci sorprende. La logica consiste nel precisare le regole che permettono di ricavare conclusioni da premesse, indipendentemente dal fatto che siano vere o no, se si crede alle premesse si giunge a una conclusione secondo tale struttura: 45 se P allora Q, P quindi Q se P allora Q, non P quindi non Q (meno intuitiva) Da quando Aristotele ha formulato tale logica è stata concepita come lo scheletro della capacità umana di ragionare ma anche come la descrizione di concetti esatti o meno. Solo nell’ultimo mezzo secolo è nata la psicologia sperimentale del ragionamento, per molto tempo si è pensato che l’uomo avesse una sorta di logica naturale ovvero un insieme di regole che producevano le prestazioni corrette e spiegavano quelle erronee poi si è scoperto che così non è perché la parte cruciale è data non dalla logica ma dal contenuto del ragionamento. Peter Wason esponente della psicologia del ragionamento ha elaborato un compito di selezione: “mostrate a delle persone 4 carte appoggiate sul tavolo, spiegando che queste carte hanno da un lato una lettera e dall’altra un numero. Ditegli che se una carta ha una vocale su un lato allora ha un numero pari sull’altro lato. Ponete le carte A D 4 7 sul tavolo e chiedete di scegliere la carta per provare la frase precedente.” La carta con il numero 4 è stata scelta dal 46% delle persone ma la regola non dice cosa dovete aspettarvi dietro la carta con numero pari. La scelta corretta sarebbe girare la carta col numero 7. Se dietro la carta con numero 7 abbiamo una vocale la regola è falsa ma tale carta viene scelta solo dal 10% delle persone e persino dopo aver spiegato la risposta esatta passato un certo tempo le persone ci cascano di nuovo. Conclusione: i due compiti sono diversi per rappresentazione mentale e localizzazione cerebrale. Molti psicologi evoluzionistici hanno usato tale risultato per suggerire che l’origine delle nostre capacità di ragionamento e nell’individuare chi cerca di prendersi i benefici del vivere comune senza ricambiare quanto dovuto. 8.4 L’incoerenza e la focalizzazione Nel corso della vita quotidiana viene denunciata come irrazionalità l’accettazione di due credenze non coerenti tra di loro. L’incoerenza è l’eventuale verità simultanea tra dichiarazioni diverse. Quando tendiamo a costruirci rappresentazioni incomplete siamo indotti a credere che possono essere simultaneamente vere descrizioni del mondo che sono incoerenti tra loro. La focalizzazione è il restringimento della visione su poche opzioni e conduce le persone a sentirsi soddisfatte di una ricerca delle alternative possibili anche quando la ricerca non è completa. In particolare difronte al problema di decidere se eseguire o meno un’azione le persone tendono a costruire un modello dell’azione e un modello dove tale azione non ha luogo tralasciando così la ricerca di azioni alternative. Immaginiamo ora tale situazione sperimentale: “se si chiede di andare o non a vedere un film le persone non cercheranno informazioni su altre opzioni possibili ma solo sul tipo di film, l’orario e così via. Nella situazione id controllo la decisione ci viene presentata entro uno scenario ad esempio: immaginiamo di visitare per la prima volta Roma e che lo sperimentatore è un grande conoscitore delle attrazioni turistiche e non della città, tale scenario rende possibile vedere più opzioni oltre al cinema.” Gli psicologi gestalltisti hanno accertato che in situazioni in cui affrontiamo problemi ben definiti procediamo alla ristrutturazione cognitiva: “molti scienziati dicono di aver lavorato su un problema per anni senza aver trovato una soluzione soddisfacente e poi all’improvviso hanno compreso la soluzione” 46 Molto spesso i problemi sono troppo complessi per essere risolti immediatamente e in questi casi si possono usare due strategie: suddividere il problema in sotto problemi e usare euristiche ed algoritmi. Gli algoritmi sono una serie di regole che se adottate esplicitamente permettono di risolvere il problema mentre le euristiche sono regole che non danno una descrizione dettagliata ed esaustiva delle strategie per giungere alla soluzione ma che ci permettono di risolvere il problema al meglio, sono flessibili ed economiche con esiti soddisfacenti. Una tra le euristiche più potenti è quella dell’analisi mezzi – fini che ci guida nel considerare approcci alternativi alla soluzione. A tale scopo si deve affrontare un problema distinguendo: • lo stato iniziale: ovvero il modo in cui vengono descritte le condizioni di partenza • lo stato obiettivo: il modo in cui viene illustrato l’obiettivo da raggiungere • operatori: le operazioni per passare da uno stato all’altro • gli stati intermedi del problema: gli stati che si ottengono applicando un operatore a uno stato in vista del raggiungimento dell’obiettivo ciò viene definito lo spazio del problema da Hebert Simon. Il nostro modo di rappresentare lo stato iniziale è spesso cruciale, uno stato iniziale efficace può guidarci verso modelli che ci permettono di raggiungere facilmente la soluzione. Simon ha comparato l’attività di soluzione dei problemi all’attività di progettazione per esempio creare strutture organizzative che coordinano l’operato di più agenti: 1. la progettazione: coordinazione di molti elementi, ciascuno dei quali è composto da ulteriori elementi 2. la soluzione di un gioco complesso come il cubo di Rubik 3. un’impresa come aggregato multidimensionale di pratiche, regole, procedure e schemi di incentivi Simon ha mostrato che la soluzione di problemi da parte di agenti a razionalità limitata (coloro che usano euristiche) procede necessariamente tramite la decomposizione di un problema complesso ottenendo sottoproblemi che si possono risolvere l’uno indipendentemente dall’altro. In casi limite si parla di soluzioni creative nel senso che si inventa qualcosa di nuovo. La psicologia del pensiero si è dedicata allo studio di tali situazioni e agli ostacoli che rendono rara la creatività artistica. Agire una sorta di focalizzazione che rende difficile pensare a alternative possibili, ci si fissa sulle proprie idee e si trascurano i casi che potrebbero darci tanto. Si tratta del meccanismo di fissazione del pensiero studiato da Duncker in cui siamo talmente abituati alla funzione dell’oggetto che non concepiamo funzioni alternative. CAPITOLO 9. COMUNICAZIONE E LINGUAGGIO 9.1 Comunicazione, comportamento ed interazione Siamo esseri comunicanti poiché la comunicazione è un vincolo costitutivo di noi stessi, la comunicazione è un processo sempre situato, le pratiche comunicative intessono la nostra vita quotidiana. La comunicazione costituisce una piattaforma mentale in cui convergono funzioni cognitive (serve a connettere la comunicazione con il ragionamento e l’intenzionalità) , relazionali (si ha una continua interazione con qualcun altro entro la stessa cornice di società) ed espressive (stretta comunicazione con le espressioni artistiche). 47 Qualsiasi scambio linguistico consiste nell’impiegare frasi per realizzare un effetto intenzionale entro uno specifico contesto. Bisogna fare una distinzione tra atto e forza dell’atto stesso, il modo in cui è interpretato un enunciato e il risultato di un atto linguistico dipendono dalla forza contenuta nell’atto (forza illocutoria) e dai suoi effetti sull’interlocutore (effetto prelocutorio). Indicatori della forza non sono solo i verbi ma anche l’ordine delle parole, l’accento, l’intonazione e la punteggiatura. Gli atti linguistici si dividono in: • atti linguistici diretti: la forza illocutoria che il parlante intende attribuire all’enunciato è trasmessa in modo conforme al suo significato • atti linguistici indiretti in cui la forza illocutoria deriva dai modi non verbali con cui è manifestato Paul Grice distingue tra significato naturale e significato convenzionale o n-n, non naturale inteso come il voler dire qualcosa da parte del parlante a qualcun altro. La comunicazione è un processo costituito dall’emittente che vuole che il ricevente pensi o faccia qualcosa operando in modo che il ricevente riconosca che l’emittente sta cercando di causare in lui quel pensiero. Il successo della comunicazione si fonda sul principio di cooperazione, tale principio è stato declinato da Grice secondo 4 massime: 1. massima di quantità: dare un contributo che soddisfi la richiesta di informazioni o non fornire un contributo più informativo del necessario 2. massima di qualità: cerca di fornire un contenuto vero, non dire cose che credi false o non dire cose di cui non hai prove adeguate 3. massima di relazione: i tuoi contributi devono essere pertinenti 4. massima di modo: evita espressioni oscure, ambiguità, sii breve e procedi in modo ordinato Esiste una profonda differenza tra teoria e pratica di ciò che avviene, si procede così alla distinzione: • logica del linguaggio: si applica a livello superficiale dei significati • logica della conversazione: considera i processi che gli individui usano per inferire ciò che il parlante intende comunicare, implica la differenza tra dire e significare. Un conto è ciò che si dice e un altro è ciò che si intende comunicare. Per superare tale scarto occorre che i partecipanti facciano ricorso a un’impalcatura conversazionale che dipende dalle caratteristiche del contesto. Il parlare dicendo P implica conversazionalmente Q solo se: • si presume che il parlante segua il principio di cooperazione e le massime (presunzione di cooperazione) • il parlante crede che Q sia coerente con P • il parlante sa e si aspetta che il destinatario sia in grado di realizzare Q (mutua conoscenza) La pragmatica focalizza in modo specifico i rapporti che intercorrono tra testo e contesto, non vi è testo senza contesto così come il contrario. La mente è necessariamente in un contesto, gli effetti contestuali sono universali e continui. Il contesto va inteso come l’insieme delle restrizioni e opportunità biologiche e spazio temporali. Esiste un numero definito di contesti a disposizione in riferimento ad un medesimo testo e viceversa, essi sono incapsulati l’uno nell’altro. In passato si credeva che testo + contesto = messaggio ovvero le parole sarebbero state portatrici di una quota fissa di significato e il contesto era un complemento. Oggi si sa che non è così. 50 Qualsiasi messaggio è la sintesi tra testo e contesto in modo dinamico e simultaneo. Tale processo è reso possibile dall’azione congiunta tra aspetti semantici del testo (prospettiva internalista) e aspetti semantici del contesto (prospettiva esternalista). Il testo contribuisce a definire il contesto e il contesto attribuisce significato al testo. Ogni significato non è definibile a priori ma legato al contesto immediato. La regolarità dei significati si fondano sulla regolarità dei contesti. La comunicazione si svolge secondo sequenze routinarie definite in termini sia culturali, istituzionali e relazionali. 5. PUNTO DI VISTA PSICOLOGICO – BATESON Pone in evidenza che gli individui sono in comunicazione e che tramite essa giocano se stessi e le proprie identità. In ogni messaggio sono presenti 2 piani: la notizia ovvero ciò che viene detto e il comando ovvero il far capire all’interlocutore come prendere ciò che si dice. La comunicazione si articola così su più piani: quello della comunicazione ovvero i contenuti che si scambiano e la meta-comunicazione ovvero la cornice con cui interpretare i messaggi. Ogni scambio comunicativo implica un’interazione concreta fra due o più individui e a sua volta una sequenza di scambi che si ripetono nel tempo costituiscono un modello di relazione tra loro. Ogni volta che ciascuno di noi comunica qualcosa a un altro definisce nello stesso tempo se’ e l’altro. La comunicazione è quindi la base costitutiva dell’identità personale e della rete di comunicazioni in cui tutti siamo inseriti. Le relazioni sono intrise di comunicazione e la comunicazione vive di relazioni. 9.3 La natura del significato Apparentemente vi è una contraddittorietà del significato poiché da un lato è stabile mentre dall’altro caratterizzato da variabilità, secondo la semantica logico-filosofica sorta agli inizi del 900 il significato di una parola o frase è dato dal rapporto che esiste tra linguaggio e realtà. Il significato di un enunciato consiste nell’affermare qualcosa su un certo stato di cose che può essere vero o falso, ogni enunciato è dotato di un certo valore di verità. Le condizioni di verità sono diverse dall’effettiva verità o falsità dello stesso, tali condizioni sono di natura linguistica e sono le caratteristiche che un certo stato di cose nel mondo reale o possibile deve possedere affinché sia un enunciato vero in quel mondo. Il significato sarebbe composto da un insieme limitato di tratti semantici intesi come condizioni necessarie e sufficienti (CNS). Tale concezione implica: • nessun tratto può essere eliminato • nessun tratto può essere aggiunto • tutti i tratti hanno la stessa rilevanza • il significato di qualsiasi termine presenta confini precisi secondo una logica binaria di presenza-assenza il significato di qualsiasi unità linguistica costituisce un oggetto mentale univoco e immutabile nel tempo, in modo analogo agli oggetti fisici, siamo in presenza di una concezione oggettualistica che fa astrazione degli aspetti soggettivi, costituendo una sorta di deposito oggettivo condiviso con i parlanti di una comunità. Il significato sarebbe indipendente dalla mente dei singoli individui e dai modi in cui essi rielaborano le informazioni poiché è un’entità oggettiva. Critiche a tale impostazione molto rigida: • la distinzione tra tratti necessari ed accidentali non è così rigida ma nel significato di ogni parola esiste una gradualità delle proprietà semantiche • per i termini dei generi naturali non è possibile determinare in modo univoco le proprietà necessarie • la definizione di confini netti tra significati non è sostenibile se consideriamo che per molti oggetti esiste una zona di vaghezza semantica 51 • la linea di confine tra eventi ed oggetti non è netta ma vaga in funzione del continuum della realtà • la nostra conoscenza non è di tipo direzionale ma è data dall’enciclopedia delle nostre conoscenze. La semantica strutturale si prefigge di giungere a una definizione solo linguistica del significato. Il significato è il valore ovvero la possibilità di ogni parola di essere confrontata a qualsiasi altra parola della stessa lingua. Il significato di una parola nasce dalle relazioni intralinguistiche con le altre parole e consiste nelle differenze tra quella parola e le altre. È una semantica differenziale in negativo dove il significato è definito per quello che non è. Il significato possiede una dimensione unicamente linguistica ed è sganciato dalla realtà (concezione antireferenzialistica) e dalle elaborazioni concettuali o rappresentazione mentale (concezione antipsicologistica) ma questa è una prospettiva non sostenibile perché: • definisce i termini grazie ai rapporti ma i rapporti non possono essere definiti se non una volta definiti i termini • conoscere l’insieme delle relazioni linguistiche che esistono tra un termine e tutti gli altri non genera alcun significato. La semantica cognitiva nasce negli anni ‘70 e il significato viene inteso come il modo in cui comprendiamo le espressioni linguistiche e con cui rappresentiamo mentalmente a conoscenza della realtà (teoria della comprensione). Oggetto della semantica cognitiva è stabilire quale rappresentazione mentale è connessa con la parola in oggetto nonché quali relazioni esistono tra un messaggio, il suo contenuto ed i processi interpretativi. La semantica cognitiva è una teoria referenzialista e psicologica che presuppone il realismo psicologico e rinuncia all’autonomia della semantica. Il significato è uguale al prototipo proposto inizialmente da Rosch, all’interno di qualsiasi categoria alcuni membri son più salienti di altri, sono i migliori esemplari e posseggono più proprietà distintive della categoria in oggetto (modello standard del prototipo). Prevale il principio di somiglianza ed appartenenza dove altre entità possono entrare a far parte della categoria nella misura i cui sono simili al prototipo. Anche tale visione è soggetta a varie critiche: • la coincidenza tra rappresentatività e appartenenza appare insostenibile perché fondata su criteri imprecisi e spesso soggettivi • si può fare parte di una categoria anche senza essere simili ai prototipi (pinguino-uccello) L’appartenenza ad una categoria va fondata su un criterio più robusto: possiamo affermare che un’entità fa parte di una categoria se possiede la proprietà uomini a tutti i membri della categoria ovvero le proprietà essenziali. La presenza di una categoria è favorita anche dalle proprietà tipiche ovvero dalle proprietà specifiche aggiuntive, soggette a eccezioni o eliminabili. Tra le proprietà essenziali e tipiche esiste una gerarchia di rilevanza poiché le prime sono più importanti. Questo è il modello esteso del prototipo inteso come un insieme delle proprietà tipiche possedute. Il significato costituisce un prodotto sociale e culturale e in quanto tale oltre ad essere convenzionale è anche partecipazione, condivisione e reciprocità. Partecipare significa essere parte di uno scambio interpersonale, la partecipazione di un individuo a qualsiasi pratica comunicativa vuol dire essere in grado di influenzarla nel momento in cui si è influenzato, va considerata come fondamento, evoluzione dei significati. I significati sono dunque eventi sociali poiché emergono nello scambio tra i parlanti in una data situazione, sono quindi pubblici (non ha senso parlare di comunicazione privata). 52 • prosodia che si occupa di fenomeni linguistici come l’intonazione, l’accento che possono cambiare il significato delle parole • paralinguaggio che esamina aspetti sonori extralinguistici che non cambiano il significato del parlato come il volume o la velocità La Fonologia tratta lo studio dei suoni di una lingua in rapporto alla loro funzione distintiva nella comunicazione. L’elemento di base è il Fonema inteso come unità fisica indivisibile e astratta che di per se’ è sprovvista di significato. Tutti i fonemi sono foni ma non il contrario: è il caso degli allofoni ovvero le differenze di suono linguistico che non generano differenze di significato. Dall’analisi di 504 lingue è emerso che il sistema fonetico delle varie lingue è assai differenziato per il numero di vocali, consonanti e del tono. Vi è la riduzione dei fonemi in funzione della grandezza della popolazione. L’estensione dei fonemi segue il principio di effetto del fondatore: quanto più ci si allontana dall’origine e tanto più si riduce il numero dei fonemi. La Morfologia studia la struttura interna delle parole e descrive le varie forme che esse assumono a seconda delle categorie di numero, genere, tempo e persona. Le parole sono segmentabili in unità linguistiche più piccole, ciascuna delle quali porta una parte del significato della parola, tali elementi sono i Morfemi ovvero le unità linguistiche minime non ulteriormente scomponibili e dotate di significato. Il morfema libero è una parola per conto suo mentre un morfema legato richiede la collaborazione di altri morfemi composti da una radice che porta il significato principale e da affisso che specifica il significato. Il morfema grammaticale si suddivide in: passivo poiché si adopera solo per la flessione e derivazionale che serve a formare nuove parole combinando la categoria da cui derivano. La regola di formazione dei Lessemi sono le procedure atte a produrre un nuovo lessema a partire da uno esistente. L’insieme delle parole formano il lessico definito come un insieme finito ed eterogeneo composto da 9 categorie grammaticali di parole: nome, verbo, aggettivo, avverbio, pronome ecc… si distinguono parole piene o lessicali e parole vuote o funzionali. Il vocabolario base della lingua italiana comprende circa 7.000 fonemi e si può suddividere tra vocabolario classico e specifico. Al lessico linguistico corrisponde il lessico mentale ovvero l’insieme delle conoscenze di un parlante sulle parole da lui usate in una data situazione. Fra le numerose ipotesi avanzate per spiegare i meccanismi di accesso a tale lessico si distinguono: • MODELLI A RICERCA, modello di Logogen di MORTON secondo cui ogni parola ha una rappresentazione mentale (logogen) che funziona da rilevatore della parola stessa e tale ricerca è favorita dalla frequenza d’uso della parola. • MODELLI AD ATTIVAZIONE, modello di attivazione interattiva, McCLELLAND e RUMELMART secondo cui il riconoscimento delle parole è organizzato secondo 3 stadi: 1. analisi dei segmenti che compongono le parole 2. identificazione delle lettere 3. riconoscimento della parola La sintassi è l’insieme delle regole che governano la formulazione degli enunciati e discorsi. I sintagmi sono le unità minime di una frase e si distinguono in: nomi, aggettivi, pronomi ecc… la costruzione sintattica si fonda sulla ricorsività che assicura un costante incapsulamento degli elementi linguistici. Si fonda dunque sui principi di minimalità che conducono a strategie quali: • attaccamento minimale: non postulare una struttura sintattica che non sia necessariamente 55 • chiusura ritardata: se grammaticalmente possibile attaccare i nuovi elementi del sintagma che si sta elaborando • catena minima: costruire dipendenze sintattiche il più semplici possibili. CHOMSKY – TEORIA DELLA GRAMMATICA UNIVERSALE è una teoria usata per spiegare la natura specie-specifica del linguaggio, unendo fonologia, morfologia e sintassi si propone di descrivere la grammatica di una qualsiasi lingua naturale sulla base di un insieme di regole limitate (metodo formale): 1. la lingua è un insieme infinito di frasi 2. la frase è costruita da un insieme di elementi o alfabeto 3. tale alfabeto è composto da elementi primitivi 4. la grammatica è un sistema astratto di regole che generano frasi equivalenti tra loro 5. la grammatica è indipendente da ogni altro sistema cognitivo 6. esistono due livelli di rappresentazione della frase (struttura superficiale ovvero l’articolazione apparente e profonda che riguarda la categorizzazione linguistica) e una serie di trasformazioni consente di passare da una struttura all’altra 7. l’interpretazione semantica delle frasi è basata sulla loro struttura superficiale 8. i processi mentali che sono alla base della grammatica sono quelli dell’astrazione e del ricorso ai modelli ideali. La competenza è diversa dalla prestazione poiché la prima è detta lingua internalizzata e descrive la capacità di usare una data lingua e implica una conoscenza perfetta della lingua stessa mentre la seconda si definisce lingua esternalizzata e descrive la capacità di impiego concreto della lingua in una data situazione. A tale teoria vennero mosse numerose critiche: • non ha trovato mezzi teorici per ciò che corrisponde al soggetto o oggetto e al nome e al plurale • è impossibile confrontare le categorie linguistiche senza una metalingua che stabilisca a priori le necessarie distinzioni • venne rimproverato il rifiuto di affrontare il livello psicologico e sociologico ma aver proposto solo un modello matematico della lingua. LA CONCEZIONE DELLA RELATIVITA’ LINGUISTICA DI SAPIR E WHORF sostengono che il linguaggio sia un prodotto storico, culturalmente definito e in grado di modificare il modo in cui pensiamo. I parlanti elaborano modalità di pensiero diverse tra loro giungendo a una visione differente del mondo. Sviluppano l’ipotesi del determinismo linguistico secondo cui la lingua determinerà le forme di pensiero dei parlanti nei confronti dell’esperienza. La versione forte e insostenibile di tale teoria propone che i concetti possano essere pensati solo se formulati tramite il linguaggio. Mentre la versione debole sostiene che i concetti codificati con il linguaggio sono più accessibili e facili da ricordare, teoria alla quale sono state date prove empiriche. L’organizzazione mentale dello spazio è influenzata dalle categorie linguistiche a propria disposizione. 9.6 La comunicazione non verbale il sistema vocale è caratterizzato dalla caratteristiche paralinguistiche (tono, accento..) più quelle extralinguistiche (proprietà foniche). Tali caratteristiche sono associate ai profili di personalità, agli stati d’animo e alla manifestazione delle emozioni. Il silenzio è un modo strategico di comunicare regolato da una distribuzione asimmetrica di potere sociale. Il sistema cinestico comprende l’insieme dei movimenti del corpo, volto e occhi e il movimento facciale costituisce un sistema semiotico privilegiato. Tali movimenti servono a manifestare gli stati mentali del soggetto, le esperienze e gli atteggiamenti interpersonali. 56 La configurazioni espressive del volto sono state categorizzate da Ekman e Friesen tramite un sistema basato su 44 unità fisiologiche di azione. Un posto a parte merita lo sguardo che è un potente segnale comunicativo. I gesti si articolano in diverse categorie: gesti iconici, pantomina (rappresentazione di azioni), emblemi (gesti simbolici), gesti motori e linguaggio dei segni. La prossemica costituisce la percezione, organizzazione e uso dello spazio, distanza e territorio nei confronti degli altri e si va da una distanza minima (zona intima) a una distanza massima (zona pubblica). L’aptica fa riferimento alla serie di azioni di contatto corporeo con un altro. La molteplicità e la diversità dei sistemi di significazione o segnalazione che concorrono alla produzione del significato finale di un atto comunicativo è resa possibile dal processo di sintonia semantica e pragmatica che coordina i vari sistemi di significazione e segnalazione. Si elabora il significato modale di un messaggio ovvero il significato prevalente in situazioni convenzionalmente stabili da una data cultura. Grazie a tale processo si ottiene la flessibilità nella produzione e condivisione dei significato, la stabilità derivante dalla stabilità dei contesti e la responsabilità che le persone adottano quando comunicano per adattare i loro stili personali a quelli altrui. TEORIA DELL’ACCOMODAZIONE COMUNICATIVA – GILES E SMITH vede la forma di adattabilità reciproca nella realizzazione di scambicomunicativi, tale sincronia è il risultato dell’alternanza tra la coordinazione in fase dove le azioni di un interlocutore corrispondono in modo equivalente a quelle dell’altro e la coordinazione artificiae antifase quando le due azioni sono opposte. 9.7 Nuove frontiere della comunicazione per comunicazione mediata dai new media si intende la comunicazione tra più persone ottenuta mediante strumenti tecnologici che effettuano un’elaborazione digitale dell’informazione. microprocessori elaborano le informazioni in modo binario 0, 1 di presenza o assenza. Per essere elaborata e trasmessa deve essere digitalizzata, tale codifica presenta numerosi vantaggi: • facile modificazione • facile memorizzazione • trasmissione fedele • facile integrazione fra canali abbiamo così una comunicazione universale basata su una tecnologia unica in grado di trasmettere informazioni in tempo reale ed ha luogo a distanza e in assenza. Si costruisce un mondo virtuale con rimandi al mondo reale. CAPITOLO 10. VALORI, DESIDERI E MOTIVAZIONI 10.1 Valori e desideri come esseri umani siamo inclini alle cose di valore, l’attenzione al valore implica in modo immediato la distinzione tra la classe degli oggetti di valore e quello di non-valore. Il valore è un concetto convenzionale perché ha valore ciò che molte persone considerano degno di attenzione ed investimento, sono strettamente connessi con la cultura di appartenenza che fornisce i criteri in base ai quali assegnare valore a un dato oggetto. I valori sono costrutti motivazionali che definiscono ciò che consideriamo importante e che indicano quale scopi siano da raggiungere, consentono di orientarci nella realtà con sufficiente chiarezza, competenza ed efficacia. 57 Lo statuto necessario dei valori attribuisce validità e fornisce i criteri con cui organizzare i valori in una costellazione definita, fornisce le linee di condotta a cui doversi attenere, assegna loro la responsabilità delle loro azioni e stabilisce un sistema di premi e punizioni. Ma quale è il suo fondamento? Si basa sul confronto e sullo scambio tra gruppi interessati, ciò implica il riconoscere i punti di vista degli altri, è l’esito di un’attività di negoziazione alla ricerca di possibili conseguenze nel rispetto delle divergenze: • principio della tolleranza: disponibilità negli individui ad accettare la diversità come risorsa, è la comprensione delle diversità all’interno del parametro delle pari dignità. Rifiuta l’intolleranza come violenza • principio dell’intolleranza nell’intolleranza: questa condizione suscita in noi rettanza psicologica: in una condizione di intolleranza proviamo una reazione empatica per recuperare il nostro spazio. 10.2 La motivazione è un processo di attivazione dell’organismo finalizzato alla realizzazione di un dato scopo in relazione alle condizioni ambientali. Il nostro comportamento non è casuale ma motivato da una serie di cause ed è orientato alla realizzazione di determinati scopi e alla soddisfazione di bisogni. La motivazione prevede la presenza di livelli di complessità assai diversi tra loro: 1. i riflessi: rappresentano il sistema più semplice delle risposte dell’organismo come reazione a stimoli esterni o interni, sono meccanismo innati, automatici e involontario. Svolgono una funzione di difesa nei riguardi di stimoli nocivi o una funzione di regolazione che ha lo scopo di riportare l’organismo al suo equilibrio (omeostasi). 2. Gli istinti: sono sequenze fisse e stereotipate di comportamenti specie-specifici su base genetica in relazione a date sollecitazioni ambientali. Vediamo ora le principali teorie circa gli istinti: PROSPETTIVA EVOLUZIONISTICA – DARWIN l’istinto rappresenta lo schema di comportamento che assicura le maggiori probabilità di sopravvivenza degli individui di una specie. MCDOUGAL definì gli istinti come attività primarie che spingono l’organismo a prestare attenzione a certe categorie di stimoli ambientali al fine di soddisfare le proprie esigenze (psicologia armica). Tentò di descrivere una mappa degli istinti in cui comprese la curiosità, la tendenza gregaria e l’autoaffermazione. Negli anni 50 l’etologia studiò il comportamento degli animali nel loro habitat, si parla allora di predisposizioni istintive intese come condotte specie-specifiche regolate da uno schema fisso di azione. Si tratta quindi di un comportamento stereotipato e non consapevole dello scopo da raggiungere ma è in grado di attivare specifici programmi di attacco e difesa a seguito di uno stimolo causante una funzione di segnalazione. LORENZ specificò il concetto di imprinting inteso come la predisposizione istintiva al neonato a seguire, subito dopo la sua nascita, qualsiasi oggetto in movimento che emetta un richiamo definito, tale figura di solito è la madre (oca). Il periodo dell’imprinting è ristretto e limitato, si tratta di un periodo critico o sensibile nel quale si crea un legame fra lo stimolo e la condotta istintiva dell’animale. 60 Le nostre inclinazioni sono soggette a influenze e pressioni ambientali così furono elaborati i concetti di bisogno e pulsione dove con bisogno si intende una condizione fisiologica di carenza e necessità mentre con pulsione si intende uno stato di disagio e tensione interna che l’individuo tende ad eliminare. Le pulsioni sono diverse dagli incentivi infatti questi ultimi rappresentano oggetti o eventi in grado di venire incontro ai bisogni dell’individuo, sono stati declinati come rinforzo e si distinguono in rinforzi primari che sono indipendenti dall’apprendimento e rinforzi secondari che sono appresi e si basano sull’appartenenza ad una data cultura. Le motivazioni primarie sono connesse con i bisogni fisiologici mentre le secondarie fanno riferimento ai processi di apprendimento e di influenzamento sociale. Le prime sono influenzate dall’esperienza personale e sono regolate da processi mentali mentre le seconde assumono importanza per specifici fattori biologici nei processi di ricompensa o rigetto di determinate situazioni. La connessione tra le due lascia spazio allo sviluppo di nuove forme di motivazione. Vediamo alcune teorie: • GORDON ALLPORT – AUTONOMIA FUNZIONALE DEI BISOGNI dall’esercizio di certe abilità connesse al soddisfacimento di motivazioni primarie possono derivare nuove motivazioni secondarie che con il tempo assumono una propria autonomia e diventano rilevanti per gli individui • GERARCHIA DELLE MOTIVAZIONI – ABRAHAM MASLOW alcuni bisogni devono essere soddisfatti prima che altri possano essere presi in considerazione, alla base si trovano i bisogni fisiologici connessi alla sopravvivenza dell’organismo. Si innescano poi bisogni di sicurezza che devono garantire protezione all’individuo, una volta soddisfatte queste abbiamo i bisogni di appartenenza ed attaccamento come il sentirsi parte di un gruppo e sentirsi amati o amare. Ci sono poi i bisogni di stima che riguardano il bisogno di essere rispettati e i bisogni di autorealizzazione intesi come l’esigenza di realizzare la propria identità. A questi 5 livelli si possono aggiungere i bisogni di trascendenza intesa come l’esigenza di andare oltre se’ stessi per sentirsi parte di una realtà più vasta. I bisogni dei primi gradini sono bisogni di carenza in quanto cessano solo con il loro appagamento, per contro i bisogni dei gradi successivi sono bisogni di crescita che continuano a svilupparsi mano a mano che sono soddisfatti. 10.3 Esempio di motivazione primaria: la fame. Vi è l’esigenza di comprendere la natura delle preferenze e avversioni alimentari. Quello che è buono da mangiare è in primo luogo buono da pensare. Il cibo dunque prima di essere nutrimento è un prodotto mentale e culturale. La psicologia alimentare si prefigge di individuare gli aspetti ed i processi psicologici, individuali e collettivi sottesi all’alimentazione. Occorre considerare l’area dell’apprendimento alimentare poiché ciascuno di noi, fin da piccolo, impara ad apprezzare certi gusti. Tale apprendimento ci accompagna per tutta la vita e troviamo particolarmente appetitosi i piatti che abbiamo mangiato da piccoli. Tali preferenze o avversioni non riguardano solo il singolo ma le culture nel loro insieme, ogni cultura elabora un sistema di pratiche alimentari che regola i gusti e i cibi che hanno bene da quelli che fanno male e definisce la modalità di cottura e conservazione degli alimenti. In Europa consumare un piatto facendo rumore con la bocca è considerata maleducazione mentre in estremo Oriente trangugiare rumorosamente è un complimento per il cuoco. 61 Ogni cultura favorisce la prosecuzione e lo sviluppo della propria tradizione gastronomica come fattore di identità ed appartenenza. Tali tradizioni sono sorte presso le corti dei re come aspetto distintivo del loro stile e della loro concezione di governo. Nelle pratiche alimentari contano le proibizioni, un esempio ne è il maiale per gli ebrei e musulmani perché è divieto religioso. In un primo momento si era ritenuto che tale divieto fosse dovuto a eventuali esiti nocivi per la salute ma la ragione è un’altra. Il divieto del Levitico nei confronti della carne di maiale fu ripreso in modo tassativo da Maometto; l’Islam riscosse la massima adesione presso quelle popolazioni per cui la carne di maiale aveva scarsa rilevanza. Nelle comunità in cui il consumo di carne di maiale rappresenta un pilastro dell’alimentazione tradizionale l’Islam non è mai riuscito a conquistare la maggioranza della popolazione. La dieta insettivora è praticata dai contadini della Cina, popoli del sud est asiatico, zone equatoriali dell’Africa e anche gli antichi greci e romani, tale dieta si ritrova anche nel medioevo fino alla rivoluzione francese. Gli insetti sono presi allo stato larvale e mangiati cotti. Teoria dell’ottimizzazione del foraggiamento: l’uomo sceglie gli alimenti più convenienti nel rapporto costi-benefici e quelli che sono più facili da ottenere rispetto al territorio praticato per la loro abbondanza e dimensioni. La società dell’ecosistema tropicale ha accesso a un numero limitato di vertebrati di grossa taglia ma hanno però insetti anche di notevole dimensione. Le società che hanno a disposizione abbondanti quantità di grandi vertebrati non hanno bisogno di far ricorso agli insetti nella loro dieta. 10.4 Punti di vista sulla motivazione 1. TEORIA BIOLOGICA la scoperta dei meccanismi biologici sottesi alle motivazioni spinge a spiegare la loro genesi e svolgimento in funzione dell’omeostasi. Sono molte in tal senso le critiche poiché gli aspetti biologici sono condizioni necessarie ma non sufficienti per spiegare le condotte motivazionali dell’individuo, se ci fossero solo valori omeostatici da mantenere, saremmo ridotti a sovrameccanismi che replicano in modo automatico se’ stessi e invece l’uomo si caratterizza per la sua capacità di evolvere. 2. CONCEZIONE COMPORTAMENTISTA Il comportamentismo propose un modello esplicativo basato sull’interazione tra pulsione e abitudine. La pulsione nasce da una condizione di carenza per la comparsa di un bisogno e fornisce la spinta propulsiva che serve a raggiungere una data meta o evitare una condizione frustrante. L’elaborazione delle pulsioni secondarie avviene per apprendimento grazie all’associazione secondo i principi del condizionamento classico. L’associazione ripetuta tra pulsione e risposta crea un’abitudine che serve a dare direzione al comportamento e rende possibile la condotta opportuna per soddisfare e ridurre il bisogno in oggetto. Il comportamentismo si propone di individuare le condizioni per stabilire e mantenere un rapporto ottimale tra individuo ed ambiente attraverso processi di apprendimento ed associazione. Certe situazioni ambientali diventano incentivi grazie all’associazione ricorrente con le proprie esperienze gratificanti o di insoddisfazione. 3. PROPOSTA COGNITIVISTA ribalta il punto di vista del comportamentismo sottolineando che le motivazioni e i bisogni cambiano in rapporto alla quantità e qualità delle informazioni presenti nell’ambiente che l’organismo è in grado di elaborare. Evidenzia la capacità dell’individuo nel proporsi traguardi e perseguire scopi prefissati. La motivazione è lo scopo da raggiungere. 62 ottimizzare le potenzialità a loro disposizione. Il bisogno di successo individuale è distintivo della società occidentale. Una delle radici del bisogno di successo è l’estensione delle aspettative che le figure parentali nutrono nei confronti del figlio. Quando tali aspettative sono eccessivamente alte o troppo basse è probabile che il bambino cresca con un modesto bisogno di successo. I bambini che hanno un’elevata motivazione al successo hanno genitori che li incoraggiano all’indipendenza e sono pronti a premiare le buone prestazioni del figlio con manifestazioni di affetto. Il lavoro umano consiste in un’attività produttiva organizzata in modo collettivo da un’istituzione che è alimentata da 3 motivazioni: 1. razionale ed economica: consiste negli incentivi economici e nella soddisfazione dei bisogni primari attraverso un programma di ricompense e rinforzi 2. sociale: l’appagamento dei bisogni sociali del lavoratore attraverso i gruppi di lavoro 3. autorelazione: soddisfacimento dei bisogni di curiosità, apprendimento e successo. L’arricchimento dei contenuti professionali può accrescere sia il soddisfacimento che la motivazione al lavoro mentre i lavori noiosi tendono ad essere rifiutati. Il riuscire a fare bene la propria attività consente di mantenere un buon livello di autostima e un’immagine di se’ positiva e favorevole. 3. BISOGNO DI POTERE esigenza di esercitare la propria influenza e controllo sulla condotta altrui, tale persona non teme il confronto e la competizione. Questo bisogno nascerebbe da un’insicurezza che si placa solo attraversi la strumentalizzazione degli altri. Nelle culture orientali si ritiene legittima la distribuzione diseguale delle risorse di potere mentre nelle culture occidentali si punta alle pari opportunità. Il potere va concepito come una relazione tra A e B ed è definita dalla presenza di alcuni parametri: • le risorse possedute • l’asimmetria (A maggiore di B) • la sfera del potere • la creazione di aspettative Il potere è una relazione asimmetrica, riguardante ambiti specifici, nella quale A, in virtù delle risorse che si presume disponga, appare in grado di indirizzare e modificare in modo intenzionale la condotta di B verso la realizzazione di obiettivi. La relazione di potere è caratterizzata da: • bidirezionalità: se è vero che A influenza B è anche vero che B influenza A • frutto di processo di percezione sociale poiché è attribuita ad A una quantità di risorse maggiori rispetto a B • instabilità come luogo di rivalità tra individui e gruppi • implica il concetto di coercizione ma proprio a tal punto va incontro alla propria distruzione (paradosso della relazione di potere). Vi sono diversi tipi di leadership e relazioni di comando: autoritario, democratico e permissivo. Ogni stile ha vantaggi e svantaggi, non ne esiste uno migliore degli altri in assoluto, la leadership va considerata in relazione a una determinata situazione. In psicologia è preceduto dalla distinzione tra: • leader funzionale: centrato sul raggiungimento degli obiettivi e realizzazione dei compiti, è attivo e dinamico • leader socioemotivo: impegnato a mantenere la coesione del gruppo, si impegna a favorire i rapporti interpersonali. Esiste un livello motivazionale di base che riguarda l’esigenza di funzionare per la soddisfazione derivante dal funzionamento stesso. L’esercitare un’attività è gratificante per se’ poiché si dimostra 65 la propria competenza e fiducia nelle proprie risorse. È qui in gioco il senso della propria competenza di base intesa come la capacità di realizzare con successo i propri obiettivi. Le persone anziane, indebolite dalle malattie e prive di forze, spesso decidono di andare incontro alla morte (terminal drop), entrano in gioco processi che gradualmente vanno ad intaccare le ragioni per cui continuare a vivere. La motivazione intrinseca è lo svolgere un’attività gratificante per se’ stessa, risulta essere più duratura e efficace ed è legata al senso di autoefficacia. La motivazione estrinseca è il compiere la medesima attività per conseguire qualcos’altro (premio). Premi e ricompense possono in certi casi ridurre la motivazione intrinseca poiché costituiscono uno spostamento dell’attenzione da parte degli individui. Il livello motivazionale è dato dalla quantità e qualità dei suoi interessi, essi son alla base delle aspirazioni e sono fortemente collegati con le emozioni, in tal modo si delinea il sistema di credenze-interesse-emozioni che è la base della nostra identità. La povertà e rigidità della struttura motivazionale depongono a favore di una persona in difficoltà e a disagio nel rispondere alla gamma degli interessi personali e delle sollecitazioni che provengono dal proprio ambiente. CAPITOLO 11. EMOZIONI ED AFFETTI 11.1 L’emozione è un processo emergente in funzione dell’organismo e degli accadimenti all’interno di un dato contesto. Sono dispositivi mentali di adattamento all'ambiente in grado di consentire all’individuo di rispondere in modo efficace e flessibile agli accadimenti contingenti. TEORIA PERIFERICA, JAMES, 1884 l’emozione è il sentire i cambiamenti neurovegetativi che hanno luogo a livello viscerale a seguito di uno stimolo per noi rilevante, la situazione rilevante scatena una serie di risposte fisiologiche del sistema nervoso simpatico. Si passa in tal modo da un evento semplicemente percepito allo stesso evento emotivamente sentito. WALTER CANNNON critica tale impostazione perché la sconnessione tra organi periferici e il SNC non elimina le emozioni. In tempo successivi si è scoperto che nei visceri agiscono numerosi neuropeptidi associati alle emozioni, scoperta che da validità alla teoria periferica. Si ha l’ipotesi del feedback facciale in cui le espressioni facciali sono in grado di aumentare o attenuare le risposte emotive degli individui e la teoria vascolare dell’efferenza emotiva che sostiene che la temperatura cutanea e quella della fronte attiva specifici centri nervosi dell’ipotalamo e tutto ciò porta ad emozioni negative. Esse costituiscono una conferma sperimentale alla teoria periferica. DAMASIO con lo scopo di superare l’errore di Cartesio ovvero il netto dualismo tra corpo e mente procede a una mentalizzazione del corpo e una somatizzazione mentale, le emozioni sono un processo mentale ma hanno come teatro il corpo. Non è solo la mente a guidare il corpo ma è anche il corpo ad influenzare la mente. Pone grande attenzione al sentimento che non coincide con l’emozione ma si aggiunge ad essa e consente di sentila in modo consapevole. TEORIA CENTRALE DI CANNON: i centri di attivazione e regolazione dei processi emotivi sono localizzati nella regione talamica del cervello. Le emozioni sono una reazione di emergenza, tali 66 strutture cerebrali attivano una configurazione specifica di variazioni fisiologiche per ogni emozione: vi sarebbe corrispondenza tra esperienza emotiva ed il suo corrispondente quadro neurofisiologico. Tali teorie si sono dimostrate entrambe vere ma sono parziali, tutte e due hanno sottolineato aspetti unilaterali dell’esperienza emotiva con particolare riferimento a quelli neurofisiologici. Il passaggio a una comprensione psicologica delle emozioni avviene attorno agli anni ‘60 grazie ai lavori di PLUTCHIK e TOMSKIN con le TEORIE DEI PROGRAMMI AFFETTIVI in cui parlarono di concezione categoriale. Rifacendosi alla teoria di Darwin le emozioni sono associate alla realizzazione di scopi universali connessi con la sopravvivenza della specie e dell’individuo. Ogni emozione è regolata da uno specifico programma affettivo nervoso che scatta nel momento in cui l'individuo lo sente come rilevante per raggiungere uno degli scopi essenziali per la condotta umana. Nelle condizioni standard una volta che il programma è avviato si svolge in modo sequenziale e automatico dando origine a specifiche espressioni motorie. Sono state individuate 6 emozioni di base (primarie) quali: collera, disgusto, paura, gioia, tristezza e sorpresa. Esse vanno intese come blocchi che costituiscono la vita emotiva di un individuo, sono processi unitari e geneticamente determinati e non possono essere scomposti o modificati una volta attivati, sono regolati da un meccanismo on-off. Le altre emozioni sono emozioni miste intese come una sorta di miscela delle diverse emozioni di base. Secondo Ekman le espressioni facciali delle emozioni primarie sono universali perché gli antecedenti sottesi all’attivazione delle emozioni sarebbero comuni a tutti gli individui grazie a una valutazione automatica degli eventi emotivamente rilevanti. Le emozioni hanno insorgenza breve e rapida e sarebbero accadimenti involontari ed automatici. La concezione categoriale delle emozioni come generi naturali ha ricevute aspre critiche perché vista come convenzione acostestuale che ignora la rilevanza del contesto immediato e degli aspetti culturali. TEORIE DELL’APPRAISAL sostengono che le emozioni siano suscitate da un’attività di conoscenza e di valutazione della situazione in riferimento ai proprio significati e scopi. Grazie a tale attività formiamo una risposta alle seguenti domande: rilevanza, implicazioni, coping e significatività normativa. L’interesse è il cuore delle emozioni perché è ciò che attribuisce significato effettivo agli eventi che sono valutati come favorevoli o dannosi in riferimento agli interessi di una persona e la funzione delle emozioni è quella di soddisfarli. Ci sono interessi profondi che riguardano gli scopi, le aspettative ed i desideri condivisi dalla maggioranza delle persone e interessi superficiali che sono desideri e scopi della singola persona. Gli interessi hanno un preciso fondamento biologico, alcuni hanno una matrice più propriamente sociale e culturale ed il risultato è che essi presentano emozioni diverse. Secondo la psicologia ingenua le emozioni si oppongono alla razionalità e sono considerate passioni, le emozioni capitano nella nostra vita e non possiamo scegliere quale emozione avere e quando. Le teorie dell’appraisal pongono in evidenza come le emozioni siano profondamente intrecciate con i processi cognitivi perché la loro attivazione implica l’elaborazione cognitiva della situazione. Le emozioni non compaiono in modo gratuito ma sono esito di un’attività di conoscenza e valutazione della situazione in riferimento alle sue conseguenze, le emozioni sono risposte più economiche e vantaggiose per rispondere in modo tempestivo ed efficace a una certa situazione. 67 Nei casi di stress o trauma gli eventi emotivi deteriorano i processi di memoria in forma anche grave fino a giungere a condizioni di amnesia. Nel disturbo da stress post traumatico (PTSD) le persone manifestano rilevanti disturbi della memoria in cui si alternano intrusioni involontarie dei ricordi del trauma e assenza di ricordi. Il loro racconto dell’episodio traumatico è piatto e generale, la loro memoria autobiografica presenta un elevato grado di frammentarietà. In altri casi queste persone possono manifestare forme estese di apatia e distacco emotivo a seguito di processi di isolamento e scissione tra gli aspetti cognitivi e quelli affettivi del trauma. In passato si è ritenuto che il rafforzamento dei processi di memoria a seguito di eventi emotivi fosse da attribuire al restringimento dell’attenzione sugli aspetti focali di questi eventi. La verifica di tale ipotesi è stata fatta impiegando in prevalenza stimoli visivi, l’attivazione emotiva condurrebbe a mettere a fuoco le parti salienti dell’episodio emotivo a svantaggio delle informazioni periferiche. Questa memoria tunnel sarebbe l’esito combinato di una forte attivazione dell’organismo e di una valenza negativa degli stimoli. Effetto arma da fuoco : i testimoni di un crimine spesso bloccano la loro attenzione sull’arma del delitto e ignorano il resto provocando un annebbiamento per gli elementi periferici. Il deterioramento della memoria a seguito di eventi emotivi si pensava potesse esser spiegato con il livello ottimale delle emozioni in modo conforme a una U rovesciata; gli stimoli non esercitano un’influenza particolare sui processi di memoria, gli stimoli emotivi di livello intermedio aumentano la loro forza e persistenza mentre gli stimoli emotivi estremi ostacolano il loro svolgimento. Tale ipotesi non è mai stata verificata a livello empirico, appare riduttiva sul piano teorico perché spiega i fenomeni facendo ricordo al piano dell’intensità degli aspetti emotivi. Il deterioramento della memoria ha ricevuto contributi importanti dalla neuropsicologia in connessione con gli effetti dell’ippocampo; l’impedimento del funzionamento regolare dell’ippocampo da parte del cortisolo conduce a deficit di memoria per gli aspetti contestuali, frammentazione e sconnessione. Il cortisolo interferisce in modo consistente con il funzionamento nervoso della corteccia prefrontale coinvolta nella memoria di lavoro ed autobiografica. Questa interferenza può favorire l’ottundimento emotivo. 11.4 Svolgimento delle emozioni in generale le emozioni sono generate da una molteplicità di cause poiché nello stesso tempo presentano aspetti universali, altri comuni a un solo gruppo di persone e altri esclusivamente individuali, vediamo dunque nel dettaglio: • EMOZIONI COME ADATTAMENTO ALL’AMBIENTE DEL PLEISTOCENE: secondo la prospettiva evoluzionistica, le pressioni selettive dell’ambiente hanno dato forma alle emozioni come modelli di attivazione e risposta dell’organismo a specifiche categorie di stimoli al fine di assicurare la sopravvivenza della specie. Le emozioni sorgono come conseguenza dell’attivazione di specifici programmi nervosi che a loro volta sono innescati dalla comparsa di certi stimoli ambientali; tali programmi sono innati, fissi e automatici ed implicano l’insorgenza rapida e involontaria delle emozioni che assumono un decorso precodificato. Tale concezione ha avuto molte critiche perché vede la mente come statica. • EMOZIONI COME INTERRUZIONE E PRIORITA’: nel flusso della vita quotidiana assieme agli accadimenti attesi avvengono eventi particolari che attirano la nostra attenzione, in queste situazioni proviamo emozioni. L’emozione è dunque l’interruzione e segnale di allerta, è un segnale di attenzione in grado di interrompere le altre attività per consentire all’individuo di raccogliere le risorse e favorire una risposta pronta. Le emozioni 70 sono primitivi semantici ovvero segnali di controllo che vengono a colmare il vuoto tra gli istinti e la razionalità perfetta. • EMOZIONE COME PREDISPOSIZIONE ALL’AZIONE: le emozioni spingono gli individui prontamente all’azione, per modificare la situazione corrente. Le emozioni costituiscono un motore motivazionale importante per agire lungo una certa direzione invece che in un altra. Esiste un’interdipendenza tra la valutazione dell’evento, l’esperienza emotiva e l’azione di avvicinamento o allontanamento. Tale concezione già indicata da Magda Arnold è stata approfondita da Frijda sottolineando la tendenza e la prontezza all’azione come centrale per le emozioni, ciascuna di esse conduce a specifici cambiamenti nella preparazione all’azione in funzione delle risorse disponibili. • EMOZIONI COME LEGAMI INTERPERSONALI: siamo una specie ultra-sociale e nello stesso momento la più emotiva, è ovvio quindi che le emozioni siano strettamente intrecciate con le relazioni interpersonali. Le emozioni sono indispensabili per avvicinare o rompere la relazione con un’altra persona. La violazione delle aspettative suscita spesso rilevanti risposte emotive poiché tali aspettative forniscono una guida su quando e come le emozioni dovrebbero essere provate. Questa condizione ha promosso la comparsa di emozioni sconosciute presso i primati non umani come le emozioni auto consapevoli che riguardano la nostra immagine associata ad aspetti sociali rilevanti. Ogni cambiamento di tale immagine in senso positivo o negativo suscita in noi una di queste emozioni auto consapevoli. Ogni emozione è collegata a una circostanza attivante che funge da antecedente emotigeno che può appartenere a diversi ambiti. Vi è la valutazione primaria che esplora e definisce il grado di pertinenza ed importanza dell’evento in riferimento al benessere dell’individuo e la valutazione secondaria che esamina le diverse possibilità con cui l’individuo può far fronte alla situazione emotigena. Il processo di valutazione si articola in funzione di una serie di parametri idonei a prendere in considerazione i diversi aspetti della situazione emotigena. La teoria principale è stata sviluppata da: Klaus SCHERER: CONTROLLI DI VALUTAZIONE DELLO STIMOLO 1. Novità: l’organismo valuta l’evento inattesi e inaspettato, vi può essere l’attenzione automatica di processi neurali, la risposta di orientamento e la reazione di sorpresa 2. Piacevolezza/spiacevolezza intrinseca: l’organismo valuta la qualità edonica dello stimolo, la piacevolezza suscita risposte di avvicinamento mentre la spiacevolezza induce reazioni di allontanamento. 3. Pertinenza dello stimolo per i bisogni e gli scopi dell’organismo: il soggetto procede a valutare se un certo stimolo favorisce o ostacola il raggiungimento dei propri scopi e desideri. 4. Capacità di far fronte (coping) agli stimoli: l’organismo si trova a valutare le proprie possibilità di controllo nei confronti dello stimolo emotigeno, nel verificare la natura della causa, nell’accettare il grado di controllabilità dell’evento. Il coping può essere: 1. primario se inteso come capacità di controllare l’evento che ha attivato l’emozione 2.secondario definito come la capacità di gestire le proprie reazioni emotive 3. attivo come prontezza ad entrare in azione e 4. passivo come preparazione alla difesa infine 5. coping intrapsichico definito come la tendenza dell’individuo a valutare l’evento emotigeno come più favorevole di quanto non consenta in un primo momento lo stato reale delle cose 5. compatibilità con le norme sociali e l’immagine di se’: il soggetto valuta se e quanto la situazione emotigena sia conforme agli standard ed aspettative del proprio gruppo sociale. 71 11.5 Dare un nome alle emozioni una volta provata un’attivazione del nostro organismo, dobbiamo darvi n nome ed un’etichetta. Le nostre sensazioni interne, chiamate qualia, sono sfuggenti e hanno una natura prelinguistica. Sembra esistere un soddisfacente grado di somiglianza nei concetti emotivi tra le varie culture, almeno a livello superficiale. Più frequentamene di altre sono ricordate le emozioni fondamentali, tale ipotesi oggi non appare cosi scontata, essa si scontra con l’evidenza della diversità dei lessici emotivi; ogni cultura ha elaborato il proprio lessico emotivo. Emergono notevoli differenze nell’estensione dei singoli repertori linguistici. È evidente che avere a propria disposizione un repertorio lessicale emotivo esteso consente inferenze e operazioni pragmatiche assai più numerose, sottili e flessibili rispetto a un lessico emotivo limitato. Il primo facilita l’articolazione e la differenziazione delle esperienze emotive rispetto al secondo. Nell’apprendere un certo lessico un bambino impara altresì modi particolari di pensare le esperienze emotive. L’estensione del lessico solleva inevitabilmente problemi di trasferibilità e di traducibilità dei significati delle esperienze emotive da una cultura all’altra. L’esigenza di dover far ricordo a locuzioni e parafrasi per rendere nella lingua A l’equivalente della cultura A non pensano in termini propri della cultura B. persino il termine stesso “emozione” non è universale. Questa diversità culturale tra i lessici emotivi comporta rilevanti specificità linguistiche che a loro volta influenzano in modo significativo le possibilità della corrispettiva competenza emotiva ed affettiva. Esistono diversi termini emotivi nella lingua italiana, non hanno l’equivalente semantico e lessicale in altre lingue e viceversa (ad esempio la parola cinese amae indica l’emozione di essere dipendente, protetto e curato). È stata esplorata l’organizzazione semantica del lessico emotivo con soggetti di lingua inglese; le categorie emotive sono strutturate secondo la dimensione verticale avendo come livello sovraordinato la categoria emozione come livello base la categoria felicità, paura, collera, odio come livello subordinato categorie come irritazione, fastidio, rabbia ecc… il dominio emozione prevede un’organizzazione gerarchica regolata dalla presenza di alcune dimensioni come la valenza edonica (emozioni piacevoli o spiacevoli), l’intensità, la causa delle emozioni. Le categorie emotive si sono dimostrate meno compatibili con la dimensione orizzontale della categorizzazione concernente la comparsa di prototipi. Quando si è cercato di individuare dei prototipi per le categorie di base delle emozioni non si è trovata nessuna occorrenza concreta ma si è giunti a delineare una sorta di copione che descrive le caratteristiche salienti per ognuna di esse. Le categorie emotive sono modelli mentali ampiamente influenzati dalla cultura. La categoria “collera” è una condotta emotiva di difesa o attacco a fronte di un ostacolo che impedisce il raggiungimento o mantenimento di una condizione desiderata. Assume significati diversi in relazione a diverse culture. Data questa diversa configurazione della categoria “collera” la condotta emotiva corrispondente varia da cultura a cultura: nella cultura inglese la collera è lecita ma va controllata, per la cultura italiana è accettata e giustificata anche se non deve superare certi limiti, è socialmente incoraggiata nella cultura albanese. Parliamo ora degli script emotivi: le categorie emotive sono costrutti articolati e rimandano a esperienze che nascono, si sviluppano e si esauriscono nel tempo, seguono un copione o script emotivo inteso come una forma schematica di rappresentazione mentale di un evento, organizzato in modo sequenziale a livello temporale e psicologico nella quale l’evento in esame è scomposto in 72 significato è indecifrabile. Secondo la gestione locale solo il contesto è in grado di fornire gli indizi necessari per attribuire significato attendibile all’espressione facciale. La medesima emozione può suscitare espressioni facciali assai diverse. Le espressioni facciali sono accompagnate da movimenti corporei, la testa è sempre attaccata ad un corpo e le espressioni facciali fanno parte di un più ampio repertorio espressivo dell’organismo. Anche la voce costituisce un modo efficace al riconoscimento delle espressioni facciali rendendole più attendibili. Il contesto fisico e sociale sono fondamentali. EFFETTO KULESON: la successione degli stimoli emotivi modifica in modo intrinseco la loro valutazione, dimostrò il valore fondamentale del montaggio per far percepire l’espressione di personaggi in un modo piuttosto che in un altro. L’eventuale assenza di un contesto conduce in numerose situazioni a giudizi erronei. “quando l’espressione facciale è presentata isolata, gli osservatori giudicano di trovarsi difronte a un’espressione di rabbia ma quando tale faccia è inserita in un contesto viene avvertita come esultanza.” Gli agenti conversazionali virtuali sono entità software in grado di comunicare con i fruitori attraverso canali verbali e non verbali. In particolare GRETA, agente virtuale realizzato e perfezionato presso il laboratorio dell’università di Paris 8, ha formato l’occasione per fare importanti apprendimenti sulle espressioni facciali complesse di emozioni miste. Le espressioni complesse sono generate dalla sovrapposizione di emozioni diverse che manifestano esperienze emotive contrastanti. Tali espressioni possono essere analizzate con l’impiego di ECA applicando la Fuzzy Logic ovvero variando le componenti della configurazione emotiva di partenza e inserendo progressivamente componenti della manifestazione di un’altra emozione e giungendo così alla morfologia composita del volto. Parliamo ora di effetto uditorio: le espressioni facciali delle diverse emozioni sono influenzate grandemente dal contesto sociale e in particolare dalla presenza di altri. Nella loro regolazione quando si tratta di esperienze negative e al cospetto di persone con una posizione superiore si assume un valore di facilitazione in presenza di eventi favorevoli e piacevoli. “in caso di strike i giocatori di bowling sorridono solo nel 5% dei casi quando osservano il risultato da soli, mentre sorridono praticamente sempre se si rivolgono agli amici presenti” 11.7 La voce delle emozioni Già le scuole retoriche dell’antica Grecia e di Roma enfatizzavano il ruolo centrale delle proprietà vocali per esprimere le emozioni e sottolineavano la loro efficacia presso l’uditorio per ottenere il consenso. La voce appare in grado di comunicare le emozioni attraverso la modulazione del ritmo, intonazione e intensità. Possiede un enorme valore educativo non solo per il cosa viene detto ma anche per il come viene detto (tono: frequenza fondamentale Fo, durata: velocità dell’eloquio e ritmo, pause e intensità). La produzione vocale delle emozioni è uno dei fenomeni più rilevanti all’interno del sistema paralinguistico per valutare i profili vocali nelle varie emozioni si fa ricordo a diversi procedimenti e tra questi esiste una sostanziale convergenza dei risultati. Essi indicano l’esistenza di specifiche configurazioni dei profili vocali per ogni emozione in grado di consentire una loro discriminazione: • la collera è caratterizzata da un incremento della media e della variabilità del tono, da un aumento dell’intensità della voce con pause molto brevi o assenti. 75 • La paura è espressa con un forte aumento della media, della variabilità e gamma del tono, con un elevata velocità di ritmo di articolazione e un’intensità forte • la tristezza è manifestata con un tono mediamente basso per il decremento della media e della gamma del tono • la gioia è qualificata da un aumento della media, della gamma e variabilità del tono • il disprezzo è espresso attraverso un’articolazione lenta delle sillabe e una durata prolungata della frase. Questi studi dimostrano un’elevata capacità del canale vocale nel veicolare in modo autonomo precise informazioni, siamo in presenza di un codice paralinguistico che accompagna costantemente quello linguistico e ne modifica il significato. Gli studi sulla percezione delle espressioni vocali nelle emozioni riguardano la capacità di saper ascoltare e riconoscere in maniera corretta lo stato emotivo del parlante prestando attenzione solo alle sue caratteristiche vocali, l’accuratezza media di riconoscimento è del 65% circa. “la collera è l’emozione più facilmente riconosciute, mentre il disprezzo e la tenerezza sono quelle meno riconosciute attraverso la voce, in generale sono più facilmente identificabili le espressioni vocali delle emozioni negative rispetto a quelle positive” 11.8 Gesti ed emozioni i gesti espressivi sono i movimenti di diverse parti del corpo, possiamo definire la qualità dei movimenti in funzione di: • attività motoria • espansione spaziale dei movimenti • la loro intensità di forza • accelerazione e velocità dell’esecuzione di gestione Le persone presentano maggiore attenzione all’estensione spaziale e temporale dei gesti e della loro ripetizione mentre appaiono meno sensibili alla loro fluidità e forza. “la collera è marcata dall’attività motoria elevata e da gesti vigorosi, la gioia è caratterizzata da movimenti rotondi e continui, la tristezza è collegata a una bassa attività” Le situazione di congruenza vs incongruenza fra le manifestazioni emotive facciali e quelle dei gesti consentono di verificare come elaboriamo informazioni emotive complesse. Nella situazione in cui questi sistemi siano tra loro coerenti abbiamo un forte incremento dell’accuratezza dei giudizi per entrambi mentre nella condizione di conflitto i soggetti tendono a dare più importanza ai gesti. 11.9 Regolazione delle emozioni non solo proviamo emozioni ma siamo anche in gradi di procedere alla loro regolazione, tale regolazione va considerata come loro parte integrante e opera fin dal momento in cui esse sorgono. È un processo fondamentale per l’individuo poiché esprime la sua capacità di sapersi adattare in modo attivo alle situazioni. Il risultato è un incremento di competenza, fiducia in se’ stesso e armonia con gli altri. La rievocazione di emozioni serve a dare forma alla condotta emotiva a fronte di un evento saliente. 9 soggetti su 10 riferiscono di regolare e modificare il corso delle loro condotte emotive una o più volte al giorno, nel processo di regolazione occorre evitare qualsiasi forma di eccesso. Esiste si l’irregolazione emotiva ovvero il controllo rigido e costante delle esperienze affettive sia l’iporegolazione emotiva ovvero manifestazioni di impulsività, reattività immediata agli stimoli emotigeni. 76 La regolazione delle emozioni prevede una gamma di processi concernenti le varie fasi dell’episodio emotivo: valutazione della situazione, attivazione dell’organismo e manifestazione dell’emozione stessa. JAMES GROSS E ROSS THOMPSON hanno proposto un modello che distingue tra le operazioni di regolazione concernente gli antecedenti e quelle riguardanti la risposta emotiva. Sono 4 i principali interventi che gli individui possono compiere negli antecedenti emotivi: 1. selezione della situazione: scegliere se accettare o meno certe persone o situazioni 2. modificazione della situazione: introdurre un elemento di cambiamento 3. dislocazione dell’attenzione: concentrare le risorse attentive su alcune informazioni della situazione 4. rivalutazione della situazione: attribuire un significato diverso alla situazione in riferimento alla risposta emotiva la regolazione consiste nel saperla modulare nelle sue diverse componenti, le persone hanno a loro disposizione la possibilità di intervenire sugli aspetti fisiologici in diversi modi: • impiegare farmaci specifici su prescrizione medica • fare ricorso a esercizi fisici • fare esercizi di rilassamento la modulazione riguarda l’accettazione della mimica facciale, voce e postura del corpo. È possibile modulare la risposta emotiva attraverso la condivisione sociale delle emozioni, il 90% delle persone di età diverse condivide con altri le proprie emozioni anche se tale condivisione riattiva i sentimenti e le sensazioni fisiologiche provate durante l’episodio emotivo. Il fatto di parlare delle proprie emozioni favorisce la definizione del loro significato e della loro rilevanza personale e consente di ottenere aiuto e conforto. La modulazione della risposta emotiva può trarre benefici dal riportare per iscritto le esperienze emotive provate nel corso della giornata. PANNEMAKER e il METODO DELLA SCRITTURA ESPRESSIVA per cui ogni sera per circa 15/20 minuti occorre descrivere gli episodi emotivi provati durante il giorno, senza preoccuparsi dello stile o della grammatica; questa pratica deve durare almeno una settimana e facilita il grado di apertura emotiva e consente di distanziarsi dalle esperienze negative. L’individuo acquista maggiore fiducia nelle proprie risorse. La regolazione delle emozioni è un indicatore valido dell’intelligenza emotiva intesa come abilità di percepire ed esprimere le emozioni, identificare le emozioni in noi stessi e negli altri. 11.10 Emozioni e Cultura dato che le emozioni sono attivate dal modo in cui interpretiamo le situazioni la loro categorizzazione varia da cultura a cultura. “gli americani che prediligono la felicità, scelgono eventi in cui è più probabile che essa si attui” Nelle culture indipendenti gli individui considerano tali eventi dal loro punto di vista (prospettiva dentro-fuori) nelle culture interdipendenti le persone valutano gli stessi eventi secondo il punto di vista altrui (prospettiva fuori-dentro). L’esperienza emotiva è focalizzata sul gruppo delle culture interdipendenti mentre è centrata sull’individuo nelle culture dipendenti. Le culture individualistiche enfatizzano il conseguimento dei risultati positivi connessi con l’autoaffermazione, sono culture della promozione delle emozioni positive. Le culture collettivistiche prediligono l’evitamento dei risultati negativi e sono culture della prevenzione ed inibizione delle emozioni negative. 77 conoscenze tra le persone. Essa ha luogo in modo selettivo mediante l’interazione sociale nello svolgimento di attività congiunte. Entra qui in gioco il ruolo del novizio, egli deve fare proprie le forme e non le manifestazioni della sua cultura per diventare esperto, ciò presuppone una specifica capacità di apprendimento culturale. L’appropriazione ovvero acquisizione di processi di adattamento attivo degli ambienti. È l’evoluzione culturale intesa come insieme di cambiamenti riguardanti le sindromi culturali, la rete delle conoscenze e delle credenze: modelli di condotta e gli stili di vita, tale evoluzione è soggetta a pressioni provenienti dall’interno e dall’esterno dell’organismo. A differenza dell’evoluzione biologica quella culturale ha un ritmo più veloce mentre l’evoluzione genetica può avvenire anche in linea verticale (dai genitori ai figli) quella culturale può avvenire anche in linea orizzontale (tra pari in modo reciproco) e obliquo (media). Dal momento della sua comparsa la cultura ha rappresentato al massimo il 5-6% della storia evolutiva della specie umana, tale consapevolezza ci aiuta a evitare qualunque forma di provincialismo temporale (assolutizzare un certo periodo storico). A una teoria del prodotto fondata sulla comprensione del perché esistano forme culturali stabili occorre sostituire una teoria del processo finalizzata a capire i cambiamenti continui che hanno luogo nel corso delle generazioni. La cultura è definibile come l’appropriazione di una rete globale e dinamica, più o meno coerente, di conoscenze e credenze, di significati, valori ed emozioni e di pratiche di vita attraverso l’apprendimento sociale all’interno di un gruppo umano socialmente organizzato in modo da adattarsi attivamente al proprio ambiente e dare senso all’esperienza propria e altrui. La cultura è intesa come collezioni di sindromi culturali, ognuna di esse è una configurazione domino generale, flessibile e resistente. Tali sindromi generano una rete di significati, attese e pratiche che caratterizzano una data cultura, quando un certo aspetto della sindrome culturale è attivato probabilmente anche gli altri elementi diventano accessibili nella memoria di lavoro. Daphna Cyserman ha elaborato una prospettiva che offre diversi vantaggi: • anzitutto sono trasversali e domino generali, presenti nelle diverse culture • tali sindromi sono articolate in variabili intermedie, ad esempio: l’individualismo è scomponibile in: indipendenza personale, autostima e ottimismo mentre il collettivismo si può disgregare in armonia o forte preferenza per i familiari e conoscenti. Le variabili intermedie sono domino-specifiche poiché sono strettamente legate al contesto e alla condotta più pertinente ed efficace in riferimento a una situazione contingente • le sindromi culturali sono presenti in tutte le culture anche se con diffusione ed intensità diversa. • Quando una data sindrome culturale è attivata implica sempre il medesimo tipo di risposta e comportamento in modo indipendente dalla cultura. 12.2 Origini della cultura per milioni di anni la nostra specie è andata avanti senza cultura, a cosiddetta invenzione della cultura è l’esito di una sedimentazione di processi assai diversificati che nel corso di milioni di anni hanno contribuito in modo convergente e dinamico a costruire le fondamenta su cui si è costruita la cultura. Radicandosi nella biologi è nata la cultura attraverso una lunga traiettoria evolutiva, l’influenza della biologia sul genotipo degli individui appartenenti a culture diverse da origine a un certo numero di differenze, forma meno del 12% delle variazioni genetiche. 80 La cultura ha sviluppato una gamma di propri gradi di libertà nel corso del tempo e ciò ha reso possibile una declinazione differenziata delle informazioni genetiche in funzione dell’ambiente di riferimento. Biologia e cultura presentano una costante interdipendenza connessa alle condizioni contingenti della situazione. La cultura dipende dalla biologia nel medesimo tempo in cui influenza la biologia stessa per adattarla alle condizioni dell’ambiente e per mantenerla ottimale in funzione dei propri scopi. La conseguenza è che la mente è più estesa del cervello. Il rapporto biologia e cultura è considerato a interdipendenza intrinseca, a doppia elica. DAMASIO dalle sue ricerche ha fatto emergere come il cervello sia destinato a creare mappe nell’interazione costante con l’ambiente, a loro volta tali mappe cerebrali sono la base per l’elaborazione di immagini mentali. Nessuna delle funzioni distintive della nostra mente sono presenti al momento della nascita ma si sviluppano grazie all’interazione con gli altri umani in un dato contesto. Che la cultura modifichi in modo sensibile l’assetto funzionale del cervello è un fatto evidente ed empiricamente fondato su precise ricerche condotte nell’ambito delle neuroscienze culturali. Per passare da organismi biologici a soggetti culturali abbiamo dovuto compiere un serie incredibile di cambiamenti: 1. STAZIONE ERETTA E BIPEDISMO: in primo luogo da quadrumani siamo diventati bipedi, non sappiamo il motivo di tale cambiamento, probabilmente per vedere meglio nella savana avendo un orizzonte più ampio. Stazione eretta e bipedismo hanno comportato cambiamenti profondi nell’assetto del nostro organismo: la differenziazione e speciazione degli arti, la modificazione di femore e bacino, la conformazione del piede… la mano si specializza nella presa e nelle azioni mentre i piedi si perfezionano nella marcia in stazione eretta. L’opponibilità del pollice attribuisce alla mano maggiore destrezza e plasticità consentendo una presa di precisione oltre che di forza. Ciò ha comportato svantaggi notevoli come il restringimento del canale del parto e mentalità neonatale a artrosi e ernia. 2. QUOZIENTE DI ENCEFALIZZAZIONE: la stazione eretta ha favorito l’aumento della massa cerebrale. L’incremento del quoziente di encefalizzazione ovvero il rapporto delle dimensioni del cervello umano rispetto a quello di un primate non umano di pari peso, passa da 3,1 a 5,8. in 2 milioni di anni il volume del cervello umano è aumentato oltre il 300% l’espansione del SNC costituisce una condizione biologica essenziale per la comparsa della cultura poiché rappresenta il supporto nervoso necessario per elaborare gli stimoli ambientali a livello mentale. L’enorme sviluppo del cervello umano ha consentito di elaborare le informazioni sociali oltre a quelle fisiche. L’aumento della numerosità del gruppo e una robusta disposizione della cooperazione costituiscono una forte pressione della selezione naturale per innalzare la probabilità di sopravvivenza. 3. APPARATO VOCALE E LINGUAGGIO: la nostra cultura richiede la capacità di produrre una gamma estesa e fine di suoni vocalici, l’evoluzione dell’apparato vocale ha comportato una definitiva conformazione del tratto vocale sopralaringeo, composto da 2 cavità: la cavità faringea e quella orale, tale conformazione rende possibile l’emissione di suoni finemente diversi. Le corde vocali sono sorte in modo causale come xaptation, la loro funzione originaria era di impedire che il cibo vomitato fosse inalato nei polmoni. 4. PREMATURA NEONATALE: il piccolo dell’uomo è una prole inetta, incapace di sopravvivere senza l’assistenza di un adulto, al momento della nascita il suo cervello ha un 81 volume che è circa il 25% inferiore a quello dell’adulto, esso presenta inoltre un numero limitato di circuiti nervosi funzionanti al momento del parto. Il suo sviluppo funzionale avviene per gran parte in ambiente extrauterino, ciò comporta un’enorme esposizione del neonato all’ambiente culturale in cui cresce diventando così un soggetto culturale. 5. COOPERAZIONE E ALTRUISMO SPONTANEO: nella lotta per la sopravvivenza gli umani hanno dovuto svolgere attività di caccia, raccolta o difesa in gruppo per l condivisione delle risorse. Essendo una specie ultrasociale l’uomo ha sviluppato un elevato grado di collaborazione, si sono sviluppate importanti forme di altruismo spontaneo inteso come condotta vantaggiosa per i propri simili ma immediatamente svantaggiosa per se’. 6. AVVENTO DELL’AGRICOLTURA: l’evoluzione della cultura ha stabilito da subito un’accelerazione rapida a partire dagli ultimi 3.000/4.000 anni quando ebbe luogo la rivoluzione dell’agricoltura, alla fine della globalizzazione di Wurum nella regione della cosiddetta mezzaluna fertile. l’homo sapiens diventa stanziale, si lega ad una data regione, inizia ad addomesticare e allevare animali, impara a coltivare la terra e a selezionare sementi. Prende così avvio la cultura contadina che dura fino ai giorni nostri, passiamo dalla raccolta del cibo alla sua produzione e conservazione. La coltivazione della terra assicurava il cibo in modo permanente poiché potevano farne scorta e conservarlo (accumulazione delle risorse). In questo periodo nascono la realtà ed i relativi concetti di territorio e stato, di espansione e conquista (disponibilità di risorse), di suddivisione dei compiti e delle attività lavorative (specializzazione del lavoro), di organizzazione e stratificazione sociale (gerarchia sociale), di difesa e attacco (forze militari), di controllo e di gestione delle risorse (economia, politica e religione) si tratta della riduzione del neolitico. Il nostro antenato Homo Habilis deve il suo nome a una buona abilità della mano destra nella produzione di strumenti di pietra. I primi utensili litici trovati nella Gola di Olduvai in Tanzania risalgono a oltre 2 milioni di anni fa e consistono nella scheggiatura su un lato in modo da ottenere un bordo tagliente (industria litica olduviana). Homo Erectus sviluppò tecniche costruttive più avanzate che gli consentirono di lavorare la pietra su due lati, tali strumenti fatti da una punta a con un corpo arrotondato fecero la loro comparsa circa 1,5 milioni di anni fa in Africa e sono conosciuto come Industria litica Clanctoniana prima e poi Abbeviliana. Tali lavorazioni furono perfezionate con la comparsa dell’industria acheuleana caratterizzata da manufatti litici a forma di mandorla. Nel paleolitico medio l’uomo di Neanderthal fu l’artefice di una nuova tecnica conosciuta come industria Musteriana, egli produceva grattaioli e raschiatoi, punteruoli, lance per la caccia, con le pelli era in grado di confezionare indumenti per proteggersi dal freddo. Nel paleolitico superiore l’Homo Sapiens fu il portatore della cultura aurigraziana, compaiono qui nuovi manufatti come lamette, spatole realizzati con diversi tipi di materiali, seguono in poco tempo la cultura sulterana e quella magdaleniana le quali furono caratterizzati dall’uso dell’arco, di punte di lancia sottili, di frecce e coltelli, nella cultura magdelina si trovano armi, punte arpionate, collane di conchiglie o di denti di animali. Furono realizzate vere e proprie opere d’arte: i graffiti e le pitture rupestri in Europa, Africa o Asia (Altamura in Spagna). 82 Il rischio è quello di chiudersi nella propria individualità (solipsismo), di pensare di costruire la realtà in tutti i suoi aspetti (costruzionismo radicale) di confondere il desiderio con le evidenze empiriche (wishfull thinking) e di relativizzare ogni forma dell’esperienza (relativismo culturale). Una definizione fornita dall’esterno o dall’interno appare poco soddisfacente. L’identità culturale è generata dall’indipendente intrinseca tra aspetti esterni ed intero, è lo spazio tra il progetto autonomo e la proposta di ognuno di noi di essere in un certo modo e il riconoscimento di tale progetto da parte degli altri. L ‘identità è il risultato del gioco tra chi scelgo di essere e chi gli altri dicono che io sia. L’identità culturale è polifonica ossia può assumere voci diverse nel dialogo con altre culture. Data questa enorme complessità, l’identità culturale presenta aree di ambiguità: è una realtà mobile dai confini sfumati, una finzione poichè è un’invenzione, in quanto tale essa può avere solo un valore regolativo. 12.5 Mente monoculturale siamo stati e siamo allenati a ritenere che la cultura di cui facciamo parte sia qualcosa di ovvio e naturale pur essendo domino-generale e pur fornendoci una risposta a tutte le domande, la cultura di appartenenza è limitata e circoscritta dal proprio orizzonte. La cultura è un insieme di confini poiché essi sono dappertutto, svolgono la duplice funzione di racchiudere una certa cultura e di distinguerla dalle altre. È lo straniero che è al di la delle differenze consentite in una certa cultura. Essendo al di fuori delle differenze previste da una cultura lo straniero può diventare oggetto di attrazione (xenofilia) o di rifiuto (xenofobia). In alternativa il confine naturale porta all’indifferenza e ciò è associato alla separazione, è l’apartheid intesa come attenzione difensiva a non mescolarsi con l’altro come se questo fosse impuro. La guerra è l’atteggiamento di chi non vuole rendere simile le culture mentre la pace è la condizione della convivenza nella quale ogni cultura riesce ad assumere una propria configurazione. La mente monoculturale è una mente al singolare, assume il periodo storico e l’area geografica nella quale si trova come totalità del tempo e dello spazio nella specie umana. Tende a concepire la propria esperienza come globalità dell’esperienza e diventa prigioniera della cultura in cui vive, è una mente divisa e separata dagli altri. I possibili esiti di tale posizione non sono favorevoli alla convivenza. All’interno della mente monoculturale qualunque percorso si scelga appare insoddisfacente per governare il dilemma che oggi attanaglia l’umanità: da una parte l’esigenza dell’uguaglianza e dall’altra la necessità di riconoscere le diversità generate dalla cultura. Quando due o più culture si incontrano sorgono forme di attrito culturale, per governare tale condizione si sono seguite diverse strategie di acculturazione ovvero l’insieme dei cambiamenti che derivano dai contatti diretti tra individui appartenenti a culture diverse. Da parte delle minoranze abbiamo 4 percorsi di acculturazione: 1. assimilazione: tendenza ad accogliere e fare proprio il modo culturale della maggioranza 2. separazione: impegno a conservare e difendere la propria identità culturale di origine mediante una serie di barriere nei confronti delle forme culturali della comunità ospite 3. integrazione: è la disposizione ad accettare e condividere una serie di forme culturali della comunità di maggioranza pur cercando di preservare forme importanti della propria identità originaria 4. marginalizzazione: difficoltà a mantenere la propria identità culturale di origine per lo stress acculturativo e vi è il rifiuto ad accettare la cultura ospite 85 Dalla parte della maggioranza abbiamo altri percorsi: 1. esclusione: posizione di chi ritiene che le persone immigrate debbano fare ritorno ai loro paesi di origine, nelle sue forme più estreme può condurre all’etnocidio 2. multiculturalismo: la prospettiva di chi sostiene che le comunità minoritarie vadano salvaguardate nella loro specificità culturale per quanto concerne sia la sfera privata cje quella pubblica. L’obiettivo è conciliare il riconoscimento delle diversità culturali con l’applicazione del principio della parità degli esseri umani 3. omologazione: posizione che rifiuta il riconoscimento di una specificità culturale alle minoranze immigrate 4. segregazione: prospettiva di chi ritiene di riconoscere la diversità delle minoranze culturali immigrate ma che nello stesso tempo la tratta in termini di isolamento e ghettizzazione. La mente monoculturale presenta limiti inevitabili, essendo una concezione parziale e limitata delle cose che pretende di inglobare la totalità dell’esperienza, la parzialità implica il rischio che ciascuno di noi si senta il prototipo dell’umanità, i maggiori limiti sono: 1. ETNOCENTRISMO E FONDAMENTALISMO CULTURALE: una sorta di provincialismo spaziale e temporale che identifica la totalità dell’esperienza con il segmento della propria esperienza. Compaiono fenomeni di incomprensione, diffidenza fino ll’eslcusione e al rifiuto. In alcuni casi tali atteggiamenti possono essere associati a sentimenti di superiorità, è il sentimento di possedere la verità. L’etnocentrismo può configurarsi come fondamentalismo culturale, è l’esigenza di stabilire confini netti e precisi tra le culture. In diversi casi conduce al proselitismo con lo scopo di convertire gli altri al proprio sistema di credenze, valori e pratiche. Per raggiungere tale scopo sono giustificate le forme costrittive, per esportare la civiltà e la democrazia in fondamentalismo non esita a impiegare la guerra come metodo ovvio. 2. DIFFIDENZA, PAURA E PROTEZIONE: la diffidenza nei confronti degli immigrati il sentimento di chi vede nell’altro un ostacolo e una minaccia, è la paura per lo straniero in quanto straniero perchè porta abitudini e stili di vita profondamente diversi da quelli che siamo soliti seguire. Possono innescarsi reazioni di difesa e chiusura, di rivendicazione della propria identità per conseguire una condizione di sicurezza ciò può condurre all’adozione di barriere psicologiche e legislative che separano e dividono. Solo il passaggio da una mente monoculturale a una multiculturale consente una differente concezione del diverso e promuove forme più avanzate di convivenza. La mente culturale è un fatto mentre il multiculturalismo è solo una teoria. Tale mente è favorita in seguito alle attuali svolte culturali, nel 1950 i paesi membri delle Nazioni Unite erano 58 mentre nel 2000 circa 200 appartenenti per lo più a paesi non occidentali ciò conduce alla riscoperta delle cosiddette identità perdute. Gli imponenti flussi migratori di oggi impongono nuove forme di contatto e scambio tra molte culture entro il medesimo territorio. Grazie alla globalizzazione dei mercati i prodotti commerciali sono distribuiti in tutto il mondo e supportati da un efficiente comunicazione, pensiamo agli sviluppi del mondo virtuale consentiti da internet con la comparsa del web 2.0. Sono pressioni ambientali molto forti che hanno rivoluzionato il nostro modo di vivere in poco più di due generazioni, ora la mente monoculturale risulta insufficiente e occorre passare alla mente multiculturale anche chiamata biculturale. 86 Una minoranza di individui ha elaborato una mente biculturale facendo riferimento al situazionismo dinamico ovvero la cultura è vista come una rete flessibile di conoscenze, categorie, valori e pratiche che confluiscono nelle sindromi culturali, a partire dagli anni 2000 un gruppo di studiosi ha individuato soggetti che si erano appropriati sia delle sindromi culturali collettive che individualistiche. Assieme alla loro cultura nativa si sono impossessati delle diverse sindromi e dei diversi modelli culturali e ciò consente di discriminare le due culture in modo preciso e puntuale e di diventare esperto di entrambe le culture, in tal modo si raggiunge la piena disponibilità mentale dei relativi modelli culturali. “gli individui biculturali quando si trovano in contesti cinesi presentano una personalità interdipendente e assumono condotte peculiari della cultura cinese; per contro quando si trovano in contesti americani mostrano una personalità indipendente e manifestano comportamenti tipici della cultura americana” Per gli individui biculturali è sufficiente il contesto immediato per indicare loro quali percorso culturali seguire, tale mente è situata e contingente, radicata nel corpo e fondata sull’esperienza, è governata dalla presenza di indizi tangibili forniti dal contesto che costituisce la cornice di una data esperienza. Assume rilevanza il processo di facilitazione (priming) che favorisce l’accessibilità mentale delle sindromi e dei modelli culturali pertinenti con la situazione. Quanto più tali modelli sono accessibili quanto più un evento diventa intelliggibile con un’efficace ricaduta sull’appropiatezza del comportamento. È la strategia dell’alternanza culturale declinata come passaggio da una cornice culturale a un’altra. I soggetti biculturali non hanno bisogno di tradurre una cultura in un latra senza avvertire il bisogno di fare confronti. La strategia dell’alternanza implica il superamento definitivo di ogni forma di fondamentalismo culturale e si è rivelata assai efficace sul piano del benessere personale e sociale pooichè non richiede mescolanza ne’ conversione, per questo tali soggetti sono considerati dinamici. I principali vantaggi della bene biculturale sono: • mente versatile, capace di declinarsi in riferimento a uno specifico ambiente culturale • mente aperta e complessa capace di far fronte alla gamma di stili e modelli di vita che le culture hanno già elaborato e continuano ad elaborare • soggetti flessibili perché posseggono 2 diversi mondi culturali e sono in grado di integrarli e governarli, tale mente possiede un numero maggiore di nodi categoriali in modo da disporre di una rete mentale più ampia • mente creativa poiché dispone degli elementi da combinare in modo originale, è una mente al plurale ed interculturale in grado di stabilire le opportune connessioni e relazioni tra culture diverse • conduce ad un’efficace competenza comunicativa a livello sia verbale che non verbale appropriandosi anche dei diversi sistemi di significazione e segnalazione • gli esperti biculturali appaiono più competenti e rapidi nel riconoscere le emozioni rispetto a soggetti con mentalità monoculturale, sono inoltre emotivamente versatili, sanno essere in sintonia emotiva ovvero sono capaci di mettere l’altro a suo agio e accogliere la sua sensibilità emotiva • sul piano operativo i manager biculturali delle aziende multiculturali dimostrano una più efficiente gestione delle risorse e sono in grande vantaggio per le nazioni multietniche a forte immigrazione e globalizzazione. 87