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manuale di preparazione al tfa sostegno, Guide, Progetti e Ricerche di TFA Sostegno

manuale di preparazione al tfa sostegno

Tipologia: Guide, Progetti e Ricerche

2019/2020
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Caricato il 17/01/2020

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Scarica manuale di preparazione al tfa sostegno e più Guide, Progetti e Ricerche in PDF di TFA Sostegno solo su Docsity! 1 Libro INSEGNARE DOMANI SOSTEGNO 2016 – prova scritta per tutti i livelli scolastici - di Ianes INDICE AMBITO 1 Ambito normativo CAPITOLO 1 “L’INTEGRAZIONE SCOLASTICA DEGLI ALUNNI CON DISABILITA’ : QUADRO NORMATIVO” Pag 10 EXCURSUS STORICO- NORMATIVO Pag 11 LA LEGGE QUADRO 104 DEL 1992 Pag 12 L’ATTO D’INDIRIZZO E COORDINAMENTO ALLE AZIENDE SANITARIE LOCALI ( 1994) E SUE MODIFICHE DPCM n°185/06: Pag art 1 – attivita’ delle regioni e province autonome Pag art 2 – individuazione dell’alunno come persona con disabilita’ Pag art 3 – la diagnosi funzionale Pag art 4- il profilo dinamico funzionale Pag art 5- il piano educativo individualizzato Pag art 6 – verifiche Pag art 7 – vigilanza Pag 14 ALTRI STRUMENTI PER L’INTEGRAZIONE: Pag il piano di studi personalizzato Pag il piano annuale per l’inclusione Pag l’intesa tra stato e regioni del 20 marzo 2008 Pag i gruppi di competenza generale (ghl glip glhi) Pag 16 IL RUOLO DEL DOCENTE DI SOSTEGNO Pag 17 CONVENZIONE ONU SUI DIRITTI DELLE PERSONE CON DISABILITA’ CAPITOLO 2 “L’EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA INCLUSIVA IN ITALIA” Pag 17 Le premesse della recente normativa inclusiva Pag 18 Le novità della Direttiva e della Circolare ministeriali sui BES Pag 18 L’INDIVIDUAZIONE DEI BENEFICIARI: Pag 18 Alunni con disabilità Pag 18 Alunni con DSA Pag 18 Alunni con altri BES 2 Pag 19 STRUMENTI DIDATTICI: Pag 19 Alunni con disabilità Pag 19 Alunni con DSA Pag 19 Per gli alunni con altri BES Pag 20 EFFETTI SULLA VALUTAZIONE: Pag 20 Alunni con disabilità Pag 20 Alunni con DSA Pag 20 Alunni con svantaggio e disagio Pag 20 Prove INVALSI Pag 20 Le prove relative alla valutazione comparativa tra diversi Paesi Pag 21 La quarta prova nazionale degli esami conclusivi del primo ciclo di istruzione Pag 21 Il Piano Annuale per l’Inclusività (PAI): la Nota ministeriale del 27/6/2013 Pag 21 L’articolazione organizzativa Pag 21 Azioni programmatorie Pag 22 Le obiezioni alla normativa sui BES Pag 22 Le proposte avanzate Pag 23 Possibili soluzioni Pag 23 La nuova legge di riforma Pag 23 Riflessioni conclusive AMBITO 2 Ambito psicopedagocico e didattico CAPITOLO 3 “L’individuazione dell’alunno con Bisogni Educativi Speciali su base ICF” Pag 24 Premessa Pag 27 Piano Educativo Individualizzato (P.E.I.) Pag 28 La Diagnosi Funzionale (D.F.) Pag 29 L’ICF-CY per bambini e adolescenti Pag 29 Profilo Dinamico Funzionale (P.D.F.) CAPITOLO 4 “Lo sviluppo del bambino” Pag 30 Lo sviluppo sociale Pag 31 Lo sviluppo cognitivo (Piaget) 5 Pag 58 Premessa Pag 58 Che cos’è l’apprendimento cooperativo? Pag 59 Le principali modalità di applicazione dell’apprendimento cooperativo Pag 61 Come si applica l’apprendimento cooperativo Pag 62 Conclusioni CAPITOLO 16 “LA GESTIONE DELLA CLASSE” Pag 62 Seduzione e fuga Pag 62 Climi di classe Pag 62 Autorità e potere Pag 63 Perdere le staffe Pag 63 L’insegnante assertivo Pag 63 Osservare le dinamiche Pag 63 Comportamenti problematici e ambiente psicologico Pag 63 Italiani a metà Pag 64 Gestire i conflitti CAPITOLO 17 “TECNOLOGIE PER LA DIDATTICA” Pag 64 Le tecnologie tra integrazione e inclusione scolastica Pag 65 Perché le tecnologie possono essere inclusive? CAPITOLO 18 “ INDICAZIONI NAZIONALI E LINEE GUIDA: SCUOLA DELL’INFANZIA,PRIMO CICLO DI ISTRUZIONE, LICEI, ISTITUTI TECNICI E PROFESSIONALI.” Pag 66 Le Linee guida degli Istituti tecnici e professionali. Pag 66 Le Indicazioni della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione. Pag 67 Il senso dell’esperienza scolastica Pag 67 Ragioni, domande, ipotesi Pag 67 Risposte Pag 67 La competenza tra prestazione e educazione CAPITOLO 19 “Le relazioni scuola-famiglia” Pag 68 Cambiamenti di ruolo della famiglia nella società postmoderna Pag 68 La costruzione di alleanze educative tra scuola e famiglia Pag 69 La relazione educativa con la famiglia con figli con disabilità 6 Pag 69 Le caratteristiche del colloquio didattico Pag 70 Il ruolo dell’insegnante AMBITO 3 Ambito della conoscenza delle disabilità e degli altri Bisogni Educativi Speciali in una logica bio-psico-sociale PAG 71 CAPITOLO 20 “INDIVIDUALIZZARE E INCLUDERE SECONDO LA SPECIALE NORMALITÀ” CAPITOLO 21 “CODICI COMUNICATIVI DELL’EDUCAZIONE LINGUISTICA” Pag 72 Premessa Pag 73 I domini privilegiati di apprendimento (Le conoscenze di base (core knowledge), il linguaggio) Pag 74 La costruzione dei concetti (Le categorie, i concetti) Pag 75 L’emergere della literacy (La padronanza del linguaggio orale, La capacità di elaborazione fonologica, il principio alfabetico) Pag 76 CAPITOLO 22 “CODICI DEL LINGUAGGIO LOGICO E MATEMATICO” CAPITOLO 23 “STRATEGIE METACOGNITIVE E ABILITA’ DI STUDIO” (MANCA) CAPITOLO 24 “ORGANIZZARE LA DIDATTICA” Pag 79 La didattica compensativa Pag 79 Gestire il tempo e il materiale Pag 80 Organizzare l’aula Pag 80 Organizzare la lezione Pag 80 Verifica e valutazione Pag 81 La scelta del libro di testo Pag 81 Le mappe Pag 81 Come aiutare a costruire mappe CAPITOLO 25 “ Aspetti emotivo-motivazionali e metacognitivi nell’apprendimento” Pag 81 Gli aspetti emotivo-motivazionali dell’apprendimento: la motivazione Pag 83 Stili di attribuzione, aspettative, emozioni. Persistenza CAPITOLO 26 “Alunni con disturbi evolutivi specifici, DSA e ADHD” Pag 84 I DSA: la dislessia, la disortografia, la disgrafia, la discalculia Pag 86 Manifestazione dei DSA Pag 86 Individuazione precoce del rischio DSA Pag 87 Didattica individualizzata e personalizzata 7 Pag 88 ADHD CAPITOLO 27 “METODI EDUCATIVO-DIDATTICI PER LE DISABILITÀ SENSORIALI” Pag 92 Deficit visivi Pag 92 Deficit uditivi Pag 93 Le pluriminorazioni sensoriali Pag 94 Il dibattito nazionale e internazionale CAPITOLO 28 “INTERVENTI PSICOEDUCATIVI NEI COMPORTAMENTI PROBLEMA” Pag 95 L’alleanza psicoeducativa Pag 96 La costruzione del gruppo di riferimento e della rete educativa Pag 96 La decisione di reale problematicità Pag 97 L’alleanza con i genitori Pag 97 L’osservazione iniziale e la linea di base Pag 98 L’analisi funzionale Pag 99 La raccolta dei dati funzionali e la loro interpretazione Pag 100 L’intervento positivo sostitutivo Pag 100 Le operazioni di base da compiere nell’intervento psicoeducativo positivo sostitutivo Pag 101 L’intervento positivo punitivo Pag 102 Il timeout Pag 103 Il lavoro di miglioramento del contesto CAPITOLO 29 “AUTISMO A SCUOLA” Pag 105 Indicazioni per il trattamento in età prescolare e scolare Pag 105 Eta’ scolare Pag 106 Adolescenza Pag 106 Il bambino con autismo a scuola Pag 106 Raccomandazioni per l’intervento psicoeducativo nella scuola Pag 107 Intervento psicoeducativo strutturato (teacch) Pag 107 Comunicazione aumentativa alternativa (caa) Pag 108 Interventi psicoeducativi e strategie comportamentali CAPITOLO 30 “LA PSICOMOTRICITA’ NELLA SCUOLA” 10 AMBITO 1 Ambito normativo CAPITOLO 1 “L’INTEGRAZIONE SCOLASTICA DEGLI ALUNNI CON DISABILITA’ : QUADRO NORMATIVO” Excursus Storico- Normativo L’inserimento scolastico degli alunni con disabilità è stato a lungo condizionato dal pregiudizio; fin dall’antichità si pensava che la menomazione fisica fosse qualcosa da eliminare, che suscitava orrore e repulsione sociale. Si è passati dall’eliminazione fisica nell’epoca greca e romana di tali soggetti alla creazione dei manicomi nel periodo medievale . Bisognerà attendere la fine del 18 ° secolo per passare a forme di miglioramento delle condizioni del disabile all’interno delle strutture di reclusione ( medicalizzazione ) e la creazione alla fine del 19° secolo dei primi centri specializzati nella cura dei portatori di H. Con la riforma Gentile ( 1923 ) sorsero le prime “ scuole speciali “ e le “ classi differenziali “ per i menomati della vista e dell’udito per i ritardati o indisciplinati. Si trattava cmq di una scuola rigida che non teneva conto dei bisogni degli allievi che si limitavano a subire passivamente Con la nascita della Repubblica ( 1946 ) e la costituzione italiana vengono sanciti alcuni principi fondamentali ART 2 E 3che investono in maniera diretta il tema dell’integrazione. Nel 59 l’ONU promulga “ la dichiarazione dei diritti del fanciullo “ in cui si sancisce il diritto dei bambini con H. a ricevere il trattamento e l’educazione di cui avevano bisogno. con i movimenti di contestazione del 68’ comincia la polemica contro le classi differeziali e si comincia a parlare di INSERIMENTO nella scuola di tutti. Con la legge 30 marzo del 71’ si inaugura la logica dell’inserimento con disposizioni per l’inserimento degli alunni H. nelle classi ordinarie fatti salvi i casi gravi Il documento Falucci del 75’ traccia gli elementi fondamentali della filosofia dell’integrazione e i suoi principi : a) I soggetti in difficoltà devono essere considerati protagonisti della propria crescita b) L’alunno in difficoltà non deve essere visto come “ anormale “ ma come soggetto che ha diritto a non essere discriminato sul piano sociale e umano c) L’organizzazione didattica deve prevedere percorsi di socializzazione d) Gli insegnanti di ruolo devono essere sempre aggiornati sui nuovi mezzi per arricchire l’insegnamento tradizionale La legge 517 del 77 decreta ufficialmente il passaggio dall’inserimento all’integrazione e introduce la figura dell’insegnante di sostegno nella scuola elementare e media adottando il principio di individualizzazione dell’insegnamento. All’interno della programmazione si prevedono percorsi individualizzati e gruppi di lavoro con insegnante specializzato ( i posti di sostegno sono dati a ruolo come i posti comuni da ricoprire con graduatorie specifiche ). Si viene così strutturando un’organizzazione flessibile che risponde ai ritmi e alle modalità di apprendimento di ogni allievo 11 La sentenza della corte costituzionale del 1987 n° 215 con cui si dichiara il pieno diritto degli alunni H. a frequentare ogni ordine e grado di scuola in quanto la frequenza scolastica è un essenziale fattore di recupero e l’apprendimento funzionale alla sua crescita sociale e lavorativa . LA LEGGE QUADRO 104 DEL 1992 è il primo intervento legislativo organico sull’handicap che investe tutti gli aspetti. Imposta in modo sistematico le tutele dei portatori di Handicap ponendo in primo piano il rispetto della dignità umana dei disabili e affonda le basi per una piena e reale integrazione sociale. I principali obiettivi della legge sono: 1) Rimozione delle cause invalidanti con sguardo alla disabilità come risorsa e non come svantaggio 2) Promozione dell’autonomia sociale e personale dell’alunno con la costruzione di un progetto di vita che sia in divenire e guardi alle sue potenzialità cioè quello che il soggetto sa fare e le sue aree di sviluppo prossimali ( Vigoski ) 3) Realizzazione dell’integrazione sociale ( art 12 ) ; la legge prevede anche l’introduzione di una serie di strumenti didattico- organizzativi ( Diagnosi funzionale PDF e PEI ) per rendere efficace l’opera della scuola e una stretta collaborazione tra tutti gli attori che hanno in carico il bambino, scuola/ famiglia / asl Fra i punti di forza della legge ricordiamo la promozione della programmazione integrata tra le diverse figure professionali e la formazione universitaria del docente di sostegno che ha il compito insieme al docente di classe di prendere in carico l’alunno capire i suoi bisogni, progettare linee di intervento oltre che fungere da mediatore tra il bambino e il mondo circostante. Gli aspetti più significativi della riforma sono contenuti nei seguenti articoli: ART 12 - “ diritto all’educazione e all’istruzione del soggetto disabile in ogni ordine e grado d’istruzione “. - Il Comma 3 sancisce che l’integrazione ha come obiettivo lo sviluppo pieno e integrale delle potenzialità dell’allievo in relazione all’apprendimento, la comunicazione, alla relazione , socializzazione e all’autonomia personale. - Il comma 5 identifica alcuni momenti fondamentali dell’iter per la piena attuazione dell’integrazione : individuazione della persona con H; definizione della diagnosi funzionale ; predisposizione del DPF ; formulazione del PEI; verifiche periodiche. Vengono definite anche le modalità d’intervento, le caratteristiche della documentazione e i limiti degli interventi . - Il comma 6 ribadisce l’importanza dei momenti di aggiornamento e verifica della documentazione per adottare in itinere misure d’intervento per la piena integrazione scolastica. - Il comma 8 sancisce che il PDF va aggiornato a conclusione delle scuola dell’infanzia, primaria , media e durante il corso d’istruzione superiore ART 13 – riguarda gli strumenti per l’integrazione Diagnosi funzionale , PDF e PEI 12 ART 14 – riguarda le modalità d’intervento dell’integrazione con espliciti richiami ai compiti del Ministero della Pubblica Istruzione ART 16- regolamenta le modalità di valutazione degli alunni H stabilendo che si indichi sul PEI per quali insegnamenti e discipline sono stati adottati particolari criteri didattici e quali attività integrative e di sostegno sono state svolte. In conclusione possiamo dire che quello che emerge dalla 104 è un’idea di scuola che deve caratterizzarsi come ambiente educativo di apprendimento , una scuola capace di garantire agli alunni H opportunità reali. L’ATTO D’INDIRIZZO E COORDINAMENTO ALLE AZIENDE SANITARIE LOCALI ( 1994) E SUE MODIFICHE DPCM n°185/06 Questo atto d’indirizzo predisposto dal Ministero della sanità il 24 febbraio 1994 disciplina i compiti delle aziende sanitarie locali in rapporto all’elaborazione della seguente documentazione : 1) Iter d’individuazione della situazione di disabilità 2) La diagnosi funzionale 3) Il profilo dinamico funzionale 4) Il piano educativo individualizzato L’atto si compone di 7 articoli ( illustrati di seguito ) e due allegati con schede illustrative per la redazione della diagnosi funzionale e del profilo dinamico funzionale: ART 1 – ATTIVITA’ DELLE REGIONI E PROVINCE AUTONOME Si ribadisce la promozione della vigilanza delle regioni sulle aziende sanitarie locali con conseguente obbligo delle stesse ASL di collaborare con scuola e famiglia . l’atto d’indirizzo sancisce inoltre che le ASL hanno l’obbligo di assicurare l’intervento medico cognitivo sull’alunno con disabilità definendo modalità e strumenti. ART 2 – INDIVIDUAZIONE DELL’ALUNNO COME PERSONA CON DISABILITA’ Al fine di garantire gli interventi di sostegno necessari per frequentare la scuola è necessaria la certificazione di disabilità del medico specialista nella patologia e dallo psicologo in servizio presso l’asl di appartenenza dell’alunno. Le aziende sanitarie dispongono su richiesta dei genitori appositi accertamenti in tempo utile per l’inizio dell’anno scolastico. Viene redatto così il verbale d’individuazione della patologia con riferimento alla classificazione dell’OMS e solo in seguito viene redatta la diagnosi. ART 3 – LA DIAGNOSI FUNZIONALE Per diagnosi funzionale s’intende la descrizione analitica della compromissione funzionale dello stato psico- fisico dell’alunno in situazione di H. Alla stesura della diagnosi provvede l’unità multidisciplinare composta dallo specialista nella patologia segnalata, lo specialista in neuropsichiatria, il terapista della riabilitazione, gli operatori ASL. Gli elementi clinici si acquisiscono tramite visita diretta dell’alunno che prevedono : 15 umano) descrive la disabilità in termini bio-psico – Sociali in cui l’organismo non è più statico ma dinamico e valutato nel contesto dove si svolgono le sue attività. Art 3 – riguarda il PEI alla cui formulazione deve partecipare anche l’intero “ consiglio d’istituto “ nella formulazione di interventi didattici, di socializzazione e riabilitazione. Si precisa che lo stesso deve essere verificato e aggiornato durante l’anno. L’art 4 – concerne le procedure d’indicazione, proposta e individuazione delle risorse umane e materiali necessarie. L’art 5 – riguarda l’assegnazione dei docenti di sostegno . la novità riguarda il contingente attribuito dall’USR a ogni provincia che viene assegnato a ciascun ambito territoriale e deve coincidere con l’ambito del piano di zona. I docneti vengono incardinati a scuole- polo secondo la specificità dei bisogni e da esse ogni anno vengono assegnati alle diverse scuole. Ciò dovrebbe garantire una maggiore continuità didattica I GRUPPI DI COMPETENZA GEERALE Sono 3 organismi di carattere generale che intervengono sulle generalità degli alunni e non direttamente sui singoli casi. Essi sono 1)Gruppi per l’integrazione scolastica interni agli uffici scolastici provinciali (GHL) I primi ad essere costituiti, i suoi compiti si concretizzano nell’istruttoria di tutte le richieste di “ deroghe “, di sostegno in organico di fatto per le singole scuole della provincia con cui si procede all’assegnazione di ore aggiuntive di sostegno per le supplenze temporanee. 2) il gruppo di lavoro interistituzionale provinciale ( GLIP) Questo organismo, voluto dalla legge quadro, per facilitare il coordinamento dei diversi enti che intervengono nell’integrazione. Si compone dei seguenti soggetti : l’amministrazione scolastica, gli enti locasli e le ASL, e le associazioni maggiormente rappresentative delle persone con disabilità e le loro famiglie. I compiti principali sono : consulenza, proposta e collaborazione con USP, gli enti locali e le ASL per la stipula e verifica dell’attuazione degli accordi di programma per l’integrazione scolastica. Forniscono inoltre consulenza per la formulazione del PEI e redigono una relazione annuale circa lo stato di andamento dell’integrazione scolastica della provincia di cui una copia va mandata al ministero dell’istruzione. 3- il gruppo di studio e lavoro a livello di scuola ( GLHI) A partire dalla legge quadro sull’handicap la scuola va considerata come una comunità di apprendimento e di sostegno per tutti gli allievi in particolare quelli con deficit. All’interno della scuola dell’autonomia operano i gruppi di lavoro da attivare nell’ambito dell’istituzione scolastica formati da docenti curricolari e di sostegno, dirigente scolastico, operatori dei servizi, studenti e genitori. I suoi compiti sono: a) Analizzare la situazione complessiva nell’ambito dei plessi di competenza b) Analizzare le risorse dell’istituto sia umane che materiali 16 c) Predisporrei calendari per gli incontri dei gruppi tecnici d) Verificare periodicamente gli interventi a livello d’istituto e) Formulare proposte per la formazione e l’aggiornamento In sintesi l’azione del gruppo può essere riassunta in competenze di tipo organizzativo ( gestione del personale, censimento delle risorse informali, definizione delle modalità di passaggio e accoglienza ) ; progettuale e valutativo ( gestione dei progetti di continuità, all’aggiornamento del personale e l’arricchimento dell’offerta formativa) ; consultivo ( iniziative di collaborazione e tutoring fra docenti, confronto iteristituzionale ). Inoltre nelle varie iniziative il gruppo dovrebbe tener presente la valorizzazione della rete di sostegno nella scuola. IL RUOLO DEL DOCENTE DI SOSTEGNO La locuzione “ insegnanti di sostegno “ è ormai così consolidata nell’uso comune che si può anche accettarle ufficialmente. Tuttavia già il DPR del 1975 chiariva che il personale specializzato non viene assegnato agli alunni in difficoltà ma alle “ scuole “ per interventi di natura integrativa. Tuttavia Con la legge 107 si prevedono importanti innovazioni nella formazione iniziale dei docenti specializzati e le loro carriere separate rispetto agli insegnanti curricolari. L’importanza della legge quadro sull’handicap sta nel fatto che ha assegnato la “contitolarità” degli insegnanti di sostegno all’interno della scuola. Essi infatti partecipano alla programmazione collegiale, alle verifiche delle attività ecc… La circolare ministeriale successiva del 98’ ribadisce l’illegittimità dell’uscita dalla classe degli alunni con H a meno che non sia espressamente dichiarato nel PEI e raccomanda la stretta collaborazione degli insegnanti curricolari e di sostegno. Per quanto riguarda la formazione dei docenti di sostegno Il docente di sostegno è docente specializzato nell’integrazione scolastica degli alunni con H e il suo iter formativo a partire dal 1998 prevede la frequenza a corsi universitari con l’istituzione del corso di laurea in SFP. Le nuove disposizioni in merito di formazione universitaria prevedono all’interno del curriculum di studio degli atenei attività specifiche aggiuntive di 400 ore con frequenza di laboratori e tirocini specifici, attività didattiche rivolte a tutti gli studenti e altre attività specifiche per acquisire la “ specializzazione “. Per sopperire alla carenza di insegnanti specializzati il MIUR ha intrapreso negli ultimi anni la “ scorciatoia “ dei corsi intensivi abbreviati PAS in accordo con le Univerisità rivolti a docenti abilitati ma sprovvisti del titolo specifico per l’insegnamento delle attività di sostegno. Per quanto concerne la VALUTAZIONE degli alunni con H ci si chiede se sia necessaria una scheda di valutazione a parte ma risultati dimostrano invece come l’utilizzo dei normali strumenti di valutazione sia un valore aggiuntivo d’integrazione dell’alunno nella scuola. La legge quadro sull’handicap ricorda che nelle scuole del primo e secondo ciclo gli strumenti di valutazione sono gli stessi dei normodotati. 17 Per quanto riguarda gli scrutini ed esami si confermano le disposizioni contenute nell’ordinanza ministeriale del 95 poi confermata nel 2009 che ha carattere di normativa permanente e prevede che : a) I docenti di sostegno fanno parte del consiglio di classe e partecipano a pieno titolo alle operazioni di correzione verifica e valutazione delle prove b) L’alunno con H può avvalersi si specifici ausili c) Tutti gli alunni sono sottoposti ad un giudizio di ammissione finale d) Nel diploma di licenza media nn deve essere menzionate prove differenziate e) Possibilità di un duplice percorso formativo : per obiettivi minimi ministeriali il cui superamento da diritto al conseguimento del diploma e un PEI differenziato nei casi gravi che da la possibilità di conseguire un attestazione di competenze f) Eventuale ricorso a prove equipollenti g) La possibilità degli alunni certificati di partecipare agli esami di stato con programma diversificato. La funzione valutativa dell’alunno spetta a tutti i docenti compresi quelli di sostegno che devono tenere ben presente la loro funzione di 2 mediatori dell’integrazione dell’alunno affidato”. In alcuni comuni italiani come Brescia e Vicenza si è provato ad individuare degli “ indicatori “ per misurare il livello di qualità di integrazione scolastica . CONVENZIONE ONU SUI DIRITTI DELLE PERSONE CON DISABILITA’ Con la firma del 30 marzo del 2007 della convenzione universale dei diritti delle persone con disabilità si apre una pagina giuridica importante nella storia delle persone con disabilità. La convenzione infatti colloca i diritti delle persone con disabilità nell’ambito di tutte le altre convenzioni sui diritti umani precisando che ancora esistono discriminazioni a loro danno. Il testo si compone di 5° articoli. Gli art dal 14 al 32 contemplano un’ampia rassegna dei diritti fondamentali dal diritto alla vita a quelli di libertà all’assistenza sanitaria alla riabilitazione , istruzione delle persone con H fino ad arrivare al diritto alla privacy ancora non pienamente tutelato in tutti i paesi del primo mondo. L’importanza della convenzione risulta anche dal fatto che suo depositario è il segretario generale dell ‘ONU. E dopo la ratifica in Italia della Convenzione avvenuta nel 2009 bisogna impegnarsi affinchè tali principi vengano rispettati . In conclusione possiamo dire che il Governo e il Parlamento dovrebbero approvare in maniera più rapida possibile il decreto istituito al fine di effettuare un reale monitoraggio sul rispetto delle norme da parte di tutte le pubbliche autorità italiane. CAPITOLO 2 L’EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA INCLUSIVA IN ITALIA Le premesse della recente normativa inclusiva 20 Effetti sulla valutazione: Alunni con disabilità La Legge 104/92 stabilisce che il PEI, sui cui risultati si basa la valutazione, possa prevedere la riduzione o la sostituzione dei contenuti di talune discipline; e ciò vale per le scuole di ogni ordine e grado. In particolare, per la scuola dell’obbligo la legge stabilisce che il PEI debba essere formulato sulla base delle effettive capacità e potenzialità dell’alunno e che la valutazione avrà esito positivo qualora si verifichi che vi siano stati progressi rispetto ai livelli iniziali degli apprendimenti. È da tener presente che per gli alunni con disabilità l’obbligo scolastico può adempiersi sino al compimento del diciottesimo anno di età . Di conseguenza, tutte le Circolari sulle iscrizioni prevedono che sino al compimento del diciottesimo anno gli alunni in possesso del solo attestato possano legittimamente iscriversi alle scuole secondarie di secondo grado. Per rimuovere gli ostacoli allo svolgimento delle prove, costituiti dalle disabilità degli alunni la Legge 104/92 prevede la concessione di tempi più lunghi, l’uso di strumenti anche tecnologicamente avanzati e prove equipollenti. Se un alunno è seguito da più di un docente per il sostegno essi potranno tutti insieme esprimere un solo voto e lo stesso accade per la valutazione dei compagni. Quanto invece all’oggetto della valutazione, i docenti per il sostegno debbono valutare il livello di inclusione raggiunto dall’alunno assegnato e dai suoi compagni. Alunni con DSA Per gli alunni con DSA la normativa consente l’uso di strumenti compensativi e dispensativi . Non vengono assegnati docenti per il sostegno. Le valutazioni di alunni con DSA sono annullabili qualora i docenti non abbiano rispettato il PDP concordato con la famiglia o qualora non abbiano concesso gli strumenti compensativi o dispensativi ivi previsti. Alunni con svantaggio e disagio Agli alunni con svantaggio e disagio si applicano strumenti compensativi o dispensativi o altri accorgimenti didattici, come ad esempio la concessione di tempi più lunghi. Sulla base degli orientamenti della giurisprudenza sopra citati, sarà opportuno che il Consiglio di classe verbalizzi le decisioni adottate in dialogo con la famiglia. È necessario chiarire che il Consiglio di classe non deve supinamente accettare le richieste della famiglia; ove non intenda accoglierle, esso farà risultare a verbale le motivazioni del diniego; così potranno fare anche i docenti dissenzienti. In questo caso la questione è più delicata rispetto agli alunni con DSA, poiché non sempre si dispone di una diagnosi o si possono avere riscontri oggettivi, ma le decisioni sono adottate sulla base di valutazioni pedagogiche e didattiche.Per gli alunni che non hanno né certificazioni di disabilità né diagnosi di DSA, ma eventuali altre certificazioni o sono individuati dai soli Consigli di classe d’intesa con la famiglia, la norma pretende che siano formalmente individuati dal Consiglio di classe. Ciò significa che è necessaria la produzione della delibera del Consiglio di classe con la motivazione e l’individuazione degli eventuali strumenti compensativi o dispensativi. Prove INVALSI E’ divenuto operativo il principio della valutazione standardizzata introdotta nel nostro sistema dalla Legge 53/03. La normativa è stata applicata in due modalità: – una relativa al confronto tra i risultati apprenditivi realizzati nel nostro sistema di istruzione per alcune discipline e quelli dei Paesi dell’OCSE, al fine di colmare dei ritardi o delle carenze negli apprendimenti; – un’altra relativa alla valutazione con prove standard degli apprendimenti degli alunni italiani in alcune discipline, valutazione che si somma alla valutazione tradizionale dei singoli docenti. Le prove relative alla valutazione comparativa tra diversi Paesi Le prove sono da svolgere solo in seconda e quinta classe della scuola primaria, nella prima della secondaria di primo grado e nella seconda della secondaria di secondo grado. Tali prove non hanno 21 alcun valore valutativo per il profitto dei singoli alunni e i risultati delle prove degli alunni con disabilità certificata e DSA diagnosticati sono trasmessi all’INVALSI — che provvede a trasferirli in un’apposita banca dati — ma non entrano a far parte della media nazionale. Poichè in contrasto con la nostra normativa e con la prassi di inclusione la Nota MIUR-INVALSI del 18/02/2014 precisa che gli alunni con disabilità motoria e sensoriale partecipano alle prove e i loro risultati fanno media. Il Dirigente scolastico, su suggerimento dei rispettivi Consigli di classe, decide quali alunni con disabilità intellettiva far partecipare alle prove e quali no. Per quelli con disabilità fisica e sensoriale ammessi si attua un’ulteriore comprensibile distinzione: se necessitano dell’assistenza del docente per il sostegno o debbono far uso di strumenti compensativi (quali computer con la sintesi vocale o la lettura a voce alta da parte di un assistente), svolgono le prove in aula separata per non disturbare i compagni che hanno tempi più brevi in cui concentrarsi; gli altri invece svolgono le loro prove con i compagni, sia pur, se necessario, con tempi più lunghi, al massimo di 30 minuti. Per gli alunni con BES si stabilisce che potranno svolgere le prove come tutti gli altri e che i loro risultati saranno inseriti nella media nazionale. La quarta prova nazionale degli esami conclusivi del primo ciclo di istruzione La quarta prova nazionale predisposta dall’INVALSI per una valutazione standard dei risultati i cui esiti fanno media con quelli delle altre prove tradizionali di ciascun alunno, ma non con i risultati delle prove nazionali da compararsi con quelle degli altri Paesi dell’OCSE. Per questo motivo, per gli alunni con disabilità e altri BES non è previsto nessun divieto e sono consentiti i benefici che la normativa ormai consolidata concede loro. Per gli alunni con disabilità, tali prove hanno valore di «prove equipollenti» e quindi essi, a differenza di quanto avviene nelle prove precedenti, hanno diritto a una valutazione che si somma a quella delle altre prove. Per gli alunni con DSA, è concesso l’uso degli strumenti compensativi e dispensativi. Il Piano Annuale per l’Inclusività (PAI): la Nota ministeriale del 27/6/2013 La normativa prevede come strumento programmatorio la formulazione del Piano Annuale per l’Inclusività (PAI), che deve essere predisposto dal GLI ed essere approvato dal Collegio dei docenti. Esso ha lo scopo di individuare annualmente gli aspetti di forza e di debolezza delle attività inclusive svolte dalla scuola e di predisporre quindi un piano delle risorse da offrire e richiedere a soggetti pubblici e del privato sociale al fine di impostare, per l’anno scolastico successivo, una migliore accoglienza degli alunni, con particolare attenzione a quelli con diversi bisogni educativi speciali. Il PAI è parte integrante del POF approvato annualmente entro giugno. La Nota è un documento importante perché approfondisce il significato di programmazione didattica del PAI: Il PAI è uno strumento che possa contribuire ad accrescere la consapevolezza dell’intera comunità educante sulla centralità e la trasversalità dei processi inclusivi in relazione alla qualità dei «risultati» educativi, per creare un contesto educante dove realizzare concretamente la scuola «per tutti e per ciascuno». La Nota precisa che si tratta non di un piano per i soli alunni con BES, ma di una programmazione generale della didattica della scuola, al fine di favorire la crescita nella qualità dell’offerta formativa. L’articolazione organizzativa La seconda parte della Direttiva e della Circolare riguarda le modalità organizzative a sostegno della tutela degli alunni con BES, specie quelli che non rientrano nelle categorie dalla disabilità e dei DSA, rispettivamente considerati dalla Legge 104/92 e dalla Legge 170/10. Mentre la Direttiva si sofferma diffusamente sui Centri Territoriali di Supporto a livello provinciale (CTS), fortemente impegnati sul versante delle nuove tecnologie informatiche, la Circolare dà opportunamente molto spazio ai Gruppi di Lavoro per l’Inclusione a livello di singole scuole (GLI) e ai Centri Territoriali per l’Inclusione a livello di reti di scuole nell’ambito di un distretto sociosanitario (CTI). La Circolare, anzi, fornisce utili indicazioni circa questi nuovi organismi e i loro rapporti con quelli precedenti, come ad esempio i GLHO, i GLIP, i CTI, i CDH, ecc., per gli alunni con disabilità e i referenti scolastici e i CTS per gli alunni con DSA, introdotti dalla precedente specifica normativa. La Direttiva configura i CTS come dei nuovi organismi provinciali che curano specificamente l’informazione e l’aggiornamento 22 circa le nuove tecnologie informatiche, che possono anche essere acquistate per essere date in comodato alle singole scuole. Azioni programmatorie La Direttiva e la Circolare sui BES prevedono che presso ogni scuola il POF sia integrato con norme concernenti i principi sull’inclusione di alunni con altri BES. Si stabilisce inoltre che il GLI predisponga annualmente un programma di attività raccogliendo tutte le richieste dai GLHO per gli alunni con disabilità e dai Consigli di classe per gli altri casi di BES; il programma viene approvato dal Collegio dei docenti e inviato entro giugno all’Ufficio Scolastico Regionale, ai GLIP e ai GLIR, Gruppi di Lavoro Interistituzionali Regionali per gli alunni con disabilità. Le richieste concernenti le ore di sostegno valgono — è ovvio — esclusivamente per gli alunni certificati ai sensi dell’art. 3 della Legge 104/92. All’inizio dell’anno i GLI debbono a coordinare le risorse assegnate e distribuirle alle singole classi, che provvederanno a programmare l’attività per ciascun alunno con BES; a fine anno, gli stessi GLI valuteranno i risultati della qualità dell’inclusione realizzata nella scuola per quell’anno e formuleranno proposte migliorative per l’anno successivo. Le obiezioni alla normativa sui BES La critica è circa il presunto sovraccarico di lavoro causato dalla formulazione dei PDP per ciascun alunno con DSA o altri BES, oltre a quella dei PEI per gli alunni certificati con disabilità che sembra eccessiva. Infatti, mentre i PEI richiedono un lavoro notevole per la formulazione del precedente PDF e dello stesso PEI, il PDP per i casi di DSA e altri BES è un documento estremamente breve che, prendendo atto della delibera del Consiglio di classe, indica semplicemente per quale disciplina viene adottato lo strumento compensativo o dispensativo. Altra critica è che i docenti curricolari non sono preparati a farsi carico dei problemi legati alle difficoltà di apprendimento e che il progetto di formazione iniziale dei futuri docenti delle scuole secondarie prevede nei nuovi programmi appena sei crediti formativi sulla didattica speciale. Le proposte avanzate A seguito delle difficoltà nel realizzare una buona qualità generalizzata dell’inclusione sono state avanzate varie proposte di soluzione. Alcuni, come l’Associazione TreeLLLe e la Fondazione Agnelli, hanno proposto di far tornare in classe l’80% degli attuali docenti per il sostegno, circa 80.000, utilizzando il restante 20% in équipe itineranti a sostegno e consulenza delle singole scuole non solo per i casi di disabilità ma per tutti i BES. Questa soluzione sembra avere il vantaggio di evitare il licenziamento in massa dei docenti per il sostegno, lasciando ai docenti curricolari la presa in carico del progetto di inclusione aiutati dai docenti di sostegno; questi tornerebbero a fare i curricolari, e tutti si avvarrebbero della consulenza delle équipe itineranti. Altra soluzione propone di licenziare tutti i docenti per il sostegno e, con le risorse risparmiate in questo modo, aumentare gli stipendi degli insegnanti curricolari impegnati nella presa in carico dell’inclusione. Un’ulteriore ipotesi avanzata prevede di assegnare alle singole scuole, meglio se in rete, un organico funzionale di sostegno. Altra soluzione proposta dalle associazioni è quella di avviare un programma generalizzato di formazione iniziale e obbligatoria in servizio dei docenti curricolari, in modo da affrontare personalmente la presa in carico del progetto inclusivo, con l’aiuto dei docenti per il sostegno, che, quando la formazione fosse terminata, potrebbero anche ridursi di numero, garantendo comunque la qualità dell’inclusione generalizzata. Tutte queste proposte hanno esplicitamente o implicitamente l’obiettivo di estendere la risorsa-sostegno a favore di tutti i casi con BES anche al fine di prevenire la crescente dispersione scolastica, specie nel Sud. 25 Il concetto di bisogno educativo speciale è una macrocategoria che comprende: - la situazione di disabilità, certificata ai sensi dell’art. 3, commi 1 o 3 della Legge 104/92 e del DPCM n.185/2006, che dà titolo all’attribuzione dell’insegnante di sostegno, P.E.I.; - i disturbi evolutivi specifici (secondo la Direttiva, tali disturbi se non vengono o possono non venir certificati ai sensi della legge 104/92, non dando diritto all’insegnante di sostegno), che a loro volta si suddividono in D.S.A. (con diagnosi ai sensi dell’art. 3 della Legge 170/2010 e alle relative Linee Guida di attuazione del Luglio 2011) e gli altri quadri diagnostici quali i deficit del linguaggio, delle abilità non verbali, della coordinazione motoria, dell’attenzione e dell’iperattività e il funzionamento intellettivo limite, che viene, quest’ultimo, considerato un caso di confine fra la disabilità e il disturbo specifico, P.D.P.; - lo svantaggio socio-economico, linguistico e culturale, la Direttiva dispone che l’individuazione di tali tipologie di B.E.S. deve essere assunta dai Consigli di classe sulla base di considerazioni di carattere psicopedagogico e, in particolare, come da indicazioni della C.M. n.8 del 6 marzo 2013, sulla base di elementi oggettivi (come ad es. una segnalazione degli operatori dei servizi sociali), ovvero di ben fondate considerazioni psicopedagogiche e didattiche, P.D.P. se deciso dal Consiglio di classe ai sensi della DM 27/12/2012. Tutte queste situazioni sono diversissime l’una dall’altra, ma uguali nel loro diritto a ricevere un’attenzione educativo-didattica sufficientemente individualizzata ed efficace: ognuna di queste persone ha un funzionamento per qualche aspetto problematico, che rende loro più difficile trovare una risposta adeguata ai propri bisogni. Negli ultimi anni si è assistito ad un salto qualitativo del processo di integrazione nel mondo della scuola. Fino al 2010 il sistema scolastico si basava essenzialmente sulla presenza di una certificazione medica che gli garantiva risorse aggiuntive necessarie per attuare i processi di integrazione che erano quindi rivolti solo agli alunni con disabilità nella classica accezione. Con la normativa che introduce la definizione di D.S.A. si è allargata la platea degli alunni con bisogni educativi speciali anche a coloro che presentavano disturbi di apprendimento tipo dislessia, discalculia e disortografia. Fino ad allora non essendo considerati dalla vigente normativa e non essendo prevista alcuna certificazione, per tali alunni la scuola non prevedeva l’adozione di piani didattici individualizzati e personalizzati, nonché l’utilizzo di strumenti compensativi e dispensativi utili, e talvolta indispensabili, ad aiutare il bambino nel processo di apprendimento. Un altro passaggio importante si ha nel 2013, con l’introduzione della possibilità da parte del consiglio di classe di individuare anche altre categorie di alunni con Bisogni Educativi Speciali e predisporre per loro percorsi formativi personalizzati, annoverando tra questi, alunni che presentano difficoltà di tipo sociale e/o culturale come gli alunni stranieri e alunni provenienti da contesti sociali difficili o disagiati. Il riconoscimento di una sempre più ampia gamma di difficoltà che la scuola deve prendere in considerazione, pone alla scuola stessa una sfida per il futuro, utilizzare metodologie didattiche diversificate che possano essere fruibili a tutti gli alunni con B.E.S. Una diagnosi nosografica ed eziologica è ovviamente fondamentale per progettare e realizzare interventi riabilitativi, abilitativi, terapeutici, preventivi, epidemiologici,ecc., ma non ci aiuta a fondare politiche di equità reale nelle nostre scuole. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la salute non è assenza di malattia, ma benessere bio-psico- sociale, piena realizzazione del proprio potenziale. Questo chiama fortemente in causa dimensioni sociali, culturali, economiche, razziali, religiose, ecc. che non sono biostrutturali. L’Intesa Stato–Regioni–Province-Comuni, siglata il 20 marzo 2008 prospetta un nuovo percorso di totale presa in carico dell’alunno con disabilità delineando una procedura improntata al rispetto della persona con disabilità e dei suoi familiari, integrando il ruolo che compete alla scuola col ruolo delle ‘equipe’ multidisciplinari dell’Azienda Sanitaria Locale (A.S.L.) e introducendo il modello I.C.F. dell’O.M.S. come base per una diagnosi funzionale maggiormente globale. Per la delineazione di una scuola inclusiva nei confronti di tutti gli alunni con B.E.S., un importante contributo è stato fornito dal sistema di classificazione - l’I.C.F. - messo a punto dall’O.M.S. nel 2002/2007. Nel 2002 26 viene pubblicato in Italia il manuale generale per le persone adulte e nel 2007 la versione Children and Youth (C.Y.), per bambini e adolescenti. Questo modello è utile per una lettura globale dei bisogni educativi speciali in un’ottica di salute e di funzionamento, come frutto di relazioni tra vari ambiti interni ed esterni al bambino: condizioni fisiche, funzioni e strutture corporee, attività personali, partecipazione sociale, fattori contestuali ambientali e personali. Secondo il modello antropologico dell’I.C.F., un bisogno educativo può originarsi da moltissime combinazioni di fattori biologici, contestuali ambientali o contestuali personali, da deficit di attività personali, di partecipazione sociale ed in tante combinazioni diverse quante sono le situazioni individuali di vita. Su questa base bio-psico-sociale si fonda un modo globale di leggere i bisogni, in quanto riesce a cogliere tutte le condizioni di difficoltà, anche quelle puramente socioeconomiche, che un modello medico biostrutturale non riuscirebbe a fare. Questa lettura più ampia e completa dei bisogni della popolazione scolastica permette la definizione e l’applicazione di prassi inclusive, che superano quelle tradizionalmente operanti nel concetto di integrazione degli alunni con disabilità. Questo è un significativo passo in avanti verso un’inclusione davvero completa, cioè la capacità della scuola di garantire a tutti gli alunni il massimo apprendimento e partecipazione, al di là delle condizioni personali e sociali, un approccio che non parte dalla difficoltà di qualche alunno, ma dal diritto di tutti di realizzare il proprio massimo potenziale. Difficoltà ed eterogeneità degli alunni Sono sempre di più gli alunni che per qualche difficoltà di “funzionamento” preoccupano gli insegnanti e le famiglie. Gli insegnanti hanno la percezione che questi casi aumentino a un ritmo crescente, ma sono diversi i fattori che contribuiscono a questa percezione di incremento e di maggiore diffusione: Da un lato, c’è una maggiore capacità di individuazione di tali disturbi/difficoltà da parte di psicologi e neuropsichiatri, oltre che di quelle figure professionali preziose, come i logopedisti e gli psicomotricisti, che si occupano sempre più dell’apprendimento, ecc. Dall’altro, si riscontra una maggiore capacità osservativa e interpretativa degli insegnanti, che riescono ad accorgersi sempre meglio delle varie condizioni di criticità. Dunque le situazioni di difficoltà in parte aumentano realmente, in parte sono ora maggiormente riconosciute, benché esistessero certo anche in passato. Per realizzare una buona inclusione scolastica deve avviarsi una profonda riflessione sulle tematiche educativo-didattiche, sugli stili d’insegnamento, sulle scelte metodologiche, sulla gestione della relazione educativa, sullo sviluppo dell’intelligenza emotiva e sugli approcci curricolari. È fondamentale che ogni scuola prenda apertamente, ribadisca, comunichi nell’offerta formativa e concordi con le famiglie e con la comunità locale alcune decisioni strategiche e operative, ovvero: 1. occuparsi in maniera efficace ed efficiente di tutti gli alunni che presentano qualsiasi difficoltà di funzionamento educativo; 2. accorgersi in tempo delle difficoltà e delle condizioni di rischio; 3. accorgersi di tutte le difficoltà, anche di quelle meno evidenti, in tutti gli alunni; 4. comprendere le complesse interconnessioni dei fattori che costituiscono e che mantengono le varie difficoltà. È necessario attivare un processo stretto di collaborazione con gli operatori sociali e sanitari del territorio. Per la maggior parte degli alunni in difficoltà, invece, la scuola e il Consiglio di classe, così come evidenziato anche nella Circolare ministeriale, dovranno attrezzarsi con solide competenze pedagogiche, psicologiche e didattiche proprie, per non delegare il riconoscimento e la comprensione dei BES, che devono essere una loro competenza, anche se ovviamente condivisa con altre figure professionali; 5. rispondere in modo inclusivo, efficace ed efficiente alle difficoltà, attivando tutte le risorse dell’intera comunità scolastica e non. I BES come difficoltà evolutiva di funzionamento educativo e/o apprenditivo. I criteri per una concettualizzazione, del concetto di bisogno educativo speciale, valida e utile operativamente: Una concettualizzazione che abbia le caratteristiche della sensibilità, che riesca cioè a cogliere in tempo e precocemente il maggior numero possibile di condizioni di difficoltà dei bambini. Ovviamente, l’accezione di sensibilità non dovrebbe essere eccessivamente ampia, per evitare che troppi bambini vengano considerati in situazioni di BES. Una concezione troppo estesa produrrebbe molti «falsi positivi» e, di conseguenza, risulterebbe dannosa. 27 la definizione indica i B.E.S. come situazione provvisoria e reversibile anche se non in tutti i casi, ma di certo maggiore rispetto alle etichette diagnostiche tradizionali, più rigide e più stabili. La caratteristica di reversibilità, facilità la famiglia e l’alunno stesso ad accettare un percorso non solo di conoscenza e di approfondimento della difficoltà in sé, ma anche il successivo intervento di individualizzazione e di educazione speciale. conseguenza positiva dell’adozione del concetto di B.E.S. è quella del minor impatto stigmatizzante, psicologico e sociale per l’alunno e la sua famiglia. Il bisogno educativo speciale è qualsiasi difficoltà evolutiva, in ambito educativo e/o apprenditivo, che consiste in un funzionamento problematico anche per il soggetto, in termini di danno, ostacolo o stigma sociale, indipendentemente dall’eziologia, e che necessita di educazione speciale individualizzata. Si può parlare correttamente di bisogno educativo speciale soltanto entro l’età evolutiva, in quanto i primi 18 anni sono sicuramente più collegati al concetto di educazione e di istruzione formale. La soglia tra funzionamento normale e problematico Spesso sono gli insegnanti e il genitore ad accorgersi della presenza di una problematicità di apprendimento e di sviluppo nel bambino, ma questo loro disagio non è affatto sufficiente per giudicare come realmente problematico il funzionamento educativo-apprenditivo del soggetto. Per fare il passaggio da una sensazione soggettiva di disagio a una valutazione il più possibile oggettiva dello stato di funzionamento si deve poter disporre di criteri il più possibile oggettivi: Il criterio del danno, una situazione di funzionamento è realmente problematica per un bambino se lo danneggia direttamente o danneggia altri: si pensi a disturbi del comportamento gravi, all’autolesionismo, a disturbi emozionali importanti, a seri deficit di attività personali, a situazioni di grandi rifiuti o allontanamento dal gruppo. Se ciò accade è evidente che la situazione è realmente problematica e non è affatto un falso positivo. il criterio dell’ostacolo: un funzionamento problematico è tale realmente per quel bambino se lo ostacola nel suo sviluppo futuro, se cioè lo condizionerà nei futuri apprendimenti cognitivi, sociali, relazionali ed emotivi. In questa situazione la difficoltà non riesce a danneggiare oggi direttamente il bambino, ma lo pone in situazione di svantaggio per ulteriori successivi sviluppi. Si pensi alle difficoltà di linguaggio ma anche ai disturbi dell’apprendimento lievi o alle difficoltà emotive o comportamentali. un terzo criterio, che potremmo definire dello stigma sociale. Con esso ci si chiede se oggettivamente il bambino, attraverso il suo scarso funzionamento educativo-apprenditivo, stia peggiorando la sua immagine sociale, stia costruendosi ulteriori processi di stigmatizzazione, soprattutto se appartiene a qualche categoria socialmente debole. Come adulti, insegnanti e genitori, abbiamo il dovere etico di tutelare e di migliorare, se possibile, l’immagine dei nostri alunni e dei nostri figli. Anche perché un’immagine sociale negativa evidentemente diventerà poi ostacolo, e successivamente danno, per il loro sviluppo. Questo tipo di valutazione del bisogno educativo speciale serve per cogliere globalmente tutte le condizioni di funzionamento problematico, per potervi costruire una didattica inclusiva ben individualizzata. Piano Educativo Individualizzato (P.E.I.) Nel P.E.I., la scuola trova il suo strumento principale in cui esplicita i suoi obiettivi educativi e didattici, ai fini della realizzazione del diritto all’educazione e all’istruzione, di cui ai primi quatto commi dell’art.12 della L. 104/92. Nel P.E.I. sono contenuti i progetti didattico-educativi, riabilitativi e di socializzazione individualizzati, nonché sono previste le forme di integrazione tra attività scolastiche ed extrascolastiche, di cui alla lettera a), comma 1, dell’art. 13 della L. 104/92. Il primo comma dell’art. 16 della L. 104/92, indica che il P.E.I., sui cui risultati si basa la valutazione, possa prevedere la riduzione o la sostituzione dei contenuti di alcune discipline in tutte le scuole di ogni ordine e grado. Il secondo comma stabilisce che il P.E.I: sia formulato sulla base delle effettive capacità e potenzialità dell’alunno, stabilisce inoltre che la valutazione avrà esito positivo qualora si verifichino progressi rispetto ai livelli iniziali degli apprendimenti. Il P.E.I. è successivo al documento di programmazione P.D.F, e strettamente connesso ad esso, i contenuti del P.D.F. sono definiti in modo molto dettagliato nel D.P.R. del 1994. 30 di handicap e le possibilità di recupero, sia le capacità possedute che devono essere sostenute, sollecitate e progressivamente rafforzate e sviluppate nel rispetto delle scelte culturali delle persone handicappate. Il P.D.F. è redatto sulla base della D.F., dopo un periodo di inserimento scolastico, dai docenti curricolari, dall’insegnante di sostegno e dagli operatori sanitari, con la collaborazione dei genitori. All’elaborazione del P.D.F. iniziale seguono verifiche per controllare gli effetti dei diversi interventi e l’influenza esercitata dall’ambiente scolastico. Il P.D.F. è aggiornato a conclusione di ogni ordine scolastico. Le operazioni del Profilo dinamico funzionale dovrebbero quindi aiutare a ricostruire, dai dati della Diagnosi funzionale, una sintesi integrata che permetta di comprendere le caratteristiche dell’alunno, trasformandole in obiettivi a breve, medio e lungo termine. Con l’Intesa della Conferenza Unificata Stato-Regioni-Province-Regioni del 2008, tra le altre cose, si va a modificare parte della documentazione prevista dalla L. 104/92, laddove viene indicato un accorpamento del P.D.F. nella D.F., inoltre si stabilisce che la stessa D.F. sia aggiornata ad ogni passaggio di grado scolastico. Le fasi operative e le funzioni svolte dal Profilo dinamico funzionale FASE 1: Sintetizzare in modo significativo i risultati della Diagnosi funzionale FASE 2: Definire gli obiettivi a lungo termine FASE 3: Scegliere gli obiettivi a medio termine FASE 4: Definire gli obiettivi a breve termine e le sequenze di sotto-obiettivi Nell’agire educativo-didattico quotidiano, qualunque siano gli obiettivi che si cercano di raggiungere, ci si deve quindi sempre muovere su quattro piani distinti ma strettamente interconnessi tra loro: la relazione con l’alunno, la dimensione affettiva, la dimensione didattica — organizzata in concrete attività orientate da precise metodologie di riferimento — e la gestione «microscopica», molecolare delle dinamiche di comunicazione e mediazione didattica rispetto al raggiungimento di obiettivi specifici nelle varie aree di funzionamento dell’alunno e degli apprendimenti disciplinari. CAPITOLO 4 “LO SVILUPPO DEL BAMBINO” Lo sviluppo sociale Il bambino non nasce in un vuoto sociale ma i psicologi affermano che tra il patrimonio ereditario e l’ambiente ci sia il reciproco influenzarsi che condiziona lo sviluppo e l’ambiente stesso. I psicologi ritengono che il primo gruppo sociale del bambino è formata dalla famiglia, dove avviene la socializzazione tra il bambino e i familiari, il bambino arriva a legarsi ai genitori perché essi soddisfano i suoi bisogni. La famiglia offre una sorta di imprinting , è un apprendimento immediato e permanente che è in grado di condizionare anche le scelte e gli sviluppi futuri. Il neonato stabilisce con la madre il primo legame sociale e Ainsworth lo definisce “attaccamento” , egli afferma che questa relazione sia innata e ci sono dei segnali per capire come si sviluppa questo attaccamento: il bambino quando è afflitto viene consolato dalla madre con prontezza (o da altro membro familiare); il bambino accetta la presenza degli estranei solo se la madre è presente che gli offre sicurezza; il bambino dimostra sentimenti,sguardi e movimenti verso la madre (o da altro membro familiare). L’attaccamento è il primo passo dell’apprendimento sociale del bambino,e non sempre avviene in modo positivo perché può verificarsi un eccessivo attaccamento alla famiglia che potrebbe portare il bambino a seri problemi. Lo sviluppo sociale, affettivo e cognitivo del bambino viene coinvolto dalla relazione stabilita fin dall’inizio con la madre. Il processo d’interazione tra genitore e bambino avviene mediante due vie: il comportamento del genitore è influenzato da quello del bambino e viceversa. Quando il legame è eccessivamente forte si possono creare dei scompensi nello sviluppo sociale del bambino ma soprattutto in futuro, rendendo il bambino insicuro di sé e dipendente dal genitore. Nell’infanzia un bambino che viene maltrattato dai genitori, essi possono diventare aggressivi. All’interno della famiglia bisogna evitare i comportamenti devianti, poiché dipende dalla scarsa importanza della famiglia che è dovuta da diversi fattori come l’estinzione della famiglia patriarcale, i cambiamenti sociali e del lavoro. Il tipo di linguaggio che viene utilizzato in famiglia 31 presenta conseguenze sullo sviluppo sociale e sull’apprendimento scolastico, quindi se una famiglia utilizza un linguaggio di povertà lessicale di conseguenza il bambino usa tale linguaggio. La scuola favorisce un linguaggio colto che consente di parlare e di strutturare il pensiero con l’obiettivo di comprendere meglio il mondo. Lo sviluppo cognitivo Lo sviluppo cognitivo riguarda la capacità di pensare, le modalità di soluzioni dei problemi, le fasi del pensiero del bambino. La teoria sullo sviluppo mentale del bambino mediante il metodo clinico di esplorazione delle idee, la percezione e la logica fu elaborata da Piaget , considerato uno studioso della psicologia infantile. Piaget afferma che il pensiero del bambino non è di tipo immaturo rispetto a quello dell’adulto ma il modo di pensare è ricco di caratteristiche che cambiano con il percorso evolutivo del bambino. Piaget suddivide lo sviluppo cognitivo del bambino in quattro stadi: 1. Stadio sensomotorio: Inizia dalla nascita ai due anni circa, è caratterizzato dalle esperienze sensoriali e motorie che il bambino agisce mediante l’esplorazione e la comprensione del mondo circostante. 2. Stadio del pensiero preoperatorio: Va dai due anni a sette anni, il bambino per conoscere il mondo usa il pensiero simbolico che lo considera come unico modo di esprimersi con il linguaggio ma l’atteggiamento è ancora di tipo egocentrico perché il bambino non conosce altre alternative alla realtà ciò significa che il bambino vede in modo unilaterale delle cose e lo fa credere che tutti la pensino come lui. 3. Stadio delle operazioni concrete: Da sette anni a dodici anni, il bambino è capace di prendere coscienza che un’azione resta invariata anche se viene ripetuta, e di usare una modalità di pensiero da quello analogico a quello induttivo per raggiungere ad uno stesso punto di arrivo iniziando da due diverse vie. 4. Stadio delle operazioni formali: Da dodici anni a oltre, è caratterizzato dalla capacità che il pre-adolescente utilizza una modalità del ragionamento astratto e ipotetico-induttivo. Considera delle ipotesi che possono essere o non essere vere e riflettere cosa potrebbe avvenire se fossero vere. I processi dello sviluppo cognitivo Piaget ha affermato che la differenza tra il pensiero del bambino e quello dell’adulto è di tipo qualitativo perché concepisce che l’intelligenza è collegato al concetto di adattamento all’ambiente. Egli sostiene che la conoscenza del bambino è concentrato sull’interazione pratica del soggetto con l’oggetto, quindi il soggetto influisce sull’oggetto e lo trasforma. Piaget afferma due processi che caratterizzano gli adattamenti: l’assimilazione e l’accomodamento. L’assimilazione si ha quando il bambino adopera qualcosa del suo ambiente per un’attività che già conosce e non viene modificata, è il processo che avviene nella prima fase di sviluppo, mentre nella seconda fase si ha l’accomodamento ed è quando il bambino svolge un’osservazione attiva sull’ambiente cercando di dominarlo e quindi le precedenti risposte si modificano attraverso l’ambiente. Oltre Piaget: altri approcci allo sviluppo cognitivo Come Piaget, Bruner afferma che i bambini si sviluppano mediante l’interazione sociale, ma al contrario di Piaget, Bruner considera un nuovo concetto di sviluppo cognitivo del bambino che apprende in modo continuo e non a stadi come afferma Piaget. Per Bruner i bambini attraversano tre stadi fondamentali: attivo (il pensiero è basato sul fare); iconico (il pensiero è 32 immaginazione,fantasia e creatività); simbolico (si usa il simbolismo perché richiede complessità come il linguaggio). L’approccio cognitivo come elaborazione umana dell’informazione (Human Information Processing/ HIP) osservano come i bambini riconoscono, codificano, immagazzinano e recuperano le informazioni per risolvere dei problemi cognitivi. Secondo tale approccio (HIP) la cognizione coinvolge un numero preciso di processi cogniti vidi base come il riconoscimento percettivo, l’attenzione, la memoria a breve e a lungo termine ecc. Gli studiosi dell’approccio HIP affermano che i bambini sono capaci di processi mentali complessi fin dall’infanzia e tendono a non seguire la tesi piagetiana. Lo sviluppo è un continuo cambiamento dei processi cognitivi preesistenti perché sono dei processi costruiti in base all’esperienza. Vygotskij fu uno degli studiosi che sostiene l’influenza della cultura e dell’ambiente sullo sviluppo cognitivo. Egli afferma nella teoria dello sviluppo cognitivo del bambino che le capacità, le abilità avvengono mediante l’interazione con gli altri che formano un processo di primaria importanza perché il bambino diventa maturo in base alle modalità di pensiero. Egli afferma che il linguaggio è un mezzo di per comunicare ma soprattutto ha l’obiettivo di accostare a sé stessi, e lo considera un mezzo cruciale perché il linguaggio ha una funzione di interiorizzazione. Lo sviluppo del linguaggio I bambini iniziano a parlare fra il quarto e il sesto mese di vita, si tratta di emissioni di suoni manifestati con gioia e viene denominata lallazione (avviene nello stadio prelinguistico). Questo fenomeno dell’emissione dei suoni gioiosi e giocosi dipendono dall’influenza dell’ambiente esterno, i bambini li compiono anche in presenza di persone. Nel processo cognitivo e comunicativo gli individui usano le parole per rappresentare gli oggetti e gli avvenimenti dell’ambiente circostante, quindi il bambino concepisce che le parole rappresentano non solo suoni ma esperienze reali. Chomsky afferma che gli individui siano geneticamente dotati per acquisire il linguaggio, egli adotta l’acronimo LAD/ Language Acquisition Device (dispositivo di acquisizione linguistica). Secondo lo studioso il bambino impara a parlare in due condizioni: di tipo genetica, che è costituita dal LAD innato; di tipo ambientale, che è costituita dall’esperienza (di sentire le persone parlare). L’intelligenza Non esiste una definizione precisa ma l’intelligenza ha avuto un vero e proprio exploit , quello di misurare l’intelligenza attraverso i test. All’inizio del Novecento lo psicologo Binet e il suo collaboratore Simon adottarono le modalità per misurare l’intelligenza con una serie di problemi semplici per misurare la comprensione, il ragionamento e la capacità di adattamento in base all’età. Questo processo cercò di analizzare l’età mentale del bambino che corrispondeva all’età cronologica in cui la media dei bambini otteneva punteggi simili. Uno studioso Terman sviluppò questo concetto e lo definì in QI (quoziente intellettivo), il QI di un bambino si stabilisce prendendo il rapporto tra l’età mentale e l’età cronologica e moltiplicandolo per cento. Affettività, personalità e differenze individuali L’affettività è un’insieme di emotività e il termine affettivo si adotta a fattori emozionali e sono collegati al comportamento, ma solitamente si riferisce a tutti quei elementi che costituiscono la personalità. La personalità è l’insieme delle caratteristiche di un individuo e comprende gli atteggiamenti, i comportamenti, le emozioni, i sentimenti, l’autostima e le percezioni del proprio Sé. Gli studiosi si stabiliscono tante domande se la personalità dipende dal corredo ereditario (DNA) quindi ereditaria o se dipende dall’ambiente. Ma sarebbe impossibile se fosse ereditaria altrimenti 35 TOLMAN Questo studioso include nei principi responsabili dell’apprendimento, il concetto di intenzione che anima un’azione. Il comportamento è, dunque, intenzionale/finalistico, cioè diretto verso uno scopo ed è suscettibile di continue modificazioni proprio in seguito ai processi di apprendimento. Non ci troviamo più di fronte solo a un organismo che ricevendo stimoli produce delle risposte, ma a un organismo in grado anche di valutare le relazioni esistenti tra stimolo, azione e conseguenza. Il comportamento può quindi essere descritto come orientato verso una meta, finalizzato a precisi obiettivi e, quindi, pianificato e intenzionale. BANDURA Ha formulato la teoria dell’apprendimento sociale, il cui perno centrale è l’apprendimento osservativo, cioè un tipo di apprendimento che si discosta dal paradigma stimolo-risposta-rinforzo e avviene tramite l’osservazione di un modello di comportamento. Tale teoria offre degli spunti che trovano oggi ampia ed efficace applicazione anche in ambito educativo-didattico e sono capisaldi del processo di insegnamento-apprendimento. Bandura formula un sistema di rappresentazioni in base al quale una persona è in grado di anticipare e valutare le attese che il suo comportamento implica, sviluppando quindi un senso di autoefficacia, pianificando le azioni necessarie per portare a compimento con successo quanto ci si è prefissati, controllando e dirigendo attivamente il proprio comportamento. L’APPRENDIMENTO NEGLI APPROCCI COGNITIVISTI E COSTRUTTIVISTI Se il COMPORTAMENTISMO era caratterizzato dallo stretto rapporto tra stimolo e risposta, negli approcci di stampo COGNITIVISTA il soggetto assume un ruolo decisamente più attivo nell’elaborare la realtà circostante, in cui la conoscenza è acquisita intenzionalmente e dove, le nuove conoscenze, possono anche andare a modificare quelle preesistenti attraverso accrescimento, ristrutturazione e sintonizzazione. Quelle che vengono acquisite non sono più quindi semplici “abitudini” ma strutture cognitive articolate, in grado di predisporre la mente affinché colleghi le varie informazioni e costruisca attivamente delle risposte. Mentre nel comportamentismo i fattori determinanti per l’apprendimento erano per lo più esterni (es. i rinforzi), nel cognitivismo grande importanza assumono anche i fattori interni, legati ai processi mentali del soggetto e alle diverse componenti cognitive coinvolte. Gradualmente quindi, la conoscenza “trasmessa, memorizzata e riprodotta” viene a contrapporsi a una conoscenza che è “costruita, compresa e prodotta” attivamente dalla persona. Questo assunto è il caposaldo del COSTRUTTIVISMO secondo il quale l’apprendimento è un processo personale costruttivo, intenzionale, mediato dal pensiero che non è mai separato dall’azione. Questo fa in modo che l’apprendimento si basi su una comprensione personale di ciò che ci circonda, basandosi sulle esperienze vissute che andranno ad influenzare anche quelle future. LA TEORIA DELLA GESTALT La scuola della Gestalt, a differenza del comportamentismo, afferma che l’apprendimento si basa su processi cognitivi (quali il pensiero e la percezione) e può essere compreso andando oltre lo studio del semplice comportamento. Secondo tale corrente l’apprendimento avviene per insight (intuizione improvvisa), ossia caratterizzato dalla soluzione a un problema che si presenta improvvisamente al soggetto. Solo dopo aver capito (intuito) le relazioni tra gli oggetti, il soggetto riesce ad apprendere. Avviene quindi una ristrutturazione del campo percettivo-cognitivo che permette di cogliere le relazioni tra gli oggetti ed usarli come strumenti per risolvere i problemi. L’apprendimento nella prospettiva della Gestalt si basa, dunque, sul “pensiero produttivo”, cioè quell’attività mentale che si attiva quando ci troviamo davanti ad una situazione problematica che non può essere risolta in modo immediato e con schemi precedentemente acquisiti. Il soggetto, quindi, mette in moto un ragionamento produttivo che permette l’acquisizione di una conoscenza nuova. A scuola, dunque, sarebbe utile presentare agli alunni problemi innovativi e di non immediata soluzione per attivare il pensiero produttivo e quindi per attivare soluzioni creative. 36 L’APPRENDIMENTO IN PIAGET Punto di partenza della teoria di Piaget è il concetto di conoscenza come continua interazione tra ambiente e organismo. Perché vi sia conoscenza, il soggetto deve però agire sull’ambiente in maniera attiva. Secondo Piaget, le strutture cognitive (chiamate schemi) rappresentano le forme dell’organizzazione mentale che si modificano lungo tutto l’arco evolutivo, con caratteristiche ben diversificate. I suoi studi mettono infatti in risalto la specificità del pensiero infantile rispetto a quello dell’adulto. Il bambino infatti passa da modelli di pensiero infantili fino a quelli propri dell’adulto attraverso una sequenza ben precisa e ordinata di stadi e la rapidità del passaggio da uno stadio all’altro, benché sia influenzata da esperienze vissute, è essenzialmente governata da processi di maturazione determinati biologicamente. Ogni stadio infatti (senso-motorio; preoperatorio; delle operazioni concrete; delle operazioni formali) è caratterizzato da una struttura cognitiva ben precisa e dall’utilizzo di strategie messe in atto dal bambino per cercare di organizzare e comprendere l’esperienza. VYGOTSKIJ Affronta la problematica del linguaggio come strumento di sviluppo cognitivo ed elabora il concetto di “apprendimento come interiorizzazione”. Secondo lo studioso, la conoscenza si costruisce attraverso la fitta rete di relazioni con l’ambiente e il significato che ciascuno associa alla realtà è socialmente costruito attraverso il linguaggio. Vygotskij afferma che il linguaggio prima è socializzato e quindi strumento di comunicazione ed espresso ad alta voce per comunicare con gli adulti, poi diventa egocentrico (il bambino parla ad alta voce quando è impegnato in attività di risoluzione dei problemi), infine diventa interiorizzato e quindi strumento di regolazione (dai 4 ai 7 anni). Secondo Piaget invece il linguaggio è inizialmente egocentrico e senza intenzioni comunicative, solo successivamente diventa sociale con funzione comunicativa; L’apprendimento crea la zona di sviluppo prossimale nel senso che attiva una varietà di processi evolutivi che possono operare solo quando il bambino interagisce con i suoi pari e con le altre persone del suo ambiente. La zona di sviluppo prossimale è la differenza tra quello che il bambino sa fare senza aiuto e quello che invece riuscirebbe a fare con l’aiuto di un esperto. Il bambino, se aiutato da un adulto o da coetanei più abili, può anticipare il suo sviluppo. A tal proposito, è in aperto dissenso con Piaget al quale critica la scarsa importanza attribuita al ruolo svolto dall’istruzione. Piaget infatti afferma che non possiamo anticipare lo sviluppo se il bambino non ha acquisito le strutture dello stadio evolutivo in cui si trova. Sulla scia di Vygotskij, l’insegnante potrebbe usare diverse strategie per agire su questa zona, ad esempio sfruttando l’interazione tra pari: peer tutoring (affiancare ad un bambino meno competente, un compagno più esperto). BRUNER Per Bruner lo sviluppo cognitivo può essere delineato mediante il concetto di rappresentazione, con cui egli intende una modalità di elaborazione delle informazioni che provengono al soggetto dall’ambiente circostante. Esistono 3 modalità di rappresentazione: 1. esecutiva, la conoscenza è assimilata attraverso l’azione; 2. iconica, la conoscenza del mondo è basata su caratteristiche oggettive; 3. simbolica, mediata dal linguaggio. Per Bruner diventa quindi prioritario comprendere non tanto come avvenga la costruzione del mondo, quanto piuttosto l’elaborazione dei significati. Possiamo quindi affermare che in Bruner l’apprendimento è scoperta attiva, creatrice, che non produce abilità specifiche bensì modalità e stili di pensiero. La SCUOLA nel sistema di Bruner ha un ruolo centrale in questo ambito sociale, in quanto ha il compito di affinare le modalità di conoscenza, di insegnare a pensare attraverso uno strumento privilegiato amplificatore: le discipline. Secondo lo studioso le caratteristiche fondamentali di una teoria dell’istruzione sono: 37 - stabilire quali sono le esperienze migliori che predispongono il soggetto ad apprendere, facilitando l’esplorazione; - guidare lo studente attraverso una serie di elementi progressivi, allo scopo di accrescere le sue capacità di comprendere e trasformare tutto ciò che apprende; - chiarire il modo in cui un insieme di saperi vanno presentati per essere compresi; - l’allievo deve essere informato sulle finalità e gli obiettivi verso i quali tendono i suoi sforzi; - devono essere chiari la natura e il ritmo delle ricompense e delle punizioni. Bruner afferma che è possibile insegnare qualsiasi problematica a chiunque in ogni età, purché il materiale e i concetti siano presentati in un linguaggio conforme allo sviluppo psicologico degli alunni. La scuola deve dunque tradurre il contenuto dell’istruzione in forme di pensiero adatte all’età. A tal proposito il modello di curriculum sostenuto da Bruner è "a spirale": si parte da un tema "vicino" al bambino e progressivamente si sale verso conoscenze sempre più astratte. Questo percorso si può sviluppare attraverso UDA finalizzate all’acquisizione degli elementi che costituiscono la competenza: si parte da un approccio intuitivo, e si prosegue con il presentare i materiali e concetti approfondendo sempre di più. Bruner sostiene l’apprendimento per scoperta (discovery learning); secondo egli l’insegnante deve mirare alla creazione di situazioni problematiche o compiti motivazionali che l’alunno deve risolvere con un processo di ricerca e scoperta (metodo euristico). L’alunno deve mettere in atto strategie concrete e autonome per risolvere il compito-problema. L’insegnante deve saper attivare l’interesse e mantenerlo nel tempo in modo da far concludere l’attività e dirigere l’alunno verso l’obiettivo di risoluzione del compito. L’ELABORAZIONE DELL’INFORMAZIONE (HUMAN INFORMATION PROCESSING) Human Information Processing, in sigla HIP, si può tradurre in italiano come “Elaborazione dell’Informazione nell’Uomo”. Si tratta di una corrente psicologica che studia la mente umana e i processi che la riguardano, seguendo una stretta analogia con i computer. L’obiettivo e l’interesse dei ricercatori sono dunque la relazione esistente tra input e output. Il bambino viene considerato capace di processi mentali complessi fin dalla più tenera età e quindi con lo sviluppo si avrebbe una modificazione qualitativa di processi cognitivi preesistenti che possono via via contare su una vera e propria “banca dati” che si accresce rapidamente nell’arco della vita di una persona. Con il crescere dell’età quindi, l’individuo è in grado di utilizzare una gamma sempre più vasta e flessibile di strategie cognitive. AUSUBEL - “imparo se già possiedo” Lo studioso fa suo il concetto di apprendimento significativo, cioè poter collegare la nuova informazione a concetti rilevanti già posseduti, preesistenti nella struttura cognitiva della persona. Secondo tale teoria, il fattore più importante per l’apprendimento sono le conoscenze che lo studente già possiede. In questo modo l’apprendimento è facilitato se lo studente riesce ad aggiungere significato alle nuove informazioni, attraverso una correlazione tra esse e le conoscenze già possedute Ausubel parla anche di “organizzatore propedeutico”, strategia usata dall’insegnante: potrebbe essere, per esempio,un discorso generico preparato dall’insegnante prima di presentare il nuovo materiale, per introdurre la lezione. Questa strategia incoraggia gli studenti a trasferire ed applicare la conoscenza pregressa e aiuta a strutturare la nuova informazione. Oggi potrebbe essere tradotto come “schema”. NOVAK - “imparo ad imparare” Novak sostiene la teoria dell’apprendimento significativo che richiede l’integrazione della nuova conoscenza con quella esistente. L’apprendimento significativo permette inoltre il trasferimento della conoscenza in ambiti conoscitivi diversi per poter affrontare e risolvere i problemi. In ambito didattico, lo strumento principale che permette un apprendimento significativo della conoscenza è, secondo Novak, la mappa concettuale, ossia una rappresentazione grafica che serve ad organizzare le informazioni in modo da favorire l’integrazione della conoscenza ad un livello profondo, permettono di rappresentare graficamente e in modo schematico le relazioni e i rapporti tra 40 OSTACOLI ALL APPRENDIMENTO CAPITOLO 8 “STRATEGIE DI ADATTAMENTO E FACILITAZIONE DEI CONTENUTI DISCIPLINARI” (Dario Ianes) L’adattamento degli obiettivi curricolari Durante la formulazione degli obiettivi individualizzati a lungo, medio e breve termine, si fa riferimento a tre ambiti che ruotano attorno al bambino: i suoi bisogni fondamentali, il suo Progetto di vita e la programmazione curricolare. Rispetto a quest’ultimo ambito è opportuno che gli obiettivi individualizzati si inseriscano al meglio all’interno dell’ambito disciplinare curricolare e si integrino con gli obiettivi della classe. Per fare ciò è necessaria la collaborazione e lo scambio tra gli insegnanti curricolari e quelli di sostegno, i cui punti di vista permettono di cogliere quelle sfaccettature insite nelle tante dinamiche presenti in classe.. In questo modo si andrà a creare un ‹‹punto di contatto›› tra l’alunno e i compagni, favorendo un apprendimento significativo e una partecipazione attiva di tutti i soggetti. È opportuno, pertanto, avviare la cosiddetta fase di adattamento degli obiettivi andando a rivedere l’input e l’azione, parti fondamentali di qualunque obiettivo, dove per input ci si riferisce alle condizioni di stimolo nei confronti delle quali il soggetto agirà; per azione a quello che il soggetto farà in relazione alla comprensione e all’elaborazione dell’input e all’emissione in output dello stesso. La fase di adattamento si basa sul principio di efficacia: l’adattamento deve essere decisivo per facilitare il lavoro all’alunno, deve, pertanto, produrre un’azione efficace; e sul principio di parsimonia: non cambiare niente che non sia strettamente necessario, modificare il meno possibile le componenti della coppia input→azione. Il percorso di adattamento si realizza attraverso 5 livelli (già schematizzati sul libro da pag.223 a pag.226): - 1° Livello: Sostituzione, della coppia input→azione. Si avvia tale livello soprattutto nei casi di difficoltà sensoriali e/o motorie. - 2° Livello: Facilitazione, ricontestualizzazione dei contesti di apprendimento. Avviato quando le difficoltà non sono troppo forti e sono specifiche e settoriali. - 3° Livello: Semplificazione, degli obiettivi e delle sue componenti. Avviato in presenza di deficit significativi di comprensione, elaborazione ed emissione di una risposta. - 4° Livello: Scomposizione nei nuclei fondanti, ovvero rendere più facilitante quella parte della disciplina che si deve affrontare, attraverso l’aiuto di fotografie, oggetti, mappe concettuali. Livello adottato nei casi di maggiore difficoltà dell’alunno. Presenta di comportamento problema: che inibisce il funzionamento dell’ alunno ( aggressioni fisiche, verbali, fuga ecc.) Reazioni affettive: ( pianto , tristezza, paura, panico) che disturbano il funzionamento apprenditivo dell’ alunno 41 - 5° Livello: Partecipazione alla cultura del compito, per permettere all’alunno di partecipare attivamente a momenti significativi e alle attività curricolari. Adattamento e semplificazione dei libri di testo/schede operative didattiche Accanto al lavoro di adattamento degli obiettivi, è opportuno che gli insegnanti si adoperino a “studiare” e adattare al meglio il materiale e gli strumenti con cui il bambino disabile lavora a scuola. Anche in questo caso si applica un adattamento, rispetto al libro utilizzato dagli altri bambini in classe, e non un cambiamento, per non creare nell’alunno disagio, senso di frustrazione e di inadeguatezza, rispetto alla classe. Scegliere di utilizzare gli stessi strumenti, gli stessi libri (adattati alle esigenze) ha, infatti, un effetto positivo non solo sui processi di apprendimento, ma anche sui processi di integrazione e di appartenenza, sulla socializzazione e sulla condivisione. Il processo di adattamento è sempre preceduto da un’attenta analisi del testo che si vuole adottare e da una profonda valutazione sugli aspetti contenutistici, linguistici e grafici. A tal proposito, Scataglini e Giustini propongono tre livelli di semplificazione del testo. PRIMO LIVELLO: FACILITAZIONE E EVIDENZIAZIONE DEL TESTO Il primo livello di facilitazione implica la costruzione sul testo originale di cornici ingrandite, che evidenziano visivamente i concetti essenziali, e le relative immagini. Questo primo livello si rivolge a quegli alunni che hanno difficoltà percettive e di decodifica nell’approccio al testo. L’alunno ha così a disposizione una “speciale lente di ingrandimento” che focalizza visivamente e illustra gli aspetti essenziali. SECONDO LIVELLO: SEMPLIFICAZIONE, SCHEMATIZZAZIONE E RISTRUTTURAZIONE DEL TESTO Il secondo livello di adattamento consiste nelle seguenti operazioni: -rafforzamento dell’idea principale con altre informazioni fondamentali -uso di un linguaggio più semplice -evidenziazione delle parole chiave in neretto -uso di caratteri sufficientemente grandi In tal modo si permette all’alunno di comprendere subito e di elaborare-assimilare più facilmente le nozioni necessarie. Questa operazione può essere realizzata in modo più semplice usando materiali facilmente reperibili (per esempio cartelloni, pennarelli e colori) o con l’uso del computer, che dà la possibilità di scegliere il tipo e la dimensione dei caratteri di stampa. TERZO LIVELLO: SEMPLIFICAZIONE E RIDUZIONE DEL TESTO Il terzo livello di adattamento implica interventi più radicali sul materiale: -netta riduzione del testo in brevi periodi riferiti ai concetti fondamentali -uso di immagini affiancate ai concetti chiave -forte contenuto mnestico e motivazionale nella realizzazione grafica Questo livello è rivolto agli alunni con maggiori difficoltà di elaborazione cognitiva. Si rende necessario ridurre al minimo la parte linguistica per lasciare interamente il posto ai disegni che sono altamente motivanti e facilitano la comprensione e la memorizzazione delle informazioni presentate. Le immagini fornite devono essere sufficientemente grandi; la preparazione di esse può essere realizzata dagli alunni stessi che diventano in questo modo protagonisti del lavoro di semplificazione. Il lavoro di adattamento del testo è basato su due principi essenziali: 1) Qualsiasi disabilità o difficoltà di apprendimento non deve far perdere di vista, per tutti gli alunni, l’obiettivo dell’integrazione= partecipazione di tutti. 2) Qualsiasi unità di contenuto può essere adattata, quindi rielaborata, alle capacità cognitive degli alunni. 42 CAPITOLO 9 “Certificazione delle competenze” Quadro di riferimento - DPR 275/99 (Regolamento dell’autonomia) prevede nuovi modelli di certificazione - Legge 53/2003(Moratti)affida ai docenti il compito di certificare le competenze al termine della primaria e secondaria di I grado . - D.M. 139/2007 (Fioroni)le certificazioni vengono estese al termine del percorso decennale di istruzione . - D.M. 9/2010 .Il Miur emana un modello di certificazione per la valutazione delle competenze acquisite nei 4 assi culturali su 3 livelli : di base;intermedio, avanzato - Legge 169/2008(Gelmini) viene esteso il voto numerico in decimi alla valutazione delle competenze in tutti gli ordini di istruzione. - Legge 122/2009 .Il voto in decimi rimane solo nelle secondaria di I grado. Questo tipo di certificazioni ,in realta’,rappresenta solo delle “prove generali”. - Circolare n3 13/2/2015.Il Miur con questa circolare avvia “l’adozione sperimentale di nuovi modelli nazionali di certificazione delle competenze”. Nelle Indicazioni Nazionali 2012,nel paragrafo “Certificazione delle competenze”,si afferma che la scuola finalizza il curricolo alla maturazione delle competenze previste nel Profilo dello studente .Inoltre, si sottolinea che la valutazione delle competenze spetta all’autonomia didattica in base a modelli nazionali . Le coordinate del modello Il nuovo modello proposto nella circolare 2015 tiene conto del Profilo delle competenze al termine del I ciclo di istruzione delle Indicazioni 2012.Esso si rifa’ alle 8 competenze-chiave per l’apprendimento permanente(Raccomandazioni 18/12/2006)a cui si ispirano le competenze – chiave nazionali di cittadinanza.Le prime comprendono competenze disciplinari e trasversali e tengono conto del concetto di literacy (alfabetizzazione)delle prove OCSE-PISA ( reading literacy,mathematical literacy,scientific literacy).Le seconde sono competenze trasversali e promuovono una cittadinanza costruttiva.La scuola deve portare gli alunni ad acquisire gli strumenti culturali che consentano a ciascuno di vivere appieno la propria dimensione di cittadinanza. Il II punto della circolare riguarda : - il livelli di certificazione .Essi sono : A avanzato,B intermedio ,C di base , D iniziale. - Le caratteristiche degli indicatori Ai livelli non viene associato il voto in decimi e,per la secondaria di I grado ,in calce al documento ,e’ prevista l’indicazione del consiglio orientativo proposto dal Consiglio di classe . La struttura del documento di certificazione La scheda, che e’ ancora sperimentale e diventera’ obbligatoria nell’anno scolastico 2016/17, e’ articolata in 4 colonne : prima -Competenze indicate nel Profilo dello studente seconda-Mette in relazione le competenze del Profilo con le competenze –chiave europee terza-Discipline cbe concorrono al loro raggiungimento quarta-Da’ conto del livello da attribuire a ciascuna competenza. 45 che mette a disposizione strumenti che permettono all’allievo di costruire il proprio apprendimento in una prospettiva vygotskiana, in cui la qualità degli strumenti messi a disposizione dal maestro può favorire, rallentare o mortificare l’evoluzione dell’allievo nelle sue soglie prossimali. Il docente ha meno risposte e molte buone domande, sollecita la ricerca, la formulazione di ipotesi, la sperimentazione. Il docente, infine, assume una responsabilità educativa perché l’insegnamento non resta confinato nell’ambito della dimensione culturale (pure importante!), ma persegue la finalità della formazione della persona e del cittadino responsabile. La didattica per competenze è l’unica che può divenire realmente inclusiva perché si propone di strutturare percorsi in cui tutti gli alunni abbiano la possibilità di esprimere le proprie potenzialità; per questo è improntata alla massima flessibilità, con l’utilizzo di mediatori diversi (iconici, analogici – fanno leva sulla simulazione di situazioni, sul “mettersi nei panni di” tipo drammatizzazioni, role play, gioco simbolico-, simbolici), in grado di venire incontro alle diversità individuali e ai differenti stili di apprendimento. Viene valorizzata l’esperienza attiva, concreta, in contesti veri o verosimili, attraverso compiti autentici; la laboratorialità è uno degli approcci migliori per perseguire competenze, mirando all’individuazione dei problemi, la formulazione di ipotesi, la sperimentazione e la ricerca. La riflessione è una condizione indispensabile alla costruzione della metacognizione e della competenza. Nel momento in cui l’allievo riflette, si rende conto degli errori, delle cose che potrebbe far meglio, valuta il proprio lavoro, attribuisce un significato all’esperienza. Non va trascurata la dimensione affettiva e motivazionale connessa all’apprendimento: un contenuto diventa conoscenza nel momento in cui, agli occhi dell’allievo, è dotato di senso, di significato, di utilità, suscita curiosità e viene affrontato in un clima relazionale positivo e collaborativo. Non a caso, l’aspetto fondamentale su cui si fonda l’etica è l’empatia, che è una delle 10 life skills enunciate dall’OMS nel 1993. A tal proposito sono utili compiti che portano gli allievi a riflettere su esperienze, avvenimenti che possono suscitare reazioni emotive al fine di elaborare il proprio vissuto emotivo e trasformarlo, attraverso la riflessione, in qualcosa di meno “caldo” ma più stabile. La didattica per competenze privilegia l’aspetto sociale e cooperativo dell’apprendimento: insieme si apprende meglio, si possono condividere informazioni (tutta la trafile delle tecniche). Infine, poiché il fine ultimo dell’educazione è l’acquisizione di autonomia e responsabilità, la didattica per competenze riserva ampio spazio alle situazioni in cui gli alunni affrontano compiti autentici, assumendosi la responsabilità di portare a termine il lavoro nei tempi e modi stabiliti, lavorando in autonomia, affrontando da soli o in gruppi i problemi. La situazione, appena più complessa (ma non troppo da risultare inaffrontabile) stimola il problem solving e alimenta la competenza; infatti, l’agire competente si rivela proprio nella capacità di reperire strumenti e risorse nuovi, partendo da quelli già posseduti. Le I.N., al paragrafo dedicato all’ambiente di apprendimento, evidenziano le condizioni principali di organizzazione del contesto di apprendimento: 1) Valorizzare l’esperienza e le conoscenze degli alunni 2) Attuare interventi adeguati nei riguardi delle diversità 3) Favorire l’esplorazione e la scoperta 4) Incoraggiare l’apprendimento cooperativo 5) Promuovere la consapevolezza del proprio modo di apprendere 6) Realizzare attività didattiche in forma di laboratorio GLI STRUMENTI DELLA DIDATTICA PER COMPETENZE Gli strumenti per pianificare percorsi di didattica per competenze sono: 46 - Compiti significativi: lavoro breve e circoscritto in cui si chiede all’allievo di portare a termine un lavoro autonomo e originale, contestualizzato nell’esperienza o che attiva esperienze concrete. - Unità di apprendimento: la struttura può ricordare quella dell’U.D. I due strumenti però si differenziano in modo sostanziale. UNITA’ DIDATTICA UNITA’ DI APPRENDIMENTO Centrata su obiettivi del docente Centrata su competenze degli allievi Centrata sull’azione del docente Centrata sull’azione autonoma degli allievi Parte da obiettivi disciplinari e, attraverso mediatori diversi, si propone di conseguire conoscenze e abilità Parte da competenze e, attraverso la realizzazione di un prodotto, si propone di conseguire conoscenze, abilità e competenze. Contiene un apparato di verifica e valutazione delle conoscenze e delle abilità Contiene un apparato di verifica e valutazione delle competenze, abilità e conoscenze attraverso l’analisi del processo, del prodotto e la riflessione da parte dell’allievo Prevede attività individuali o collettive dirette dall’insegnante Prevede attività di gruppo autonomamente condotte dagli studenti con il supporto e la mediazione dell’insegnante. L’U.D.A. è un modulo didattico, progettato e strutturato da parte dell’insegnante che si propone di fare conseguire agli allievi conoscenze, abilità e competenze. Può essere molto complessa e articolata, coinvolgere molti insegnanti, mettere a fuoco diverse competenze (es. sociali e civiche, come nel caso di percorsi di educazione ambientale, storico-sociale) e distribuirsi su un tempo lungo, o essere più contenuta, coinvolgere solo alcuni insegnanti e solo alcune competenze e distribuirsi in un tempo ridotto (solo qualche settimana). Dentro un’UDA non c’è solo l’azione autonoma degli allievi che pure ne è il motore principale: possono esserci lezioni frontali dell’insegnante, esercitazioni per consolidare le abilità necessarie, lezioni conclusive, etc. Il valore aggiunto dell’UDA è che abilità e conoscenze sono contestualizzate, messe al servizio di un problema e quindi acquistano agli occhi dell’allievo senso e significato e hanno maggiore probabilità di essere ricordate e consolidate. L’altro grosso vantaggio è che l’insegnante ha l’opportunità di valutare non solo se l’allievo ha acquisito le conoscenze e le abilità, ma soprattutto se le sa impiegare, se sa mettersi in relazione con altri per portare a termine un compito, se sa agire in modo autonomo e responsabile. L’ultimo elemento di valutazione è costituito dalla relazione finale: infatti, mentre il prodotto è collettivo, la relazione finale è sempre individuale per consentire all’allievo di riflettere sul proprio lavoro e all’insegnante di avere informazioni su come il singolo ha interiorizzato il lavoro condotto. IMPORTANTE: partire dalle conoscenze già possedute dagli allievi per attivarne di nuove o correggere quelle esistenti. A tal proposito un utile strumento è la “conversazione clinica” (Piaget) che ha lo scopo di indagare ciò che gli alunni già conoscono, proponendo domande-stimolo di tipo aperto e accogliendo tutte le risposte, senza formulare giudizi ma riformulando con altre parole, rispecchiando l’informazione dell’alunno, ponendo domande di contraddittorio. Taluni obiettano che la didattica così condotta è dispendiosa dal punto di vista del tempo e non consente di coprire tutto il programma: in realtà però non esistono più i Programmi, ma I.N. con traguardi di apprendimento che sono distribuiti su archi temporali medio-lunghi. CAPITOLO 11: LA CONTINUITà DEL PERCORSO FORMATIVO PTOF= piano triennale per l’offerta formativa. Obbligatorio per tutte le scuole. È da intendersi sia come CONTINUITà VERTICALE (continuità tra i diversi gradi di scuola) sia come CONTINUITà ORIZZONTALE (interazioni tra le 47 istituzioni scolastiche e il contesto territoriale). Il raccordo tra scuola dell’infanzia e primaria dovrà pertanto essere esplicitato in questo documento. Aspetti molto importanti di cui tener conto nella continuità del percorso scolastico sono: • Una buona coordinazione tra le attività che si svolgono durante le annualità ponte (5/6 anni); • La conoscenza del percorso formativo dell’alunno; • Cura della documentazione che accompagnerà il bambino durante il suo passaggio dalla scuola dell’infanzia alla scuola primaria; • Una buona promozione della continuità orizzontale. Le indicazioni per il curricolo del 2012 invitano le scuole a predisporre il curricolo d’istituto incentrato su tre riferimenti chiave: • Il profilo dello studente al termine del primo ciclo di istruzione; • I traguardi per lo sviuppo delle competenze; • Gli obiettivi di apprendimento per ogni specifica disciplina. • La L. 107/2015 va letta alla luce delle indicazioni nazionali per il curricolo del 2012. Queste ultime delineano lo sfondo pedagogico e culturale, mentre la 107 si incentra sull’efficienza dei meccanismi gestionali del personale e di funzionamento delle scuole. Infatti, per assicurare una efficace continuità verticale, oltre a realizzare un buo progetto educativo, occorre anche assicurare una stabilità del personale. CONTINUITA’ E DISCONTINUITA’ NELLO SVILUPPO SVILUPPO inteso non come qualcosa di lineare, ma dinamico e variabile, non un semplice cumulo di esperienze. L’intelligenza stessa è una forma di adattamento alle condizioni dell’ambiente esterno, tramite due processi: • l’assimlazione (un nuovo dato viene incorporato dal bambino in schemi preesistenti, senza dare luogo ad una modifica). • L’adattamento (è complementare – i nuovi dati incorporati dal bambino modificano lo schema preesistente). Vigotskij, ritiene che l’apprendimento è tale quando precde (non segue) lo sviluppo. Egli parla di zona di sviluppo prossimale: differenza tra l’apprendimento individuale e il livello acquisibile attraverso compiti di problem solving guidati dall’adulto o in collaborazione con i coetanei. L’interzione sociale con l’aulto o con i coetanei, spinge “in avanti” lo sviluppo intellettivo e sociale del bambino. Molto importanti per l’apprendimento sono i contesti in cui l’individuo interagisce. CAPITOLO 12 “Strumenti Compensativi e misure dispensative” Strategie e competenze compensative Direttiva 27 Dicembre 2012 "Strumenti di intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l'inclusione scolastica: si apre così un nuovo canale di cura educativa che promuove i principi di PERSONALIZZAZIONE dei percorsi di studio (Legge 53/2003), con la presa in carico dell'alunno BES e DSA da parte di TUTTO il team docente. DPR 8 marzo 1999, n.275: promuove forme di flessibilità didattica e organizzativa con attivazione di percorsi didattici individualizzati adattati ai bisogni e ritmi di apprendimento degli alunni al fine di permettere a tutti il successo formativo. Si pone così la necessità da parte di un'istituzione scolastica di un' autoriflessione sul proprio ruolo e sulle proprie competenze: il docente oltre alle competenze disciplinari deve possedere anche competenze di carattere psicopedagogico aggiornate ed approfondite. 50 Una metodologia di task analysis va sotto il nome di descrizione del compito; tale metodologia permette di scomporre un compito in unità di risposta abbastanza ampie oppure in micro-unità. Queste unità (singoli comportamenti motori, verbali o cognitivi) devono rispettare la sequenza temporale in cui devono essere emessi. Una seconda metodologia di task analysis è l’individuazione delle abilità componenti e prerequisite del compito; si cerca cioè di identificare le varie abilità il cui possesso sia un requisito indispensabile per l’esecuzione del compito e per il suo apprendimento iniziale (abilità prerequisite). Prompting e fading I prompts sono tutti gli stimoli che facilitano il soggetto che apprende nell’iniziareuna risposta desiderata. Essi possono essere delle istruzioni, aiuti gestuali, esempi, modelli e altri stimoli aggiuntivi. Questi e altri esempi di aiuto possono definirsi forme di prompting solo se possiedono 2 caratteristiche: • Essere efficaci, produrre cioè un effetto di decisa facilitazione sulla risposta corretta e quindi di prevenzione dell’errore; • Essere progressivamente ridotti, sparire cioè gradualmente dalla situazione stimolo che viene presentata al soggetto la quale ritorna al suo stato normale, più o meno lentamente. La scomparsa progressiva dello stimolo viene chiamato fading. Esistono 5 modi diversi per realizzarlo: • Riduzione graduale dell’aiuto inizialmente dato attraverso guida fisica diretta che diventa via via fornito solo da istruzioni verbali; • Attenuazione di intensità del modello o del prompt verbale; • Attenuazione di varie forme di enfatizzazione di alcuni elementi importanti delle istruzioni; • Attenuazione della ripetizione di alcune parole chiave contenute nelle istruzioni verbali; • Attenuazione e sparizione progressiva delle figure, dei colori o di altre forme di aiuto visivo introdotte come aggiunte facilitanti in compiti di discriminazione. Tecniche per l’apprendimento “senza errori” di abilità di discriminazione Stimulus fading è la tecnica più nota e consiste nell’esagerazione di alcune caratteristiche fisiche dello stimolo discriminativo in modo che la risposta corretta sia facilitata in modo decisivo. Con questi alti livelli di aiuto è quasi impossibile che l’alunno commetta un errore. L’enfatizzazione dello stimolo discriminativo si ottine aumentandone la grandezza e l’intensità, aggiungendo “sottolineature” e indicazioni colorate. Queste modificazioni dovranno via via diminuire fino a tornare alla situazione originale dello stimolo. Stimulus shaping è un’altra tecnica di apprendimento senza errori, in cui lo stimolo con funzione di aiuto è una figura che viene progressivamente trasformata nello stimolo da imparare (generalemnte una parola, una lettera o un numero di difficile discriminazione). Prompt-delay è importante per quanto riguarda il processo di eliminazione degli stimoli-aiuto. Nelle prime presentazioni del materiale stimolo, quello di aiuto è fornito contemporaneamente a quello ancora da apprendere (ad esempio: una figura che rappresenta l’oggetto e la parola scritta del nome di quell’oggetto). Successivamente, lo stimolo di aiuto viene presentato dopo quello da apprendere, inizialmente con un lieve ritardo che però aumenta progressivamente sempre di più. Lo studente, in 51 questo modo, dopo un certo numero di prove in cui ha avuto bisogno di attendere l’arrivo del prompt, riuscirà così ad anticiparlo, rispondendo correttamente allo stimolo che prima non conosceva. Modeling È una tecnica attraverso la quale si apprendono nuove competenze. Questa tecnica si basa sull’apprendimento osservativo, che avviene quando il soggetto osserva un’altra persona (il modello) che esegue il comportamento in questione. L’apprendimento avviene attraverso l’osservazione “passiva” del modello. Rinforzamento positivo e motivazione estrinseca “di risultato” Il rinforzamento positivo sistematico si basa sul principio secondo cui un comportamento si rafforzerà se sarà seguito da un rinforzatore (positivo o negativo) vissuto dal soggetto che emette il comportamento. In ambito educativo sono stati utilizzati maggiormente i rinforzi positivi, quali i rinforzi alimentari, rinforzi tangibili (oggetti o attività piacevoli), rinforzi simbolici (punti, stelline), rinforzatori dinamici (poter giocare a pallone dopo aver svolto i compiti), rinforzatori sociali (sorriso, gratificazioni affettive). Questa tecnica è considerata banale; in realtà, usare bene il rinforzamento positivo non è né facile né scontato. Tre punti importanti per utilizzare il rinforzamento positivo: 1. Valutare la sua effettiva valenza psicologica per assicurarsi che sia molto motivante per lo studente. 2. Programmare la possibilità di fornire il rinforzo con immediatezza e coerenza. 3. Ridurre progressivamente i rinforzatori estrinseci e sostituirli con rinforzatori sociali. Ricorda: questa misura educativa deve essere temporanea. Tecniche di shaping (modellaggio) e chaining (concatenamento) Shaping = è una tecnica comportamentale per losviluppo di comportamenti complessi, non presenti nel repertorio dell’alunno. Essa si applica attraverso una serie di aiuti e rinforzi sempre più vicini al comportamento finale. Esempio: l’insegnante tenderà a sviluppare una serie di comportamenti di partecipazione per far in modo che il suo alunno timoroso, il quale non parla mai di sua spontanea volontà, possa acquisire man mano dei comportamenti sempre più complessi. Inizierà rivolgendogli una semplice domanda che richiede un livello di capacità già stabilmente posseduto. Una volta consolidato e reso frequente questo primo livello di partecipazione passerà alla prossima meta, leggermente più complessa, ad esempio potrà aggiungere un altro alunno e rivolgere una domanda ad entrambi. L’insegnante dovrà cogliere anche progressi lievi per rinforzarli positivamente. Chaining = l’obiettivo di questa tecnica comportamentale è lo stesso dello shaping, cioè costruire un comportamento complesso attualmente non presente nel repertorio di abilità dell’alunno. Il metodo però è diverso. Nel chaining il comportamento finale viene descritto nei suoi microcomportamenti con la task analysis. Il docente poi inizia il suo insegnamento proponendo l’ultimo anello di questa catena (concatenamento retrogrado). 52 Strategie di generalizzazione e mantenimento Il vero obiettivo di tutte queste tecniche però sarà raggiunto nel momento in cui l’alunno applicherà l’abilità acquisita in tutti i vari contesti e per tutto il tempo in cui è necessario. L’alunno saprà generalizzare se: 1. riconoscerà, in altri contesti, degli aspetti di stimolo che gli consentiranno di assimilare questa nuova condizione a quella precedente; 2. durante l’insegnamento si introdurranno un numero sufficiente di esemplari diversi della situazione stimolo oppure vari ambienti dove simulare le abilità, per facilitare il riconoscimento nelle varie situazioni naturali; 3. durante l’insegnamento, il rinforzo positivo verrà gradualmente differito nel tempo dopo l’esecuzione della risposta, dato in maniera intermittente e irregolare. CAPITOLO 14 “DIDATTICA METACOGNITIVA” Nella didattica metacognitiva l’attenzione dell’insegnante non è tanto rivolta all’elaborazione di materiali o metodi nuovi per” insegnare come fare a..”, quanto al formare quelle strategie mentali superiori di autoregolazione, che vanno al di là dei “semplici” processi cognitivi primari (es. leggere, calcolare,ricordare). Significa sviluppare nell’alunno la consapevolezza di quello che sta facendo, e del perché lo fa, di quando è opportuno farlo e in quali condizioni; l’approccio metacognitivo tende a formare la capacità di essere il più possibile “gestori” diretti dei processi cognitivi. L’insegnante che opera in modo metacognitivo interviene a 4 livelli diversi. 1 livello: conoscenze sul funzionamento cognitivo in generale Questo 1 livello include una serie di conoscenze, notizie e dati su come funziona la mente umana. L’insegnante fornisce all’alunno informazioni generali, organizzate in una sorte di teoria della mente, rispetto ai variprocessi cognitivi(come funziona la memoria, il problem solving, lo scrivere). In ognuno di questi processi vanno considerati tre aspetti particolari (Ianes, 2001): - il funzionamento generale tipico (“normale”); - il limiti del processo, la sua entità, le caratteristiche e la variabilità interindividuale; -la possibilità di influenzare attivamente lo svolgimento del processo cognitivo con strategie di autoregolazione (ad esempio: rendersi conto che con l’uso della strategia del raggruppamento di oggetti secondo caratteristiche comuni, si aumenta in maniera significativa la qualità del ricordo). E’ importante che il bambino si renda conto che nella mente avvengono molte cose interconnesse fra loro e che alcune di queste risultano determinanti per apprendere. Anche con allievi che presentano disabilità mentali è possibile spiegare aspetti del funzionamento cognitivo, seppure ad un livello non troppo sofisticato. Ci si può soffermare, ad esempio, ad illustrare come la mente raccolga dati ed informazioni dall’esterno, ma possa produrre anche idee partendo dall’interno e come queste possano essere giuste o sbagliate. Si possono portare gli allievi a distinguere fra fatti reali e sensazioni, sogni, aspettative. Il docente : 55 2 pensare a più soluzioni attivando il brainstorming 3 valutare i pro e i contro di ogni ipotesi 4 scegliere l ipotesi di soluzione probabilmente più efficace 5 applicare questa soluzione 6 verificarne gli esiti: se positivo la soluzione è giusta in caso negativo scegliere un’altra soluzione Concretamente la tecnica più semplice per trasmettere queste capacità di autocontrollo è l’insegnamento dell’ autoistruzione verbale. in questa procedura didattica l’insegnante all’inizio pronuncia lui direttamente le istruzioni per svolgere le varie fasi e poi riduce sempre di più il suo aiuto, finchè è l’allievo stesso che a voce alta si suggerisce l’operazione da fare in quella fase. Se il livello evolutivo lo consente, le autoistruzioni potranno essere successivamente interiorizzate e pronunciate con il pensiero, in una specie di dialogo interno. La tecnica di autoistruzione è fondamentale anche per l’uso della strategia di planning, dove l’alunno deve programmare una sequenza stabile di azioni e aiutarsi a svolgerla regolarmente senza dimenticare nessuna componente. Le operazioni di strategia di planning sono: 1 definire l’obiettivo o il risultato voluto e la sequenza di operazioni che devono essere fatte 2 attivare la prima azione 3controllare la corretta esecuzione della prima azione 4 attivare la seconda 5 controllare l’esecuzione della seconda azione e così via fino a 6 eseguire l’ultima azione e verificare se il risultato ottenuto risponde all’obiettivo iniziale Variabili psicologiche di mediazione Alcune variabili psicologiche, come gli stili di attribuzione (locus of control), la percezione di autoefficacia, l’autostima, la motivazione, condizionano abbondantemente la capacità del bambino di adottare un atteggiamento metacognitivo e di attivare processi metacognitivi di controllo. E’ importante, quindi, sviluppare linee d’azione che tengano in considerazione queste variabili e che aiutino l’allievo a sviluppare una percezione positiva di sé, come persona capace di ottenere successo nei processi d’apprendimento. LOCUS OF CONTROL E STILI DI ATTRIBUZIONE Con la dizione stile di attribuzione o locus of control si fa riferimento alla tendenza dell'allievo ad attribuire le cause dei propri successi ed insuccessi a fattori interni, come lo sforzo profuso a fattori esterni, come la fortuna e l'eventuale aiuto fornito dall'educatore (Connor, 1995; Flammer, 1995; Meazzini et al., 1995; Wehmeyer e Palmer, 1997; Bjorklund, 1997; Herrmann, 2002). Le ricerche sull'incidenza del locus of control nel determinare il livello di motivazione e, conseguentemente, la qualità dell'apprendimento dell'allievo si sono sviluppate in maniera precisa a partire dalla teoria dell'attribuzione di Weiner (1985). L'assunto base di tale teoria ipotizza che l'analisi delle cause alle quali le persone attribuiscono il successo o l'insuccesso delle proprie azioni risulta di fondamentale importanza per determinare l'atteggiamento che assumeranno nei riguardi di vari compiti. Il ritenere che i propri successi o insuccessi siano determinati principalmente dall’impegno personale è una modalità attributiva di tipo interno (locus of control interno), instabile (i successi o gli insuccessi non sono definiti una volta per tutte, ma possono modificarsi in relazione al tipo di impegno) e controllabile (è il soggetto che può decidere quanto sforzo dedicare ai diversi compiti). La fortuna, al contrario, è una modalità attributiva di tipo 56 esterno, instabile e incontrollabile. chi attribuisce il proprio successo all’impegno o all’abilità (locus attributivo interno) è portato ad avere una buona autostima (soddisfazione ed orgoglio), mentre chi attribuisce il fallimento alla mancanza di impegno o alla propria incapacità ha poca stima di sé, dalla quale derivano senso di colpa e vergogna. La controllabilità riguarda l’attribuzione della responsabilità (e quindi del merito o del demerito) a se stessi o a fattori esterni e si collega ad emozioni come rabbia, gratitudine, senso di colpa, ecc. Lo studente che attribuisce la riuscita all’impegno (attribuzione instabile), rispetto a quello che l’attribuisce all’abilità (attribuzione stabile) è più perseverante nell’eseguire compiti particolarmente difficili. IN SINTESI Sia fattori di sviluppo sia fattori ambientali contribuiscono a determinare lo stile attributivo di una persona. La storia personale di successi o insuccessi gioca un ruolo determinante ai fini dell’acquisizione di uno stile di attribuzione e in particolare i feedback ricevuti in modo esplicito o implicito da genitori e insegnanti. La valutazione della probabilità di riuscita non dipende dalla difficoltà del compito, ma dalle esperienze del passato che condizionano le aspettative per il futuro. Anche se il compito è arduo, il soggetto motivato non si lascia intimorire, ma è spinto a cimentarsi in esso ed è fiducioso nelle sue possibilità di riuscirvi. L’importanza di possedere un positivo sistema di attribuzione dei propri successi e insuccessi scolastici è particolarmente importante per quei ragazzi che nell’apprendimento incontrano difficoltà e sono di conseguenza soggetti a un maggior numero di fallimenti e a veder calare le loro aspettative di successo: gli aspetti emotivo-motivazionali sono pesantemente coinvolti e il pericolo di demotivazione è sempre presente. Senso di autoefficacia, autostima e motivazione Intimamente connessa allo stile di attribuzione vi é un'altra variabile cognitiva, la quale é stata particolarmente studiata da Bandura (1982, 1996, 2000): la percezione di autoefficacia. Si tratta della convinzione che ogni allievo ha sulla propria capacità di raggiungere i livelli desiderati nella esecuzione dei compiti. Questa autoconsapevolezza del proprio livello di efficacia, assai deficitaria in molti allievi (specie quelli con problemi), ha effetti sostanziali sulla loro capacità di apprendimento e sulla costruzione di un buon livello di autostima e di identità psicologica. Dipende da molteplici fattori personali, ma, come sostiene Schunk (1990), risente fortemente anche dell’atteggiamento ottimistico dell’insegnante, che può trasmettere fiducia all’allievo e aiutarlo a rimodellare le proprie percezioni individuali. Nella stessa direzione possono condurre pure le esperienze di successo del bambino, in grado di veicolare feedback di reale efficacia. Un concetto opposto alla percezione di autoefficacia, invece, è quello di impotenza appresa (Abramson et al., 1978), che si riferisce ad un atteggiamento rinunciatario, poco propenso a cercare di modificare il corso degli eventi, maturato in seguito alla esposizione prolungata e ripetuta a situazioni negative e reputate come incontrollabili. Si tratta di una condizione chiaramente pericolosa e molto penalizzante per l’apprendimento e l’integrazione sociale della persona. La percezione di autoefficacia è uno degli elementi che contribuisce alla strutturazione dell’autostima dell’allievo, la quale riassume il complesso di valori e di sentimenti che si provano per molti aspetti della propria persona. Rappresenta un concetto con valenza fortemente individuale, in quanto non è condizionata solo dalle autovalutazioni che l’allievo può effettuare, ma anche dall’importanza che egli attribuisce a tali processi di automonitoraggio. In altre parole, quello che maggiormente conta è il rapporto fra le autovalutazioni e le aspirazioni personali. Per sapere se un allievo ha un’alta o una bassa autostima dobbiamo considerare sia cosa pensa di sé, sia come vorrebbe essere in quel contesto e vedere che discrepanza esiste fra le due autovalutazioni. Se la differenza è piccola, l’autostima sarà alta, perché la persona pensa di corrispondere ai suoi desideri, alle sue aspirazioni ed ambizioni. A livello scolastico il rischio che corrono gli allievi poco abili, quando viene enfatizzata questa 57 situazione con confronti centrati esclusivamente sulla qualità assoluta delle prestazioni, può essere duplice: da un lato, in presenza di un alto investimento personale sul successo scolastico, si determina un livello di autostima molto carente che condiziona l’intera percezione del sé; dall’altro l’allievo può decidere di spostare i propri interessi su aspetti esterni alla scuola, con minori ripercussioni sull’autostima personale, ma con notevole incidenza sulla motivazione all’apprendimento. Si tratta, chiaramente, di una presentazione semplificata, in quanto esiste tutto un continuum di situazioni intermedie fra le due condizioni estreme che sono state descritte. La didattica metacognitiva, comunque, deve tenere in forte considerazione questi aspetti, proponendo, come vedremo, esperienze di automonitoraggio che si relazionino alle prestazioni precedenti degli stessi allievi e che non portino mai ad una valutazione globale sulla persona, ma solo su alcune competenze che possono essere di maggiore o minore livello in ogni individuo. In sintesi, il concetto di autostima risulta strettamente interconnesso con il complesso sistema di attribuzioni e con la percezione di autoefficacia; questi, tutti insieme, condizionano la motivazione dell’allievo nello svolgimento dei compiti d’apprendimento. Infatti, se l’allievo ha una buona autostima e una aspettativa di successo, da un lato potrà sviluppare una maggiore motivazione, dall’altro si troverà a percepire una condizione di competenza e autoefficacia ottimali per affrontare i compiti proposti. Parlando di motivazione, è importante sottolineare una distinzione che viene operata fra quella intrinseca ed estrinseca. La prima consiste nello svolgere un’attività perché è gratificante per se stessa; la seconda, invece, porta ad impegnarsi in particolari compiti in relazione alla possibilità di conseguire gratificazioni o rinforzi esterni. Come sostengono Anolli e Legrenzi (2001), la motivazione intrinseca risulta essere più duratura ed efficace, anche se è spesso problematico stimolarla in allievi con disabilità cognitiva o con difficoltà d’apprendimento. L’acquisizione di un buon livello di motivazione porta l’allievo a resistere maggiormente alla frustrazione e alla dilazione della gratificazione che si connettono sempre al tentativo di perseguire apprendimenti complessi; il soggetto riesce, in altre parole, a tollerare vari tentativi andati a vuoto senza abbandonare la situazione. A questo proposito è molto importante, come vedremo, che la metodologia educativa si fondi su una chiara definizione degli obiettivi e del loro grado di raggiungibilità in relazione alle capacità personali. L’allievo va costantemente stimolato (se necessario anche aiutato) ad attivare processi di automonitoraggio, in modo da poter controllare non soltanto le sue acquisizioni (il raggiungimento degli obiettivi), ma anche il percorso che sta sviluppando. E questo, come si dirà meglio in seguito, è uno degli elementi centrali della autoregolazione cognitiva, su cui si fonda ampiamente la didattica metacognitiva. E’ stato anche notato (Graham e Baker, 1991) che l’aiuto eccessivo e non necessario prestato all’allievo con difficoltà può produrre un senso di inferiorità rispetto ai compagni, con conseguente sofferenza a livello di autostima e motivazione. La stessa situazione può essere determinata, in certe condizioni, dall’utilizzo di materiale totalmente diverso o dallo svolgere le attività in luoghi diversi. Queste osservazioni, chiaramente, riportano all’esigenza già sottolineata di integrare o avvicinare gli obiettivi e di promuovere una didattica inclusiva, che stimoli anche una riflessione sui propri processi mentali, con gli strumenti di cui l’allievo può disporre. Le interconnessioni tra le varie dimensioni metacognitive Alcune informazioni generali a livello di teoria della mente(1 livello) permettono all’alunno di osservarsi in modo nuovo e di capire cose interessanti di se stesso (2 livello). Questi 2 primi livelli si integrano e sostengono e a vicenda, e spingono l’alunno a usare qualche strategia di autocontrollo . gli effetti positivi dell’uso di questa strategia confermeranno la bontà dell’utilizzo della strategia e la sua utilità. I buoni risultati ottenuti influenzeranno anche il 4 livello, ridando all’alunno un po’ di fiducia nella sua capacità di controllare una sua parte mentale. Numerose ricerche forniscono dati positivi a conferma dell’utilità dell’approccio metacognitivo anche nel ritardo mentale, anche se sono prevalentemente prodotti da ricerche su abilità di 60 Interdipendenza di compito Si ottiene ripartendo il lavoro in una serie di operazioni in modo che ogni studente debba fare la sua parte perché il compagno possa svolgere la propria. Interdipendenza di ruoli Si raggiunge affidando a ciascun componente del gruppo ruoli di funzionamento: ad esempio, spiegare, tenere il tempo, monitorare l’attenzione, dare la parola, ecc. L’interdipendenza negativa e l’assenza di interdipendenza Si crea interdipendenza negativa quando, in qualche modo, si trasmette l’idea che al successo di uno corrisponda inevitabilmente l’insuccesso di un altro. Questa eventualità di fatto si compie con altissima frequenza nelle situazioni di verifica e valutazione. Nelle situazioni di assenza di interdipendenza non esiste alcun tipo di «incastro» tra i membri di un gruppo, per cui il risultato di ciascuno non è influenzato dal risultato altrui. 2 La responsabilità individuale e di gruppo Questa è legata al principio dell’interdipendenza positiva. Se infatti si riesce a creare un buon livello di interdipendenza tra i membri del gruppo, molto probabilmente ci si assicura anche un certo grado di responsabilità individuale e quindi di gruppo, poiché ogni componente percepisce di essere responsabile per sé e per gli altri. 3 L’interazione promozionale faccia a faccia Consiste nel collaborare in modo positivo incoraggiandosi a vicenda, e necessariamente implica la fiducia che ogni feedback, positivo ma anche e soprattutto negativo, è finalizzato al miglioramento del lavoro individuale e quindi comune. È importante che nel gruppo si abbia anche la possibilità «fisica» di interazione faccia a faccia, perciò è auspicabile che i gruppi siano composti da non più di 4-5 alunni, in modo da poter avere scambi diretti, faccia a faccia appunto. 4 Le abilità sociali E’ necessario che ognuno nel gruppo sappia relazionarsi con gli altri in modo efficace. sociali. Il lavoro di gruppo comporta infatti un’interazione continua e inevitabilmente anche dei conflitti, che vanno affrontati in modo costruttivo e assertivo, senza passività né aggressività. È quindi necessario che l’insegnante valuti il livello di abilità sociali presenti nella sua classe e promuova direttamente quelle carenti. 5 La valutazione individuale e di gruppo Al termine di un’attività complessa o di un lavoro particolarmente impegnativo, il gruppo cooperativo deve valutare cosa ha funzionato e cosa no, quali comportamenti di ciascuno sono risultati utili e quali no, individuando le criticità e i punti di forza. È importante anche per favorire una consapevolezza meta cognitiva delle proprie risorse e dei propri limiti, a sua volta fondamentale per l’acquisizione e il mantenimento delle competenze individuali. Oltre a quelli enunciati dai Johnson per il learning together, esistono altri due principi fondamentali per il buon funzionamento dei gruppi di apprendimento cooperativo: A La contemporaneità delle azioni Se l’attività che vanno a svolgere non prevede la contemporaneità delle azioni di ognuno, quello che si avrà sarà al più un gruppo di lavoro tradizionale o un gruppo di soggetti che lavorano vicini ma da soli. Occorre quindi prestare grande attenzione al tipo di compiti da proporre per l’attività in gruppo cooperativo, tenendo presente che non tutti si prestano a questa modalità di lavoro; quelli molto 61 semplici, ad esempio, è preferibile che vengano eseguiti individualmente: in gruppo sarebbero demotivanti. B La leadership distribuita Avviene quando la leadership si alterna tra i vari componenti del gruppo in relazione al tipo di obiettivo o alla struttura dell’attività. Come si applica l’apprendimento cooperativo Sono rintracciabili tre e in aggiunta una di “confine” principali modalità di realizzazione pratica di attività cooperative. 1Attività di creazione del clima della classe Sono da intendersi come «preparatorie» a quelle di apprendimento vere e proprie e in questo senso sono utili per favorire la conoscenza e la fiducia reciproca tra i componenti del gruppo classe. Si presentano come giochi relazionali. 2Attività cooperative semplici Ha delle caratteristiche: – si svolgono in 2/3 alunni; – prevedono 1 o 2 ore di lezione; – non richiedono necessariamente un buon livello di abilità sociali; – consistono in compiti non particolarmente difficili, che gli studenti potrebbero realizzare anche individualmente, ma che vengono proposti per il lavoro in coppia allo scopo di favorire il mantenimento dell’attenzione, la rielaborazione e lo studio. Tali attività si distinguono in A Attività a sostegno della spiegazione Hanno lo scopo di coinvolgere gli alunni durante la lezione frontale, evitando che si distraggano con troppa facilità e stimolandoli all’ascolto attivo e all’elaborazione pressoché immediata dei contenuti proposti. Si propongono di stimolare l’interesse sull’argomento proposto in vari modi, ad esempio interrompendo la lezione ogni cinque minuti e ponendo delle domande su quanto si è detto a cui rispondere insieme, o invitando i ragazzi a prendere appunti e a confrontarsi con il compagno. B Attività a supporto dello studio Intendono favorire una reale ed efficace appropriazione dei contenuti attraverso il confronto con il compagno e il suo aiuto. Dover pensare a domande da fare al compagno su quanto si sta studiando, sintetizzare un paragrafo appena letto e spiegarlo, schematizzare una parte del testo e presentarla all’altro «costringono» a riflettere e a elaborare il contenuto che si va apprendendo. 3 Attività cooperative complesse Prevedono una strutturazione più formale in termini di tempi, ruoli e modalità di svolgimento: -si svolgono in gruppi composti da 3 /5 studenti; – prevedono tempi di lavoro da una settimana a diversi mesi; – consistono in compiti generalmente complessi; – comportano una suddivisione dei compiti individuali, tempi e percorsi ben delineati; –è auspicabile che i componenti del gruppo abbiano raggiunto un buon livello di abilità sociali. 4 Attività di confine Sono spesso inventate dagli insegnanti per fare fronte a necessità contingenti di trasformare attività complesse in strutture più semplici. Si collocano a metà strada fra le attività semplici e quelle complesse. 62 Conclusioni L’AC sembra una metodologia didattica elettiva per creare un ambiente di apprendimento realmente inclusivo. CAPITOLO 16 “LA GESTIONE DELLA CLASSE” Seduzione e fuga Il tema dell’atteggiamento da assumere di fronte agli alunni è molto delicato e per niente semplice, coinvolge ambiti diversi. Diciamo anzitutto che un bravo insegnante deve assumersi tutte le responsabilità e gli oneri che il suo ruolo comporta. Ci sono svariati modi per iniziare una relazione educativa sbagliata: la seduzione è uno di questi, ma ce ne sono altri. Una relazione educativa inutile, distorta, può dipendere da diversi atteggiamenti, che nell’immediato sembrano fornire risultati positivi, ma che con il tempo si mostrano fallimentari. Gli atteggiamenti volti alla seduzione possono essere messi in atto anche dallo studente, che ricerca un’intesa particolare, manifesta una disponibilità che sfuma nell’adulazione, un atteggiamento collusivo ripagato con un trattamento di riguardo. Un altro modo negativo di evitare una relazione educativa vissuta come oltremisura impegnativa e intrusiva consiste nel nascondersi dietro uno schermo tecnico-professionale, negando una parte importante della propria funzione. Infine, l’atteggiamento forse più frequente per non stabilire una relazione positiva consiste nel ribellismo, nella sfida permanente da parte dell’alunno, cui fa da contraltare nel docente un atteggiamento che vorrebbe essere autoritario, ma che è solo un modo per schivare una relazione che non si riesce né a capire né a gestire. Climi di classe Il termine clima costituisce una variante della nozione di “atmosfera” introdotta dalle ricerche di Kurt Lewin per identificare gli effetti dei diversi stili di leadership nei confronti delle condotte di soggetti che lavorano in gruppo: osservò che si formavano diversi tipi di gruppo: i gruppi autoritari erano caratterizzati da incapacità d’iniziativa, frustrazione, aggressività verso il leader e nello stesso tempo dipendenza e richiesta di attenzione da parte sua; nei gruppi democratici invece emergeva una maggiore collaborazione, rapporti più spontanei tra i membri e con il leader, differenze di status meno evidenti, più libertà nel dare suggerimenti per l’organizzazione del gruppo e quindi una più elevata efficienza; infine, nei gruppi permissivi, si rilevava una maggiore aggressività tra i membri stessi e una tensione più accentuata, disorganizzazione, inconcludenza e un sentimento molto labile di appartenenza al gruppo. Tuttavia non ci sono solo queste tre tipologie di leadership. Ne potremmo indicare almeno cinque: permissivo, autoritario, democratico, autorevole e autoritario. Autorità e potere L’autorità esercitata dall’insegnante e l’autonomia conquistata dagli allievi si pongono in una relazione inversa: con il passare del tempo, la quota d’autorità si riduce progressivamente e viene rimpiazzata dall’autonomia che si incrementa Cambiano le forme del potere e il tipo di leadership : in una fase iniziale, quando gli alunni sono piccoli e hanno bisogno di una guida ferma, pacata ma rassicurante, il potere decisionale si concentra sull’insegnante, che lo esercita sotto forma di autorità visibile ed esplicita. Infine, se il processo si sviluppa positivamente, si creano le condizioni per una leadership democratica, dove il potere si esercita nelle forme della partecipazione. Il cerchio dell’autorità è tanto più in alto quanto più piccoli sono gli alunni. 65 e concettuali; la sfida didattica è quella di integrare l’uso di tali strumenti nelle strategie di lavoro individuale e nella vita quotidiana, specie per gli alunni con DSA. Perché le tecnologie possono essere inclusive? L’accettazione della diversità è fondamentale per garantire l’inclusione, l’azione didattica incentiva i diversi modi in cui le persone apprendono proponendo metodi di studio diversificati. Utilizzando le tecnologie si possono valorizzare in maniera significativa diverse modalità di elaborazione e produzione della conoscenza; l’uso del Web potenzia la competenza analitica e logico-matematica, contemporaneamente facilita l’uso di più canali comunicativi tra cui quelli ritmico-musicali. Le modalità di comunicazione e interazione a distanza potenziano le “ forme di intelligenza” interpersonali e intrapersonali, oltre che la partecipazione effettiva alle attività di classe di alunni ospedalizzati. Le stesse tecnologie aprono la didattica a forme di collaborazione tra classi vicine e lontane, con Agenzie sul territorio, quali musei, associazioni, biblioteche, ecc. L’apprendimento significativo punta l’attenzione in maniera centrale sulla motivazione ad apprendere e sulla risoluzione di problemi in situazioni reali utilizzando forme di interazione della didattica cooperativa. L’uso della tecnologia, in particolare, potenzia le forme di lavoro in piccolo e grande gruppo basandosi sulla risoluzione di compiti concreti che mettano in gioco le competenze possedute dagli allievi. Alcune azioni didattiche possono essere la costruzione di un sito Web su un contenuto disciplinare, l’attivazione di forme di scrittura condivisa in ambiente Web, così come la costruzione di un poster multimediale, piuttosto che un’iniziativa di “social reading”. Grazie alla rete si possono utilizzare infinite risorse e fonti e si può condividere il lavoro degli alunni espandendolo anche al di fuori della mura scolastiche. Attraverso strumenti e materiali diversificati si promuovono apprendimenti significativi. Se ad esempio l’insegnante utilizza il libro di testo digitale per tutta la classe proiettando le pagine sulla LIM insieme a un programma per creare mappe mentali o concettuali, si crea una semplificazione del testo per arrivare a costruire una mappa del contenuto, delle parole chiave, delle immagini significative. In questo modo i contenuti sono stati selezionati e organizzati, gli alunni hanno condiviso le informazioni e sviluppato una mappa cognitiva. L’insegnante nel semplificare il testo da visualizzare alla LIM dovrà identificare concetti e parole chiave, esplorarli, correlarli ad altri argomenti già affrontati per poi approfondirli. Anche di fronte alla disabilità intellettiva grave, nel lavoro di adattamento del materiale compiuto in classe con i compagni, si può arrivare a enucleare i principi cardine di un argomento, delle immagini significative, dei nessi cognitivi che sono utili per l’alunno che seguirà evidentemente un percorso individualizzato; questo senza contare la motivazione ad apprendere che è incentivata dalle tecnologie sia in termini di impegno sia di risultati. Si posso utilizzare le tecnologie per produrre, elaborare e adattare materiale didattici, dando spazio a più codici espressivi lavorando per progetti all’interno di una didattica laboratoriale. La scuola infine può far accrescere le competenze in ambito digitale anche alle fasce di popolazione che tradizionalmente non usufruiscono delle potenzialità offerte dagli strumenti tecnologici contemporanei. L’istituzione scolastica è l’unica Agenzia democratica che si rivolge a tutta la popolazione, anche per i soggetti svantaggiati. Le persone con bisogni educativi speciali trovano spesso grazie alle tecnologie un’autonomia di vita soddisfacente e uno sbocco lavorativo. CAPITOLO 18 “ INDICAZIONI NAZIONALI E LINEE GUIDA: SCUOLA DELL’INFANZIA,PRIMO CICLO DI ISTRUZIONE, LICEI, ISTITUTI TECNICI E PROFESSIONALI.” Il MIUR, con il DPR 89/2010, regolamenta i licei (5 anni: 2+2+1) e allega le Indicazioni nazionali: con gli obiettivi di apprendimento, il profilo educativo, professionale e culturale atteso alla fine, seguendo le strategie europee per la costruzione della “società della conoscenza”. Nello stesso anno le Indicazioni nazionali per Ist. Tecnici e professionali con il DPR 87/2010. Anche per il primo ciclo si ribadisce l’unitarietà della conoscenza: la comprensione avviene attraverso l’osservazione attenta, la prova e la verifica. Nel 2012 le Indicazioni nazionali per infanzia e primo 66 ciclo, superando quelle per i piani di studio personalizzati del 2004 e quelle di Fioroni 2007 (dubbiamente armonizzate dall’atto di indirizzo Gelmini 2009). Pare ora un assetto normativo e organizzativo più chiaro, lineare e comprensibile. Analogie fra i documenti: il profilo dello studente 14enne (fine primo ciclo) e quello del 19enne (fine secondo) riportano una descrizione sistematica di conoscenze, atteggiamenti, competenze, ecc. la cui acquisizione è ritenuta auspicabile a conclusione dei corrispondenti percorsi curricolari; la didattica sempre orientata in attività di cooperazione e laboratoriali anche per il primo ciclo; la libertà d’insegnamento come ampliamento delle Indicazioni nazionali per i Licei. In tutti i testi si sottolinea l’importanza della costruzione di una comunità professionale ricca di relazioni, orientata all’innovazione, alla condivisione di conoscenze e stimolata dalla leadership educativa della dirigenza scolastica. come si afferma nella CM n. 22/2013 il DS è la figura strategica per la promozione della professionalità docente Le Linee guida degli Istituti tecnici e professionali. Regolamento del riordino dei Professionali (DPR 87/2010) e Regolamento di riordino degli Istituti tecnici (DPR n. 88/2010) sono stati redatti da commissioni (nominate da Fioroni e Gelmini poi). Hanno struttura speculare e si concentrano sulle caratteristiche dei 2 ordini: identità delle due scuole, profilo educativo, culturale e professionale dello studente (PECUP), innovazione dell’organizzazione scolastica (autonomia e flessibilità, dipartimenti, comitato tecnico scientifico, ufficio tecnico), progetto di vita e di lavoro dell’alunno, alleanze formative sul territorio con il mondo del lavoro e delle professioni, progettazione e valutazione per competenze, ecc. Ogni punto è declinato in relazione al profilo in uscita dello studente e incentrando il curricolo sul raccordo tra l’area di istruzione generale e l’area di indirizzo professionale e tecnico. L’istruzione generale ha più peso nel primo biennio, poi decresce. Nel primo biennio, i risultati di apprendimento dello studente sono classificati in base si quattro assi culturali (dei linguaggi, matematico, scientifico-tecnologico e storico-sociale) indicati nel DM n. 139/2007 che ha provveduto a innalzare a 16 anni l’obbligo d’istruzione. Le Indicazioni della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione. Innovano quelle del 2007, dopo una consultazione online di 10.000 scuole. Nelle finalità generali si riprendono le competenze chiave per l’apprendimento permanente del Parlamento e Consiglio UE – 2006: “Il conseguimento delle competenze delineate nel profilo costituisce l’obiettivo generale del sistema educativo e formativo italiano.” Dunque dai 3 ai 19 anni vi sono aspetti fondanti e analogie che mostrano la compattezza dell’impianto educativo italiano, soprattutto parlando di cittadinanza responsabile e la cultura della legalità. 67 Il senso dell’esperienza scolastica Per licei, Istituti e primo ciclo è: - Assicurare un percorso appassionante; - Offrire la maturazione di un pensiero critico e indipendente; - Sapere, fare e agire come condizione indispensabile per prendersi cura di sé, degli altri e del mondo (primo ciclo e istituti tecnici); - Un sapere unitario, sensato e ricco di motivazioni (licei). La maggiore difficoltà però degli insegnanti è farsi ascoltare oggi, come per i genitori, sostiene Massimo Recalcati. La crisi del discorso educativo attraversa tutti i luoghi dei ragazzi: Pasolini (Scritti corsari) accusava il consumismo di generare desideri e sentimenti prima inesistenti nei giovani, una cultura dell’edonismo che toglie i limiti; Andrea Bajani parla di rinuncianesimo, sostenendo che i ragazzi preferiscono tacere per non sbagliare e non riescono così ad afferrare i significati profondi delle parole, ma vanno poi a sostituirli con altre in chat o social e che sperano di nascondere ai grandi. Ai docenti si chiede un alto profilo culturale e un’attitudine educativa fatta di ascolto attivo e comprensivo, che faccia di nuovo capire le parole ai ragazzi. Ragioni, domande, ipotesi I principi dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese hanno permeato, tra alterne vicende, la storia europea fino a tutto il Novecento, per tali assunti occorre sbarazzarsi della tradizione se si vuole educare all’uso della ragione. Il 1968 ha poi rotto tutti gli equilibri del passato e, afferma Recalcati, ha messo figli contro padri, allievi contro insegnanti, il desiderio contro la Legge. Il mondo che ha preceduto quell’epoca non c’è più ed è inutile pensare di ricrearlo. Allora Recalcati propone come metafora per una nuova centralità della scuola il complesso di Telemaco, figlio di Ulisse, e per ricostruire la figura dell’insegnante, e ridarle valore generazionale, la Scuola-Telemaco prevede un insegnante che incarna i valori di cui parla, dando così forza alle parole. Risposte Incontrare i ragazzi oggi vuol dire educarli “ai limiti”, con regole che vanno riaffermate. La scuola di oggi è anzitutto socializzazione, nel passato il centro erano i contenuti disciplinari invece. Oggi occorre partire dalle relazioni per costruire i significati di discipline, linguaggi, esperienze e progetti. Secondo Charles (2002) i semplici ma molto rilevanti punti educativi sono : 1. Valorizzazione degli studenti, mostrare che ognuno è una persona apprezzata in classe; 2. Fiducia e responsabilità, offrire l’opportunità di prendere decisioni; 3. Comunicazione, parlare con rispetto ed evitare il sarcasmo; 4. Istruzione, offrire il massimo aiuto possibile nel momento giusto; 5. Personalità dell’insegnante, essere un modello di fermezza e cordialità; 6. Gestione della classe, coinvolgere gli studenti in specifici progetti ed esperienze di apprendimento. Anche perché il mondo digitale allontana, creando distanze affettive, usando immagini e perfezioni esasperate, i nuovi media rischiano di rendere passivi i ragazzi quindi la scuola deve avvicinare e creare sguardi, dando soggettività alle relazioni. La competenza tra prestazione e educazione Nelle Indicazioni per il primo ciclo competenza rimanda a una progressione, un percorso per acquisirla dinamicamente nel tempo. Il testo dei Licei è ancorato al peso della conoscenza e dei saperi, sottolineando in particolare che la competenza dell’italiano rappresenta un obiettivo trasversale a tutte le discipline. Invece, le Linee guida degli Istituti tecnici e professionali dedicano ampio spazio alla progettazione e alla valutazione per competenze, sottolineando l’importanza delle otto competenze chiave di cittadinanza del DM n. 139 del 2007e parlando di competenza come manifestazione della capacità di risolvere problemi, adattando e proponendo attivamente e coscienziosamente. È il testo che più 70 infatti, l’insegnante mostrasse il proprio scoraggiamento al genitore per i mancati progressi del figlio, verrebbe meno alla sua funzione. In più, trasmetterebbe una valutazione negativa dell’allievo e, di conseguenza, del genitore (espressioni quali «Tanto è tutto inutile!»). Deleteri al fine del mantenimento di una relazione asimmetrica sono gli atteggiamenti di dipendenza che talora l’insegnante assume nei confronti del genitore («Bisogna che lei intervenga!»). L’insegnante deve dunque possedere precisi prerequisiti mentali. - disponibilità all’incontro. - rispetto per l’altro, cioè per il suo tempo, per i suoi problemi, per i suoi argomenti e per la sua persona. - neutralità, che non è semplice sospensione di ogni atteggiamento valutativo nei confronti dell’altro, ma è accoglienza dell’altro nella sua dimensione sociale, culturale, umana. 2. L’interazione verbale Tra gli interlocutori vi sia disponibilità a interagire verbalmente in un reciproco scambio di informazioni e di conoscenze. Nel colloquio didattico, l’insegnante deve individuare obiettivi precisi che possano di volta in volta variare, pur conservando come finalità costante e ultima la migliore conoscenza dell’allievo per una più proporzionata azione didattica. A ogni incontro si può così identificare un tema da affrontare o un problema da approfondire: ciò permette di non riferire, in ogni incontro, ai genitori le stesse informazioni. In nessun caso l’insegnante deve incontrare il genitore senza aver prima recuperato i contenuti dell’incontro precedente, e neppure deve essere sprovvisto di un’idea guida per il colloquio da sostenere. Esibire argomenti ai genitori, e non i risultati numerici, comunica infatti l’interesse dell’insegnante per l’allievo; d’altronde, anche i migliori risultati possono diventare scontati ed esaurire presto l’interesse dei genitori per l’allievo. 3. Il soggetto della comunicazione Si identifichino con esattezza gli argomenti e soprattutto il soggetto del colloquio stesso; Le opinioni, le informazioni e i sentimenti che sono trasmessi tra i partecipanti al colloquio sono riferiti a una terza persona. Ciò espone il colloquio didattico a molti fraintendimenti e difficoltà di comunicazione. In primo luogo è da precisare che il soggetto di cui si parla non è necessariamente il medesimo: il genitore, infatti, parla del figlio; l’insegnante, invece, parla di un allievo. Le rispettive visioni sono pertanto differenti: l’errore che facilmente si commette da entrambe le parti è credere di conoscere in modo completo la personalità del soggetto. È compito dell’insegnante presentare e far conoscere l’allievo al genitore, in attesa che questi riesca a scorgere l’allievo nel figlio; in ogni caso, entrambi hanno bisogno di completare la propria visione del «soggetto». 4. L’obiettivo Il colloquio didattico ha un obiettivo, che accompagna tutti gli altri obiettivi, sia quelli specifici di ogni singolo colloquio, sia quello finale riferito al benessere e al miglior rendimento dell’allievo. Lo scopo del colloquio, tuttavia, non mira a un apprezzamento di tipo cognitivo o affettivo dell’allievo, ma a produrre una stima rivolta sia alle difficoltà presentate dall’allievo nell’affrontare i problemi in genere, sia all’indisponibilità ad apprendere in specifiche discipline. 5. Il clima relazionale Il conduttore sia empatico e capace di indurre l’altro a collaborare al proprio progetto educativo e formativo in vista di un fine comune, vale a dire facilitare il percorso scolastico all’allievo-figlio. Clima sereno. Il ruolo dell’insegnante Il colloquio ha obiettivi propri, che si focalizzano sulla raccolta e trasmissione delle informazioni, sullo sviluppo di una reciproca conoscenza e sulla creazione di un rapporto con l’altro. Tuttavia, l’insegnante colloca tali obiettivi 71 all’interno di quelli più generali della scuola come istituzione.1 Il colloquio, pertanto, deve essere concepito come l’incontro tra scuola e famiglia, in cui le informazioni devono transitare da una parte all’altra in vista di una costruttiva collaborazione. Il conduttore del colloquio deve di conseguenza possedere conoscenze adeguate, sviluppare abilità per coinvolgere opportunamente la famiglia e disporre delle competenze necessarie per evitare di commettere errori durante l’interazione. È necessario che l’insegnante, al primo incontro, tenga separato l’allievo come persona dall’allievo come studente; sono i risultati dello studente che devono essere oggetto di informazioni non la personalità dell’allievo, un punto — quest’ultimo — su cui i genitori sono oltremodo suscettibili. In sintesi, ogni considerazione riguardante un risultato non deve mai essere spiegata o interpretata, invocando ragioni riferite all’intelligenza o a qualità del carattere dell’allievo. L’insegnante non produce diagnosi ma ogni valutazione deve essere espressa in vista di un intervento per facilitare l’apprendimento. Il colloquio diventa così uno strumento per il perseguimento di uno scopo; tuttavia, l’insegnante, per trasformare il colloquio in uno strumento utile, deve necessariamente rendere facile la relazione, piacevole la conversazione, semplice la reciproca conoscenza. Gli errori più comuni che gli insegnanti potrebbero commettere durante il colloquio con i genitori sono di due tipi: l’assunzione di un ruolo giudicante oppure l’adozione di un comportamento compiacente. La relazione si costruisce, infatti, nella condivisione di un nucleo emozionale e affettivo, mai intorno a semplici informazioni. Quel che l’insegnante deve trasmettere, prima di ogni informazione, è la propria comprensione delle difficoltà in cui l’allievo si dibatte. Comprendere non significa accondiscendere o essere indulgenti, ma essere capaci di prendere l’altro con sé, ossia di farsene carico. S’inviano così al genitore alcuni messaggi, tra cui l’importanza che il lavoro scolastico e la riuscita dell’allievo hanno per l’insegnante; inoltre, s’induce il genitore ad attribuire, a sua volta, importanza al lavoro della scuola, e a rispondere con un atteggiamento di responsabilità. Non si potrà stabilire alcuna collaborazione o alleanza didattica fintantoché il figlio, per il genitore, non diventa allievo (il figlio è qualcuno da giustificare in ogni caso). Uno degli obiettivi prioritari del colloquio è, la relazione insegnante-genitore, ma questa è senz’altro subordinata alla trasformazione, agli occhi del genitore, del figlio in allievo. Alla tecnica deve affiancarsi la sensibilità nell’avvicinare, interessare e coinvolgere l’altro negli obiettivi della scuola, che non si esauriscono nella promozione dell’allievo, ma nella sua preparazione ad affrontare i compiti che lo attendono nel suo futuro. AMBITO 3 Ambito della conoscenza delle disabilità e degli altri Bisogni Educativi Speciali in una logica bio-psico-sociale CAPITOLO 20 “Individualizzare e includere secondo la SPECIALE NORMALITÀ”. In base al modello dell’ ICF una scuola realmente inclusiva riesce a tracciare una mappa dei Bisogni Educativi Speciali, cioè di quelle situazioni che richiedono interventi individualizzati. La scuola per determinare il suo reale fabbisogno di risorse aggiuntive necessarie per i BES, deve raggrupparle secondo il principio della SPECIALE NORMALITÀ → “prima si pensa ad arricchire l’offerta formativa e didattica ordinaria e solo poi si introducono risorse tecniche più specifiche, che dovrebbero integrarsi nella normalità e arricchirla”. Dunque prima vengono progettate e attivate le risorse normali, arricchite di aspetti specifici e tecnici se serve, e poi vengono definite le risorse speciali specifiche per la situazione di un particolare alunno. 1 La scuola, infatti, è chiamata ad assolvere precisi obiettivi istituzionali, quali: l’istruzione, che rinvia soprattutto alle capacità professionali dell’insegnante; l’apprendimento, che invece chiama in causa processi di apprendimento dell’allievo; la formazione, che è un obiettivo intrinseco di un sistema che si pone come educativo. Gli obiettivi del colloquio devono dunque essere finalizzati alla riuscita di quelli scolastici, se si vuole trasformare il colloquio in un valido strumento per il raggiungimento di una valutazione soddisfacente dell’allievo nel suo processo di sviluppo cognitivo, emozionale e sociale. 72 La strategia della speciale normalità dà dunque priorità a quello che si fa normalmente per tutti gli alunni. Questa strategia aiuta nel processo di corresponsabilizzazione di tanti attori, evitando che gli insegnanti curricolari deleghino le prassi inclusive solo agli insegnanti specializzati → quindi è necessaria una partecipazione collettiva alle prassi inclusive. SPECIALE NORMALITÀ vuol dire allora una NORMALITÀ PIÙ RICCA E COMPETENTE→ l’insegnante di sostegno in questo è fondamentale perché serve a rendere competenti e speciali i contesti della normalità educativa e didattica. In quest’ottica sono state individuate 14 categorie di risorse che il Consiglio di classe può decidere di attivare per organizzare una didattica inclusiva secondo la speciale normalità : 1. Organizzazione scolastica generale → strutturazione dei tempi scuola, dei servizi scolastici come la mensa, biblioteca, trasporti, sportelli ecc., e degli orari dei docenti, alunni e collaboratori. 2. Spazi e architettura → devono garantire l’accessibilità esterna ed interna (ad es. disposizione banchi e attrezzature per facilitare l’apprendimento). 3. Sensibilizzazione generale → Motivare, sensibilizzare e coinvolgere le persone, rispetto all’apprendimento di tutti gli alunni, grazie ad iniziative di informazione, permette un’inclusività più efficace. 4. Alleanze extrascolastiche → attivazione di alleanze strategiche con varie risorse extrascolastiche come la famiglia, il territorio, la comunità. 5. Formazione e aggiornamento → Percorsi di formazione per insegnanti curricolari e di sostegno. 6. Documentazione → Scambio di informazioni ed esperienze con centri di informazione (es. sportelli). 7. Didattica comune → Scelta di metodologie didattiche maggiormente inclusive nei persorsi curricolari (ad es. tutoring, cooperative learning, didattica per laboratori, didattica per mappe concettuali…) 8. Percorsi educativi e relazionali comuni → Percorsi sulle abilità espressive (teatro, musica, danza), sull’apprendimento delle life skills, laboratori sulla manipolazione o l’educazione ambientale; tutto questo per favorire l’acquisizione di competenze socialmente rilevanti. 9. Didattica individuale → percorsi di insegnamento- apprendimento individuali. 10. Percorsi educativi e relazionali individuali → attività educative per raggiungere obiettivi di autonomia personale; interventi psicoeducativi per il superamento di comportamenti problematici. 11. Ausili, tecnologie e materiali speciali → impiego di questi ultimi per facilitare l’autonomia e l’apprendimento degli alunni. 12. Interventi di assistenza e di aiuto personale → impiego di personale specifico, assistenti educatori, sanitari o ausiliari per assistere gli alunni nei bisogni primari e fisici. 13. Interventi riabilitativi → interventi specifici come logopedia, fisioterapia, musicoterapia, arte terapia… 14. Interventi sanitari e terapeutici → condotti da neuropsichiatri, psicologi, neurologi ecc. Si tratta di una coesistenza complessa in cui normalità e specialità siano presenti e si modifichino a vicenda, dando il meglio di ognuna. CAPITOLO 21 “CODICI COMUNICATIVI DELL’EDUCAZIONE LINGUISTICA” Premessa Prima dell’ingresso nella scuola primaria il bambino realizza numerosi apprendimenti che stanno alla base di tutto ciò che dovrà apprendere successivamente. Difficilmente in età successive mostra una 75 Costruisco i concetti, non secondo criteri associativi ma percependo nell’ambiente regolarità e stabilendo relazioni causali. In tale processo il linguaggio svolge un ruolo fondamentale perché permette l’associazione tra il termine linguistico e l’ogg. e perché permette di operare distinzioni tra concetti diversi.I concetti non possono essere «trasmessi», ma devono essere costruiti autonomamente dal bambino. Come per altri processi, occorre però che i bambini trovino nell’ambiente un sostegno adeguato. La costruzione del concetto è però resa possibile anche da un altro processo: classificazione. La classe non corrisponde esattamente alla categoria in quanto possiede un livello di astrazione molto maggiore. La costruzione di classi opera una distinzione tra gli elementi che possiedono una caratteristica e quelli che non la possiedono(es. rossi e non rossi). Inoltre la costruzione di una classe non richiede solo processi di astrazione e di generalizzazione, ma anche di estensione, di inclusione e di complementarità. In età prescolare raramente il bambino perviene al concetto di classe e soprattutto non costruisce tutti i tipi di concetti. Esistono concetti «fondativi», rendono possibile la costruzione di altri concetti (il concetto di essere vivente permette di apprendere il concetto di pianta e animale) o permettono di acquisire altre conoscenze. L’emergere della literacy Emergent literacy indica un processo grazie al quale si forma gradualmente una nuova struttura mentale = ossia il bambino mette insieme elementi prima distinti. È un processo importantissimo, è prescolastico ed è precursore della lingua scritta. È frutto di una riorganizzazione interna, a cui l’ambiente esterno fornisce stimoli e opportunità (non nasce solo da situazione direttamente collegate alla lingua scritta). Quindi la capacità di leggere e scrivere, che si manifesterà nella scuola primaria, non si fonda su un precoce insegnamento, ma sulla proposta di molte occasioni significative di «aver a che fare» con dei simboli. Non tutte le attività e conoscenze hanno però la stessa importanza per l’apprendimento della vera e propria literacy. Di seguito si presentano le conoscenze che possiedono un’importanza-chiave. 1. La padronanza del linguaggio orale È il fattore fondamentale della literacy in età prescolare. Il linguaggio naturale viene acquisito dal bambino in modo molto rapido e senza la necessità di un insegnamento sistematico. Vi sono differenze nel ling orale prescolastico legate soprattutto allo sviluppo del lessico, all’arricchimento del vocabolario e all’apprendimento delle strutture grammaticali (es. concordanza articolo/nome o nome/verbo). Molti studi evidenziano come il livello socio- economico della famiglia e le opportunità del contesto di vita influenzino la ricchezza del vocabolario. Ciò che risulta comune alla maggior parte dei bambini è l’ordine di acquisizione del vocabolario. All’inizio impara parole con un forte significato emotivo (mamma, papà). Nello sviluppo del linguaggio e nello sviluppo cognitivo una fase molto importante è la nominazione. Il nome non è una semplice etichetta, ma indica un’intera classe di elementi. Tutte queste abilità ling. favoriscono l’apprendimento della lettura, ma la capacità che funziona come predittore e precursore è quella di produrre resoconti decontestualizzati. La lettura comporta infatti la capacità di comprendere il linguaggio decontestualizzato. Quindi la costruzione di queste capacità è possibile solo se vi è un ambiente fortemente supportivo, in grado di offrirgli la possibilità di realizzare forme diverse di espressione linguistica. Ciò che favorisce l’arricchimento del vocabolario è la lettura di libri da parte degli adulti. Non è in gioco solo l’apprendimento di parole, ma anche altre funzioni mentali, che devono esser oggetto di attenzione da parte degli insegnanti. 2. La capacità di elaborazione fonologica Si riferisce alla consapevolezza che le parole sono costituite da elementi sonori, nonché alla capacità di manipolare i suoni stessi. Essa comprende tre elementi: la sensibilità fonologica, la memoria fonologica e la denominazione fonologica. 76 • La sensibilità fonologica (cioè la capacità di individuare e manipolare i suoni pronunciati) si basa su una serie di abilità: es. individuare parole che rimano; unire o eliminare fonemi o sillabe per formare una parola ecc. In età prescolare essa si riferisce solo al ling. orale: es. inventare parole prive di senso. • Attraverso tali attività si sviluppa anche la memoria fonologica, si riconduce alla capacità di ripetere e di ricordare materiali verbali. • La denominazione fonologica= capacità di richiamare le info fonologiche dalla memoria a lungo termine e consiste nella possibilità di dire velocemente il nome di singoli oggetti presentati sotto forma di illustrazione. Tutte le capacità riferite all’elaborazione fonologica influenzano il processo di decodifica. Qualora non si mettano in atto interventi specifici, le differenze riscontrate in tale ambito in età prescolare rimangono stabili anche in primaria. Quindi le difficoltà di elaborazione fonologica conducono a rilevanti difficoltà nell’acquisizione della capacità di lettura. 3. Il principio alfabetico Dopo i 4 anni i bambini sono affascinati dall’alfabeto, si impegnano a impararla perché ha a che fare con gli adulti. Interesse per alfabeto fonetico, c’è corrispondenza tra segno scritto e suono e questo permette di combinare i diversi segni in modi infiniti. L’alfabeto consente di realizzare l’apprendimento secondo modalità tipiche dell’età prescolare = esplorazione, il b. sperimenta tutte le possibili variazioni e combinazioni connesse a un movimento, a un’attività, a un oggetto. È importante la fase in cui il bambino impara la denominazione di ciascun segno scritto. È questa una fase molto importante, in cui spesso i genitori commettono il grave errore di pronunciare le lettere non in modo fonetico, ma appoggiandole alla vocale i: bi, ci. Se ciò accade il bambino non può apprendere il principio dell’alfabeto fonetico e nell’apprendimento della lettura incontrerà qualche difficoltà in più. L’apprendimento del principio alfabetico permette ai bambini di imparare il seguente concetto fondamentale= le parole orali e scritte sono formate da elementi più piccoli, che ricorrono più volte, e che consentono di formare un numero infinito di parole diverse. La conoscenza alfabetica non si identifica quindi con la recitazione dell’alfabeto fonetico (difficile perché non in rima), ma con l’acquisizione della sensibilità fonemica, cioè alla capacità di isolare, all’interno della parola, un fonema, di cambiare l’ordine dei fonemi, di aggiungerne di nuovi o di eliminarne alcuni al fine di trovare una nuova parola. CAPITOLO 22 “CODICI DEL LINGUAGGIO LOGICO E MATEMATICO” L’intelligenza numerica così come quella verbale è innata. Basti pensare a come nell’evoluzione del linguaggio la distinzione tra singolare e plurale avverte già dello sviluppo delle capacità di quantificare ossia riconoscere quantità. E’ chiaro che nel corso dello sviluppo c’è un evoluzione che implica processi di comprensione dei fenomeni sempre più complessi. PIAGET ha avuto il merito di formulare le prime teorie cognitive riguardo l’elaborazione del concetto di numero. Egli ha ricondotto l’evoluzione delle strutture che presiedono alla conoscenza numerica al passaggio dall’INTELLIGENZA PRE-OPERATORIA caratterizzata dal pensiero egocentrico e irreversibile all’INTELLIGENZA OPERATORIO-CONCRETA che permette di raggiungere la padronanza delle operazioni logiche e spazio-temporali. ROBBIE CASE ha ampliato l’impostazione di Piaget. L’idea di fondo di Case è che il senso del numero dei bambini dipenda dalla presenza di schemi organizzatori denominati STRUTTURE CONCETTUALI CENTRALI che sottostanno alla maggior parte dei compiti che i bambini devono 77 padroneggiare. Questi schemi sono relativi al CONTEGGIO, alla NUMEROSITA’(sono di più di meno), OPERATIVITA’ CONCRETA (aggiungere/togliere) . Una volta consolidate queste strutture centrali si costituisce una linea mentale del conteggio in cui i movimenti avanti e indietro equivalgono al’applicazione del più e del meno; questa struttura consente al bambino di differenziare unità,decine etc… e potrà comprendere le varie relazioni del sistema numerico. Per rigore espositivo è necessario introdurre le ricerche sull’intelligenza numerica che fanno riferimento a tre nuclei principali: - sviluppo della conoscenza numerica preverbale - sviluppo delle abilità di conteggio - sviluppo delle abilità di scrittura e lettura del numero. Le ricerche di GALLISTEL E GELMAN hanno evidenziato come le basi della competenza numerica si trovino nei meccanismi pre-verbali per il calcolo e nel ragionamento aritmetico. Infatti le varie ricerche in merito hanno messo in evidenza come già i bambini di due anni e mezzo siano capaci di compiere delle induzioni su piccoli insiemi formati da due o tre elementi e come siano in grado di discriminare disegni a seconda che rappresentino due o tre oggetti. In sintesi questi riscontri sperimentali ipotizzano l’esistenza di una competenza numerica non verbale mediata da una rappresentazione mentale della quantità. Il secondo filone di ricerche spiega come compare la capacità di codificare le quantità attraverso il sistema verbale dei numeri per permettere la competenza del conteggio. La teoria di GALLISTEL E GELMAN si fonda sulla convinzione che i bambini piccoli detengano un concetto di numero innato , concetto che evolve nell’acquisizione delle procedure di calcolo. Questo passaggio avviene seguendo alcuni principi: a) PRINCIPIO DELLA CORRISPONDENZA UNO AD UNO (ad ogni elemento contato corrisponde una sola parola/numero b) PRINCIPIO DELL’ORDINE STABILE( ordinare le parole/numero secondo una sequenza fissa) c) PRINCIPIO DELLA CARDINALITA’ (l’ultima parola/numero usata corrisponde alla numerosità degli elementi contati). Un altro filone di ricerca conferma le ipotesi di Gallistel e Gelman sull’esistenza di strutture innate ma attribuisce più valore alle competenze apprese. La ricercatrice FUSON ha elaborato la TEORIA DEI CONTESTI DIVERSI secondo la quale i principi di conteggio e di calcolo , pur rispondendo a funzioni strutturali innate, sono gradualmente sviluppati dal bambino attraverso esercizi ripetuti e per imitazione. Fuson ritiene che i principi individuati da Gallistel e Gelman siano validi ma perché possano essere utilizzati in modo stabile e competente necessitano di ripetuti momenti di apprendimento. Altra variabile importante è l’interazione con l’ambiente :il bambino forma la conoscenza del numero attraverso la relazione con ciò che lo circonda. L’ultimo filone di ricerca riguarda la conoscenza su come compaia la capacità di utilizzare il sistema simbolico dei numeri seguendo due linee di indagine: una relativa all’abilità di scrittura dei numeri e l’altra relativa allo sviluppo delle abilità di lettura dei numeri. 80 ORGANIZZARE L’AULA L’organizzazione dell’aula rientra a pieno titolo in una buona didattica. Una classe accogliente, nella quale si sta bene è una classe dove diventa facile imparare. E’ importante che le pareti parlino , insegnino, soprattutto quando il lavoro diviene complesso perché rappresentano punti di riferimento precisi e stimolanti. E’ necessario che i cartelloni o le bacheche contengano poche parole ben leggibili e ben distanziate. Si possono anche usare fotografie che possono richiamare concetti (non devono avere intento evocativo), schemi, mappe, carte geografiche semplici da leggere. E’ chiaro che non bisogna eccedere con i marcatori visivi. ORGANIZZARE LA LEZIONE Una buona didattica si caratterizza per una lezione pensata e intenzionalmente proposta per far sì che tutti possano partecipare ad essa in modo consapevole. E’ importante che l’insegnante informi preventivamente gli allievi sull’argomento da trattare. Ciò crea aspettative, stimola la formulazione di ipotesi sul contenuto, serve a richiamare le conoscenze pregresse. Può essere utile tracciare una mappa durante la spiegazione o consegnarne una già fatta. La sola spiegazione verbale si è dimostrata inefficace. Si è vista l’importanza del supporto visivo: documentari, video, presentazioni con Power Point, lavagna interattiva. La lezione deve essere interattiva : chiedere in continuazione di fare ipotesi, creare conflitto cognitivo tra le affermazioni dell’insegnante e quelle dell’allievo , richiamare le conoscenze pregresse. Usare un linguaggio chiaro, introdurre termini nuovi con gradualità. La domanda più inutile che un insegnante può porre ai suoi alunni è: “Avete capito?” perché tutti risponderanno di sì. Meglio verificare la comprensione con domande semplici e brevi rivolte a tutti. Per un allievo in difficoltà è difficile prendere appunti durante una lezione. Quindi la soluzione migliore è chiedergli di trascrivere brevi frasi o inserire parole concetto al lato del paragrafo , fare piccoli schemi a bordo pagina, utilizzare il registratore. L’esonero della lettura ad alta voce è una misura dispensativa molto utilizzata per gli alunni dislessici ma bisogna valutare caso per caso assecondando le richieste personali, VERIFICA E VALUTAZIONE Per gli alunni in difficoltà le interrogazioni vanno programmate e i contenuti frazionati analizzando bene i tempi necessari sia per lo studio che per l’esposizione. Durante l’interrogazione l’allievo potrà far uso degli strumenti compensativi(mappe, schemi, cartine, calcolatrice) che rappresentano input per la memoria che nel loro caso non va in automatico. Se la verifica è scritta l’insegnante si deve accertare che le schede siano strutturate in modo chiaro, che ci sia abbondante spazio per le risposte. Spesso l’allievo ha bisogno di più tempo ma a volte è meglio organizzare la verifica in modo diverso , ad esempio anteponendo le domande o gli esercizi più significativi in modo da verificare gli obiettivi più importanti. Poiché la performance scolastica e l’autostima viaggiano insieme la valutazione sarà di tipo formativo tenendo in considerazione , quindi, il percorso personale di apprendimento. Si valuta l’impegno, si separa l’errore esecutivo(ortografico) da quello di contenuto. 81 LA SCELTA DEL LIBRO DI TESTO L’impostazione del libro di testo, cartaceo o digitale deve possedere alcune caratteristiche per facilitare gli apprendimenti: testo ben leggibile, caratteri ben distanziati, linguaggio semplice, materiale visivo di supporto, guida allo studio( domande/esercizi di rflessione o approfondimento a fine capitolo, LE MAPPE La rappresentazione per mappe rappresenta uno dei più potenti strumenti compensativi a disposizione degli alunni perché integra la comunicazione testuale con quella visiva. Le mappe si producono al computer ma il progetto deve essere realizzato da una persona che comprende e struttura le informazioni da rappresentare. Per gli allievi con difficoltà la costruzione di mappe è difficile ma un intervento formativo adeguato può sviluppare gradualmente questa competenza. Le mappe sono utili per tutti ma lo sono ancor di più per i ragazzi con DSA perché aiutano ad organizzare le conoscenze già possedute e facilitano l’elaborazione, comprensione e memorizzazione delle nuove informazioni. In casi molto severi di dislessia è opportuno fornire mappe già predisoste. COME AIUTARE A COSTRUIRE MAPPE La costruzione di una mappa prevede una specifica formazione. Innanzitutto bisogna partire da mappe già costruite. Si insegna a leggere, comprendere e usare quelle esistenti. E’ utile il confronto tra più mappe che vertono sullo stesso argomento selezionando la migliore, esplicitando i criteri per la composizione o cambiandoli. Ancora, si possono cancellare concetti fuorvianti, ampliare o ridurre le mappe. Sviluppare mappe significa possedere capacità linguistiche e logiche che vanno favorite, sono abilità generali che servono anche in altri contesti. Ci si riferisce alla capacità di individuare i concetti(parole-concetto) e i legami tra le informazioni (parole collegamento).E’ utile spiegare agli allievi la differenza tra le parole-concetto che evocano immagini o eventi (es. mano è una parola concetto) e le parole legame (prende parola collegamento). Per fare ciò è utile allenare i bambini/allievi con vocabolari, liste di parole, libri di testo, giornali. Quando i casi di dislessia sono severi risulta più utile il registratore, la sintesi vocale, la voce dell’adulto o del compagno. CAPITOLO 25 “ Aspetti emotivo-motivazionali e metacognitivi nell’apprendimento” Quando si parla di apprendimento dello studio, bisogna considerare le caratteristiche individuali dello studente, come le abilità possedute, le diverse conoscenze, l’uso di strategie, gli stili cognitivi di elaborazione dell’informazione, la consapevolezza metacognitiva dei processi mentali e la capacità di dirigerli e controllarli. Un altro aspetto importante è quella che riguarda gli aspetti emotivo-motivazionali dell’apprendimento. L’insegnante attento deve tenere in considerazione tutti questi aspetti durante la progettazione del suo lavoro. 82 Per una buona prestazione scolastica è importante l’insegnamento di diverse strategie di studio, ciò, però non è sufficiente per garantire una successiva applicazione spontanea delle strategie insegnate, per estenderle ad altre situazioni. Perciò un corretto insegnamento strategico dovrebbe comprendere e sostenere anche gli aspetti motivazionali-emotivi dell’apprendimento e dello studio. Quando si parla di aspetti –motivazionali, ci riferiamo alla motivazione, all’emozione, all’affettività, che sono rilevanti nell’apprendimento. La motivazione è un concetto molto ampio. Dal punto di vista etimologico deriva da motus che vuol dire movimento, visto come una spinta del soggetto verso un oggetto. La motivazione dal punto di vista dell’apprendimento e dello studio ci spiega perché uno studente studia e, l’altro no, come studia lo studente, per quanto tempo mantiene l’interesse e l’impegno sullo studio. Altra modalità classica di considerare la motivazione è quella di distinguerla in intrinseca (ad esempio curiosità, interesse, successo) ed estrinseca ( ad es. premi, castighi). La motivazione intrinseca è quella che ha origine all’interno del soggetto e che porta ad affrontare un compito per se stesso, senza finalità esterne. Ad esempio si studia per il piacere di studiare. Berlyne (1971) parla di curiosità epistermica, un bisogno universale di conoscere e di apprendere, motivato solo dal desiderio di sapere. Ma questa motivazione intrinseca ci porta a volerci sentire competente ed efficace. Infatti questo bisogno è stato definito di “competenza” (effectance). Harter (1978) ha esaminato lo sviluppo della motivazione di competenza in tre aree ( cognitiva, sociale, fisica) per effetto dei successi e degli insuccessi incontrati nei tentativi di padronanza della presenza o assenza di sostegno da parte degli adulti. Quando si incoraggia e si sostiene il bambino nei suoi primi tentativi di padronanza sviluppa un sistema di autoricompensa creando così obiettivi di padronanza. Questi obiettivi permettono di affrontare le situazioni come sfide e producono un’esperienza emotiva positiva nel bambino. Al contrario il bambino che non viene incoraggiato nei tentativi di padronanza sviluppa un bisogno di approvazione esterna, dipendendo continuamente dall’adulto e crea una diminuzione della motivazione di competenza. Nella teoria di Harter vi sono quattro concetti importanti che sono stati ripresi da altre teorie motivazionali: - La percezione di competenza si distingue dal bisogno innato di competenza, in quanto si sviluppa per effetto dei successi e degli insuccessi incontrati, delle interpretazioni a essi date e del sostegno ambientale. - La percezione di controllo si riferisce alla sensazione di sentirsi personalmente agenti della situazione. - La sfida ottimale si riferisce alla situazione in cui la difficoltà del compito è tale per cui il soggetto la vive come una sfida possibile per mostrarsi competente. - La motivazione interiorizzata è quando il soggetto si crea un sistema di autogratificazione, autopremiandosi o autopunendosi. Deci e Ryan (1985) parlano della teoria dell’autodeterminazione che consiste nella libera scelta, svincolata da bisogni o forze esterne, di condurre un’azione. Quest’azione è intrinsecamente motivata e implica curiosità, spontaneità, interesse. Se il soggetto vive una situazione di libera 85 Il documento di Accordo Stato-Regioni «Indicazioni per la diagnosi e la certificazione dei Disturbi Specifici di Apprendimento» ha demandato alle Regioni la possibilità di rilasciare la diagnosi «nel caso in cui i servizi pubblici o accreditati dal Servizio sanitario nazionale non siano in grado di garantire il rilascio delle certificazioni in tempi utili per l’attivazione delle misure didattiche e delle modalità di valutazione previste e, comunque, quando il tempo richiesto per il completamento dell’iter diagnostico superi sei mesi. I DSA sono disabilità che compromettono significativamente l’acquisizione delle abilità strumentali di lettura, scrittura e del numero-calcolo che si manifestano in presenza di adeguate capacità cognitive e in assenza di patologie neurologiche e di deficit sensoriali ma possono costituire una limitazione importante per alcune attività della vita quotidiana. La classificazione adottata dalla Legge 170/2012, che riprende la distinzione operata in ambito clinico dalla Consensus Conference (2009), differenzia nella categoria «DSA» quattro quadri clinici distinti: la dislessia, la disortografia, la disgrafia e la discalculia. La dislessia è un disturbo specifico che si manifesta con una difficoltà nell’imparare a leggere, in particolare nella decifrazione dei segni linguistici, ovvero nella correttezza e nella rapidità della lettura. La disortografia è un disturbo specifico di scrittura che si manifesta in difficoltà nei processi linguistici di transcodifica. La disgrafia è un disturbo specifico di scrittura che si manifesta in difficoltà nella realizzazione grafica. La discalculia è un disturbo specifico che si manifesta con una difficoltà negli automatismi del calcolo e dell’elaborazione dei numeri. I DSA possono sussistere separatamente o insieme. Nel documento finale della Consensus Conference (2009) è stata riconosciuta, sul piano descrittivo, la consistente comorbilità tra più disturbi («la pratica clinica evidenzia un’alta presenza di comorbilità sia fra i disturbi specifici dell’apprendimento sia con altre condizioni cliniche quali disprassie, disturbi del comportamento e dell’umore, ADHD, disturbi d’ansia, ecc.»), senza che si potesse stabilire e qualificare il tipo di relazione che lega i vari disturbi tra loro. La dislessia evolutiva è una disabilità specifica dell’apprendimento di origine neurobiologica. Essa è caratterizzata dalla difficoltà a effettuare una lettura accurata e/o fluente e da abilità scadenti nella scrittura e nella decodifica. Queste difficoltà tipicamente derivano da un deficit nella componente fonologica del linguaggio che è spesso inattesa in rapporto alle altre abilità cognitive e alla garanzia di un’adeguata istruzione scolastica. Conseguenze secondarie possono includere i problemi di comprensione nella lettura e una ridotta pratica della lettura che può impedire la crescita del vocabolario e delle conoscenze generali». La discalculia evolutiva è un disturbo delle abilità numeriche e aritmetiche che si manifesta in bambini di intelligenza normale e che non hanno subito danni neurologici: essa può presentarsi associata a dislessia, ma è possibile che ne sia anche dissociata. Grazie all’impiego delle metodologie d’indagine come la PET (tomografia a emissione di positroni) o la RMF (risonanza magnetica funzionale), è stato possibile rilevare un disfunzionamento di alcune aree della corteccia del cervello delle persone con dislessia. L’ampio consenso delle basi neurobiologiche dei DSA ovviamente non esclude il possibile ruolo che possono avere i fattori ambientali nel modulare l’espressione del disturbo nel corso degli anni; ruolo che è stato riconosciuto nella Consensus Conference sui DSA. 86 Attualmente, tra i modelli teorici causali della dislessia evolutiva, in letteratura internazionale, si delineano tre principali filoni. 1) La teoria del deficit della processazione fonologica postula uno specifico problema nella rappresentazione, nell’immagazzinamento e nel recupero dei suoni del linguaggio nei soggetti dislessici. La spiegazione principale più largamente condivisa è che la dislessia derivi da deficit molto circoscritti all’abilità di processazione fonologica, che interferirebbero con l’apprendimento del processo di lettura con conseguente difficoltà da parte del bambino dislessico a fissare le corrispondenze grafema-fonema. Il sintomo principale del deficit fonologico è rappresentato dalla caratteristica difficoltà dei dislessici nella lettura di non parole che obbligano selettivamente a ricodificare la stringa grafemica in un codice fonologico. 2) La teoria del deficit magnocellulare, indica che le difficoltà di lettura siano riconducibili a lievi anomalie in una specifica parte del sistema visivo chiamata appunto «magnocellulare», specializzato nella percezione del movimento, nella codifica visuo-spaziale e coinvolto nel controllo dei movimenti oculari. I circuiti magnocellulari giocano un ruolo importante anche per altre modalità sensoriali (ad esempio uditiva) e questo potrebbe spiegare le difficoltà riscontrate nei soggetti dislessici nel percepire stimoli uditivi in rapida successione e di breve durata (come le consonanti). 3) La teoria del deficit di automatizzazione postula che il cervelletto gioca un ruolo importante nei processi articolatori del linguaggio, che a loro volta influenzano le rappresentazioni fonologiche, e che interviene nell’automatizzazione delle procedure (come il leggere). Questa teoria si fonda sull’osservazione di scarse prestazioni dei dislessici in compiti che richiedono coordinazione motoria. La dislessia evolutiva spesso si presenta in co-occorrenza con altri disturbi, sia di linguaggio che attentivi che di coordinazione motoria, e quindi contribuiscono a determinare quadri neurofunzionali particolarmente variegati ed eterogenei. Manifestazione dei DSA I DSA hanno un carattere evolutivo e si manifestano già dalle prime fasi di apprendimento, quando il bambino viene a contatto con il codice scritto. Solitamente il bambino compie errori caratteristici nella lettura e nella scrittura come: • la sostituzione di lettere (m/n; v/f; b/d, a/e) oppure l’inversione di lettere e numeri (ad esempio 21/12), • fatica a imparare le tabelline e alcune informazioni in sequenza come i giorni della settimana, i mesi dell’anno; • può fare confusione nei rapporti spaziali e temporali (destra/sinistra; ieri/domani). In alcuni casi sono presenti anche difficoltà in abilità fino-motorie (ad esempio allacciarsi le scarpe), nel calcolo, nella capacità di attenzione e di concentrazione. Individuazione precoce del rischio DSA La Legge 170/2010 (art. 3, comma 3) stabilisce che apposite iniziative di screening (strumento essenziale per una precoce identificazione del problema) debbano essere attuate dalle scuole di ogni ordine e grado, già a partire dalla scuola dell’infanzia, di concerto con gli operatori del Servizio Sanitario Nazionale, secondo protocolli condivisi (art. 7, comma 1). La Legge sottolinea come l’attuazione di queste iniziative, volte a identificare una condizione di «rischio», non costituisca l’emissione di una Diagnosi di DSA. Numerosi studi indicano che anticipare l’identificazione del rischio all’ultimo anno della scuola dell’infanzia è una possibilità concreta, da cui potrebbero derivare alcuni vantaggi, primo tra tutti quello di modulare fin dall’inizio le strategie di insegnamento sulle specifiche necessità di questi 87 alunni (il concetto di un insegnamento personalizzato richiamato anche nella Legge 170/2010), aumentando in questo modo la probabilità di «accompagnare» il bambino nelle diverse fasi di acquisizione del codice alfabetico, senza che il suo ritmo si discosti troppo da quello del resto della classe. Per l’ultimo anno della scuola dell’infanzia sono stati costruiti strumenti di valutazione diretta e questionari osservativi finalizzati all’individuazione precoce del rischio di sviluppare un DSA. Gli unici strumenti presenti nel panorama nazionale per l’identificazione precoce delle difficoltà di calcolo sono: • per la scuola dell’infanzia, la batteria BIN 4-6, che fornisce un quadro dei primi apprendimenti matematici in bambini a sviluppo tipico, relativamente alla fascia d’età 4-6 anni; • per la scuola primaria, l’AC-MT 6-10. La rilevazione delle abilità predittive (le capacità linguistiche, fonologiche e la conoscenza delle lettere) consente l’individuazione di alunni a rischio di DSA con il vantaggio di mettere in atto interventi precoci prima che il disturbo si sia instaurato. Il Decreto Attuativo del 17 aprile 2013, definisce un modello operativo per l’organizzazione delle attività di identificazione precoce, attraverso tre fasi: a) Una prima individualizzazione effettuata dagli insegnanti sulla base di una osservazione ordinaria e sistematica degli alunni; b) Una successiva attuazione di percorsi didattici mirati al recupero di tali difficoltà; c) La segnalazione dei soggetti “resistenti” all’intervento didattico per le successive procedure di approfondimento diagnostico da parte degli operatori del Servizio Sanitario. Il Decreto Attuativo sottolinea che la scuola dell’infanzia possa avvalersi di prove standardizzate in attività organizzate che assumono la forma di “screening” in cui un aspetto importante è attribuito alla formazione del personale insegnante in raccordo con quello sanitario. Le Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbo specifico di apprendimento (parte integrante del decreto n. 5669) richiamano l’attenzione sul ruolo fondamentale dell’insegnante che è in una posizione privilegiata per osservare lo sviluppo e l’evoluzione delle abilità e quindi le eventuali atipie negli apprendimenti. La scuola deve garantire inoltre in sinergia con gli altri attori (famiglia e servizi sanitari) l’attuazione di una didattica personalizzata e individualizzata attraverso la stesura di un Piano Didattico Personalizzato (PDP, come previsto dall’art. 5 del decreto n. 5669). Didattica Individualizzata La didattica individualizzata consiste nelle attività di recupero individuale che può svolgere l’alunno per potenziare determinate abilità o per acquisire specifiche competenze, anche nell’ambito delle strategie compensative e del metodo di studio; tali attività individualizzate possono essere realizzate nelle fasi di lavoro individuale in classe o in momenti ad esse dedicati, secondo tutte le forme di flessibilità del lavoro scolastico consentite dalla normativa vigente. Didattica Personalizzata La didattica personalizzata si sostanzia attraverso l’impiego di una varietà di metodologie e strategie didattiche, tali da promuovere le potenzialità e il successo formativo in ogni alunno: l’uso dei mediatori didattici (schemi, mappe concettuali, ecc.), l’attenzione agli stili di apprendimento, la calibrazione degli interventi sulla base dei livelli raggiunti, nell’ottica di promuovere un apprendimento significativo. 90 L’attenzione per un riconoscimento precoce dell’ADHD è sempre più di interesse per l’importanza che l’età prescolare ricopre nella possibilità di effettuare un intervento precoce ed efficace. Indicatori di rischio in età prescolare: marcata iperattività, sonno discontinuo e agitato, aggressività, litigiosità, frequenti scoppi d’ira, op positività, scarsa percezione del pericolo con presenza di frequenti incidenti. La maggior parte dei bambini con il disturbo riceve una diagnosi in età scolare, spesso tra gli 8 e i 9 anni. Esistono degli indicatori in grado di individuare quali bambini potrebbero essere maggiormente a rischio. Gli aspetti di cui si tiene conto per cercare di comprendere l’effettiva compromissione dei sintomi sono: • la severità del problema, cioè la manifestazione di determinati comportamenti in misura molto più marcata ed evidente rispetto ai coetanei; • le relazioni sociali compromesse a casa, scuola e in contesti ludici in relazione e in rapporto alla media dei coetanei; l’aggressività personale, cioè non finalizzata all’ottenimento ad esempio di un gioco è particolarmente indicativa quale fattore di rischio nella capacità di sapersi relazionare con gli altri; • la pervasività dei sintomi che si manifesta nella maggior parte dei contesti di vita e con diverse figure di riferimento. La scuola è uno degli ambienti in cui le difficoltà del bambino con questo tipo di disturbo sono più evidenti, di conseguenza l’atteggiamento adottato dagli insegnanti con lui è fondamentale per qualsiasi intervento, al fine di ridurne i sintomi. Le punizioni severe, note scritte o sospensioni, non modificano il comportamento del bambino, se non in maniera temporanea. Gli interventi psicoeducativi utilizzati per il trattamento dell’ADHD che hanno dato maggiori riscontri di efficacia sono quelli impostati secondo un approccio cognitivo - comportamentale. Questi programmi includono sia tecniche più strettamente comportamentali per sviluppare e potenziare comportamenti desiderabili e ridurre quelli problematici, sia tecniche cognitive per favorire l’apprendimento dell’automonitoraggio e del problem solving (SINPIA, 2006). Il MIUR ha emanato una NOTA il 15 giugno 2010, il cui oggetto è “Sintomatologia dell’ADHD in età prescolare. Continuità tra scuola dell’infanzia e scuola primaria”, questo documento fornisce indicazioni concrete su come impostare le attività didattiche e sulla conoscenza di insieme del disturbo. Quali sono dunque i 3 PASSI STRATEGIE perché tu possa fare subito la differenza? 1) INSTAURA DELLE ROUTINE. 2) STABILISCI DELLE REGOLE E IL COSTO DELLA LORO INFRAZIONE. È fondamentale predisporre attività e momenti di socializzazione entro una struttura organizzativa solida, che dia una scansione chiara dei tempi di lavoro e di pausa con il supporto di regole chiare e semplici a misura di bambino. Ricorda che: • le regole devono essere proposizioni positive e non divieti • devono essere semplici ed espresse chiaramente • devono descrivere azioni in modo operativo • dovrebbero utilizzare simboli pittorici colorati 91 • devono essere poche (8-10). Proposte e non divieti • Alzarsi dal posto appena la campana suona • Tenere alzata la mano per 5 secondi per chiedere la parola 3) ORGANIZZA MEGLIO GLI SPAZI, ridurre al minimo le fonti di distrazione, utilizzare nell’attività didattica tecniche educative di documentata efficacia (es. aiuti visivi, introduzione di routine, tempi di lavoro brevi, gratificazioni immediate, ecc.) I bambini con ADHD di norma preferiscono orientare l’attenzione verso attività immediatamente gratificanti, evitando quelle che necessitano di un lavoro impegnativo, per poter avere subito un riconoscimento e un’approvazione. È importante riuscire a definire e porsi degli obiettivi possibili e raggiungibili sia dal bambino che dall’insegnante. I bambini con ADHD riescono a portare a termine i compiti quando sono seguiti individualmente (con un rapporto 1:1), e se aiutati sistematicamente riescono a focalizzare e a mantenere l’attenzione. Questo conferma che non c’è incapacità a prestare attenzione in termini assoluti, ma è presente una difficoltà ad autocontrollarla. Quando i cambiamenti da raggiungere sono numerosi è importante lavorare per micro -obiettivi e operare delle scelte: –gestire un obiettivo per volta, dopo aver dato chiare istruzioni su come fare e proponendosi come modello positivo (ad es. l’insegnante può mostrare concretamente come è possibile tenere il proprio banco in ordine); –scegliere obiettivi raggiungibili per il bambino; –concordare l’obiettivo con l’alunno e definire con lui le strategie con cui perseguirlo; –elogiare il bambino a ogni traguardo raggiunto; –aggiungere un nuovo obiettivo da perseguire solo quando quello precedente è stato raggiunto. Questa modalità di lavoro, per micro-obiettivi e con una definizione chiara dei compiti, è utilizzabile anche per le proposte didattiche, tenendo conto di quelli che sono i maggiori limiti del bambino: –mantenere a lungo l’attenzione su un compito; –pianificare un lavoro; –muoversi continuamente. I fattori che ostacolano la buona prestazione scolastica sono dunque diversi: – problemi attentivi – difficoltà di pianificazione e organizzazione nei compiti complessi – scarse abilità di gestione dello sforzo e di stima del tempo necessario – scarsa motivazione – atteggiamenti provocatori e oppositivi. 92 Un’azione educativa mirata in età prescolare potrebbe essere più efficace proprio perché il bambino piccolo è più recettivo alle influenze ambientali. In questa momento evolutivo i bambini, tutti i bambini, imparano ad autoregolarsi e a focalizzare la propria attenzione, a organizzare un gioco e sperimentano procedure cimentandosi in piccole attività e nelle relazioni con gli altri. In questi progressi e conquiste gli adulti hanno un ruolo molto importante perché possono svolgere una funzione eteroregolatrice di guida e insegnare ai bambini, attraverso comandi verbali o ponendosi come modello (ad esempio guarda come faccio…) a inibire alcune manifestazioni poco funzionali o al contrario favorirne di positive mediante messaggi di rinforzo. Per le madri e i padri dei bambini iperattivi, impulsivi e disattenti, assumere un ruolo genitoriale efficace è di cruciale importanza, ma proprio per questo è anche una grande fatica. Tra gli interventi rivolti ai genitori rientrano i parent training e cioè i programmi strutturati di formazione con lo scopo di favorire l’acquisizione di maggiori competenze educative e relazionali. CAPITOLO 27 “METODI EDUCATIVO-DIDATTICI PER LE DISABILITÀ SENSORIALI” Deficit visivi L’espressione «minorazione visiva» viene usata per indicare un danno sensoriale a carico delle diverse componenti della funzione visiva. In Italia, la Legge n. 138 del 3 aprile 2001, Classificazione e quantificazione delle minorazioni visive e norme in materia di accertamenti oculistici, ha ridefinito la classificazione delle differenti minorazioni visive, rispetto a quella elaborata dall'OMS, sottolineando che la situazione di cecità non sempre equivale alla completa assenza di capacità visiva. La nuova classificazione opera su 5 livelli: - cecità totale: totale mancanza di vista in entrambi gli occhi; - cecità parziale: residuo visivo non superiore a 1/20 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore; - ipovisione grave: residuo visivo non superiore a 1/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore; - ipovisione medio-grave: residuo visivo non superiore a 2/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore; - ipovisione lieve: residuo visivo non superiore a 3/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore. Una persona viene considerata ipovedente se il deficit visivo è irreversibile e non può essere corretto, del tutto o in parte, tramite lenti correttive o trattamenti medico-riabilitativi e se tale minorazione la pone in una situazione di disabilità nel suo rapporto con l’ambiente e le attività pratiche legate alla quotidianità. Solo attraverso una valutazione della funzionalità visiva, basata sull’osservazione dell’interazione tra l’individuo e l’ambiente in cui vive, che si possono ampliare le informazioni necessarie e, di conseguenza, attivare le modalità di intervento riabilitativo e educativo più efficaci. Deficit uditivi Per sordità si intende una riduzione dell’udito che può essere lieve, media, grave o profonda in riferimento a parametri fissati dal Bureau International d’Audiophonologie: • lieve: il parlato è percepito se il tono è normale, le difficoltà insorgono se la voce è bassa o l’interlocutore è distante; • media, il parlato è percepito se il tono è alto; si comprende meglio se l’interlocutore è ben visibile; • grave, il parlato è percepito se la voce è forte e vicina all’orecchio; • profonda, il parlato non è percepito e solo i rumori molto forti possono essere uditi. Oltre al grado, altro aspetto determinante nella possibilità di acquisire spontaneamente la lingua vocale è l’epoca di insorgenza della sordità, si definiscono: - «prelinguali» le sordità alla nascita o insorte prima dei 18 mesi; - «perilinguali» quelle acquisite tra i 18 e i 36 mesi; 95 Altro aspetto da considerare è la presenza sempre più diffusa delle nuove tecnologie nei contesti educativi. Il loro impiego (ad esempio screen reader e display Braille) ha ridotto la necessità di mediazione e di traduzione da un sistema di scrittura a un altro. Inoltre, ha permesso di intervenire su uno dei maggiori limiti legati all’uso del Braille, cioè l’ingombro del materiale cartaceo. E' importante ricordare che attualmente il Braille è l’unico codice di scrittura e lettura usato dalle persone non vedenti nel mondo. Riportando il discorso sui metodi, le scelte educative possono essere riportate a 3 approcci: - oralismo: ha come obiettivo l’insegnamento della lingua vocale (si basa sulla terapia logopedica, sulla stimolazione uditiva e sulla lettura labiale) è escluso l'utilizzo della lingua dei segni; - metodo bimodale: è un metodo misto che si basa sull’utilizzo dell’italiano segnato (IS) e dell’italiano segnato esatto (ISE); - bilinguismo: pone al centro la comunicazione che avviene in lingua verbale o in lingua dei segni. Oggi il dibattito nazionale e internazionale è ancora incentrato sull’opportunità o meno di avvicinare i bambini sordi alla lingua dei segni. Tale dibattito è ancora più acuito dai progressi della medicina e delle biotecnologie che, con la diffusione degli impianti cocleari, rendono ancora più radicali le posizioni di coloro che sostengono l’inutilità delle lingue dei segni in opposizione a coloro che si appellano ai principi di identità collettiva delle persone sorde. Sul piano strettamente didattico, il dibattito pone in questione i metodi e l’accessibilità di contesti e curricula: ci sono problematiche derivanti da setting inadeguati o da strategie educative inefficaci. In generale, le criticità del nostro sistema sono quelle evidenziate da recenti ricerche sullo stato dell’integrazione degli alunni con disabilità: • inadeguata preparazione dei docenti sui temi della disabilità; • mancanza di figure specializzate di supporto agli insegnanti; • assenza di una vera e propria presa in carico dell’alunno con disabilità da parte di tutti i soggetti che operano nella scuola; • mancanza di continuità delle figure di riferimento per l’alunno, dovuta a un’eccessiva mobilità degli insegnanti di sostegno; • scarsa capacità di interazione e cooperazione tra la scuola e gli altri attori (famiglie, servizi sanitari e sociali, volontariato); • una rigidità dei ruoli del personale scolastico (dirigenti e personale ATA); • scarso monitoraggio e mancata valutazione di processi e risultati. In particolare, gli insegnanti devono sapere che le difficoltà di apprendimento dell’alunno sordo (salvo in casi di pluridisabilità) dipendono in prevalenza dal setting e dalle strategie didattiche che devono essere scelti con l’obiettivo di minimizzare, se non annullare, le barriere alla comunicazione. In questo senso, sono una risorsa le figure specializzate come gli assistenti alla comunicazione se intervengono per orientare l’azione del docente. Nella realtà scolastica, tuttavia, accade che a queste figure, quando previste, vengano delegati ruoli e compiti che spettano ai docenti, i quali finiscono per non modificare il proprio modo di fare lezione. Gli sforzi di tutti, dentro e fuori il mondo della scuola, dovrebbero convergere verso la predisposizione di contesti di apprendimento integralmente accessibili agli alunni sordi, al di là delle radicali posizioni riguardanti i metodi. CAPITOLO 28 “INTERVENTI PSICOEDUCATIVI NEI COMPORTAMENTI PROBLEMA” L’alleanza psicoeducativa L’approccio ai comportamenti problema gravi, quali l’aggressività, l’autolesionismo e le stereotipie, presentato in questo capitolo, si basa sull’idea di un intervento di tipo non repressivo e non punitivo. Gli interventi psicoeducativi proposti si inseriscono nella cornice di una forte alleanza tra: genitori, insegnanti, educatori, psicologi, personale medico e del volontariato, ecc. 96 Il concetto di «alleanza» è quindi un concetto centrale in questo tipo di intervento; la condivisione del lavoro educativo e delle strategie, l’alleanza diretta, nella relazione di aiuto, sono dunque i punti fondamentali sui quali impostare un intervento che sia realmente efficace. L’intervento psicoeducativo nel caso dei comportamenti problema non si presenta certo come un percorso facile e privo di difficoltà. I comportamenti problema logorano i rapporti educativi e, allo stesso tempo, mettono uno stigma all’alunno che li manifesta; La risposta che dobbiamo dare non deve essere comunque semplicemente assistenziale e gestionale, anche se può essere necessaria nella gestione delle crisi pericolose, dove vanno limitati i danni e vanno protette le persone dai possibili effetti del comportamento problema. Nell’intervento psicoeducativo però si va ben oltre, si cerca cioè di capire perché un comportamento problema si manifesta e come si potrebbe aiutare l’alunno a sostituirlo con comportamenti socialmente più accettabili. Per fare questo dobbiamo fondare però il nostro intervento su alleanze strategiche: allearsi con l’alunno disabile per allearsi con i suoi bisogni, espressi in modo anche molto problematico, e allearsi tra figure di riferimento educativo per decidere e condurre una strategia comune. Questa alleanza non è affatto facile. Un altro punto fondamentale riguarda poi l’origine dei comportamenti problema e la loro comprensione. Le funzioni che essi svolgono sono prevalentemente comunicative e solo in parte minore sono invece di autoregolazione del flusso di stimolazioni e di sensazioni. Dagli studi di Edward Carr (Carr et al., 1998), secondo il quale i comportamenti problema sono dei precisi atti di comunicazione, «messaggi» non sempre facili da interpretare, in mancanza di strategie di comunicazione migliori e socialmente più accettabili, l’alunno disabile userà i comportamenti problema. Se il comportamento problema è comunicazione, lo dovrà essere anche il suo trattamento: esso deve puntare a identificare la funzione e insegnare forme alternative e più efficaci di comunicazione. Dunque è necessario progettare un intervento di sostituzione. Da questo si può capire che la base di lavoro da cui partire è di tipo proattivo, positivo e sostitutivo; se però la gravità del comportamento lo richiede si dovranno usare anche procedure positive-punitive. La costruzione del gruppo di riferimento e della rete educativa Il gruppo di riferimento educativo (rete educativa)è idealmente composto da tutte le persone che condividono qualche responsabilità sull’alunno. Il primo compito a cui questo gruppo di lavoro è chiamato a far fronte è la stesura dell’elenco grezzo dei comportamenti problema da parte di ciascun componente. L’elenco va compilato cercando di essere il più possibile precisi nell’individuazione e nella descrizione dei comportamenti problematici accanto ai quali andrebbero riportati anche i sentimenti di disagio che l’insegnante o il familiare vive. A questo punto il compito successivo del gruppo diventa quello di confrontare gli elenchi. Da questo confronto scaturirà la stesura dell’elenco condiviso, ossia la lista di tutti i comportamenti dichiarati con disagio dai partecipanti al gruppo educativo. Tutti questi comportamenti sono davvero problematici? Adesso è arrivato il momento di chiederselo La decisione di reale problematicità In questa fase, sulla base degli elenchi compilati, si decide (cercando il consenso di tutti) quali comportamenti sono davvero problematici «per l’alunno e non per noi». Nella decisione di reale problematicità va dunque elaborato un radicale cambio di prospettiva: da quella soggettiva del disagio per sé a quella oggettiva di problema reale e urgente per la persona disabile( prospettiva più neutrale), che ha a cuore esclusivamente il benessere, dell’alunno. A questo proposito si possono usare tre criteri per prendere una decisione nel modo più razionale e obiettivo possibile. I tre criteri sono gli stessi che abbiamo usato per decidere se l’alunno presentava o no un reale problema di funzionamento educativo-apprenditivo (Bisogno Educativo Speciale). Il criterio del danno Ci si può chiedere se quel comportamento produca, all’alunno, ad altri, o a cose, un danno documentabile (come ad esempio in molte forme di autolesionismo, di aggressività e distruzione). 97 Il criterio dell’ostacolo Spesso si incontrano dei comportamenti che vengono vissuti anche con grande disagio, ma che non danneggiano in senso fisico l’alunno o altre persone o oggetti. In questi casi si possono considerare realmente problematici solo quei comportamenti che costituiscono un «ostacolo», reale o documentabile in senso oggettivo, allo sviluppo intellettivo, affettivo, interpersonale o fisico dell’alunno (come ad esempio alcune stereotipie molto invasive). Il criterio dello stigma sociale Esistono dei comportamenti che non danneggiano o ostacolano la persona, ma che vengono comunque vissuti con disagio e inclusi nell’elenco condiviso. Ma se non danneggiano o ostacolano, sono reali comportamenti problema? Si potrebbe rispondere di no, sostenendo che sono piuttosto variazioni anche molto bizzarre nel modo di comportarsi. Noi però dobbiamo aver cura e di proteggere l’immagine sociale dell’alunno (stigma sociale )che potrebbe risultare danneggiata da qualche comportamento problema. In questi casi, la «bizzarria» diventerà problematica. L’elenco dei comportamenti realmente problematici In queste prime fasi di lavoro è necessario individuare anche una figura di «mediatore» che coordini il lavoro del gruppo e cominci a costruire l’elenco dei comportamenti problematici .L’elenco può essere strutturato in ordine di priorità percepita di intervento, di gravità, di possibilità e probabile facilità di intervento, ecc Alla fine di questo lavoro di discussione e di mediazione il gruppo di riferimento ha raggiunto un importante obiettivo: ha prodotto l’elenco dei comportamenti realmente problematici. Inoltre, viene ristretto il campo dell’intervento, definendo un numero generalmente più piccolo di comportamenti, percepiti come realmente problematici da tutti e sui quali c’è un obbligo di intervenire. In questa fase di decisione e di valutazione, il gruppo non ha solitamente bisogno di ricorrere a strumenti di osservazione, scale o griglie strutturate, ma può anche accadere che senta il bisogno di esplorare la situazione del soggetto aiutandosi con elenchi già predisposti di comportamenti problema o profili dei tratti psicopatologici L’alleanza con i genitori La costruzione di un’alleanza con i genitori costituisce un altro dei punti fondamentali dell’intervento psicoeducativo sui comportamenti problema. Non sempre la ricerca e l’instaurarsi di questa alleanza risultano semplici. Costruire un’alleanza con i genitori vuol dire quindi basare il proprio lavoro su un modello collaborativo nel quale, accanto a una forte relazione di sostegno e alla creazione di un senso di empowerment, siano perseguiti obiettivi comuni. Un bell’esempio in questa direzione è quello offerto da Eric Schopler (1998), fondatore del celebre approccio TEACCH (Treatment and Education of Autistic Related Communication Handicapped Children), il quale ha fondato l’intervento psicoeducativo nell’alleanza tra genitori e operatori. Ci sono molti modi per aiutare i genitori ad acquisire nuove abilità, modalità di gestione e conoscenze; molto efficaci e ampiamente diffusi si sono rivelati i programmi di Parent training, programmi di formazione , basati sull’insegnamento di abilità educative, sull’elaborazione congiunta ed emotiva, sul modellamento, le simulazioni con feedback, il role play, ecc. (Benedetto, 2005). L’osservazione iniziale e la linea di base Arrivati a questo punto del lavoro, diventa fondamentale cominciare a raccogliere dati sulla situazione, concentrandosi su quelli che ci serviranno maggiormente per l’intervento psicoeducativo e quindi basati sul come, quanto e perché si manifesta un comportamento problema. Tra i vari componenti del gruppo di lavoro, è quindi bene che si creino un accordo e una strategia di lavoro comune (e quindi anche di osservazione con schede e griglie), nonché di metodologie