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MANUALE DI PREPARAZIONE PER IL TEST DI AMMISSIONE AL CORSO MAGISTRALE A CICLO UNICO IN o = Scienze della bn ) formazione primaria LM-85 bis v \ MANUALE DI PREPARAZIONE PER IL TEST DI AMMISSIONE AL CORSO DI LAUREA MAGISTRALE A CICLO UNICO IN SCIENZE DELLA FORMAZIONE PRIMARIA LM-85bis TEORIA + QUIZ CON SOLUZIONI DEGLI ANNI PRECEDENTI DAL 2014 AL 2021 0 contattare la Pagina Facebook e Trt = INDICE Introduzione COMPETENZA LINGUISTICA E RAGIONAMENTO LOGICO La competenza linguistica La lingua italiana: grammatica Fonologia Morfologia Sintassi Il Ragionamento Logico CULTURA LETTERARIA, STORICO-SOCIALE E GEOGRAFICA Letteratura italiana: dal 1000 al 1900 Stili, contesto storico-culturale e sintesi di autori e opere Storia: dalla preistoria al 1800 Storia: dal 1800 ai giorni nostri Principali opere della letteratura inglese Principali opere della letteratura francese Geografia Geografia antropica e sociale CULTURA MATEMATICO-SCIENTIFICA Matematica di base Geometria Biologia di base Scienze naturali e ambientali PROVE DEGLI ANNI PRECEDENTI CON SOLUZIONI QUESITI DI COMPETENZA LINGUISTICA E RAGIONAMENTO LOGICO QUESITI DI CULTURA LETTERARIA, STORICO-SOCIALE E GEOGRAFICA QUESITI DI CULTURA MATEMATICO-SCIENTIFICA Pag. Pag. Pag. Pag. Pag. Pag. Pag. Pag. Pag. Pag. Pag. Pag. Pag. Pag. Pag. Pag. Pag. Pag. 10 10 11 SI 117 203 223 276 285 291 309 318 339 347 373 PAG.411 PAG. 450 PAG. 468 Pag. |5 PARTE I COMPETENZA LINGUISTICA E RAGIONAMENTO LOGICO LA COMPETENZA LINGUISTICA La competenza linguistica nella prospettiva di N.Chomsky è la conoscenza del sistema linguistico che il parlante nativo di una lingua possiede. Secondo questa interpretazione si trova in contrasto con il concetto di performance linguistica, che è il modo in cui il sistema linguistico è usato nella comunicazione. Il concetto fu introdotto da Noam Chomsky come uno dei fondamenti della grammatica generativa, ma è stato successivamente adottato e sviluppato da altri linguisti, in particolare quelli di tradizione generativista. Secondo quest'ultima, la competenza è il solo livello della lingua che dev'essere studiato, poiché questo è il livello che permette di comprendere le caratteristiche della Grammatica universale, la quale è vista come comune a tutte le lingue. Le teorie funzionali della grammatica tendono a respingere la netta distinzione tra competenza e performance, e in particolare il primato dello studio della prima. AI giorno d'oggi sono molto diffuse definizioni di competenza che non separano questa dalla prestazione (performance). Le Indicazioni Nazionali italiane per la scuola secondaria, ad esempio, adottano una definizione di questo tipo, che è in netto contrasto con quella di Chomsky. Secondo Chomsky, la competenza è il linguaggio "ideale" che rende possibile, per i parlanti, produrre e capire un numero infinito di frasi nella loro lingua e distinguere frasi grammaticali da frasi che non lo sono. Questo non è influenzato da "condizioni grammaticalmente irrilevanti" come gli errori. La competenza di un parlante è definita dalla grammatica, ossia un insieme di regole linguistiche, che è rappresentata mentalmente e si manifesta nella capacità del parlante stesso di discernere usi accettabili della sua lingua (ossia grammaticali) da quelli che non lo sono (quelli che sono agrammaticali). Quindi la competenza grammaticale definisce una conoscenza innata di regole piuttosto che la conoscenza di oggetti e relazioni. Secondo Chomsky, tale competenza va considerata innata poiché il parlante non deve essere istruito per svilupparla e sarà in grado di applicarla ad un numero infinito di esempi mai sentiti prima. Le componenti centrali della grammatica sono incluse nella competenza linguistica del parlante e queste componenti corrispondono alle cinque principali branche della linguistica: fonetica, fonologia, morfologia, sintassi e semantica. Fonetica: la fonetica (dal greco povi] (phoné), "suono" o "voce") è la branca della linguistica relativa alla sostanza dell'espressione (secondo la definizione del linguista Ferdinand de Saussure) che studia la produzione e la percezione di suoni linguistici (foni), e le loro caratteristiche. Branche della fonetica sono: ‘ la fonetica articolatoria (o fisiologica), che studia il modo in cui vengono prodotti i suoni, riferendosi agli organi preposti alla fonazione (i quali nel complesso prendono il nome di "apparato fonatorio"), della loro fisiologia, ovvero del processo di fonazione, e dei criteri di classificazione; . la fonetica acustica, che descrive le caratteristiche fisiche dei suoni linguistici e il modo in cui si propagano nell'aria; ‘ la fonetica sensitiva, che studia il modo in cui i suoni vengono percepiti dall'apparato uditivo; ‘ la fonetica sperimentale o strumentale, lo studio della produzione dei suoni linguistici attraverso l'utilizzo di determinati strumenti, come il sonografo. Con "fonetica" ci si riferisce solitamente alla fonetica articolatoria, in quanto le altre si sono sviluppate in un'epoca più recente e soprattutto la fonetica uditiva necessita ancora di chiarimenti da parte dei linguisti anche per quanto riguarda molte delle attività dell'apparato uditivo, attualmente ancora sconosciute. È importante però fare una distinzione tra fonetica e fonologia. Con quest'ultima facciamo riferimento al livello della linguistica relativo alla forma dell'espressione, ai cosiddetti fonemi, cioè la rappresentazione dei singoli elementi lessicali. Pag. |6 Sonologia: la fonologia è la branca della linguistica che studia i sistemi di suoni ("sistemi fonologici") delle lingue del mondo. Più in particolare la fonologia si occupa di come i suoni linguistici (foni) siano usati contrastivamente (ossia per distinguere significati) e della competenza che i parlanti posseggono nei riguardi del sistema fonologico della propria lingua. In genere il termine "fonologia" è anche usato in riferimento al sistema fonologico stesso di una determinata lingua, intendendo con fonologia una delle parti della grammatica di quella lingua. Si può quindi parlare della fonologia dell'italiano, della fonologia dell'inglese, della fonologia del ceco e così via, intendendo i sistemi fonologici delle suddette lingue. Mentre la fonologia studia le relazioni tra foni nei sistemi fonologici, la fonetica si concentra sullo studio fisico di essi. Infine, la fonologia non va confusa con la grafemica, che invece tratta dei sistemi di scrittura e della loro relazione con i sistemi fonologici delle lingue che scrivono. La parola "fonologia" deriva dal greco govi] (phoné, "voce", "suono") e il suffisso -logia (dal greco X6yo0c, l6g0s, "parola", "discorso"). Di questo termine sono state date varie definizioni, più o meno concordi, e spesso dipendenti interamente dalla teoria di riferimento.Nikolaj Trubeckoj in Principi di fonologia (1939) definisce la fonologia come "lo studio dei suoni appartenenti al sistema del linguaggio", come opposto alla fonetica, che è "lo studio dei suoni appartenenti all'atto dell'enunciato" (la distinzione tra linguaggio e atto linguistico è parallela a quella saussuriana di langue e parole). Più recentemente, è stato scritto che la fonologia si riferisce principalmente alla branca della linguistica che riguarda i suoni delle lingue, mentre, in senso più stretto, "la fonologia propria riguarda la funzione, il comportamento e l'organizzazione dei suoni come unità linguistiche". Secondo altri significa l'uso sistematico dei suoni per codificare significati in qualunque lingua umana o la branca della linguistica che studia questo uso. Il sistema fonologico di una lingua permette di trasmettere e distinguere parole diverse e significati diversi in quella lingua. Nella fonologia tradizionale, un sistema fonologico è composto principalmente da: 1) un insieme di unità distintive — a seconda della teoria, fonemi (consonanti e vocali, con i loro allofoni), tratti distintivi o altre unità fonologiche — detto anche "inventario fonemico", "segmentale" o "fonologico", 2) da regole che determinano la struttura delle sillabe ammesse e le combinazioni di fonemi consentite nelle sillabe (fonotassi) e 3) da regole di accentazione. Le varie regole presenti nelle fonologie delle lingue prendono il nome di regole o processi fonologici. Lo studio della fonologia, quindi, riguarda la competenza che il parlante possiede di queste unità e di queste regole, come queste siano memorizzate e processate nella sua mente. In genere, si divide l'analisi dell'insieme di fonemi consonantici e vocalici (fonologia segmentale) da quella delle regole sillabiche, fonotattiche e accentuali (fonologia sovrasegmentale). La descrizione della fonologia di una lingua consiste nella descrizione di queste due parti. Morfologia: la morfologia (dal greco, morphé "forma" e lògos "discorso") è la parte della grammatica o della linguistica che ha per oggetto lo studio della struttura grammaticale delle parole e che ne stabilisce la classificazione e l'appartenenza a determinate categorie come ilnome, il pronome, il verbo, l'aggettivo e le forme della flessione, come la coniugazione per i verbi e la declinazione per i nomi distinguendosi dalla fonologia, dalla sintassi e dal lessico. Inoltre indaga i meccanismi secondo i quali le unità portatrici di significati semplici si organizzano in significati più complessi: le parole. Nella grammatica tradizionale, la morfologia studia la forma delle parole, come la flessione e la derivazione. Nella linguistica moderna essa studia la struttura della parola e descrive le varie forme che le parole assumono a seconda delle categorie di numero, di genere, di modo, di tempo, di persona. Un nuovo approccio alla morfologia deriva da una corrente del generativismo di matrice chomskiana, chiamata morfologia distribuita. Questo approccio teorico dimostra come la creazione delle parole non risieda nella componente lessicale della lingua, ma invece segua le stesse regole sintattiche che sono alla base della formazione delle frasi. Esempio: nella parola "vanga", costituita dai morfemi vang + a, il morfema indica che si tratta di un sostantivo femminile singolare. Sostituendo "a" con "are" si avrà "vangare”, e in questo caso il morfema indica che si tratta di un verbo. Per formare il plurale invece si userà il morfema "e" (vang(h) + e): in questo caso dunque il nuovo morfema non cambia la parte del discorso ma il numero. I morfemi possono essere anche combinati fra loro (combinazione) in sequenze lineari per dare origine a termini complessi: si pensi alla parola italiana "riscrivevamo", composta dai morfemi "ri" + "scriv" + "ev" + "amo". na” Pag. |7 na” Una marca morfemica può avere più significati: es. la marca singolari che per la III persona singolare dell’indicativo presente. Altri concetti edificanti per la costruzione delle parole sono l'accordo e la reggenza. La parola è dunque una sequenza di morfemi caratterizzata da diverse accezioni. Comunemente si utilizzano le glosse interlineari per mostrare la struttura morfologica di una parola, una frase o un intero testo. valida sia per i sostantivi femminili I morfemi possono essere liberi o legati: ‘ morfemi liberi: come per esempio ora (avverbio), sono morfemi che non si legano ad altri morfemi, ma costituiscono parola a sé; . morfemi legati: come per esempio port- e -a, sono morfemi che, per formare una parola, hanno bisogno di essere legati ad altri morfemi liberi (port- + -a = porta). Un'ulteriore divisione, parallela a questa, è la divisione in lessicali e grammaticali. . Morfemi o Morfemi lessicali o Morfemi grammaticali . Morfemi derivazionali . Morfemi flessionali I primi sono una classe aperta e hanno significato lessicale ("vang-"). I secondi rivelano la funzione grammaticale della parola ("a", "are") e sono una classe chiusa. Le eventuali mutazioni sono lente e difficilmente percettibili. Sono morfemi grammaticali quelli flessivi, i prefissi, i suffissi e gli infissi. In altre lingue, come per esempio in arabo, la morfologia non è concatenativa ma introflessiva: si utilizzano radici triconsonantiche all'interno delle quali vengono inserite le vocali: a vocali diverse corrispondono parole diverse (pettine morfemico). Si chiama flessione l'insieme delle regole che determinano la funzione logica di una parola. Le marche variabili che rendono conto di tale congruità sono morfemi grammaticali: in particolare si parla di morfemi flessivi o desinenze. La flessione dei verbi si chiama coniugazione, quella degli elementi nominali declinazione. Un fenomeno tipico della flessione è l'apofonia. La derivazione è una modalità di formazione di parole nuove. Generalmente si suddivide in prefissazione, infissazione e suffissazione a seconda che il morfema derivazionale legato si aggiunga, rispettivamente, a sinistra, nel mezzo o a destra della parola. "ri-scrivere", "cant-icchi-are" e "atom-izzare" sono rispettivamente tre esempi. Secondo alcuni alla base della derivazione vi è il morfema, secondo altri la parola. In altri termini, una parola come "famoso" sarebbe costruita, secondo la prima ipotesi, come ("fam+oso"); sarebbe invece costruita come "fama+oso" all'interno della seconda ipotesi. Questa seconda ipotesi richiede ovviamente una successiva regola di cancellazione di vocale che porti a "famoso". La prima ipotesi invece è in difficoltà nel caso della prefissazione (nessuno ha mai sostenuto che "sfortunato" sarebbe costruito a partire da un morfema ("s+fortunat") e della composizione, dove "capostazione" -se costruito a partire da morfemi- dovrebbe avere come base di partenza "cap+stazion" con successiva inserzione delle vocali). La prefissazione non cambia la categoria lessicale della base ("fortunato" è aggettivo e resta aggettivo se prefissato "sfortunato"), non cambia la posizione dell'accento. La suffissazione, al contrario, può cambiare la categoria lessicale della base ("atomo" è nome e diventa verbo in "atomizzare) e cambia la posizione dell'accento ("veléce -> veloceménte"). La suffissazione può realizzare diversi cambiamenti di categoria lessicale: Nome -> Verbo ("pace ->> pacificare"), Nome -> Aggettivo ("morte -> mortale"), Nome -> Nome ("giornale -> giornalaio"), Verbo -> Nome ("arreda(re) -> arredamento"), Verbo -> aggettivo ("ama(re) -> amabile", Aggettivo -> Nome ("bello -> bellezza"), Aggettivo -Verbo ("beato -> beatificare"), Aggettivo -> Avverbio ("dolce -> dolcemente"). La derivazione si distingue dalla flessione perché i morfemi flessivi non cambiano la categoria lessicale della base ("amo" resta verbo in tutte le sue forme flesse, "amavi, ameremo, amando..."). Flessione e derivazione sono inoltre diverse perché la prima 'aggiunge' o 'cambia' un significato grammaticale di una Pag. |10 LA LINGUA ITALIANA. GRAMMATICA: FONOLOGIA, MORFOLOGIA E SINTASSI La lingua italiana è figlia della favella latina, che era parlata dai Romani, antichi abitatori della penisola. Essa si può definire una tra le lingue più musicali ed armoniose e che conta otto secoli di vita, ricca di circa 160.00 vocaboli. Con una minima parte di questi segni, circa 2.000, ci serviamo per esprimere le nostre idee, pensieri e sentimenti. Tuttavia, al fine di rendere comprensibile perfettamente il nostro pensiero, da chi ci ascolta, ènecessario che sia espresso con la massima chiarezza, e che le parole che usiamo siano scelte bene e ordinatamente, disposte secondo certe regole. L’insieme di queste regole che determinano l’unione e il variare delle parole per formare il discorso sichiama grammatica. Essa quindi insegna a parlare a scrivere correttamente una lingua. alito LA GRAMMATICA alito La grammatica è il complesso delle regole che insegnano a parlare e a scrivere correttamente; si dividein tre parti principali: 1. La fonologia (studio dei suoni), si divide in: a. ortoepia: che studia la buona pronuncia; b. ortografia: che insegna la corretta scrittura. 2. La morfologia (studio della forma delle parole), insegna il valore e le variazioni dei vocaboli, classificandoli nelle diverse parti del discorso (ossia i mutamenti di forma chesubiscono i sostantivi secondo la declinazione, e i verbi secondo la coniugazione). 3. La sintassi ( studio del coordinamento delle parole nel discorso, nel fare una frase ), insegnacome si devono unire fra loro le parole in modo da esporre bene il nostro pensiero ( ossia l'esatto ordinamento delle parole nelle proposizioni, e delle proposizioni nel periodo). Oltre a queste, vi sono altre due parti della grammatica: L’etimologia ( connessa alla morfologia ), studia l'origine e la formazione delle parole. a metrica (collegata alla sintassi), insegna a misurare i versi (raggruppamento armonico delle parole, costituito da un determinato numero di sillabe) e ad unirli per formare le strofe. Pag. |11 FONOLOGIA (studio del suono delle parole) L'alfabeto L'alfabeto italiano è composto da 21 lettere: a, b, c, d, e, f, g, h, i, I, m, n, 0, p,g,r,s,t,u, v,z. Se si trovano altre lettere, esse appartengono alle lingue straniere: bkbyxw, Le vocali sono lettere che hanno un solo suono e sono cinque: ae i ou Le vocali e ed o hanno due suoni differenti che soltanto la pratica può insegnare, esempio con pronuncia aperta: corpo, bene; con pronuncia stretta: Roma, moneta. Nei buoni vocabolari si notano diverse parole segnate con un accento, così si può trovare: còrpo, bène con l'accento aperto o grave; dono e monéta con l'accento stretto o acuto, inoltre vi si trovano pure tutte quelle parole che sono scritte nello stesso modo, ma che hanno significato differente, secondo la pronuncia, così: pèsca = frutto; pésca = pescare pesci; vènti = aria mossa; vénti = due volte dieci. Due vocali che si trovano unite in una stessa parola formano un dittongo, per esempio: bianco, fiore ecc. Tre vocali insieme formano un trittongo, ma una sola sillaba: miei, tuoi, suoi, ecc. Le altre sono chiamate con-sonanti, cioè lettere che per essere pronunciate hanno bisogno di un altro suono e precisamente quello delle vocali, per questo si chiamano consonanti, cioè: con suono; bi, ci, di, effe, gi acca, elle, emme, enne pi, qu/cu, erre, esse, ti, vi/vu, zeta. Le lettere possono essere minuscole (cioè piccole): a, b, c, d, ecc. o maiuscole (cioè grandi): A, B, C,D,E, F, G, H, I, L, M, N, O, P, Q, R, S, T, U, V, Z. Esistono alcune parole che sono scritte nello stesso modo, ma che hanno diverso significato, secondo la pronuncia della z, per esempio: mòzzo = allievo marinaio; mòzzo = il centro di una ruota. Uso delle maiuscole: i nomi propri di persona, nazione, regione, città, monte, lago, fiume; per es.: Dante Alighieri l'Italia la Svizzera Roma, ecc. La prima parola di un periodo, di un verso, di una citazione diretta, per esempio: Loro dissero: "Guardate la luna..." Nelle lettere, dopo il vocativo iniziale, per es.: Caro Antonio, i più usano la lettera maiuscola; altri invece la minuscola, sostenendo che dopo la virgola la maiuscola non ha motivo di essere. I nomi di popoli, per esempio: I Latini discendono dai Greci. I nomi delle solennità religiose e civili, per es.: Il Natale, la Pentecoste, il Due Giugno. I titoli dei libri e simili, per es.: Il "Gattopardo", i "Promessi Sposi". Alcuni nomi comuni, usati come propri, per esempio: il Presidente della Repubblica, il Senato, il Municipio ecc., però se la carica istituzionale è seguita dal nome si scrive piccolo, es.: il pres. Carlo A. Ciampi, il prof. Gaspare Ambrosini. Pag. |12 Da notare che oggi vi è la tendenza di scrivere quasi tutto con le lettere minuscole, le buone tradizioni però bisognerebbe rispettarle, come per es.: Cara Mamma, Egregio Signore, ecc. Le sillabe Le sillabe sono un insieme di consonanti e vocali che formano le diverse parole, ma anche una vocale da sola o unita ad una o più consonanti, forma una sillaba esempio: ala è di due sillabe: a-la, alato è di tre sillabe: a-la-to. Le parole con una sillaba si chiamano monosillabo, es.: tutti gli articoli: il, lo, la, i, gli, le, un, uno, una con due sillabe si dicono bisillabo, esempio: ma-dre; con tre sillabe si chiamano trisillabo, esempi: pa-ta-ta, cu-ci-na, al-be-ro, a-mi-co, si-gno-re; con quattro sillabe si dicono quadrisillabo, es.: impa-ra-re, a-mi-ca-le, do-lo-ro-so, e-re-mi-ta; da cinque sillabe in poi si chiamano polisillabe, esempi: i-nu-til-men-te, di-li-gen-te-men-te, (con 11 sillabe, detto endecasillabo, usato da Dante nella Divina Commedia). Esiste una parola come metro, e cioè: pre-ci-pi- te-vo-lis-si-me-vol-men-te. Il suono delle consonanti C e G hanno due suoni: dolce (0 palatale) oppure duro (o gutturale). Suono duro se sono seguite da: a 0 u, esempi: canta, casa, coca-cola, cura gatto, gola, Gubbio. Hanno suono duro anche davanti a: e i con h in mezzo, e: Suono dolce se sono seguite da: e i esempi: Cesare, cena, Ciro, cibo, Genova, Giovanni, Ginevra. che, chiostro ghepardo, ghiotto. S e Z hanno due suoni: dolce (0 sonoro), oppure aspro (0 sordo), esempi: suono dolce: rosa, paese, isola, tesoro, colazione, grazie, zero, azzurro, ecc. Si noti che, in merito a questi suoni, non è facile fissare delle regole per distinguerli dei due suoni, soltanto l'uso toscano potrebbe abituare all'esatta pronuncia. H non ha suono, è muta, pur tuttavia: serve a dare suono duro alle consonanti c e g anche se seguite dalle vocali e ed i esempi: chiave, ghetto, chiamare, ghirlanda, ecc.; dà un suono leggermente aspirato alla sillaba con cui è unita e si usa nelle esclamazioni: ah! oh! uh! ahime! Si usa anche nelle quattro voci dell'indicativo presente del verbo avere: ho hai ha hanno, per distinguersi dalle preposizioni: 0 ai a e anno = tempo. Q forma un solo suono, cioè una sola sillaba con la vocale u, dalla quale è sempre seguita, esempio: quaranta questo quello, quindici, ecc. Pag. |15 sono le parole che prima dell'ultima vocale hanno: I, m, n, r, t, e quelle che seguono iniziano con consonante, tranne che non si tratti delle parole che comincino per s impura, per z, per ps, per gn, esempi: mal di testa, al posto di: male di testa, pensar bene, al posto di: pensare bene, faran volentieri gli esercizi, al posto di: faranno, san Francesco, al posto di: Santo Francesco, ma si dirà e scriverà sant'Antonio, perché ini: a con vocale. Le parole con doppia Il, nn, rr, se troncate, terminano con consonante semplice, per es.: Fratel mio, al posto di: fratello mio, terran presente, al posto di: terranno presente, Tor di Quinto, al posto di: Torre di Quinto. Si noti che quando si tratta di troncamento, non si mette l'apostrofo nemmeno davanti alla forma femminile, anche se le parole cominciano per vocale, esempi: una fedel amica, al posto di: una fedele amica. Glielo si può troncare, per es.: gliel accennai, ma non è bello, meglio dire: glielo accennai; così per quanto riguarda gliela si può apostrofare, per es.: gliel'indicai, ma, anche in questo caso, meglio dire: gliela indicai. L'apostrofo e il troncamento servono, spesso, a dare sveltezza e naturalezza al discorso; così invece di dire: tutti e due andavamo sempre di amore e di accordo, è più naturale parlare con il troncamento e l'apostrofo, anche se non sempre, come per esempio nella frase che segue, io sono del parere che la prima parte resti com’ è, cioè: tutti e due ( e non tutt'e) andavam sempre d'amore e d'accordo. Bisogna ricordare inoltre che: un alcun ciascun buon nessun davanti ai nomi maschili, anche se cominciano per vocale, si scrivono sempre senza apostrofo, esempi: un amico alcun armadio ciascun uomo buon umore nessun animale. Frate si tronca in ""fra"" davanti a nome proprio che inizia per consonante, es.: fra Leone fra Giovanni. Suora si tronca in "suor" davanti a tutti i nomi propri, esempi: suor Anna suor Maria. Grande si può troncare in gran, es.: gran miseria, però è da preferire: grande miseria, ecc. Gli articoli: lo la davanti a vocale si devono sempre apostrofare, esempi: l'orologio l'amicizia. L'articolo: gli si apostrofa soltanto davanti a parole che cominciano per : i, esempi: gl'italiani gl'inglesi. Gli articoli: le e li si apostrofano molto raramente e si evita l'elisione delle forme plurali, esempi: le amiche le arti le età. Il maschile dell'articolo indeterminativo uno non si apostrofa mai, come un, ma si tronca, difatti si dice: un amico, un uomo, un orologio, ecc. L'articolo femminile una davanti a vocale si deve sempre apostrofare, esempi: un'amica un'ora un'aquila, ecc. La preposizione semplice da si apostrofa soltanto nelle espressioni: d'altronde d'ora in poi d'accordo d'altra parte. Pag. |16 Le particelle pronominali Mi ti si ci vi (sono quelle forme che precedono il verbo e che non fanno né da complemento oggetto né da complemento di termine, servono soltanto a dare, grammaticalmente, al verbo la forma pronominale, è uguale alla forma riflessiva, caratteristica di alcuni verbi intransitivi, come: pentirsi e accorgersi, che hanno esclusivamente la forma pronominale, infatti non si può dire, né "io pento"' né "noi accorgiamo", ma "io mi pento", "noi ci accorgiamo”, le prime quattro si possono sempre apostrofare, es.: m'invitò t'amo s'annoiò v'annuncio. La paricella pronominale: ci si può apostrofare soltanto davanti alle parole che cominciano con: i oppure e, esempi: il signore c'invitò a cena dove c'erano molte persone. Da notare che spesso, specialmente in poesia, alcune parole si abbreviano, e pur trattandosi di troncamenti vogliono l'apostrofo, es.: il pane è un po' (poco) caro. I seguenti imperativi troncati, per distinguerli da altre parole, si scrivono, di solito, con l'apostrofo: di’ alpostodi dici, imperativo del verbo dire da’ alpostodi dai, imperativo del verbo dare fa” alpostodi fai, imperativo del verbo fare sta” alpostodi stai, imperativo del verbo stare iva’ alpostodi vai, imperativo del verbo Andare Raddoppiamento delle consonanti La tendenza di raddoppiare le consonanti è molto viva nella lingua parlata, e si può dire che ha determinato molti composti, cioè delle parole in cui due o più elementi si sono fusi in una sola unità espressiva, esempi: galante uomo galant'uomo galantuomo né meno -nemmeno, ogni uno ognuno, ogni ora ognora, ecc. La preposizione a si fonde con l'articolo determinativo e fa raddoppiare la consonante che segue: a + la = alla, a +le = alle, a + lo = allo. Ci si chiede, perché questo raddoppiamento? La risposta è semplice, la particella a deriva dal latino ad, e questa in composizione si assimilava alla consonante successiva, la quale perciò dava come risultato: ad + battere = abbattere, ad + cogliere = accogliere, ad + giungere = aggiungere, ad + puntare = appuntare, ad + ludere = alludere, ad + fluire = affluire, ecc. Un'altra particella che raddoppia la consonate è: da, perché composta da: de + ab, da + lo = dallo, da + prima = dapprima, da+ per+ tutto = dappertutto. I segni ortografici Oltre all'accento ed all'apostrofo, al fine di dare maggiore chiarezza e precisione alla scrittura, usiamo altri segni ortografici, i principali sono: - l'asterisco (*), che si usa per richiamare una nota a piè di pagina; - le parentesi tonde ( ), che servono ad indicare un'aggiunta che non fa parte del testo, ma che lo chiarisce un po' di più, es.: la Svizzera (lo sappiamo tutti) non fa ancora parte dell'Unione Europea. Pag. |17 - Ipuntini di sospensione o reticenza (...), i quali si scrivono l'uno dietro l'altro e normalmente se ne adoperano soltanto tre, indicano la sospensione di un pensiero che non si vuole completare, dovuta a diverse motivazioni psicologiche, es.: "Pinocchio, chiedi scusa dell'offesa ... 0 se no, guai a te!" (Collodi). - trattino (-) lo si usa per unire fra loro parole composte, es.: il trattato italo-svizzero è stato firmato ieri; ma anche per dividere una parola alla fine di riga per continuare nella successiva, es.: la nazionale italiana di calcio, ai mondiali, è stata sconfitta dai coreani, a causa di un arbitro fazioso, venduto e corrotto! - La lineetta (—), che si usa dopo i due punti, quando si riportano le parole degli altri, e nei dialoghi per indicare il cambiamento di chi parla o scrive ed evitare la ripetizione del discorso, esempio: Leopardi disse: — Gli studiosi facciano sul serio. - Le virgolette (‘’ ‘’ oppure « >) che si usano nel discorso diretto, ovvero quando si riportano frasi o pensieri di altri scrittori, esempio: Dante cominciò la Divina Commedia scrivendo: “Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita”. I segni di punteggiatura Quando parliamo, per rendere il discorso più comprensibile, facciamo delle pause e dei mutamenti dei diversi suoni, così nello scrivere ci serviamo dei segni d’interpunzione, se si volesse fare a meno di essi, non si potrebbe leggere bene e si rischierebbe di avere poca chiarezza nell’esprimere il proprio pensiero. Nel disporre il pensiero secondo i segni interpuntivi, lo scrittore manifesta il suo particolare ordine mentale: ora sciolto e fluido oppure intricato, ora distratto e trascurato oppure attento, ora scattante e precipitoso oppure lento e riposato; per questo motivo non si possono stabilire norme precise e spesso si dice pure che la punteggiatura è soggettiva. Mediante la punteggiatura i nostri pensieri “scritti” possono conservare e riflettere l’energia e l'animazione della parola “detta”. Il punto ( . ) è il più importante fra i segni praticati, che una volta era l’unico mezzo per indicare le soste del discorso; perciò è dal “punto” che derivano i termini generali “punteggiare” e “punteg-giatura”, con i quali s'indica l’uso dei segni che stabiliscono le varie pause. L’altro segno, divenuto indispensabile è la “virgola”, diminutivo del latino “virga trattino” verticale, da cui deriva anche il verbo “virgolare”, cioè: mettere le virgole secondo il posto opportuno, che però rimane sempre di uso limitato. La parola “punto” è un derivato del verbo “pungere”: notare coni vari segni le parti della frase, si dice “interpungere”, inserire, cioè, la punteggiatura “tra” le parole, da cui “interpunzione” = a “punteggiatura” e “interpuntivo”, che ha la funzione d’interpungere. Il “punto” si chiama anche punto fermo per sottolineare il suo ufficio di concludere un periodo e fermare il corso delle parole e distinguerlo così dall’uso generico che si fa del “punto e virgola” e dei “due punti”. La virgola (, ) segna la pausa più breve, essa può dividere nell’interno di una frase una parola dall’altra, oppure in un periodo, una proposizione dall’altra. Fra tutti i segni d’interpunzione la virgola è il più lieve e il più discreto, ma anche il più espressivo. Il punto e virgola ( ; ) non solo indica una pausa più lunga rispetto alla virgola, ma segna il distacco fra due unità sintatticamente compiute, che però si completano nello stesso periodo; esempio: “Solo tornavo, da un lungo viaggio; solo, alla mia Agrigento, ai morti, ero ritornato” . I due punti ( : ) segnano una pausa particolare. Si usano quando si riportano le parole dette da altri o quando si vogliono enumerare diverse cose. Anche nei Canti di Leopardi si osserva con sobria frequenza l’uso dei due punti: “Così tra questa — Immensità s’annega il pensier mio: E il naufragar m’è dolce in questo mare”. Pag. |20 L'ARTICOLO in italiano ha due funzioni: determinativo e indeterminativo. Dicendo: mia moglie ha comprato il cane di suo fratello, capisco subito che si tratta di un cane ben determinato, e precisamente di quello che possedeva suo fratello e non di un cane di una persona sconosciuta . Se invece dico: mia moglie ha comprato un cane, non è difficile capire che si tratta di un cane di una persona qualunque. L’articolo determinativo La funzione dell’articolo è quella d’indicare il genere (maschile, femminile, singolare e plurale) del nome a cui si premette. Si noti questa gradazione nei tre esempi seguenti: 1) ho comprato il libro di Antonio; 2) ho comprato un libro; 3) ho comprato questo libro; si vede che l’indicazione diventa sempre più precisa dall’una all’altra, e nella prima espressione l’articolo è determinativo perché si riferisce ad un nome che risulta essere noto; nella seconda proposizione l’articolo è indeterminativo, perché lascia il nome nell’indefinito; nella terza frase la determinazione è più specifica, espressa da un vero e proprio aggettivo dimostrativo. L’articolo determinativo è variabile nel genere e nel numero, e precisamente: maschile singolare: il lo; maschile plurale: i gli femminile singolare: la; femminile plurale: le il: si usa davanti a parole che cominciano per consonante, es.: il tavolo, il prosciutto, il giardino ecc. al plurale diventano: i tavoli, i prosciutti, i giardini ecc. Jo: si usa con le parole che iniziano per s impura, z, ps, pn, gn, x, es.: lo scolaro, lo zucchero, lo psicologo, lo pneumologo, lo gnocco, lo xilografo, al plurale, naturalmente, diventano gli scolari, gli zuccheri, ecc. L’articolo indeterminativo Anch'esso è variabile nel genere e nel numero, e precisamente: singolare maschile un: davanti a consonante, es : un libro, un uomo, un soldato, un tavolo, un gatto. Un: coni nomi maschili non si deve mai apostrofare, anche se le parole cominciano per vocale, esempi: un orologio, un onomastico, un esempio ecc. Uno: sempre davanti a z, a s impura, ps, pn, gn, x, es.: uno zaino, uno studente, uno psicologo ecc. Singolare femminile una: si usa coni nomi femminili che cominciano per vocale o per consonante, es.: una pizza, una città, una scuola, una ragazza ecc. Gli articoli lo, gli, la, le, una, davanti a parole che cominciano per vocale si devono apostrofare, specialmente quando quest'ultime sono uguali, esempi: l'orologio, gl’italiani, l'amica, l’entrate, un’amica, un’emozione, un’antenata ecc. Pag. |21 L'articolo non si usa quando si vuole lasciare indeterminato il nome, es.: sento frastuono (e non un frastuono) di bambini; quando si vuole rendere più spedita una comunicazione, es.: l’aereo sorvolò palazzi, piazze, campi sportivi; davanti ai nomi: madre, padre, fratello, sorella, figlio, figlia, zia, zio, cugina, cugino e gli altri nomi di parenti, usati al singolare, quando sono preceduti dagli aggettivi possessivi mio, tuo, suo, nostro, vostro-, tuttavia si mette l'articolo quando i nomi di parentela sono usati al plurale, es.: le tue sorelle, i tuoi fratelli, se oltre il possessivo c’è un altro aggettivo. Es.: la mia cara mamma, inoltre se il nome unito al possessivo alterato, es.: la mia mammina, il mio fratellino, ecc.; davanti ai nomi propri di persone maschili, es.: Franco è simpatico (e non il Franco è simpatico); davanti ai nomi preceduti da titoli e attributi specifici, esempio: Papa Paolo ( e non il Papa Paolo); re Umberto (e non il re Umberto). Inoltre nell’uso familiare si suole mettere l’articolo davanti ai nomi propri femminili, però oggi si preferisce ometterlo (ho chiamato Francesca e non la Francesca). L’articolo partitivo Notiamo le frasi: ho mangiato del salame - ho mangiato salame ho comprato delle mele - ho comprato mele ho bevuto dell’acqua - ho bevuto acqua ho comprato dei limoni - ho comprato limoni Le prime preposizioni articolate (del delle dell’ dei) prendono il nome di articoli partitivi, perché servono a indicare una “parte indeterminata” di un tutto. Si deve anche dire che in italiano è indifferente usare o tralasciare l’asticolo partitivo. Quando si tratta di un sostantivo plurale, preceduto da un aggettivo, si può usare sia dei che di, esempio: Lei ha dei bei capelli — oppure: lei ha di bei capelli (per me è da preferire la prima formula, ohimé!...). In fine si deve evitare l’uso dell’articolo partitivo quando è preceduto da una preposizione, esempio: I soldati vanno su (delle) macchine e (dei) cavalli, le prime guidate da (degli) uomini, mentre i cavalli sono cavalcati da (delle) donne. Si noti bene: le preposizioni articolate si formano unendo le preposizioni semplici: di, a, da, in, con, su, per, con gli articoli determinativi: il, lo, la, i, gli, le. I modi della composizione sono uguali per tutte le preposizioni, tenendo presente che nel fondere l'articolo la particella di diventa de e in diventa ne. Pag. |22 Nella composizione si ha l’unione della particella con l’articolo il (del, al, dal, sul, nel), il legamento con i e gli (dei e degli, ai e agli, dai e dagli, ecc.), il raddoppiamento quando l’articolo comincia per consonante (de +lo = dello, a+ lo = allo, su + le = sulle, ne + la = nella, ecc.). A motivo delle continue richieste sull’uso delle preposizioni di e in, da parte degli allievi, si danno alcune notizie storiche di esse. La preposizione di ci proviene dalla corrispondente latina de, che è rimasta nei composti: trarre e detrarre, comporre e decomporre, finire e definire (un ottimo esercizio sarebbe da dare come compito per lavorare a casa, far cercare almeno una diecina di parole di questo genere). La preposizione in (in città, in piazza, in casa) deriva anch'essa dalla corrispondente latina, e si è mantenuta identica nella lingua italiana ; ma in antico, quando si trovava davanti a vocale raddoppiava: in+el (forma antica per il) diventava innel (come alzare e innalzare, amore e innamorare, esca e innescare), riducendosi per il suo valore “proclitico”: (in) nel. La stessa cosa si può dire anche per la preposizione con, essa conosce le forme “articolate”: col, collo, colla, coi, cogli, colle; ma l’uso moderno mostra di preferire le forme separate: con il, con lo, con la, ecc. Le stesse raccomandazioni valgono per la preposizione per; es. per il, per la e non pel, pella, ecc. IL NOME (SOSTANILVO) Il nome o sostantivo è quella parola variabile che serve a nominare, con il termine appropriato, le persone, gli animali e le cose. La parola Francesca dà il nome ad una persona, così pure ragazza; la parola cane dà il nome ad un animale; la parola borsa ad una cosa. Inomi comuni dell’italiano hanno una parte fissa, detta radice e una vocale finale variabile che serve a farci conoscere il genere: maschile o femminile e il numero: singolare o plurale. In genere, quasi tutti i nomi che terminano in o sono maschili (il tavolo, il libro, il ragazzo); quelli in a, e i, al singolare, e in tà e tù, sono quasi tutti femminili (la casa, la porta, la finestra, la crisi, la sintesi, la carità, la gioventù); quelli che terminano in e possono essere maschili o femminili, es.: il pane, il cane, la stazione, la gente. Il nome può essere: - concreto: indica persone, animali o cose che materialmente esistono e che cadono sotto i nostri sensi, cioè possono essere visti, toccati, ecc., es.: mamma, televisore, tavolo, libro, orologio, ecc.; - astratto: indica cose che non esistono materialmente, ma soltanto nella nostra mente, sono cose che non cadono sotto i nostri sensi, es.: carità, giustizia, studio, virtù, speranza, allegria, bellezza, ecc. - proprio: indica persone, regioni, città, monti, es Pier Paolo, Sicilia, Agrigento, Appennini. (Tutti i nomi propri si scrivono con l’iniziale maiuscola); - comune: indica persone, animali o cose, esempio: maestra, cane, scuola, libro, pizza, spaghetti, ecc.; (Tutti i nomi comuni si scrivono con l’iniziale minuscola); - collettivo: indica, nel suo significato, un complesso organico di un tutto della stessa specie, esempio: popolo, scolaresca, gregge, mobilia, tastiera, ecc.; - di persona: possono essere “nomi di battesimo” (Vorname) e nomi di famiglia o cognomi (Name), es.: Franca, Pier Paolo, Federico, Alessandro, Cesare, Antonio - semplice: é quello formato da una sola radice, esempio: re, capo, perla; - composto: è quello formato dall’unione di più parole semplici, es.: viceré, capotreno, madreperla; - primitivo: è il nome non derivato da altri, esempio: re, giardino, casa, vaso; esempi: illasciapassare i lasciapassare il dormiveglia i dormiveglia il saliscendi i saliscendi. Genere del nome Si deve dire subito che il genere dei nomi delle parole e delle cose l’ha stabilito l’uso; non vi è una regola fissa. Questo è il vero motivo per cui ci sono parole che terminano in a e sono maschili, ci sono quelle che finiscono in o e sono femminili, vi sono infine quelle in e che possono essere, sia maschili che femmi) loro genere viene regolato dall’articolo. AI plurale, quasi la totalità delle parole in e, diventano i, esempi: il il giornale i giornali la colazione le colazioni Non a caso abbiamo voluto dare inizio a questo lavoro grammaticale con il trattare dell’articolo, ritenuto, secondo il personale punto di vista, di capitale importanza. Dirò di più, l'articolo è quel segno diacronico che precede un nome o un aggettivo riferito ad un nome. Può anche precedere un verbo al participio, “I dimostranti della città sono pericolosi”, o all’infinito, “Il mangiare di oggi non sempre fa bene alla salute”, un aggettivo non necessariamente riferito ad un nome, “Il bello della città di Berna è la Kramgasse”, o una congiunzione, “Si vuole sapere il come e il perché del caos in città”. In alcune espressioni speciali l'articolo precede un avverbio, “L'allora Pontefice Paolo VI, in America, fece un discorso memorabile”. Quando il nome ha la stessa forma al maschile e al femminile, o al singolare e al plurale, l’unico elemento per distinguerlo è l'articolo, il cantante la cantante il dentista la dentista la specie le specie la gioventù le gioventù Come si è potuto notare, l’apparente, quasi invisibile segno dell’articolo maschile singolare “il” è quello che può ridurre in sostantivo il “potente verbo”, il quale, da solo, può esprimere una frase con senso compiuto, con il soggetto e l’oggetto sottintesi. Con un esempio si cercherà di poter essere più comprensibile. Se pronuncio il verbo: mangiamo, intanto si deve mettere un pronome davanti, e non può essere altro che: noi, quindi: “noi mangiamo”, ed è molto evidente che quando citiamo questa espressione si pensa sicuramente di poter consumare qualcosa di proprio gusto, e allora ciascuno metta quello che desidera di più... una mela, una buona pizza, una torta al cioccolato o altro. Se poi voglio togliere al verbo “mangiare” la sua vera funzione, basta mettergli davanti l’articolo “il” e si ha: “il mangiare la verdura fa bene alla salute”; il verbo della frase quindi non è più mangiare, bensì fare. Questo dà l’idea dell’importanza degli articoli, come descritto sopra. i nomi dei mesi e dei giorni della settimana (fa eccezione la domenica); i nomi delle stagioni: primavera ed estate sono femminili; autunno e d inverno sono maschili; i nomi dei monti e dei laghi: lo Stelvio, il Garda; i nomi degli alberi: il melo, il pero (eccetto: la vite e quelli che terminano in a: La palma, la quercia ecc); i nomi composti: hanno il genere del nome principale, Pag. |26 esempio: il re fa il viceré la via fa la ferrovia, il capo fa il capotreno ecc. Inoltre tutta una serie di nomi di genere femminile riferiti a uomini, es.: sentinella, guardia, guida, spia ecc. (Personalmente, sarei del parere di cominciare ad usare la nuova terminologia, come del resto fanno, spesso, gli allievi svizzeri, quando cominciano a parlare la nostra lingua e lo fanno con tanta naturalezza e disinvoltura). maschile femminile (il sentinello) la sentinella (il guardiano) la guardia/na (il guido) la guida (guidatrice) (lo spio) (spione) la spia (spiona) Si deve tener presente che il genere dei nomi delle cose l’ha stabilito l’uso, non vi è una regola grammaticale. Se così è, cominciamo ad essere coerenti con quello che insegniamo, le parole in o sono, generalmente, maschili, quelle in a sono femminili... . (Spesso sento dire: il mio collego, il piloto...). Uno sforzo comune ci porterà a superare certe assurdità, ciò vale, specialmente, per chi inizia ad apprendere la lingua italiana. Generalmente sono femminili i nomi, come detto prima, che terminano in a, fanno eccezione: farmacista, giornalista, poeta, collega, problema, monarca, patriarca, tema, panorama, teorema, pianeta, clima, dramma, sistema, profeta, dogma, Politeama, anagramma, prisma, duca, papa ed alcune altre parole di professioni non recenti prettamente maschili, per es.: pilota, autista, farmacista, pianista, giornalista, giurista, statista ecc. ecc., non si finirebbe più di scrivere..., si direbbe che sono più le eccezioni che le parole che seguono le regole date, motivo per cui: è tempo di cambiare e riportare tutto, o quasi, nella propria normalità. i nomi di frutti (fanno eccezione: il limone, il mandarino, il pistacchio, il fico, il cedro, il dattero, ed altri che indicano sia l’albero che il frutto), alcuni nomi che terminano in: e, esempi: madre, colazione, sete, carne ecc., i nomi di città e di isole, regioni e stati (fanno eccezione: il Lazio, il Veneto, il Piemonte, il Molise il Cairo, il Belgio, il Giappone, ed altri), esempi: la Sicilia, la Toscana, la Lombardia, Elba, l’Italia, Venezia, Firenze, Palermo, Agrigento, ecc. quasi tutti i nomi che terminano in: i e u (fanno eccezione: il brindisi, il bambù e qualche altro), esempi: la crisi, la tesi, la metropoli, l'eclissi, la schiavitù, la gioventù, la virtù. Nomi di genere comune Si dicono di genere comune quei nomi che hanno un’unica forma e si possono riferire sia a persone di sesso maschile sia a persone di sesso femminile. Il genere si distingue ponendo davanti ad essi l’articolo, esempi: maschile femminile nipote il nipote la nipote cantante il cantante la cantante giovane il giovane la giovane fiorista il fiorista la fiorista Pag. |27 Nomi e sesso degli animali Mosca, la mosca femmina; il perché non si è mai capito e nessuno mai ha dato una spiegazione esauriente ed esaustiva, anche perché alterando un po’ il termine, si ha un maschile, il moscone e quindi un maschile. Allora se è possibile ciò, perché non dovreibe essere possibile dire: il mosco e la mosca? La stessa cosa si dica per il gorilla, come anche per tutti gli animali coinvolti, come: la volpe, la vipera, l’ape, il castoro, l’avvoltoio, lo scorpione, ecc. Una norma potrebbe essere la seguente: le parole che hanno la finale in a con l’articolo maschile, ridare ad essi il proprio ruolo e cominciare a dire: il gorillo, la gorilla, il castoro, la castora, l’avvoltoio, l’avvoltoia. Le parole che hanno la finale in e, lasciarle invariate, ma con gli articoli appropriati, es.: la volpe, il volpe, difatti i piccoli che nasceranno da essi si chiameranno volpini e quando saranno più grandi si chiameranno pure volponi, tutto al maschile. Nomi indeclinabili Si dicono indeclinabili quei nomi che al plurale conservano la stessa desinenza che al singolare, essi sono: Singolare plurale la città le città il caffè i caffè la crisi le crisi il falò i falò il giovedì i giovedì il re ire la virtù le virtù. I nomi che terminano con consonante, generalmente sono parole straniere, perché le parole italiane, come noto, finiscono sempre in vocale, Nomi difettivi Come dice lo stesso aggettivo, difettivi si chiamano tutti quei nomi che si usano soltanto al singolare o al plurale, perché mancano di una delle due forme. Si usano quasi sempre al singolare: i seguenti nomi: il sangue il miele il pepe il senape il brio la fame la sete la prole, ecc.; molti nomi di metalli: il calcio il mercuri quasi tutti i nomi geografici: il Lazio; i nomi dei mesi: il maggio, l’aprile; i nomi propri di persona. Si usano soltanto al plurale: i seguenti nomi: le ferie le spezie le calende e tanti altri che esprimono unità pur essendo due, forbici pantaloni occhiali, ecc.; alcuni nomi geografici: i Pirenei — le Ande, ecc. Nomi sovrabbondanti Si chiamano sovrabbondanti quei sostantivi maschili in 0 nel singolare, i quali nel plurale hanno due varianti: una maschile in i, l’altra femminile in a (questa risale ad un plurale neutro latino) e conserva il significato concreto e collettivo, quella in i viene adoperata con significato traslato e quasi sempre con differenza di significato, esempi: Si può formare anche premettendo all’aggettivo gli avverbi: molto, assai, estremamente, oltremodo, infinitamente, esempi: l’esercizio è molto difficile il limone è assai aspro la visita è estremamente delicata il compito è oltremodo complicato sono infinitamente sereno Si può formare pure con i prefissi: arci, sopra, stra, ultra, iper, super, esempi: sono arcistanco questo vino è sopraffino questi spaghetti sono stracotti questa giacca è ultra moderna questo Federico è ipersensibile Si può formare aggiungendo un altro aggettivo con significato più marcato del primo, esempi: sono stracco morto il cassetto è pieno zeppo Si può formare premettendo l’aggettivo: tutto, esempi: Marco è tutto contento Alice è tutta bagnata Superlativo relativo (quando indica la qualità al massimo grado, ma relativamente ad un gruppo di persone, animali o cose che abbiano la stessa qualità). Può essere: di maggioranza (si forma premettendo l’arti-colo determinativo al comparativo di mag-gioranza), esempio: Giovanna è la più attiva delle sorelle di minoranza (si forma premettendo l'articolo determinativo al comparativo di minoranza), esempio: Anna è la meno timida delle sorelle. Aggettivi che non ammettono gradi Alcuni aggettivi non hanno né comparativo né superlativo. Indicano qualità che non ammettono gradi, esempi: marmoreo, aureo, argenteo, ferreo, plumbeo, vitreo, mortale, terreo, circolare, rotondo, quadra-to, triangolare, sferico, primaverile, invernale, settima-nale, festivo, domenicale, mensile, trimestrale. Alterazione degli aggettivi Con gli stessi suffissi che si adoperano per i sostan-tivi, possiamo anche alterare alcuni aggettivi qualificativi, avremo così gli accrescitivi (aggiungendo il suffisso: one) esempi: pigrone — grassone i diminuitivi e vezzeggiativi (aggiungendo, a seconda degli aggettivi, i suffissi; ino — etto — ello — uccio) esempi: carino — piccoletto — sperdutello - grandicello — caruccio. i peggiorativi (aggiungendo i suffissi: astro, accio), esempi: giovinastro caratteraccio Aggettivi sostantivati Quando, in una frase, l’aggettivo ha la funzione di un nome si chiama aggettivo sostantivato. E°’ sempre preceduto dall’articolo e può esso stesso essere qualificato da un aggettivo, esempio: gli stati ricchi devono aiutare gli stati poveri può essere formulata così: i ricchi devono aiutare i poveri. Pag. |31 o Gli aggettivi: ricchi e poveri, essendo usati, in questo caso, per indicare il nome “stati”, diventano aggettivi sostantivati. L’aggettivo diventa quindi sostantivato: = quando è usato al posto di un nome di persona, esempi: l’adolescente dev'essere compreso, i giovani devono aiutare i vecchi; - quando è usato al maschile per indicare un concetto astratto, esempi: il bello (la bellezza), il giusto (la giustizia); = quando indica gli abitanti di uno stato o di una regione, esempi: gli Svizzeri L’aggettivo determinativo (o indicativo) Si chiama determinativo perché determina alcune particolarità del nome, a cui è unito. Secondo la specie di determinazione che esso indica, l'aggettivo determinativo, può essere: - il possessivo (indica a chi appartiene una persona, un animale, una cosa), esempio: la mia borsa (mia è aggettivo possessivo), - il dimostrativo (determina il nome ed indica una relazione di vicinanza o di lontananza, nel tempo e nello spazio, rispetto a chi parla o a chi ascolta), esempi: prendi questo mandarino mi dia quella borsa (questo, codesto e quello sono aggettivi dimostrativi), - l’interrogativo (si adopera per formulare doman-de in merito alla quantità, la qualità, l'identità di una persona 0 cosa), esempi: quanti romanzi hai letto? quali giornali leggi? (quanti e quali sono aggettivi interrogativi), - l’esclamativo (ha la stessa forma dell’interrogativo e si distingue soltanto per il senso della frase), esempio: quanto freddo oggi! (quanto è aggettivo esclamativo), - il mumerale (indica il numero, cioè la quantità esatta, delle persone e delle cose, o l’ordine di successione di più persone 0 cose) esempio: ho mangiato due mele. dammi il quarto romanzo (due e quarto sono aggettivi numerali), - l’indefinito (indica in modo indefinito, indeterminato, la quantità o la qualità del nome a cui si riferisce), esempi: alcuni viaggi sono culturali. qualunque lettura può essere istruttiva (alcuni e qualunque sono aggettivi indefiniti), - ilcorrelativo (stabilisce un raffronto) esempio: tale la madre quale la figlia (tale e quale sono aggettivi correlativi). Aggettivi possessivi Gli aggettivi possessivi indicano a chi appartiene l’oggetto di cui si parla. Si distinguono in aggettivi di prima, seconda e terza persona, maschile o femmi-nile, singolare o plurale. Pag. |32 maschil femminil mio miei mia mie tuo tuoi tua tue suo suoi sua sue nostro nostri nostra nostre vostro vostri vostra vostre loro loro loro loro proprio propri propria Un esempio vale per tutti i generi dei possessivi: il mio cane è bello la mia cagna è bella. i miei cani sono belli le mie cagne sono belle. Proprio (i, a, e) invece ha una sua caratteristica: è di terza persona e si riferisce sempre al soggetto, tante volte si usa al posto di: suo e loro, esempio: il signore ha accettato la propria colpa; si usa quando il soggetto è indefinito, esempi: ognuno dica il proprio parere, ciascuno ami la propria attività; si deve sempre usare nelle frasi impersonali, esempi: bisogna contare sulle proprie forze, è difficile riconoscere i propri errori; altrui (è di terza persona ed è invariabile nel genere e nel numero), esempi: “Non desiderare le donne altrui”, prendete atto delle idee altrui, è nobile d’animo chi lavora per il bene altrui, disinteressatamente. Aggettivi dimostrativi o indicativi Gli aggettivi dimostrativi indicano una relazione di vicinanza o di lontananza rispetto a chi parla o ascol-ta, oppure una relazione d’identità; essi sono: questo (i, a, €), indica cosa vicina a chi parla, codesto (i, a, €), indica cosa vicina a chi ascolta, quello (i. a, e), indica cosa lontana da chi parla e da chi ascolta, Stesso — medesimo (indicano somiglianza, identità), Stesso è anche usato come rafforzativo del pronome personale, si dice: “proprio lui”, “lui in persona”, Tale simile cotale siffatto (si usano per dire: “di questo genere”), Gli aggettivi: questo e quello variano nel genere e nel numero seguendo le regole indicate per l'aggettivo qualificativo. Possono indicare lontananza o vicinanza anche nel tempo, esempi: quest'anno vado a Malta (vicino nel tempo) quell’anno fu un disastro (lontano nel tempo) Pag. |35 Generalmente precedono il verbo, esempi: mi racconterai — ti parlerò, ci vedremo; quando seguono il verbo (imperativo, gerundio, infinito) formano, come detto sopra, una sola parola; esempi: parlami vedendolo capii verrò a visitarti. Le particelle: mi — ti — ci — vi davanti a: lo, li, le, ne, cambiano la i in e e diventano: me — te — ce — ve, esempi: Me lo scrisse Giovanna — te lo comunicheremo — ve la mostreremo — ce li restituì — ce ne —andremo — ve ne saremo riconoscenti. La particella gli, davanti a lo, la, li, le, ne, aggiunge la congiunzione e che, unito ai pronomi, diventa: glielo — gliela — glieli — gliele — gliene. La particella: ne (può riferirsi non solo a persone, ma anche a cosa; loro — da lui — da lei — da loro — di ciò — da ciò, esempi: ammiro tuo fratello per la sua correttezza e ne (= di lui) esalto la bontà; ne parlerò agli altri (ne = di lui, di lei, di loro, di ciò,); e farò di tutto per imitarne (ne = da lui, da lei, da loro, da ciò) le virtù. Il pronome riflessivo Il si, senza accento (forma atona) si usa come complemento. Si chiama riflessivo perché fa in modo che l’azione espressa dal verbo si rifletta sul soggetto. Non varia né per genere né per numero. Esso, dei riflessivi, è il più usato, esempi: Pino si diverte, Anna si prepara per uscire. usa al posto delle forme: di lui di lei di Quando precede: lo, la, li, le, si cambia in: se, esempio: “Non se lo fece dire due volte”. Quando è unito ad un imperativo, un infinito, un paiticipio, un gerundio, forma con esso un’unica parola, esempi: bisogna vestirsi — vistosi parlandosi La forma: sé si usa quando si vuol mettere in particolare evidenza il pronome, esempi: egli lavora per sé — gioca tutto per sé, ecc. i è d'accordo. Quando sé è unito a “stesso” o “medesimo” perde l’accento. (Su questo si deve dire che non tutti Lo scrivente è per questa tradizionale norma). dopo gl’imperativi: dà — di — fa — sta — va, la consonante iniziale del pronome si raddoppia, esempi: dammi — dimmi — fammi — dille — dacci. Pronomi dimostrativi I pronomi dimostrativi sono quelli che, facendone le veci, indicano con precisione la persona, l’animale o la cosa di cui si parla; sono detti anche indicativi. Essi sono: questi quegli costui costei costoro colui colei coloro Pronomi dimostrativi diventano anche gli aggettivi dimostratici, quando al posto di accompagnare un nome prendono il posto di essi. Pag. |36 vi Come si usano i pronomi dimostrativi Questi e quegli (sono usati soltanto come soggetto e non hanno plurale), esempio: Diego e Francesco sono cugini: quegli (Diego) è magro, questi (Francesco) è robusto. Costui — costei — costoro (spesso sono usati in senso spregiativo. Qualche volta possono avere un senso di lode), esempio: costui è maligno, costei è cattiva; senza l’aiuto di costoro, non avremmo fatto niente. Ciò (significa: questa cosa, quella cosa); è invariabile. esempio: ciò mi dispiace, prendi ciò che vuoi, ecc. Qualche volta ciò viene sostituito dalle particelle: ne ci — lo che, in tal caso, acquistano valore di pronomi dimostrativi, ci (ovvero: a ciò): ci penso io (penso io a ciò) ne (ovvero: di ciò): cosa ne pensi? Che cosa pensi di ciò? Lo (usato come complemento oggetto o come predicato): non lo so (non so ciò). Questo — codesto — quello (con il femminile e il plurale) sostituiscono il nome di persona o di cosa e notificano se è vicina o lontana da chi parla, da chi ascolta o da tutti e due. Pronomi relativi (o congiuntivi) Si chiamano pronomi relativi quelli che stanno al posto di un nome o di un altro pronome e, nel contem-po, mettono in relazione due proposizioni tra di essi, esempio: la signora che hai visto è mia sorella. In questa frase vi sono due proposizioni: la signora è mia sorella che hai visto. Il pronome che sta al posto del nome “sorella” e nello stesso tempo mette in relazione, ovvero congiunge, le due proposizioni . Pronomi indefiniti Rispetta le idee degli altri. E’ partito qualcuno. A ciascuno il suo. Qualcosa di positivo si muove, ecc. I pronomi indefiniti indicano una persona, un animale o una cosa in modo vago, generale, impreciso, indefinito. Per essere tali devono stare al posto di un sostantivo, altrimenti, se accompagnano un nome, perdono la qualifica pronominale e diventano aggettivi, I pronomi indefiniti si usano per esprimere una quantità, un qualcosa di non definito. Alcuni di e: soltanto aggettivi, altri solo pronomi, mentre altri si adoperano sia come aggettivi che come pronomi. chiunque chiunque * * i sono ognuno ognuna * qualcuno qualcuna * * uno una * * niente niente * * nulla nulla * * * * * qualcosa Pag. |37 IL VERBO Verbo vuol dire: parola: Certamente ci si trova di fronte al termine più importante del genere umano di tutti i tempi e di tutti i luoghi. San Giovanni, l’evan-gelista, quando parla della venuta del figlio di Dio sulla terra dice: “In principio era il Verbo... e il Verbo si è fatto carne e abitò in mezzo a noi”, quindi si deduce che il verbo è la parola più importante del discorso. Il verbo indica; un’esistenza, un'azione, una condizione o un modo di essere, sia per le persone, sia per gli animali e le cose. I modi del verbo I modi del verbo nella lingua italiana sono sette e sono: Modi definiti: Modi indefiniti: indicativo infinito congiuntivo gerundio condizionale participio imperativo Si chiamano definiti i modi che hanno una determinazione di persona e di numero, es.: io canto, tu parli. Si chiamano indefiniti quei modi che esprimono una azione indeterminata senza indicazione di persona e di numero, esempio: domandare — scrivere — sentire. I modi definiti 1. Indicativo— indica: certezza, azione sicura e reale, esempio: io studio — tu mangi — egli ascolta. Ha otto tempi: presente — passato prossimo — imperfetto — futuro semplice — passato remoto — tra- passato prossimo — futuro anteriore — trapassato remoto. 2. Congiuntivo, indica: incertezza, dubbio, desiderio, esempi: penso che Angelo sia già a scuola — spero che tu parta in tempo — non so se Maika, mamma Conchita e papà Salvador siano già arrivati. Ha quattro tempi: presente — imperfetto — passato — trapassato. 3. Condizionale — indica: azione subordinata (conseguen-te) al verificarsi di una condizione. Nel latino classico non esisteva, perché i tempi del congiuntivo servivano ad esprimere (pure) anche il significato del nostro condizionale. Il presente di esso si è formato come quello del futuro semplice, cioè unificando in una sola parola una forma perifrastica costituita dall’infinito presente del verbo e dalle voci ridotte del passato remo-to del verbo avere. Nella prima coniugazione si ha parlerei al posto di Parlarei, per il cambiamento di a in e, molto probabilmente dovuto all’influsso della conso-nante vibrante — r, che i grammatici latini chiamavano consonante tremula, e più precisamente: lettera canina, secondo il ringhiare del cane: esempi: mangerei se non fosse molto tardi — Porterei i cani nel bosco se avessi tempo — Se avessi una penna ti scri-verei una bella lettera. Ha due tempi: presente e passato. 4. Imperativo — indica: comando o preghiera, esempi: vattene — Non prendere nessun libro. Ha due tempi: presente e futuro To egli noi voi loro Andare Cantare Mangiare and ai cant ai mangi ai and asti cant asti mangi asti and ò cantò mangi ò and ammo cant ammo mangi ammo and aste cant aste mangi aste and arono cant arono mangi arono 4. Futuro semplice — indica: azione che avverrà nel futuro. Per esso (il futuro semplice), come è stato per il condizionale presente, va fatta una considerazione, e cioè che, a differenza degli altri tempi semplici dell’in-dicativo, il futuro non deriva dal corrispondente futuro del latino classico, ma da una forma perifrastica in uso nel latino parlato, costituita dall’infinito presente del verbo e dalle voci dell’indicativo presente di avere: (cantare habeo = ho a cantare; temere habeo = ho a temere), che in italiano si è ridotta ad una sola parola (amare + ho = amerò; temere + ho = temerò, ecc., esempi: canterò, prenderò, sentirò un po’ di musica. Tempi composti 5. Passato prossimo — indica: un'azione compiuta in un tempo passato, ma non ancora trascorso del tutto, esempi: oggi ho insegnato in questa settimana ho scritto tanto quest'anno Pia è andata in vacanza, oppure: azione avvenuta nel passato con gli effetti che durano nel presente, esempio: Dante ha scritto un’opera immortale. 6. Trapassato prossimo — indica un’azione compiuta poco prima che ne sopraggiungesse un’altra pure pa-sata, esempio: avevo già ricevuto il mio amico quando arrivò mio figlio. 7. Trapassato remoto — indica azione compiuta interamente nel passato, anteriormente a quella espressa con il passato remoto, esempio: quando ebbi finito di mangiare partii con gli amici per andare a vedere un film di Fellini. 8 Futuro anteriore — indica un’azione che dovrà ancora avvenire prima di un’altra anch'essa futura, esempio: quando sarò partito per le vacanze avrò un po’ di pace. Tutti i tempi composti si formano con gli ausiliari essere od avere + il participio passato del verbo in oggetto. Le regole per quando usare essere od avere sono valide per tutti i tempi di tutti i modi dello stesso verbo. Per rendere più comprensibile ciò si danno le regole generali soltanto al passato prossimo. Si usa l’ausiliare essere con: - i verbi che esprimono movimento: andare, ritornare, arrivare, partire, venire; - i verbi che esprimono stato: rimanere, stare, fermare; - i verbi che esprimono una trasformazione: ingrassare, - dimagrire, nascere, morire; Pag. |41 - i verbi riflessivi: alzarsi, lavarsi, divertirsi, pentirsi; - i verbi atmosferici: nevicare, grandinare, piovere; - il verbo vivere: i miei genitori sono vissuti a Favara; - i verbi modali: potere, dovere, volere (desiderare al 70%) +l’infinito di un verbo che vuole il verbo essere. Si usa l’ausiliare avere con: - i verbi che vogliono un oggetto diretto (transitivi): mangiare, bere, leggere, scrivere, guardare, prendere; - i verbi che esprimono attività della mente: meditare, pensare, riflettere, parlare, gesticolare; - i verbi che esprimono movimento del corpo: ballare, passeggiare, camminare, nuotare; - i verbi atmosferici: nevicare, grandinare, piovere; - il verbo vivere: ho vissuto a Roma tanti anni; - i verbi modali: potere, dovere, volere (desiderare al 70%) quando si usano senza infinito, esempio: sei potuto andare alla posta? Si, ho dovuto; - potere, dovere, volere, + l’infinito di un verbo che richiede avere, esempio: non ho voluto mangiare la mela, era marcia, non ho potuto parlare con mio fratello Lillo. Verbi con doppia costruzione Bisogna tener presente che alcuni verbi hanno una costruzione transitiva e una intransitiva, la prima usano /’ausiliare avere, la seconda l’ausiliare essere. I più comuni sono: agente, aspirare: aspirare il fumo, aspirare a qualcosa, attendere: attendere qualcuno, attendere a qualcosa, cedere: cedere il posto allo zio, cedere alle tentazioni, cominciare: Franca ha cominciato la lezione, la lezione è cominciata alle ore 8.30, finire: abbiamo finito gli esami, il concerto è finito presto, guarire : ilmedico ha guarito il malato, il ammalato è guarito, passare : lo passato la notte sotto le stelle, l'estate è passata, rovinare: Giovanni ha rovinato la famiglia, Umberto è rovinato per sempre, salire: avete salito la spesa al secondo piano? Sono salito per le scale esterne, scendere: ‘a sceso gli scalini — è sceso con l’amico, trascorrere: ha trascorso il giorno a digiuno, sono trascorsi molti giorni. Forma attiva e passiva del verbo Secondo la funzione del soggetto rispetto al verbo, essi assumono forma attiva o passiva: attiva quando il soggetto compie l’azione , esempio: io mangio la mela, lei legge il libro, passiva quando indica un’azione che è subita dal soggetto e fatta eseguire dal complemento di esempio: la mela viene mangiata da me, il libro è letto o (viene letto) da lei. Pag. |42 Tutti i verbi, transitivi e intransitivi, hanno la forma attiva; soltanto i verbi transitivi con il complemento oggetto diretto possono avere la forma passiva, perché è il complemento oggetto diretto del verbo nella forma attiva che diventa soggetto nella forma passiva. Nella frase: il maestro aiuta lo scolaro (forma attiva) ha lo stesso significato della corrispondente: lo scolaro è aiutato (viene aiutato) dal maestro (forma passiva). Può essere o può non essere indifferente usare l’una o l’altra frase, secondo le intenzioni stilistiche di chi parla o scrive. Si può però ben dire che la forma passiva serve a mettere in risalto l'essere o la cosa che subisce l’azione rispetto a chi la compie. Come distinguere i verbi transitivi dagl’intransitivi Per distinguere con una certa facilità i verbi transiti-vi dagl’intransitivi bisogna vedere se il verbo può es-sere seguito da un nome che risponda alla domanda: chi? o che cosa? Esempio: io vedo... (chi?) Io vedo l’amico giù, io bevo (che cosa?) Io bevo il caffè. 1 verbi: vedere, bere, amare, pregare, desiderare, leggere, sono transitivi, e di conseguenza, la maggior parte di essi, vogliono l’ausiliare avere mentre se diciamo: io esco, vado, dormo, corro, rido sono verbi intransitivi e, come tali, non possiamo chie-derci: Chi? Che cosa? Non troveremo mai delle paro- le che possano rispondere a queste domande. Ci si può soltanto chiedere: come, quando, dove andiamo o dor-miamo; come, quando e perché ridiamo, ecc. Da notare che la maggior parte dei verbi intransitivi si usano con l’ausiliare essere. Forma riflessiva e pronominale del verbo Tutti i verbi riflessivi, che siano veri o apparenti o pronominali, si coniugano ugualmente, in tutti i tempi composti, con l’ausiliare essere. Nell'ambito della frase attiva rientrano ancora sia la forma riflessiva, sia quella pronominale. Essa si divide in quattro categorie: 1) laformarifiessiva propria: si adopera quando l’azione si riflette sul soggetto, esempio: Caterina si veste, significa: — Caterina veste se stessa. I pronomi mi, ti, si, ci, vi, che diven-tano: me, te, se, ce, ve esprimono il complemento oggetto e quindi l’accusativo; mi guardo in giro, cioè: guardo me dai pericoli vari. 2) La formariflessiva apparente: si adopera quando il pronome riflessivo esprime il complemento di termine (dativo), a chi? A che cosa? Esempio: mi lavo i capelli = lavo i capelli a me 3) La formariflessiva reciproca: si adopera quando l’azione si effettua fra persone, esempio:i tre amici s'incontrano ogni giorno. 4) La forma riflessiva pronominale: essa è la più complessa. Grammaticalmente non si differenzia dalla normale riflessiva, in quanto il verbo è preceduto dalle stesse particelle pronominali. La loro caratteristica consiste in alcuni verbi intransitivi, come pentirsi, accorgersi, i quali hanno soltanto la forma pronominale (infatti non si può dire, né “noi pentiamo” né “io accorgo”, ma “noi ci pentiamo” e “io mi accorgo”). In questo caso le particelle pronominali: mi, ti si, ci, vi, non fanno né da complemento oggetto né da complemento di termine; servono, esclusivamente, a dare grammaticalmente al verbo la forma pronominale. Pag. |45 o latina a cui fanno riferimento. I verbi in ére non hanno dato motivo di alterazione al tema del presente indicativo — dal latino apprehendo all’italiano apprendo —; molti verbi in &re, invece , hanno dato motivo di alterazione a causa della desinenza della prima persona dell’in-dicativo presente in eo — vàl-eo da val- ére -, che a contatto con certe consonanti finali, come: l, n, e, del tema verbale, ha provocato delle modifiche al tema verbale, es.: vàleo, vaglio, e quindi valgo; da remàneo, rimagno, e quindi rimango. Il problema si ripete al congiuntivo pres. — da valeam, vaglia e quindi: valga. I verbi irregolari della terza coniugazione non sono molti (si potrebbe dire solo due: venire e dire), alcuni di es presentano con il tema verbale alterato in determinate voci del presente indicativo e congiuntivo: il motivo è uguale a quello dei verbi in ére, poiché la desinenza latina in io, della prima persona dell’in-dicativo presente, ha causato gli stessi fenomeni della desinenza in eo, es.: da venio, vegno, e quindi vengo. L° AVVERBIO L’avverbio è così chiamato perché si aggiunge al verbo e ne determina il suo valore. È una parola invariabile che serve a precisare, specificare o modificare il significato stesso del verbo, ma anche dell’aggettivo o di un altro avverbio, per esempio: con un verbo: Franca mangia lentamente; lentamente è un avverbio e serve a completare il significato del verbo mangiare; con un aggettivo: i tulipani sono molto belli; molto è un avverbio e modifica il senso dell’aggettivo belli; con un avverbio: Teresa legge troppo lentamente; troppo è un avverbio e modifica il senso dell’altro avverbio lentamente. Una volta espressa la funzione generale dell’avverbio, si deve subito osservare la grande varietà, per cui può essere: 1. Di luogo: (dove — qui — qua — giù — laggiù — su — lassù — sotto — sopra — lontano — accanto — dentrodovunque — vicinoaltrove — fuori). Rispondono alla domanda: dove? E indicano il luogo in cui si verifica un'azione. Esempi:qui abita Pino — Angelo lavora laggiù — andiamo lontano — fuori fa un freddo cane. 2. Di tempo: (oggi — ieri — domani — presto — talvolta — dopo — prima — subito — sempre — adesso — spesso — poi — ormai — raramente — mai) Rispondono alla domanda: quando? E indicano il tempo in cui si verifica un'azione. Esempi: È arrivato oggi — ti penserò sempre — a Berna andiamo spesso — a Friburgo si va raramente. 3. Di quantità: (molto poco tanto troppo più assai pochissimo — moltissimo — abbastanza). Rispondono alla domanda: quanto? E indicano una quantità o una misura. Esempi: tu mangi troppo — lei beve molto — dormo pochissimo — ora mangio abbastanza. 4. Di affermazione: (sì — sicuro — certamente — certo — sicuramente — precisamente) Sì, nelle risposte, sostituisce un’intera frase. Esempi: Anna, hai mangiato? — Sì (= sì, ho mangiato). Simona, mi accompagni? — Sì, certo. Viviana, canterai? — Sicuramente. 5. Di negazione: (no — non — nemmeno — neppure). No, nelle risposte, sostituisce un’intera frase. Esempi: Pino, hai letto la lettera? No (= no, non l’ho letta. Verrai dopo? Non posso per oggi, spero domani). Pag. |46 6. Di dubbio: forse — probabilmente — possibilmente). Esempi: Giovanna, forse arriverà alle ore 18.00 — Angelo, probabilmente partirà presto. Marco, Silvia e Alice, possibilmente anche. 7. Di modo o maniera: la maggior parte di essi deriva da aggettivi qualificativi. Si formano aggiungendo all’aggettivo il suffisso: mente. (Brevemente — felicemente — galantemente — lentamente — dolcemente — giustamente — seriamente — veloce-mente). Rispondono alla domanda: come? In che modo? Ed indicano il modo con cui si attua un'azione, o si esprime una determinata cosa. Esempi: ti ricordo caramente — ti telefonerò brevemente, parlo seriamente — mangeremo velocemente. Si noti bene: gli avverbi di modo hanno il compa-rativo di maggioranza e di minoranza, nonché il superlativo relativo e assoluto come gli aggettivi quali-ficativi: Federico parla più lentamente di Pier Paolo; Federico parla meno lentamente di suo fratello; Federico parla più lentamente dei suoi amici; Federico parla lentissimamente. 8. Di interrogazione: sono espressioni che introducono una domanda. I più comuni sono: perché? dove? come? quando? LA PREPOSIZIONI Secondo la grammatica tradizionale, la preposizione è quella parte invariabile del discorso che serve ad unire due parole della stessa frase per indicare il rap-porto, la relazione che passa fra esse. In italiano si pre-pone a nomi, aggettivi, avverbi e verbi all’infinito per determinare i complementi, ed entrano nella formazio-ne di verbi e sostantivi in qualità di prefissi. Esempi: Il vestito di Giovann: di, indica la relazione, in questo caso di possesso, che la seconda ha con la prima. Dopodomani vorrei andare a Roma a, indica la relazione di luogo, fra le parole: andare a Roma. Le preposizioni si distinguono in: 1. proprie:cioè quelle che si usano esclusivamente come preposizioni: di, a, da, in, su, per, con, tra e fra. Da notare che “su” può essere anche avverbio. Queste preposizioni (escluse tra e fra) se si uniscono nel discorso all’articolo determinativo formano le preposizioni articolate (come si può notare nello specchietto seguente). |Preposizioni articolate IPreposizioni semplici |(preposizioni semplici +il—lo—la—i— gli—le) del dello della Idi dei degli delle a ‘al allo alla ai agli alle ida dal dallo dalla dai dagli dalle fin nel nello nella inei negli nelle su sul sullo sulla sui sugli sulle per [per il pel (poco usati) per la peri pegli per le ‘on icon il col colla con i cogli colle tra tra il tra lo tra la trai tra gli tra le ifra (fra il fra lo fra la (fra i fra gli fra le Preposizioni improprie . |47 Sono quelle che per loro natura sono avverbi, o aggettivi, o participi verbali, che vengono, a volte, usate in funzione di preposizione. vicino verso sopra insieme davanti attraverso accanto nonostante tranne sotto durante dietro lontano dentro mediante eccetto presso malgrado contro incontro fuori Se sono formate da più parole di varia natura si chiamano: locuzioni prepositive. accanto a... fuori di... a favore di.... alla presenza di... a causa di... a prezzo di... dopo di... in mezzo a... vicino a... Le preposizioni servono a formare i complementi indiretti, i quali completano la frase, specificando le varie funzioni di: luogo, tempo, modo, causa, mezzo, fine. Sono da ricordare quelli retti dalle “preposizioni proprie” (di, a, da, con, per, su, fra, tra, in). Pag. |50 Le congiunzioni coordinative Si dividono in: Copulative: e — ed — anche — pure (affermative) né — neanche — neppure (negative), Aggiuntive: inoltre — altresì — ancora; Disgiuntive: o — oppure — ovvero, Avversative: anzi ma — però — pure — eppure — nondimeno — tuttavia, Dimostrative: che — infatti, Conclusive: dunque — perciò — quindi — pertanto — sicché, Temporali: quando — finché — allorché — mentre, Finali: perché — affinché — acciocché, Causali: perché — poiché (esprimono una causa ), Consessive: benché — sebbene nonostante, Condizionali: se — purché — qualora, Modali: come — comunque, Consecutive: che — così che — tanto che — di modo che — talmente che, Dichiarative: che — come (= che), Eccettuative: eccetto — tranne — salvo che, Comparative: come — siccome — a qual modo, Interrogative: perché, Dubitative: se — forse. Pag. |51 alito SINTASSI (studio della relazione tra le parole) Reale siete icaloie La sintassi è quella parte della linguistica che si occupa del modo in cui sono organizzate le parole nella frase e le frasi nei periodi. Essa descrive e spiega, cioè, i rapporti di significato, di forma e di funzione che tengono unite insieme sia le parole all’interno della frase sia le frasi tra di loro. Questo sistema di rapporti può essere del tutto evidente, lineare e immediatamente comprensibile, ma può anche assumere forme e dimensioni di una certa complessità. Dobbiamo perciò cercare di fissare con precisione il significato dei termini che usiamo. La parola "frase", per esempio, viene spesso usata per indicare una parte, anche incompleta, di un discorso 0 testo, prodotto in una determinata situazione comunicativa reale. In questo caso però, perché la frase abbia pieno significato dovrà essere completata dal senso della parte di testo che la precede e/o che la segue, "co-testo", come pure da tutti quei dati, indicazioni, elementi che fanno parte del "contesto situazionale". Lo studio dei rapporti che intercorrono fra gli elementi costitutivi di una frase non può essere condotto sulla base di porzioni di un testo che rinviino al co-testo o alla situazione comunicativa. È necessario poter disporre, per questo studio, di espressioni linguistiche tipo, di "modelli" formati da tutti quegli elementi linguistici che servono per esprimere compiutamente un concetto. Chiameremo quindi "enunciato" quella espressione linguistica che fa parte di un testo e che è compresa fra due pause forti 0, nel caso di testi scritti, fra due segni d’interpunzione forte. Chiameremo "frase" (detta anche "proposizione") l’espressione linguistica che non fa parte di un testo e che è costruita utilizzando tutti quegli elementi grammaticali necessari per esprimere un significato completo. Il primo di questi elementi è certamente il verbo di forma compiuta. È anche l’unico elemento che deve essere necessariamente presente in una frase. In assenza di verbo non c’è frase. Al contrario, in alcuni casi basta il solo verbo (impersonale, vedi 4.4) per formare una frase: Piove. In base al numero di verbi che contengono, le frasi si distinguono fondamentalmente in due tipi: "semplici" e "complesse". La "frase semplice" è quella espressione linguistica dotata di senso compiuto che contiene un solo verbo, indipendentemente dal numero di parole che la compongono. Esempi: Piove; Mario lavora anche il giorno di ferragosto; Le domande per il concorso a 4 posti di tecnico amministrativo sono arrivate tutte nello stesso giorno. Sono tutte frasi semplici o singole, perché contengono un solo verbo: piove; lavora; sono arrivate. Quando ci sono più verbi si hanno invece più frasi che possono essere coordinate fra di loro o giustapposte oppure collegate secondo un rapporto gerarchico. IL nucleo della frase Consideriamo la struttura della frase semplice o singola. Essa consiste essenzialmente in una parte centrale detta "nucleo", cui possono aggiungersi altre due parti, i "circostanti del nucleo" e le "espansioni". Il nucleo è il vero cuore della frase, perché racchiude gli elementi indispensabili alla sua costituzione. Il nucleo può essere formato, come abbiamo già visto nel caso dei verbi impersonali, anche dal solo verbo e, in questo caso, il verbo coincide con il nucleo e il nucleo con la frase: verbo = nucleo = frase piove Più spesso però il nucleo è formato dall’unione del verbo con i suoi "argomenti". Per capire cosa sono e come funzionano gli argomenti dobbiamo prima descrivere più da vicino le caratteristiche e le funzioni del verbo. Per prima cosa va detto che il verbo, detto anche "predicato" (perché predica, afferma), può essere rappresentato sia da singole forme verbali (Piove; I ragazzi camminavano sulla strada; Il leone fuggì dal Circo), sia da un insieme di due o più forme verbali (Oggi ho vinto la mia gara; I fiori del giardino finalmente erano sbocciati; Maria è stata scelta fra tutte le ragazze), sia dall’unione di verbi particolari ("copulativi" = verbi che hanno la Pag. |52 o funzione di "copula", di congiunzione: essere, sembrare, ecc.) con un elemento nominale (Il cielo è azzurro; L'allenatore sembra contento; Tu diventerai dottore). In quest’ultimo caso il predicato è detto "nominale", proprio perché formato dall’unione di una forma del verbo essere 0 di altri verbi "copulativi" (sembra; diventerai) con un nome (sostantivo/aggettivo: azzurro, contento, dottore). Negli altri casi si ha invece il "predicato verbale". La caratteristica più importante del verbo è dunque quella di "predicare", di "dire" intorno a qualcuno o a qualcosa. Il verbo di forma finita è infatti, in italiano, la parola che più di qualsiasi altra è in grado di fornire un numero elevato di informazioni. Oltre al significato di base, espresso dalla radice verbale, può infatti indicare il numero, la persona, la direzione, il tempo, il modo, l’aspetto, e, in alcune forme, anche il genere. L'insieme o anche solo una parte di queste informazioni consente già di delineare, con maggiore o minore precisione, il tipo di evento che viene descritto e di orientare quindi verso la comprensione di tutta la frase. Ma non solo. Il verbo, oltre a fornire informazioni (o meglio, proprio grazie a ciò), ha anche la capacità di mettere in relazione tra loro gli altri elementi della frase. Alcuni di questi, che abbiamo chiamato "argomenti", rappresentano le informazioni aggiuntive che vanno a completare il significato espresso dalla forma verbale. Gli argomenti infatti si "legano" al verbo con un rapporto che è fondamentalmente di tipo semantico, ma che si realizza anche sintatticamente. Dipende dal significato di base del verbo sia il numero degli argomenti che possono essere presenti nel nucleo, sia il tipo di relazione, diretta o indiretta, con cui questi si legano al verbo. Prendiamo per esempio la forma verbale dorme. Essa fornisce da sola un certo numero di informazioni: significato di dormire; persona singolare; tempo presente dell’indicativo; aspetto durativo. Queste permettono di presentare nel suo complesso l’evento espresso dalla forma dorme, ma non in modo esaustivo. C’è infatti bisogno di un’altra informazione che ci dica "chi è che dorme". Nella frase Gianni (1° informazione) + dorme Gianni è l’informazione o "argomento" che si accorda direttamente (cioè senza l’uso di preposizioni) al verbo e lo completa nel significato. Il verbo e i suoi argomenti Molte forme verbali richiedono un numero variabile di informazioni, vale a dire di "argomenti". Per esempio, la forma mangia ne richiede almeno due: "chi è che mangia" e "che cosa mangia": Mario (1° informazione/argomento) + mangia + la torta (2° informazione/argomento). La forma danno, invece, ne richiede tre: "chi", "che cosa", "a chi": I professori (1° informazione/argomento) + danno + i libri (2° informazione/argomento) + agli studenti (3° informazione/argomento). Si dice che un argomento si lega indirettamente al verbo (come in questo caso il 3° argomento) quando si serve di una preposizione (agli) per esprimere questo legame. Il numero degli argomenti di un verbo può variare da 0 a 4. Nel caso del verbo trasferire, per esempio, è necessario precisare: "chi trasferisce" (1° argomento); "che cosa trasferisce" (2° argomento); "da dove trasferisce" (3° argomento); "a dove trasferisce" (4° argomento): La banca trasferisce la sua sede da Roma a Milano. Si hanno quindi 4 argomenti. Altri verbi come grandinare, diluviare, piovere, nevicare, tuonare, ecc. (verbi meteorologici) e alcune espressioni verbali del tipo fare freddo, fare caldo, fare buio, esser presto, esser tardi, non richiedono invece la presenza di alcun argomento che completi il loro significato, in quanto sono già pienamente significativi in senso proprio. Vengono coniugati soltanto alla 3° persona singolare (del tempo e del modo che si intende usare) e senza il pronome personale soggetto. Sono perciò detti "impersonali": piove, nevica, fa caldo, fa giorno, ecc. Pag. |55 il 2° argomento diretto (o complemento oggetto), che era il punto d’arrivo nella costruzione attiva, in quella passiva viene posto in primo piano e assume la funzione di soggetto, il verbo prende la forma passiva e quello che era il soggetto diventa il secondo argomento indiretto: La torta è mangiata da Mario È possibile realizzare la costruzione passiva solamente con verbi che richiedono un secondo argomento diretto ("verbi transitivi"). Le frasi multiple Le frasi semplici sono espressioni linguistiche di senso compiuto che hanno al loro interno un solo verbo o predicato. Le "frasi multiple" sono strutture più ampie, con più predicati, formate da un insieme di frasi semplici collegate fra loro in vario modo. Rispetto alla frase semplice, le frasi multiple permettono di svolgere un discorso più esauriente ed articolato e, in base al tipo di collegamento realizzato, di aggiungere ulteriori sfumature di significato al contenuto delle singole frasi. Il collegamento tra frasi semplici avviene in due modi. Si ha "giustapposizione”" quando due o più frasi semplici sono poste l’una di seguito all'altra, senza nessun elemento che le colleghi: ad esempio, Giovanni entrò in casa. Accese la luce. Vide subito il pacco. Mangio di fretta, bevo un caffè, esco. Luisa lavora, Anna la osserva. C’è "coordinazione" quando due o più frasi semplici sono collegate fra di loro per mezzo di una congiunzione coordinativa: 1° frase semplice 2° frase semplice Maria legge il giornale. Guido guarda lo sport in televisione. Luigi è andato al lavoro. [Laura è rimasta a casa. Maria legge il giornale e Guido guarda lo sport in televisione Luigi è andato al lavoro ima [Laura è rimasta a casa Gli argomenti uguali che si ripetono nelle frasi coordinate non vengono replicati. Così Antonio guida la macchina + [Antonio ‘ascolta la radio (1° argomento / (1° argomento / soggetto soggetto) diviene: Antonio guida la macchina e ascolta la radio Le "congiunzioni coordinative" si distinguono in: a "copulative", dette così perché funzionano da copula, da "congiungimento" tra le due frasi: Pag. |56 e, anche, né, neppure, nemmeno, neanche, inoltre; b. "disgiuntive" e "avversative", perché escludono o mettono in contrapposizione: 0, oppure, ma, però, bensì, invece, tuttavia, eppure; c. "conclusive": dunque, quindi, perciò; d. "dimostrative": cioè, ossia, infatti. L’uso di congiunzioni, avverbi o pronomi correlativi del tipo e... e; tanto... quanto; questo... quello; ora... ora; prima... poi; chi... chi, per unire sullo stesso piano due frasi semplici costituisce la "coordinazione correlativa": Chi vuole una cosa chi ne vuole un’altra; Era tanto giovane quanto era inesperto; Ora piove ora esce il sole. La frase subordinata Si dicono "complesse" quelle frasi che non sono collegate tra loro alla pari, come nella coordinazione, ma in modo gerarchico, con un rapporto di subordinazione. La frase complessa è costituita da (almeno) una frase semplice di senso compiuto, "reggente" o "principale", a cui si collegano frasi "subordinate" o "dipendenti", dette così perché dipendono, logicamente e sintatticamente, dalla frase reggente. Le frasi subordinate si distinguono perché non hanno da sole senso compiuto, ma lo acquisiscono o lo completano in unione con la reggente. Il collegamento fra reggente e dipendente si realizza in due modi: 1. in modo "esplicito", cioè con una congiunzione subordinante (che, perché, poiché, siccome, affinché, quantunque, se, quando, mentre, come, ecc.) 0 con un pronome o avverbio relativo (che, il quale, dove) e il verbo della dipendente in modo finito: frase reggente ‘congiunzione frase dipendente Voglio che tu mi ascolti Le piante ingialliscono perché non le innaffiate Luigi ha gareggiato [sebbene fosse raffreddato Ha telefonato Mario che (il quale) ‘ha spiegato l'equivoco 2. in modo "implicito", ossia con una preposizione e il verbo della dipendente all’infinito oppure con il gerundio o il participio (ma senza preposizione): frase reggente (preposizione) frase dipendente Sono venuto per studiare con te Il direttore ha deciso di riaprire la scuola Laura lo interruppe arlando velocemente Il ragazzo rimase a casa | una volta ricevuta la telefonata La subordinazione serve dunque a esplicitare meglio e più dettagliatamente i rapporti logici che legano i concetti espressi nella principale con quelli presenti nelle dipendenti. Se con la coordinazione potevo accostare una serie di informazioni, come in Maria prepara la cena e Guido torna a casa dal lavoro, con la subordinazione spiego il motivo profondo per cui ho messo insieme le due frasi: Maria prepara la cena Pag. |57 perché/quando/se Guido torna a casa dal lavoro La frase reggente ha dunque la funzione di "reggere" il discorso che viene sviluppato nelle dipendenti e, in questo senso, costituisce il principale punto di riferimento di tutto il periodo. La dipendenza delle frasi subordinate alla frase reggente può essere ulteriormente spiegata utilizzando la distinzione tra argomenti, circostanti ed espansioni che abbiamo usato per spiegare la frase semplice. Stabilito che per frase o proposizione "principale" intendiamo una frase semplice che regge una frase dipendente, definiamo "reggente" qualsiasi frase da cui dipenda una subordinata. La frase direttamente dipendente dalla reggente è detta "subordinata di 1° grado": Ho telefonato a Lucia (reggente) per chiederle il libro (subordinata di 1° grado). Questa può reggere a sua volta un’altra frase che è detta "subordinata di 2° grado". Da questa può dipendere ancora una subordinata di 3°grado, e così via: Ho telefonato a Lucia (frase reggente) per chiederle (subordinata di 1° grado) di restituirmi il libro (subordinata di 2° grado) che le avevo prestato (subordinata di 3° grado) quando ci siamo incontrate (subordinata di 4° grado) L’ordine di subordinazione non è prescrittivo: una frase reggente può essere posta dopo la sua subordinata: Benché piovesse, sono usciti in giardino; oppure una subordinata può essere inserita subito dopo una congiunzione coordinativa o subordinativa o un pronome relativo: Ho incontrato Luigi che, poiché era tardi, mi ha salutato frettolosamente. La frase dipendente La frase semplice si sviluppa a partire da un nucleo formato dal verbo più i suoi "argomenti", cioè tutte le informazioni necessarie a completare il significato del verbo. Gli elementi che si legano a un costituente del nucleo sono detti "circostanti", mentre quelli che si riferiscono a tutta la frase, ampliandone o modificandone il significato, senza legarsi ad un elemento in particolare, sono detti "espansioni". Ebbene, sia gli argomenti che i circostanti che le espansioni possono essere rappresentati da singole parole e locuzioni oppure da intere frasi dipendenti. Queste ultime sono cioè equivalenti, sia per funzione che per significato, agli elementi che sostituiscono, ma hanno il vantaggio di fornire più informazioni, perché contengono un verbo. Le frasi "completive" e le "interrogative indirette" sono delle dipendenti che si trovano al posto (hanno cioè la funzione) di un argomento. Le prime sono chiamate appunto completive per indicare la loro funzione primaria, che è quella di completare il significato del verbo della reggente esattamente come un argomento. Se non studi non superi l'esame; Se correrai arriveremo in tempo; 2. ilperiodo ipotetico a) "della possibilità" e b) "dell’irealtà". In questi due sottotipi le ipotesi di realizzazione di fatti e situazioni sono ritenute solo "possibili" o del tutto "irreali". In questi casi si usa il congiuntivo nella protasi e il condizionale nell’apòdosi: Se Luca mangiasse di meno sarebbe più magro (possibilità); Se l'avessi saputo non sarei venuto (irrealtà). Nell’italiano comune, soprattutto nel parlato familiare, fra amici, si preferisce però usare, nel caso dell’"irrealtà", l’indicativo imperfetto tanto nella protasi come nell’apòdosi: Se /o sapevo non venivo; Se nascevo ricco aiutavo tutti; Se eravate qui con noi vi divertivate. Non si può invece usare il condizionale o il congiuntivo in tutte e due le fra: venuto; *Se l’avessi saputo/sapessi non fossi venuto/venissi. i: *Se l’avrei saputo non sarei L’ordine delle parole nella frase Nel sistema linguistico italiano la posizione degli elementi che costituiscono la frase non è vincolata. L'ampia possibilità di spostamento all’interno della frase è utilizzata soprattutto a fini espressivi, come vedremo più avanti. Naturalmente questo non vuol dire che i diversi elementi siano posti a caso, ma che sono distribuiti in funzione del tipo di discorso che si intende fare. Esiste comunque un "ordine di base" delle parole all’interno della frase che è dato dalla sequenza Soggetto + Verbo + Oggetto (SVO). Per "ordine di base" si intende dunque la successione più frequente e non caratterizzata da espressività particolari. Per Oggetto si intende sia l’ Oggetto diretto (O) sia quello indiretto (Oi) preceduto da preposizione: Luca studia la lezione > SVO; Anna risponde a Gianni > SVOi A proposito del Soggetto è importante ricordare che, in italiano, può non essere espresso. Nella maggior parte dei casi, infatti, è possibile ricavare il soggetto pronominale dalla forma del verbo. In particolare si evita di ripetere il pronome soggetto quando è lo stesso nella proposizione principale e nella dipendente: * Tu hai promesso che tu studierai > Tu hai promesso che studierai. Con il pronome di 2° persona singolare, tu, è obbligatoria l’espressione del soggetto davanti a verbi al congiuntivo, per esempio: Dicono che tu sia bravo, vista la coincidenza di forma con le altre persone singolari: io/lui/lei/esso/essa sia. La sequenza SVO, come abbiamo detto, non è obbligata. Il soggetto, per esempio, quando c’è, può occupare il primo posto oppure può essere collocato dopo il verbo, anche a notevole distanza da questo. La sequenza SVO realizza tuttavia una successione logica che mette in primo piano l’elemento già conosciuto, "noto" (o che si considera come tale o che si vuole indicare come "tema" del discorso), il Soggetto appunto, cui fa seguito ciò che si dice (si "predica") di "nuovo" al riguardo, il Verbo (o Predicato) ed, eventualmente, l’Oggetto diretto o indiretto che ne completa il significato. In italiano possiamo spostare, "dislocare" liberamente un elemento della sequenza (VSO, OVS, SOV, VOS), tenendo però conto che ogni dislocazione produce un cambiamento della qualità dell’informazione che la frase dà. Infatti se in Antonio lavora il Soggetto, in prima posizione, è l'elemento noto e il verbo l'elemento nuovo, in Lavora Antonio è il Verbo che occupa la posizione dell’argomento noto, mentre Antonio rappresenta il nuovo: Antonio (Soggetto) \lavora (Verbo) Lavora (Verbo) Antonio (Soggetto) Pag. |61 NOTO + NUOVO In pratica, dicendo Antonio lavora, voglio sottolineare il fatto che il Soggetto /avora, non studia/dorme/mangia, ecc. Dicendo invece lavora Antonio sottolineo che è proprio Antonio quello che lavora e non Mario/ Giovanni/Luca, ecc. Le frasi marcate Quando si vuole mettere in evidenza un elemento della frase per marcarlo enfaticamente basterà, nel caso di un discorso orale, sottolineare prosodicamente l'elemento in questione. Nel caso di un discorso scritto, in cui non è sempre possibile riprodurre i tratti prosodici, possiamo utilizzare diverse procedure sintattiche (tipiche dell'orale ma pienamente legittime nei testi scritti di media formalità): a spostare l’elemento in fondo alla frase, come abbiamo visto per il caso del soggetto: (70) vado > Vado io; Matteo è partito > È partito Matteo; Lui ha ragione > Ha ragione lui; b. mettere in evidenza, all’inizio o alla fine (ovvero, a sinistra o a destra del verbo) , l'elemento "noto" separandolo dal resto della frase per mezzo di una pausa. La parte restante della frase svilupperà quindi il discorso "nuovo" o "rema", cioè l'informazione nuova che si vuole dare a proposito dell'elemento evidenziato a "tema". Questo tipo di messa in evidenza o "dislocazione" provoca la formazione di due distinti segmenti di frase. L'intera costruzione viene pertanto indicata con il nome di "frase segmentata". Quando la frase segmentata presenta la "dislocazione del tema a sinistra" la pausa è meno forte e l’elemento dislocato rappresenta l’elemento "noto", a partire dal quale si intende svolgere il seguito del discorso, che porta l’informazione "nuova": Dislocazione a sinistra NOTO o TEMA o CENTRO DI INTERESSE NUOVO o REMA A Maria, (= "per quanto riguarda Maria") voglio regalare un cane. Del lavoro, (= "a proposito del lavoro") non abbiamo parlato. Nella "dislocazione del tema a destra", invece, la pausa è più lunga, l’intonazione è discendente e il "tema" in fondo alla frase ha la funzione di ribadire, di confermare l’informazione che si considera già conosciuta, mentre l'informazione "nuova" è messa in prima posizione: Dislocazione a destra NUOVO o REMA NOTO o TEMA Voglio regalare un cane, ‘a Maria. Non abbiamo parlato, del lavoro. La "frase segmentata" è frequentissima nel parlato quotidiano e discretamente presente anche nei testi scritti di media formalità. Oltre al tipo che abbiamo appena visto, esiste anche una frase segmentata in cui il "tema" viene ripetuto attraverso l’uso di un pronome nel secondo segmento della frase. Esempio: Il caffè l'ho preparato; A me i dolci mi piacciono; Di questa storia, non ne so niente. La messa in evidenza di un elemento attraverso la sua emarginazione dal resto della frase può giungere fino alla "scissione" della frase in due parti. Nella prima parte viene affermata l’informazione "nuova", utilizzando il verbo essere seguito dall’elemento che si vuole mettere in risalto; nella seconda parte, introdotta da che + verbo finito, Pag. |62 si ripropone l’informazione già "nota". Posizione dell’aggettivo In italiano l’aggettivo può trovarsi prima o dopo il nome a cui si riferisce. La diversa collocazione non è del tutto libera, ma è anzi soggetta ad alcune importanti restrizioni. Distinguiamo intanto tra: c. aggettivi "determinativi": sono usati per precisare e delimitare il nome, in riferimento a determinati aspetti come il possesso, la collocazione, il numero, la definitezza, l’identificazione; d. aggettivi "qualificativi" o "affettivi": descrivono una qualità del nome mettendo in evidenza l'aspetto, la forma, le caratteristiche fisiche o la percezione psicologica che di questo nome si ha. Sono "determinativi" gli aggettivi "possessivi" (mio, tuo, suo, ecc.), i "dimostrativi" (questo, quello), i "numerali" e "cardinali" (due, tre, secondo, terzo), gli "indefiniti" (alcuno, nessuno), gli "identificativi" e gli "interrogativi" (stesso, medesimo, quale, quanto). Appartengono al secondo gruppo dei "qualificativi", invece, aggettivi come bello, brutto, alto, basso, bianco, verde, nero, largo, stretto, ecc. Per quanto riguarda la posizione che un aggettivo può occupare rispetto al nome, va detto che questo dipende dal tipo di relazione che c’è tra il nome e il suo aggettivo. Gli aggettivi "determinativi" hanno un rapporto così forte con il nome che determinano da poter essere usati in forma assoluta e divenire così dei pronomi. Il loro posto è, di regola, davanti al nome: /a mia casa; questo libro; il primo giorno; nessuna paura; la stessa strada. I possessivi di 1° e 2° persona singolare e plurale, tuttavia, si pospongono sempre nei casi di enfasi come, per esempio, le espressioni vocative ed esclamative: Amico mio!; Figli miei!; Dio mio!; Casa nostra! La posizione normale, cioè non marcata da enfasi, dell’aggettivo "qualificativo" è invece dopo il nome cui si riferisce: un fiore giallo; una macchina nuova; un lavoro impegnativo; un’idea geniale; una frase gentile. Infatti, di norma, prima viene l'elemento da qualificare e dopo la sua qualificazione aggettivale. Però, se si vuole mettere in risalto, secondo un proprio personale punto di vista emotivo o stilistico, le qualità del nome, si colloca l'aggettivo qualificativo davanti a questo. La differenza tra un tavolo grande e un grande tavolo la neve bianca e la bianca neve una casa bella le una bella casa i capelli neri e i neri capelli non è nel significato lessicale del termine usato (grande, bianca, bella, neri), che è sempre lo stesso, ma nel significato particolare, affettivo o espressivo o enfatico, che aggiungiamo all’aggettivo qualificativo: la bianca neve, per esempio, indica una partecipazione emotiva da parte di chi parla che non c’è in un enunciato oggettivo, "freddo", come /a neve bianca. Posizione dei pronomi personali Il sistema dei "pronomi personali" in italiano è molto complesso ed articolato. I pronomi personali infatti assumono forme diverse a seconda della loro funzione della frase. Quando hanno funzione di soggetto hanno forma "retta"; in tutte le altre funzioni hanno forma "obliqua" (o complemento). Le forme "oblique", a loro volta, si dividono in forme "toniche" (o "forti") che hanno un proprio accento e forme "atone" (o "deboli") che non hanno un proprio accento e, per questo, devono appoggiarsi sempre al verbo. I pronomi soggetto di terza persona singolare e plurale assumono le forme /ui (maschile), /ei (femminile), loro (plurale) in tutti i casi di enfasi e, in particolare, quando a) sono poste dopo il verbo: "Lo ha fatto lui!" e in funzione predicativa: Se io fossi lei; b) dopo come e quanto; c) dopo anche, proprio, pure, perfino, neanche, Pag. |65 o In questo caso il termine da “scoprire” è posto nelle parti interne della sequenza, ma il ragionamento da effettuare è sempre lo stesso. Si parte quindi dai primi due numeri in sequenza e si cerca la relazione che li lega. Si può ipotizzare che sia una relazione di divisione (400:2=200) oppure una relazione di sottrazione (400-200=200). Quest’ultima ipotesi però va scartata perchè nella coppia di numeri successiva non si può applicare la stessa sottrazione, in quanto 200-200 fa zero e non 100 come richiesto dalla serie numerica. Si torna quindi all’idea della divisione e si vede che 200:2=100, quindi c’è ancora corrispondenza tra la relazione ipotizzata e la serie proposta. Ancora: 100:2=50 (che sarebbe quindi il numero mancante) e 50:2=25, il che fa capire che la divisione per 2 è il legame che unisce i numeri della serie numerica. La risposta corretta è quindi la C. È molto importante, quando si affronta questo tipo di esercizi, guardare attentamente la serie nel suo insieme prima di cercare le relazioni che non sempre saltano istantaneamente all’occhio. Innanzitutto bisogna vedere se la serie è crescente (i numeri sono via via più grandi) o decrescente (i numeri sono via via più piccoli). Questo infatti dà una prima indicazione su quale possa essere la relazione da cercare. Infatti, se i numeri della serie sono crescenti, va da sé che le relazioni possono essere di somma o di prodotto, ma non di sottrazione o divisione. Queste ultime due operazioni infatti portano i numeri a decrescere e quindi saranno utilizzate nelle serie decrescenti. Inoltre nelle serie crescenti per prodotto si raggiungono facilmente numeri abbastanza elevati e di solito gli intervalli tra due numeri consecutivi vanno sempre ad aumentare. Nelle serie somma, invece, le distanze tra i numeri consecutivi sono sempre abbastanza simili e inoltre difficilmente si raggiungono intervalli numerici (tra il primo numero della serie e l’ultimo) molto ampi. I due esempi precedentemente riportati, uno di moltiplicazione e uno di divisione, evidenziano l’andamento crescente nel primo caso e decrescente nel secondo. Anche le somme creano un andamento crescente, ma di solito non si raggiungono numeri grandi come nel caso delle serie crescenti per moltiplicazione. Infatti, se partiamo dal 6 come nella serie dell’esempio 1, ma al posto di moltiplicare per 3, sommiamo il 3, si ha la seguente serie: ESEMPIO 3 ?6 9 12 15 A) 1 B) 2 O 3 D) 4 E) 5 In questo caso, la relazione tra i due primi numeri disponibili, il 6 e il 9, è che 9=6+3, e successivamente, 12=9+3; 15=12+3. Ne deriva che il numero da ricercare, è un numero che, sommato a 3 dia 6, ossia proprio il numero 3 (3+3=6). La soluzione corretta quindi è quella proposta dalla lettera C. Si nota come la distanza tra il primo e l’ultimo numero della serie è molto minore rispetto alla distanza tra primo ed ultimo numero dell’esempio 1. Questa differenza di ampiezza aiuta a capire se la serie è una serie prodotto o una serie somma. Tuttavia le serie non sono sempre crescenti o decrescenti, ma possono essere miste. In questo caso è possibile che si debbano alternare somme e sottrazioni oppure divisioni e moltiplicazioni. Vediamo un esempio per comprendere meglio come si possono presentare le serie di questo tipo. Pag. |66 ESEMPIO 4 416 8 32 16 ? A) 32 B) 40 O) 48 D) 64 E) 100 La logica che lega questa serie, in cui i numeri crescono e decrescono è la seguente: i primi due numeri sono legati da una relazione di moltiplicazione per 4 (4x4=16). Il secondo e il terzo da una divisione per 2 (16:2=8) il terzo e il quarto ancora da una moltiplicazione per 4 (8x4=32) mentre il quarto e il quinto ancora da una divisione per 2 (32:2=16). Ne deriva che l’ultimo numero deve essere collegato di nuovo da una moltiplicazione per 4 con il penultimo e quindi 16x4=64, per cui la risposta corretta è la D. Le serie miste crescenti e decrescenti possono avere anche molte altre chiavi di lettura. Di seguito si riportano altre possibili combinazioni e vengono spiegati i metodi risolutivi. Un esempio che a prima vista può sembrare non avere nessuna chiave di lettura è il seguente: ESEMPIO 5 30 28 25 25 20 22 ? A) 25 B) 22 O) 20 D) 15 E) 10 Come si diceva sopra, la prima cosa da fare è dare uno sguardo alla serie. Si capisce subito che questa serie è diversa da quelle presentate precedentemente, innanzitutto perchè all’interno vi sono due numeri uguali consecutivi, poi perchè non è né crescente né decrescente. Se si prova a cercare la relazione logica tra il primo e il secondo termine, salta facilmente all’occhio che i due numeri sono legati tra di loro da una relazione di sottrazione (30-2=28). Tuttavia questa relazione non è verificata tra il secondo e il terzo mumero, per i quali esiste invece un’altra relazione di sottrazione: 28-3=25. Si può quindi pensare che la serie è legata da una relazione di sottrazione di numeri via via crescenti: dapprima -2, poi -3, poi -4 ecc. Tuttavia il terzo e il quarto numero evidenziano che questa relazione non è possibile perchè la presenza di due numeri uguali rompe la relazione logica che si stava cercando di confermare. Come si risolve una situazione del genere? Bisogna tenere conto che non sempre le relazioni vanno cercate tra due numeri successivi, ma alcune sequenze logiche presentano delle alternanze, ossia i numeri in sequenza sono uno sì e uno no. Nel nostro caso i numeri in sequenza sono alternati ad uno ad uno, quindi 30, 25 e 20 sono legati tra di loro da una relazione di differenza -5 (30-5=25; 25-5=20), mentre gli altri e cioè 28, 25 e 22 sono legati da un’altra relazione di differenza, stavolta -3 (28-3=: 5-3=22). Unendo così due sequenze alternate, ne deriva che il numero mancante andrà calcolato a seconda che si trovi nell’una o nell’altra sequenza. Nel nostro caso, il numero mancante fa parte della sequenza differenza -5 e quindi sarà pari a 20-5, ossia 15 (risposta C). Una sequenza abbastanza semplice, ma allo stesso tempo varia, è quella che prevede somme o differenze di numeri via via crescenti o decrescenti. Vediamo ad esempio, la seguente serie. Pag. |67 ESEMPIO 6 30 28 25 21? 10 A) 25 B) 21 O) 20 D) 18 E) 16 Questa serie prevede una differenza tra i numeri seguenti sempre diversa e in particolare sempre crescente.Infatti: 30-2=28; 28-3=25; 25-4=21; a questo punto dovrà seguire una differenza -5, ossia 21- 5=16 (quindila E sarà la risposta corretta). Continuando, si trova la conferma dell’esattezza della successione in quanto il numero trovato, al quale andrà sottratto il 6, completa la serie dell’esempio: 16- 6=10. Come si fa a riconoscere una serie di questo tipo? Come per le altre serie si deve dapprima dare uno sguardodi insieme che permetterà di notare che la serie è decrescente. Poiché inoltre risulta leggermente decrescente, ne deriva che si debba da subito ipotizzare che sia una serie sottrazione e non una serie divisione. Si cerca allora la relazione tra i primi due numeri, che è facilmente individuabile e si prova a far coincidere la stessa anche per i successivi. Qualora questa non combaciasse, si cerca la relazione tra la differenza dei primi due numeri e quella dei secondi due. In questo caso la relazione è abbastanza sempliceperchè si hanno dei numeri via via crescenti. Ma possono verificarsi anche sequenze in cui la relazione è più complessa, come negli esempi successivi. ESEMPIO 7 120 115 105 90 70 ? A) 45 B) 50 O) 55 D) 60 E) 65 Una serie di questo tipo è decrescente e gli intervalli tra i due numeri vicini sono sempre diversi. Si trova però subito la relazione tra i primi due numeri, ossia una relazione di differenza -5 (120-5=115), ma la stessa relazione non si applica al numero successivo. Infatti da 115 a 105 bisogna sottrarre 10. Allora bisogna fare attenzione alla relazione tra i due numeri da sottrarre: dapprima 5 e dopo 10. Si può ipotizzareche i numeri da sottrarre vadano sempre crescendo, seguendo la numerazione per 5. Quindi il numero successivo da sottrarre dovrebbe essere, eventualmente, il 15 e poi il 20. Controllando la sequenza ci si accorge che proprio questi sono i valori che servono per passare da un numero all’altro: infatti, 105-90=15e 90-70=20. Seguendo la numerazione allora, il numero mancante si otterrà sottraendo 25, valore successivo nella numerazione per 5. Si ha allora, 70-25=45 (la risposta esatta è quindi la A). Ancora, ci possono essere relazioni dirette tra due numeri successivi che determinano lo svilupparsi delleserie. Pag. |70 ESEMPIO 13 be i po? A) r B) t C) u D) v E) z In questo caso tra le prime due lettere, “b” ed “e”, passano tre spazi, compresa l’ultima lettera, (c,d,e). Trala seconda e la terza, invece, passa uno spazio in più (f,g,h,i). Già da qui si può immaginare che la serie siacostruita in modo che tra due lettere successive passi sempre uno spazio in più rispetto a quello delle lettere precedenti. Infatti, controllando le relazioni tra la “i” e la “p” si nota che intercorrono 5 spazi (1,m,n,0,p), per cui ci si aspetta che la lettera che manca sarà quella a distanza sei lettere dalla “p”, ossia la “v” (risposta D). La differenza principale tra le serie numeriche e quelle letterali è che i numeri sono infiniti, mentre le letteresono limitate. Non è raro, per questo, trovare che le serie letterarie, una volta arrivate alla “Z”, riprendanoda capo permettendo così un maggior numero di possibilità. Poiché, come si diceva, si possono costruire serie letterali molto simili a quelle numeriche, si possono trovare, anche con le lettere, serie composte, costituite da due (o più) sequenze accostate, magari una somma e una sottrazione. ESEMPIO 14 ae e di co? A) b B) e C) h D) n E) z La campanella d’allarme dovrebbe suonare nel vedere due lettere simili: raramente una serie crescente o una decrescente presentano lettere o numeri simili, a meno che non si tratti di serie moltiplicazione in cui si ritrova una moltiplicazione per 1 (vedi esempio 9). Più spesso lettere o numeri uguali indicano una seriemista, che seguono logiche diverse tra di loro. In questo caso c’è una serie crescente tra la prima, terza, quinta e settima lettera della sequenza e una serie decrescente tra la seconda, quarta e sesta lettera. Vista l’alternanza, la lettera da “scoprire” fa parte della serie decrescente che andiamo ad analizzare. Partendo dalla lettera “e” (la prima, quella subito dopo la“a”), la lettera successiva della serie decrescente è una “d”, ossia la lettera prima della “e”. Dopo la “d” viene la “c” (lettera prima della “d”): ne deriva che la lettera da indovinare sarà la “b”, che nella serie decrescente è la lettera che precede la “c”. Quindi la risposta corretta è la A. Le serie miste alfa-numeriche Si possono trovare anche serie miste, composte cioè sia da termini numerici che letterali. Anche in questo caso valgono tutte le possibilità degli esempi precedenti, e cioè addizione, sottrazione (moltiplicazione e divisione per le serie numeriche) e, soprattutto, sequenze alternate. Infatti, trovandosi di fronte ad una seriealfanumerica, spesso ci si trova davanti una sequenza che segue una logica per il termine numerico ed un’altra per quello letterario. Pag. |71 ESEMPIO 15 4 c 12 f 36 i? A)m B) q C) 78 D) 108 E) nessuna delle risposte è corretta In questo caso la serie numerica è una serie moltiplicativa x3, mentre la serie letterale è una +3. Il termineche manca è un numero, e quindi deve essere la continuazione della serie moltiplicativa x3, ossia 36x3=108(risposta D). Le serie grafiche Le serie grafiche presentano, al posto di lettere o numeri, delle figure geometriche o non geometriche chesono messe in relazione. La logica che caratterizza le serie grafiche si basa su variazioni di colore (solitamente alternanza bianco-nero); su variazione del numero di lati o angoli delle figure presentate; su relazioni spaziali (spostamenti di elementi da destra a sinistra, dall’alto verso il basso o avanti-dietro). Vediamo subito alcuni esempi che permettono di comprendere meglio i vari casi. ESEMPIO 19 Trovare la figura che completa la serie Come per le serie numeriche, anche in questo caso la serie va osservata bene nel suo insieme. Si notano ‘una serie di figure geometriche bianche (quindi si esclude subito che si debba cercare un’altemanza di colori) e si nota che ogni immagine è costituita da un’unica figura geometrica. Inoltre è chiaro che la serieprevede figure geometriche con un numero sempre crescente di lati. Quindi dopo il triangolo (3 lati), il quadrato (4 lati) il pentagono (5 lati) e l’esagono (6 lati) deve logicamente seguire un eptagono (7 lati). Larisposta corretta è quindi la D. Pag. |72 o ESEMPIO 20 Individua la figura che completa la serie seguente O $° a o o o O O . o . O ° A Questa serie, come già visto per le serie numeriche e letterali, è formata da due sequenze diverse che si alternano: una di cerchietti e una di quadratini. La grafica mancante, quindi, sarà necessariamente costituita da cerchietti, per cui si possono già scartare le risposte A e D. Bisogna ora capire come si alternano i cerchietti bianchi e neri per trovare la soluzione. Per prima cosa si noterà che l’altemanza bianco-nero nonè uguale, ma ci sono due cerchietti bianchi che separano i neri che invece si presentano sempre singolarmente. Nella prima immagine il cerchietto nero è centrale, mentre nella terza sembra essere “salito” di una posizione e contemporaneamente dal basso ne è spuntato un altro. Si può immaginare allora di trovarsi in una relazione spostamento alto- basso, per cui si deve cercare, tra le soluzioni, una figura che avrà il cerchietto nero in “prima posizione”, ossia nella parte più alta del grafico. Le due possibili rispostesono la C e la E. Tuttavia, si nota subito che l'alternanza un nero-due bianchi che caratterizza le prime dueimmagini della serie è conservata solo nella risposta C, mentre la E presenta tre cerchietti bianchi di seguito, per cui non può corrispondere alla conclusione della sequenza. La risposta corretta è quindi la C. Pag. |75 ESEMPIO 23 Trovare la figura che completa la serie In questa serie si nota subito che sono presenti figure geometriche con riempimenti diversi: rosa, giallo e celeste. È quindi possibile che la logica di successione riguardi un legame geometrico o un legame “di colore”. Un primo sguardo non permette di notare una “logica” nell’alternanza tra le figure geometriche, ma permette di notare che, indipendentemente dalla figura geometrica, ogni raggruppamento segue la seguente successione di colori: la figura in primo piano è celeste; quella centrale è gialla; quella di dietro è rosa. Quindi anche la figura mancante dovrà seguire la stessa successione, per cui ne deriva che la rispostacorretta è la A, l’unica che ha la figura rosa dietro, quella gialla al centro e quella a celeste davanti. Le proporzioni Una proporzione è un’uguaglianza tra i rapporti di più grandezze, omogenee a due a due. I termini di una proporzione del tipo A : B= C : D (si legge A sta a B come C sta a D) prendono i seguenti nomi: - A e D termini estremi della proporzione - Be C termini medi della proporzione Se si considerano invece i termini in relazione alla loro vicinanza al segno di divisione, allora A, B, C e Dprendono i seguenti nomi: - A e C termini antecedenti (in quanto termini che precedono il simbolo delladivisione) - B e D termini conseguenti (in quanto termini che seguono il simbolo della divisione) Le proporzioni, come molti altri enti matematici, presentano una serie di proprietà che riportiamo di seguito(si prenda sempre in considerazione la proporzione A : B=C : D). Proprietà fondamentale delle proporzioni In una proporzione il prodotto dei medi è uguale al prodotto degli estremi A * D= B * C Proprietà dell'invertire B:A=D:C Proprietà del permutare i mediA :C=B:D Pag. |76 Proprietà del permutare gli estremi D:B=C:A Proprietà del comporre (A+B):B=(C+D):D oppure (A + B) : A= (C+D):C Proprietà dello scomporre (A-B):B=(C-D):D (conA>B) oppure (A-B):A=(C-D):C Proprietà del comporre e dello scomporre (A+B):(A-B)=(C+D):(C-D) (con A>B) Quando i due termini medi sono uguali tra di loro, allora prendono il nome di “medio proporzionale”. Da tutte queste formule ne consegue che, avendo un’incognita al posto di uno dei termini, si potrà, utilizzando le precedenti proprietà, trovare il valore dell’incognita (ad esempio se siha A:B=C: X, segueche X = BC/A). Alcune proporzioni non sono dirette, ma inverse, quindi non si ha una relazione del tipo A :B=C:D, ma A : B= 1/C: 1/D che può anche scriversi come A : B = D : C. Questo tipo di relazione è spesso usata nei quiz e verrà approfondita in un esempio successivo. ESEMPIO 25 Trovare il termine che completa la seguente proporzione30 : X = 5 : 15 A) 150 B) 100 Cc) 90 D) 75 E) 45 Per risolvere questa proporzione bisogna ricordare che ogni volta che si deve trovare il termine mancante di una proporzione basta moltiplicare i termini estremi (se il numero da trovare è un medio) o i medi (se il numero da trovare è un estremo) e dividere per l’altro numero restante. In questo caso la X sarà data da 30x15:5=90. Quindi la risposta corretta è la C Altri test da risolvere tramite le proporzioni possono essere i legamenti Pag. |77 ESEMPIO 26 Un architetto sta facendo un progetto di una casa alla scala di 1:10, ossia un centimetro del progetto è paria 10 metri della costruzione reale. Quanto valgono sulla carta i 17 metri di una delle pareti della casa? A) 1,5 B) 1,7 C) 15 D) 17 E) nessuna delle risposte precedenti è corretta Per risolvere questo quesito dobbiamo impostare una proporzione. Se 1:10 evidenzia che un centimetro è pari a 10 metri reali e il quiz vuole sapere quanto valgono sulla carta 17 metri reali, allora ne deriva che laproporzione da impostare è 1:10=X:17 Infatti 10 e 17 indicano i termini della costruzione reale e quindi vanno messi tutti e due come conseguenti(o, capovolgendo la proporzione, tutti e due come antecedenti, cioè 10 : 1 = 17 : X), mentre 1 e il valore da trovare vanno messi tutti e due come antecedenti (o eventualmente, capovolgendo la proporzione, tuttie due come conseguenti). Ne deriva allora che X=1x17:10=1.7 (risposta B). Ma la maggior parte dei quiz che utilizza le proporzioni è tipo quelli riportati nei due esempi che seguonoe che richiedono l’utilizzo delle proporzioni dirette ed inverse. ESEMPIO 27 Per piastrellare un marciapiede di 200 metri, 4 operai impiegano 7 giorni di lavoro. Quanti giorni ci impiegherebbero gli stessi operai a piastrellare 300 metri dello stesso marciapiede? A)T B) 8.5 09 D) 10.5 E) 12 Questo è un quesito di proporzionalità diretta, in quanto è evidente che maggiore sarà la lunghezza del marciapiede, più tempo ci impiegheranno gli operai a piasterllarlo. In particolare, se per piastrellare 200 metri ci metteranno 7 giorni, per piastrellarne 300 ci metteranno un numero di giorni maggiore dato dalla proporzione seguente: 200:7=300:X Da cui: X=7x300:200=10.5 (risposta D) (si noti che il numero di operai che lavora non incide sull’impostazione della proporzione). Il seguente, invece, è un quesito di proporzionalità inversa. La proporzionalità inversa evidenzia che la relazione che c’è tra i primi termini della proporzione è inversamente valida per i secondi termini della proporzione, ossia: B= /C: /D Questo tipo di proporzioni si incontra nei quesiti in cui viene richiesto il calcolo di un termine che, all’aumentare dei valori della prima paite della proporzione, tende a diminuire o viceversa, al diminuire del valore della prima parte della proporzione, tende ad aumentare. Pag. |80 quantoammonta lo sconto? A) circa 80% B) circa 50% C) circa 33% D) circa 17% E) circa 5% Anche in questo quesito bisogna calcolare la proporzione che permette di rapportare i valori alle percentuali. Il quesito in questione è simile al precedente come impostazione, ma differisce per il fatto cheora si ha il prezzo finale e bisogna calcolare la percentuale di sconto. La proporzione sarà quindi: 30: 100=25:X Da cui X=100x25:30=83 .33 Questo valore rappresenta il corrispondente percentuale dei 25 euro, mentre per sapere di quanto è lo sconto, bisogna sottrarre il valore ottenuto dal 100%. Quindi lo sconto sarà 100-83.3=16.7 ossia 17% circa, come da risposta D.ESEMPIO 33 Una busta contiene 76 caramelle di cui 24 a menta, 38 a limone e il rimanente a fragola. Qual è la percentuale di caramelle a limone? A) 24% B) 50% 0) 76% D) 80% E) nessuna delle risposte è corretta Questo quesito, come altri, fornisce informazioni inutili che possono distrarre il candidato dal focalizzare il punto. Infatti volendo conoscere la percentuale di un certo numero di caramelle, non servono le informazioni sulle altre caramelle, ma solo la quantità totale. Il totale, ossia il 100% è 76, quindi per saperea che percentuale corrispondono le caramelle al limone bisogna impostare la seguente proporzione: 76 : 100 = 38 : X Da cui X=38x100:76=50 Le caramelle al limone quindi rappresentano il 50% del totale (risposta B). Un altro tipo di quesiti riguarda la variazione percentuale di prezzo o di qualsiasi altra grandezza. La variazione percentuale indica, ad esempio nel caso di prezzi, la variazione di prezzo, espressa in percentuale, che uno stesso oggetto ha subito a distanza di mesi o di anni. Ad esempio, un maglione che costava 105 euro e viene venduto l’anno successivo a 140 euro, ha subito unincremento del 33%, mentre, se costava 140 euro ed è stato scontato al prezzo di 105 euro, vuol dire che ha avuto un decremento del 25% circa. Vediamo i calcoli: se voglio calcolare l’incremento percentuale faccio la differenza tra i prezzi (il più alto meno il più basso):140-105=35 Successivamente divido il risultato ottenuto per il prezzo più basso, in questo caso 105 ed ottengo 35:105=0.33 (circa) E infine moltiplico il valore ottenuto per 100, 0.33x100=33%La formula può essere scritta come segue: (Ve- Vi:Vi)x100 dove Vr= valore finale e V; = valore iniziale. Se invece il maglione è stato scontato, quindi costava 140 e lo pago 105, allora il decremento sarà dato dauna formula simile, con la differenza che la divisione verrà fatta non per il prezzo più basso, ma per quellopiù alto: (Ve Vi: 1)x 100=25% ESEMPIO 34 Un minimarket ha una superficie di 360 mq. Un secondo minimarket ha una superficie che è minore del precedente del 15%. Quanti mq misura il secondo minimarket? A) 54 B) 108 O) 206 D) 315 E) 345 Ancora una volta bisogna applicare la proporzione che relaziona i numeri alle quantità percentuali: 360 :100 = X : 15 X=360x15:100=54 Naturalmente il numero ottenuto rappresenta il corrispondente del 15% e non la soluzione. Per ottenere lasoluzione bisogna sottrarre al totale (360) il numero ottenuto dai calcoli. Quindi il secondo minimarket avrà una superficie pari a 360-54=206 mq (risposta C).ESEMPIO 35 100 grammi di un alimento presentano il 5% di proteine e il 75% di carboidrati. Quanti grammi di carboidrati presenteranno 25 grammi dello stesso prodotto? A) 5.85 B) 18.75 0) 25 D) 27.38 E) 50.8 Anche in questo quesito viene fornita un’informazione inutile, ossia la percentuale di proteine nell’alimento. Per la soluzione del problema dobbiamo considerare che i 100 grammi rappresentano il 100% dell’alimento, di cui il 75% è rappresentato dai carboidrati. Quando si prenderanno solo 25 grammidell’alimento, la percentuale dei carboidrati sarà sempre del 75%, solo che stavolta sono i 25 grammi a rappresentare il 100% dell’alimento. Quindi l’equazione da svolgere sarà: 25 : 100 = X : 75 X=25x75:100=18.75 Pag. |82 ESEMPIO 36 Un negozio di abbigliamento che fino al 2008 aveva avuto una vendita di circa 800 capi all'anno, nel 2009registra una vendita di 1000 capi all'anno. Qual è stato l'incremento percentuale delle vendite? A) 15% B) 25% C) 34% D) 47% E) 63% In questo tipo di quesiti viene introdotto il concetto di variazione percentuale. Bisogna cioè calcolare la variazione percentuale tra il valore finale (Vr) e quello iniziale (V;). Tale variazione è data dalla formula generica ((Vr-Vi):Vi)x100 In questo caso quindi ((1000-800):800)x 100=25 L’incremento percentuale sarà quindi del 25% (risposta B). ESEMPIO 37 Un ciclista amatore percorre giornalmente 120 km per allenarsi. A due mesi dalla gara incrementa la distanza e percorre ogni giorno 175 km. Qual è l'incremento percentuale della distanza? A) dipende dalla velocità del ciclista B) circa il 30% O) 38% D) circa il 46% E) 55% Anche in questo quesito bisogna calcolare una variazione percentuale data dalla formula generica: ((Vf -Vi):Vi)x100 in cui il valore iniziale è 120 e quello finale è 175. Si ha allora: ((175-120):120)x100=45.8%, ossia circa il 46% (risposta D).ESEMPIO 38 Un'azienda ha un fatturato annuale di 850mila euro. Quale sarebbe il decremento percentuale se il fatturato annuale passasse a 715mila euro? A) circa il 16% B) circa il 20% O) 45% D) 48% E) circa il 57% In questo test non bisogna calcolare un incremento ma un decremento. Questo vuol dire che nella formula la divisione deve essere effettuata con il numero dal valore maggiore. ((850000-715000)/850000)x 100=15.8% Il decremento quindi è del 16% circa, come indicato in risposta A. Pag. |85 ESEMPIO 41 In un bicchiere ci sono 6 caramelle a menta e 15 a fragola. Qual è la probabilità che, pescando ad occhi chiusi, esca una caramella a menta? A) 6% B) 10% C) 15% D) 21% E) 28.5% I numeri di casi favorevoli sono 6 mentre quelli possibili sono 15+6=21. La probabilità di pescare una caramella a menta quindi è: pit _vogs np 21 Che, espresso in percentuale è pari al 28.5% (risposta E). A seconda dei quiz, i risultati possono essere richiesti sotto forma di frazione, come numero assoluto o come percentuale. Ma essendo le risposte già scritte e solo da scegliere, non si può incorrere in errori. È bene comunque abituarsi ad esprimere le probabilità in tutti e tre i modi. ESEMPIO 42 Dato un dado e una moneta, è più probabile che nel lancio del dado esca il 4 o che nel lancio della monetaesca testa? A) più probabile che esca 4 B) più probabile che esca testa C) la probabilità è la stessa D) non si possono paragonare questi due dati E) nessuna delle risposte è corretta Questo tipo di quiz mette a paragone due diversi eventi per i quali bisogna calcolare la probabilità che essisi verifichino e definire quindi quale sia più o meno probabile a seconda di quale sia la domanda richiesta.Il procedimento iniziale è quindi sempre lo stesso, ossia considerare i casi favorevoli e quelli probabili. Inseguito vanno paragonati i due risultati per vedere quale dei due ha una probabilità di accadimento maggiore o minore per potere quindi rispondere correttamente. Nel nostro caso, per il dado si ha n=1np=6 Probabilità 1/6 Per la moneta invece si ha: nel np=2 Probabilità 1/2 Si ha quindi, per il dado, il 17% circa di probabilità, mentre per la moneta il 50%, quindi è più probabileche esca testa nel lancio della moneta (risposta B). ESEMPIO 43 Lanciando due dadi non truccati, che probabilità si ha che la somma delle facce Pag. |86 sia 42A) 1/2 B) 3/2 O 416 D) 1/12 E) 1/4 Quando si lanciano due dadi, i numeri che permettono di avere 4 sono: dado 1 dado 2 1 3 2 2 3 1 Quindi ci sono 3 casi favorevoli su un totale di 36 casi possibili (6 facce per ogni dado fanno sì che si possano avere 36 casi possibili; si vedrà in seguito che la combinazione di due eventi si calcola moltiplicando i casi dei due eventi) da cui: probabilità (risposta D). ESEMPIO 44 In unbicchiere ci sono cinque palline e su ogni pallina c'è un numero che va da 1 a 5. In un altro bicchiere ci sono altre cinque palline su cui sono segnati i numeri da 6 a 10. Se si estrae una pallina da ciascun bicchiere, qual è la probabilità che la somma dei numeri delle palline sia 11? A) 11/10 B) 6/5 © 3/11 D) 1/5 E) 7/4 Quando si estrae la prima pallina dal primo bicchiere, qualunque sia il numero estratto, la probabilità che la somma sia 11 dipende dal numero estratto dal secondo bicchiere. In questo, ci sono 5 possibili numeri da estrarre (quindi ny=5) ma solo un numero, per come sono stati scelti i numeri nell’esercizio, potrà darecome somma il numero 11 (quindi n;=1). Infatti, ipotizziamo che dall’estrazione del primo bicchiere esca il numero 4. Dei numeri del secondo bicchiere (che sono 5 e vanno da 6 a 10), solo uno, il 7, sommato al 4, darà 11. Lo stesso dicasi per qualsiasi numero venga estratto dal primo bicchiere. Quindi p-"% I n o ' Pag. |87 La risposta corretta è quindi la D. Combinazioni di eventi Molto spesso i quesiti possono richiedere delle combinazioni di eventi, ossia che due o più eventi si verifichino insieme. In questo caso si devono calcolare le probabilità legate a ciascun evento e poi unirle per ottenere la soluzione finale. L’unione delle soluzioni, quando i due eventi sono indipendenti tra loro, ossia si verificano senza influenzarsi l’un l’altro, avviene per moltiplicazione, come si può vedere nell'esempio di seguito. ESEMPIO 45 In un vaso ci sono 100 palline: 50 bianche e 50 nere. Chiudo gli occhi e pesco due palline: qual è la probabilità che esse siano entrambe nere?A) 2/100 B) 49/99 C) 49/198 D) 99/150 E) 2/98 Pescando la prima pallina ho n#np probabilità che essa sia nera. Ossia n_ SO I n 100 2 P= Quando però pesco la seconda pallina, le condizioni iniziali sono cambiate perché ora ho 49 casi favorevolisu 99 possibili, quindi n, 49 n 99 P La probabilità che entrambe le palline siano uguali è data dall’unione delle due probabilità, ossia dal prodotto dei due risultati: pla49_ 49 2 99 198 Quindi la risposta corretta è la C.ESEMPIO 46 Una scatola contiene 2 cioccolatini al latte e 10 fondenti. Una seconda scatola contiene 8 cioccolatini al latte e 4 fondenti. Estraiamo un cioccolatino da ciascuna scatola: che probabilità c’è che siano entrambi allatte? A) 1/5 B) 4/7 © Il DS Il Do Il N S di N ui Da cui il totale: S n dà _10 6 3 18 In questo tipo di test la probabilità che si verifichi una situazione o l’altra dipende da quale tipo di cioccolatino viene estratto per primo: i due eventi sono cioè legati dal fatto che uno esclude l’altro. Si ha allora che per avere il risultato totale non si dovrà effettuare un’altra moltiplicazione, ma una somma, per cui si ha: I0 111 18 18 18 Quindi la risposta corretta è la A. È importante ricordare che due o più eventi possono essere indipendenti (ad esempio se lancio due dadi, ilnumero che esce da uno non dipende da quanto è uscito sull’altro) oppure dipendenti (ossia nel caso dell’esempio di sopra, la prima estrazione condiziona la probabilità che l’estrazione dell’altra scatola mi sia utile al calcolo della probabilità). Il totale di due eventi indipendenti viene ottenuto tramite moltiplicazione, quello di due eventi dipendenti tramite somma. Cenni di Calcolo combinatorio Il calcolo combinatorio permette di studiare e analizzare i modi per raggruppare e/o ordinare una serie di elementi di un insieme secondo regole date. Viene utilizzato per risolvere quiz che ad esempio richiedonoquante possibilità ci siano che lanciando un dado esca tot volte un numero o che da due o più barattoli contenenti palline di diverso colore se ne estraggano due o più uguali. Nel calcolo combinatorio si parla di permutazioni (semplici o con ripetizioni), disposizioni (semplici o con ripetizioni) e combinazioni (semplici o con ripetizioni). Pag. |91 Permutazioni semplici Una permutazione semplice indica un insieme di oggetti posti in sequenza: gli elementi di questa sequenzapossono essere presi solo una volta. Per effettuare una permutazione bisogna ricordare il significato di un numero fattoriale, ossia quel numero che, seguito da un punto esclamativo, indica che esso è pari al prodotto di tutti i numeri a partire dal numero stesso scendendo fino ad 1. Ad esempio 4! =4*3*2*1=24.Quando ho un insieme m, le permutazioni possibili sono pari a m! (m fattoriale, ossia m*(m-1)* (m-2)* *] = m!). ESEMPI 048 Quanti numeri diversi di 4 cifre posso creare a partire dai numeri 4-5-6-7? A) 20 B) 24 C) 36 D) 42 E) 80 Prima di applicare i calcoli, vediamo qual è la logica dell’esercizio. Iniziamo il nostro ragionamento dallaprima cifra a nostra disposizione, il 4. Trai vari numeri che possiamo ottenere il 4 potrà trovarsi per primo(es. 4XXX) o per secondo (X4XX) o per terzo (XX4X) o per ultimo (XXX4). Se consideriamo la secondacifra, il 5, essa avrà meno possibilità del 4, perchè troverà degli spazi già occupati: ad esempio se il 4 avevaquattro possibilità di posizione, il 5 avrà solo altre 3 possibilità (es. 45XX, oppure 4X5X, oppure 4XX5). Il 6, terza cifra tra quelle a nostra disposizione, troverà ancora meno spazio di inserimento, avendo solo due spazi liberi, mentre, fissate le prime tre cifre, l’ultima rimasta potrà sistemarsi solo e necessariamentein una posizione. Ne deriva che le posizioni sono descritte dal numero 4! Ossia 4x3x2x1=24 (risposta B).Esistono quindi 24 numeri che si possono costruire mettendo insieme le 4 cifre a disposizione. In generalesi può dire che il numero di permutazioni semplici di n oggetti è dato dal prodotto del numero n per i suoiantecedenti, ossia n! Il risultato che si cerca non è un numero derivante dalle cifre 4-5-6-7, ma solo il numero di possibilità chequeste si combinino tra di loro. Quindi non importa quale cifra si scelga per prima: le possibilità di sistemazione saranno sempre 4 per la prima, 3 per la seconda, 2 per la terza e una per l’ultima. Permutazioni con ripetizione In alcune permutazioni possono esserci degli elementi che devono ripetersi: si verifica cioè che un oggetto,una volta utilizzato, può essere utilizzato di nuovo. In questo caso, indicando con ki, ka, k3 fino a k.il numero di volte in cui si ripetono gli elementi 1, 2, 3, z, le permutazioni vengono calcolate tramite la seguente formula: ky .k3k3 2 n! k1*..k Pag. |92 ESEMPIO 49 Una partita di calcio tra due squadre è finita 5 a 3 per la squadra che giocava in casa. In quante possibili combinazioni si sono succedute le reti? A) 38 B) 44 C) 56 D) 67 E) 91 Questo problema presenta una permutazione con ripetizione. Può essere che le reti siano state segnate unaper ogni squadra e poi una squadra ne ha segnate due in più alla fine, oppure che sono state segnate primale 5 reti per una squadra e poi le 3 dell’altra. Il numero totale di reti segnate, è di 5+3=8. Le ripetizioni invece sono date dai valori 5 e 3. La formula da applicare sarà allora: 8! - = 56 S1*31! La risposta corretta è quindi la C. Disposizioni semplici Una disposizione semplice si verifica quando è dato un insieme S contenente n oggetti di lunghezza k. Poiché la disposizione è semplice non si possono avere ripetizioni dello stesso oggetto. Il numero Dn,k di disposizioni semplici di k oggetti estratti da un insieme di n oggetti è dato da: n! D = "* (n-k)! ESEMPIO 50 Avendo 20 libri, in quanti modi si possono disporre su una libreria 7 libri scelti tra i 20?A) 568700 B) 888954 C) 65842130 D) 78962500 E) nessuna delle precedenti risposte è corretta Combinazioni con ripetizione Come per le permutazioni e per le disposizioni, si possono avere le combinazioni con ripetizione, quandoalcuni componenti vengono ripetuti più volte. In questo caso si ha: n (n+k-1)! k!i(n-1)! Dove C° indica la combinazione con ripetizione.ESEMPIO 55 In quanti modi posso dividere 18 penne in 4 cassetti? A) 785 B) 960 C) 1330 D) 1545 E) nessuna delle precedenti risposte è corretta - 198 Risulta subito evidente che gli oggetti da distribuire sono le penne, per cui k=18. Ne deriva che la combinazione risulta pari a c (n+k-1)!_(4+18-1)! (n-1)!*k! (4-1)!*18! 211 = = 1330 31*181 (risposta C). Permutazioni, disposizioni e combinazioni Durante la lettura del testo di un esercizio può essere facile riconoscere che la soluzione debba essere ricavata tramite un calcolo combinatorio, ma si può avere difficoltà a riconoscere se si tratta di applicare le formule delle permutazioni, delle combinazioni o delle disposizioni (semplici o con ripetizione che siano). Un’importante domanda che bisogna porsi prima di affrontare un calcolo combinatorio è: ogni oggetto dell’insieme può essere utilizzato una sola volta o più di una volta? Inoltre, è importante l'ordine degli oggetti nell’insieme che sto considerando oppure no? Le risposte a queste domande ci aiuteranno a capire quale formula dovremo usare. Diamo qui uno schema riassuntivo per cercare di riconoscere facilmente, per le varie tipologie di esercizi,in quali casi ci si trova. Permutazioni semplici: numero di elementi = n; gli elementi differiscono solo per l'ordine: ordine diverso = raggruppamento diverso; tutti gli elementi sono diversi tra di loro.Formula: Pen! Pag. |96 Permutazioni con ripetizioni. Sono presenti più volte gli stessi elementi; Ordine diverso = raggruppamento diverso. Formula: i DI kt*...k! Distribuzioni semplici: Non ci sono ripetizioni degli oggetti. Ordine diverso = raggruppamento diversoFormula: n! DD, = * (n-h)! Disposizioni con ripetizioni: Sono presenti più volte gli stessi elementi; ordine diverso =raggruppamento diverso Duan Combinazioni semplici: Senza ripetizioni; ordine diverso = stesso raggruppamento e_= n! * KI*N-k)! Combinazioni con ripetizioni: sono presenti più volte gli stessi elementi; ordine diverso = stesso raggruppamento cr +k-1)! (n-1)!*kK! Per capire se in un esercizio devo usare le disposizioni, le permutazioni o le combinazioni, per prima cosabisogna chiedersi: nei gruppi che si devono formare, è importante l’ ordine con cui sono disposti Pag. |97 gli elementi? Se l’ordine non è importante ci troviamo nel caso delle combinazioni, mentre se è importante, allora ci troviamo di fronte ad un problema di permutazione o disposizione. A questo punto, per distinguerese sono nel campo delle permutazioni o delle disposizioni, devo comprendere se nei gruppi devono essere presenti ogni volta tutti gli elementi (in questo caso devo calcolare le permutazioni) oppure no (e allora utilizzo le disposizioni). ESEMPIO 56 Lanciamo una moneta sei volte. Qual è la probabilità di ottenere tre volte testa? A) 5/21B) 7/21 O) 1/16 D) 3/16 E) 5/16 Lanciando una moneta ho il 50% delle probabilità che esca testa e il 50% di probabilità che esca croce. Focalizziamo la nostra attenzione sull’uscita della testa, che è quella richiesta dal quiz. Ho quindi il 50% delle probabilità che corrisponde a 1/2. Poiché però devo effettuare 6 lanci, devo cumulare il risultato, avròquindi (1/2)6=1/64 casi possibili. Vediamo ora quali sono i casi favorevoli. Poiché bisogna che esca tre volte testa, allora vuol dire che bisogna combinare i sei lanci con le tre teste che devono uscire. Si ha quindi una combinazione semplice del tipo I C = n! "* kE*(n-K)! Con n=6 e k=3 da cui segue I I 2 c 6! 6! 720 20 3!*(61-3!) 31*3! 36 Conoscendo i casi favorevoli e quelli possibili, possiamo ora calcolare la probabilità, che è data da 20 5 P= = 64 16 Come in risposta E.