Scarica Manuale di storia del pensiero politico e più Dispense in PDF di Storia Del Pensiero Politico solo su Docsity! RIASSUNTO GALLI. STORIA DEL PENSIERO POLITICO (CAP. IX- XV) CAPITOLO IX. RAGIONE E RIVOLUZIONE In questo capitolo si analizzeranno alcune delle forme più radicali che ha assunto l’idea che la politica debba conformarsi alla ragione e si vedrà come questo radicalismo produca una critica della società e della civiltà che, in seguito alla crisi dell’antico regime, sfocia nella rivoluzione. 1. ROUSSEAU Il motivo fondamentale del pensiero politico di Rousseau è costituito dalla discontinuità tra storia e società giusta. Per Rousseau l’uomo non è naturalmente sociale e un immenso intervallo divide lo stato di natura dallo stato civile. L’ingresso in società è inevitabile e la capacità naturale dell’uomo a promuovere l’uscita dallo stato di natura. Si tratta quindi di distinguere tra una cattiva uscita dallo stato di natura che è proprio la storia dell’umanità e una buona uscita, cioè una drastica correzione della storia da realizzare con il contratto. Tutto questo è alla base della proposta politica di Rousseau . La civiltà e la storia (Critica delle arti) Con il Discorso sulle scienze e sulle arti, Rousseau poneva il quesito se le scienze e le arti avessero contribuito a migliorare i costumi. Infatti, Rousseau valuta il progresso in modo negativo per il miglioramento della vita morale e della libertà degli uomini. (Disuguaglianza) Nel primo discrorso, il fenomeno della disuguaglianza si configura (Disuguaglianza) Nel primo discorso, il fenomeno della disuguaglianza si configura piuttosto che come la causa della degenerazione umana, un fenomeno di un processo ben più complesso che vede nella ricchezza l’elemento che genera la corruzione. Rousseau si oppone alla concezione giusnaturalistica di un’umanità costantemente eguale a se stessa. (per i giusnaturalismi lo stato di natura è una condizione di indipendenza in cui gli uomini si trovano prima dell’istituzione del governo civile, cioè quando non sono ancora sottomessi all’autorità politica. Quindi questo significa che nessuno per natura è soggetto all’autorità di un altro e che gli uomini nascono liberi ed uguali). (L’uomo di natura) Il principio dal quale muove Rousseau è l’isolamento dell’uomo naturale che vive un’esistenza solitaria, senza contatti con i suoi simili. (L’uomo di natura) Il principio dal quale muove Rousseau è l’isolamento dell’uomo L’uomo fisico ci mostra l’origine dell’uomo. Da qui nasce il diritto naturale primitivo che si modifica con il passaggio dallo stato di natura allo stato civile parallelamente all’evoluzione dell’umanità. Infatti, ciò che nello stato di natura era istinto e bontà, nello stato civile diviene giustizia e ragione. (Evoluzione dell’umanità) Le tappe compiute dall’umanità in direzione del suo (Evoluzione dell’umanità) Le tappe compiute dall’umanità in direzione del suo perfezionamento non sono frutto di fatalità né provvidenza divina ma sono un effetto del principio originario introdotto da Rousseau: la perfettibilità. È proprio la capacità degli uomini di concorrere alle proprie scelte ad aver determinato il passaggio dall’uguaglianza primitiva alla disuguaglianza propria dell’umanità civilizzata. (Uscita dallo stato di natura) Per Rousseau lo stato di guerra non coincide non le (Uscita dalla stato di natura) Per Rousseau lo stato di guerra non coincide con le società primitive delle origini ma con la condizione dell’umanità civitalizzata. A differenza di quanto pensano Hobbes e i giusnaturalismi, per Rousseau non è il contratto all’origine delle relazioni sociali e delle società civili ma è appunto il contrario: gli uomini hanno dovuto abbandonare per vie non contrattuali il loro isolamento iniziale perché diventassero necessarie le società politiche e le norme giuridiche. Ma la società ingiusta da essi creata è percorsa dall’inimicizia reciproca. Questo porta all’esigenza di sottomettersi ad un’autorità comune per evitare la guerra. Quindi attraverso il patto nasce la società civile e si ristabilisce la pace. Questo patto però è un patto ingiusto. (Critica dello stato) La necessità di sancire questo patto, anche su un piano giuridico e politico, è all’origine di quella istituzione che è lo stato. Quest’ultimo ha un processo di decadimento scandito in tre tappe: (Critica dello stato) La necessità di sancire questo patto, anche sul piano giuridico e - la fondazione della legge e del diritto di proprietà (crea la distinzione tra ricchi e poveri) - l’istituzione della magistratura (sancisce la distinzione tra potenti e deboli) - trasformazione del potere legittimo in potere arbitrario (consolida la distinzione tra padrone e schiavo) L’ultimo tratto coincide con l’affermazione del dispotismo e della schiavitù politica che porta alla legge del più forte e quindi ad uno stato di natura diverso da quello originario. A quella cattiva uscita dallo stato di natura, Rousseau non oppone un ritorno alla stato di natura ma il progetto di nuove associazioni basate sull’uguaglianza e la ragione, ossia sulla volontà generale. IL CONTRATTO Il concetto di volontà generale è il solo fondamento possibile di uno stato basato su un patto di equità. (Il contratto sociale) Il contratto a cui pensa Rousseau è un patto di associazione e non (Il contratto sociale) Il contratto a cui pensa Hobbes è un patto di sottomissione (che per lui è un patto di schiavitù) e non implica quindi né l’alienazione parziale della propria libertà ad un altro né l’alienazione integrale della propria capacità politica. Quindi il patto a cui pensa Rousseau è un patto di unione ma si differenza da quello di Hobbes per due aspetti fondamentali: - ha come fine non l’alienazione ma la disalienazione dell’uomo, cioè la sua liberazione - non genera un’istituzione sovrana ma una comunità. Tutto questo discende dal fatto che il contratto di Rousseau non serve ad uscire dallo stato di natura ma a correggere il corso corrotto della storia. (Sovranità del corpo politico) La seconda caratteristica significa che la sovranità per Rousseau non è rappresentabile e istituzionabile. La politica non può consistere nel pagare la sicurezza con la libertà. STATO DI NATURA E CONTRATTO ORIGINARIO (Origine dello Stato) Quella di Kant è una ricostruzione della genesi della politica non (Origine dello Stato) Quella di Kant è una ricostruzione della genesi della politica non per stabilire come essa si svolse (cioè secondo la forza) ma per indicare come essa debba svolgersi (cioè secondo la ragione): secondo la ragione pratica (la morale) e secondo la ragione politica (il diritto). C’è una doppia origine dello stato: una reale, dalla forza, e l’altra ideale, dal contratto. La prima è l’essere, la seconda è il dover essere. Lo stato di natura viene concepito da Kant come l’orizzonte del diritto privato che è anteriore alla costituzione del diritto pubblico. Nello stato di natura, però, manca un’autorità legittima che risolva le controversie in maniera giuridicamente vincolante: quindi lo stato di natura impedisce al diritto di affermarsi nella sua pienezza, cioè in modo certo e uguale per tutti; poiché il diritto è una forma di relazione tra uomini liberi dettata dalla ragione, il superamento dello stato di natura è necessario secondo ragione. Lo stato di natura si supera con l’affermazione della volontà generale, ossia una condizione in cui l’esercizio del potere è legittimato dalle leggi. Il principio vigente è il seguente: si deve uscire dallo stato di natura, in cui ognuno fa di testa sua, e ci si deve unire con tutti gli altri al fine di sottomettersi ad una costrizione esterna pubblicamente legale. Per questa ragione che Kant ricorre allo strumento del contratto originario il quale stabilisce una costituzione universalmente giuridica tra uomini che hanno rinunciato allo stato naturale, esso non è un documento o un atto empirico ma è un’idea regolativa di origine razionale. (Il sovrano rappresentativo) La rappresentanza moderna ha anche in Kant l (Il sovrano rappresentativo) La rappresentanza moderna ha anche in Kant la ( Il sovrano rappresentativo) La rappresentanza moderna ha anche in Kant la conseguenza che la legge è frutto della volontà universale e razionale del sovrano riconosciuta come propria dai cittadini. Il sovrano è quindi obbligato a fare le leggi non in modo arbitrario ma come se dovessero derivare dalla volontà di tutto il popolo. Il popolo è tenuto in ogni caso a sottomettersi alla legge. Anche se Kant riconosce al popolo diritti inalienabili, questi non hanno il significato di diritto coercitivi (cioè un non riconoscimento di questi diritti non comporta il diritto di resistenza da parte del popolo). Il popolo, per esercitare il diritto di resistenza, ha bisogno dell’esistenza di una legge pubblica che lo permetta. (Libertà del cittadino) Questo non significa che al cittadino non debba essere riconosciuta la possibilità di esprimere pubblicamente il proprio dissenso nei confronti di decreti sovrani ingiusti alla comunità. Il sovrano può essere quindi criticato ma se la critica non raggiunge il suo scopo, ossia quello che il sovrano modifichi la legge, l’obbedienza resta sempre dovuta. (Libertà del cittadino) Questo non significa che al cittadino non debba essere (Razionalità del potere) Kant sostiene che il sovrano anche se non nasce da un patto (Razionalità del potere) Kant sostiene che il sovrano anche se non nasce da un patto deve comportarsi come se da un patto fosse legittimato perché è attraverso il sovrano kantiano che si realizza la volontà generale razionale, cioè quella volontà che è presente nel popolo quando esso sia nello stato. L’ob iettivo della filosofia politica di Kant è che il potere si conformi alla ragione e si orienti, attraverso il diritto, alla libertà. Questo non significa che la politica debba rinunciare al potere, anzi per Kant, potere e coazione sono rafforzati da una le gittimazione realistica. STATO E DEMOCRAZIA (Stato di diritto) Lo stato a cui Kant pensa è stato di diritto perché anzitutto è fondato sul diritto in quanto forma astratta e razionale all’interno della quale tutti gli uomini sono liberi ed eguali, in secondo luogo perché è uno stato che promuove il diritto e questo è l’unico bene comune cui lo stato può dedicarsi. La politica è dunque la pratica del diritto ed il diritto rende possibile la conciliazione tra politica e morale. Kant non delinea il profilo di uno stato realmente esistente ma lo definisce come uno strumento funzionale alla garanzia dei diritti soggettivi delle persone, diritti innati ricavati dalla ragione alla quale le leggi positive devono ispirarsi. Lo stato deve costruirsi in modo da garantire: - La libertà di ogni membro della società, come uomo, deve impedire che l’uomo serva anche solo esteriormente a fini altrui. (Uguaglianza sociale) - L’uguaglianza di ogni membro, come suddito, ossia l’uguaglianza davanti alla legge. - L’indipendenza, come cittadino, cioè deve offrire ad ogni individuo in quanto cittadino l’opportunità di godere della propria indipendenza economica sulla quale si fonda l’uguaglianza politica e la partecipazione al potere legislativo. (Naturalità della proprietà) In questo modo, la proprietà viene ad occupare un ruolo (Naturalità della proprietà) In questo modo, la proprietà viene ad occupare un ruolo centrale nel pensiero kantiano in quanto questa non è una creazione dello stato e neppure un concetto fondato sul lavoro: essa preesiste allo stato e si fonda sul possesso che è un rapporto naturale e fisico tra l’uomo e le cose che si trasformerà in seguito in un rapporto regolato dal diritto. La proprietà sorge già nello stato di natura e proprio per tutelare la proprietà che gli uomini passano dallo stato di natura allo stato civile. Anche se ognuno nasce come cittadino potenziale, è necessario che disponga di un reddito per diventare cittadino effettivo: quindi non è cittadino chi non possiede qualche proprietà che li procuri i mezzi per vivere. (Forme di governo) Accogliendo il principio della separazione dei poteri, Kant affianca (Forme di governo) Accogliendo il principio della separazione dei poteri, Kant affianca la classificazione delle forme di governo principalmente ponendo a confronto forma repubblicana e forma dispotica. Il regime ideale è quello repubblicano, ovvero lo stato di diritto, che si fonda sulla separazione dei poteri; mentre il regime dispotico è caratterizzato dall’esecuzione delle leggi e dall’uso da parte del governante della volontà pubblica come sua volontà privata. La separazione dei poteri viene posta da Kant a fondamento della sua adesione al principio rappresentativo e conclude dicendo che ogni forma di governo che non sia rappresentativa e che non conosca la separazione dei poteri, è una non forma. Kant afferma che la democrazia è dispotismo. Infatti, in democrazia ognuno vuole essere signore ed il che rende possibile un sistema rappresentativo. (Repubblica e democrazia) La democrazia, nella metafisica dei costumi al contrari di (Repubblica e democrazia) La democrazia, nella metafisica dei costumi al contrari di prima, viene avvicinata ad una forma di governo di tipo repubblicana in quanto regime compatibile con il sistema rappresentativo. La democrazia, come forma di governo, degenera in dispotismo quando vi è identità tra reggitore e legislatore e quando la volontà del popolo come volontà sovrana pretende di valere immediatamente. LA STORIA, L’ILLUMINISMO E L’ORDINE INTERNAZIONALE (Progresso della storia) Kant afferma che il cammino dell’umanità verso l’ordine civile razionale sia inevitabile, come lo è il progresso della specie umana. Il problema più grande per Kant è di pervenire ad attuare una società civile che faccia valere universalmente il diritto (Interpretazione della Rivoluzione francese) Kant, nell’ambito delle facoltà umane, (Interpretazione della Rivoluzione francese) Kant, nell’ambito delle facoltà umane, inserisce la sua valutazione sulla rivoluzione francese che viene considerata secondo un duplice profilo: 1. come fatto violento, essa non può essere giustificata perché la violenza è quell’aspetto della politica che deve essere superato dal diritto razionale. 2. Come obiettivo e risultato giuridico e storico, viene considerata da Kant come la più significativa manifestazione della tendenza storica ad una costituzione razionale. (Uso pubblico della ragione) L’illuminismo, definito da Kant come il coraggio di sapere, l’uscita dalla minorità e il far uso pubblico della ragione, è insomma lo scopo della storia. È l’illuminismo che insegna a rispettare la razionalità e la libertà interna ed esterna dell’uomo e farne il centro della persona umana. Tuttavia Kant distingue tra uso pubblico e uso privato della ragione. L’uso pubblico è quello che fa uno studioso davanti all’intero pubblico di elettori. L’uso privato coincide con l’impiego o con la funzione civile che li viene affidata. Se nel primo caso, gli studiosi devono poter contare sulla piena libertà, nel secondo devono invece ispirare la propria condotta alla volontà del governo. (Guerra e pace) L’entrata in uno stato civile regolato dal diritto non riguarda solo i rapporti interni ma anche quelli esterni della comunità in quanto uno stato in rapporto con gli altri stati si trova in una condizione di libertà illimitata. Gli stati tra loro non hanno necessariamente rapporti pacifici. Ma la guerra seppure ha storicamente avuto una funzione positiva di disperdere il genere umano e quindi di rendere abitato tutto il pianeta, è ormai divenuta distruttiva e dannosa per la cultura. L’ideale della pace si configura come quella situazione in cui la ragione umana è destinata a realizzarsi attuando un’idea di progresso che è anzitutto morale. È proprio la conflittualità tra gli stati ad essere immorale, irrazionale ed ingiusta e a rendere doverosa la pace perpetua che non deriva quindi dall’amicizia tra gli stati ma da una esigenza logica e morale. (Relazioni internazionali) Si deve fare in modo che il diritto internazionale sia una sottomissione volontaria da parte dei singoli stati della loro sovranità. CAPITOLO X: LA DIALETTICA HEGEL furono Blanc (insurrezionale) e Blaqui, a favore degli opifici sociali. In Germania si produsse una delle analisi più lucide della situazione e di ciò che sarebbe accaduto. Dalla Germania prenderà anche il via il movimento della sinistra Hegeliana, la quale criticherà alcune posizioni del maestro in senso critico e progressivo, dicendo che il detto “il reale è razionale” (il quale sanciva i regimi politici esistenti in quanto reali) doveva essere interpretato come “il reale deve diventare razionale”, evidenziando un difetto nella filosofia di Hegel. Nei giovani Hegeliani si nota un principio di critica a tutte le realtà storiche. Bruno Bauer imputa di aver introdotto nel mondo l’hegeliana coscienza infelice, presentando un destino di dolore per l’uomo, postulando il primato di leggi eteronome sulla libertà. Arriverà a negare qualunque religione, indicando come obbiettivo per l’umanità quello di giungere all’autocoscienza. Le prime formulazioni teoriche socialiste in lingua tedesca furono di Weitling, quindi maturate all’interno della sinistra hegeliana. Stein invece fece prendere coscienza alla Germania della pericolosità del movimento sociale, il quale nella società organizzata tra capitale e lavoro vedeva in perenne tensione lo stato di diritto e il proletariato, il quale ha installato la questione sociale nella storia, proponendo una monarchia sociale, tappa intermedia per una politica sociale di stampo nuovo. Gli economisti tedeschi critici del liberalismo di stampo anglosassone diedero vita al Verein Fur Sozialpolitik (associazione per la politica sociale). MARX Il pensiero di Marx non è organico, ma è piuttosto un cantiere aperto, disseminato di frammenti e abbozzi teorici. LA SOCIETÀ Egli introduce il concetto di classe, contraddistinguendo la società civile non più unita nel singolo interesse privato, ma percorsa dall’antagonismo sociale tra le classi, cioè divisa in due gruppi, borghesi e proletari. La società così scissa conosce una guerra sociale Nelle “Tesi su Feuerbach”, Marx comincia ad indagare non solo sull’alienazione politica, ma anche su quella economica. Il lavoratore perde il controllo sul mondo proprio quando svolge la funzione fondamentale di produrre,dunque il sistema capitalista lo sfrutta, lo assoggetta. Ritiene che si sarebbe dovuta formare una classe operaia che avrebbe abolito lo stato borghese, dissolvendo la distinzione in classi. Lo stato comunista infatti, è l’unico stato dove gli individui si sviluppano davvero, dove non è un mero concetto, e questo concetto non può avvenire se non nell’abolizione della proprietà privata, sia in termini fisici, sia in temrini metaforici, inteso come il furto sul lavoro del borghese. LA STORIA (MATERIALISMO STORICO) Marx concepisce la storia come una perenne lotta tra classi. Questo fa capire la natura materialistica che Marx ha elaborato. L’idea fondamentale è che la produzione economica e la struttura sociale che ne deriva, in ogni epoca costituiscono la storia politica ed intellettuale dell’epoca stessa. Il materialismo sta nel fatto che la struttura determina necessariamente la sovrastruttura. L’insieme dei rapporti di produzione definisce la struttura economica della società. Materialismo storico: non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. I rapporti di produzione sono la base della struttura economica della società sulla quale si eleva la sovrastruttura ideologica (filosofia, religione…) e giuridica (stato, partiti, diritto). Il modo di produzione della vita materiale condiziona il processo sociale, politico e spirituale della vita. La “Rivoluzione Sociale”, quella proletaria serve ad emancipare il genere umano: sarà abolita la proprietà privata e superata la divisione della società in classi antagonistiche. L’unico elemento determinante della storia, è la struttura economica della società, che condiziona tra l’altro, il processo sociale, politico e spirituale della vita. IL MANIFESTO I singoli individui secondo Marx formano una classe solo in virtù del fatto che devono combattere un potere opprimente. Distinguendo da classe in sé (cioè determinata dallo status economico effettivo) e classe per sé (determinata dalla presa di coscienza di alcuni contro il potere opprimente), che rimanda ai comunisti, i quali sono la parte avanzata della classe operaia. La borghesia è stata rivoluzionaria perché ha portato all’estremo i rapporti produttivi, dunque è riuscita a mettere in piena potenza la produzione, la rivoluzione proletaria abbatterebbe lo stato da questa creato La Critica dell’economia politica Marx critica la società moderna borghese per il feticismo della merce, ossia per il fatto che attribuisca alla merce un valore stimato in prezzo, facendo prevalere lo spettrale e oggettivo valore di scambio, rispetto allo specifico valore d’uso, ovvero la sua utilità per il compratore. LA POLITICA Marx ritiene che la progressiva socializzazione del lavoro porterà al comunismo, che sarà in particolare dovuto alla contraddizione sempre più forte tra il carattere sociale della produzione e il carattere privato dell’appropriazione. Quanto più essa è forte, tanto più facilmente favorirà il passaggio al comunismo. Un esempio per come potrebbe svolgersi la rivoluzione comunista è la Comune di Parigi. Tuttavia, dopo il suo fallimento, produce la tesi della dittatura del proletariato, cioè dove il proletariato assume il totale controllo, tra il capitalismo ed il comunismo. I Sovietici abuseranno di questo concetto costruendo una dittatura di partito. La dittatura del proletariato servirà come scopo al deperimento dello stato, culminante nel socialismo. LA FRANCIA Toqueville con la sua opera “L’ancien regime et la revolution” ci fornisce un contributo alla comprensione della rivoluzione francese; nell’opera l’autore opera un paragone tra la democrazia americana e l’avvento della democrazia in Europa ed approda a due importanti conclusioni: - il differente approccio al processo di democratizzazione in Francia e negli Stati Uniti - esiste una continuità tra l’Ancien regime e l’assetto post rivoluzionario, che sta nel mantenimento della struttura di base dello Stato. JOHN STUART MILL Mill riprese le tesi di Tocqueville, come i temi di una tirannide della maggioranza e di una mediocrità collettiva. Sotto l’influenza del movimento romantico, si allontanò parzialmente dall’utilitarsmo Bethamiano, che gli appariva troppo arido. Seppure fosse rimasto nel solco dell’utilitarismo, accettando il principio maggior felicità possibile per il maggior numero, giudicava la scala di valutazione non realistica, in quanto essa fondava la felicità più valori morali e sociale, invece che sulle naturali inclinazioni umane. Sottolineava che il benessere è il risultato di una multifattorialità, che non si può ricondurre solo alla ricerca dell’utile. Dall’incontro con Saint Simon e Comte si interessò sempre più alla scienza sociale. Nel testo “I principi dell’economia politica” operava una distinzione gravida di conseguenze: cioè distingueva il momento produttivo (regolato da leggi fisiche), da quello distributivo (regolato da leggi fisiche e sociali), dunque se sul primo non si poteva agire, sul secondo invece si rendeva possibile l’intervento statale, tale per cui alcune disuguaglianze potevano essere così limate, favorendo una politica attiva statale, ed un maggiore benessere per le classi povere. LIBERTÀ, PERSONALITÀ E RAPPRESENTANZA In molti casi i governi assumono poteri ingiustificabili se non in nome dell’interesse generale. Secondo lui quasi tutti i mutamenti avvengono per limitare la libertà dell’individuo a favore di quella della società. Tuttavia nella democrazia, essendo possibile la tirannide della maggioranza si tratta di tutelare l’autonomia dell’individuo in modo nuovo, riprendendo le tesi di Tocqueville. A suo avviso il governo deve essere costituzionale, rappresentativo, curando anche l’importanza delle opinioni degli intellettuali. Valuta inopportuno limitare il suffragio, così come necessario far pagare le tasse alla classe dei lavoratori. I rischi del governo rappresentativo possono essere evitati solo favorendo la cultura e l’attivismo politico. Il mandato deve essere libero. LA SOGGEZIONE DELLE DONNE Walter Bagehot era il più grande oppositore di Mill e si oppose fermamente all’allargamento del suffragio poiché secondo lui, giù la camera bassa aveva guadagnato potere, fargliene guadagnare ulteriormente mediante il suffragio universale avrebbe rotto quello che per lui era un equilibrio solido basato sulla quasi fusione della capacità esecutiva (il re) e legislativa (il parlamento), il quale era a sua volta fondato su solide maggioranze parlamentari che si sarebbero così potute incrinare. LA QUESTIONE NAZIONALE La questione nazionale si pone come fattore di crisi dell’ordine tradizionale, indicando al tempo stesso un modello di integrazione politica, spesso contro il socialismo, e alimentando contemporaneamente la democratizzazione con le ideologie imperialiste e le basi del razzismo. L’immagine tradizionale del risveglio dei nazionalismi è stata criticata recentemente dal momento che gli elementi “oggettivi” (lingua e tradizioni) sono insufficienti a produrre la nazione. In Francia dopo la rivoluzione si impose un modello civico di nazione, secondo cui i cittadini erano soggetti allo stesso ordinamento, in Germania se ne impose uno organicistico, basato su lingua e cultura comuni e sullo “spirito del popolo”. In entrambi i paesi, anche grazie allo sciovinismo napoleonico, si riconobbe un legame di sangue con la terra, mettendo le basi per antisemitismo e razzismo. Nella conferenza “Che cos’è la nazione?” del 1882 di Ernest Renan venivano messe in risalto l’adesione consensuale degli individui alla nazione e il passato eroico. Particolari esempi di nazionalismo furono quelli indipendentisti, come in Grecia, che si affrancò dall’impero ottomano nel 1829 e della Polonia. Lì Mickiewicz fu precursore dell’atteggiamento slavofilo, che sfocerà nel socialismo populista del russo Aleksandr Herzen, fino a culminare nel panslavismo con Nikloaj Danilevskij e in Germania e Austria nel pangermanismo. Ulteriore spinta all’antisemitismo e al razzismo fu data dalla nascita del movimento sionista di Theodor Herzl sul finire dell’800. In Italia le divisioni erano all’ordine del giorno, anche se una prima base culturale alla riunificazione venne data dalle opere di Manzoni e d’Azeglio, riprese poi da Giuseppe Mazzini, che muove una critica alla teoria individualistica dei diritti, svincolando gli uomini dalla comunità. Fondamentale per lui è l’idea di “dovere” la cui origine sta in Dio e si realizza nella “Patria”, una comunità fraterna che concilia il principio nazionale a quello sociale. Le sue idee intransigenti lo portarono allo scontro con il moderatismo di Cavour, a cui lui contrapponeva l’idea democratica da realizzarsi contemporaneamente a quella nazionale. Venne criticato non solo dai moderati, ma anche da sinistra (Pisacane e Ferrari). Carlo Cattaneo voleva promuovere i valori di libertà, democrazia, pluralismo e diversità, valorizzando le autonomie municipali e il decentramento amministrativo con la costituzione di uno stato federale, idee mutuate dal giurista Romagnosi, promotore del concetto di “utile” e di “felicità” intesa come ricerca del benessere. Altro teorico del decentramento, ma che si distinse da Cattaneo per il suo conservatorismo liberale e la sua politica della mediazione fu Minghetti. CAPITOLO XIII: LA CRISI DELL’ORDINE POLITICO MODERNO Verso la fine dell’800 e i primi del ‘900 cominciò a entrare in crisi quel modello di stato liberale, messo alla prova dall’avanzare della democrazia di massa, sia dall’approfondirsi delle contraddizioni di classe, che mettendo in crisi l’omogeneità della società mettono in crisi la stessa. Inoltre c’è una è tuttavia necessario passare per un momento di mediazione politica, cioè attraverso il partito. A differenza della teoria ortodossa Di Marx ed Engels, la quale sosteneva che il proletariato fosse il motore della rivoluzione mentre i comunisti avrebbero svolto funzione di complemento avanzato, Lenin riteneva invece centrale il partito comunista, il quale era a suo avviso l’unico motore rivoluzionario possibile, poiché le masse vanno pedagogicamente educate al comunismo, dunque nella fase iniziale (ma poi diventerà sempre), varrà la concezione del primato della decisione su quello della mediazione. Proponendo una dittatura formale del proletariato, costruiranno un regime di dittatura del partito. Questo passaggio al Marxismo sovietico, pensato in teoria da Lenin, e realizzato nella prassi, non dipende solo dalla specialità della Russia, ma è anche frutto di quella concezione strumentale dello stato occidentale che aveva portato Marx a considerare la repubblica democratica come l’ultima forma politica della società borghese. Lenin utilizzerà l’apologia della Comune (parigina) per giustificare i soviet quale espressione di una democrazia rivoluzionaria e proletaria. I soviet (tutto molto nella teoria, poco nella pratica) trasferiscono la democrazia direttamente nei luoghi di produzione. Alla fine del 1920, a seguito della rivoluzione, solo quando la dittatura del partito avrà preso consistenza, Lenin riconoscerà l’impossibilità di una dittatura “democratica” e dell’istituto della democrazia diretta. L’USSR diventa così una dittatura politica del partito, divenendo normale pratica despotica. IL NAZIONALISMO Tra la fine dell’800 e i primi del ‘900, la dissoluzione della razionalità politica liberaldemocratica e parlamentare, non solo comporta la diffusione di proposte rivoluzionarie, ma anche lo scatenamento di impulsi irrazionalistici, antiborghesi ed antiliberali. In Italia e Germania, dove la società civile è debole e le istituzioni politiche sono fragili, prenderanno piede queste componenti, dovute alla potenti contraddizioni che percorrono il corpo sociale. Il nazionalismo porta con se, più o meno latentemente, una progressiva ideologia reazionaria che divide le nazioni in “razze”. Per questa corrente la verità non è oggettiva, ma risultato dell’azione politica, dunque anch’essi credono nel ruolo fondamentale che riveste il mito. Lo stato nazionalistico tende a produrre una concezione lealista per i cittadini, distruggendo i conflitti della dialettica democratica, diventando quasi una sorta di religione secolarizzata. LA GERMANIA Il tardo e difficile rapporto con lo stato moderno, è senza dubbio la causa che ha reso il concetto di popolo, oltre che dal romanticismo, così importante. Si cercava attraverso questo concetto di offrire una ricerca di identità più stabile e solida di quella offerta dalle forme politiche, un’identità naturale e storica, svincolata da costrutti teorici. Il popolo – nazione si esprime in sintesi di un radicamento, oltre che di un cammino verso il destino, di un diritto di sangue e cultura, di un destino, ed infine di un dovere: realizzare l’unità politica del popolo tedesco, decontaminandolo dalla cultura occidentale, cercando così di esprimere la propria specificità nazionale rispetto a Francia e Inghilterra, nonché vitalità naturale. Nella sua evoluzione, il nazionalismo tedesco assume carattere sempre più antisocialista ed antiborghese, per finire nel suo apice ad essere antimoderno. SPENGLER Spengler utilizza il nazionalismo come strumento di critica rispetto alla modernità. La politica viene ricondotta ad un paradigma di tipo vitalistico, dove le civiltà sono organismi viventi, e quindi, più che di storia, si deve parlare di morfologia. La forma fondamentale della storia universale viene dunque individuata nella cultura (Kultur), civiltà in senso metafisico e ontologico. Ogni cultura nasce a partire dalla umanità primitiva e attraversa varie fasi. La fase finale di una cultura, quando essa si esaurisce, si chiama Zivilisation, cioè la civiltà in senso esteriore e razionalistico. Il mondo della Zivilization è un mondo in decadenza, dominato dalla ragione utilitaristica, dall’irrigidimento intellettualistico dovuto al perseguimento dello spirito di esattezza. Dunque tra Kultur e Zivilization si sviluppa una fortissima contrapposizione. Spengler poi fa la diagnosi della cultura occidentale, secondo cui essa vive un’epoca di rovesciamento dei valori, sancito da Nietzche, dove in ogni campo, si nota il sovvertimento della tradizione. Proprio il socialismo è per Spengler l’emblema di questo rovesciamento, infatti pone la politica subordinata all’economia, quando dovrebbe essere l’opposto. Il pensiero di Spengler fu un punto di riferimento per la rivoluzione conservatrice. LA FRANCIA Il nazionalismo francese si apriva ad i valori nazionalistici della rivoluzione, opponendosi fieramente alle sue derive universalistiche. Maurice Barres si faceva portavoce della critica al razionalismo, e alfiere del culto della vitalità. Barres suppone sia possibile una convergenza tra capitalismo e socialismo, sostituendo la lotta di classe con il valore della solidarietà sociale nazionale. Sul piano politico avversa il centralismo statuale opponendo una forma federale repubblicana democratica, basata sulla proprietà collettiva, trasformano i lavoratori in soci dell’azienda produttrice. Mentre Barres non è pregiudizialmente ostile alla rivoluzione, Maurras invece la riteneva un evento catastrofico. Teorizza una forma di nazionalism o positivista basato sulla scienza e sulla storia, attribuendo alla monarchia, che lui immagina come tradizionale, ereditaria, antiparlamentare e decentralizzata, una insostituibile funzione unitaria, oltre che sostenitrice del corporativismo sociale. L’ITALIA Ci sono varie correnti nazionalistiche in Italia, quella di Oriani è fondata sul governo di un’aristocrazia spirituale, quella di D’Annunzio è invece individualistica, eroica e spettacolare. Corradini elabora una teoria evoluzionistica della lotta tra le nazioni, tra quelle proletarie e plutocratiche, dando all’Italia, ovviamente, un ruolo di primo piano. Corradini, semplicemente, trasferisce la lotta di classe dal piano interno a quello internazionale, difatti sostiene che l’istituto della lotta tra organismi debba essere regolamentato all’interno per potersi scatenare all’esterno. Corradini è fautore dello stato forte, organico e imperialista, guidato da un’aristocrazia estranea al materialismo utilitaristico delle nazioni liberali. Rocco si ispira al diritto tedesco quando accentua il ruolo fondante dell’autorità dello Stato, supponendo per l’Italia, erede della tradizione romana e cattolica, un ruolo di potenza civilizzatrice. Rocco è statalista, corporativista, della teoria che le corporazioni debbano affermare una solidarietà sociale. A differenza del corporativismo cattolico, quello di Rocco è votato ad un progetto di espansione industriale atto a produrre una politica di potenza. IL CATTOLICESIMO DEMOCRATICO Nel corso del XIX secolo la chiesa cattolica aveva impedito per lungo tempo ogni possibilità di accordo tra orientamenti razionalistici per infiammavano la modernità, operando una politica reazionaria. A partire dalla fine dell’800, questa tendenza cambiò. Scritto fondamentale è il documento papale, l’enciclica del rerum novarum, con la quale Leone XIII inizia a trattare la questione sociale. Egli sottolinea la necessaria cooperazione tra Stato e Chiesa, dei datori di lavoro e dei lavoratori, pervenendo ad una conciliazione in nome della solidarietà sociale. L’ITALIA All’inizio del ‘900, molti pensatori cattolici ripresero la dottrina di Leone XIII, sempre comunque legati a quella visione di ordine naturale e sociale di cui la chiesa è custode. Giuseppe Toniolo aveva una concezione dell’economia subordinata a fattori di natura spirituale, religiosa e morale. Toniolo si ispira dunque alla tradizione neo guelfa. Il pensiero politico di Romolo Murri inserisce elementi innovativi. Importanti, tra questi, il progetto di alleanza tra chiesa e proletariato, atto a trasformare radicalmente lo stato, producendo un nuovo guelfismo sociale. Murri è considerato uno degli esponenti più significativi del modernismo, cioè di quell’esigenza di riavvicinare la cultura classica ecclesiastica ai prodotti del pensiero moderno. Lo sforzo di conciliare il cattolicesimo con il pensiero moderno avviene nel partito popolare di don Luigi Sturzo. Egli mira a sganciare il laicato dalla tutela della gerarchia ecclesiastica sul piano politico e sociale in modo da qualificare le iniziative delle forze democratiche e aconfessionali, ma senza rivedere le posizioni tradizionali del magistero. Sturzo ritiene che i cattolici debbano operare nel quadro delle istituzioni democratiche, difendendo la proprietà privata, la libertà di coscienza e di iniziativa. I TOTALITARISMI Si indicavano con questo termine i regimi che proponevano la politica come dimensione “totale”, capace di penetrare tutta la società annullando la separazione tradizionale dei suoi ambiti ( politico, economico, culturale, religioso,..) e capace anche di coinvolgere tutto l’individuo, senza consentire riserve, margini di indipendenza, dimensioni di libertà, spazi alternativi; senza accettare le logiche della rappresentanza politica moderna, fondate sulla distinzione tra uomo e cittadino, fra pubblico e privato. Il termine “totalitario” circolava già nei primi anni 20 tra gli oppositori del regime fascista. È lo stesso Mussolini ad appropiarsene di li a poco, ma rovesciandone il significato , per caratterizzare in positivo la volontà del regime di portare l’intera società all’interno dello stato . Mentre però il fascismo amo definirsi totalitario, senza riuscire a esserlo del tutto risultando piuttosto “autoritario” si tende ad identificare i totalitarismi veri e propri con il nazismo e il comunismo stalinista . Il nazismo preferiva connotare la propria politica e il proprio regime in senso razziale e popolare ; il comunismo stalinista si proponeva come “rivoluzionario,”consiliare” e “socialista”. La categoria torica e analitica del totalitarismo viene poi compiutamente elaborata a a partire dai primi anni 50, quando fu pubblicata l’opera di Hannah Arendt su “LE ORIGINI DEL TOTALITARISMO (1951)”. Si sono venute determinando alcune caratteristiche oggi comunemente ritenute indispensabili perché si possa parlare di totalitarismo : 1. Ideologia totalizzante che , rifiutandosi di riconoscere l’oggettività della realtà, ne proclama l’assoluta trasformabilità; 2. Partito unico che si sostituisce allo Stato come vero centro di potere e detentore del monopolio della violenza; 3. La presenta attiva del capo carismatico in rapporto diretto con le masse; 4. Uso discrezionale e non legale del potere politico, e soprattutto uso terroristico del potere dello Stato e del partito contro la società, che viene disarticolata per realizzare la distruzione di intere classi, razze o gruppi umani; 5. Controllo pieno da parte del potere politico su comunicazioni ed economia, ossia sulle risorse simboliche e sulle risorse materiali. Se una forma politica non risponde a questi stremi, essa, benché calpesti le libertà democratiche , sarà definibile piuttosto come “autoritaria”. Per quanto riguarda l’origine del significato politico del totalitarismo, va evidenziato che il totalitarismo è una risposta alla crisi dello stato e alla parallela crisi del soggetto. Si tratta di una crisi dovuti all’incapacità dello Stato liberale ottocentesco di contenere , nelle proprie forme e nelle proprie istituzioni , gli immensi potenziali umani,tecnologici ed economico-industriali che erano stati mobilitati nella prima guerra mondiale ; se l’ingresso sulla scena politica di una società di massa, è la caratteristica del XX secolo , il totalitarismo, risponde a questo dato di novità sociologica con una strategia di annullamento dei limiti e dei confini tra Stato,società e individuo, e fra politica,etica ed economia, per realizzare la promessa di un modo radicalmente nuovo .Rispetto allo Stato, soprattutto, i regimi totalitari risultano in pratica l’opposto, in quanto essi non vogliono “garantire“ una società, ma vuole trasformarla radicalmente, in termini di categorie politiche che i regimi totalitari perdono deliberatamente la distinzione fra guerra e polizia, fra esterno e interno: conducono infatti all’esterno non guerre contro nemici da sconfiggere, ma campagne di polizia (pulizia) contro criminali o parassiti da sterminare ,come la seconda guerra mondiale ha dimostrato per quanto riguarda le terre conquistate dal comunismo e dal nazismo. Il nemico interno è infatti istituzionalizzato dai totalitarismi, in varie forme. IL COMUNISMO SOVIETICO sostengono che non esiste un capitalismo di stato. Lo stesso Marcuse elabora il concetto di razionalità concreta, contrapposta all’irrazionalismo terminale della borghesia: il marxismo può tornare al livello filosofico originario ed affermarsi nell’azione rivoluzionaria. Neumann invece, analizza il nazismo come uno stato attraversato da disordine e conflitto: i totalitarismi non sono forme politiche nuove, ma diverse fasi del capitalismo. Per Horkheimer invece esiste il capitalismo di Stato, ed è proprio il fascismo, frutto della fine della libera concorrenza che porta dominio e elimina la separazione tra politica ed economia. L’alienazione dell’uomo è dato dal convergere del principio di organizzazione con quello di produzione, e il capitalismo manipola la psicologia e la cultura della popolazione con la mercificazione, per cui definiscono il dominio come ragione strumentale. Theodor Adorno critica con forza la dialettica dell’illuminismo, ovvero una ragione che da sempre è potere, quindi domino. L’antitesi tra mito e illuminismo è una complicità segreta. Proprio dal mito che si perfeziona in ragione infatti nasce la razionalizzazione del mondo, per cui la ragione diventa un puro strumento di perdita di ciò che non è razionalizzabile. La razionalizzazione della natura richiede anche la repressione delle passioni, espressa in due figure: Odisseo che desidera-teme il canto delle sirene e Sade che vede la perversione come naturale. Il dominio si manifesta in una Totalità filosofica. Fattori strutturali per spiegare lo stesso dominio sono non solo la filosofia e la politica, ma anche la psicologia freudiana, in particolare il concetto di totem e di autorità paterna: proprio con la famiglia la società trasmette i tratti della personalità autoritaria. Vogliono realizzare una teoria critica, criticando la stessa ragione occidentale senza però cadere nell’irrazionalismo. L’arte mantiene viva la funzione dell’immaginazione. BENJAMIN Non insiste tanto sulla filosofia di Marx, ma sul tema dell’immediatezza della redenzione, una mobilitazione creativa in grado di far saltare le gerarchie. Equipara la violenza al diritto dello stato, contrapponendole la giustizia, dal momento che la prima attribuisce vincitori e vinti, anche nel caso essa avvenga con lo sciopero generale tanto apprezzato da Sorel. Benjamin invece ipotizza una rivoluzione anarchica in grado di far saltare il continuum della storia, facendo emergere la tradizione dei vinti e dando giustizia alle loro ragioni. Il punto fondamentale della concezione del tempo non è la continuità, ma la discontinuità. L’esperienza messianica dev’essere concepita come il “tempo-ora”, un’ esperienza utopica in grado di dar voce alle tradizioni dei vinti. I PENSATORI DELLA CRISI Hanno in comune la rinuncia a un interpretazione razionalistica delle contraddizioni del presente, assumendole come un destino tragico. Al principio tipicamente marxista e liberale di ragione contrappongono l’eroismo e la decisione, esaltando dominio e violenza: la ragione può costruire un ordine che escluda fuori di sé il conflitto o che la ragione può produrre attraverso il conflitto. La tecnica cessa di essere strumento e diventa un fine in sé, un soggetto impersonale. Soprattutto sulle tematiche politiche regna un pessimismo radicale, che sfocia in una critica della civiltà, con l’evidenza della tragicità del mondo moderno, che in Germania secondo gli autori locali può essere risolta solo con una rivoluzione conservatrice: una rivolta attivistica e mitica contro la ragione. L’anticapitalismo velleitario trova spazio nel socialismo prussiano o nel nazionalbolscevismo. Al disagio novecentesco si risponde con il rifiuto dei valori moderni di razionalità, uguaglianza e libertà, accettando come un destino gli esiti tecnici della modernità. JUNGER Ne “La mobilitazione totale” tratta il tema della guerra, in cui il progresso porta le masse sulla scena della storia, la guerra le sottopone alla disciplina e la tecnica è determinante ai fini bellici: nasce così il concetto di produzione per la distruzione. Lo stato è travolto da quella sintesi di movimento e conflitto che è proprio la mobilitazione totale: le forme politiche moderne sono ridotte a nulla. L’elemento fondamentale della nuova epoca è il lavoro dell’Operaio (arbeiter), che vive in un mondo mitico ed eroico, per cui la tecnica diventa un principio metafisico. Alla tecnica si sottrae il Ribelle, che preferisce il pericolo della schiavitù affermando la propria libertà contro i nuovi Leviatani tecnici. L’essere da una parte ha il volto del nichilismo tecnico, dell’organizzazione, dall’altra è la sostanza originaria, ossia l’organismo. HEIDEGGER Per lui il nichilismo della tecnica è incurabile, perché è la manifestazione della volontà di potenza che contraddistingue l’occidente. Questa consiste nel rapporto impositivo del soggetto sull’oggetto: la civiltà occidentale ha verso l’Essere un atteggiamento strumentale. La tecnica disvela la precisione del moderno e l’utilizzabilità degli oggetti da parte dell’uomo, ed è dunque imposizione. La salvezza può venire solo da un evento non umano, da un Dio che si manifesta nel mondo consumato della tecnica. Critica la ragione umana, superata non nell’abbandono all’Essere, ma alla decisione e al rischio. Il nesso fra essere e conflitto è dunque un destino per cui ci si deve decidere. SCHMITT Critica sia il liberalismo che il pensiero giuridico. Esalta invece il cattolicesimo dato che è razionale, poiché grazie al suo rapporto con la trascendenza riesce a realizzare la propria autorità. L’origine dell’ordine politico è nell’assenza di ordine razionale, ossia nell’eccezione. Parla di dittatura sovrana, come decisione di un’autorità concreta e personale di creare un ordinamento razionale dal disordine. La politica è dunque un atto creativo che fa nascere ordine dal nulla. L’atto creativo è appunto la decisione, che si deve confrontare con l’eccezione, l’assenza di sostanza, il nichilismo. Il concetto di stato presuppone quello di politico, che consiste nel riconoscere e nel distinguere l’amico/nemico, ed è all’origine della politica, e non suo sinonimo: la politica è sempre polemica. La guerra è fondamentale nei rapporti internazionali, ed è una funzione della politica. In politica interna il politico è la guerra civile, per cui bisogna esercitare una vigilanza rivolta ad escludere il potenziale nemico interno, pur non riuscendo a neutralizzare mai completamente il politico. Più che di stato Schmitt parla di “costituzione”, come entità politica concreta di un popolo, perciò prima delle norme viene ed esiste un soggetto politico dotato di volontà. A questo proposito la costituzione di Weimar è un compromesso tra il principio di rappresentanza liberale e di presenza democratico. Lo stato sociale che ne consegue però è uno stato totale per debolezza, a cui lui contrappone uno stato totale per energia. Il nazismo invece, è un ordine concreto che sostituisce sia il normativismo che il decisionismo, con l’unità politica di popolo, partito e stato. Elabora negli ultimi anni una teoria dell’Impero come grande spazio, inteso come superamento del diritto internazionale. La storia politica è fatta da contrapposizione tra potenze terrestri e potenze marittime. Il nomos, il diritto è l’unità di ordinamento e di localizzazione: l’origine del diritto è dunque il modo con cui l’ordinamento si rapporta con il territorio. Lo Jus publicum europaeum nasce in seguito alla pace di Westfalia. L’ordine dello spazio mondiale si sviluppa tra terra e mare. La guerra marittima è illimitata, privo di determinazione spaziale, quindi aggressivo, e per cui la guerra diventa un atto di sovranità e non un crimine, facendo passare atti di ostilità assoluta per atti di polizia, che disunisce e disorienta il mondo. Nella “teoria del partigiano” evidenzia un combattente irregolare e tellurico. KELSEN Sostiene il primato del diritto e dice che lo stato è un ordinamento giuridico che ha raggiunto un alto grado di centralizzazione, che non si divide con il dualismo stato-diritto, ma è visto in un sistema monistico. Il primato del diritto internazionale prevale sulle norme inferiori, così come avviene per la costituzione, prioritaria. Il terzo primato è quello della democrazia parlamentare. Mira alla pace internazionale. ARENDT Critica la filosofia politica, contrapponendole la politica intesa come azione collettiva. Nelle “origini del totalitarismo” questo per lei è opposto allo stato, ma in qualche modo ne deriva, al cui interno si producono dinamiche di esclusione, come l’antisemitismo. Parla poi dell’imperialismo come frutto dei pan movimenti (pangermanismo, slavismo etc) e sostiene che i ceti mediobassi cercano appartenenze nei legami di sangue col territorio. Il totalitarismo è poi provocato dalla massificazione della società: le masse si organizzano tramite la propaganda. Deve mobilitare e distruggere le stesse istituzioni e il nemico interno attraverso il terrore e la violenza. E’ dunque un regime nichilistico, costretto all’instabilità permanente. L’ideologia è l’energia che applicata alla realtà politica ne distrugge la concretezza. Nella “Vita activa” distingue tre funzioni: lavorare, operare e agire. Accanto a questa c’è la vita contemplativa. L’età moderna è caratterizzata dall’alienazione del soggetto dal mondo, e parallelamente dal formarsi di una sfera sociale, dato che il lavoro ha a che fare con la necessità. La massificazione è data dall’ossessione di unità che si manifesta nello stato e nella rappresentanza politica, dunque nella necessità. La politica americana è una libertà plurale e accoglie al suo interno anche la disobbedienza civile. Riscopre la categoria kantiana di giudizio: il criterio guida della politica dev’essere la deliberazione responsabile. LA FRANCIA Simone Weil critica il potere, dicendo che bisogna riconoscere un obbligo morale verso i bisogni dell’essere umano, tra cui c’è il radicamento, ovvero un rapporto pieno con la storia e l’ambiente. Bene e politica sono antitetici e gli uomini devono ritirarsi riconoscendo i propri limiti in un patire comune. Per Georges Bataille l’età moderna è imperniata sul concetto di utilità. Il negativo è un fenomeno di trasgressione ed eccesso individuale, uno spossessamento del soggetto. La sovranità è invece un azione inutile di un soggetto libero perché si rifiuta di costruire qualsiasi tipo di ordine. CAPITOLO XV: L’ETÀ GLOBALE E LE SUE CRISI ELEMENTI POLITICI E MATERIALI DELLA GLOBALIZZAZIONE la crisi dei classici modelli novecenteschi di concettualizzazione e di legittimazione della politica sembra trovare rilevanti conferme nell’analisi di un insieme di processi che si definiscono globalizzazione caratterizzata da un insieme di crisi, economiche e politiche, militari e geopolitiche e intellettuali. La fine del comunismo ha determinato la rimozione di un ostacolo a quella tendenza del capitalismo a estendere le proprie logiche su scala planetaria con una forte finanziarizzazione dell’economia che ha tolto sovranità e decisività economica agli Stati. Si è creata una delocalizzazione produttiva che disteso a livello mondiale le catene delle merci. I processi di globalizzazione hanno portato a nuovi movimenti migratori che ridefiniscono in continuazione le cittadinanze, ad omologazione dei comportamenti, a cancellazione di identità e culture. La globalizzazione pone fine allo Stato-nazione rendendo obsoleta la sua politica dato che essi non sono più detentori del monopolio della politica e che l’economia nazionale è un oggetto di sempre più ardua definizione. Viene posta enfasi sulla liberalizzazione e sulla deregolamentazione dei mercati in nome di una competizione globale. DOPO L’11 SETTEMBRE L’ attentato contro il Pentagono e le Twin Towers del World Trade Center a New York , l’11 settembre del 2001, e le guerre americane contro l’Afghanistan e contro l’Iraq che ne sono scaturite, hanno generato una vasta lettura politica e filosofiche che ha tentato di dare un’interpretazione, tanto più necessaria quanto più è apparso subito chiaro che ci si è trovati di fronte non solo ad un evento importante, ma a uno stravolgimento categoriale della politica moderna,che non si è prodotto in un giorno ma che in quel giorno è precipitato ed ha assunto visibilità. Habermans si sofferma dapprima sulla novità degli attacchi dell’11 settembre,che risiede per lui nella forza simbolica degli obiettivi colpiti e nella presenza delle televisioni,che hanno trasformato in tempo reale un evento locale in un evento globale. Habermans sostiene che, in questo modo, l’intera popolazione mondiale si è trasformata in una platea di testimoni oculari; per questo l’ 11 settembre è da considerarsi come il