Scarica Manuale di storia del pensiero politico, terza edizione, a cura di Marco Galli e più Sintesi del corso in PDF di Storia Delle Dottrine Politiche solo su Docsity! Storia delle dottrine politiche L'antichità greca e romana. 1. Il pensiero Politico. In questo capitolo l'autore introduce il discorso in merito al pensiero politico greco tra il VII e il VI secolo a.C. partendo da un analogia: egli disegna lo spazio politico che i greci percepivano come un cerchio; un cerchio perché la politica, e quindi il potere, era al centro della vita pubblica di ogni cittadino( si guardi poi alla definizione di cittadino per i greci). L'invenzione della politica. Una serie di riforme che ebbero luogo a partire dal VII secolo a.C. e gli inizi del VI secolo a.C. trasformarono la politica greca: i privilegi aristocratici furono mano a mano erosi e il potere politico fu “spartito” tra tutti i cittadini. È con la riforma di Clistene ad Atene che la cittadinanza viene posta al primo posto tra i requisiti necessari per esercitare una carica pubblica, questo fece in modo che la politica stessa cambiasse le sue prerogative e le sue regole: il benessere pubblico è il primo interesse della politica e la cittadinanza il suo unico interlocutore. La legittimazione del potere in quest'ottica non deriva più da fonti mistiche e ultraterrene ma è nello svolgimento di garante dell'interesse pubblico che la trova. Il processo che diede luogo a questa nuova concezione di politica ebbe inizio a partire dai tempi arcaici di Omero fino alla fine della fase più intensa della democrazia ateniese del V sec. a.C. P.s. : è con la democrazia greca che vengono inventate le parole chiave della politica, parole che utilizziamo tutt'oggi ma che spesso hanno un significato completamente differente dato il ben diverso contesto di riferimento in cui erano usate. Sottolineo che la politica greca per quanto fosse definibile un cerchio era tuttavia un cerchio molto ristretto in quanto ne erano esclusi un gran parte della popolazione attiva della società nella sua interezza in particolare ci riferiamo agli schiavi, alle donne, ai poveri, agli stranieri; inoltre era un cerchio molto instabile dato le continue guerre esterne ma in particolare interne. La concezione della democrazia greca era una democrazia partecipativa ed attiva non rappresentativa ne delegata; essere membro attivo della sfera politica era quindi il pi alto dei privilegi ed onori. La sfera economica passava in secondo piano, e con essa quindi la sfera privata. Tutto ciò che riguardava il privato era da considerarsi come fonte di non realizzazione di sé e di impedimento all'ascesa pubblica. Questa possibilità di dedicarsi completamente alla vita pubblica era dovuta in gran parte alla gran disponibilità di manodopera schiavistica che permetteva di avere una base di sussistenza sufficiente. Sottolineo di nuovo che l'ideale predominante spingeva gli uomini a considerare indegno l'arricchimento personale e che la fonte di maggiore onore fosse l'adempimento dei compiti del cittadino.( l'unico interesse del uomo libero è l' Oikos ovvero la casa intesa nei suoi rapporti produttivi necessari alla sussistenza). Di seguito portiamo avanti il discorso sul pensiero greco e le sue specificità basandoci su tre punti: • il passaggio storico dall'ideale aristocratico della virtù guerriera a quello della virtù civile. • L'invenzione della politica e il rapporto con la Giustizia e le diverse realtà istituzionali. • L'emergere delle filosofia come sapere razionale in grado di dare risposte razionali ai problemi della vita associata. Omero I poemi omerici, fino alla comparsa della figura dei filosofi e dei retori, hanno rappresentato la fonte dei modelli di virtù e comportamenti etico-politici cui i greci si sono attenuti per secoli. Iliade e Odissea innalzano sopra ogni valore la virtù (areté, andreia); la virtù così intesa è una virtù fisica e un valore morale legato alla violenza, appannaggio di pochi eletti, e che inevitabilmente genera una spirale perenne di antagonismo tra i differenti eroi. Onore e Virtù. Virtù si identifica in forza ed onore. L'onore è quel concetto tipico dell'ideologia aristocratica che spinge gli uomini a mettersi alla prova in continuazione per evitare la vergogna e il disonore e a difendersi dagli attacchi sprezzanti degli avversarsi. La forza è chiaramente lo strumento attraverso il quale un uomo è in grado di difendere il proprio onore. La virtù così intesa non poteva che essere raggiunta tramite il riconoscimento della supremazia di un eroe su un altro eroe che inevitabilmente andava incontro all'annichilimento. In questo contesto non si trova spazio per una risoluzione stabile e pacifica dei conflitti in quanto non esistono norme condivise che stabiliscano il diritto e la giustizia e crollano persino i rapporti di collaborazione che univano nella lotta le fazioni. ( Es. : il conflitto tra Agamennone e Achille, Paride e Menelao, Ettore e Achille, Etc. etc. ). La forza non è chiaramente una fonte di legittimazione stabile e duratura. L'Iliade. L'Iliade mostra chiaramente il divario che separa la saggezza/giustizia dalla virtù guerriera: non vi è eroe che possegga entrambe le caratteristiche; la forza e la giustizia si contrappongono. È con Esiodo, Sofocle e Solone che la Giustizia acquista un ruolo primario sulla scena delle relazioni ponendo le basi per la costruzione di rapporti stabili e collaborativi. La Giustizia la nozione di Giustizia conosce varie fasi: una sorta di proto-Giustizia si può individuare nella Themis, ovvero una divinità figlia di Zeus. Themis incarna un ordine di origine divina che governa sul intero cosmo e che influenza la vita degli uomini in particolar modo governa il comportamento del Ghenos ,ovvero la stirpe, e regola la punizione delle infrazioni commesse al suo interno. In pratica si fa riferimento alla virtù aristocratica legata al valore guerriero, all'eroismo e alla difesa dell'onore, proprio e della stirpe. Ad uno stadio più evoluto di concezione di Giustizia troviamo la Dike. Dike è una “ragione oggettiva” che può essere assegnata alle parti in contesa tramite differenti meccanismi che vanno dall'accordo consensuale ad una risoluzione tramite una sorta di pacere, etc. etc. si tratta di una giustizia pratica, “di compromesso”, in grado di coniugare rivendicazioni contrastanti. Infine troviamo la Giustizia definita come Dikaiosyne. La Giustizia così intesa è una qualità dell'animo che permette la convivenza civile e pacifica tra gli uomini. In questo contesto nasce il contesto di colpa individuale da scontare singolarmente; la giustizia è una giustizia laica slegata da ogni vincolo divino. vi sono tante voci contrarie e avverse alla democrazia; uno tra gli scritti più famosi e rappresentativi è da attribuire ad un anonimo che viene definito Vecchio Oligarca ed è l'athenaion politeia. Questo scritto è una sorta di pamphlet che mira a denigrare la forma della democrazia asserendo che sia lo strumento attraverso il quale i cattivi saliranno al potere. Egli descrive la plebe come un parassita che vive succhiando linfa dalla parte più ricca della società. La democrazia ateniese non sarebbe altro che uno eufemismo per nascondere l'imperialismo che si nascono dietro i reali meccanismi del suo funzionamento: Atene impone alle città vassalle di venire in nella “Capitale” a celebrare i processi così da tenerle lontano dalla conoscenza dei funzionamenti della politica. La democrazia sarebbe in quest'ottica un sistema marcio e irrecuperabile. Tirannide l'epoca delle Tirannidi si ebbe tra il VII e il VI secolo a.C., e quando si manifestarono assolsero ad un compito significativo ovvero ristabilire l'ordine in determinate situazioni di crisi. Sfortunatamente la tirannide non trovò mai una forma di costituzionalizzazione, e fu sempre ritenuta una forma di governo illegittima e indissolubilmente legata alla violenza. Con la cementificazione della concezione di democrazia la tirannide assunse irrimediabilmente una connotazione negativa e in particolare fu Platone a definirla la forma degenerata della monarchia, forma adatta solo al governo dei popoli schiavi dell'Asia e non degli uomini liberi della Grecia. Legge E Natura la concezione delle leggi che ci propone il Vecchio Oligarca nel suo scritto ci fa capire come il pensiero greco si sia iniziato ad allontanare dal nomoi così inteso da Esiodo o Eschilo. La legge non è più neutrale e super partes ma è oggetto di contesa politica e dibattito etico come ad esempio mostra la tragedia di Sofocle l'Antigone; in questa tragedia la legge positiva, il diritto umano, si scontra contro i principi naturali che albergano all'interno di ciascun essere umano e che hanno una sorta di natura “divina”; questo contrasto pone le basi per la disobbedienza nei confronti della Giustizia. La Sofistica altro esempio di come muta la concezione del diritto è la scuola dei sofisti ovvero professionisti della parola, abili oratori e persuasori. Tra i più rilevanti esponenti di questa scuola troviamo Protagora, Gorgia, Ippia, Antifonte, Crizia, Trasimaco, Etc. etc. che lavorano in particolare alla fine del V secolo a.C. le caratteristiche comuni a questi pensatori sono l'adesione strumentale alle varie forme di governo e la decostruzione del rapporto tra legge e giustizia attraverso una doppia strategia argomentativa che in sostanza asseriva che la legge uniformandosi alle regole naturali dovrebbe garantire l'interesse del più forte. La politica è un campo razionale di battaglia in cui ha la meglio chi riesce ad utilizzare al meglio le proprie risorse, ed in questo caso, chi riesce a manipolare con più capacità la retorica. Platone è uno dei più acerrimi contestatori di questa scuola anche se è lui che in uno dei suoi dialoghi riassume perfettamente la concezione che il sofista ha della legge : “strumento del debole per difendersi dal diritto dei più forti”. Tucidide Tucidide analizza in maniera del tutto originale e innovativa un frangente della storia a lui contemporanea ovvero la Guerra del Peloponneso che tra il 431 e il 404 a.C. tenne occupate le città di Sparta e Atene. Egli ritiene che questo evento per la sua particolarità sia di rilevanza indiscutibile per la vita di ogni uomo, un evento tanto importante quanto necessario. Storia politica. Secondo Tucidide la storia politica e completamente razionabile e quindi ricostruibile. Questa consapevolezza è dettata dal fatto che egli è convinto che le azioni politiche siano necessariamente mosse dalla ricerca dell'utile attraverso l'impiego della potenza. La politica può raggiungere i propri obbiettivi solo tramite la potenza, e in relazione all'evento storico analizzato, tramite la potenza militare e l'imperialismo: la ricchezza è figlia della guerra. Particolarità della narrazione storica di Tucidide è l'individuazione di cause razionali per l'agire politico e la quasi totale esclusione del caso dalla storia. Conflitto e potenza. Tucidide asserisce che ogni contendente in un conflitto fa riferimento al buono e al giusto nelle motivazioni che lo spingono alla rivalità, tuttavia afferma anche che l'unico e più vero motivo è il desiderio dell'affermazione del proprio utile, nel caso della Guerra del Peloponneso, l'utile è rappresentato per Gli ateniesi dalla sottomissione di Sparta e per gli Spartani il contrario. Riprendendo la relazione tra potenza e utile, se la potenza è lo strumento attraverso cui si raggiunge l'utile, quando la potenza raggiunge un certo livello lo scontro diventa necessario con chi teme certi livelli di potere. Essendo l'accumulazione di potenza necessaria anche la guerra diventa necessaria all'interno di un organismo politico. In quest'ottica cade ogni motivazione etica e morale e la condotta politica viene guidata solamente dalla logica del più forte: chi ha i mezzi e le capacità per comandare, comanda, i più deboli obbediscono. Tucidide dipinge il rapporto fra forze politiche come necessariamente conflittuale. Senofonte il modello di Sparta la Guerra del Peloponneso si concluse con la sconfitta di Atene e l'insediamento del governo dei trenta tiranni che durò fino al 403 a.C. in questo contesto si fecero sentire nuovamente le tendenze aristocratiche che vedevano nel modello oligarchico spartano un modello superiore a quello della democrazia. Senofonte è sicuramente il più illustre rappresentate di questa tendenza e i suoi modelli di riferimento sono il governo Spartano e la monarchia di Ciro. Senofonte trova il punto debole della democrazia dell'inettitudine della massa che sarebbe indegna e inadatta al comando; solo pochi eletti posseggono la virtù politica che li rende atti a comandare. Senofonte teorizza un'educazione specifica per le classi dirigenti, un'educazione tecnicamente completa, ma anche un educazione in grado di predisporre gli uomini al comando e a ricevere obbedienza. È proprio questo l'aspetto che elogia più del sistema spartano : un sistema educativo in grado di dare continuità alle sfere di comando e quindi all'obbedienza, un sistema che assicura ai migliori le posizioni primarie e dirigenziali escludendo dalla linea del comando gli incompetenti. La Persia di Ciro. Senofonte individua nel modello monarchico siriano nel monarca Ciro, un'alternativa valida al modello spartano. Il principe è il primo tra gli uomini in virtù del controllo che ha raggiunto su sé stesso, e grazie a questo controllo è in grado di operare il bene comune nel rispetto della legge e dei cittadini, tutti uguali dinnanzi alla legge. Il re è magnanimo e misericordioso, non scorda mai i doveri di umanità, neanche contro i nemici; il re è amato dal popolo ed è riconosciuto da esso come benefattore. Platone L'opera di Platone si inserisce in un contesto di smarrimento di valori certi e di messa in discussione dell'ordine raggiunto; Platone si propone di ristabilire la giustizia ponendola su basi certe al sicuro dagli attacchi della sofistica. La politica avrebbe trovato nuova linfa nella filosofia ovvero nella conoscenza dell'essere e delle idee. La politica torna ad essere tecnica e non democratica, ma stavolta guidata dal Bene, incarnato dalla filosofia che guida l'operato dei governanti. La città Malata Platone ritiene che il passo preliminare al rovesciamento della politica sia l'ammissione della malattia che corrode l'anima degli uomini e quindi la città; la filosofia è lo strumento attraverso cui risanare le impurità della corruzione ed è ne la Repubblica che traccia le linee da seguire per il ristabilimento della giustizia. La “Repubblica” La Giustizia Per Platone la Giustizia è la virtù politica per eccellenza, è quindi necessario definirne gli effetti. Per definire il concetto di giustizia Platone parte dalla genesi della città e dalla divisione dei compiti all'interno della società : vi è chi si occupa della produzione dei beni, chi invece si occupa della difesa della società contro pericoli esterni e vi infine chi si occupa della gestione della città. Ognuno svolge un compito a secondo delle proprie qualità e caratteristiche: in particolare gli archontes dovranno essere liberi da ogni tipo di proprietà e padroneggiare le scienze umane. La giustizia in questo sistema è il garante della corretta divisione dei ruoli all'interno della società: giustizia vuol dire combinare la filosofia con le caratteristiche peculiari di ciascun uomo per stabilirne la posizione politico-sociale.( Platone fa riferimento a desiderio-aggressività-ragione per distinguere tra le caratteristiche predominanti dell'animo umano). La giustizia in questo sistema è il principio ordinatore e regolatore della vita civile e politica della città. Vero e Bene. Platone legittima il primato dei filosofi e il loro diritto a comandare sugli altri uomini attraverso il Mito della Caverna. I filosofi sono quegli individui in grado di liberarsi dalla catene che costringono l'umanità sul fondo di una caverna ad osservare per sempre l'ombra delle cose reali proiettata sul muro di pietra; essi raggiungono la superficie e vedono i veri oggetti(le idee) e il sole ( il bene) che illumina ogni cosa e poi discendono nuovamente nella caverna per liberare gli altri uomini dal giogo dell'apparenza. La legittimazione al governo deriva quindi dalla maggiore conoscenza del vero e del bene dei filosofi rispetto al resto della popolazione: i filosofi sono in grado di abbandonare passioni e liberarsi dalla schiavitù dei sensi in tal modo possono mantenere l'equilibro sociale e migliorarlo. Platone quindi prospetta un tipo ideale di governo ovvero il governo “ottimo”. Se il governo dei filosofi è l'unico in grado di assicurare pace e armonia, esistono diverse varianti di governo degenerato che invece portano solo caos e disordine. Il ciclo delle forme di governo la degenerazione dell'ottimo stato avviene secondo un ciclo che attraversa quatto fasi ovvero Timocrazia, oligarchia, democrazia, tirannide, e che interessa sia la morale che la città ( politica). I primi a corrompere il proprio spirito sono proprio i governanti che lasciatisi tentare dai desideri della carne cederanno al desiderio e si spartiranno tra loro le ricchezze e le terre ponendo fine al loro “comunismo”. Successivamente la timocrazia inizia a trasformarsi in oligarchia quando i governanti iniziano a descrizione e norma. Questa premessa ci riporta ad una delle più rilevanti considerazioni di Aristotele : la politica non è malata ma si presenta sotto diversi aspetti e forme, tutte da analizzare nella loro contingenza. “l'uomo è un animale politico dotato di ragione” significa che la politica è un esercizio pratico della ragione e che la sua esistenza ( della politica) è naturale per l'uomo e indispensabile per lo sviluppo della razionalità collettiva. In pratica è per questo motivo che Aristotele non postula la necessità di un governo di filosofi: la realtà politica e sociale essendo il luogo ove si esplicano le virtù morali degli uomini è in grado di regolarsi sempre attraverso un governo umano. La giustizia non è una e unica ma la virtù politica che si realizza nelle più diverse condizioni della vita associata. “Politica” La vita associata la distanza dal paradigma platonico emerge a partire dalla definizione della comunità e della vita associata. La comunità è il risultato di un processo storico di aggregazione di diverse unità strutturali che unitesi danno vita alla città: la città non è il risultato di un processo razionale di divisione dei compiti ma un aggregato complesso di rapporti stabilitisi nel tempo. È in relazione all'analisi del rapporto tra famiglia e oikos che Aristotele definisce le peculiarità del potere politico e le differenze che lo distanziano dalle altre forme di potere politico. Le altre forme di potere diverse da quello politico interessano la sfera privata o economica; con economica si intende la buona gestione della casa e dei suoi processi produttivi volti all'autarchia, ma anche l'analisi dei rapporti tra i vari membri dell'Oikos. Definizione del potere Politico Il potere politico è per Aristotele un governo esercitato su uomini liberi ed eguali, questa affermazione postula il principio di convivenza tra potere e libertà. Per libero si fa riferimento all'uomo padrone di casa e dei servi, e quindi il potere deve tenere conto della radice economica della libertà e quindi tutelarla. Aristotele, in contrasto con Platone, trova che l'eccessiva comunanza dei beni non sia un beneficio per la comunità, che anzi la politica abbai il dovere di difendere quella pluralità e diversità che compone la società stessa, diversità sulla quale si fondano le maggiori distinzioni sociali : tra ricchi e poveri, tra liberi e schiavi, tra uomini e donne, etc. etc. proprietà e famiglia restano in quest'ottica beni privati e intoccabili e il loro uso comune ha dei limiti ben precisi. In particolare per quanto riguarda la famiglia, è il sentimento di Philia( amicizia) che acquisisce valore morale e politico diventando fonte di ispirazione per i governanti che più di ogni altra cosa temono la stasis ovvero la guerra civile. Superato il problema del eccessivo comunismo Aristotele analizza la città identificando nel cittadino e nella costituzione gli elementi fondanti della stessa. In relazione a questo aspetto se la costituzione rappresenta l'ossatura istituzionale della città la definizione di cittadino è da adattare ogni volta alla costituzione di riferimento. In questo senso la proprietà di cittadino non è una caratteristica intrinseca all'uomo ma è il risultato di ciascuna costituzione che la definisce e quindi essa può variare considerevolmente. Forme di Costituzione Per catalogare le differenti forme di costituzione Aristotele adotta come criteri il numero dei detentori del potere e la preminenza dell'interesse privato o pubblico costruendo uno schema che si fonda su 6 modelli, 3 positivi e 3 che rappresentano la degenerazioni dei primi. 3 forme rette : Regno, Aristocrazia, Politia 3 forme corrotte : Tirannide, Oligarchia, Democrazia a questa catalogazione formale delle forma di governo Aristotele aggiunge un'analisi di tipo sociologico : egli ritiene che le dinamiche della ricchezza influenzino in modo più rilevante la vita politica degli stessi criteri formali da lui elencati. In pratica se ci troviamo sotto il governo dei ricchi si tratta di un'Oligarchia quando invece sottostiamo al governo dei poveri ci troviamo in una democrazia. Aristotele inoltre analizza le forme di governo in relazione alla loro legittimazione e arriva a sostenere in contrapposizione al suo maestro l'illegittimità delle pretese di governo dell'aristocrazia sostenendo invece il diritto al governo della maggioranza. Il tema della costituzione migliore a proposito della costituzione migliore Aristotele espone diverse idee in diverse fasi della sua produzione: ➢ Nel IV libro il criterio che determina l'efficacia di un governo è la sua stabilità e la sua capacità di perdurare nel tempo. Per far si che una comunità politica sia stabile è necessario cercare di estendere il più possibile la classe media in modo da omogenizzare la società ed evitare gli stravolgimento. In relazione alla stasis Aristotele, a differenza di Platone non prevede, che la degenerazione della forma ottima di governo segua un processo lineare e ciclico ma che anzi sia da ricondurre in primo luogo ad uno scoppio di violenza improvviso e che ogni forma di governo possa degenerare nella forma a lui più prossima oppure no. ➢ Nei libri VII e VIII le argomentazioni di Aristotele assumono un registro differente. La costituzione migliore non è quella che unisce aristocrazia e politeia ma è quella che innalza l'ideale della vita preferibile e si fonda su un sistema di valori teoreticamente dimostrabile come il migliore. La migliore delle vite è quella vissuta nella virtù e lontano dalla tirannide e dalla violenza. Il problema nasce in relazione alla superiorità delle virtù dianoetiche su quelle etiche che quindi spingerebbero l'uomo ad una vita contemplativa e apolitica. Per ovviare a questo problema Aristotele sostiene che anche la contemplazione sia un'attività pratica necessaria alla vita politica. Aristotele individua altre caratteristiche che la migliore costituzione deve possedere: ➢ deve garantire l'autarchia e l'unità della comunità ➢ garantire l'effettiva partecipazione per una migliore distribuzione delle cariche e l'assicurazione dell'eguaglianza tra i cittadini. Sottolineo che la concezione di cittadino è da ricollegare alla costituzione vigente all'interno della comunità e che in particolare ad Atene erano esclusi da questa nozione le donne, i bambini, gli schiavi, gli stranieri e i poveri. La costituzione di Atene la costituzione di Atene viene redatta tra il 329 e il 328 a.C. e rappresenta una raccolta delle costituzioni che si sono susseguite ad Atene a partire dall'età arcaica fino alla costituzione del 403 dopo la cacciata dei trenta. Nonostante si tratti di un'opera descrittiva si possono intravedere al suo interno i valori a cui si ispira: la necessità del rispetto delle leggi e un cauto avvicinamento alla democrazia. L'influenza fu eclissata per tutto il medioevo dal platonismo e dall'agostinismo politico e venne riscoperta solamente a partire dal duecento quando si mise in atto un processo di laicizzazione della politica vista come attività naturale dell'essere umano. In seguito il pensiero di Aristotele ha posto le basi del elogio del paradigma della misura contro la politica di potenza ed ha rappresentato il primo esempio di razionalità pratica. L'ellenismo Nello stesso periodo in cui Aristotele descriveva i caratteri della Polis, essa giungeva al termine della sua parabola storica in quanto la Grecia fu inglobata in quel periodo all'interno dell'impero Macedone perdendo la sua secolare indipendenza e portando al declino della Politica nelle forme sopra descritte ( partecipazione cittadina alla politica). Cinismo ed Epicureismo. Nelle molteplici scuole filosofiche dell'ellenismo si vede una progressiva perdita di rilevanza della politica. Analizziamo brevemente due delle correnti più rilevanti di questo periodo: cinismo ed epicureismo. I caratteri salienti del cinismo sono la disgiunzione tra la pratica della virtù e la città e l'erosione del concetto di patria in favore del cosmopolitismo. L'epicureismo si contraddistingue per avere fatto propria la massima del “vivi nascosto” : il saggio e il filosofo nella ricerca della tranquillità e della felicità si allontanano dalla vita politica solo madre di pene e sofferenze. Per l'epicureismo la politica è importante nel suo aspetto utilitaristico: la politica è importante nella misura in cui garantisce la sicurezza necessaria per lo svolgimento delle attività umane e nient'altro. Stoicismo. Lo stoicismo si collega a cinismo ed epicureismo nell'innalzare il saggio sopra la massa e sopra la vita turbolenta della città, tuttavia, è insita in questa corrente una forte ambivalenza : da un lato l'elogio del uomo saggio e dei suoi valori personali contro gli assetti sociali esistenti dall'altro la difesa dell'ordine politico come razionale e fondato sull'unità tra leggi fisiche del cosmo e leggi politiche. Lo stoicismo si trova perfettamente a suo agio all'interno del contesto imperiale in quanto viene esaltata la fierezza del singolo ma al contempo si afferma la necessità di conservare l'ordine politico esistente in quanto riflesso dell'ordine naturale del cosmo. 2. Roma tra il 264 e il 241 a.C. Roma, che ha ormai conquistato l'Italia ed è diventata Repubblica, si affaccia sul Mediterraneo con le Guerre Puniche e l'organo di governo che più la rappresenta è il Senato. Ordinamento politico romano. In Senato sedevano i capi delle famiglie nobili romane al termine del Cursus Honorum, ed al Senato era attribuita l'auctoritas. L'autctoritas è il fondamento della potestas romana, ovvero la base di legittimità del potere esercitato dai governanti: auctoritas vuol dire guida e bussola della vita pubblica della città. Il Senato. Il senato romano rappresenta l'impressionante capacità della classe aristocratica di far perdurare nel tempo l'autorità e la volontà delle classi dirigenti in contrasto invece con l'inettitudine dell'aristocrazia greca. L'auctoritas rappresenta il principio sulla quale i romani hanno costruito la propria grandezza : contro la libertà svincolata dei greci la libertà organizzata e rigida romana rappresenta lo strumento per la costruzione di uno stato solido e quindi di una potestas stabile. Il senato ha funzioni legislative e amministrative oltre che diplomatiche, inoltre come custode della continuità stessa della città il senato designa i magistrati e da loro i poteri per esercitare la carica. Le magistrature a Roma discendono dalla città e non sono attribuite dal popolo come ad Atene. Le Magistrature. La potestas passerà nel corso dei secoli anche nelle mani della plebe attraverso i tribunati della plebe. La potestas connessa con l'esercizio di una magistratura è l'esercizio di un certa forma di coercizione e l'imposizione di prescrizioni obbligatorie; l'imperium è la capacità di esercitare potere militare di un comandante di armata. ( censori, questori, edili esercitano solo potestas; consoli e pretori esercitano anche imperium). Educazione del Principe Seneca, precettore di Nerone, percepito anche egli questo pesante stravolgimento della vita politica romana si propone di ricondurre la figura dell'imperatore entro dei limiti di civiltà attraverso l'imposizione dell'etica come fondamento del potere. Quindi il suo obbiettivo è quello di attuare una limitazione del potere del principe tramite l'educazione e la pedagogia per riportare equilibrio tra autorità imperiale e libertà individuali. Clemenza Il potere che il principe esercita può essere funesto o benevolo si tratta quindi di dirigerlo verso la sua natura provvidenziale eliminandolo inanzi tutto l'ira dall'animo del potente per condurlo alla ragione e alla clemenza. L'ira è una forma di follia, e anche quando deve punire egli deve essere severo ma giusto e sereno. Seneca dimostra l'utilità per il principe di essere giusto e clemente. La clemenza è un rapporto sbilanciato e non reciproco e quindi non politico: è una virtù di un superiore che si dimostra indulgente con un sottoposto. La clemenza è virtù regale che conviene al principe, inoltre è paterna e pastorale in quanto si preoccupa della salute di tutti e del benessere generale. L'utilità della clemenza si dimostra nell'amore che i sudditi riversano sul principe rafforzandone il potere. Tuttavia le motivazioni che muovono Seneca sono tutt'altro che utilitaristiche, è ben si la sua morale stoica a spingerlo: il principe è descritto come pneuma ( soffio vitale) mens e logos( ragione) contrapposto alla multitudo, alla quale conferisce forza e vitalità. Il potere è sia logos che paterno in quanto volto alla realizzazione degli esseri che vi sono asserviti inoltre ricorda che il potere significa tutela e non asservimento. La missione del principe è quindi quella del beneficio ai sudditi. Seneca utilizza la forma degli specula principis per cercare di educare Nerone a questi principi. Gli specula principis adottano la seguente struttura : dipingono la persona di cui trattano come colma di qualità positive e che quindi colui a cui è destinata l'opera leggendola si compiaccia delle virtù che l'autore trova in lui e si conformi alla descrizione. Seneca vuole indurre Nerone a rendersi degno specchio di sé e quindi buon principe. Plinio il Giovane Seneca e le sue opere ebbero una grande influenza sulla produzione successiva ed in particolar modo influenzarono il pensiero politico di Plinio il Giovane il quale adottò come stile di scrittura la laudatio: uno scritto destinato ad essere esposto pubblicamente, in cui sono presenti meccanismi simili allo Specula, quindi encomi ed elogi per il destinatario, ma che inserisce al suo interno elementi di teoria politica atti a rivitalizzare il ruolo del senato e a regolare l'operato del princeps. La Virtù del principe Il principe deve incarnare si la figura del padre amorevole dispensatore di grazia e clemenza ma il suo potere deve trovare anche una sorta di moderazione. Plinio pensa che il meccanismo dell'adozione(metodo di designazione del successore) possa essere un buono strumento per limitare il potere imperiale principalmente per due motivi: • l'adozione prevede che sia il criterio della virtù il criterio discriminante per diventare principe. • La virtù è da ricercare fra “tutti” ed in questo è più facile riconoscere l'autorità del principe così scelto. Plinio trova che la massima assicurazione contro la tirannia del principato sia l'assicurazione del diritto e lo spontaneo asservimento del principe alla legge stessa. La legge. Per un corretto esercizio del potere è necessario che si imponga il “governo della legge”, in altre parole sia cittadini che principe sono resi per certi versi eguali dalla subordinazione al diritto. La supremazia del diritto assicura ai cittadini la libertas ma garantisce anche al principe una maggiore stabilità del suo potere in quanto l'amore e il rispetto dei sudditi rendono salde le fondamenta del suo governo. Tuttavia storicamente parlando, la carica imperiale a partire dal III d.C. rappresentò sempre più una figura eminentemente dominatrice. Cristianesimo e Politica 1. Le origini e il medioevo quando analizziamo il pensiero politico cristiano è impossibile prescindere dal fatto che esso ha come finalità la salvezza ultraterrena del uomo e che il saeculum non è altro che una pena temporanea: l'uomo per il cristianesimo è stato creato da Dio a sua immagine e somiglianza e con lo scopo di dominare sull'intero globo. Questa visione così antropocentrica si allontana drasticamente dal pensiero classico che concepiva invece l'essere umano come parte del tutto; inoltre il cristianesimo da vita ad alcune comunità di fedeli che si contrapporranno in più occasioni al potere politico e alle preesistenti forme di aggregazione. Le alternative principali la rivoluzione del cristianesimo. Date le evidenti rivoluzioni sul piano spirituale che apportò il cristianesimo era prevedibile aspettarsi ricadute sul piano pratico. Il “Discorso della Montagna” rappresenta uno stravolgimento dei valori della vita associata ( porgi l'altra guancia) tuttavia non si ebbero rivoluzioni sociali ne politiche in quanto lo stesso Cristo afferma che il regno del cristiano non si trova sulla terra ma tra i cieli, inoltre più volte ribadisce l'importanza dell'obbedienza all'autorità ( date a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio). Il Cristianesimo in conclusione non rappresenta un esplicito messaggio sovversivo ma è chiaro che minando alle basi della convivenza civile fa entrare in crisi il rapporto tra tra potere politico e religione mettendo a serie prova la lealtà del singolo. Si possono individuare essenzialmente due correnti di pensiero interne al cristianesimo che cercano di risolvere il rapporto con la politica : una afferma che il potere è direttamente legittimato dalla volontà di divina e che quindi l'obbedienza gli è dovuta, mentre l'altra sostiene che il cristiano debba quasi completamente estraniarsi dal secolo. Le posizioni di San Paolo sono riconducibili alla prima corrente mentre il pensiero di Erma, e dell'autore della lettera a Diogneto corrispondono alla seconda scuola di pensiero. S. Paolo Paolo teorizza che l'obbedienza alle autorità sia necessaria e postulata da Dio stesso e che quindi la legittimazione del potere politico sia la volontà divina medesima. Il compito del potere il potere ha come suo scopo principale quello di punire i malvagi sotto il mandato del Creatore. Il potere ha a disposizione la violenza per ottenere il rispetto della sua autorità e per portare a termine il suo compito; il potere deve agire giustamente ed essere in grado di discernere tra bene e male. In pratica l'apostolo Paolo trova dei fondamenti teologici all'obbedienza. Erma e la “Lettera a Diogneto” La Fuga dal Mondo in uno scritto risalente a circa la metà del II secolo d.C. redatto da Erma, uno schiavo greco vissuto libero a Roma, troviamo invece la prescrizione opposta: il cristiano deve astenersi dal legarsi al mondo terreno in particolar modo evitando di acquistare e possedere beni materiali. In sostanza Erma coniuga alcuni elementi della tradizione stoica con la nuova morale cristiana. Lo stesso atteggiamento di ripudio del mondo lo si ritrova all'interno dello scritto chiamato “ lettera a Diogneto” ( ignoto). In questo scritto viene aggiunto il tema del ripudio dell'obbedienza: il cristiano non ha alcun dovere verso le autorità terrene in quanto esse non rimandano in alcun modo alla volontà di Dio. La Svolta Costantiniana legittimazione divina del potere con l'inizio del IV secolo d.C. e con l'adozione del Cristianesimo come religione ufficiale dell'Impero romano si conclude la parabola del pensiero legato alla corrente di Erma e la lettera a Diogneto. Con il principato di Costantino si segna il declino della scienza politica fino ad almeno al tardo basso medioevo e all'ascesa della teologia. Ciò che accomuna i pensatori politici medievali è sicuramente la credenza della base etico-religiosa del potere, unita ad alcuni elementi di romanizzazione del culto come ad esempio l'inclusione all'interno della dottrina dei concetti di autorità e diritto. A partire da questo momento i rapporti tra potere e chiesa entrano in una fase conflittuale a causa delle reciproche pretese di dominio. Eusebio di Cesarea teorizzatore della nuova teologia politica fu Eusebio di Cesarea, vescovo e scrittore che opera agli inizi del IV secolo d.C. Eusebio afferma che il legame tra chiesa ed impero sia un legame indissolubile è deciso dalla divina provvidenza: il fatto che il cristianesimo sia nato all'interno dell'impero romano non è affatto un caso; Dio stesso ha valutato propizio il momento per la diffusione del suo verbo data la stabilità e la sicurezza che l'impero assicurava al mondo. L'unità religiosa è assicurata dall'unità politica e viceversa. Eusebio crede fortemente nella superiorità della “Monarchia” rispetto a qualunque tipo di poliarchia. Cesaropapismo nella visione di Eusebio l'imperatore è un vicario del Signore in quanto svolge compiti vescovili( direzione della vita della comunità cristiana): la politica assorbe al suo interno anche la religione. Questo modo di organizzare il rapporto tra religione e politica si definisce cesaropapismo. È sulla base della differente organizzazione di questo rapporto che si fonda la differenza secolare tra secolo ad una sorta di rinascita spirituale della chiesa. Il movimento cluniacense portò nel giro di pochi decenni al soglio pontificio due dei suoi esponenti il più importante dei quali è Gregorio VII. Gregorio espone i suoi intenti all'interno del così detto Dictatus Papae in cui sostiene la superiorità del papa sui vescovi in quanto discendente del primo papa Pietro, apostolo di Gesù e direttamente nominato pontefice dal Messia. La Successione del pontefice da Pietro come ho appena sottolineato Gregorio sostiene la superiorità del pontefice sulla base di una tesi innovativa : successione petrina. Questa fonte di legittimazione pone il papa in posizione superiore a quella di un qualsiasi regnante anche sul piano temporale: data la diretta discendenza del pontefice dagli apostoli la ribellione ad un suo ordine equivale alla ribellione della carne allo spirito. La posizione degli imperialisti la posizione degli imperialisti poggia su basi teoriche (almeno inizialmente) decisamente più deboli: Pietro Crasso, giurista di Ravenna del tardo XI secolo, nel suo Defensio Henrici IV regis utilizza i seguenti espedienti argomentativi: • contro la scomunica del sovrano utilizza la costruzione apostolica del “ non giudicate nulla prima del tempo” (Paolo) unita alla sacralità regale che vede equiparare potestà imperiale e papale in quanto entrambe discendenti da Dio. • Altro argomento a sostegno della posizione imperiale ( argomentazione molto più efficace ed incisiva) è quella del rispetto del diritto e delle istituzioni e in particolar modo della proprietà. (testamenti, etc. etc.). Crasso cerca di dimostrare la necessità del diritto civile di resistere alle invadenze del diritto canonico tuttavia utilizza un analogia, tra regno e proprietà privata, che rende la questione politica quasi una questione di diritto privato. L'ordine Giuridico Medievale aggiungiamo il concetto di diritto all'interno della riflessione che vede relazionarsi la politica e la religione. Pluralismo medievale il medioevo è estraneo alle logiche moderne del diritto. La società medievale è una società profondamente pluralistica dal punto di vista delle fonti del diritto ma anche per quanto riguarda gli ordinamenti stessi. Esempio lampante di questa situazione è la convivenza di diversi ordinamenti sullo stesso territorio con il diritto canonico o con il diritto commerciale prodotto da gilde di mercanti o altri corpi specifici. Il diritto canonico rappresenta il diritto formulato dagli ecclesiastici per regolare la comunità interna ed esterna. Il diritto canonico venne riorganizzato da Graziano, un monaco, che insegnava diritto all'università di Bologna nel XII secolo dotando così anche la chiesa di un corpo giuridico ben organizzato ed efficace. Regalità medievale conseguenza prima del pluralismo giuridico medievale è un particolare rapporto tra re, legge e ordine. Il re ha il compito di mantenere l'ordine esistente e di garantirlo, non di rivoluzionarlo ne di cambiarlo; la società si articola in più ambiti, ognuno con le sue prerogative e particolarità; le norme sono generate dal tessuto sociale in quanto generato dalla volontà divina e riconosciute in virtù di questa legittimazione dal potere politico: il diritto non ha alcuna connotazione imperativistica e perciò la giustizia non è decisa dal potere ma solo amministrata. Il re ha il compito di mantenere l'ordine costituito e quando necessario ristabilire la giustizia qualora venga infranta: l'azione politica stessa del sovrano è sottomessa alla giustizia così intesa e per questo motivo si assiste ad una sorta di equiparazione tra la sorte del regnate e del popolo. Tuttavia il sovrano nella concezione medievale ha natura divina e perciò è svincolato dai normali legami sociali e comunitari e per questo motivo soggetto altro dalla società. L'anonimo normanno la tendenza alla divinizzazione appare chiara in : • Francia : re taumaturghi • Inghilterra: il re incarna in se sia l'aspetto umano che quello divino: dopo la consacrazione il sovrano aggiunge al suo corpo mortale il corpo mistico del regno emblema dell'eternità della regalità.( questa concezione della sovranità si trova all'interno dello scritto anonimo “Anonimo Normanno”). Il tentativo dei poteri laici di appropriarsi del corpus mysticum è da collegare alla ricerca di nuove fonti di legittimazione più solide per conferire nuova linfa alla potestà regale. Giovanni di Salisbury L'uomo di Governo Giovanni Di Salisbury si forma a Parigi in un clima pre-umanistico sotto l'influenza della scuola di Chartres e per questo motivo oltre all'interesse per la fisica riabilita i classici per quanto riguarda il loro pensiero politico. Giovanni pubblica nel 1159 il Policraticus (l'uomo di governo), scritto di scienze politiche in cui cui affronta in un modo innovativo e lontano dall'atmosfera agostiniana i problemi politici del suo tempo attingendo oltre che dalla tradizione cristiana, dalla tradizione classica. Il potere politico deriva sembra da un investitura divina, solo che, in una logica organicistica, il rapporto tra sovrano e popolo non è quella che lega superiore ed inferiore ma quella che unisce capo e corpo, e quindi si fonda più sulla collaborazione che il comando. La giustizia nella concezione di Giovanni inizia ad avere un vero significato politico autonomo rispetto al potere laico e al potere ecclesiastico. Centralità della Giustizia Il sovrano deve sottostare alle leggi e volontariamente vincolare il proprio operato alla giustizia: questo è il fattore che determina se ci troviamo in una situazione di buon governo o tirannide. Giovanni, come Agostino, riconosce anche ai tiranni il titolo di messi di Dio, tuttavia ritiene giusto e corretto il tirannicidio; il tirannicida è legittimato nella sua azione dallo stesso soggetto che legittima la potestà del tiranno ovvero Dio. Giovanni sostiene l'inferiorità del potere politico rispetto al potere spirituale, al quale è sottomesso e deve ubbidienza. Giovanni sostiene che anche il potere spirituale e in particolare la potestà papale, possa trasformarsi in esercizio tirannico ed anche in questa situazione il tirannicidio è giustificabile, ed anzi, auspicabile. Tommaso d'Aquino Agli inizi del '200, grazie alle traduzioni in latino dei testi di Aristotele ed in particolare della “politica” e della “ Etica Nicomachea”, il dibattito politico trova nuova linfa; esponente di spicco di questa rinnovata visione delle organizzazioni politiche è Tommaso d'Aquino. Tommaso rivaluta positivamente la natura umana : in quanto razionale la natura umana può e deve costituire un ponte con la fede e la Grazia, ciò nonostante è possibile analizzarla separatamente dal fine a cui è rivolta. Attraverso la lettura delle sue opere (de regimine principum, Summa Theologiae, Summa contra Gntiles) possiamo dedurre il quadro di riferimento a cui Tommaso si rivolge : esiste una lex naturalis che ha il compito di ordinare il creato; la lex naturalis discende dalla lex aeterna, e dalla lex naturalis discende la lex humana. La legge naturale funge da cerniera tra la legge positiva e la legge divina e rappresenta l'ordine razionale dell'essere che l'uomo può conoscere solo grazie alla ragione naturale. Legge naturale legge naturale è anche sinonimo di Giustizia ed essendo razionale dovrebbe essere identica in tutti gli uomini, tuttavia non lo è. La razionalità del uomo può essere offuscata o annebbiata per diversi motivi, ciò nonostante l'essere umano è tendenzialmente retto e buono. In sostanza Tommaso sostiene la naturale bontà dell'essere umano ed attribuisce a questa il merito di aver permesso all'uomo di compiere il cammino verso la costruzione della società. In quest'ottica la legge esprime una naturale tendenza associativa di un uomo che è sempre visto come animale sociale e razionale. La naturale socialità dell'uomo. La tendenza associativa alla base della politica è radicata in due elementi della natura umana ovvero nella sua non autosufficienza e nella sua tendenza allo sviluppo. L'incapacità dell'uomo di soddisfare tutti i suoi bisogni lo induce ad associarsi per scopi di cooperazione e allo stesso tempo anche la sua tendenza allo sviluppo lo spinge a cercare la cooperazione. Data la naturalità della società ne deriva automaticamente la naturalità del potere come direzione della vita associata verso il bene comune. Il bene comune è ciò che interessa tutti ma è anche il prodotto stesso della politica oltre che la legittimazione del potere e delle leggi, e Tommaso se ne serve per classificare le forme di governo insieme al criterio quantitativo dividendo tra 3 forme positive e 3 forme negative basandosi sulla divisione operata da Aristotele. Il Governo. Nel de Regimine Principum Tommaso dedotta la naturalità del governo, deduce anche la forma migliore di governo. Dato che il fine ultimo del governo è l'unità e la pace il governo di uno si mostra come il migliore anche se egli non è affatto insensibile alle istanze partecipative, intravedendo nella partecipazione al potere note positive. In quest'opera la partecipazione è vista come rimedio all'instabilità della forma pura di governo della monarchia, riprendendo quindi la tradizione romana che individua nelle forme miste di governo le migliori soluzioni possibili, Tommaso abbozza una sorta di pensiero proto costituzionale che fissa dei limiti all'operato della potestà regia. Tuttavia data l'incompiutezza dell'opera il tema non viene approfondito oltre. L'elemento costituzionale. Nella “Summa Theologiae” il discorso costituzionale viene ripreso e ampliato seguendo due direttrici. • La legge degli uomini ha valore solamente quando si inserisce all'interno del contesto della legge naturale e quindi della Giustizia, in altre parole, la legge deve essere orientata al bene comune. • Il governo nel suo agire deve essere limitato dall'impossibilità di ledere il bene comune. Limiti del Potere. Tommaso pur condannando la seditio( rivoluzione violenta) afferma la legittimità di questa nel caso in cui il governo si dimostri essere appannaggio di pochi e quindi una tirannide. È diritto del popolo resistere ad un governo ingiusto e lottare, anche con la forza, affinché non venga ristabilita la giustizia. Il potere politico nella visione di Tommaso dovrebbe essere inoltre a disposizione di tutti, ovvero, tutti devono partecipare al governo. stabilire l'indipendenza da altri poteri e poi a determinare le forme dell'organizzazione politica della città. L'evoluzione del comune è stato ovunque pressoché omogenea : si è passati da una fase di governo collegiale dei consoli al governo di un Podestà mantenendo però inalterate le pratiche dell'autonomia, della libertà e dell'autodeterminazione. I comuni cercano di legittimare e giustificare la propria esistenza ed autonomia principalmente seguendo direttrici: la prima è quella che sostiene la superiorità di un governo popolare, la seconda è quella che trova nel diritto romano la base per il riconoscimento della legittimità delle pretese di autonomia di realtà autosufficienti. Affermazione del Governo Popolare. Brunetto Latini ( 1220 ca – 1294 ) è considerato il padre della repubblica fiorentina in quanto difensore dei concetti di libertà e autogoverno che Firenze fece propri nei decenni a seguire. Pur riconoscendo che sia il peccato la fonte del potere egli divide tra cariche perpetue e temporali distinguendo le forme ideali del potere nei tipi di Francia e Italia. In Francia il popolo è sottomesso ad una signoria perpetua che perdura attraverso la trasmissione ereditaria del potere ed ignora i bisogni comuni, mentre in Italia sono i cittadini ad eleggere il proprio potestà nel più generale interesse. Solo la forma italiana può essere definita politica ed infatti è l'unica degna di essere trattata ed analizzata. Tolomeo di Lucca si occupa tra il 1300 e il 1305 di completare il de Regimine Principum di Tommaso d'Aquino stravolgendo per alcuni versi la tesi del Aquinate. Tolomeo infatti al contrario di Tommaso sostiene la superiorità della democrazia sopra alla monarchia in quanto ritiene caratteri imprescindibili della politica oltre che l'elettività delle cariche e la sottomissione alle leggi la divisione tra più individui del potere, trovando che il sistema democratico si confaccia perfettamente all'assetto cittadino. Remigio de Girolami, allievo di Tommaso, aggiunge che l'uomo tende al bene comune della sua città in quanto legatovi da una relazione di amore. Per Remigio il prodotto supremo del bene della città è la pace e la concordia. Rinascita del diritto romano. La rinascita del diritto romano nella sua versione giustinianea ha avvallato per un certo periodo le ragioni dell'impero nelle controversie con il papato. L'autorità del codice giustinianeo sostiene la superiorità dell'impero sopra qualunque altra forma di organizzazione politica e sociale e quindi anche sopra la Chiesa e gli altri corpi politici, come i comuni e i regni. Fautori di questa interpretazione del diritto sono i glossatori. Legittimazione giuridica dei comuni. Altro atteggiamento interpretativo fu quello dei commentatori, ai quali appartiene Bartolo di Sassoferrato. Bartolo sostiene l'esistenza di sovranità anche in assenza di concessione imperiale: le città che riconoscono autonomamente di non avere un superiore sono da intendersi come capaci di autogovernarsi e quindi di autodeterminarsi seguendo lo stesso principio che permetteva ai principi di autofregiarsi del titolo di sovrano. Le città che non riconoscono l'autorità imperiale sono da considerarsi libere ed autonome e quindi dotate di sovranità ovvero capacità di autogoverno. Bartolo infine distingue tra due differenti tipi di tiranno : i tiranni che diventano tali nell'esercizio del lor potere e tiranni che sono tali perché senza una vera legittimazione di base. Dante Paladino dell'impero è Dante Alighieri che a partire dai primi anni del '300 da vita ad una serie di opere a carattere politico. Necessità dell'associazione politica. Nel Convivio Dante riconduce la natura dell'associazione politica alla necessità di garantire le condizioni per il raggiungimento della vita felice in presenza di una molteplicità di bisogni che richiedono la cooperazione di molti per la loro soddisfazione. Città e regni parrebbero elementi necessari per il raggiungimento dello scopo se i loro rapporti non fossero pervasi da violenza e cupidigia. La garanzia della pace è tutelata dalla presenza di una monarchia universale che ha il compito sciogliere i nodi della discordia che si formano sia nei regni che nelle città, ed in particolare fa riferimento a Firenze ( colpita al inizio del secolo da anni di turbolenze politiche). La monarchia nell'opera “monarchia” Dante opera una riflessione accurata in merito alla relazione tra dio e autorità regia oltre che sottolineare i benefici “conoscitivi ed intellettuali” della pace: in una situazione di stabilità l'uomo può ricercare e sperimentare liberamente soddisfando così la propria sete di conoscenza. Inoltre Dante in questo testo cerca dimostrare la legittimità della potestà imperiale in relazione al diritto e alla volontà di Dio contro i giuristi papali che cercano di attribuire un valore universale ai decreti ecclesiastici. I due Luminaria Dante interpreta il passo della genesi “Duo Magna Luminaria” non come un allegoria della superiorità del sole sulla luna ( spirito sulla carne) ma come la prova della loro pari dignità in quanto creati nello stesso momento e con la stessa autonomia da Dio stesso: Il potere papale ha prerogative del tutto diverse dal potere imperiale ed è per questo che le due potestà risultano complementari piuttosto che subordinate l'una all'altra. Dante inoltre critica gli argomenti storico politici adottati dalla chiesa per giustificare la propria superiorità. In primo luogo disconosce la validità dell'atto della donazione di Costantino, non tanto per la falsità del documento( ormai comprovata) ma in quanto l'imperatore con tale atto viola le proprie prerogative che gli impongono di salvaguardare l'unità dell'impero e la chiesa accettandolo va contro gli espliciti comandamenti di Gesù che vietano l'accumulazione della ricchezza e del potere. Secondariamente Dante afferma che storicamente l'impero nasce prima della Chiesa, la quale anzi nasce e si sviluppa al suo interno. In sostanza Dante sostiene la necessità di mantenere distinti e separati l'ambito della temporalità e l'ambito della spiritualità. Tuttavia non rinuncia a cercare di ricomporre l'unità tra chiesa impero auspicando che l'imperatore, seppur autonomo e sovrano, si rivolga alla chiesa per cercare di dirigere il proprio operato verso la felicità ultraterrena ( oltre che chiaramente terrena). Marsilio da Padova Marsilio è l'intellettuale che più di ogni altro nel suo defensor pacis critica i fondamenti dottrinali dell'agostinismo politico riscontrabili nell'impostazione degli scritti di Egidio. Per Marsilio il raggiungimento del bene della pace è ottenibile solo se la chiesa rinuncia alla sue pretese temporali illegittime, pretese fondate sulla base del pensiero agostiniano che hanno come fine ultimo l'ottenimento della concordia. Marsilio inoltre postula la necessità dell'istituzione di una norma di giustizia e di un custode della medesima in modo da garantire la pace e la concordia assicurati dalla presenza della città e il regno. La figura del governante custode. Il custode è un governante concepito come un figura astratta e impersonale rappresentante una funzione dello stato. Il governante agisce seguendo una regola che non è lui stesso a dettare, ma che è stata la volontà del legislatore a determinare. Il governante non ha la prerogativa di formare la legge, e la legge perde ogni carattere sacrale per diventare l'espressione della volontà del legislatore che ricerca il giusto. Il giusto e il vero non sono automaticamente normativi ma si traducono in norma solamente se sono espressamente cercati e voluti ed espressi in un legge positiva con carattere coattivo. Primato del legislatore umano. Marsilio individua nel popolo la prima causa efficiente delle legge indicando quindi che sia il popolo o almeno la sua parte prevalente a dettare la norma. Con parte prevalente Marsilio intende sia numericamente la maggioranza della popolazione che qualitativamente la parte migliore del popolo. Marsilio ritiene quindi ingiuste le critiche mosse alla moltitudo da alcuni autori che la definirebbero minorata e incapace di prendere decisioni rette. L'agostinismo politico ritiene che gli uomini siano tendenzialmente stolti e peccatori quindi bisognosi di una guida e una correzione, Marsilio invece sostiene che se anche non tutti possono essere il legislatore tutti sono in grado di giudicare e valutare le decisioni prese, ed in caso apportare le modifiche necessarie. Infine Marsilio afferma che le leggi non rappresentano la verità ma sono solo una mediazione tra interessi e vantaggi discordanti più ragionevolmente difendibili dalla comunità nella sua interezza. Funzione di Governo. Stabiliti questi principi si passa all'analisi della funzione di governo. La funzione di governo deve essere elettiva ed unica per imprimere una direzione unitaria allo stato; per fare ciò il potere di governo deve essere assoluto nel senso di sciolto da vincoli superiori. Il tema della Pace. La pace viene assicurata dal meccanismo costituzionale del governo unico ed eletto, essa è messa invece in pericolo quando si contrastano diverse e contrastanti pretese di governanti e legislatori: la pretesa di plenitudo potestatis del papa è fonte di discordia e caos in quanto mira a sostituire il legislatore ed il governatore naturale che ciascun organismo si è dato. Marsilio smonta le argomentazioni curiali partendo da 3 presupposti: • in primo luogo il regno di Dio di cui Gesù parla è da collocarsi nel futuro remoto e non assolutamente nel presente; decade così ogni pretesa della Chiesa di Gestione della “città di Dio”. • In secondo luogo riduce la funzione del sacerdozio al semplice compito di indicare e redimere le persone che si sono macchiate di peccato. • In terzo luogo ampia il concetto di chiesa dalle gerarchie dominanti all'intera comunità dei fedeli cristiani. L'istituto del Concilio in relazione alla chiesa, data la sua identificazione nell'intera comunità cristiana, Marsilio è convinto, come per la politica, che sia un organo collegiale elettivo il miglior modo di gestire un organismo e non la figura monarchica del pontefice. Marsilio inoltre fa sue le tesi francescane che premevano perché la chiesa tornasse su posizioni più radicali nei confronti della povertà e dell'umiltà. Ockham Gli scritti di Ockham si concentrano sull'analisi dei presupposti della plenitudo potestatis rivendicata dal papa. Il potere del Pontefice. attacchi di coloro che invece li svalutano. Uno dei presupposti cardine dell'ideologia di Salutati è che le leggi, ovvero il risultato dell'azione politica, si preoccupano del benessere della collettività nella sua interezza rendendo possibile così la libertà. Le opere di Salutati inoltre si possono leggere come difesa della Repubblica fiorentina contro i teorici della superiorità del principato Visconteo. • Leonardo Bruni (1370-1444) succede a Salutati nella carica di cancelliere della Repubblica, ed anch'egli fece propri i valori dell'umanesimo repubblicano. Bruni cerca di dimostrare la diretta discendenza della repubblica fiorentina dalla democrazia ateniese ed esalta la libertà politica che caratterizza la città e la eleva a modello per tutta la penisola. La libertà per gli umanisti assume il valore sia di indipendenza da poteri esterni, ma anche e sopratutto di possibilità di autogoverno, ed in relazione a questo, vediamo come appunto tali studiosi si affezionano alle virtù prettamente repubblicane. La virtù repubblicana si può definire come dedizione al bene comune e la disposizione alla sua difesa anche tramite la lotta armata; il concetto di cittadinanza assume in quest'ottica un significato di attiva partecipazione alla vita politica della città. Ideologia repubblicana. L'ideologia repubblicana raggiunge uno dei punti più alti del suo sviluppo nella crisi che accompagnò la transizione dal XIV al XV secolo permeando anche nella vita spirituale di Firenze, e nell'umanesimo in generale finendo per influenzare non solo gli scritti politici ma anche quelli etico-pedagogici. Alla base di questo sviluppo troviamo la riedizione della virtù romanicamente intesa : forza interiore alla quale ciascun uomo può attingere per la realizzazione del bene individuale e sociale. La rivalutazione della virtù porta implicitamente alla riconsiderazione della nobiltà: è nobile colui che coltiva la virtù nel proprio animo e non colui che ha acquisito la nobiltà per trasmissione dinastica. Infatti lo sviluppo dell'umanesimo si accompagna all'ascesa di nuove classi sociali più attive economicamente e spasmodicamente alla ricerca di gloria mondana. Esponenti di questa corrente sono Buonaccorso da Montemagno e Cristoforo Landino. La filosofia della Virtù. Poggio Bracciolini ci propone nelle sue opere una critica della vita contemplativa ed un'esaltazione dell'attivismo mosso dalla virtù che rende l'uomo in grado di ridefinire il proprio mondo. Bracciolini ci propone inoltre una particolare analisi dell'avarizia. Da un lato egli critica l'avarizia in quanto spinge gli uomini a curarsi solo dei propri interessi, dall'altro tuttavia egli sostiene la funzionalità dell'avarizia che spinge gli uomini verso la ricerca dell'utile; il fondamento della ricerca dell'utile è lo sforzo di autoconservazione che indirettamente spinge gli uomini alla ricerca di ricchezze. Gli avari ( in ricchi in particolare ) sono in questo senso il motore della città in quanto forniscono linfa alla macchina dello stato. L'esaltazione del successo mondano si ritrova anche Matteo Palmieri e in Leon Battista Alberti. • Ne “la vita civile” Palmieri afferma che la vita solitaria è meno elevata di quella civile e che lo stesso Dio valuta superiore l'impegno per il buon governo della comunità alla contemplazione e alla preghiera. La politica e la difesa della Patria rappresentano la destinazione etica dell'umanità stessa. • La Visione di Alberti seppur muova da presupposti simili sembra percorsa da una particolare tristezza. Alberti invita gli uomini a coniugare la ricerca di gloria mondana con la cura della propria vita privata, la famiglia, tuttavia nella sua visione la dimensione sociale del nucleo familiare non riesce più a confluire nella vita pubblica. Si afferma così il valore del Privato, in netta opposizione con la dimensione pubblica e civile. Questo ripiegamento verso l'interno è espressione di una mutata situazione storica che vede a partire dagli anni 30 del '400 i rappresentanti della famiglia de' Medici assurgere a signori di Firenze oltre che il dilagare nel resto della Penisola di Signorie e regni. Gli umanisti aderiscono al principato non solo per contingenza storica ma anche perché scorgono nella figura del Signore il portare della virtù civile tanto da loro decantata. La scelta tra Bruto e Cesare. Umanisti e nuovi principi sono inoltre accomunati dalla ricerca della gloria terrena ( chi in arte e chi in armi) questo perché i primi assumono come modello sia la democrazia classica ateniese sia alla Ciropedia di Senofonte ( modello Spartano). A partire dal circa metà del XV secolo la quasi totalità del movimento umanista ha fatto suoi i valori del principato. Lo stesso Salutati, strenuo difensore della Repubblica, si schiera nel '400 su posizioni signorili. Il De Tyranno è un opera che si rifà a questa sua nuova visione. L'opera si configura come un'analisi della tirannide ma anche come un'esaltazione del principato; Salutati afferma che il tiranno che assume il proprio ruolo senza alcuna legittimazione merita di essere cacciato ed ucciso dal popolo in rivolta ( ex defectu tituli); tuttavia resta sfumata la sua posizione nei confronti del tiranno che diventa tale pur avendo inizialmente ottenuto la legittimazione necessaria per ottenere la carica. A questo proposito inserisce il tema del Consenso: laddove un tiranno ( un signore) sia sostenuto dal consenso popolare nell'esercizio della carica non ci troveremmo allora in una condizione di tirannia, anzi, talvolta è proprio grazie all'operato del tiranno che la comunità ottiene la pace e la concordia. È evidente qui il tentativo di svalutazione dei valori repubblicani in particolare l'identificazione della libertà con l'autogoverno. La Nuova figura del Principe. Seppure la tradizione repubblicana non sia così esaurita inizia ora in Italia un periodo che vede la trattazione della figura del principe come tema centrale della teoria politica. Gli umanisti riscoprono la tradizione classica degli specula principis tuttavia, a differenza del medioevo, le virtù che esaltano sono del tutto slegate dalla sfera spirituale, e anzi hanno una propria specificità ed autonomia. Il Nuovo principe legittima il proprio operato grazie al possesso di specifiche virtù mondane che lo rendono un buon governante e un buon capo militare in grado di procurarsi gloria e fama, ovvero fondamenti della virtù. Machiavelli. La produzione più rilevante di Machiavelli si concentra a partire da dopo il 1512, ovvero dopo l'allontanamento dalla vita politica attiva, ma già a partire dagli ultimi anni del '400 possiamo scorgere nelle sue opere i temi ricorrenti della sua produzione più matura. Nel “ Discorso fatto al magistrato dei Dieci sopra le cose di Pisa” si intravede la possibilità per l'uomo di prevedere gli eventi futuri indagando la realtà e la sua struttura. Machiavelli individua una logica interna alle cose stesse, e quindi agli stessi eventi umani; tale logica è pervasa dalla contingenza e dal caso e costringe gli uomini ad operare in un ambiente ostile ed indifferente alla sua sorte ed in mezzo a uomini intrinsecamente malvagi ed egoisti. L'assenza di ordine dell'essere viene definita col termine di Fortuna, nel senso latino e neutro del termine di sorte : la storia non obbedisce alla provvidenza divina ma l'uomo è inserito in un ciclo di eventi che non può controllare i quali non sono finalizzati alla sua salvezza. L'accadere di eventi che compone la storia non porta con sé nessun progresso intrinseco ecco perché si rende possibile l'imitazione degli antichi. Unico strumento che ha l'uomo per arginare la contingenza è l'agire politico virtuoso: la virtù è l'energia che permette all'uomo di affrontare il caso e di elevarsi oltre il proprio meschino egoismo. Unica forma di immortalità che Machiavelli concepisce è quella che assicura l'esercizio di una politica virtuosa che ha come frutti la libertà collettiva, la potenza e la gloria. La contingenza. La contingenza e i modi per arginare i suoi effetti sono uno dei problemi su cui Machiavelli si concentra maggiormente. In un'opera del 1506 Machiavelli si interroga sul perché le stesse azioni politiche ottengano risultati diversi. La soluzione che propone è fondata sull'analisi del contesto in cui si inserisce l'agire ed in particolar modo fa riferimento alla natura dei tempi e alla natura degli uomini: l'uomo saggio in grado di comprendere e conoscere i tempi sarà in grado di modulare il proprio agire in modo da conformarvisi. Questa speranza giovanile che l'uomo sia in grado di controllare il fato lascerà lo spazio alla tematica della virtù : l'agire umano più che padrone del fato, dovrà confrontarsi sempre con la contingenza e con l'avversità degli altri uomini. I temi principali della produzione Machiavelliana sono : l'osservazione spregiudicata della realtà, l'esigenza di affrontare la fortuna con la virtù, il modello della storia romana. I “Discorsi” i “Discorsi sulla prima deca di Tito Livio” sono strutturati in 3 libri come commento ai primi dieci libri dell'opera di Livio, e sono divisi secondo l'intenzione di trattare 1)prima delle cose accadute a Roma per consiglio pubblico, 2)poi quelle che il popolo romano fece all'esterno ed 3)infine delle azioni degli uomini particolari che contribuirono alla grandezza di Roma. La storia di Roma. Il commento di Machiavelli ha una chiara finalità pratica: egli analizza la Storia di Roma rapportandola agli eventi della Firenze a lui contemporanea nel tentativo di dare risposte pratiche alle crisi istituzionale che la sua città sta vivendo. Il dramma della Repubblica di Firenze entra sullo sfondo del Racconto della crisi della Repubblica romana nel contesto della spiegazione della necessità di abbandonare il vivere libero per adottare metodi malvagi di governo per arrestare il dilagare della barbarie. Nonostante Machiavelli assurga gli antichi a modello egli espone anche la tesi dell'inattualità di tale modello. Il tema della caducità della forme di governo è argomento centrale della prima parte dei discorsi. Il ciclo delle forme di Governo. Machiavelli riconduce l'esistenza di una molteplicità di forme politiche alla presenza di differenti umori ovvero principi politici primari che si esprimono nella forma di Principato, di Repubblica degli ottimati e Di Repubblica Popolare; inoltre afferma la facilità con cui ogni forma pura entra nel ciclo di degenerazione verso la forma malvagia. Ciascun umore preso singolarmente può dare vita ad una sola forma politica che se buona è fatalmente breve, mentre se è cattiva sarà fondamentalmente instabile. Machiavelli inoltre è convinto che il ciclo di degenerazione delle forme politiche non possa durare in eterno in quanto nessuna comunità perdura in eterno, ed in particolare, in periodi di crisi. Il realismo politico di Machiavelli proietta quindi il ciclo di ciascuna comunità politica all'interno del conteso internazionale all'interno del quale vige una logica di egemonia e di ricerca di accrescimento della propria potenza ovviamente a scapito degli altri attori politici. Per quanto riguarda la Potenza, Machiavelli è convito che essa sia la vera sostanza ed obbiettivo della politica. Centralità del conflitto. Poiché gli umori nella loro forma pura danno forma a strutture politiche instabili Machiavelli ricorda l'utilità delle forme miste. La mescolanza degli umori è un tentativo di porre un freno alla caducità delle forme di governo. Machiavelli individua due esempi storici in cui è possibile vedere una forma mista ottimale : 1)un caso è Sparta, in cui la forma istituzionale è stata decisa da una legislatore saggio, 2) l'altro esempio Etica e Politica. La politica per Machiavelli si Sottrae alla logica dell'etica tradizionale cristiana, e si fonda su un'etica del tutto diversa che trova il suo fondamento nell'ottenimento della grandezza da parte del principe per il proprio stato. Questo obbiettivo va perseguito dal Principe anche a costo di violare l'etica tradizionale, anche a costo di “Perdere l'anima”. Le virtù del Principe potenza e successo costituiscono la grammatica di base della politica ed il principe deve orientare verso il raggiungimento di essi tutti i propri sforzi anche a costo di utilizzare strumenti “malvagi”. Il principe deve fare suoi i caratteri della Parsimonia, della sicurezza fondata sulla forza, della dissimulazione e della duplicità dell'animo che deve sdoppiarsi in “volpe e leone”. Questo pensiero ha due rilevanti conseguenze: la prima è la stretta correlazione tra il tema della fortuna e le virtù stesse che il principe deve possedere, la seconda è la drammaticità della sorte morale del principe strettamente legata alla potenza dello stato. Il principe nel tentativo di fronteggiare la fortuna ed innalzare le sorti del proprio stato deve incorrere nel pericolo di perdere l'anima sulla strada che lo induce a fare propria la morale demoniaca della potere. Il principe virtuoso si distingue dagli altri appunto per la sua capacità di arginare la contingenza della storia in ogni modo possibile, anche se questa non può essere vinta in alcun modo in quanto troverà sempre una modalità in cui manifestarsi e con cui affliggere il cammino dell'uomo. Altro fattore limitante all'operato del signore è il peso delle forze sociali e politiche operanti all'interno della comunità. Polemica antinobiliare. Alla fine dell'opera appare chiara l'avversione di Machiavelli nei confronti della nobiltà. Quest'avversione appare chiara nel momento in cui ipotizza la fondazione di una Signoria con l'appoggio di parte della popolazione. La signoria avrà connotazioni differenti a seconda che l'appoggio provenga dalla nobiltà o dal popolo: nel primo caso la signoria sarà più instabile in quanto non avrà il controllo sulle classi più ricche e potenti che non faranno altro che fomentare il conflitto sociale in virtù della loro naturale smisurata ambizione; nel secondo caso invece il signore avrà a disposizione dei cittadini fedeli che auspicano solo la realizzazione di un sistema egualitario, cittadini che potrà armare nel tentativo di aumentare e consolidare la potenza dello stato. “Dell'arte della Guerra” in quest'opera Machiavelli ribadisce la necessità di collegare buone leggi con buone armi ovvero di rivitalizzare l'ethos civile attraverso la realizzazione di un esercito cittadino, animato da una salda disciplina, per impedire che la guerra divenga un mestiere e quindi un motivo di arricchimento. Machiavelli in pratica rivaluta la guerra come momento di formazione civile e morale, inoltre, attribuendo al popolo un ruolo centrale nell'esercito si presuppone che il signore si fidi e si affidi ad esso contro lo strapotere della nobiltà. Le “Istorie Fiorentine” La storia di Firenze. Con le “Istorie Fiorentine” Machiavelli perde ogni speranza per il rinnovamento delle istituzioni. Egli nota come Firenze si sia caratterizzata nel corso della sua storia per una serie ininterrotta di conflitti che ne hanno scosso le fondamenta sia per il numero sia e sopratutto per la loro natura privata ed economica. Inoltre, gli stessi conflitti di natura politica, sono risultati essere sterili in quanto non vi è seguito un processo di istituzionalizzazione degli stessi. La politica fiorentina viene vista nella sua totalità come un'accozzaglia di interessi privati assunti a legge pubblica tramite un processo violento di affermazione. Guicciaridini Guicciardini condivide con Machiavelli la passione politica e l'adesione ai valori della Repubblica, tuttavia, date le origini nobiliari, pone l'accento sulla funzione degli ottimati e dei nobili nella gestione della cosa pubblica. Gli ottimati e la Prudenza Guicciardini si differenzia sostanzialmente da Machiavelli in quanto identifica nella classe nobiliare il difensore della libertà perché superiore per prudenza e saggezza alla plebe. Contro la “licenza”. Guicciardini opera la sua scelta filonobiliare sia per motivi etico ed intellettuali sia per motivazioni storiche. Infatti egli individua l'inizio della decadenza di Firenze con l'ascesa al potere di Lorenzo de' Medici e con la conseguente progressiva esclusione degli ottimati dalla gestione della città. Dopo la morte di Lorenzo, la debolezza della repubblica fiorentina è da ricondurre alla mancanza di un potere forte centrale in grado di imprimere forza e vigore alla vita politica di una comunità ormai alla mercé della fortuna. Per contrastare questa decadenza era necessario affidare alla classe ottimatizia il controllo sulle cose pubbliche , in quanto maggiormente dotata di prudenza e saggezza. Istituzione del consiglio. Nel “Dialogo del Reggimento di Firenze” Guicciardini prospetta l'ipotesi di un ritorno alla Repubblica dopo il governo di”uno solo”. Nel tentativo di spiegare le modalità di organizzazione della libertà ritrovata Guicciardini, media tra le esigenze della equalità e quelle di riconoscimento dei diversi gradi della popolazione proponendo il problema del consiglio. Il consiglio deve essere grande e composto da tutti quelli adatti alla cittadinanza inoltre deve essere addetto al controllo sulla funzione legislativa in modo da garantire il rispetto delle libertà di tutti. Politica e prudenza. Nonostante la sua funzione di controllore della legge il consiglio non è il motore della vita politica dello stato; Guicciardini afferma che le decisioni più rilevanti e difficili vanno in ogni caso prese all'interno di gruppi ristretti. Le decisioni rilevanti vanno prese da gruppi piccoli e accuratamente scelti per garantire rapidità e efficienza in modo da collocare il motore della vita politica all'interno di contesti dove vige la prudenza. Guicciardini cerca di coniugare l'alternanza dei magistrati al governo con l'unitarietà dell'azione politica prendendo a modello Venezia e l'istituto del dogato. Guicciardini prospetta un governo a vita del Gonfaloniere sostenuto e coadiuvato nel suo operato dalle persone più prudenti e sagge della comunità, affiancato da un organo perpetuo di 150 membri(senato) con anch'esso funzioni amministrative e governative. I vantaggi di una tale forma di governo sono molteplici : un maggiore controllo sull'operato del Gonfaloniere, l'assicurazione di un organo amministrativo competente e capace e l'allontanamento delle decisioni rilevanti dalle mani della plebe. Uguaglianza e differenza. Il pensiero di Guicciardini è attraversato dal tentativo di fare combaciare la necessità dell'uguaglianza con quella di riconoscere le diversità tra i cittadini per attribuire a ciascuno la sua naturale fonte di soddisfazione in modo da rendere politicamente produttiva l'ambizione e la ricerca di gloria. Per indirizzare l'ingegno dei migliori verso il bene della cosa pubblica è necessario permettere a tutti di percorre il cursus honorum, pur sottraendo dalle mani del consiglio grande la maggior parte delle decisioni rilevanti per la comunità. Da questa necessità deriva l'organizzazione dell'elezione del Gonfaloniere : egli è designato dal Consiglio in una rosa di nomi scelti dal senato. La crisi della prudenza passando all'analisi delle “considerazioni” e dei “ricordi” si nota come la produzione di Guicciardini si concentri sulla contestazione dell'essenza stessa del lavoro di Machiavelli, in particolar modo le sue generalizzazioni teoriche, nel nome di una nuova attenzione verso il particolare e alla ricadute che ha sul concetto di prudenza. Prudenza e Fortuna. Nei ricordi appare il tema dell'imperscrutabilità del futuro data l'innumerevole consistenza di particolarità che caratterizza ogni evento, mettendo così in crisi il ruolo dei saggi e della prudenza. La politica non è analizzabile ne classificabile secondo categorie razionali, ed è impossibile stabilirne delle leggi universali e sempre valide : la stessa classe degli ottimati, legata alla virtù della prudenza, perde in questo contesto ogni utilità e superiorità. La fortuna acquisisce nuova rilevanza all'interno della vita dell'uomo e ne influenza l'agire. Il principio dell'interesse. La prudenza in questo quadro governato dalla fortuna acquista un nuovo valore, senza ovviamente scomparire del tutto: essa per avere rilevanza deve essere unita alla forza e alla fortuna. L'uomo dovrà seguire sostanzialmente 2 direttive generali: dovrà essere sempre mosso dal dubbio e dal sospetto verso le apparenze, potrà ravvisare razionalità solo all'interno delle azioni che muovono gli interessi dei singoli. Ne scaturisce una sapienza politica generale che si può esprimere con “gli uomini hanno generalmente poca bontà e fede” e hanno per bussola delle loro azioni “ i propri interessi particolari”. Sulla base del principio di interesse sembra ricostituirsi una sorta di prevedibilità dell'azione politica tuttavia Guicciardini ricorda l'eccezionalità e la particolarità dell'agire di ciascun attore che gli impedisce di assurgere il principio dell'interesse a regola generale. La prudenza è quindi destinata ad essere comprimaria nell'azione politica insieme alla fortuna e al caso. La Riforma l'umanesimo europeo cinquecentesco si presenta sotto una molteplicità di forme tra le quali annoveriamo il pensiero di Machiavelli ma anche l'opera di Erasmo da Rotterdam. Erasmo descrive nei suoi scritti la necessità di un Principe nuovo che fai suoi i valori della pace e del cristianesimo. Erasmo Il pensiero di Erasmo dominò lo scenario del primo cinquecento fino all'avvento della Riforma protestante che mise fine al suo programma di evangelismo politico. Evangelismo politico. legna etc. etc. Quando il movimento contadino incontrò l'anabattismo di Thomas Muntzer il fuoco della rivolta dilagò in Germania. Munzter era un predicatore di Zwickau che vedendo la fine dei tempi prossima cercò di accelerare il processo di riunificazione dei due regni sulla terra. A partire dal 1524, quando ormai l'appoggio dei principi è del tutto svanito, Muntzer intensificò la sua predicazione arrivando a sostenere la necessità di mondare la cristianità da tutti i malvagi e gli empi anche tramite il ricorso alla forza. Vedendo realizzabile il processo di riunificazione tra politica e giustizia e possibile la vittoria del cristiano sul mondo presente, il predicatore cerca di ravvivare quella fede che sola potrà giustificare la lotta e condurre alla vittoria incitando esplicitamente le masse degli oppressi alla rivolta contro i malvagi e i potenti. Ovviamente la rivolta anabattista del 1525 fu repressa nel sangue dai principi luterani. La posizione di Lutero. Lutero prese subito le distanze dal movimento contadino in quanto necessitava dell'appoggio dei principi per la realizzazione del suo progetto. Dal punto di vista teorico Lutero si premunì di eliminare le differenze che separavano il mondo spirituale da quello terreno risolvendole in un modo nettamente opposto a quello di Muntzer. Se il primo nega l'autonomia del potere secolare, Lutero afferma la quasi sacralità di questo. Lutero, alla viglia della sconfitta del movimento anabattista, invita i principi a farsi carico del massacro dei rivoltosi, in quanto esseri empi che hanno travisato il valore del battesimo. Lutero afferma che il Principe nell'esercizio del ministero della spada compie azione sommamente gradita a Dio, in certi contesti anche più della preghiera. Calvino Funzione del potere. L'intensa fase di sperimentazione politica e religiosa che segno i primi anni del '500 arriva al termine con la predicazione e la teorizzazione di Calvino. Il tratto caratteristico del pensiero politico di Calvino è la completa cancellazione di qualunque autonomia del potere in nome di un totale asservimento al volere di Dio. Il cristiano si trova così in una posizione di completo asservimento, in primo luogo a Dio e alla Chiesa, e poi ai suoi ministri temporali. La Critica alla Chiesa Cattolica. Le critiche che Calvino muove alla chiesa cattolica partono dal presupposto che è solo la Grazia di Dio a salvare l'uomo,tuttavia, a differenza di Lutero, sostiene che la Grazia di Dio si possa manifestare sulla terra sotto forma di successo mondano : il cristiano ha il dovere di impegnarsi nella vita produttiva della sua comunità in modo tale da certificare di aver ottenuto la Grazia, incarnata dal successo. ( Max Weber collega la nascita del pensiero calvinista con lo sviluppo del capitalismo). L'etica lavorativa calvinista ha ovviamente ricadute anche in ambito sociale : l'altro è considerato superiore a noi stessi e più degno di attenzioni e cura. Realizzazione di questo principio di assoggettamento all'interesse degli altri è l'atteggiamento caritatevole ed operoso che ne deriva con cui l'individuo organizza la propria vita tutta all'interno del proprio lavoro inteso come professione che rappresenta anche la propria vocazione terrena. Calvino, in ogni caso, pur contestando la gerarchizzazione della Chiesa Romana, inserisce il credente all'interno di una comunità di Fedeli con regole rigide e severe. La Chiesa Calvinista. La chiesa calvinista non conosce alcun tipo di gerarchizzazione ne mediazione tra il cielo e la terra, esiste solo la figura del Pastore con la funzione di predicare il Verbo di Dio. Il Pastore viene eletto direttamente dalla comunità dei fedeli, come vengono eletti i membri del Concistoro, organo con funzioni disciplinari. Questi elementi di Democrazia sono però mediati da una forte teoria dell'obbedienza che pervade il Calvinismo. L'obbedienza viene elevata a virtù per due motivi fondamentali: evitare l'anarchia generata da movimenti come l'anabattismo ed allontanare le idee secolari che ponevano i principi sullo stesso piano di Dio. Calvino accoglie la teoria luterana dei due regni tuttavia insiste sulla necessità della cooperazione delle due sfere, in particolare, i magistrati secolari hanno il compito, in quanto ministri terreni di Dio, di promuovere la realizzazione delle virtù cristiane in terra. Lo stato perde ogni connotazione laica e si trasforma in mero esecutore della volontà di Dio in terra. Il modello di riferimento di Calvino e quindi quello di Una Teocrazia. Il dovere dell'obbedienza. Visto la funzione del potere di tutelare la cristianità, ogni uomo ha l'obbligo di sottoporsi senza esitazioni al potere stesso, anche nel caso in cui esso si dimostri iniquo. L'unico caso in cui Calvino prescrive una sorta di disobbedienza civile è nel caso in cui il governante si esprima in modo limitante delle libertà spirituali del cristiano. In conclusione il modello politico d Calvino è un modello fortemente intollerante e reazionario. Riforma e tolleranza Finché la riforma rimase un movimento minoritario essa richiese per sé libertà di culto ed espressione in relazione con le tracce di tolleranza che pervadono il primo messaggio riformatore. Ben presto queste aspirazioni furono sconfitte e anche il movimento riformatore si istituzionalizzò e passò su idee molto più intransigenti fino a sostenere necessaria l'unitarietà della fede per lo sviluppo degli organismi politici, spesso associati a ministeri spirituali. L'intolleranza protestante. Le chiese riformate, come la chiesa cattolica, praticano la costrizione a credere e sono convinti che lo stato debba farsi promotore del messaggio religioso in modo da operare in modo più efficace contro gli eretici. Esemplare di questo atteggiamento delle chiese riformate è il caso di Miguel Serveto, che in età matura abbracciò la tesi dell'unitarietà di Dio contro la credenza della sua trinità. Per questa sua convinzione teologica lo stesso Calvino lo condannò al rogo giustificando il suo atto sostenendo di avere compiuto azione gradita a Dio. La Tolleranza di Castellione. Sebastian Castellion, antico discepolo di Calvino e poi suo compagno a Ginevra, nel 1554 pubblica anonimo uno scritto in cui confuta le tesi Calviniste ed insiste sulla falsità della pretesa di volere risolvere le contese tramite la spade e non la parola. Inoltre Castellion cerca di smontare lo stesso concetto di Eresia insistendo sull'imperscrutabilità delle scritture che si prestano facilmente a molteplici interpretazioni, e quindi a molteplici verità. Nessun uomo deve avere l'ardire di credere assoluta la propria verità ne di uccidere un uomo per l'affermazione della stessa, in quanto la sua azione in tal caso sarebbe empia e sgradita a Dio. In conclusione Castellion, evidenziando i limiti della ragione umana, invita a prudenza e moderazione in merito di dissenso religioso. Costituzione, rivoluzione, repubblica e Utopia 1. Costituzione e rivoluzione. Il costituzionalismo la libertà si presenta sotto molteplici forme, con differenti modalità e poggia su diversi tipi di fonti; in relazione a queste ultime analizziamo di seguito la libertà tipica dei rapporti feudali medioevali. A differenza del mondo romano in cui era la volontà del principe la fonte del diritto, in età medievale è il popolo il protagonista del processo legislativo. In ambito barbarico-germanico la cessione del potere al sovrano è vista come il frutto di un patto bilaterale che prevede la possibilità per il sovrano dell'esercizio della funzione di governo solo nel rispetto di tale accordo, in questo modo l'autorità del sovrano resta limitata e non assoluta. La “scoperta” della legge. Il sostrato sociale germanico unito alla concezione medievale della legge furono particolarmente favorevoli allo sviluppo del costituzionalismo medievale. La legge andava in questo senso “scoperta” più che creata dal legislatore: nella legge più che la volontà del regnate confluisce l'insieme dei rapporti anteriori alla legge stessa e fondati sulla Giustizia, la quale funge da sostegno all'essere. La legge ha quindi valore di Iustum ( giustizia) piuttosto che iussum ( comando ); questa concezione nasce in virtù dell'assenza dello Stato e della presenza di una molteplicità di istituzioni che fanno riferimento ad una pluralità di ordinamenti sociali. Il diritto medievale si caratterizza per la presenza accanto al potere politico di una moltitudine di altre fonti della legge. La Magna Charta Libertatum. Il carattere negoziale e pattizio della libertà intesa come privilegio accordato ad un soggetto, oltre che la costituzione della sovranità, emerge chiaramente all'interno della magna Charta libertatum concessa dal Re Giovanni senza terra nel 1215 in occasione della sconfitta dell'Inghilterra contro La Francia. Questo è un atto che scaturisce dalla volontà del sovrano, che rappresenta un impegno bilaterale, e si sostanzia in una serie di concessioni di privilegi: in pratica dei singoli attori o gruppi vengono sottratti all'attività normativa della corona. Alla stessa logica possiamo ascrivere la stesura dell'Habeas corpus ( 1679). Bracton Legge e consuetudine. Qualche hanno dopo la stesura della Magna Charta, Henry Bracton, giurista inglese, sistematizzò in un'opera le idee che la informavano. Punto centrale dell'analisi di Bracton è l'equiparazione tra consuetudine e legge sul suolo inglese: in Inghilterra le norme pur non essendo scritte non smettono di essere valide in quanto rispondono ad una consuetudine antichissima che trova utilizzo nelle sentenze dei giuristi. Dato ciò, la consuetudine ha rilevanza anche a livello costituzionale, oltre che imporsi sulla stessa volontà sovrana. Date queste premesse, che lo accomuneranno ai giuristi della common law, si spiega il carattere di intangibilità delle leggi: esse non possono essere mutate senza il consenso di tutti coloro che hanno concorso alla loro formazione, e vista la molteplicità degli attori che operano alla creazione delle puritani. La Chiesa presbiteriana. I puritani si erano da tempo organizzati in assemblee che si unirono nella lotta contro la monarchia affianco del Parlamento, portando nuova linfa vitale tra le fila della rivolta visibile nella loro scelta presbiteriana. L'opzione presbiteriana prevedeva la possibilità per i fedeli di eleggere i vertici della comunità. Teniamo ben a mente questo contesto religioso per analizzare il moto rivoluzionario che ne se scaturisce e che trovò la sua arma vincente nel New Model Army, al cui comando fu posto Oliver Cromwell. Cromwell capì l'importanza di avere a disposizione un esercito di uomini liberi, di umili natali, ma ben disciplinati e organizzati oltre che mossi dalla convinzione della bontà della causa per cui lottano ed è per questo che l'esercito parlamentare riusci a sopraffare l'esercito regio nella battagli di Naseby nel 1645. La vittoria di Cromwell. Finito lo scontro con il sovrano si apre però una fase di contrasti interni alla fazione parlamentare che vede contrapporsi da un parte il Parlamento di Londra e dall'altro Cromwell e il suo esercito. Il conflitto si apre quando il Parlamento tenta di sciogliere l'esercito trovando però la netta opposizione del suo capitano che nel giro di pochi anni sbaraglia i nemici e riesce ad imporsi come novo leader dell'Inghilterra post Carlo I. La costituzione Repubblicana. Nel 1649 viene abolita la monarchia, ed il re viene decapitato; nel 1653 viene promulgata una nuova costituzione repubblicana e Cromwell è designato Lord Protettore di Inghilterra, Scozia e Irlanda. La repubblica ebbe però vita breve e fu restaurata la monarchia nel 1660. qualche hanno prima di questi avvenimenti tra il 1647 e il 1648 si svolse all'interno dell'esercito un acceso dibattito sul profilo istituzionale del paese nel quale si profilò la proposta del suffragio universale maschile. L'ipotesi del suffragio non fu ovviamente accettata da tutti e trovò nella figura di Ireton un suo fervente oppositore. Le argomentazioni a favore della sua tesi sono sostanzialmente due: egli non crede che la semplice esistenza giustifichi la richiesta di rappresentanza politica oltre al fatto che teme che coloro che utilizzano l'argomentazione del diritto naturale per far leva sugli assetti di potere possano minare alla stesso principio che tutela la proprietà. I portatori di queste “Idee rivoluzionarie” sono i gruppi dei Livellatori e degli Zappatori. I livellatori il movimento dei levellers si interessò principalmente di diritto e di politica identificando i propri avversari, prima, nei nobili, poi, nello stesso Parlamento al servizio di Cromwell. Un Movimento radicale. Nel “ An agreement of the Free People of England”, manifesto del movimento livellatore, sono enunciati gli intenti politici dell'organizzazione i quali non si rifanno in alcun modo alla possibilità di ridistribuire dal punto di vista fisico le ricchezze della nazione. L'unico campo in cui essi desideravano livellare ed eguagliare i cittadini era la sfera della politica: i levellers si scagliarono contro il dispotismo regio, ovvero un potere senza vincoli o freni. Il motivo per cui molte frange della società si preoccuparono per la carica eversiva dei livellatori era il fatto che essi ricorrevano speso al tema del diritto di natura, tuttavia, se si analizza bene il loro programma appare chiaro come essi avessero costituito un sistema di bilanciamento che prevedeva la garanzia di alcuni diritti inviolabili del cittadino inglese che si rifacevano al common Law e al costituzionalismo. Il programma politico dei livellatori si può quindi definire come ispirato ai principi del radicalismo democratico. Il principio democratico: la rappresentanza a suffragio universale. I levellers riconoscono come unica valida legittimazione del potere politico il consenso derivante da un'elezione a cui partecipano tutti i maschi adulti. Ogni carica governativa o amministrativa deve essere assegnata tramite elezione. La carica deve avere durata temporanea. La fede non può riguardare ogni questione della vita pubblica. In pratica la corrente dei levellers unisce diverse istanze democratiche con le istanze più classiche del liberalismo, il risultato è la difesa dello Stato di diritto come luogo ove regna sovrana la legge, dotato di organi costituzionali dotati di poteri ben definiti, ove vige l'intoccabilità delle libertà dell'individuo e dove il diritto è certo. In pratica il movimento livellatore si fa difensore di alcune libertà inviolabili dell'uomo ma al contempo cerca degli strumenti istituzionali per limitare l'autorità regia e rifondarla su una base più consensuale senza però porre di limiti anche al potere legislativo ( il parlamento) per evitare futuri deliri di onnipotenza. Gli Zappatori il gruppo più radicale che si affianca a quello dei livellatori è quello dei così detti “zappatori”. Questo gruppo fonda il suo messaggio politico sulla necessità di un vero rinnovamento delle istituzioni attraverso la rivoluzione. Redistribuzione delle terre. Fare della rivoluzione lo strumento attraverso cui sovvertire i vigenti rapporti economici e sociali vuol dire innanzi tutto azzerare i rapporti di proprietà preesistenti per generare una netta cesura tra passato e presente. Per essere una libera repubblica l'Inghilterra deve liberarsi dei padroni che la soggiogano in particolar modo deve preoccuparsi di redistribuire le terre istituendo una sorta di comunismo andando contro coloro che sostenevano la legittimità della proprietà fondiaria. La libertà degli zappatori assume toni biblici in quanto è raffigurata come la condizione capace di dare nutrimento e sostentamento grazie ad un adeguata ed equilibrata suddivisione della terra. Il motivo repubblicano. I teorici del movimento suddividono le forme di governo sulla base delle diverse modalità di gestione della terra. Il governo regale si fonda sulle categorie del vendere e comprare,sulla guerra e sul primato del re e quindi a monarchia si configura come una servitù politica nella quale i sudditi sono costretti a vivere. Il governo repubblicano è invece fondato sulla libertà, sul primato del parlamento e delle sue leggi oltre che sulla promozione dell'attivismo e la repressione dell'ozio. I beni vengono incamerati dallo stato e redistribuiti secondo bisogno; la funzione governativa di molti organi viene trasformata in funzione amministrativa; tutti i funzionari dello stato rappresentano cariche elettive e temporanee. Critica al sistema delle Enclosures. Motivo per cui il tema della proprietà interessa a tal punto il movimento degli zappatori è la rilevanza che questa assume a livello storico tra '500 e '600. a partire dal '500 grandi porzioni delle terre demaniali vengono incamerate da grossi proprietari terrieri che iniziano uno sfruttamento intensivo della terra in ottica proto capitalista di produzione. Questo processo di recinzione delle terre produsse come effetto secondario una grande massa di poveri: contadini diseredati costretti al vagabondaggio e al brigantaggio. L'opinione pubblica reagi a questa novità nel modo che segue: • approvò il processo di appropriazione delle terre che permetteva una nuova fase di sviluppo agricolo • cambiò radicalmente la propria considerazione del povero che divenne simbolo di stravolgimento sociale da immagine del Cristo. • Espresse una sorta di nostalgia per un passato bucolico. In relazione a quest'ultima attitudine si sviluppò una corrente letteraria utopica che vedeva nel comunismo di consumo la soluzione ai mali dell'epoca. 2. Repubblica e Utopia Il repubblicanesimo il dibattito politico in Inghilterra non si arresta chiaramente alle categorie culturali fino ad adesso citate. Le correnti di pensiero fin ora elencate prestano più attenzione alla sfera sociale dell'analisi della realtà, ci sono tuttavia una serie di autori che hanno seguito più da vicino gli aspetti politici dello sviluppo della repubblica, dalla sua formazione al crollo. Si tratta di un gruppo di pensatori, che va da John Milton a Walter Moyle, i quali sono accomunati dall'utilizzo di uno stesso lessico di ispirazione classica. Il commonwealth. I membri di questa corrente identificano nel commonwealth una possibilità di convivenza non monarchica, nella quale è possibile realizzare valori come la libertà personale, la partecipazione diretta e l'autogoverno collettivo. La libertà assume il carattere di assenza di dominio e autogoverno, e a livello istituzionale si traduce nell'apprezzamento del governo misto come garanzia della partecipazione di tutti al potere e nell'avversione alla tirannide. Libertà e virtù. Per perorare la causa della repubblica gli autori di questa corrente adottano generalmente due stratagemmi teorici: in primo luogo cercano di elidere il divario che separa la monarchia dalla tirannide fino ad affermare che la stessa forma monarchica sia un sinonimo di espressione tirannica del potere, secondariamente sostengono la tesi dell'incompatibilità tra monarchia e libertà, unicamente sostenuta da un sistema di autogoverno. È possibile considerare il repubblicanesimo come un sistema di pensiero alla cui base troviamo la convinzione della diffusione nel tessuto sociale della virtù politica oltre che dell'eccellenza morale della partecipazione. Si parla infatti di Atlantic Republican Tradition che avrebbe dato vita a quella tradizione circa un secolo più tardi, dall'altra parte dell'oceano, in America, avrebbe celebrato i suoi trionfi. Milton Libertà e pluralità delle opinioni. Uno dei più ferventi difensori delle libertà repubblicane fu senza alcun dubbio John Milton con il suo “Areopagitica”, ovvero un pamphlet a difesa della libertà di stampa e opinione. In quest'opera Milton, difende le ragioni filosofiche ed etico-politiche della tolleranza e della libertà contro un decreto parlamentare che voleva imporre la censura sulla stampa. Le argomentazioni a sostegno di tale tesi sono sostanzialmente due: • la verità non è mai chiara ed è raggiungibile solo attraverso il dialogo e l'indagine collettiva. • Non esiste libertà politica senza la pluralità di opinioni, senza il male, senza la tensione individuale verso il bene. il nome Utopia, legato alla produzione di Thomas More, diviene nel giro di pochi anni il termine con cui si indica un tipo di produzione letteraria che descrive un luogo inesistente in cui però esistono i caratteri che mancano alla società moderna, ovvero, felicità , benessere giustizia. L'isola di Utopia. Il libro scritto in latino si divide in due parti: 1) nella prima viene descritta la situazione miserevole della società inglese derivante dalla penosa condizione delle genti causata da un ineguale distribuzione della proprietà, per More, fonte massima del male di una società; 2) nella seconda parte viene introdotta la descrizione di una società immaginaria governata meglio di quella in cui l'autore vive. La fonte della felicità di questo mondo incantato è l'assenza totale della proprietà privata e del denaro. Il comunismo dei consumi vige in questa società : tutti lavorano e per questo possono dedicare singolarmente meno tempo al travaglio giornaliero; tutti mettono a disposizione di tutti i prodotti del lavoro; la comunità si occupa della cura dei bisognosi secondo necessità. Data la naturale felicità e soddisfazione generata da questo tipo di sistema comunitario gli abitanti di Utopia ignorano quasi completamente le leggi e le dispute politiche, inoltre, la loro religione è fortemente pervasa da spinte alla tolleranza e alla comprensione. Il tema della felicità. Altri due importanti fattori che danno luogo alla liberazione della società di Utopia dal male sono : 1)una consolidata teoria e pratica della virtù della felicità 2) unita ad un rinnovamento dei legami comunitari e solidaristici che allontanano lo spettro della solitudine. Nell'economia dell'opera di More, il più grande dei saperi è quello che conduce alla saggezza e la saggezza risiede nella capacità di godere moderatamente dei piaceri. Il piacere ha quindi un valore morale ed etico in quanto per il raggiungimento dello stesso gli uomini cercano la cooperazione e l'aiuto degli altri essere umani. More concepisce la società come una grande famiglia unita da un inteso legame affettivo nella quale però sono presenti alcune tracce di elementi politici, tuttavia mediati dalla morale e dalla loro semplice funzione amministrativa. L'utopia in Europa Il rapporto con la modernità. Il legame tra Utopia e modernità è doppio: da un lato si mostra evidente la distanza tra utopia e mondo moderno attraversato da profonde disuguaglianze ed ingiustizie, dall'altro tuttavia l'utopia rappresenta una possibilità,seppur remota, per la modernità di raggiungere la piena realizzazione della politica. Le contraddizioni. La contraddizione interna stessa all'utopia è da ricercare nel suo intento realistico di descrivere i mali della società pur proponendo una soluzione del tutto irrealistica per il superamento di tali mali, infatti, l'utopia è definibile come l'espressione di un'esigenza profonda, che non si è in grado di realizzare, ne si conoscono i mezzi per farlo. Le forme dell'Utopia in Europa. La fortuna dell'Utopia fu davvero straordinaria come testimonia la presenza nelle varie aree culturali: in area tedesca, francese ma anche italiana. Tommaso Campanella. In relazione all'area italiano presentiamo brevemente uno dei suoi esponenti: Tommaso Campanella. Nella riflessione di Tommaso Campanella, contenuta nella sua opera “ la città del sole”, il tema dell'unità diventa centrale e predominante. Campanella postula il necessario domino dell'Uno sulla totalità, traducendo quest'immagine in campo politico, teorizzando una repubblica in cui tutto è in comune e niente può essere appropriato individualmente. Il primato metafisico dell'unità si unisce quindi al principio della superiorità della comunità rispetto al singolo traducendosi in un sistema politico in grado di garantire istituzionalmente la superiorità dello stato rispetto ai singoli individui, i quali bisogni verranno soddisfatti secondo necessità dagli organi di governo. Il sistema di potere nella città del sole. Se la città del sole è una repubblica dal punto di vista sociale essa non lo è dal punto di vista politico ed istituzionale, il sistema di potere è infatti gestito monocraticamente dall'Uno, unico essere in grado di incarnare il principio metafisico dell'unità e quindi garantire il benessere della comunità. La nuova Atlantide. Francis Backon propone una versione dell'Utopia fondata sull'ampliamento delle conoscenze scientifiche come base per il superamento dei mali della società. L'intento che Backon persegue con la sua opera è la pianificazione sociale della Scienza, in quanto convinto che essa possa migliorare le condizioni umane ed essere strumento per manipolare la natura. Backon non cerca di rivoluzionare gli assetti politici ma i modi di produzione della conoscenza scientifica. Per Backon la produzione scientifica diventa un fatto sociale : la ricerca avviene all'interno di comunità scientifiche che indirizzano aprioristicamente il lavoro verso l'applicabilità dello stesso nel reale producendo così il benessere della società. La prima modernità Machiavellismo e Antimachiavellismo la situazione politica italiana ed Europea della prima metà del XVI era caratterizzata dal rafforzarsi generale degli istituti monarchici nazionali che puntavano a migliorare l'efficienza dei propri apparati burocratici, amministrativi e militari. In questo contesto le opere di Machiavelli sono rese inattuali dalla critica cinquecentesca,in particolare, l'opera il “Principe” viene rivisitata e travisata nei suoi principi più basilari. Questo libro fu per lungo tempo interpretato come una sorta di appendice delle virtù delle quali il principe doveva fregiarsi nell'esercizio della sua funzione, tuttavia, si attirò ben presto le critiche dei pensatori di matrice cattolica che invece cercavano di reinserire la funzione politica e l'esercizio del potere all'interno del contesto della fede motivando questa scelta come eticamente doverosa ma anche, e sopratutto, come più efficace in termini pratico-politici. Antimachiavellismo cattolico. È consuetudine ricollegare la nascita dell'antimachiavellismo cattolico con la stesura dell'”Apologia a Carlo” con cui Reginald Pole voleva giustificare il proprio operato della fede cattolica contro lo scisma di Inghilterra. In quest'opera Pole si scaglia contro la pratica delle corti che fa riferimento appunto all'opera di Machiavelli il “Principe”. Egli ravvede in quest'opera delinearsi la figura di un principe malvagio ed empio, più che pragmatico e ambizioso, e avanza l'ipotesi che Machiavelli abbia desiderato descrivere un principe in grado di affossare da solo il proprio potere. L'interpretazione “Inversa” dell'opera Machiavelliana non ebbe grande successo negli autori successivi, e ricomparve solo a partire dal '700, fino ad allora il machiavellismo fu sinonimo di ateismo e tirannide. I libri di Machiavelli furono messi all'indice e con lo scoppio della guerra civile in Francia a metà del 500 ( guerra di religione tra cattolici e ugonotti ), anche la fazione protestante si uni al coro delle voci critiche del machiavellismo. Antimachiavellismo protestante. Esponente di spicco dell'antimachiavellismo protestante fu Innocent Gentiller; egli cerco di dimostrare l'infondatezza delle teorie politiche di Machiavelli oltre che la vera natura di manifesto della tirannide qual'era il Principe. La finalità politica di quest'opera è quella di smascherare i principi tirannici sui quali poggia la monarchia francese per tentare il ritorno ad un esercizio regale e non tirannico del potere. Limiti al potere regio. Gentiller suddivise il pensiero politico di Machiavelli in una serie di massime estrapolate dalle sue opere, e procede al commento sistematico di ciascun estratto. La tesi di fondo della critica di Gentiller è che il principe deve essere coadiuvato nel esercizio delle sue funzioni da organi con funzioni di consiglio in modo da indirizzare entro un tracciato costituzionale l'autorità regia. Gentiller ricorda che in Francia l'organo costituzionale preposto al consiglio e al controllo delle prerogative regie è l'assemblea degli Stati Generali, che incarna in sé le funzioni di rappresentanza del tessuto sociale e limitazione del potere regio. I Monarcomachi critica della Tirannide. L'antimachiavellismo di Gentillet rappresenta uno dei culmini della reazione di una consistente parte della cultura francese al processo di accentramento di potere operato dalla monarchia. Nel caso dei monarcomachi questa critica non si orienta verso Machiavelli ma ai fondamenti della tirannide e produce un abbozzo di teoria contrattuale dello stato del potere politico. I monarcomachi sono un gruppo di intellettuali calvinisti che propongono la possibilità di resistenza armata e perfino l'uccisione del re divenuto tiranno, dimostrando come anche la parte protestante della società risponda al processo di formazione dello stato moderno. Le strategie argomentative cui fecero ricorso i membri di questo gruppo sono due: • francogallia: indagine sulla storia delle origini della Francia che si fanno risalire ai galli e ai franchi. ( Hotman) • Teoria che vincola il potere sovrano al rispetto dei patti intercorsi tra popolo e re; patti dedotti da argomenti biblici e giuridici. ( De Bèze, Duplessis-Mornay). Queste due argomentazioni (non opposte) rappresentano il tentativo ugonotto di opporsi al processo di assolutizzazione della monarchia. Costituzionalismo Francese. Per Bodin la condivisione del potere mina alla stabilità dell'apparato statale che deve essere tenuto insieme dalla sovranità. Bodin riconosce la classica tripartizione delle forme di Stato ma nega l'efficacia delle forme miste indicandole come fonte del disordine e della corruzione dello stato stesso. In ogni caso seppur l'unità dello stato debba essere salvaguardata come bene primario, le forme attraverso cui la sovranità si esprime possono essere molteplici e differenti. ( una forma di stato / molteplici forme di Governo). Forme di Giustizia. L'esigenza di contemperare la necessità di una rigorosa teoria della sovranità e il bisogno di controllare le aspirazione dei diversi ceti che compongono lo stato emerge in relazione al tema della giustizia. Bodin distingue tra le 3 forme di giustizia che caratterizzano i 3 regimi politici esistenti. • Giustizia commutativa o aritmetica : stati popolari → divisione uguale dei beni e delle cariche • Giustizia geometrica o distributiva : stati aristocratici → distribuzione oneri e privilegi alla nobiltà • giustizia regia o armonica : stati monarchici → tenuto conto delle esigenze dei ceti il re distribuisce secondo giustizia onori e ricchezze. L'esigenza che muove i lavoro di Bodin è l'armonizzazione del corpo sociale senza sovvertire l'ordine civile costituito. Althusius Jhoannes Althusius rappresenta un'alternativa federale all'opzione unitaria proposta da Bodin. la sovranità del popolo. Althusius, come Bodin, ritiene che la sovranità abbia un ruolo primario nel mantenimento della coesione del corpo politico, però a differenza del teorico francese, il concetto di sovranità stesso ha un'altra accezione in quanto è depositato presso lo Stato, nella sua forma di associazione generale e quindi nel popolo, che neanche volendo, può alienarla da sé. In pratica la sovranità è caratteristica imprescindibile e innegabile dell'associazione politica. La naturale socialità degli uomini. Althusius identifica nell'associazione il punto di partenza per la costruzione della vita politica in quanto la “consocatio” viene definita come la possibilità per gli uomini di mettere in comune ciò che è utile e necessario per la realizzazione di una vita “buona”, inoltre, sono le associazioni stesse l'unità base e fondamentale per la composizione della società: l'individuo si definisce in funzione dei vari livelli di associazioni a cui appartiene, dalla più piccola rappresentata dalla famiglia, alla più grande incarnata dallo stato. Althusius in merito al processo dell'associazionismo sostiene che l'adesione ad un gruppo che esso sia privato o pubblico rimane una scelta volontaria, inoltre aggiunge, che il “rettore” dell'associazione debba essere nominato col consenso comune dei partecipanti e che il suo potere sarà pur sempre limitato in quanto derivato e concesso. Il Primato delle associazioni: il Foedus. Althusius sostiene l'analogia tra diritto privato e pubblico nel tentativo di equiparare associazioni private con la più generale associazione pubblica, in modo da estendere anche a quest'ultima una logica di tipo pattizia e contrattualistica. La prima conseguenza teorica di questo tentativo è il disconoscimento dell'autonomia della politica dal campo della legge naturale, della legge divina, delle leggi civili, oltre che la fine della supremazia della figura sovrana sul resto del corpo politico in favore dello Stato stesso. La supremazia statale non sancisce la fine dell'autonomia dei diversi livelli di associazione, anzi, essa garantisce continuità e possibilità di sviluppo per il “foedus”, ovvero il patto fra associazioni minori. L'esercizio della sovranità. Il popolo detiene si la sovranità originale, ma non è lui ad esercitarla, infatti incarica dei ministri del compito di amministrare la vita politica della comunità. Al sommo del vertice della piramide amministrativa troviamo il sommo magistrato e gli efori. Gli efori sono eletti da tutto il corpo politico, hanno il compito di nominare a loro volta il sommo magistrato e di controllare il suo operato, portando avanti le istanze popolari di cui si fanno carico: gli efori in pratica sono i custodi delle libertà e dei diritti della popolazione, oltre che della sua originaria sovranità. Attraverso l'istituzione della figura degli efori Althusius cerca da un lato di evitare e contrastare la formazione di una tirannide, dall'altro di costituzionalizzare i meccanismi di rivolta verso l'esercizio di un potere illegittimo, in relazione a ciò, Althusius sostiene la possibilità per i singoli efori o realtà federate di disconoscere l'autorità sovrana se ritenuta ingiusta o se essa viola i patti originariamente stipulati. I Libertini e Pascal il libertinismo se sul fronte delle rivendicazioni sociali e morali si schiera su posizioni quasi rivoluzionari e atipiche, dal punto di vista politico le sue idee sono definibili come moderatamente conservatrici. I libertini attingono a piene mani dalla cultura antica e pagana in particolar modo dalla tradizione scettica e stoica arrivando quindi a definire come artificiali le leggi politiche senza sostenere però un ritorno a forme naturali di giustizia. Michel de Montaigne può essere definito come uno dei maestri e degli ispiratori della scuola di pensiero libertina, analizziamo quindi di seguito i tratti salienti del suo pensiero politico. Montaigne introduce il carattere della soggettività all'interno dell'analisi moderna della realtà attribuendogli il carattere di scettica ovvero dubbiosa su ogni tipo di questione se non sull'unicità della vita terrena. Accanto alla soggettività Montaigne pone la necessità di raggiungere una saggezza pratica, utile allo svolgimento di una vita sicura e tranquilla per il singolo. Riflessione sulla politica. Se la ricerca di una saggezza pratica diventa uno degli obbiettivi primari del singolo anche la politica perde il suo carattere di eccellenza: la politica è finalizzata strumentalmente verso la protezione e difesa del benessere e della vita stessa degli individui. Questa concezione della politica è figlia di una situazione molto delicata in Francia nella prima metà del '600 che vede cattolici ed ugonotti scontrarsi apertamente, anche in armi. Il potere, in una situazione del genere, deve assolutamente preoccuparsi di stabilire e mantenere la pace tra gli uomini. Monataigne tenta di rafforzare il “Potere” cercando nuove fonti di legittimazione e giustificazione in modo da rifondare le ragioni dell'obbedienza su motivazioni più soggettive. La spinta al rinnovamento viene dalla Riforma e dalla sua esigenza di elevare la figura dell'individuo ridandogli importanza. Per Montaigne, le motivazioni classiche all'obbedienza, ovvero la maestà del principe e l'intrinseca razionalità del suo comando, sono fallaci e insufficienti, in particolare la maestà del sovrano non è altro che una vuota parola che indica una semplice apparenza. Critica al fondamento razionale delle leggi. Inoltre, Montaigne, nega ogni possibilità per la legge di avere fondamenti razionali: le norme poggiano su costumi e usanze radicatesi nel tempo definendo cosi la relatività del diritto. Tuttavia, le leggi sono fondamentali e irrinunciabili, in quanto permettono la convivenza pacifica tra gli uomini : seppur prive di razionalità, è razionale ubbidire alle leggi in quanto garanti dell'ordine. Montaigne si pone quindi come uno dei fondatori dell'assolutismo, dal quale deriva l'attenzione per i soggetti moderni: essi sono si sottomessi al potere ma solo perché ritengono così di ricevere protezione e tutela per la propria salute e per il proprio benessere. I Libertini Francesi. Alcuni tra i più importanti “seguaci” del pensiero di Montaigne furono, La Boétie, Charron, Pascal. • La Boétie, oltre che la liceità dell'assassinio del sovrano in casi estremi, sostiene che ogni potere trovi la sua legittimazione nel desiderio di ubbidienza dei singoli che vi si sottomettono. • Charron sostiene che il potere necessiti di un'obbedienza di tipo esterno ovvero un'obbedienza che si fonda non sulla convinzione della giustezza dell'esercizio del potere ma sul senso del dovere. L'ordine politico è quindi esterno e strumentale al benessere del soggetto. Il disincanto di Pascal. Anche Blaise Pascal si confronta direttamente con il problema dell'ordine interno di uno stato proposto da Montaigne giungendo alla stessa conclusione : il diritto è contingente nella sua natura e per ciò è dovere di ogni uomo ubbidirvi. L'unica fonte di legittimazione per il diritto è la forza con cui esso è stato affermato. Nonostante questi caratteri, Pascal riconosce lo Stato e il diritto come necessari alla sussistenza di qualunque forma di aggregazione, seppur essi siano espressione di violenza e follia: Dio stesso pone in essere la necessità del diritto per evidenziare la distanza tra la perfezione dell'ultraterreno e la corruzione della terra. La corte. Con il '600 si afferma sul panorama politico una nuova dicotomia : re e la sua corte. Per la vita politica di uno stato divengono centrali i meccanismi di potere che hanno luogo all'interno della corte reale: il consiglio privato del sovrano, l'assicurarsi la posizione di “favorito”, etc. etc. ed è per questo motivo che la trattatistica politica si incentra sull'analisi di questa forma accentrata di governo monarchico. Testo illuminante a proposito della vita di corte è il “cortegìano” di di Baldassar Castiglione. Castiglione. Il “Cortegìano” vuole essere porsi sulla scena come un testo attraverso il qual e istruire gli uomini di corte alla vita di palazzo. Il cortigiano deve possedere ovviamente virtù guerriere che vanno sostenute dal costante esercizio attraverso lotta e caccia, oltre a queste deve possedere la qualità della grazia ovvero deve essere in grado di compiere gesti eclatanti e ammirevoli senza dar segno di alcuna fatica e sforzo. La logica dell'apparenza e della costruzione artificiale della propria potenza dominano la vita del cortigiano. A partire da questo tipo di testo si sviluppa di seguito una letteratura che mira ad analizzare i micro- rapporti che influenzano in modo significante la vita politica di uno stato: accanto alla Ragion di Stato si fa sentire la rilevanza della ragione dell'individuo. Graciàn. Graciàn riprende largamente la trattazione di Castiglione insistendo anch'egli sulla naturalezza del atteggiamento del cortigiano e sulla necessità che egli ha di dissimulare le apparenze. La necessità di sembrare. Sempre Botero, negli anni seguenti alla pubblicazione della Ragion di Stato,si occupa della redazione di altre due opere che mirano a spiegare dal punto di vista teorico e geopolitico gli assetti delle potenze europee e le loro motivazioni all'agire. Queste opere si spiegano in quanto cercando di identificare i tratti distintivi della natura di ciascun attore sullo scacchiere internazionale dato che la conoscenza della forza degli agenti è preliminare a qualunque tipo di decisione politica. La potenza di uno stato è definibile come la quantità di popolazione che vive sul suo territorio e la potenza che essi possiedono; è quindi necessario sapere misurare questa potenza. La potenza deriva direttamente dalla ricchezza e la ricchezza a sua volta è generata da una serie di condizioni favorevoli: 1. posizione geografica : punto di partenza e arrivo dei traffici commerciali. 2. Fertilità del suolo. 3. Comodità dei trasporti. 4. Privilegi, esenzioni e immunità. 5. Collocazione cittadina della nobiltà in pratica Botero sostiene la necessità dell'istituzione di una scienza dello Stato capace di esaminare criticamente le fonti della ricchezza e gli strumenti per il suo accrescimento. A partire da questi anni (fine del XVI secolo) l'azione di governo viene sempre più intesa come strumento per la diffusione della ricchezza, in quanto determinata come prima fonte del potere di uno stato. Governo economico della Politica. L'interventismo politico in ambito economico diviene la base per la teoria politica di Antoine de Montchrestien. Egli sostiene che l'ordine sia frutto del dinamico processo che porta all'armonizzazione degli interessi e quini alla pace e alla stabilità : un buon governante si occupa contemporaneamente di politica e di economia in quanto fonte di stabilità è un buon livello di ricchezza che assicura benessere alla popolazione. Per Montchrestien un'ottima soluzione di tipo fiscale è l'adozione di un sistema protezionistico unito al sostentamento del meccanismo di concorrenza interna, coadiuvato dal contrasto all'ozio e al vagabondaggio. Il risultato finale è che il governante se segue queste tecniche dovrebbe raggiungere l'obbiettivo di arricchire la propria popolazione guadagnandone così l'ubbidienza quasi più totale. La scolastica Spagnola. Il pensiero politico del XVI e XVII secolo nell'area del Nord Europa è fortemente influenzato dalla Riforma e dalla conseguenze che essa portava, diverse erano le esigenze nell'area Mediterranea e in particolare per Spagna e Italia. Per quanto riguarda la Spagna abbiamo una situazione del tutto eccezionale, infatti, la colonizzazione delle Americhe e la scoperta di nuove tribù mise al centro del discorso politico iberico differenti temi e interessi che portarono di nuovo in auge il pensiero della Scolastica. La Scoperta del Nuovo Mondo. Uno dei problemi di natura politica che più ha interessato l'Europa dopo la scoperta dell'America, è la necessità di legittimare gli eventi cruenti che hanno caratterizzato la colonizzazione, ovvero la schiavitù e la conversione forzata delle genti, oltre che lo sterminio puro e semplice. La contesa tra Sepulveda e Las Casas. Esempio lampante del contrasto ideologico che caratterizzò la Spagna del XVI secolo è la disputa tra l'umanista Ginés de Sepluveda e il padre domenicano Bartolomé de Las Casas che spinse lo stesso Carlo V ad indire un congresso per la soluzione della contesa. Per Sepulveda gli amerindi non sono altro che Homunculi indegni di essere considerati parte dell'umanità; Las Casas sostiene invece la naturale bontà e giustezza di queste popolazioni, create da Dio senza ambizioni smisurate e nocive per loro stessa comunità. Su questa scia si innesta Francisco de Vitoria, padre domenicano, che si impegnò completamente nell'analisi della questione degli Indios. Vitoria. Vitoria, editore e commentatore di San Tommaso, espone all'interno di una serie di relazioni fatte tra il 1528 e il 1539 all'università di Salamanca le proprie idee in merito al potere civile, al potere ecclesiastico, al diritto di guerra e alla questione degli indios. Di seguito analizziamo l'ultima delle sue relazioni in merito agli amerindi, attingendo anche però dalle relazioni in merito al potere civile. Vitoria cerca di spiegare la legittimità del dominio spagnolo sopra quelle terre. Vitoria parte dall'analisi del fatto se si potesse imputare legittimamente il possesso della terra alle tribù precolombiane. La Natura degli Indios. Partendo dal principio di derivazione tomista “ Gratia non tollit naturam sed perficit” Vitoria sostiene grazie anche al diritto naturale e positivo la legittimità del possesso delle Americhe da parte delle popolazioni indigene: non sono la fede o le qualità morali che determinano il possesso. Inoltre Vitoria cerca di smentire le tesi che sostenevano l'idea secondo cui il dominio spagnolo sulle Americhe fosse determinato dalla volontà dell'imperatore e da quella del Papa, sovrani supremi di questo mondo: tale pretesa è vana e futile in quanto non esiste secondo alcun diritto un sovrano a livello mondiale che possa fare questo tipo di rivendicazioni. Vitoria disconosce anche la supremazia dell'ambito spirituale su quello temporale arrivando a sostenere la tesi secondo cui non è giusto e legittimo attaccare e distruggere un popolo anche se miscredente. Il diritto degli Spagnoli alla conquista. Il diritto degli spagnoli al dominio sulle Americhe è legittimato dall'istituto del diritto internazionale, di cui Vitoria è ritenuto l'inventore. È in virtù di tale diritto che gli Spagnoli, in quanto primi a sbarcare sul nuovo continente, hanno la possibilità di commerciare in pace con le popolazioni indigene. Dato che il commercio è un diritto naturale dell'uomo, Vitoria legittima la conquista delle Americhe da parte degli Spagnoli sostenendo la liceità del conflitto armato scatenatosi quando gli Indios hanno iniziato ad ostacolare gli scambi commerciali. Il dominio spagnolo è frutto di una guerra giusta mossa per difendere il diritto naturale al commercio. ( Vitoria alla fine delle Relazioni sostiene che un'altra forma di legittimazione del dominio può derivare dal consenso della maggioranza). La Costituzione del Potere. Dio è si causa efficiente del potere, ma è la società nel suo complesso che ne è causa materiale. Dio determina la necessità del potere per la gestione della società ma è la società stessa a scegliere i propri governanti: nessun uomo è naturalmente superiore ad un altro, è solo attraverso l'accordo della maggioranza che si da vita effettiva al potere. Il potere non è però delegato dal popolo ai governanti,ma è alienato e per questo motivo il sovrano è nell'esercizio della sua carica persino superiore allo stato come forma massima di associazione. La mistione tra le vertenze partecipative è quelle autoritarie è dettata dal clima culturale dell'Europa di metà XVI secolo segnato dalla Riforma Protestante e dalle sette anabattiste. Suarez. Francisco Suarez si concentra sull'analisi dei problemi che attanagliano la Vecchia Europa riprendendo i presupposti teorici del pensiero di Vitoria. I Problemi che L'Europa attraversa sono determinati dal dilagare della Riforma, dell'anabattismo e dell'anarchia, oltre che il paventarsi di una nuova teocrazia. Diritto Naturale. Suarez identifica nel consenso della maggioranza e nel diritto naturale le basi dello Stato. Contro la teorizzazione della monarchia per diritto divino, Suarez sostiene il ruolo primario giocato dal diritto naturale nel fondare l'autonomia originaria dello Stato: lo Stato di Natura è per Suarez una condizione di assoluta libertà e di eguaglianza tra gli uomini. Illustriamo di seguito il processo che porta alla formazione dello Stato e quindi alla perdita una parte consistente della propria libertà: 1. la legge di natura prevede si libertà assoluta per l'individuo ma al contempo spinge l'uomo ad associarsi per motivi di autoconservazione. 2. L'autoconservazione è meglio tutelata dal potere. Siamo quindi sia liberi per natura che naturalmente preposti all'ubbidienza, solo che l'ubbidienza è frutto di un atto volontario di sottomissione. Per trascendere la libertà originaria dettata dal diritto naturale è necessario il libero consenso, anche in caso di governo monarchico. Origine della comunità politica. Il consenso può essere strumento per trascendere la libertà originaria solamente se espresso da una comunità che prima di formarsi come stato ha scelto l'unificazione morale divenendo quindi universalità dotata di personalità giuridica e volontà politica che si può tradurre in potere sovrano. Diritto internazionale. “Ogni stato è comunità perfetta destinato a permanere indipendente e autonomo da qualunque potere totalizzante e universalizzante.” anche se viene riconosciuta la legittimità della pluralità degli Stati Suarez crede nella coesione dell'umanità dal punto di vista morale e politico in virtù dell'esistenza di una sorta di diritto, posto tra quello civile e quello naturale, sulla base del quale si regolano i rapporti tra i differenti stati, membri della stessa comunità politica: il diritto internazionale. Il diritto internazionale per Suarez ha la sua fonte nella razionalità intrinseca degli stati e degli individui. Il Soggetto e lo Stato. Le dinamiche storico politiche che nel XVII secolo fanno uscire l'Europa dalle guerre civili di religione ruotano attorno alla formazione dello Stato Assoluto e all'esercizio della Ragione di Stato: è lo stato che a partire dalla Pace di Vestfalia del 1648 diviene il protagonista della politica estera e della politica internazionale, ed è sempre lo stato che rappresenta il carattere distintivo e unico della forma di organizzazione europea. Formazione dello Stato Moderno. Lo Stato moderno opera una moderata modernizzazione e razionalizzazione del potere per quanto riguarda la centralizzazione del comando, le garanzie del ordine pubblico, la statalizzazione della guerra. Questo processo di razionalizzazione si arresta però davanti a differenze sociali e politiche che non può e non vuole superare ovvero la naturale diseguaglianza degli uomini e più in generale l'assetto corporato della società che è ancora pensata secondo modelli organici. Il potere politico è si razionale nel suo esercizio e nei suoi fini ma trova legittimazione nell'ordine “divino delle cose”. In questo contesto lo spazio di manovra è limitato alla riforma degli assetti di potere. Razionalismo Politico. L'antecedente dell'illuminismo è ritrovabile nella filosofia politica del contrattualismo razionalistico, esposto nel pensiero di 3 grandi filosofi, che introducono nuovi modelli di ordine 1. ogni uomo deve ricercare la pace 2. ogni uomo in ragione di ciò deve abbandonare i propri diritti in misura eguale agli altri uomini. 3. La mutua cooperazione che da ciò deriva è un patto che deve essere rispettato per introdurre nel sistema la nozione di giustizia. Più specificamente, le leggi, più che vere e proprie norme, rappresentano qualità di cui l'uomo dispone per il raggiungimento della pace. L'obbiettivo della politica è costituire le condizioni necessarie perché gli esseri umani siano indotti a seguire le leggi di natura e quindi a vivere in pace. Hobbes introduce i concetti di attore, autore e rappresentanza per la costruzione del suo ordine politico : i singoli individui devono autorizzare un attore che agisce per conto loro come rappresentante in modo da dare vita ad unità artificiale che è appunto l'ordine politico. L'uomo autorizzato a rappresentare i diversi autori è il Sovrano. Il patto. La costruzione del sovrano avviene seguendo la logica del patto della rappresentanza politica moderna. Per rappresentanza si intende la qualità di espressione dell'interesse universale di tutti ovvero del desiderio di vivere in pace. Il patto nella dottrina Hobbesiana ha le caratteristiche di alienare i diritti da alcuni soggetti, e fondarsi su un rapporto duraturo e futuro di fiducia reciproca tra i contraenti. La rappresentanza Hobbesiana. La rappresentanza si ottiene quindi tramite un patto, il cui contenuto è la cessione di tutti i diritti naturali ad un terzo, esterno e creato dal patto, che si trova così ad essere il detentore del diritto naturale di tutti. Il risultato di questo patto è il Leviatano ovvero l'artificio che rende possibile la vita associata. In questa logica del tutto nuova il sovrano è tale in quanto coloro che hanno deciso di contrarre il patto lo hanno posto in quella posizione di comando per la propria utilità. In questo contesto cade la distinzione tra Giustizia e legge positiva : non è possibile definire ingiuste regole che vengono dettate dalla comunità per la comunità, tramite la figura del sovrano, che è il suo legittimo rappresentante. La conclusione logica di questa tesi è la fine della separazione tra monarchia e tirannide. Negazione del diritto di resistenza. Conseguenza prima del patto di Hobbes è l'impossibilità per i contraenti, una volta stipulato, di sottrarsi ad esso. Non si può imputare al leviatano di non avere rispettato il patto in quanto esso è esterno al patto ed esiste solo in funzione di esso, per questo Hobbes sostiene l'illegittimità della disubbidienza in quanto generatrice di disordine e madre della distruzione dello Stato. In sostanza per ottenere la pace è necessario alienare da sé tutti i propri diritti naturali e far cadere per interno l'energia politica che ci muove. Hobbes rinnova il concetto di sovranità: la politica è sovranità ovvero governo impersonale e razionale della legge universale e artificiale che si applica tra eguali. Il Sovrano. Analizziamo ora i meccanismi di funzionamento di questa moderna figura di stato che possiede il monopolio della forza legittima. Il sovrano rappresentativo di Hobbes detiene un potere indivisibile, incondizionato ed irresistibile ( perché possessore della sovranità legittima) : queste caratteristiche sono funzionali al mantenimento della pace e dell'unità, infatti Hobbes, è chiaramente contrario ad ogni forma di separazione dei poteri. La sovranità è indivisibile e colui che la detiene possiede l'unico potere supremo ed illimitato che esista: la vita associata esiste in virtù dell'esistenza del sovrano, e la stessa proprietà privata è il risultato di un'emanazione regia, non un diritto naturale. Potere legislativo. Il sovrano è legislatore e le leggi che emana hanno valore in quanto sono promulgate dall'unico soggetto che ha il titolo per farlo, appunto il sovrano. Le leggi sono lo strumento attraverso cui si stabilisce la pace e l'ordine e per questo leggi positive e leggi di natura si sorreggono reciprocamente: le leggi positive permettono all'umanità di rispettare le leggi di natura. Nasce in Hobbes quindi la relazione fra sovranità e potere legislativo: la legge è legittima in quanto frutto della somma razionalità che è racchiusa nella figura del sovrano, unico titolare di questa facoltà. Il potere legislativo del sovrano è si assoluto ma non dovrebbe essere arbitrario, nel caso lo diventasse, Hobbes non prefigura alcuna soluzione in quanto ritiene più pericolosa una situazione di disordine piuttosto che una tirannide. Il diritto di mettere a morte. Il leviatano, visto che è stato creato per la salvaguardia della vita dei sudditi, non può in alcun modo spingere al suicidio o mettere a morte i propri sottoposti. Solo nel caso in cui dalla morte di un soggetto dipenda la vita del Leviatano, è possibile che egli sia effettivamente ucciso. In ogni caso questo processo avviene al di fuori del patto, quindi nello stato di natura,e si struttura come una relazione tra le comunità e il condannato. Lo stesso vale per la guerra esterna che si configura come un rapporto tra soggetti ancora nello stato di natura ovvero i singoli stati: il leviatano può indire la guerra e costringere i propri sudditi a parteciparvi nel caso in cui da questo atto dipendesse la vita stessa dello stato. Obbedienza e libertà. Il leviatano nasce per l'utilità dei singoli e non per la loro libertà: questa infatti è limitata e eliminata per la realizzazione della pace. Lo Stato è libero verso l'esterno, ma dentro lo stato non vi è libertà naturale per i sudditi se non per i diritti non trasferibili dal patto come quello all'autodifesa che rientra nella sfera delle libertà private ovvero nell'ambito in cui è assente l'operato legislativo del leviatano. In ogni caso obbedire al potere non vuol dire credere in esso in quanto lo Stato e le sue leggi si rivolgono solo ai comportamenti esterni del soggetto; in questo modo Hobbes cerca di neutralizzare il conflitto con la religione in materia politica svincolando l'agire politico dall'interiorità di ciascun individuo. Hobbes ha il grande merito di aver dato forma alla sfera pubblica, lo Stato, e la sfera privata ovvero ciò che resta a ciascun uomo dopo l'alienazione del diritto naturale. La politica ha come fine la costruzione della sfera pubblica, la quale a sua volta deve occuparsi della tutela della sfera privata. La politica inoltre si occupa della difesa dello spazio della società ovvero di quello spazio intermedio tra l'individuo e lo stato nel quale non sussistono logiche autonome. Pace e Guerra. Data la pluralità di Leviatani la guerra è sempre possibile tra di loro esattamente come avveniva tra gli uomini nello stato di natura. Il rapporto tra gli stati e regolato come per gli uomini dalle leggi di natura che sono però anche in questa situazione inefficaci in quanto non fanno riferimento a leggi positive che regolino l'agire dei sovrani. Hobbes sottolinea come si possa parlare di crimine solo laddove sussista una legge positiva, di conseguenza è impossibile parlare di Giustizia in relazione all'esercizio della guerra ma solo di esercizio di sovranità. Il pensiero di Hobbes in materia di Guerra sarà alla base delle elucubrazioni dei pensatori delle Relazioni internazionali della scuola Idealista e Realista. Morte del Leviatano. Lo stato è un Dio Mortale: è artificio fatto dagli uomini, che errori e casualità possono distruggere. Le cause di dissoluzione dello Stato sono varie e vengono elencate all'interno del captolo XXIX e consistono principalmente nell'incomprensione della necessità del potere assoluto del sovrano e dell'obbedienza che gli è dovuta e nella pretesa dell'individuo di avere diritti da far rivalere sullo stato. In ogni caso essendo lo stato una “macchina” l'obbedienza gli è dovuta solo fino a quando esso funziona ovvero fino a quando è in grado di mantenere l'ordine. Teologia Politica. La religione. Il problema del rapporto tra religione e politica è un tema cardine nell'analisi di Hobbes. Egli inizia la sua analisi partendo dallo studio delle religioni arcaiche che vengono bollate come sistemi di superstizioni e di ignoranza, utilizzati dai legislatori dell'antichità per insegnare l'ubbidienza al popolo. Poi passa al cristianesimo, ritenuta l'unica vera fede, la quale però sembra inconciliabile con l'ubbidienza al potere politico. Attraverso la figura del Leviatano, Hobbes, elimina ogni effetto politico della trascendenza religiosa. Lo Stato Cristiano. Lo Stato nasce per Hobbes solo all'interno della retta comprensione del comando divino, quindi lo Stato deve essere cristiano e fondarsi su una teologia politica razionalistica dedotta dall'analisi dei testi sacri. In relazione a ciò, l'analisi delle Scritture operata da Hobbes, ha come risultato una interpretazione radicalmente nuova del sacro e del suo valore in terra, infatti, la sua teologia politica si fonda sulla totale assenza di Dio dagli affari umani. In pratica Hobbes propone la sua politica razionalistica come l'unico modo corretto di interpretare la religione cristiana in aperta opposizione con protestanti e cattolici : il sovrano, e quindi lo stato, è il tramite tra dio e la terra. Interpretazione delle Scritture. L'argomentazione teologica politica di Hobbes inizia dalla distinzione fra regno di Dio per Natura e regno di Dio per Patto. Regno di Dio vuol dire regno civile di dio che regna su di un popolo. Fino a quando Dio regna direttamente sul popolo di Israele per tramite dei profeti, che sono quindi i reggenti della sua volontà, si ha un regno di Dio per patto, quando però anche il popolo di Israele si dette un re umano il regno di Dio si stabili per natura attraverso appunto le leggi naturali di cui abbiamo già trattato. Dato che Dio senza l'aiuto dei profeti, quindi senza il rapporto diretto, è inconoscibile l'unico modo per rendergli onore è obbedire alla sua volontà; la sua volontà è esprimibile nel comando alla pace e all'ordine e dato che l'unico modo per ottenere pace e ordine è ubbidire al Leviatano, per rispettare la volontà di Dio è necessario ubbidire al Leviatano che è quindi il rappresentante della volontà divina in terra. Per Hobbes il cristianesimo è una conferma in questo senso in quanto il Cristo umano è sceso in terra per sfatare false religioni e per profetizzare la venuta del suo regno alla fine dei tempi: da adesso fino alla sua seconda venuta possiamo essere sicuri dell'assenza del sacro da questo mondo. Hobbes sostiene quindi la necessità di non credere ai miracoli e ai falsi profeti che non fanno altro che minare alla stabilità dell'ordine politico mettendo in discussione i decreti del sovrano, unico e vero profeta di Dio in terra. È il Sovrano che stabilisce l'autenticità dei fatti di fede, ma sta al singolo credere o meno nella veridicità di quegli atti, in ogni caso la religione, e non la fede, è un fatto esterno e pubblico e deve essere sottratta agli individualismi e ai fanatismi protestanti. costruzione di un ordine politico artificiale è funzionale alla realizzazione dell'ordine naturale. Il patto migliora le condizioni della natura, non azzera la natura ed è necessario per l'instaurazione di rapporti di tipo politico. Uscita dallo stato di natura. 3 sono i difetti che caratterizzano lo Stato di natura: 1. assenza di legge certa 2. assenza di un giudice riconosciuto imparziale 3. assenza di un potere esecutivo. Per difendere al meglio i propri diritti naturali l'uomo deve rinunciare al potere di punire le infrazioni, e rimettere tale potere nelle mani della comunità che diviene quindi l'arbitro delle controversie, la quale a sua volta autorizza dei magistrati sulla base di leggi certe e imparziali decise dalla comunità stessa. Questa comunità è una repubblica, ma Locke la definisce anche Corpo politico, società civile o società politica. La comunità si forma in seguito alla stipula di un Patto in senso moderno : ciascun singolo autorizza la società politica a fare le leggi e a renderla esecutiva grazie alla forza che ogni uomo ha conferito alla società. Il patto di Locke è anch'esso un patto di unione tra eguali che da vita ad un'entità politica prima inesistente al cui potere i contraenti si sottomettono. A differenza di Hobbes, questa entità non è però un istituzione sovrano-rappresentativa e per questo il potere legislativo risiede sia nel corpo politico sia nei suoi fiduciari. I diritti Naturali. Per la creazione del corpo politico gli individui devono delegare i propri diritti naturali i quali vengono loro restituiti sotto forma di diritti civili, l'unico diritto di cui l'individuo si priva totalmente è il diritto al giudizio e alla punizione. Creazione del sovrano. Il potere legislativo del corpo politico non potrà quindi essere assoluto in quanto deve essere in accordo con i diritti naturali di ciascun uomo. Locke contesta la visione hobbesiana che vede nel patto lo strumento per la creazione del sovrano assoluto: non è razionale che gli uomini con la stipula del patto si mettano in mano ad un tiranno, in pratica il leviatano. Locke analizza la storia sostenendo che ogni ordine politico nato da un patto ha come obbiettivo la tutela dei diritti naturali dell'uomo nella vita associata. I poteri. Analizziamo ora in modo più accurato il corpo politico in quanto potere legislativo sovrano: il potere legislativo è presso il popolo sovrano che lo delega ai propri rappresentati eletti uniti in Parlamento, i quali possono legiferare. Il potere legislativo non può ledere i diritti naturali di ciascun uomo, deve essere universale, imparziale, non assoluto e arbitrario. Separazione dei poteri. Il liberalismo moderno di Locke si inserisce sulla scia del tradizionale costituzionalismo inglese in quanto traspone in termini di diritto naturale le classiche limitazioni giurisdizionali del potere sovrano. Strumento teorico originale per la limitazione del potere è la tripartizione del potere nelle sue tre funzioni che Locke individua come il potere Legislativo, il potere esecutivo( potere amministrativo/ giudiziario) e il potere federativo(gestione politica estera). Sottolineo che all'interno del quadro di Locke si può parlare di guerra ingiusta in caso di aggressione e di guerra giusta in caso di difesa. Il potere federativo e il potere esecutivo, seppur distinti, sono entrambi in mano al re. Per Locke il re, quindi l'esecutivo, è subordinato al potere legislativo: il re riceve un incarico fiduciario assegnatoli dal corpo politico, nel caso egli infrangesse il rapporto di fiducia il corpo politico è legittimato a reagire. Il re possiede la così detta prerogativa regia che gli permette di legiferare in assenza del parlamento solo a vantaggio del popolo. Il potere ottenuto tramite la conquista non può sovvertire le logiche liberali della società. Molto probabilmente questa conclusione teorica era l'obbiettivo che Locke cercava di raggiungere : giustificare la resistenza parlamentare contro Giacomo II. Passiamo ora allo studio della tirannide. La tirannide si caratterizza per l'esercizio illegale o abusivo della forza da parte del supremo magistrato, ovvero il titolare del potere esecutivo. La resistenza del corpo politico è legittima ma deve operare per gradi: prima attraverso le forme istituzionali di dissenso e solo in ultima istanza attraverso la rivoluzione violenta. Quando però è il potere legislativo a operare al di fuori delle proprie prerogative il discorso si complica ulteriormente. Il corpo politico ha la facoltà di ritirare la delega ai propri rappresentati,e quindi di cacciarli nel caso in cui essi legiferino al di fuori delle logiche del patto. Questo dimostra che il parlamento non è “sovrano” ma solo delegato, infatti la sovranità risiede nel popolo, che occasionalmente, può esistere come corpo politico privo di rappresentanza senza ricadere nell'originario stato di natura in quanto il patto è ancora intatto. Nascita del liberalismo moderno. In conclusione Locke sostiene l'autonomia del soggetto e della società nei confronti della macchina statale. All'interno della dimensione pubblico sociale permangono una serie di energie politiche che si concretizzano nella tutela e nell'esercizio delle proprie libertà private all'interno dello spazio garantito dalla legge. La tolleranza. La sfera pubblico-sociale si contrappone alla sfera politica anche sul piano della tolleranza religiosa. Politica e religione. Locke cerca di individuare le condizioni necessarie perché fosse possibile rendere pubblici i culti senza compromettere la pace civile: uno stato che non teme l'esercizio pubblico della religione e un credente che non teme lo stato. Locke sostiene il principio della tolleranza, oltre che tramite l'affermazione della conformità al vangelo, grazie a due strategie argomentative : la necessità di separare Chiesa e Stato data l'impossibilità di stabilire aprioristicamente quale sia la vera fede, permettendo quindi libertà di culto ai sudditi. Separazione tra stato e Chiesa. Il passo successivo è fissare i confini che separano Stato e Chiesa: la materia religiosa non rientra nei fini del patto politico che invece si rivolge alla tutela della libertà, della vita e della proprietà. Dopo di che Locke definisce la chiesa come: “ libera società di uomini che si uniscono volontariamente per adorare pubblicamente Dio nel modo che ritengono Gli sia gradito”. È evidente come Locke non si pronunci in merito alla verità di una determinata religione, rendendo esplicito il suo orientamento deista. ( deismo → dio è un principio religioso certamente esistente ma indeterminabile secondo le tradizionali religioni). Data l'impossibilità di determinare la vera fede, ogni culto deve essere tollerato e lasciato libero: la religione è insomma un fatto privato ed individuale ma anche un diritto pubblico di libertà e per questo il potere politico non può controllare nemmeno i comportamenti religiosi esteriori. Limiti alla tolleranza. Locke aggiunge però che il potere non può e non deve tollerare: ordini religiosi che si fondino su principi avversi e contrari alla società umana e ai buoni costumi, sette che pretendono di possedere la verità assoluta, i cattolici e gli atei. La teoria di Locke è definibile nel complesso liberale ed è sicuramente la fonte originaria di ispirazione per il movimento liberale ottocentesco. Spinoza. Barcuh Spinoza occupa una posizione anomala nella filosofia e nella dottrina politica occidentale in quanto confluiscono nel suo pensiero differenti correnti culturali che vengono rielaborate alla luce della sua concezione monistica e materialista. Dal punto di vista politico egli accetta molti postulati delle teorie di Hobbes ma rifiuta di credere definita una volta per tutte la forma politica ponendo sotto critica il rapporto tra sovranità e cittadinanza. Una filosofia della vita. Per Spinoza l'uomo è mosso dal desiderio di vivere e agire per conservare il proprio essere attraverso la ricerca dell'utile, per questo il suo pensiero si ricollega più facilmente alle teorie di Machiavelli esposte all'interno dei “Discorsi”, dai quali riprende il tema della repubblica tumultuaria cercando di conciliare il massimo ordine con il massimo disordine. Il pensiero politico di Spinoza è volto alla ricerca delle forme della Liberazione. Natura e Politica. Potentia e Potestas. È lo stesso Spinoza che ci spiega i motivi che separano la sua filosofia da quella di Hobbes: Spinoza mantiene integro il diritto naturale degli uomini ed è convinto che il potere politico debba essere esercitato in conformità all'autorità stessa che possiede, esattamente come succederebbe in natura. Spinoza non afferma la superiorità del diritto sull'autorità, anzi le accomuna e le equipara, la differenza risiede tra Potentia, ovvero potere costituente della politica, e Potestas, potere costituito. Il diritto naturale non è un residuo che appartiene al corpo politico ne un sistema di limitazione del potere ma è un principio assoluto che si manifesta massimamente dove è assoluta la sovranità ovvero nella democrazia; in pratica Spinoza crea un legame diretto tra Natura e Politica, ridefinendo così i due termini stessi. Nel sistema filosofico spinoziano Dio è sostanza e natura,e l'essere si risolve in una dimensione di totale immanenza priva di ogni elemento di finalismo e di trascendenza. Se la sostanza è una e unica, le forme finite in cui si manifesta sono però molteplici. L'ontologia spinoziana si caratterizza per un continuo rapporto di movimento produttivo tra unicità della sostanza e l'infinità dei modi che determina, secondo un principio di casualità immanente, figure sempre nuove dell'essere. L'ontologia di Spinoza è fortemente egualitaria perché inserisce ogni forma dell'essere all'interno della sostanza, perfetta in sé. Riscatto del Corporeo. Spinoza rifiuta il dualismo tra corpo e mente, giungendo quindi a riscattare moralmente il corporeo sostenendo la naturalità delle passioni e delle affezioni umane, che non costituiscono un fattore limitante per l'uomo: è la natura con la sua potenza che ostacola l'umanità. La natura umana si concretizza nello sforzo di corpo e mente per conservare il proprio essere e gli affetti umani di distinguono sulla base dell'osservanza,o meno, di questa tendenza: se si conformano abbiamo un incremento della potenza individuale e otterremo effetti di Gioia e La monarchia virtuosa trae la propria forza dalla potenza dei sudditi che regolano e controllano il sovrano. L'aristocrazia è tanto più forte tanto è più ampio il consiglio che compone gli organi di governo. Spinoza individua un processo di democratizzazione dettato dalla presenza della moltitudo in ogni sistema politico. L'influenza che il pensiero di Spinoza esercita sugli intellettuali a lui posteriori è sotterranea per quanto riguarda l'illuminismo, diventa invece predominante per quanto riguarda le correnti tedesche del romanticismo; fu Hegel che cercò di affossare completamente il sistema spinoziano. L'antico regime e l'illuminismo. 1.L'antico Regime. L'inizio dell'antico regime si può collocare per quanto riguarda almeno la Francia alla metà del XV secolo, quando intorno alla società per ceti si organizzò un sistema di potere dotato di precise strutture istituzionali: il controllo sul territorio da parte del potere centrale, le prime forme di amministrazione pubblica centralizzata, la riorganizzazione delle istituzioni giuridiche, l'assolutismo monarchico. La Francia di Luigi XIV, e la Prussia degli Hohenzollern sono gli emblemi della costruzione dello stato assoluto di antico regime; forma di potere di cui l'obbiettivo primario è quello di ricondurre ad unità la frammentazione operata dal feudalesimo. Il sistema raggiunge il suo apice nel XVII secolo e inizia il suo tracollo all'inizio del secolo successivo con la fine delle guerre europee: la diffusione del movimento dei lumi, lo sviluppo della classe borghese, il consolidamento di un nuovo modo di produzione, sono tutti elementi che concorrono al tracollo dell'antico Regime. Definizione di Antico regime. Il termine Ancien Regime viene usato con precisione per la prima volta nella prima assemblea costituente del 1789, ma fu Tocqueville che sistematizzò il concetto nelle sue opere. Il termine antico regime indica un sistema che concepisce organicamente la società, in cui il potere esiste per natura e non per contratto, e quindi è assente la concezione rappresentativa del potere. L'assolutismo in Francia. Il sistema di potere di Luigi XIV. Figura chiave per la costruzione dello stato assoluto francese è il membro del Consiglio superiore, il cardinale Richelieu( 1624), la quale opera viene portata a compimento dal suo successore Mazzarino, precettore del futuro Luigi XIV. La strategia assolutistica francese si articola in diverse modalità e fu il modello per le monarchie di tutta Europa: 1. leggi fondamentali del regno sono : l'inalienabilità del territorio, la trasmissibilità della corona per via maschile, l'indipendenza del re dal papa. Luigi XIV: • rende stabile e permanente l'esercito • sistematizza il processo di esazione delle tasse • sistematizza e accentra il potere giudiziario • pone sotto il controllo regio la Chiesa sul territorio nazionale • pone in essere un abile strategia economica e dogale basata sui principi del mercantilismo Disciplinamento della società. Con la morte di Luigi XIV nel 1715 l'assolutismo francese entra nella sua fase di crisi più acuta, crisi dovuta alle rimostranze dei ceti che rivendicano i loro antichi diritti e alle pretese delle nuove classi sociali che chiedono una riedizione dello Stato, ma è una crisi che si sviluppa anche in virtù delle istituzioni burocratiche che lo stesso assolutismo ha creato e dalla sua totale negazione di ogni diritto di rappresentanza. L'assolutismo nella lotta contro i privilegi dei corpi sociali fini inevitabilmente per promuovere il principio dell'individualismo, sulla cui base hanno luogo le rivendicazioni di eguaglianza dei cittadini: a partire da Richelieu l'operato della monarchia, in particolar modo in materia fiscale ed giudiziaria, si indirizzò verso un tendenziale livellamento della società il che si traduceva una costante opposizione alla nobiltà e alle corporazioni, il che ebbe come risultato l'eguaglianza dei sudditi dinnanzi al sovrano. I parlamenti. Funzioni dei parlamenti. Analizziamo la vicenda dei parlamenti francesi costantemente in conflitto con l'ancien regime in nome della rappresentanza della nazione. Il sistema francese di Antico regime si struttura secondo due istanze di potere: il re, il cui potere è assoluto e indipendente da qualunque altro potere, e gli organi di consiglio, con poteri solo su delega regia. Il potere giudiziario è quindi nelle mani del sovrano che lo esercita nella forma di Justice reteneu, intervento diretto, o nella forma di Justice Déléguée, attraverso le alte corti di Giustizia, i Parlamenti. Il primo parlamento ad essere istituito è quello di Parigi nel 1454, in seguito ne vennero fondati altri fino a coprire l'intero territorio francese. I Parlamenti hanno un potere solamente delegato, tuttavia solo un atto del Consiglio del re poteva revocare loro il potere di giudicare. I Parlamenti avevano a disposizione • il diritto di Rimostranza: diritto di veto sulle decisioni del re in materia giuridico giudiziaria. • Il diritto di Registrazione : ogni editto reale per avere vigore deve essere registrato dai parlamenti. I Parlamenti sono quindi organi con funzioni sia di Governo che di Giustizia, il che li rende la contro parte della Monarchia. A Partire dal XVII la monarchia cerca di abbattere il potere dei parlamenti nominando degli intendenti regi per amministrare direttamente la giustizia, con compiti di Polizia, amministrazione e funzioni in materia fiscale. Nel 1648 si scatenò una fronda parlamentare in occasione di una momentanea debolezza della reggenza che venne tuttavia sedata con l'ascesa al trono nel 1651 di Luigi XIV. Sottolineo che questo nel 1673, con un editto regio tolse ai parlamenti il diritto di rimostranza. Crisi dell'antico regime francese. Il diritto di rimostranza fu riottenuto dai parlamenti nel 1715 in occasione della morte di Luigi XIV quale ricompensa per avere aiutato Filippo D'Orleans ad ottenere la reggenza. È evidente però il contrasto ormai insanabile tra Monarchia e Parlamenti, che si risolverà solo con la rivoluzione francese e con l'abolizione di quest'ultimi. Questa crisi fra Sovrano e Parlamenti è sintomo di una più generale crisi dell'intero sistema di Ancien régime, scatenata da un pluralità di fattori. Rappresentanza di Antico regime. Dal punto di vista politico il conflitto tra Monarchia e Parlamenti è definibile come una crisi di rappresentanza in quanto entrambe le fazioni rivendicano il diritto di rappresentanza della nazione. La monarchia avanza il principio di rappresentanza in toto ovvero il monarca rappresenta nella sua persona la nazione, mentre i Parlamenti sostengono un'idea di rappresentanza corporativa che veda protagonista i ceti; in entrambi i casi si tratta di modelli di rappresentanza di antico regime. La rappresentanza di antico regime si caratterizza per la rappresentazione dell'assetto costituzionale del regno. La rappresentanza moderna si distanzia da questo modello in quanto è fondata sulla volontà generale, rappresentata dalla legge universale emanata dal potere sovrano. Solo con la proposta dell'assemblea nazionale si supera il modello di rappresentanza di antico regime, in quanto si inaugura un sistema di rappresentanza della sovranità della nazione, depositaria del potere legislativo. Con la rivoluzione francese si stabilisce la separazione dei poteri prima,e poi, la separazione delle autorità. Bossuet. La storia Provvidenziale. Principale teorico dell'assolutismo monarchico e del diritto divino del re in Francia fu il vescovo Jacques-Bénigne Bossuet. La teoria politica di Bossuet si fonda su interpretazione teologica della storia: Dio ha predetto che si sarebbero successi nell'arco della storia quattro grandi regni, in particolare l'ultimo di questi è l'impero romano, il quale ha assistito alla nascita del regno di Dio essendo presente al momento della nascita di Cristo. In un quadro sacro della Storia, il Sacro Romano Impero di Carlo Magno è giustificato in quanto riprende l'opera unificatrice dell'impero Romano, e la monarchia francese, discendente del regno romano-carolingio, ha ereditato la missione di realizzare la volontà di Dio in terra. Monarchia Assoluta. Bossuet nega il diritto di resistenza all'autorità, la quale è legittimata dalla volontà di Dio, ed è da Lui creata con i caratteri della regalità, dell'ereditarietà, e dell'assolutezza. La monarchia è nella sua concezione la forma di governo migliore in quanto più naturale perché esprime il governo di Dio sugli uomini e del padre sui figli. Il monarca incarna nella sua persona la figura di Dio, questa caratteristica è definita maestà, la maestà è però definita anche un'autorità, oltre che sacra e paterna, razionale e assoluta, tipiche attribuzioni dell'assolutismo moderno. Luigi XIV fece propria questa concezione nella costruzione del Stato Assoluto. Bayle. La ragione scettica. Pierre Bayle contrappone nelle sue opere il concetto di ragione a quello di autorità, sia politica che religiosa. Bayle sottopone all'indagine razionale della ragione scettica la natura umana e i modelli teorico- politici, cercando la soluzione al problema della convivenza pacifica tramite lo strumento della tolleranza religiosa. ( l'opera di Bayle è particolarmente segnata dall'evento della revoca dell'edito di Nantes con l'editto di Fontainbleau). per cercare di distinguere tra regime dispotico e regime di libertà. Inghilterra. Si spiega in quest'ottica l'elogio della costituzione inglese. Montesquieu trova che la costituzione inglese garantisca le libertà del cittadino in quanto postula la distinzione delle forme di potere secondo il modello del balance of power ( teoria di relazioni internazionali). Montesquieu elogia la capacità del sistema inglese di mantenersi dinamicamente in equilibrio. Francia. Montesquieu non ripropone alla situazione francese il modello inglese per motivi di inadeguatezza storica, ma pensa ad un modello di monarchia moderata che garantisca le libertà politiche. Per la Francia, Montesquieu si erge a difensore della funzione di controllo e di limitazione del potere sovrano svolta dai Parlamenti: egli è convinto che la Francia necessiti dell'istituzione di corpi intermedi per la difesa delle libertà politiche. ( Montesquieu è uno dei fautori della tesi nobiliare). L'appoggio di Montesquieu ai parlamenti è da ricondurre alla sua concezione moderata della monarchia: l'uomo europeo non deve essere governato dalla volontà di uno solo ma è necessario cercare freni e contrappesi al potere per garantire le libertà dell'individuo. Funzione della religione. In un quadro di limitazione del potere si instaura il discorso della tolleranza. Montesquieu, come Hobbes, crede che la religiosità esteriore possa essere facilmente fonte di controversie e per questo fede e leggi devono essere in stretta relazione. Montesquieu teorizza la tolleranza delle differenti fedi, anche se si auspica l'unità di culto, e sostiene che debba essere il sovrano a sancire legalmente la pluralità religiosa per evitare il conflitto interno. Montesquieu con questa rivendicazione di tolleranza si inserisce all'interno della moderna corrente liberale( superando il libertinismo che costringeva la religione all'interno della sola sfera individuale), aggiungendo al termine però, oltre che una connotazione politica, un significato etico e morale sostenendo il legame tra tolleranza e ragione. L'assolutismo in Prussia. Seppure le dinamiche di formazione dello stato assoluto in Francia e in Prussia siano state per certi versi simili, le vicende storiche che segnano le due compagini statali sono del tutto differenti. Gli Hohenzollern ottengono il titolo regio nel 1701 e si trovano subito a dover confrontarsi con il potere imperiale oltre che con tutti i poteri corporativi che andavano a comporre la società. Lo scontro che si delinea è quindi tra l'istituzione feudale dell'impero e la spinta razionalizzante dei poteri nazionali che tendevano a riorganizzare in modo funzionale le istituzioni di governo. Costruzione dello Stato In Germania. A partire dal XVII secolo i giuristi e i teorici politici di Area tedesca iniziarono a riflettere sulla forza dello stato territoriale in confronto alla debolezza strutturale dell'impero ancora organizzato secondo un sistema di rapporti individuali privilegiati. Nella discussione politica nell'ambito delle scienze camerali e tra i teorici tedeschi della ragion di Stato emerge il tema del bene e dell'ordine della collettività contro ogni atteggiamento individualistico. Temi centrali della discussione sono la sovranità e i compiti di polizia, ovvero la pratica dell'amministrazione territoriale che legge l'organizzazione sociale come un ordine naturale che necessità però di buona amministrazione. La funzione di polizia, quindi di amministrazione, era tradizionalmente affidata ai ceti, ma con l'espansione della cultura cameralistica si assiste ad un accentramento di questi compiti nelle mani del sovrano: è proprio sul controllo dell'amministrazione che si scontrano potere regio e poteri territoriali dei ceti. Nel seicento troviamo la persistenza accanto agli organi camerali di dipendenza regia di organi consiliari di retaggio feudale. Pace di Vestfalia. Con la pace di Vestfalia del 1648 oltre alle libertà religiose vengono sanciti nuovi rapporti tra impero, principi e ceti territoriali. Viene infatti proclamato lo Jus territoriale che significa: • il riconoscimento della sovranità dei principi. • Riconoscimento facoltà per i principi di partecipare alle decisioni dell'impero • facoltà per i principi di stringere alleanze al di la della volontà imperiale. La pace di Vestfalia può esser vista come la nascita del moderno schema delle Relazioni Internazionali fondate sulla regolamentazione giuridica del sistema delle alleanze e sul riconoscimento della territorialità dello stato. Il Cameralismo. Il fenomeno che meglio spiega l'opera dell'assolutismo tedesco è un movimento di pensiero politico denominato Cameralismo. Il termine deriva da “kammer”,la camera, ovvero l'organo privato di governo nel quale il principe dirigeva i propri affari. A partire dal XVII secolo gli affari finanziari e amministrativi divennero gli affari camerali in posizione di preminenza rispetto agli affari inerenti i tributi tradizionalmente in mano ai ceti. Nei primi anni del '700 venne istituita la prima cattedra di scienze camerali per istruire la nuova classe di funzionari atti a occuparsi dell'amministrazione dello stato: il cameralismo è la teoria adottata dai sovrani di Prussia per sostenere l'accentramento amministrativo. Lo stato del Benessere. Il cameralismo può essere inteso come la fase intermedia, almeno in Germania, tra il modello di Antico regime e lo stato di Diritto del XIX secolo. La pratica del cameralismo produsse: • un'organizzazione della politica interna di tipo burocratico con l'istituzione di commissari preparati professionalmente e stipendiati; • razionalizzazione del comando giuridico la cui origine è fissata nella legge positiva. • Il diritto è il frutto della volontà del principe esercitata tramite la funzione di polizia. • Soppressione di ogni dualismo tra ceti e principe in favore di quest'ultimo l'assolutismo raggiunge il suo apice in Prussia sotto il comando di Federico II il quale giunge ad accentrare nelle mani del principe tutti i poteri di origine feudale ed ad esercitarli razionalmente in vista del benessere dei sudditi e della grandezza della nazione. Elementi del processo di assolutizzazione: • esercito stabile e stanziale. • Sistema di tassazione centralizzato. • Organizzazione amministrativa efficiente. • Impulso allo sviluppo dell'attività economica. Pratica del mercantilismo. La necessità di rafforzare lo stato territoriale si fa sentire anche in campo economico e si attua attraverso il mercantilismo. Il mercantilismo interpreta l'attività economica come uno strumento di espressione della potenza del singolo stato; in Germania, il mercantilismo si strutturò come una politica di origine imperiale, tuttavia questo non fece altro che fomentare la disgregazione territoriale dell'impero tedesco. Diritto Naturale. Con la Pace di Augusta del 1555 si concretizzò una territorializzazione della religione e una rifondazione della legittimità politica su basi laiche. Movimento cardine della seconda metà del XVI secolo è il Giusnaturalismo. Il giusnaturalismo afferma l'esistenza di un diritto naturale, diverso e precedente alla norma positiva, con valenza superiore alle leggi dello Stato. Caratteri del Diritto naturale moderno. Per il giusnaturalismo moderno alla base dell'obbligazione politica troviamo il riconoscimento dei diritti naturali, dello stato di Natura e della necessità della stipula di un patto sociale fra tutti gli individui. Il contratto è l'atto che da formazione alla politica nella sua forma statuale; lo stato è pensato quale opera volontaria e razionale degli individui. Il diritto naturale moderno vuole ergersi a fonte di legittimazione per l'ordine politico, da ciò ne deriva che per essere effettivo però esso ha bisogno del diritto positivo. Grozio. Importante esponente del giusnaturalismo è Ugo Grozio che con il de Jure Belli ac Pacis(1625) pone il diritto naturale quale fondamento del diritto riconosciuto fra gli uomini. Gli individui sono naturalmente socievoli e questo da vita a forme di convivenza pacifica. La convivenza pacifica, attraverso un contratto volontario, si trasforma in un'associazione politica in cui il rispetto dei diritti è garantito dalla presenza di un sovrano, a cui i deleganti hanno trasmesso la sovranità. Seppur Grozio creda che il diritto naturale discenda da Dio, la Riforma, lo induce a ricercare la validità del diritto naturale al di la della teologia,in modo da affermarne l'universalità. Attraverso il procedimento per assurdo Grozio arriva a sostenere la validità del diritto naturale anche “senza Dio”, determinando la laicizzazione dello Stato. Forme del Diritto. L'esistenza del diritto naturale non è sufficiente per stabilirne l'efficacia, infatti perché esso trovi realizzazione è necessario che sia coadiuvato dal diritto volontario, ovvero l'espressione della volontà regia che prende forma di legge. Grozio distingue poi tra diritto civile e diritto delle genti (diritto internazionale). In relazione a quest'ultimo vediamo quindi il tentativo di Grozio di regolamentare la guerra attraverso la mistione dei differenti ordini giuridici, per questo egli giunge a teorizzare l'esistenza della guerra giusta in quanto guerra pubblica dello stato regolamentata sulla base del rispetto del diritto internazionale e di quella ragione naturale che è alla base di tutta la costruzione Groziana. Pufendorf. Alla dottrina del diritto naturale di Grozio si ispira la teoria politica di Samuel Pufendorf, che può essere vista come il tentativo di dare fondamento teorico a quello che sarebbe diventato l'assetto costituzionale dei territori tedeschi. Pufendorf ha anch'egli una visone positiva dello stato di natura, ma è convinto che la socialità dell'uomo sia dettata in primo luogo dall'utilità che deriva dalla cooperazione per il benessere individuale. Il principio di utilità è sancito dalla legge naturale che determina che ciascun uomo deve praticare una pacifica socialità conformemente allo scopo dell'umanità. Istituzioni dello Stato. Nello stato di natura di Pufendorf è presente una costante tensione tra il principio di utilità e la spinta alla socialità, la tensione funge da stimolo per l'uscita dallo stato di natura e il superamento delle sue debolezze strutturali. Gli uomini spinti dal desiderio di ottenere la felicità danno vita alla civitas, la società politica retta riforma dell'ordine presente tramite ragione giustizia. È così spiegabile il rapporto che alcuni Philosophes intrattennero con i sovrani assoluti di Europa, realtà storica con la quale erano costretti a rapportarsi. Riformismo assolutista. Come tutte le istituzioni, anche la monarchia fu posta sotto attenta analisi e critica, a partire dalla dottrina dei diritti naturali, preesistenti alle forme politiche che devono essere tutelati. Lo Stato illuminista fondato sui principi di eguaglianza formale e di libertà naturale è chiaramente inconciliabile con lo Stato Assoluto. Tuttavia i Philosophes e alcuni sovrani assoluti di Europa collaborarono in vista di una riforma razionalista delle istituzioni statali. Figlia di questa collaborazione fu l'idea di sottrarre alla Chiesa il controllo sull'educazione per sottoporla alla tutela statale. Emblematico è il caso della cacciata dei Gesuiti dagli Stati europei che fini con la soppressione dell'ordine tramite una bolla papale. In generale l'operato dell'assolutismo illuminato si rivolse alla limitazione dei privilegi e prerogative ecclesiastiche, e fu invece più blando nei confronti della nobiltà laica. La stagione di riforme si interruppe con gli anni ottanta del '700 quando la politica di potenza degli Stati Europei si tradusse in una guerra generalizzata per l'egemonia. La fine delle riforme illuminate sancisce l'inevitabile avvicinarsi della rivoluzione. La tolleranza. Polemica anti-ecclesiastica. La corrente illuminista si caratterizzò per uno spiccato e radicato anticlericalismo. La polemica è rivolta a tutte le religioni rivelate che cercano di imporre i propri dogmi per oscurare la ragione degli individui, ma in particolare è contro la Chiesa cattolica e il suo appoggio all'assolutismo regio. I lumi affermano contro l'oscurantismo religioso la religione naturale e il principio di tolleranza. Religione Naturale, deismo. Il tema della religione naturale viene elaborato in Inghilterra e diffuso nel continente tramite l'opera di Voltaire: “lettres anglaises”. Motivi ispiratori del Deismo sono la tolleranza lockianamente intesa come separazione tra spiritualità e mondanità e il problema dell'impossibilità di conoscere la vera religione. ( Teismo ≠ Deismo / teismo → dio personale e trascendente, creatore e determinato). Il movimento deista si sviluppa in Inghilterra sul finire del XVII secolo e uno dei suoi maggiori esponenti è John Toland. Toland rifiuta della Scrittura tutto ciò che non si accorda con la ragione e con il principio di uniformità della natura e perciò afferma la veridicità della sola religione naturale. Per religione naturale si intende una religione priva di dogmi, che riconosce l'esistenza di un essere supremo, razionale, creatore, ispiratore di morale ed etica ma che non interviene mai direttamente nelle vicende umane. Il deismo è quindi un sistema rigidamente intellettualistico in quanto ritiene che i misteri della fede siano i veri nemici del credo religioso, che è invece interamente comprensibile tramite la ragione umana. Il cristianesimo è in quest'ottica una religione naturalmente eterna che afferma la necessità della tolleranza universale basata sul riconoscimento della natura comune degli uomini. La polemica deista ha ovvie ripercussioni sulla politica in quanto nega tutte le prerogative trascendenti della Chiesa. Le affermazioni deiste sono tese a negare ogni autorità temporale e spirituale della chiesa, oltre che ad affermare una nuova morale laica da sostituire alle antiche tradizioni. La lotta contro l'infame. La rivendicazione della tolleranza da parte dei deisti è centrale nella lotta politica contro l'oscurantismo, il fanatismo, le gerarchie ecclesiastiche, le religioni confessionali e l'ingiustizia ( L'infame), per il raggiungimento delle riforme necessarie all'instaurazione dello Stato delle leggi che elida le differenze giuridiche tra gli individui. La tolleranza è anche usata per analizzare i rapporti tra stato e chiesa e fra sovrano ed individui. Esemplare è la posizione di Voltaire che definisce la tolleranza un diritto individuale, ascrivibile all'essere, ma anche frutto della decisione del sovrano, che in nome dell'ordine interno e della concordia neutralizza i conflitti religiosi spoliticizzandoli. Alleanza fra trono e altare. Nella realtà storica francese la neutralizzazione sovrana del conflitto religioso avvenne però in modo intollerante in quanto il contenuto dogmatico del cattolicesimo venne inglobato dall'ordinamento giuridico dello stato. La chiesa era si priva di potere politico diretto ma trovava assolte le proprie esigenze dall'apparato statale, e quindi non opponeva resistenza ad un'alleanza tra trono e altare. Esempio di quest'alleanza è il codice penale emanato da Colbert che conteneva sia i reati che i peccati. Solo a partire da metà del '700 iniziarono a diffondersi più sistematicamente idee che proponevano una netta separazione tra la morale religiosa e le leggi dello stato. Subordinazione della Chiesa allo Stato. Voltaire e I Philosophes teorizzano la necessità di subordinare la Chiesa allo Stato per esigenze contingenti della Storia, data l'impossibilità di separarli. In conclusione la tolleranza diventa tema centrale della discussione politica europea: la tolleranza viene sottoposta allo spazio politico dello Stato, in cui vige il criterio di eguaglianza tra i suoi abitanti. 3. Geografia dell'Illuminismo. Cosmopolitismo e amor di Patria. L'illuminismo si costituì come un movimento connotato dal cosmopolitismo, frutto dell'aspirazione all'universalismo e alla fratellanza che produsse il sentimento di sentirsi cittadini del mondo. Tuttavia accanto all'idea cosmopolita si determinarono anche le idee di patriottismo e amor di nazione che avrebbero prodotto insieme agli eventi rivoluzionari la nascita dei nazionalismi ottocenteschi. Si possono quindi individuare diversi illuminismi nazionali influenzati dal contesto territoriale. La Francia. L'impresa dell'Enciclopedia. Centrale per la costituzione dell'illuminismo francese fu l'impresa dell'Enciclopedia guidata principalmente da Diderot, e solo in parte, da D'Alembert. L'opera venne pubblicata tra il 1751 e il 1765, con numerose interruzioni ed ostacoli, e raccolse attorno a sé i principali rappresentati della cultura settecentesca Francese. Lo scopo e il fine dell'opera sono espressi nel discorso preliminare redatto da D'Alembert: l'enciclopedia vuole esporre l'ordine e i rapporti fra le conoscenze umane mostrando di ciascuna scienza o arte i principi generali ma anche i dettagli essenziali. Obbiettivo dell'enciclopedia è mettere a disposizione della collettività il sapere. Diderot. Diderot afferma che il fondamento dell'autorità del re è un contratto stipulato per l'utile della società, ma che la nazione può rivendicare in ogni momento il rispetto del contratto stipulato ; ( troviamo questa definizione alla voce “autorità politica” dell'Enciclopedia). Il contratto ha nella visione di Diderot la valenza di legittimare la resistenza attiva del popolo contro la tirannia del sovrano. Anche se questo principio monarcomaco non viene ma esplicitato le opere di Diderot furono censurate a partire dal 1752, e contemporaneamente ritirato il permesso di pubblicazione per l'enciclopedia. Sovranità e rappresentanza. Il lavoro dell'enciclopedia fu ripreso nel 1753 e la critica alle istituzioni assolutistiche venne ripresa nelle voci seguenti. Alla Voce “sovranità” emerge il tema del consenso quale base del potere politico, infatti, è evidente la polemica contro il rischio di degenerazione della forma monarchica. Seppure gli illuministi non si schierarono mai apertamente su posizioni democratiche, lo stesso Diderot, a partire dagli anni 60, inizia a riflettere sulla necessità di forme di rappresentanza popolare nelle istituzioni di governo. Significativa per questa rivendicazione di partecipazione è la voce “rappresentante”: “ i rappresentati di una nazione sono i cittadini scelti, che in un governo temperato vengono incaricati dalla società di parlare a suo nome”. In questa voce è evidente l'influenza del modello inglese e del pensiero di Locke, in quanto si fa riferimento all'interesse comune per il buon funzionamento dello Stato ma anche alla proprietà come fattore preliminare per l'acquisizione del titolo di cittadinanza. Svolta radicale: la democrazia. La constatazione dell'impossibilità di realizzare una vera politica di riforma dell'assolutismo spinge Diderot su idee più radicali e democratiche. L'unico sovrano legislatore è il popolo, e sempre il popolo può condannare, anche violentemente, le azioni ingiuste del sovrano. Nonostante veda un possibile pericolo nei sommovimenti rivoluzionari, Diderot ne esalta le qualità rinnovatrici, infatti appoggia apertamente la rivoluzione americana e quella inglese, oltre che sostenere strenuamente il modello repubblicano valorizzando la virtù della libertà, del tirannicidio, e del libero arbitrio che si concretizza nella possibilità per il popolo di darsi un regime democratico in cui tutti partecipino alla scelta del sovrano. Voltaire. Emblema dell'illuminismo francese ( e non ) è sicuramente Voltaire, il quale si batté attivamente per la rivendicazione della tolleranza come appannaggio dell'umanità. Nelle sue opere è costante l'elemento politico che si concretizza nella proposta dello Stato delle leggi e della difesa del diritto di libertà politica e d'opinione. Voltaire non teorizza una forma di stato “perfetta” ma è convinto che la migliore forma di governo che possa reggere una nazione è quella che è in grado di rispettare e adattarsi ai costumi e allo spirito del popolo che guida. Legge e Libertà. Per Voltaire lo Stato è l'ordine politico fondato sulla libertà della legge, prodotto razionale dell'unica volontà sovrana, base dell'uguaglianza di tutti i cittadini, la forma di uguaglianza che più si avvicina alla perduta uguaglianza naturale. In voltaire in pratica troviamo i classici temi del contrattualismo razionale anche se non se non viene mai fatto riferimento ad alcun tipo di patto, per cui è assente all'interno della sua filosofia una partecipano direttamente al governo delle proprie città, e l'esigenza di emancipazione dal potere temporale della chiesa è fortemente sentito, infatti tutti gli illuministi italiani affermano la necessità di una laicizzazione dello stato. Tema comune della riflessione italiana è la necessità di riformare ogni ambito della vita politica attraverso la collaborazione di intellettuali e organi di governo. Illuminismo napoletano. Il tema della riforma è presente anche nel panorama napoletano in cui è fortemente sentita la necessità di costruire una nuova classe dirigente attenta ai nuovi indirizzi delle scienze pratiche. Personaggio di spicco nel panorama partenopeo è Antonio Genovesi, primo docente della prima cattedra di Economia politica di Europa, il quale sostenne attivamente una rivalutazione in senso pratico e utilitaristico del sapere. Genovesi ebbe numerosi allievi tra i quali Francesco Maria Pagano e Gaetano Filangieri, in particolare quest'ultimo si fece promotore di riforme quali l'abolizione del maggiorascato, l'universalismo delle leggi, la statalizzazione dell'educazione, la liberalizzazione della Stampa e la necessità di allargare la piccola proprietà fondiaria. Filangieri sostiene il principio monarchico ed è convinto che il sovrano debba circondarsi di intellettuali che lo consiglino in modo mirato. Illuminismo Milanese. Centrale per il panorama milanese fu l'accademia dei Pugni attorno alla quale si raccolsero i maggiori intellettuali del tempo e tra i quali spiccano i fratelli Verri che fondarono la rivista “il caffè”, voce critica dell'illuminismo milanese. Pietro Verri si impegnò direttamente all'interno dell'amministrazione asburgica del territorio lombardo cercando di collaborare con le istituzioni austriache al fine di realizzare le riforme dell'assetto sociale necessarie a sconfiggere i privilegi corporativi. Verri è fortemente influenzato dal pensiero di Montesquieu e dalle idee fisiocratiche per questo vede continuità tra libertà di azione economica e libertà politica, la prima preliminare per la seconda. Tuttavia nel corso dei primi anni '70 del XVIII secolo appare chiara la distanza tra i reali intenti della monarchia asburgica e l'afflato riformista che muove i pensatori milanesi, perciò Verri si schierò su posizioni che esaltavano la costruzione di uno Stato nazionale, attraverso la stesura di una Costituzione. Nuova concezione della Pena. Altra figura centrale nell'illuminismo del Nord Italia è Cesare Beccaria con la sua opera “ Dei Delitti e delle Pene” (1764). L'opera fu alla base delle riforma del sistema giudiziario operata da Leopoldo d'Asburgo in Toscana, e afferma la necessità di rivedere il concetto della pena in un'ottica più rispettosa della dignità umana e proporzionata al reato commesso. Beccaria sostiene anche l'abolizione della tortura e della pena di morte, se non i casi eccezionali. Alla base del pensiero di Beccaria sta una visione utilitaristica e contrattualistica del corpo sociale, fondata sul principio di egualitarismo di tutti innanzi alla legge. L'impegno diretto nelle istituzioni asburgiche lo portarono a comprendere il vero intento della monarchia austriaca( centralizzazione del potere) e per questo a partire dagli anni 70 del '700 si staccò dal centro culturale del “caffè” e si conformò al modello funzionario richiesto dallo stato asburgico. Vico Illuminismo scozzese A partire dagli anni 20 del XVIII secolo, in seguito all'unificazione con l'Inghilterra, emerge in Scozia una cultura laica, moderata e tollerante che viene indicata come il movimento illuminista scozzese di cui i Principali esponenti sono David Hume e Adam Smith i quali, attraverso il metodo dell'indagine empirica promossa da Newton, pensano ad un nuovo rapporto tra etica, economia e politica teorizzando per la prima volta lo spazio dell'economia politica. Ragione e Sentimento. Centrale nella discussione scozzese è l'alternativa tra amor proprio e benevolenza, insieme alla rideterminazione dei rapporti che legano natura umana ragione e sentimento: si rinnova l'interesse per l'impulso e la spontaneità della natura umana, oltre che per la concezione “mediana” dell'uomo all'interno dell'ordine naturale. Il consorzio civile nasce quindi in analogia con la natura umana e si fonda sul sentimento di inquietudine. Teorico di questa visione è Shaftesbury. Egli sostiene che l'uomo riesca innatamente a riconoscere ciò che è ingiusto e ciò che è giusto e identificare il proprio interesse personale con l'interesse collettivo: non è necessario quindi porre un contratto come inizio della società, in quanto l'uomo vi tende naturalmente. Senso morale. La teoria della naturale socialità dell'uomo viene ripresa da Hutcheson, il quale descrive con il termine senso morale l'impulso umano a vivere in società con i propri simili. Per Hutcheson è proprio la benevolenza insieme al senso estetico e al senso morale, oltre che alla simpatia , e una “ qualche forma di patto” a dare vita al governo civile. Vizi e Virtù: Morale e società. Bersaglio polemico degli Scozzesi è anche Mandeville e la sua opera “Favola delle api, ovvero, vizi privati, pubblici benefici”. Con quest'opera egli sostiene la funzionalità dei vizi naturali dell'uomo alla costruzione delle virtù civili. Per Mandeville l'uomo è naturalmente spinto verso la propria autoconservazione tramite l'esercizio di paura sugli altri individui, perciò viene negata ogni socialità naturale dell'essere. Egli sostiene che sia proprio la paura che ha spinto gli uomini ad associarsi in modo da porre un freno istituzionale agli appetiti naturali negativi. Il male è dunque naturale ed è il fondamento della società che senza di esso risulterebbe impoverita nella costruzione delle proprie virtù, correndo anche il rischio di dissolversi. Società ed economia Politica. Con Hume e Smith nell'analisi del rapporto tra sfera morale e sfera politica viene inserita la dimensione economica. In Scozia inizia a farsi largo il concetto di società civile commerciale consistente in un sistema fondato sul libero lavoro salariato,e studiata dalla nuova scienza dell'economia politica moderna, teorizzata quale sistema naturale i giustizia e libertà. Centrali nella riflessione politica diventano i temi della proprietà,del commercio e del lavoro, usati come unità di misura per calcolare lo sviluppo della società: prosperità economica equivale alla prosperità della nazione. Hume e Smith criticano aspramente tutte le teorie politiche che prevedono un intervento autoritario e coercitivo del potere nella regolamentazione della società a ciò è connessa una riforma dello stato in vista di un governo civile che operi in accordo con le leggi naturali della società civile commerciale, razionalizzando di fatto il rapporto tra governati e governati. Hume alla base del ordine sociale non vi è un contratto stipulato da individui negativamente liberi e razionali, ma vi è un processo di evoluzione storica che porta alla formazione delle regole del vivere associato. Tra uomo sociale e uomo presociale non vi è grande differenza in quanto esso è sempre caratterizzato da socievolezza e simpatia. Società civile. L'uomo naturale è uomo sociale per cui la società equivale alo stato di natura dell'uomo e il principio che guida l'essere umano in questa condizione è l'utilità sociale che è fonte di sentimento morale. Per Hume il fatto che l'uomo sia naturalmente socievole è una condizione necessaria per la realizzazione della propria identità passionale: la società è il luogo ove realizzare in sicurezza le proprie pulsioni. La simpatia è quindi fondata sulla considerazione dell'utilità che è legata ad ogni azione umana. L'utilità è tuttavia fondata sul criterio dell'esperienza e non sui principi di amor proprio e benevolenza. Società e politica. La funzione educativa che la società svolge sui propri membri determina inevitabilmente un aumento dei bisogni dell'uomo rendendo quindi necessaria, lungo il corso della storia, l'istituzione di nuove forme di organizzazione sociale e politica per regolamentare una struttura che il naturale progredire rende sempre più complessa. Per garantire un ordine pacifico si rendono necessari a questo punto dell'evoluzione un governo e una teoria di Giustizia che tutelino in particolare la proprietà. Il governo è quindi solo un aiuto alla natura debole della socialità umana, e l'ingresso in civiltà è segnato da un processo simpatetico. Hume elabora quindi l'espediente con cui si da forma la struttura politica: il consorzio civile si caratterizza per una compresenza di virtù e civile e virtù naturali che permettono all'uomo di vivere all'interno della comunità politica. Tale mistione di virtù fonda il principio della teoria della giustizia che è quindi razionale e si palesa nei momenti di necessità di tutela. La società resta in piedi solo per rispondere alle necessità di gestione della società umana, sarà l'abitudine che stabilizzerà la pratica dell'ordine politico che verrà inteso a tal punto come naturale. Autorità e libertà. Hume analizza in seguito il rapporto tra autorità e libertà. Hume riconosce la necessità di qualche forma di coazione per la salvaguardia del vivere civile tuttavia afferma la superiorità del principio di tutela della libertà del singolo contro ogni arbitrio. Smith Ferguson La rivoluzione Americana. Dichiarazione di Indipendenza Il 4 Luglio 1776 a Philadelphia i rappresentanti delle 13 Colonie, riuniti nel Congresso continentale, firmano la Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d'America, un breve testo con il quale spiegano il motivo della loro ribellione al re Giorgio III e affermano la necessità dell'indipendenza delle colonie dalla Madrepatria. La Dichiarazione di Indipendenza è un testo chiave per la modernità occidentale in quanto racchiude in sé differenti tradizioni filosofiche: il repubblicanesimo anglosassone, la teologia di matrice puritana, il giusnaturalismo lockiano, la teoria del senso comune scozzese, la matrice antimonarchica illuminista. La dichiarazione fu redatta da Thomas Jefferson, e corretta da Benjamin Franklin e John Adams ( futuro presidente degli Stati Uniti). La dichiarazione è formalmente un atto di protesta che rientra nella tradizione giuridica inglese, reciproco tra Senato e Presidente. Bilanciamento e controllo dei poteri. Il bilanciamento costituzionale si esprime anche nella preoccupazione che il potere legislativo si faccia arbitrario e che quindi si imponga un governo delle leggi sopra all'uomo. Per questo motivo alla divisione verticale del potere si affianca una di tipo orizzontale. Il legislativo si divide in due camere separate, con prerogative separate e con sistemi di elezione separati. Il potere giudiziario ha il compito di interpretare le leggi e di controllare la “costituzionalità” delle stesse. Il potere legislativo è quindi un potere derivato e sempre sotto costante controllo. Il Bill Of Rights. La costituzione degli Stati uniti venne inseguito emendata con 21 articoli, di cui i primi 10 andarono a comporre il Bill of rights ovvero la dichiarazione esplicita di diritti dell'individuo; questi articoli vennero redatti in occasione di un procedimento di revisione costituzionale nel 1791. il motivo per cui una dichiarazione esplicita dei diritti fu inserita solo in un secondo momento è che la costituzione di per sé si presentava come fondata su tali diritti senza necessità di esplicitarli. Ragione e Rivoluzione in questo capitolo analizziamo alcune delle forme più radicali di pensiero che ritengono che la politica debba adattarsi alla ragione. Rousseau Il motivo cardine del pensiero di Rousseau è l'evidenza della discontinuità tra storia e società giusta. L'uomo, naturalmente buono, è spinto nello stato di natura a dissociarsi e a rendersi autosufficiente in quanto non è naturalmente sociale, tuttavia l'innato carattere di perfettibilità che lo contraddistingue lo costringe ad entrare in società. Rousseau distingue a questo punto tra buona e cattiva uscita dallo stato di natura, e analizzando poi la sua soluzione teorica noteremo come il suo pensiero si discosti profondamente dal pensiero illuminista dominante La civiltà e la storia Critica delle arti. Con il “discorso sulle scienze e sulle arti” (1750) ( scritto in risposta al bando dell'accademia di Digione che pose il quesito come avessero influenzato i costumi umani le nuove scienze) Rousseau espone la sua visione negativa in merito alla possibilità che il progresso tecnologico possa portare effettivi benefici alla vita morale dell'uomo. Egli ritiene anzi i nuovi sapere responsabili dei mali sociali che affliggono il suo tempo e sostiene la superiorità degli antichi sui contemporanei data la maggiore semplicità e parsimonia che caratterizzava le civiltà greca e romana, in cui erano ancora presenti le virtù guerriere e patriottiche. Seppur solo abbozzata, nel primo discorso si palesa la contrapposizione tra natura e civiltà che si concretizzerà in una critica della cultura e del progresso. Disuguaglianza. Nel secondo “Discorso” Rousseau analizza il tema della disuguaglianza in quanto fenomeno concomitante in un processo che vede la ricchezza come fonte di corruzione per l'umanità. Questo tema viene approfondito dal Philosophe in occasione del secondo quesito dell'accademia di Digione: “ qual'è l'origine della disuguaglianza tra gli uomini e se essa sia autorizzata dalla legge naturale”. Per rispondere alla domanda Rousseau ricostruisce la storia dell'umanità partendo da un ipotetico stato di natura che non rappresenta però la base sulla quale verrà costruito lo stato. La critica che muove Rousseau a tutti i pensatori Giusnaturalisti è che essi hanno trasposto nella loro concezione di Stato di Natura ( qualunque essa sia) i caratteri dell'umanità civilizzata. Rousseau non crede in un'umanità costantemente eguale a sé stessa e di una regola di giustizia immutabile nel tempo infatti si propone di discernere tra ciò che è artificiale e ciò che è originario all'interno dell'animo umano per cercare di individuare correttamente il reale Stato di Natura. L'uomo di Natura. L'uomo naturale vive isolato, senza contatto coi suoi simili e senza neppure sapere riconoscere la comune appartenenza alla sua stessa specie. L'Homme Physique è amorale, o pre morale, è si contraddistingue per un istinto all'autoconservazione, per la capacità di condividere le sofferenze con i propri simili, e sopratutto, per la capacità di libero arbitrio. Da questi principi derivano le leggi del diritto naturale, il quale non è che l'altra faccia della bontà dell'uomo; il diritto naturale che deriva dalla ragione ( il diritto del giusnaturalismo) non può essere antecedente alla costruzione della civiltà. Nel passaggio da stato di natura a stato civile i diritti si modificano e passano da bontà e istinto a giustizia e ragione. Il contratto sociale trasforma tramite l'impiego della ragione i diritti naturali. Evoluzione dell'umanità. Le tappe compiute dall'umanità nel corso della storia non sono frutto della fatalità o della provvidenza divina ma sono una conseguenza della perfettibilità dell'uomo che lo rende capace di migliorarsi o di corrompersi. È proprio questa capacità dell'uomo di concorrere direttamente alle proprie scelte che causa il passaggio dall'iniziale eguaglianza alla diseguaglianza della società civilizzata. Rousseau ripercorre all'interno di un esercizio mentale il percorso dell'uomo dallo stato di Natura alla società civilizzata. Il cammino comincia quando dall'iniziale isolamento si passa attraverso la “prima rivoluzione” alla formazione delle famiglie, successivamente, con la seconda rivoluzione, inizia la divisione dei compiti lavorativi che è contemporanea allo sviluppo dell'agricoltura e della metallurgia. La coltivazione delle terre è seguita dalla loro spartizione e quindi il loro impossessamento. Uscita dallo Stato di Natura. L'iniziale diseguaglianza, attraverso il processo di accumulazione delle ricchezze, si consolida in diseguaglianza morale e politica. Il patto stipulato a spese dei più deboli diventa il motivo dell'incessante stato di guerra che attanaglia l'umanità, questo vuol dire che essa è connaturata alla società civile e non allo stato di natura. Il Contratto è, al contrario di quanto creda la tradizione giusnaturalista, generato dalle relazioni sociali e dalla società civile: gli uomini abbandonando il loro primitivo isolamento si sono costituiti società e in virtù di questo si è reso necessario il patto. La società ingiusta che si crea è perciò percorsa da un sentimento di inimicizia, questo fa si che gli individui per cercare sicurezza e tranquillità si sottomettano ad un'autorità comune che regoli la pace e scongiuri il conflitto. Nasce così la società civile, ma il patto su cui si fonda è appunto un patto ingiusto in quanto rappresenta la legittimazione giuridica della Rapina operata dai ricchi a spese dei poveri. Sono proprio i ricchi che temono più degli altri la guerra in quanto questa potrebbe essere la causa della loro rovina e sono sempre loro i promotori del patto. Critica allo Stato. La ratifica del patto non è altro che lo Stadio preliminare per la costituzione dell'istituto che più di tutti rappresenta lo sfruttamento e il sopruso, ovvero lo Stato, il quale non fa altro che incrementare il processo di corruzione dell'umanità. Tale processo si sviluppa in 3 fasi: 1. la fondazione delle legge e del diritto di proprietà ( legittimazione ricchi e poveri). 2. Istituzione della magistratura ( distinzione tra potenti e deboli). 3. Trasformazione potere legittimo in potere arbitrario ( distinzione tra padrone e schiavo). L'ultimo stadio afferma lo ristabilirsi della legge del più forte, e quindi di un nuovo stato di natura degenerato. In pratica Rousseau vede nella società pattizia di ispirazione giusnaturalista un tentativo di legittimazione di dinamiche di competizione e sfruttamento. Rousseau oppone a questo cattivo percorso di uscita dallo Stato di Natura, uno invece positivo che si fonda sulla volontà generale. Il contratto il contratto sociale. Preliminare è il concetto di volontà generale che rappresenta il solo fondamento possibile per uno stato fondato sull'equità. Il patto pensato da Rousseau è un patto di associazione che si distingue dal patto di sottomissione e dal patto di Unione in quanto non prevede alcuna forma di alienazione delle libertà politiche, anzi si propone come obbiettivo quello della disalienazione dell'uomo, e non genera un istituto di sovranità ma da forma ad una comunità. Questo perché il patto serve a Rousseau non per eliminare lo Stato di Natura ma per correggere il corso corrotto degli eventi storici, i quali hanno tolto pienezza e integrità all'uomo; in questo senso la disalienazione può avvenire solo attraverso l'alienazione totale dell'uomo al tutto di cui esso stesso fa parte. Sovranità del corpo politico. Rousseau non ritiene rappresentabile la sovranità, che è anzi un Tutto omogeneo capace di esercitare la propria potenza senza un forma istituzionale determinata. L'atto di generalizzazione della volontà non è ne unico ne irripetibile, ma è un presupposto che va continuamente rinnovato. Rousseau pensa quindi ad una forma di associazione che generi un corpo politico a cui obbedire senza che gli uomini si privino delle proprie libertà; tale forma è una comunità che unisca in unico corpo gli individui, un corpo che assommi le forze comuni, ma comunque un corpo che non si è fatto terzo dall'individuo e un corpo quindi in cui esso possa ancora riconoscere la propria volontà. Quindi condizione essenziale del patto è l'alienazione totale dell'individuo nella comunità, in questo modo egli cessa di esistere come unità singola ma si rigenera in parte indivisibile del tutto ritrovando così sé stesso: gli individui cedono alla comunità i propri diritti presociali per vedere tutelata la propria libertà, l'uguaglianza, e la sicurezza. Il corpo morale che si è costituito ha una propria volontà e una propria vita e viene definito Repubblica o Corpo politico. Libertà e obbligo politico. Obbedire alla volontà generale del corpo politico non vuol dire altro che obbedire alla propria volontà in quanto membri di tale corpo. L'alienazione totale dell'individuo nella comunità non vuol dire la soppressione dei diritti naturali ma la loro trasformazione in diritti civili.