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Manuale di Storia Romana Geraci- Marcone, Dispense di Storia Romana

riassunto dettagliatissimo del manuale, stilato sulla base degli argomenti cardine trattati dalla professoressa a lezione.

Tipologia: Dispense

2019/2020

Caricato il 02/04/2020

costantina-manes
costantina-manes 🇮🇹

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Scarica Manuale di Storia Romana Geraci- Marcone e più Dispense in PDF di Storia Romana solo su Docsity! STORIA ROMANA GERACI-MARCONE Cap.1: I POPOLI DELL’ITALIA ANTICA E LE ORIGINI DI ROMA PROBLEMA DEI LIMITI CRONOLOGICI Due date limite: 21 APRILE 753 a.C. fondazione di Roma (data varroniana) (punto di partenza) 476 d.C. deposizione di Romolo Augustolo, ultimo imperatore d’Occidente. (punto di arrivo) *guarda appunti: problemi dell’anno di fondazione e limite finale Si tratta di due date convenzionali, discutibili in effetti assai contestate e discusse dagli storici. La soluzione del problema sta in una riflessione, nonché in un dato di fatto: Roma non può essere nata in un giorno, ma è il risultato di un processo lento e graduale di sinecismo tra i diversi villaggi che sorgevano sui sette colli(riunione di nuclei abitati sparsi ancora privi di caratteristiche urbane, ovvero villaggi latini, sabini e d etruschi); la formazione di una comunità politica organizzata nell’area di Roma avvenne in anni non molto lontani da quelli indicati dalla tradizione Varroniana. Quest’ultimo dato si ricava da rinvenimenti archeologici, tuttavia non databili con precisione assoluta, ma collocabili tra l’VIII e il VII secolo a.C. Nell’VII secolo il villaggio del Palatino, che la tradizione conosceva come il nucleo originario romuleo, di Roma, si sarebbe dotato, secondo l’ipotesi di Andrea Carandini, di un poderoso muro di cinta. Alla metà del VII secolo a.C.: l’area del Foro, precedentemente occupata da un sepolcreto e poi da capanne venne parzialmente pavimentata: un primo segno dell’impiego della valle del Foro come luogo pubblico, comune a tutta la cittadinanza degli ordinari villaggi. Alla fine del VII sec a.C. è stato costruito un primo edificio dell’area della Regia. In età storica la regia sarà sede di sacerdoti della Repubblica, ma il nome e le tradizioni antiche la connettono originariamente alla sede di un Rex. In questi stessi anni sembra organizzarsi una prima forma del culto di Vesta, ossia il culto del focolare pubblico, il che presuppone l’esistenza di una comunità. Alla fine del VII secolo la pavimentazione del Foro viene estesa all’area del Comitium, dove in età storica si terranno le assemblee popolari; nella stessa area sorge un edificio, dove poi sarà la curia, sede del Senato. La stessa problematica riguardante la data ‘ufficiale’ di inizio della storia romana si presenta anche per la sua fine: i limiti cronologici conclusivi sono piuttosto sfumati. La data del 476, vede la deposizione di Romolo Augustolo, figlio di Oreste (barbaro patricius) da parte di Odoacre che compì un gesto ‘epocale’, non nominando un imperatore fantoccio, nonché successore dell’Impero Romano d’Occidente, come era di consuetudine ma riconoscendo come unica autorità Zenone, imperatore d’Oriente. Odoacre viene riconosciuto dal Senato ‘rex Italiae’- governa il territorio italiano come ‘rex gentium barbarum’ - a questo punto Zenone invia in Italia il re degli Ostrogoti Teodorico, con il compito di eliminare Odoacre. Sconfitto inizia il regno ostrogotico d’Italia (493 a.C.). Questi episodi devono essere considerati periodizzanti? Gli studiosi di oggi hanno individuato una continuità tra Odoacre e i re Ostrogoti, almeno fino alla riconquista di Giustiniano che ricostruisce una compagine occidentale, le strutture economiche- sociali, politiche ed istituzionali che rimangono invariate fino all’arrivo dei Longobardi (568 a.C.). Altri ne individuano la fine addirittura con Carlo Magno e l’avvento del Sacro Romano Impero Germanico. Persino, gli studiosi del IV secolo, come Malco di Filadelfia, non vedono la caduta di Romolo Augustolo come un elemento periodizzante nella loro narrazione ma il risultato di un periodo di trasformazione, definita tarda antichità. L’impero rafforza sempre di più l’autorità centrale e accentua il suo potere tramite la formazione di autocrazie- fenomeni proto feudali vedono prevalere alcuni ceti sociali su altri, in particolare i proprietari terrieri (possessores) sui piccoli contadini (servi della gleba). La storia romana si divide in 3 periodi:  età monarchica o regia (dal 754-53 a.C. al 509 a.C.);  età repubblicana (dal 509 a.C. al 27/23 a.C.);  età imperiale (dal 23 a.C. al V secolo d.C.). AMBIGUITA’ DEI LIMITI GEOGRAFICI Di norma l’ambito geografico della storia romana si espande con l’espandersi del dominio di Roma, prima al Lazio, poi all’Italia, poi all’area mediterranea e oltre. Al momento della sua massima espansione (Traiano) l’impero andava dalla Britannia al Sahara, dalle coste dell’Atlantico alla Mesopotamia con una pluralità di situazioni locali. Si trattava del più grande impero dell’antichità con 6,5 milioni di Kmq. (vedi cartina) Il mondo di Roma è stato definito allo stesso tempo UNO, DUPLICE E MOLTEPLICE UNO: perché ne furono elementi unificanti l’amministrazione, la cittadinanza, l’esercito, il diritto. DUPLICE: perché questo mondo fu sì romano, ma di certo non esclusivamente latino: il greco rimase sempre, dal punto di vista linguistico e culturale, il modo di espressione principale. MOLTEPLICE: perché in questo mondo Roma talvolta compose in unità, ma più spesso lasciò convivere e sopravvivere un mosaico molto vario di cittadinanze, di particolarità locali di condizioni politiche, sociali e personali, che per la maggior parte si limitò a classificare secondo i propri schemi giuridici e concettuali e che transitarono, sotto il comune denominatore della romanità, oltre la fine del dominio di Roma. PROBLEMA DEI LIMITI TEMATICI La storia romana risente ancora della storiografia classica, in particolare dell’eredità tucididea, piuttosto che erodotea; si occupa infatti prevalentemente delle vicende di politica interna ed estera dello stato romano: le forme di governo, il confronto politico interno tra gruppi e individualità, i rapporti tra lo stato romano e gli stranieri di natura militare o diplomatica. Vi è stato un tempo in cui le grandi vicende politiche, militari e culturali sono state sentite come l’unico oggetto degno della storia, mentre le altre discipline, in particolare quelle che si occupavano dello studio delle fonti erano definite ‘ancillari o ausiliarie’ (in latino ancilla significa ‘schiava’- rapporto di subordinazione) della disciplina regina. Una visione che oggi è senza dubbio tramontata. Rilevante due magistrati eletti annualmente, chiamati ‘zilath’. Queste città, politicamente divise, si riunivano in federazioni per motivi religiosi, l’unica forma di aggregazione che ci è nota è la lega delle dodici città (Veio, Cere, Tarquinia, Vulci, Chiusi, Perugia, Arezzo, Fiesole, Volterra, Vetulonia, Rosselle). Avevano una struttura economica semplice; costituivano società basate sull’agricoltura ma fortemente aristocratiche (erano soprattutto proprietari terrieri); gerarchicamente vi erano gli schiavi, poi i semiliberi ed infine i liberi (grandi proprietari e commercianti). Gli Etruschi furono aperti ad ogni stimolo ed influsso culturale che provenisse dal mondo greco; l’unico punto in cui difendevano le loro tradizioni fu l’ambito religioso. Nella religiosità etrusca aveva un’importanza particolare la concezione dell’aldilà: il defunto era immaginato continuare la propria esistenza nella tomba, all’interno della quale venivano posti cibo, bevande e i simboli del suo status sociale. Agli Etruschi premeva molto la corretta interpretazione dei segni della volontà divina visibili in terra: portarono avanti l’aruspicina, pratica divinatoria che serviva per conoscere la volontà degli dei attraverso l'esame delle viscere degli animali sacrificati. I siti delle città etrusche hanno lasciato numerose testimonianze, basti pensare a città come Volterra, Vetulonia o più semplicemente alle necropoli- costruite in pietra o scavate nel tufo con varie strutture: a pozzo, a fossa o a camera-. Le ultime erano costruite come veri e propri appartamenti, fornite di numerosi ambienti, celle, corridoi e nicchie affrescate, con copertura a volta. Gli Etruschi furono anche abili artigiani, esperti nella lavorazione della ceramica, dell’argilla, del rame (toccarono quasi una produzione ‘industriale’), del bronzo per gli oggetti di oreficeria o utili all’agricoltura. L’origine di Roma è legata agli Etruschi. ORIGINI DI ROMA A tal proposito abbiamo fonti letterarie ed archeologiche; le prime cadono per lo più nella leggenda e sono di origine greca e latina. LATINE: TITO LIVIO, scrisse una grande storia di Roma dalla sua fondazione in 142 libri ‘Ab Urbe condita’ . Il primo libro è dedicato alla Roma monarchica, ma lo scrittore stesso si rende conto della fragilità delle basi su cui poggiava la sua ricostruzione almeno fino all’incendio della città da parte dei Galli (390 a.C.). GRECHE: fanno discendere Roma dai Greci: lo storico greco DIONIGI DI ALICARNASSO (attivo a Roma in età augustea) scrive le “ANTICHITA' ROMANE” in 20 libri che coprivano il periodo che andava dalla fondazione di Roma allo scoppio della prima guerra punica (264 a.C.); il suo scopo è quello di dimostrare che i Romani fossero una popolazione di origine ellenica, formatasi dalla fusione di successive ondate migratorie provenienti dalla Grecia. Ellanico di Lesbo, nel V – IV secolo, in particolare sosterrà l’origine direttamente da Enea (a differenza della versione canonica che fa di Enea solo il progenitore del fondatore Romolo) e Ulisse (un’incertezza sul ruolo di Ulisse deriva dalle varianti della tradizione manoscritta che nel passaggio chiave riportano ‘metà Odissèa’- interpretabile come con o dopo). La leggenda indigena, invece, fa discendere Roma da Romolo e Remo (figli di Marte e Rea Silvia), i quali vissero nell’VIII secolo. Enea è invece del XII! Come far quadrare i conti: gli storici latini hanno colmato questa differenza di secoli aggiungendo 30 re tra Enea e Romolo e Remo. Enea fuggì da Troia col padre e sbarcò col figlio in Africa, a Cartagine; da lì spinto dal fato si diresse verso Roma, dove sposò Lavinia, figlia del re latino; il figlio Ascanio Iulo, invece, fonderà Albalonga; da qui discendono i 30 re. L’ultimo è Numitore, spodestato dal fratello Amulio, che fa rinchiudere come vestale la nipote Rea Silvia, affinché questa non desse eredi ma il dio Marte la rese gravida e partorì due gemelli, Romolo e Remo. La realtà è quella che si evince dall’archeologia. Quando Roma nacque, nell’VIII secolo, la grande città non esisteva ancora; si trattava di villaggi sparsi, ripidi e scoscesi in valli malsane. Le genti vivevano sparse tra i monti; il nucleo di aggregazione dei villaggi era costituito dall’isola Tiberina, unico guado possibile sul Tevere, dove avvenivano gli scambi commerciali tra il Tirreno e l’Adriatico oltre al Palatino. Questa posizione era determinante: lì si coagularono due aree differenti etnicamente: la zona etrusca e il Lazio antico (Latium vetus) che formavano regione molto più piccola di quella del Lazio attuale. La nascita della città si deve ipotizzare come il risultato di un processo formativo lento e graduale. Sembra improbabile che Roma abbia preso il nome da un fondatore Romolo, è più probabile il contrario, cioè che l’esistenza di una città chiamata Roma fece immaginare che fosse fondata da Romolo, l’eroe eponimo. L’origine del nome Roma? Tra le possibilità c’è quella che derivi dalla parola ‘ruma’, nel senso di collina oppure da ‘Rumon’, il termine arcaico che designava il fiume Tevere. Dal 753-anno della fondazione di ROMA-al 509 a.C. – anno dell'instaurazione della REPUBBLICA-su Roma avrebbero regnato 7 re: dopo ROMOLO il fondatore, a cui viene attribuita la creazione delle prime istituzioni politiche, abbiamo NUMA POMPILIO, (di provenienza sabina) per i primi istituti religiosi TULLIO OSTLIO, campagne militari di conquista (tra cui la distruzione di Alba Longa) ANCO MARCIO, fondazione della colonia di Ostia alle foci del Tevere TARQUINIO PRISCO, (nato da un padre di provenienza corinzia, Demarato, e da una madre tarquiniense aristocratica; alla morte del padre ne eredita le ingenti ricchezze ma la sua origine straniera gli impedisce di accedere al governo della città. Da Tarquinia si trasferisce a Roma guadagnandosi il favore di Anco Marzio, cambiò il suo nome originario, Lucumone, in Tarquinio e alla morte del re venne eletto suo successore.) importanti opere pubbliche SERVIO TULLIO, (in etrusco si chiamava Mastarna, era figlio della schiava Ocresia e di un certo Tullio, caro alla moglie del re, Tanaquilla; fu educato infatti a corte e quando Tarquinio venne assassinato dai figli di Anco Marzio, assunse i poteri regi senza che la successione fosse pienamente legittimata) costruzione delle prime mura, dette “serviane” e istituzione dei comizi centuriati e di quattro tribù territoriali, dette poi urbane per distinguerle da quelle extracittadine dette rustiche. TARQUINIO IL SUPERBO, tratti tipici del tiranno, promotore di una politica espansionistica fu inviso al popolo. Dei primi re di Roma non abbiamo notizie storiche; gli ultimi 3 (Tarquinio Prisco, Servio Tullio, Tarquinio il Superbo) sono personaggi storici la cui veridicità è accertata. Questi sono re etruschi, che si pensa abbiano significato il dominio degli etruschi su Roma. La loro fine probabilmente è da attribuire ad una congiura capeggiata da Publio Valerio, detto “Publicola”, detto sostenitore del popolo, che avrebbe instaurato il regime repubblicano. Senza dubbio d’altra parte, la crescita della potenza romana nel secolo dei Tarquini sarebbe stata rilevante e Roma già in questo periodo era la città più estesa del Lazio. Il problema principale di questa prima fase della storia è l’attendibilità di fondo delle fonti:  opere storiche, andate perdute e precedenti a Livio e Dionigi  la tradizione familiare  la tradizione orale, soggetta però a forti distorsioni  i documenti d’archivio Nell’isola Tiberina gli Etruschi avevano la loro base economica e il potere politico che presero sembrava essere la conclusione logica della loro superiorità (cioè senza combattere). Quando gli Etruschi penetrano a Roma, importano il loro modo di pensare, di fare, il loro stile di vita, risanarono il territorio, crearono il foro, gli acquedotti, le strade. Si può dire che la città sorse con loro! Gli scavi condotti sulle pendici del Palatino (1998) hanno portato alla luce i resti di una palizzata, forse il pomerio, e più a valle di un muro arcaico in scaglie di tufo databile all' VIII secolo a.C. largo circa 1.20, probabilmente il muro di Romolo (ipotesi dello storico Andrea Carandini). Il racconto tradizionale allora sarebbe confermato: nella fondazione di una città importanza fondamentale dal punto di vista religioso era data al POMERIO, la linea sacra che ne delimitava il perimetro in corrispondenza con le mura; ma non sempre coincideva con esse in quanto era tracciato con l’aratro secondo la procedura religiosa mentre le mura rispondevano ad esigenze di difesa in rapporto al territorio. L’area del pomerio era delimitata da cippi infissi nel terreno a seguito di una cerimonia presieduta dal pontefice massimo e in caso di ampliamento i ceppi vecchi venivano conservati. Alla#base#dell’organizzazio ne#sociale#dei#Latini#ci#f u#una#struttura#in#famigli e,#alla#cui#testa#stava#il #pater,#che# aveva#il#potere#assoluto# su#tutti#i#suoi#component i.#Tutte#le#famiglie#che#r iconoscevano#di#avere#un #antenato# lex de imperio che conferiva il potere al magistrato eletto.) Eguale incertezza regna a proposito delle tribù, la cui creazione viene attribuita allo stesso Romolo. Esse originariamente erano tre: Titienses (forse di origine sabina, legata a Tito Tazio), Ramnes e Luceres. In epoca relativamente tarda, lo stato romano si organizzò più rigidamente: ogni tribù fu divisa in dieci curie e da ogni tribù furono scelti 100 senatori, ognuna era tenuta a fornire un contingente di cento cavalieri e mille fanti. Lo stato era una monarchia elettiva, dunque l’elezione del re era demandata all’assemblea dei rappresentanti delle famiglie più in vista. Il re doveva essere affiancato nelle sue funzioni da un consiglio di anziani, i patres, che rappresentavano il nucleo di quello che poi sarebbe stato il Senato. Della realtà storica di una fase monarchica a Roma, rimangono due testimonianze: l’esistenza di un rex sacrorum che aveva il compito di dare realizzazione ai riti prima eseguiti dal re e l’esistenza di un interrex, ovvero il magistrato che subentrava in caso di indisponibilità di entrambi i consoli. Il re era anche il supremo capo religioso e nella celebrazione del culto veniva affiancato dai collegi di sacerdoti. Il dubbio regna anche sull’origine sociale che è alla base di Roma arcaica e che rimarrà viva per quasi tutta la storia della Repubblica, quella tra patrizi e plebei. Per la tradizione i patrizi erano semplicemente i discendenti dei primi senatori (i patres), la cui nomina si faceva risalire a Romolo, e probabilmente i plebei, i clienti dei patrizi. Un’altra interpretazione riconosce nei patrizi gli abitanti del Palatino e nei plebei i Sabini insediati sul Quirinale ed entrati a far parte della comunità civica in una situazione di inferiorità. Un’ ulteriore ipotesi tra le più accreditate mette in primo piano il fattore economico: i patrizi sarebbero i grandi proprietari terrieri, i plebei corrisponderebbero alla classe degli artigiani e dei ceti emergenti economicamente. Nessuna di queste teorie è tuttavia pienamente soddisfacente, certo è che la differenziazione tra patrizi e plebei sia il punto di arrivo di un’evoluzione sociale complessa. Essa forse non doveva neppure esistere in età arcaica! Si deve ricordare la ragione del sorgere di Roma su di un’area di frontiera: il Tevere costituiva nell’antichità la linea di demarcazione di due aree con caratteristiche diverse, quella etrusca a nord del fiume e quella propriamente laziale a sud. In un territorio simile l’agricoltura era limitata dalle condizioni poco favorevoli del terreno, cui si aggiungeva la bassa qualità delle tecniche agricole. Varie specie di cereali, in particolare farro e orzo, venivano associate tra loro con leguminose come la veccia, in quella che i Latini chiamavano farrago: lo scopo era quello di assicurare un minimo di sopravvivenza rispetto ad eventuali calamità atmosferiche. Il passaggio dal nomadismo pastorale, con una transumanza disorganizzata ad un regolare trasferimento di bestiame in altura con modalità e spazi definiti fanno sì che si possa parlare per Roma di un contesto economico nel quale agricoltura e allevamento sono compresenti e interdipendenti. Le due attività dovevano essere infatti complementari: il bestiame serviva a produrre il concime indispensabile per il terreno nel periodo in cui essi non erano lavorati e gli animali da tiro servivano per aiutare l’uomo nel lavoro. Cap.2: LA REPUBBLICA DI ROMA DALLE ORIGINI AI GRACCHI Secondo la storiografia antica (Tito Livio e Dionigi di Alicarnasso) la Repubblica a Roma sarebbe nata dal momento che Sesto Tarquinio, figlio dell’ultimo re di Roma, respinto dall’aristocratica Lucrezia, violenta la giovane. Quest’ultima prima di suicidarsi, narra il misfatto al padre, al marito e ai loro amici, Lucio Licinio Bruto e Publio Valerio Publicola. Guidati da questi aristocratici scoppia una rivolta che porta alla caduta della monarchia, un evento canonicamente fissato al 510 a.C. Tarquinio non è in grado di rispondere con prontezza e nell’anno successivo, 509 a.C., i poteri del re passano a due magistrati eletti dal popolo, i consoli, uno dei quali è lo stesso Bruto. Ciò non significa che alla caduta dei Tarquini si sia subito instaurato un regime repubblicano nelle forme che appaiono canoniche. Alcuni elementi lasciano pensare piuttosto ad una fase, breve e confusa in cui la città appare in balia di re e condottieri, come Porsenna di Chiusi, Mastarna o i fratelli Vibenna. Già gli antichi avevano fissato una curiosa coincidenza tra la storia di Roma e quella di Atene: il 510 è anche l’anno in cui il tirano Ippia dei Pisistratidi, venne cacciato dalla città. Il sospetto che la cronologia della caduta dei Tarquini sia stata adattata per creare un parallelismo con le vicende della polis greca non è illegittimo; per questo molti storici hanno proposto di collocare la nascita della Repubblica qualche decennio più tardi, intorno al 470-450 a.C. Altri elementi tuttavia inducono a ritenere che la datazione tradizionale, seppure non esatta nell’anno non sia lontana dalla verità: l’odio feroce che l’aristocrazia romana dimostrò in tutto il corso dell’età repubblicana contro l’istituto monarchico sembra indicare che il mutamento di regime non sia avvenuto in modo graduale ma sia stato il risultato di un evento traumatico, una vera e propria rivoluzione da parte del patriziato romano verso quella che era diventata a tutti gli effetti un’autocrazia. A sostegno della datazione tradizionale vi una singolare cerimonia ricordata a Livio- secondo lo storico, una legge scritta in caratteri arcaici prescriveva che il massimo magistrato della Repubblica infliggesse un chiodo nel tempio di Giove Capitolino, ogni anno alle idi di settembre. Lo scopo del rito doveva essere apotropaico ma la notizia qui interessa il fatto che l’edificio sia stato inaugurato proprio il primo anno della Repubblica e il numero di chiodi conficcati rappresenterebbe un riferimento di cronologia assoluta. Cosi accadde forse quando l’edile Cneo Flavio nel 304 a.C. nell’inaugurare il tempio di Concordia potè datare l’evento duecentoquattro anni dopo la consacrazione del Capitolino, riportandoci quindi al 508 a.C. I FASTI Rappresentano le liste dei magistrati eponimi della Repubblica, di quelli che davano il nome all’anno in corso secondo il computo tradizionale dei Romani. Essi ci sono giunti sia attraverso la tradizione letteraria, con Livio e Diodoro Siculo, sia attraverso altri documenti epigrafici, i Fasti Capitolini, all’interno dei quali trova riflesso una cronologia elaborata negli ultimi anni della res publica dall’erudito Marco Terenzio Varrone (perciò spesso chiamata varroniana) che fissava la fondazione di Roma al 753 a.C. e il primo anno della Repubblica al 509 a.C. Nonostante qualche sfasatura con le altre cronologie per gli avvenimenti del V e IV secolo a.C. le datazioni varroniane assunsero sin dall’antichità un valore quasi canonico, e per ragioni di praticità costituiscono oggi l’ossatura cronologica del periodo repubblicano. MAGISTRATURE E ASSEMBLEE Sappiamo quali furono i punti fermi delle magistrature e assemblee, le conosciamo non dalle fonti letterarie ma dalle fonti epigrafiche che ci forniscono testimonianze sul “CURSUS ONORUM “ ( cioè il percorso, l’insieme degli uffici pubblici che gli aspiranti politici hanno ricoperto, le cariche indispensabili per raggiungere la magistratura più alta). La tradizione storiografica antica è concorde nell’affermare che i poteri un tempo propri del re sarebbero passati in blocco a due consules o praetores, come secondo Livio si sarebbero chiamati i magistrati della Repubblica. Essi erano:  eletti dai comizi centuriati  avevano il comando dell’esercito  mantenimento dell’ordine cittadino  esercizio della giurisdizione civile e criminale  potere di convocare il senato e le assemblee popolari  censimento  compilazione delle liste dei senatori Solo alcune competenze religiose dei precedenti monarchi non sarebbero state trasferite ai consoli ma ad un sacerdote, il rex sacrorum, che non poteva rivestire alcuna carica di natura politica. Nella sfera religiosa spettò ai consoli solo il controllo degli auspici, cioè il potere di interpretare la volontà degli dei riguardo le scelte più importanti della vita pubblica. I poteri autocratici di cui erano dotati i consoli erano tuttavia sottoposti ad alcune importanti limitazioni, che del resto caratterizzarono tutte le magistrature ordinarie dello Stato Romano, ovvero il fatto di essere: 1) ANNUALI: nel senso che i magistrati duravano in carica soltanto un anno, finito il quale spesso, ma non sempre, entrano a far parte del Senato (organo a vita); 2) COLLEGIALI: i magistrati non potevano essere meno di due e con eguali poteri (l’uno, nel caso in cui non fosse stato d’accordo con l’altro collega, poteva opporre il veto) 3) GRATUITE: il loro lavoro era prestato gratuitamente, dovevano affrontare le campagne elettorali a loro spese (essendo gratuite si pensava che non vi sarebbero stati altri interessi in gioco). Un’ulteriore restrizione era costituita dalla possibilità per ogni cittadino di appellarsi al giudizio dell’assemblea popolare contro le condanne capitali inflitte dal console: si tratta della provocatio ad popolum, la cui istituzione viene fatta risalire alla legge Valeria promulgata da Publicola, il primo anno della Repubblica. In realtà la versione tradizionale sulla massima magistratura repubblicana è stata messa in dubbio da alcuni studiosi, i quali ritengono che almeno in una prima fase, i poteri del re siano stati trasferiti ad un solo magistrato; solo con il Decemvirato (450 a.C.) o addirittura con le leggi Licinie Sestie (367 a.C.) sarebbe stata creata la magistratura collegiale del consolato. La più importante prova di questo argomento è la cerimonia di infissione del chiodo nel tempio di Giove Capitolino ad opera del praetor maximus- il singolare alluderebbe alla presenza di un console dotato di supremi poteri. In caso di necessità i supremi poteri della Repubblica potevano essere affidati ad un dittatore (magistrato eccezionale) che:  veniva nominato a propria discrezione da un console, un pretore o interrex, su istruzione del Senato.  non era affiancato da colleghi con eguali poteri ma assistito da un magister equitum (comandante della cavalleria)  la dittatura aveva durata di 6 mesi  la nomina spesso era la conseguenza necessaria a fronteggiare crisi militari (il suo nome originario era magister populi dove con populus si intende il popolo in armi, dunque l’esercito). Altre magistrature, create per sollevare i consoli da alcune delle loro competenze sono: 1) la CENSURA: i censori (erano 2) servirono inizialmente a censire la popolazione; la carica durava diciotto mesi, e veniva rinnovata ogni cinque anni a discrezione dei raccolto provocarono gravi carestie; la popolazione indebolita dalla fame venne ripetutamente colpita da epidemie. La parte maggiormente colpita fu quella dei piccoli agricoltori che si trovarono costretti ad indebitarsi nei confronti dei più ricchi proprietari terrieri – accadeva spesso che il debitore, incapace di estinguere il proprio debito, fosse costretto a porsi al servizio del creditore per ripagarlo del prestito e dei forti interessi maturati; era l’istituto del nexum, che riduceva coloro che ne erano vincolati ad una condizione non dissimile a quella degli schiavi dal momento che il debitore insolvente poteva sia essere venduto in terra straniera che essere messo a morte. Davanti ad una simile crisi economica le richieste della plebe riguardavano una mitigazione delle norme sui debiti e una più equa distribuzione dei terreni di proprietà dello stato (l'ager publicus). Gli strati più ricchi della plebe erano meno interessati dalla crisi: essi rivendicavano soprattutto una parificazione dei diritti politici con i Patrizi (volevano raggiungere, quindi, le magistrature, soprattutto il Consolato, che era la meta più ambita) e un codice scritto di leggi, al riparo da applicazioni ordinarie. Tutto questo finì col far esplodere la rivolta. Così, agli inizi del V secolo (494 a.C.) la plebe, esasperata dalla crisi economica, ricorse ad una sorta di sciopero generale che lasciò la città priva della sua forza lavoro e soprattutto indifesa dalle aggressioni esterne: la plebe si ritirò sul Monte sacro o forse sull’Aventino dove vi fu una secessione, allo scopo di non prendere più parte alla vita di Roma. In occasione della prima secessione la plebe si diede propri organismi, in particolare un'assemblea generale, ‘concilia plebis tributa’: essa poteva emanare provvedimenti che venivano chiamati plebiscita (decisioni della plebe). I rappresentanti ed esecutori della volontà dell'assemblea erano i tribuni della plebe (inizialmente 2, poi 10) ai quali furono riconosciuti diversi poteri:  il diritto di venire in soccorso di un cittadino contro l'azione di un magistrato (IUS AUXILII),  il potere di porre il veto ad un qualsiasi provvedimento di un magistrato che andasse contro la plebe (IUS INTERCESSIONIS),  per dare forza concreta ai loro diritti la plebe accordò ai tribuni l'inviolabilità personale(SACROSANTITAS)  avevano il potere di convocare e presiedere l'assemblea della plebe e di sottoporre ad essa le proprie proposte (IUS AGENDI CUM PLEBE). Durante la prima secessione vennero creati altri 2 rappresentanti della plebe, gli EDILI PLEBEI, che nella tarda età repubblicana si occupavano dell'organizzazione dei giochi, della sorveglianza sui mercati, del controllo sulle strade, dei templi e degli edifici pubblici. Il loro nome aediles deriva da ‘aedes’ TEMPIO-CASA; è probabile dunque che gli edili plebei fossero in origine i custodi del tempio di Cerere ,Libero e Libera nel quale venivano conservati i proventi delle multe inflitte a coloro che avevano recato offesa alla plebe. Le lotte tra patrizi e plebei, durarono due secoli e portarono ad un risultato soprattutto politico: il riconoscimento da parte dello Stato a guida patrizia dell’organizzazione interna della plebe, con la sua assemblea e i suoi rappresentanti. Una data importante in questo ‘conflitto’ fu il 451 a.C., anno in cui i romani diedero l’incarico ad un decemvirato legislativo (corpo composto da 10 uomini) di redigere una bozza di leggi scritte (fino ad allora le leggi erano state tramandate oralmente). Il nuovo collegio avrebbe assunto il completo controllo dello Stato e le tradizionali magistrature, in particolare il consolato e il tribunato della plebe vennero sospese per impedire che potessero paralizzare l’azione dei decemviri. Nel corso del primo anno compilarono dieci tavole in legno esposte al Foro ma rimanevano ancora alcuni punti da trattare così nel 450 a.C. una nuova commissione formata da 5 patrizi e 5 plebei, completò l’opera con la compilazione di altre due tavole. Nacquero le leggi delle 12 tavole, nonché il primo codice legislativo di Roma. (in esse è ravvisabile un’influenza del diritto greco, in particolare della legislazione di Solone). Citiamone alcune:  la legge sui debiti, per un debito riconosciuto, una volta emessa sentenza regolare, il termine di legge sarà di trenta giorni. Dopo ciò, ci sia l'imposizione della mano (manus iniectio) e il debitore sia trascinato in giudizio. Se il debitore non paga la condanna e nessuno garantisce per lui, il creditore può portare via con sé il convenuto in catene. Lo può legare con pesi di almeno 15 libbre. Il debitore può sfamarsi come desidera. Se egli non riesce a sfamarsi da solo, il creditore deve dargli una libbra di grano al giorno. Al terzo giorno di mercato, (i creditori) possono tagliare i pezzi. Se prendono più di quanto gli spetti, non sarà un illecito. Nei confronti dello straniero, è perpetuo l'obbligo di garantire la proprietà della merce.  la legge del taglione, secondo cui chi arrecava un danno e non poteva risarcire, avrebbe ricevuto lo stesso trattamento;  legge sul divieto di connubio tra patrizi e plebei; ma la pratica di matrimoni tra le due parti era così diffusa, che questa legge risultò superata (sarà eliminata nel 445-LEX CANULEIA). La commissione, sotto la spinta del suo membro più influente, Appio Claudio, cercò di prorogare indefinitamente i propri poteri assoluti ma il tentativo si scontrò con l’opposizione della plebe e dei membri più moderati del patriziato, guidati da Marco Orazio e Lucio Valerio. Seguì una seconda secessione (449 a.C.), durante la quale i decemviri furono costretti a deporre i poteri. Il consolato è ripristinato e M.O e L.V. fanno approvare un pacchetto di leggi in cui si ribadisce l’inviolabilità dei rappresentanti della plebe, si proibisce la creazione di magistrature contro le quali non valesse il diritto di appello e si rendono i plebisciti vincolanti per l’intera cittadinanza- leggi Valerie Orazie, 449. Sarà solo la lex Ortensia (287 a.C.) ad ufficializzare definitivamente il valore collettivo dei plebisciti, ad equiparare le leggi in essi votate a quelle dei comizi centuriati e tributi, e ad accomunare per identico sistema di voto in base alle tribù concilia plebis e comitia tributa. Riconosciuta la legittimità dei matrimoni misti, il sangue delle famiglie plebee poteva legittimamente mescolarsi con quello delle famiglie patrizie: diveniva pertanto difficile escludere un plebeo dal consolato e dagli auspicia. A partire dal 444 a.C. di anno in anno il Senato, vistosi minacciare il monopolio, decise se a capo dello Stato dovessero esserci 2 consoli, con il diritto di prendere gli auspici e provenienti esclusivamente dal patriziato, oppure un certo numero di tribuni militari con poteri consolari (tribuni militum consulari potestate) provenienti dalla plebe, ma impossibilitati a trarre gli auspici. Il nuovo ordinamento rimase in vigore fino al 367 a.C. La promulgazione del primo codice scritto di leggi e l'istituzione della nuova carica dei tribuni militari lasciavano aperti i due problemi, economico e politico. Nel 387 a.C. per rispondere alla fame di terra della plebe indigente, il territorio di Veio e Capena venne suddiviso in piccoli appezzamenti e distribuito ai cittadini romani, con la creazione di ben quattro nuove tribù territoriali. Il provvedimento però non fu sufficiente ad alleviare la crisi così due tribuni della plebe, CAIO LICINIO STOLONE e LUCIO SESTIO LATERANO presentarono un ambizioso pacchetto di riforme riguardanti il problema dei debiti, la distribuzione delle terre di proprietà statale e l'accesso dei plebei al consolato. LE LEGGI LICINIE SESTIE, in un primo momento respinte, furono varate ufficialmente solo nel 367 a.C. da Marco Furio Camillo, eroe della guerra contro Veio e vendicatore del sacco gallico, ora dittatore. Esse prevedevano che:  la massima estensione di terreno di proprietà statale che poteva essere occupata da un privato fosse pari a 500 IUGERI (circa 125 ettari) ;  che gli interessi sulle somme avute in prestito potessero essere detratti dal totale del capitale dovuto  fosse abolito il tribunato militare con poteri consolari e la completa reintegrazione dei consoli alla testa dello Stato, uno dei quali sarebbe dovuto essere sempre plebeo. Perciò dal 367 tra le due figure che copriranno la magistratura consolare una sarà plebea; nel periodo 444-367 a.C. sicuramente i consoli non furono sostituiti ma AFFIANCATI dai tribuni consolari, che li avrebbero assistiti nei loro compiti. Le leggi Licinie-Sestie segnarono la fine della fase più acuta della contrapposizione tra patrizi e plebei. Una forte accelerazione al processo di riforma venne dalla censura di APPIO CLAUDIO CIECO, del 312-311 a.C. che compilando la lista dei senatori incluse anche le persone abbienti che non avevano ancora rivestito una magistratura. Una seconda misura riguardò la composizione delle tribù con lo scopo di favorire la plebe urbana, che costituiva la maggioranza dei votanti: consentiva loro di iscriversi in una qualsiasi delle unità esistenti, mentre in precedenza essi erano obbligati a registrarsi nelle sole quattro tribù urbane con la conseguenza che il loro peso nei comizi tributi era minoritario. Entrambe le riforme caddero. A lui si attribuisce, anche se non direttamente, il censo dei singoli cittadini, fino ad allora calcolato in base ai terreni e al bestiame posseduti, da questo momento valutato anche in base al capitale mobile, in metallo prezioso, consentendo perciò anche a commercianti e artigiani della plebe urbana di vedere il proprio peso economico e politico adeguatamente riconosciuto nei comizi centuriati. All’edile Cneo Flavio, dell’entourage di Appio Claudio Ceco, dobbiamo la divulgazione del calendario contenete la distinzione dei giorni fasti, nei quali si poteva svolgere l’attività giudiziaria e quelli nefasti, nei quali era interdetta ogni attività pubblica (304 a.C.). Da questo momento è possibile parlare non più di patrizi e plebei ma di nobilitas (nuova aristocrazia al potere) formata dalle famiglie plebee più ricche e influenti e dalle stirpi patrizie che meglio avevano saputo adattarsi alla nuova situazione, unite da vincoli familiari, ideali e interessi comuni. L'unica differenza, restava quella legata alla sfera religiosa: le migliori cariche erano in mano ai patrizi che così potevano gestire secondo il loro volere, sfruttando l’interpretazione dei signa divini, la sfera politica e indirettamente culturale; ma con la “Lex Ogulnia “(300 a.C.) anche i plebei ebbero la possibilità di ricoprire le più alte magistrature religiose, quindi il pontificato e il collegio degli àuguri. La lunga gestazione di questo provvedimento mostra il rilievo politico e ideologico che era attribuito a tali figure sacerdotali. LA RELIGIONE ROMANA A Roma è impossibile tracciare una distinzione netta tra cariche religiose e politiche: una medesima persona poteva infatti rivestire contemporaneamente magistratura e sacerdozio e qualunque ‘decisone’ della vita (anche quotidiana) veniva presa sempre dopo aver consultato le divinità: lo scopo era assicurarsi benevolenza e neutralità degli dei (pax deorum). Ogni azione doveva essere, dunque, conforme al ius e fas, rispettivamente cioè al diritto latino e a quello umano. Dei collegi sacerdotali ricordiamo:  collegio dei pontefici, con a capo il pontefice massimo (pontifex maximus) che costituiva la massima autorità religiosa dello Stato. Ai pontefici spettava il controllo sulla tradizione e l’interpretazione delle norme giuridiche, nonché sul calendario. Per tutta la prima e media età repubblicana si diveniva pontifex per cooptazione, (venendo cioè scelti da altri membri del collegio) e a vita.  vestali, di cui facevano parte le fanciulle tra i 6 e i 10 anni; era richiesta la loro purezza dalla dea Vesta e il loro compito era quello di tenere acceso il fuoco della dea (se si contravveniva alla caratteristica della castità, si veniva sepolti);  flamini, che si occupavano di culti e divinità (detti anche minori o maggiori a seconda del tipo di divinità di cui si occupavano); rappresentavano la personificazione terrena del dio stesso, in particolare delle tre supreme divinità della prima Roma repubblicana: Giove ( flamen Dialis), Marte ( flamen Martialis) e Quirino ( flamen Quirinalis). Erano nominati dal collegio dei pontefici. La guerra latina (341-338 a.C.) Gli schieramenti che si fronteggiarono nella guerra furono: o Sanniti alleati con i Romani; o Sidicini e Campani alleati con Lega Latina e Volsci o Romani vincitori L’accordo del 341 portò ad un ribaltamento delle alleanze, costringendo Roma, sostenuta dai Sanniti a fronteggiare i suoi ex alleati Latini, Campani e Sidicini a cui si aggiunsero gli eterni nemici, i Volsci, spinti dalla volontà di staccarsi da un’alleanza con Roma che ricopriva ruolo egemone gli uni e di prendersi una rivincita dopo le sconfitte subite gli altri. L'esito di questa guerra cambiò profondamente i rapporti tra Roma e Latini: la Lega venne disciolta; alcune città che ne avevamo fatto parte vennero incorporate nello stato in qualità di municipi, altre conservarono la propria indipendenza formale e i diritti di connubium, commercium e migratio ma non poterono più intrattenere alcuna relazione con Roma. Lo status di latino perdette la sua connotazione etnica e finì col designare una condizione giuridica in rapporto con i cittadini dell’Urbs a cui dovevano fornire truppe in cambio della possibilità al diritto di voto nelle assemblee popolari di Roma. (pratica he è stata attestata per la prima volta nel 212 a.C.). Le città che avevano osato ribellarsi, come Tivoli e Preneste, divennero delle semplici alleate (socii): pur mantenendo una completa autonomia interna, persero il privilegio dei tre diritti e furono costrette a fornire un certo contingente di truppe in caso di guerra (da mantenere a proprie spese). Al di fuori dell’antico Lazio, Roma attuò la concessione di un parziale forma di cittadinanza romana, la civitas sine suffragio: i titolari erano tenuti a prestare servizio di leva e a pagare il tributum, ma non avevano diritto di voto né potevano essere eletti alle magistrature dello Stato romano; mantennero l’autonomia interna. La seconda (326 a.C-304 a.C.) e la terza guerra sannitica (298 a.C.-290 a.C.) Sciolta la Lega Latina, Roma fondò delle colonie di diritto latino: Cales (nel 334) e Fregelle (nel 328) sul Liri, che i Sanniti consideravano di propria pertinenza. Questo provocò una nuova cisi nei rapporti tra le due potenze. La causa concreta della seconda guerra sannitica è però da ricercar nelle divisioni interne di Napoli, l’ultima città greca della Campania ad essere rimasta indipendente, dove si fronteggiavano le masse popolari favorevoli ai Sanniti e le classi più agiate, filoromane. Vittorie e sconfitte si alternarono, Roma registrò il più umiliante episodio militare, quello delle Forche Caudine (321 a.C.): l'esercito sconfitto dovette sfilare nudo e disarmato fra le schiere nemiche passando sotto un giogo di lance. Seguì una tregua non dichiarata, in cui i Romani modificarono l'ordinamento militare dal momento che lo schieramento a falange si era rivelato inadeguato:  raddoppio delle legioni da 2 a 4, schierate su tre linee (principes, hastati e triarii)  suddivisione della legione in 30 manipoli per rendere più adattabile lo schieramento a qualsiasi genere di terreno  cambio dell’equipaggiamento, uso del giavellotto e dello scudo rettangolare La seconda guerra sannitica riprese nel 316 per concludersi nel 304 a.C. con la vittoria romana a Boviano, uno dei centri maggiori dei Sanniti. Il trattato di alleanza del 354 venne ancora una volta rinnovato e Roma tornò in possesso di Fregelle e Cales. La sconfitta era stata grave ma non aveva indebolito considerevolmente i Sanniti, che insoddisfatti dell'epilogo della guerra, quindi, si allearono con Etruschi, Umbri e Galli della riviera adriatica per avere la rivincita su Roma: scoppiò la terza guerra sannitica. Lo sconto decisivo si ebbe nel 295 al confine tra Marche ed Umbria, Roma prevalse, secondo la leggenda, grazie al sacrificio di Decio Mure, figlio del console Publio, che vota se stesso e l'esercito nemico agli dei in cambio della vittoria. Nonostante questa vittoria, i Sanniti resistono per altri 5 anni, fino al momento in cui, battuti ad Aquilonia sono costretti a chiedere la pace (290 a.C.). Dovettero:  cedere una parte dei loro territori;  sottostare come alleati al predominio politico di Roma. Galli, Etruschi ed Umbri, sono obbligati a sottostare alle condizioni della vincitrice, diventano alleati o socii di Roma, che estende il suo territorio lungo la linea che andava dall’Arno a Rimini (colonia latina nata nel territorio noto come ager Gallicus, 268 a.C). Guerra contro Taranto e Pirro Nel Mezzogiorno d'Italia la situazione era più fluida; le città greche ancora esistenti, erano organizzate in città stato, senza esercito, se non costituito da mercenari che venivano reclutati in caso di bisogno; la città più importante era Taranto, che aveva rapporti commerciali con l’Oriente. Vista la continua inimicizia tra città stato, quella di Turi, minacciata dai Lucani, chiese ed ottenne l’aiuto della città di Roma, sotto il protettorato della quale si sentiva più sicura. Secondo un trattato risalente agli ultimi anni del IV secolo a. C. Roma si era impegnata a non penetrare con le sue navi da guerra nelle acque del golfo di Taranto, tuttavia in seguito alle operazioni di difesa dei Turini, i Romani insediarono una guarnigione nella città e inviarono una flotta davanti alle acque di Taranto. I Tarantini attaccarono le navi romane, affondandone alcune: Roma e Taranto così entrano in guerra! Taranto, non avendo un esercito in grado di fronteggiare l’avamzata romana, richiese l’aiuto di Pirro, re dei Molossi (l'Epiro corrispondeva più o meno alla Grecia nord-occidentale e all'Albania meridionale: si trovava quindi proprio sulla costa adriatica antistante la Puglia), generale stratega, genero di Agatocle, tiranno di Siracusa ed imparentato con le dinastie greche. Pirro aveva un progetto, quello di creare un grande stato greco, che unisse le città greche dell’Italia meridionale e dei sicilioti, attraverso una sorta di crociata in difesa dei greci d’occidente. Dopo essersi procurato il favore di tutte le potenze ellenistiche, nel 280 Pirro sbarcò in Italia con un esercito imponente e 20 elefanti da guerra. Di fronte a tanta forza, Roma si trovò costretta ad arruolare anche i capite censi, fino a quel momento esentati dal servizio militare. Nonostante la superiorità numerica Roma subì una pesante sconfitta ad Eraclea ma l’esercito epirota non sarebbe stato in grado di assediare la città nemica, ben difesa dalle sue mura. Pirro decise di intavolare delle trattative di pace, che però si rivelarono vane. Così rafforzato il suo esercito, avanzò fino al fiume Ofanto, vincendo la battaglia, ma le perdite furono ingenti. Il re dei Molossi aveva vinto due grandi battaglie ma non riusciva a vincere la guerra; Roma sembrava in grado di resistere all’infinito. Per questo motivo l’epirota accolse la domanda di aiuto di Siracusa, non più in grado di sostenere da sola la lotta con i Cartaginesi per il dominio della Sicilia, pensando che questa mossa avrebbe impresso una svolta decisiva anche nella guerra contro Roma. Nello stesso anno, 279 a.C., Roma e Cartagine aveva stretto un’alleanza militare contro il comune nemico: il trattato con i cartaginesi prevedeva la divisione delle sfere di influenza tra Roma e Cartagine (Roma non poteva attraversare il capo Bonne in Tunisia). Dopo aver raggiunto la Sicilia ne è costretto a scappare, l’odio degli abitanti cresceva, nonostante le vittorie, con l’aumentare delle richieste di denaro e uomini. Lasciata perciò la Sicilia, torna in Italia ,dove approfittando dell'assenza del re epirota Roma aveva riconquistato vastissimi territori; durante la traversata venne attaccato da una flotta cartaginese e nel 275 a. C. viene definitivamente sconfitto nell’odierna Benevento (Malaventum); tornato in Grecia, morirà da lì a poco. Tra le città greche, intanto Taranto sarà costretta ad arrendersi (fu ridotta a condizione di socia); le altre si consegneranno spontaneamente a Roma; quest’atto verrà detto “deditio in fidem”, consisteva proprio nell’affidarsi a Roma senza combattere, avendone riconosciuto la superiorità. GUERRE PUNICHE La prima guerra punica: nel 264 a.C. Roma controllava tutta l’Italia peninsulare, fino allo stretto di Messina: un’area fondamentale dal punto di vista economico e strategico. Gli interessi di Roma, per la prima volta entrarono in collisione con quelli di Cartagine, sua vecchia alleata, ex colonia fenicia, posta sulla costa africana, vicino a Tunisi (Cartagine, la cui fondazione risale all'814 a.C., al periodo dell'inizio della guerra con Roma, controllava buona parte del Mediterraneo occidentale: al centro di u vasto impero, formato da comunità alleate e popolazioni soggette, che si estendeva dalle coste dell’Africa settentrionale a quelle della Spagna meridionale, dalla Sardegna alla parte occidentale della Sicilia. Aveva un potente esercito, formato per lo più da truppe mercenarie e soprattutto potenti flotte.) Lo scontro venne precipitato dalla questione dei Mamertini, che dopo essersi congedati dal re di Siracusa, Agatocle, si erano impadroniti con forza di Messina, dedicandosi alla redditizia attività di saccheggiare le città vicine. Questo provocò la reazione dei Siracusani, guidati dal generale Ierone, che sconfisse i Mamertini e avanzò verso Messina. I Mamertini accolsero dapprima l’aiuto di una flotta cartaginese, che installò una guarnigione nella città, ma stanchi, fecero appello a Roma. Far cadere nel vuoto l’appello ricevuto equivaleva, per Roma, a lasciare a Cartagine il controllo della zona strategica dello stretto e perdere l’occasione per mettere piede nella ricchissima Sicilia. Questa motivazione economica, secondo Polibio, avrebbe indotto l’assemblea popolare a votare l’invio di un esercito ai Mamertini. Anche se Roma formalmente non aveva dichiarato guerra a Cartagine, di fatto questa decisione aprì la prima guerra punica (264 a.C.-241 a.C.). Quando le legioni romane sbarcarono in Sicilia, per la città di Siracusa la situazione divenne difficile: Ierone II fu sconfitto e la città, da nemica, divenne fedele alleata di Roma che, per la prima volta, si insediò nell'isola.  Roma, Messina(Ierone), Mamertini  Cartagine e Siracusa La guerra si svolse su due fronti: quello terrestre e quello sulle acque del Mediterraneo. Le operazioni terrestri furono piuttosto limitate e non decisive; nel 262 a.C. Roma, dopo un lungo assedio espugnò Agrigento, storica base cartaginese. Ma gli scontri erano solo agli inizi e Roma, vista la superiorità nemica in ambito navale, decise di creare una flotta di quinquiremi, contando sull’aiuto dei socii navales. Lo sforzo fu premiato e permise di sconfiggere Cartagine nelle battaglie di Milazzo (260 a.C.) e di Ecnomo (256 a. C.). Sei anni più tardi Marco Attilio Regolo (console) cercò di portare la guerra direttamente in Africa e riuscì sbarcarvi con un numeroso esercito, pensando di poter infliggere, in questo modo al nemico, il colpo decisivo. La spedizione raccolse vari successi ma l'esercito cartaginese, guidato dal mercenario spartano Santippo, si riorganizzò e annientò quello romano nella battaglia di Trapani dove Attilio Regolo venne catturato. La spedizione romana in Africa, quindi, si chiuse con la sconfitta di Roma, ma la guerra doveva decidersi sul mare. A questo punto comparve sulla scena Amilcare Barca, il padre di Annibale che, alla guida di un esercito cartaginese, che mise in seria difficoltà i Romani. Solo dopo qualche anno, Roma fu in grado di costruire una nuova flotta, guidata dal console Caio Lutazio Catulo, con l’intento di bloccare i cartaginesi a Trapani e Lilibeo. Furono infatti sconfitti al largo delle Egadi (241 a.C.). Come conseguenza della vittoria, Roma acquisì il controllo della Sicilia, e delle isole che si trovavano tra la Sicilia e l’Italia (Lipari e le Egadi) e subentrò a Cartagine nel dominio sul mare; ma alla città punica vennero imposti dei durissimi obblighi finanziari sotto forma di indennità di guerra. A seguito della vittoria Roma per la prima volta entra in possesso di un ampio territorio al di fuori della penisola italiana, costituito dalle regioni della Sicilia centro-occidentale, un tempo parte del dominio cartaginese. La prima provincia romana è perciò la Sicilia alla quale venne imposto il pagamento di un tributo annuale, consistente nel versamento di un decimo della produzione di cereali, di cui la Sicilia era grande produttrice. L'amministrazione della giustizia, il tribù che abitavano la valle dell’Ebro; differente fu la politica del secondo, governatore della Citeriore tra il 178/180 a.C., che invece cercò di rimuovere i motivi di ostilità verso Roma- la sua strategia fu coronata dalla conclusione di trattati di pace con alcune tribù che assicurarono almeno qualche anno di respiro ai romani - (il figlio, nonché omonimo era destinato di lì a poco, ad imprimere una svolta decisiva con il suo tribunato della plebe, nella storia dell’Urbs). -vedi trasformazioni politiche e sociali- La prima e la seconda guerra macedonica (215-205 a.C.), (200-196 a.C.) (-vedi sopra) Nel 214 a.C. il console Marco Valerio Levino guidò un piccolo contingente militare romano sulla costa illirica e poi strinse un'alleanza con la lega etolica, ostile a Filippo, e con Attalo I re di Pergamo (nell'Asia Minore nord-occidentale), che voleva espandere il proprio regno nel mar Egeo a scapito della Macedonia. La coalizione riuscì così a contenere le mire espansionistiche del re macedone, ma il pericolo rappresentato da Asdrubale costrinse i romani a ritirare parte delle truppe. La guerra si esaurì da sola e si giunse alla pace di Fenice del 205 a.C.: Filippo ottenne uno sbocco sull'Adriatico. Nel 203 a.C. Filippo strinse un'alleanza con il re di Siria Antioco III e i due si impadronirono di molti possedimenti egiziani nell'Egeo. Ma nel fare ciò, Filippo assunse atteggiamenti aggressivi anche verso flotte e città greche, suscitando l'ira di Rodi, che sentì minacciate le proprie rotte commerciali. Rodi si alleò con Attalo I, riuscendo a respingere gli attacchi macedoni, ma con gravissime perdite. Fu così che Attalo e i Rodiesi si rivolsero a Roma, che, sebbene si stesse riprendendo dallo sforzo bellico sostenuto contro Cartagine, decise di intervenire perché spaventata dall'alleanza siriano-macedone (201 a.C.). Nel 200 a.C. Roma inviò un ultimatum a Filippo, che lo respinse. Il Senato non osò però ordinare una coscrizione, visto che il popolo, ancora stremato dalla seconda guerra punica, si era mostrato riluttante ad accettare l'intervento militare contro Filippo. I romani si rivolsero allora agli stati greci, che però non si fidarono molto visto l'atteggiamento tenuto dai romani nel precedente conflitto contro la Macedonia. Solo Atene rispose, ma l'apporto militare che questa città poteva dare a Roma era praticamente nullo. Roma poté poi contare sui Rodiesi e Attalo, dal 199 a.C. sugli Etoli e dal 198 a.C. anche sulla Lega Achea. Un aiuto comunque di scarsa entità. Anche Filippo non navigava in acque migliori: ebbe l'aiuto solo della Tessaglia, nulla invece da Antioco di Siria, che non era obbligato ad aiutarlo. Le prime inconcludenti operazioni militari furono condotte dal console Publio Sulpicio Galba Massimo. Poi passarono a Tito Quinzio Flaminino. Dopo aver rifiutato delle offerte di pace per lui svantaggiose, Filippo decise di giocarsi il tutto per tutto e si scontrò coi romani nel 197 a.C. nella battaglia di Cinocefale (località della Tessaglia), dove fu sconfitto dopo una battaglia molto dura. A Filippo fu lasciata la Macedonia, ma dovette pagare un'indennità di guerra, comunque modesta, ma soprattutto consegnare tutta la flotta e ritirare guarnigioni e agenti diplomatici dalla Grecia, che fu risistemata nel suo assetto. Nel 196 a.C. Flaminino proclamò la libertà della Grecia, in occasione dei Giochi Istmici. Nel 194 a.C. lasciò la Grecia insieme alle legioni. Terza guerra macedonica (171-168 a.C.) Insospettiti dalla politica di potenziamento militare e di interferenza in Grecia di Perseo, figlio di Filippo e nuovo re di Macedonia, i romani gli dichiararono guerra nel 171 a.C. avvisati da Eumene II di Pergamo, prendendo come pretesto degli attacchi sferrati dal sovrano contro tribù balcaniche amiche o alleate di Roma. Scoppiò così la terza guerra macedone. Tuttavia la Repubblica romana tergiversò e si mostrò poco risoluta. In quello stesso anno Perseo sconfisse presso Larissa, in Tessaglia, l'avanguardia romana (Battaglia di Callinicus). Tra alti e bassi, scaramucce e vittorie non decisive, si giunse al 168 a.C.: i romani sferrarono l'attacco sotto la guida del console Lucio Emilio Paolo, che affrontò e sconfisse la falange macedone di Perseo nella battaglia di Pidna. Dopo la sconfitta, il sovrano, tentata invano la fuga, si consegnò al nemico, mentre la Macedonia fu divisa in quattro repubbliche, ognuna delle quali amministrate da un'assemblea composta dai rappresentanti di città e villaggi. I rapporti possibili tra queste quattro repubbliche furono inoltre fortemente limitati. Simile fu la sorte dell’Illiria, divisa anch’essa in tre stati tributari a Roma; la Lega Achea fu costretta a consegnare 1000 persone di lealtà sospetta; i Molossi, rei di essersi schierati con Perseo, furono puniti con la totale devastazione del loro territorio e la loro riduzione in schiavitù; Rodi venne colpita nella sua prosperità economica, attraverso la creazione di un porto franco nell’isola di Delo, dove le merci in entrata e in uscita erano esentate dai dazi. Quarta guerra macedonica (148-146 a.C.) e la guerra acaica Nel 150 a.C. spuntò un certo Andrisco, che, affermando di essere figlio di Perseo e di voler ricostruire il regno macedone, radunò attorno a sé un esercito. Dopo degli iniziali successi, Andrisco fu battuto dal pretore Quinto Cecilio Metello Macedonico nel 148 a.C. e costretto a ripararsi in Tracia. Il Senato, scongiurata questa minaccia, si occupò delle questioni riguardanti gli Achei, ordinando che fosse staccata dalla Lega non solo la riottosa Sparta, ma anche Argo e Corinto: ciò avrebbe significato la fine della Lega come organismo di rilevanza politica. Gli Achei non poterono impedire l’invasione del Peloponneso da parte di Metello. Nel 146 a.C. Corinto fu saccheggiata e distrutta, mentre la Macedonia divenne una provincia romana, che includeva anche Epiro e Tessaglia. Cap.3: LA CRISI DELLA REPUBBLICA E LE GUERRE CIVILI La guerra annibalica aveva percorso l’Italia e inferto profonde ferite alla sua agricoltura. Le continue campagne belliche oltremare avevano tenuto i Romani e gli alleati a lungo lontano dalle loro case e dai poderi; le conquiste esterne però avevano comportato anche un consistente afflusso di ricchezze nelle mani di pochi, un’enorme quantità di schiavi, una massiccia penetrazione di schemi e di idee greche a Roma. Ingenti capitali, confluiti nell’Urbs grazie ai bottini militari e agli indennizzi imposti ai vinti, progressivamente modificarono una struttura sociale ed economica rimasta fino ad allora essenzialmente agricola. I Romani e gli italici si erano introdotti nel grande commercio, istallandosi talvolta nelle provincie di recente acquisite ed esercitando spesso anche professioni bancarie. Tali attività, avevano fatto fare fortuna a molti senatori e favorito l’ascesa degli equites, la cui ricchezza era un tempo fondiaria e mobiliare: esclusi dalle cariche pubbliche, erano comunque interessati ad entrare a far parte del tribunale permanente che seguiva le estorsioni (de repetundis). L’accelerarsi dei mutamenti della compagine sociale aveva diviso in due fazioni, entrambe scaturite dalla nobilitas, la classe dirigente romana: da un lato, gli optimates, che si richiamavano alla tradizione degli avi, sostenitori dell’autorità e delle prerogative del Senato; dall’altro, i populares, che invece si consideravano difensori del popolo e propugnavano la necessità di ampie riforme in campo politico e sociale. Le guerre di conquista avevano fatto crescere a dismisura l’ager pulicus, terreno demaniale di proprietà dello Stato romano. Parti di esso erano abitualmente concesse in uso a privati a titolo di ‘occupatio’; l’utilizzo era garantito ai detentori dietro al pagamento di un canone (vectigal), del tutto irrisorio e che non sempre lo Stato si preoccupava di esigere. La crisi progressiva della piccola proprietà fondiaria favorì la concentrazione della maggior parte dell’agro pubblico nelle mani dei proprietari terrieri più ricchi; di qui la necessità di una serie di norme che mirassero a restringere l’estensione dell’agro pubblico, il quale poteva essere legittimamente occupato da ciascuno. Quest’ultima legge fu proposta da Caio Lelio, amico di Scipione Emiliano, ma il suo progetto trovando l’opposizione unanime dei senatori fu ritirato (forse 140 o 145 a.C.). TIBERIO E CAIO GRACCO Fu così che fece la sua ascesa Tiberio Gracco, membro della nobilitas, figlio dell’omonimo (trionfatore della Spagna) e di Cornelia (figlia di Scipione l’Africano). Tiberio volle riprendere nell’anno del suo tribunato della plebe (133 a.C.) il tentativo di operare una riforma agraria tramite norme che limitassero la quantità di agro pubblico posseduto. La riforma, riprendendo le leggi Licinie Sestie, stabiliva che ogni proprietario terriero, non poteva possedere più di 500 (125 ettari), fino ad un limite di 1000 iugeri per famiglia. In questo modo si sarebbe ricreato il ceto dei piccoli proprietari terrieri, classe sociale che si andava dissolvendo. Al finanziamento di questa riforma furono destinati i tesori del regno ellenistico di Pergamo (che il re Attalo lasciò in eredità a Roma nel 134/33 a.C. non avendo altri eredi), mossa possibile grazie all’approvazione che ricevette dai comizi, scavalcando il senato. Quest’ultimo cercò di opporsi invogliando il secondo tribuno della plebe, MARCO OTTAVIO (ricordiamo che tribuni romani erano 2 con diritto di veto l’uno nei confronti dell’altro) a porre il veto su Tiberio, ma questi riuscì invece a far deporre il collega dal popolo. La lex Sempronia quindi fu approvata. Venne nominato un collegio di tre uomini (triumviri) di cui faceva parte lo stesso Tiberio, il fratello Caio e il suocero, Appio Claudio Pulcro, nonché princeps del senato e da molti ritenuto il vero ispiratore della riforma assieme a Licinio Crasso e Mucio Scevola. Il tresviri agris dandis iudicandis adsignandis si sarebbe occupato della ripartizione dei lotti e del recupero dei terreni in eccesso: questi ultimi sarebbero stati distribuiti ai cittadini più poveri in piccoli lotti, forse di 30 iugeri per persona e inalienabili. Ma l'opposizione conservatrice non si placò e dopo che Tiberio presentò la candidatura al tribunato per l’anno successivo, si sparse la voce che egli volesse aspirare alla monarchia. Bastò questo a determinare la sua morte: fu ucciso insieme a molti suoi sostenitori. Quando il fratello Caio, dieci anni dopo, si ripresenta alla candidatura di tribuno della plebe (123 a.C.), ripresa in mano la riforma agraria del fratello, decise di perfezionarla, consapevole del fatto che fossero necessari, per portare avanti le rivendicazioni, più alleati; bisognava aumentare la base del consenso, che non poteva derivare più esclusivamente dal popolo. Propose quindi l’istituzione di nuove colonie di cittadini romani, sia in Italia che nel territorio di Cartagine (Iunonia); emanò una “legge frumentaria”, la quale poneva la vendita del frumento a prezzo politico, cioè agevolato. Con una lex giudiziaria, al fine di ottenere l’appoggio del ceto equestre, inserì i suoi membri nei tribunali permanenti per porre fine alla corruzione interna, dal momento che spesso accadeva che i governatori che alla fine del loro mandato venivano sottoposti a giudizio, a causa del loro tiranneggiare le popolazioni locali, non fossero mai condannati, visto lo stesso tribunale era formato da giudici senatori. Un’ulteriore provvedimento prevedeva che il senato dovesse decidere prima delle elezioni consolari quali tra le provincie dovessero essere assegnate ai futuri consoli: ciò per impedire che una scelta a posteriori fosse influenzata da ragioni personali o politiche. La legge sulla concessione della cittadinanza romana e del diritto latino, unitamente a quella della deduzione di colonie in territorio di Cartagine, fu quella che segnò la sua condanna. Infatti, quando il tribuno Livio Druso propose la creazione di ben dodici colonie vicino Roma, le popolazioni preferirono questa seconda possibilità che non la prima, abbandonando Caio Gracco, che ricandidatosi, non venne rieletto. Scoppiarono gravi disordini, in conseguenza dei quali, il senato fece ricorso alla procedura del senatus consultum ultimum, con cui veniva sospesa ogni garanzia istituzionale e affidato ai consoli il compito di tutelare lo Stato. Poiché le riforme dei Gracchi rispondevano ai problemi reali, gli ottimati non osarono abolirle, ma ne ridussero gli effetti, in particolare quelli della legge agraria: i lotti furono dichiarati alienabili, così riprese la loro migrazione nelle mani dei più ricchi; la commissione fu abolita. Gracco si fece probabilmente uccidere da un suo schiavo. Alla fine del II secolo, nel 121 a.C. circa, rimane ancora insoluto il problema dell’esercito e della cittadinanza romana. Espansionismo e nuovi mercati Tracia, la Macedonia e la Tessaglia, ottenendo l’adesione della Beozia, di Sparta e del Peloponneso. Roma decise, solo allora di reagire, affidando il comando della guerra a Lucio Cornelio Silla, uno dei due consoli dell’anno corrente (88 a.C.). Prima Guerra Mitridatica Invadendo la provincia d'Asia, Mitridate incontrò il favore degli occupati che erano contrari al governo romano e, atteggiandosi a liberatore, riuscì ad estendere la propria popolarità anche in Grecia. Ne nacquero ribellioni e fermenti contro i quali Roma organizzò una spedizione comandata da Lucio Cornelio Silla. Gaio Mario, tornato in scena dopo un lungo periodo di eclissi politica, si oppose alla nomina di Silla e tentò di farla annullare dal Senato, con l’appoggio dell’allora tribuno della plebe Sulpicio Rufo, ma Silla marciò su Roma con le proprie legioni mettendo in fuga Mario ed i suoi sostenitori → dichiarati nemici pubblici, mentre Sulpicio fu eliminato. Silla sbarcato nell’Epiro (87 a.C.) e attraversata la Beozia, cinse d’assedio Atene che venne presa e saccheggiata. Sconfisse nuovamente Mitridate a Cheronea (86 a.C.) ma, preoccupato per l'attività dei suoi avversari a Roma, affrettò la fine della guerra. Nell’86 a.C. due armate romane di opposte fazioni si trovarono presenti in Grecia, una capeggiata da Silla, l’altra inviata da Cinna# agli ordini di Flacco → non si scontrarono mai, agirono ‘parallelamente’ ricacciando il re del Ponto in Asia. Si giunse a stipulare il trattato di Dardano (85 a.C.) con il quale Mitridate usciva dal conflitto subendo soltanto modeste perdite territoriali: conservò il suo regno ma dovette evacuare il resto dell’Asia; fu obbligato al pagamento di una forte indennità e alla restituzione della flotta. #Cinna, fu fautore di Mario→ con lui marciò su Roma (87 a.C.), dopo il suo ritorno dall’Africa, e dichiarò a sua volta Silla, nemico dello Stato. In questo clima Mario venne eletto console, per la settima volta insieme a Cinna nell’86 a.C.; morì poco dopo essere entrato in carica. Cinna, console nuovamente nell’84 a.C., promosse un’ampia opera legislativa: risolse la questione della cittadinanza con l’immissione dei neocittadini nelle 35 tribù. Ma verso la fine dell’anno, alla notizia di un ritorno di Silla, Cinna fu ucciso da una rivolta dei suoi stessi soldati. Seconda Guerra Mitridatica Le ostilità ripresero nell'83 a.C. Questa volta il comando romano fu affidato a Lucio Licinio Murena, ufficiale di Silla, rimasto in Oriente dopo la fine della prima guerra mitridatica, il quale aveva attaccato Mitridate di propria iniziativa per ragioni pretestuose. Le operazioni militari romane non ebbero successo, le legioni furono respinte e sconfitte finché nell'81 a.C. Silla ordinò a Murena di ritirarsi. Incoraggiato da questi avvenimenti, Mitridate riprese i propri progetti espansionistici. Terza Guerra Mitridatica Nel 75 a.C. morto Nicomede IV, re di Bitinia, lasciò il proprio regno in eredità al popolo romano. La deduzione della Bitinia in provincia consegnava automaticamente a Roma il controllo dell’accesso al Mar Nero e alterava gli equilibri di forze dell’Asia Minore. Opponendosi al testamento Mitridate provocò il terzo conflitto. L'invasione della Bitinia ad opera di Mitridate fu bloccata dal generale Lucio Licino Lucullo e Marco Aurelio Cotta, che diressero le operazioni dal 75 a.C. (la Bitinia fu sgomberata e il Ponto occupato; Mitridate costretto a rifugiarsi in Armenia presso suo genero Tigrane, il cui regno si era esteso fino ad occupare il superstite stato dei Seleucidi, Siria compresa. Lucullo invase l’Armenia e si spinse nell’inseguimento dei suoi nemici fino al Caucaso) fino al 66 a. C. quando, a seguito di una ribellione delle legioni, stanche della ferrea disciplina e dei disagi ambientali, dovette cedere il comando a POMPEO MAGNO. Quest’ultimo riuscì a convincere il re dei Parti, Fraate, a tenere impegnato Tigrane mentre egli marciva indisturbato verso il Ponto. Sconfitto, Mitridate fu costretto a raggiungere il Bosforo Cimmerio (odierna Crimea) e il figlio Farnacee; là, abbandonato, si fece trafiggere per non cadere in mano Romana (63 a.C.). Nel frattempo Pompeo, confermò a Tigrane il trono dell’Armenia, ciò produsse un raffreddamento con i Parti, ma lo privò della Siria → provincia romana. Poi passò in Palestina, dove si impadronì di Gerusalemme e costituì uno stato autonomo ma tributario aggregato alla provincia di Siria (63 a.C.). Raggiunto dalla notizia della morte di Mitridate e conclusa così, vittoriosamente la campagna → Bitinia Ponto diventarono provincia unica; Pompeo tornò a Roma (62 a.C.) carico di bottino. Gli venne decretato il trionfo Rivolte servili. Furono tre: 140-132; 104-100; l’ultima quella di Spartaco del 73. Le rivolte servili avevano origine generalmente dall’iniziativa di schiavi pastori che crearono non pochi problemi allo Stato romano. Tuttavia le rivolte che fallirono presto, spesso a causa della mancanza di coesione interna. Significativa fu la rivolta scoppiata a Capua in una scuola di gladiatori, che si erano asserragliati sul Vesuvio, capeggiata da Spartaco (un trace) e Crisso (un gallo). Attorno ad essi si coagularono gli interessi degli emarginati e dei diseredati a causa del dominio romano, di altri gladiatori e schiavi confluiti da ogni parte dell’Italia meridionale. Gli insorti, che avevano formato un considerevole esercito, riuscirono a tenere in scacco alcuni pretori e i due consoli del 72 inviati contro di loro ma mancava un piano preciso e unitario. Il Senato decise di affidare un comando eccezionale a Marco Licinio Crasso, che riuscì a reprimere la ribellione in Lucania. Migliaia di prigionieri furono crocifissi lungo la via Appia tra Roma e Capua. Alcuni fuggirono verso nord, dove però furono annientati da Pompeo. Spartaco morì in battaglia (71 a.C.). Silla era un uomo dell’aristocrazia, intenzionato a riportare il potere nelle mani del ceto senatorio. Mario invece più democratico è essenzialmente ricordato per la guerra giugurtina e la riforma dell’esercito → homo novuus. Nell’83 Silla torna a Roma; sbarcato a Brindisi, di ritorno dalla guerra mitridatica, fu raggiunto da Gneo Pompeo che Silla gratificò con l’epiteto di Magnus, per aver eliminato gli ultimi oppositori mariani. Per rendere definitiva la sua vittoria Silla introdusse le liste di proscrizione→ elenchi di avversari politici, i cui nomi venivano notificati in pubblico: chiunque poteva ucciderli, i loro beni erano confiscati e i loro figli e discendenti esclusi da ogni carica. Nell’82 Silla ricevette una serie d’onori, fra cui la dittatura a vita dal princeps senatus Valerio Flacco, carica che gli diede la possibilità di riscrivere la costituzione della repubblica e di organizzare lo Stato ‘ dicator legibus scribundis et rei publicae costituendae’; in questo modo avrebbe posto fine alle guerre civili e avrebbe portato in auge il senato. Una parte dell'opera riformatrice di Silla era già stata anticipata da una serie di norme approvate nell' 88 a.C.  ogni proposta di legge avrebbe dovuto ottenere il consenso del senato prima di essere sottoposta al voto popolare;  i comizi centuriati dovevano essere la sola assemblea legislativa;  79-81 a.C.: il senato fu portato a 600 membri;  moltiplicazione dei tribunali permanenti: le loro competenze furono suddivise in modo che a ciascuno di essi spettasse solo uno dei principali reati: estorsione e concussione (de repetundis), alto tradimento (de maiestate), appropriazione dei beni pubblici (de peculati), assassinio e avvelenamento (de sicariis et veneficiis) etc..→ aumento del numero dei pretori.  furono ridimensionati i poteri dei tribuni della plebe, limitato il loro diritto di veto e annullato quello di proporre leggi;  abolizione delle distribuzioni frumentarie  estese il pomoerium lungo una linea virtuale tra l'Arno e il Rubicone, comprendente quasi tutte le zone d'Italia che avevano la cittadinanza romana. Compiuta la riorganizzazione del Senato, Silla abdicò dalla dittatura e si ritirò a vita privata, morirà nel 78 a.C. Due tentativi di resistenza antisillana→ Marco Emilio Lepido (padre del futuro triumviro) propose il richiamo dei proscritti in esilio, il ripristino delle distribuzioni frumentarie e la restituzione agli antichi proprietari delle terre confiscate. Marciò su Roma (77 a.C.) rivendicando la restaurazione del potere dei tribuni della plebe e un secondo consolato – era stato console della provincia Narbonese, nell’attuale Francia meridionale- la rivolta fu stroncata: il senato usò contro Lepido l’arma del senatus consultum ultimum, ordinando di difendere lo Stato con qualsiasi mezzo, e conferì l’imperium a Pompeo. → Quinto Sertorio, governatore della Spagna Citeriore, aveva creato lì una sorta di stato mariano in esilio, dotato di un piccolo senato (di appena 300 membri) e una capitale Osca (ai piedi dei Pirenei), forte dell’appoggio delle truppe superstiti di Lepido. Contro di lui il Senato ricorse ancora una volta a Pompeo, che poteva avvalersi del sostegno di Quinto Cecilio Metello Pio, governatore della Spagna Ulteriore. I successi furono lenti ma Pompeo riuscì ad avere la meglio (71 a.C.), Sertorio fu giustiziato. Nel 70 a.C. Pompeo e Crasso ottennero il consolato. Entrambi cercarono di assicurarsi l'appoggio popolare abrogando le più significative leggi di Silla (leges Corneliae): venne approvata una legge frumentaria ( lex Terentia Cassia) che ripristinava le distribuzioni di grano a prezzo politico, fu restituito ai cavalieri il controllo dei tribunali penali, non più esclusiva del senato – iniziativa del pretore Lucio Aurelio Cotta- , e i tribuni della plebe riottennero il diritto di far approvare leggi ai comizi anche senza il beneficio del Senato e di opporre il veto alle iniziative di altri magistrati. Guerra di Pompeo contro i pirati (67 a.C.): i Romani occupati nelle lotte civili, avevano trascurato la flotta, e ora i pirati, approfittando dell'indebolimento della potenza navale romana, dominavano su tutto il Mediterraneo, percorso da predoni che paralizzavano il commercio marittimo e minacciavano di affamare Roma, impedendo i rifornimenti di grano che la città importava soprattutto dalla provincia d'Asia ma anche di manodopera schiavile. Dopo alcuni tentavi infruttuosi di combattere la pirateria, fu inviato, 74 a.C., con un comando speciale Marco Antonio (figlio del Marco Antonio che aveva combattuto i corsari Cilici nel 102-1 a.C. e padre del futuro triumviro) che concentrò i suoi sforzi sull’isola di Creta, ma invano. Le operazioni passarono nelle mani di Quinto Cecilio Metello che le condusse con energia. Era tuttavia necessario ricorre ad una stroncatura drastica del fenomeno, così nel 67 a.C. Pompeo ricevette il comando. In 3 mesi egli annientò i pirati eliminandoli tanto nel Mediterraneo occidentale che in quello orientale (distrusse tutte le loro basi). Nell’anno 63, durante il consolato di Marco Tullio Cicerone, mentre già si andava profilando l’astro nascente di Cesare, mentre Pompeo era impegnato in Oriente (contro Mitridate), a Roma venne scoperta una congiura contro la repubblica ordita da un giovane patrizio, LUCIO SERGIO CATILINA. Era stato un seguace di Silla ma nel periodo post-sillano, le idee e l'azione politica di Catilina subirono profondi cambiamenti ed egli si fece espositore di una politica idealista a favore della plebe, radicale e chiusa ad ogni compromesso. Sulla base di questa politica rivoluzionaria nel 66-67 Catilina governò come propretore la provincia d’Africa e il suo operato dette luogo a molte proteste, così che il senato, in vista dell’accusa di concussione, non ammise la sua candidatura al consolato per l’anno 65. L’anno successivo, assolto dall’accusa di concussione, poté presentare la sua candidatura per l’anno 63, sostenuto finanziariamente da Crasso. Tra gli altri candidati spiccava Cicerone che sfruttando le voci che circolavano sulla scandalosa campagna condotta da Catilina convinse i senatori a dargli il loro appoggio. Catilina fu, così, sconfitto per pochi voti e Cicerone divenne console per l’anno 63. Alle elezioni consolari per l’anno successivo Catilina ostinatamente si ripresentò ponendo come base del suo programma la cancellazione dei ricongiungersi con l’esercito del suo legato Tito Labieno (che aveva sconfitto le tribù presso Lutera Parisiorum), e insieme inseguirono Vercingetorige, rinchiusosi nella piazzaforte di Alesia. Solo dopo un lungo e durissimo assedio la piazzaforte fu costretta a capitolare. Vercingetorige venne fatto prigioniero e inviato a Roma. Fu decapitato ai piedi del Campidoglio. (46 a.C.) 51 a.C. frantumati gli ultimi cenni di resistenza. Fondazione della nuova provincia della Gallia Comata. Crasso intanto in Siria aveva cercato di inserirsi nella contesa dinastica del regno dei Parti: alla morte del re FRAATE III era sorta una lotta tra i suoi 2 figli, Orode e Mitridate. Divenuto re Orode II, Crasso decise di appoggiare il fratello rivale. Nel 53 a.C. invase il paese a nord, marciando attraverso le steppe della Mesopotamia, ma venuto a contatto con l’esercito partico, nei pressi della città di Carre (MESOPOTAMIA NORD-OCCIDENTALE) i Romani furono letteralmente travolti dalla cavalleria corazzata e massacrati dagli arcieri a cavallo. La stessa provincia di Siria si trovò minacciata. Mentre si ritirava Crasso fu preso ed ucciso. Dal 54 a.C. cominciarono a venir meno i vincoli politici e familiari che tenevano legati Cesare e Pompeo (aveva sposato la figlia di Cesare, Giulia, che era morta di parto). La violenza e il caos politico dilagarono a Roma. Nel 53 a.C. venne proposto di nominare Pompeo dittatore. All’inizio del 52 a.C. l’anarchia giunse al culmine: si affrontavano le bande di Clodio e Milone sulla via Appia. Clodio rimase ucciso. Pompeo venne nominato console sine collega e fece votare subito leggi repressive contro la violenza e i brogli elettorali, i quali consentirono la condanna di Milone e il ristabilimento di un equilibrio, seppur precario. Di fronte alla minaccia di venire spodestato dalla propria carica e allontanato dai propri domini, estromesso quindi per sempre dalla vita politica. A partire dal 51 a.C. cominciarono le discussioni sul termine dei poteri di Cesare. 50 a.C. il tribuno della plebe Caio Scribonio Curione, propose l’abolizione dei poteri non solo di Cesare ma anche di Pompeo, come arma per uscire dalla crisi. Nel dicembre dello stesso anno, i due proconsoli dovettero deporre le loro cariche. 49 a.C. Cesare fu intimato di deporre unilateralmente le cariche. Il senato votò il consultum ultimum, affidando ai consoli e a Pompeo il compito di difendere lo stato. Appresa questa decisone, Cesare varcò in armi il Rubicone (segnava il confine tra la Gallia Cisalpina e il territorio civico di Roma) dando così inizio alla guerra civile. Pompeo, con i consoli e buona parte dei senatori, abbandonò la citta diretto a Brindisi, per imbarcarsi alla volta dell’Oriente. Cesare non riuscì a fermare il progetto del suo avversario, così volse la sua attenzione alla minaccia occidentale, rappresentata dalle truppe pompeiane in Spagna. Annientò i pompeiani a Ilerda (nei pressi del fiume Ebro) con i suoi concentrati invece in Gallia. Per conquistare la fiducia delle popolazioni locali egli, pur nell'azione bellica, molta cautela, limitò il più possibile gli atti di saccheggio e di vandalismo dei propri uomini così come le pene inflitte ai vinti. Tornato a Roma nel 49 a.C. si fece eleggere console per l’anno successivo, 48 a.C. Nel frattempo Pompeo aveva posto il suo quartiere a Tessalonica, mentre le sue navi battevano l’Adriatico per impedire eventuali sbarchi di Cesare. Quest’ultimo però, compiendo la traversata in pieno inverno (gennaio 48 a.C.), riuscì a traghettare le legioni e porre l’assedio a Durazzo; avanzò allora verso la Tessaglia. Lo scontro decisivo avvenne a Farsalo (agosto 48 a.C.) e si tradusse in una disfatta pompeiana. Pompeo fuggì verso l’Egitto, dove era in corso una lotta dinastica tra Tolomeo XIII e la sorella Cleopatra VII. I consiglieri del re lo fecero assassinare non appena sbarcato in Egitto. Arrivato anch’egli ad Alessandria, Cesare si intrattenne in Egitto, ancora un anno, aiutando Cleopatra ad ottenere il regno d’Egitto. Partito Cesare diede alla luce il figlio di lui, Tolomeo Cesare. 47 a.C. marcia fulminea contro Farnace (figlio di Mitridate) che aveva cercato di recuperare i territori paterni. Nello stesso anno Cesare sostò brevemente a Roma, e subito ripartì per l’Africa, dove si erano rifugiati i pompeiani vinti, i quali si erano assicurati nel frattempo l’appoggio di Giuba, re di Numidia. Cesare riportò la vittoria definitiva a Tapso (46 a.C.). Suicidatosi Giuba, il regno divenne provincia romana con il nome di Africa Nova. 45 a.C. Cesare fu costretto a partire di nuovo per la Spagna, per combattere i figli di Pompeo, Cneo e Sesto. A Munda (nell’odierna provincia di Cordova) l’esercito nemico fu letteralmente distrutto. CESARE DITTATORE PERPETUO Ottobre 48 a.C. mentre si trovava in Egitto Cesare fu nominato dittatore per un anno. A metà del 45 a.C. gli fu conferita la dittatura per 10 anni ‘rei publicae costituendae’. Nel 44 a.C. ricoprì il 5 consolato e fu nominato dittatore a vita ‘dictator perpetuus’. Già nel 49 a.C. aveva messo insieme un numero vastissimo di riforme: concesse il perdono e il richiamo in patria a tutti gli esuli e condannati politici; accordò facilitazioni ai debitori; estese il diritto di cittadinanza a tutti gli abitanti della Transpadania; il senato fu portato a 900 membri; vennero disciolte le associazioni popolari, che avevano contribuito ai torbidi negli anni precedenti; furono confermate le distribuzioni gratuite di grano; venne realizzato un vasto programma di colonizzazione e di distribuzione di terre ai veterani di Cesare per decongestionare l’Italia; mise in atto una considerevole opera di riqualificazione urbanistica ed edilizia; riformò il calendario civile. Da Tapso era stato fatto per tre anni praefectus moribus, con l’incarico di vigilare sui costumi e di controllare le liste dei senatori, dei cavalieri e dei cittadini. Gli fu assegnata la potestà tribunizia; il potere di fare trattati di pace o dichiarazioni di guerra senza consultare il senato e il popolo; gli vennero gratificati gli onori del primo posto in Senato, del titolo di imperator a vita e di quello di padre della patria. L’eccessiva concentrazione di poteri di fatto che ogni carriera politica potesse svolgersi solo con il suo appoggio, finirono con creare allarme, oltre che nei pompeiani superstiti, anche negli stessi sostenitori di Cesare. Venne allora ordita una congiura nei suoi confronti prima della partenza per una campagna nel regno dei Parti (guidata da Marco Giunio Bruto, Caio Cassio Longino e Decimo Bruto). Alle idi di marzo (15 marzo) del 44 a.C. Cesare venne ucciso nel Campo Marzio, dove avrebbe dovuto presiedere una seduta del Senato. AGONIA DELLA REPUBBLICA Abbattuto Cesare, i congiurati non si erano però preoccupati di eliminare i suoi principali collaboratori: Marco Emilio Lepido e Marco Antonio. Dopo un primo sbandamento, questi cominciarono a riorganizzarsi. Antonio riuscì a imporre una politica di compromesso, che venne ratificata dal Senato (amnistia peri i cesaricidi e convalida degli atti del defunto dittatore, oltre al consenso per i funerali di Stato), e fu eletto console insieme a Publio Cornelio Dolabella → destinato a sostituire Cesare dopo la spedizione partica. Fu stabilito che dopo il consolato, ad Antonio sarebbe toccata la Macedonia, al suo collega invece la Siria. La dittatura fu abolita dalle cariche dello Stato. Alla lettura del testamento di Cesare, si scoprì che il dittatore aveva nominato suo erede effettivo per i tre quarti dei beni e suo figlio adottivo, il suo pronipote Caio Ottavio. Tuttavia alle idi di marzo, quest’ultimo si trovava ad Apollonia (al confine con la Macedonia), per attendere il prozio che intendeva averlo come magister equitum per l’impresa che si accingeva a compiere. Appena saputo del testamento, Ottaviano si recò a Roma dove reclamò ufficialmente l’eredità. Entratone in possesso onorò i lasciti previsti, ponendo come caposaldo del suo impegno politico la vendetta per l’uccisione di Cesare. Il senato vide in lui il mezzo per contrastare il potere di Antonio, che nel frattempo, per poter controllare più da vicino l’Italia allo scadere del consolato, si era fatto assegnare le due provincie della Gallia Cisalpina e della Gallia Comata. Quando Antonio mosse verso la Cisalpina, il governatore ufficialmente designato, Decimo Bruto, rifiutò di cedergliela e si rifugiò a Modena. 43 a.C. guerra di Modena. Il senato ordinò ai due consoli, Aulo Irzio e Caio Vibio Pansa di muovere in soccorso a Bruto; ad essi venne associato Ottavio. Vicino a Modena, Antonio fu battuto e costretto a ritirarsi verso la Narbonese, dove contava di unire le sue forze e quelle di Lepido. Morti entrambi i consoli, Ottavio chiese al senato il consolato per sé e ricompense verso i suoi soldati. Al rifiutò non esitò a marciare su Roma. Cosi nell’ agosto del 43 a.C. Ottavio viene eletto console insieme al cugino Quinto Pedio→ i due istituirono subito un tribunale speciale per perseguire i cesaricidi. Ottaviano si fa ratificare l’adozione dai comizi curiati, dal quel momento si fregiò del nome di Gaio Giulio Cesare (il cognomen Ottaviano lo usò raramente). Nel frattempo in Gallia Antonio si era ricongiunto con Lepido, attirando dalla propria parte anche il governatore della Spagna, Asinio Pollione. Ottobre 43 a.C. Ottaviano, Antonio e Lepido si incontrano nei pressi di Bologna. Stipulano un accordo, poi fatto sancire da una legge votata dai comizi tributi (lex Titia). → secondo triumvirato ‘rei publicae costituendae’ (magistratura ordinaria valida fino alla fine del 38 a.C.): conferiva il diritto di convocare il senato e il popolo, di promulgare editti e di designare candidati alle magistrature. Antonio conservava il governatorato della Gallia Cisalpina e Comata. Lepido ottenne la Gallia Narbonese e le due Spagne. Ottaviano l’Africa, la Sicilia, la Sardegna e la Corsica. Vennero resuscitate le liste di proscrizione, con i nomi degli assassini di Cesare e dei nemici dei triumviri; centinaia di senatori e cavalieri furono uccisi e i loro beni confiscati (tra questi anche Cicerone). I tre poterono rivolgere la loro attenzione ad Oriente, dove i cesaricidi Bruto e Cassio si erano costruiti una solida base di potere. Nel 42 a.C., dopo aver divinizzato Cesare → Ottaviano divenne così DIVI FILIUS, quest’ultimo e Antonio partirono alla volta della Grecia. Lo scontro decisivo ebbe luogo a Filippi, nell’ottobre del 42 a.C.: Ottaviano si trovò subito in difficoltà, ma Cassio, sconfitto da Antonio e convinto che anche Bruto fosse stato ucciso, si tolse la vita. Bruto sconfitto definitivamente si suicidò a sua volta. Dallo scontro con i cesaricidi usciva nettamente rafforzato Antonio: egli infatti si riservò il comando su tutto l’Oriente. A Lepido fu assegnata l’Africa, mentre ad Ottaviano la Spagna, insieme al compito di sistemare in Italia i veterani delle legioni→ il compito si rivelò particolarmente arduo, dal momento che l’agro pubblico sulla penisola era pressoché terminato. Si procedette così all’espropriazione dei terreni nei territori delle 18 città che erano destinate allo scopo. 41 a.C. le proteste dei proprietari terrieri si trasformano in rivolta aperta. Ottaviano fu costretto ad affrontare gli insorti, che si chiusero a Perugia, espugnata solo dopo un lungo assedio. Molti rivoltosi fuggirono tra le fila di Sesto Pompeo, il quale, impadronitosi della Sardegna e della Corsica, batteva i mari per impedire i rifornimenti dell’Italia e di Roma. Ottaviano si era impadronito delle Gallie, dove era morto il legato di Antonio. Ottaviano attraverso il matrimonio→40 a.C. (sposò Scribonia, sorella di Lucio Scribonio Lione, suocero di Sesto Pompeo), si avvicinò a Sesto Pompeo e Antonio, allarmato, mosse dall’Oriente verso l’Italia. I due si incontrarono a Brindisi (41 a.C.), dove venne stipulato un accordo in base al quale ad Antonio veniva assegnato l’Oriente, ad Ottaviano l’Occidente (esclusa l’Africa, riservata a Lepido). Antonio inoltre sposò Ottavia, sorella di Ottaviano. Nel 18 a.C. scadeva il mandato proconsolare per 10 anni sulle provincie non pacificate, che venne rinnovato per altri 5 anni. Nel 17 a.C. adottò i figli di Agrippa e Giulia, facendone di fatto i suoi successori designati. Nel 12 a.C. alla morte di Lepido, gli fu conferita la carica di pontefice massimo. L’ultimo riconoscimento ufficiale alla sua posizione di preminenza fu il conferimento del titolo di pater patriae che i senatori, i cavalieri e il popolo gli attribuirono nel 2 a.C. Inoltre Augusto prese provvedimenti che miravano a ripristinare il prestigio e la dignità dell’assemblea senatoria, favorendo l’accesso delle elites provinciali più fortemente romanizzate, quali la Gallia meridionale e la Spagna: -29-28 a.C.: lectio senatus: revisione delle liste dei senatori ed espulsione delle persone indegne. -18 a.C.: radicale revisione, riporta il numero dei senatori ai 600 previsti da Silla. Si definirono in modo rigoroso i due raggruppamenti da cui veniva reclutata la classe dirigente dello stato romano: senatori e cavalieri→ i primi detenevano tutte le più importanti magistrature a Roma e le maggiori posizioni di comando nelle provincie ma poiché il loro numero non era sufficiente (il censo minimo venne innalzato ad un milione di sesterzi), vennero impiegati membri del ceto equestre (in alcuni casi era Augusto stesso a concedere l’accesso ad uno dei due ceti). Roma, l’Italia e le provincie: per quanto riguarda Roma, che contava probabilmente già quasi un milione di abitanti, l’opera di Augusto si può valutare su due piani: quello monumentale e quello della razionalizzazione dei servizi. Egli concentrò la sua attività edilizia soprattutto nel foro romano, dove completò i programmi edilizi di Cesare. Trasformò l’aspetto del Campo Marzio, edificandovi il Pantheon e il suo mausoleo, un complesso architettonico celebrativo dell’opera del princeps. Durante il suo principato furono costruiti o restaurati molti edifici pubblici, acquedotti, terme, teatri e mercati e ci si preoccupò dell’organizzazione dei servizi importanti per l’approvvigionamento idrico e alimentare e per la protezione dagli incendi che devastavano la città. →creazione di un corpo di vigili del fuoco organizzati in coorti, ciascuna delle quali doveva proteggere due dei 14 quartieri in cui era stata divisa Roma. A capo dei vigili vi fu prefetto di ordine equestre. Verso l’8 d.C., in seguito ad una grave crisi, Augusto istituì un servizio stabile che doveva provvedere al rifornimento granaio delle provincie, con a capo un prefetto di ordine equestre. Alla morte di Agrippa, che si era fino a quel momento occupato dei più importanti servizi dell’Urbe in quanto edile, i suoi incarichi passarono a collegi di senatori. L’Italia non fu praticamente interessata da riforme amministrative. Tutti gli abitanti della penisola erano diventati cittadini romani; le circa 400 città italiche godevano di autonomia interna e non erano soggette all’imposta fondiaria. Augusto divise l’Italia in 11 regioni, ma non vi erano funzionari amministrativi responsabili di queste suddivisioni. L’amministrazione delle provincie vide un cambiamento di natura soprattutto politica: - le provincie non pacificate (di frontiera o di recente conquista) erano sotto il diretto controllo di Augusto. Crebbero da 5 a 13 alla fine del suo principato ed erano governate da appositi legati, i legati Augusti pro praetore. - Le altre provincie, pacificate, arrivate a 10 nel I sec d.C. erano invece di competenza del popolo romano, governate sempre da senatori, che comandavano le forze militari presenti assistiti da questori. Tuttavia anche in queste, Augusto poteva intervenire in virtù del suo imperium maius. - Un’eccezione all’ordinamento era costituita dall’Egitto, assegnata ad un prefetto del rango equestre designato da Augusto stesso. Il prefetto comandava le legioni installate, era responsabile dell’amministrazione della giustizia→ eccezione dovuta alla sua straordinaria importanza per l’approvvigionamento granaio di Roma. L’esercito, la pacificazione, l’espansione: all’indomani di Azio la paga dei soldati, il cui numero era maggiore rispetto al necessario, gravava in modo pesante sulle casse dello Stato (aerarium Saturni). La liquidazione dei veterani in un primo tempo fu sostenuta con i bottini di guerra e con il patrimonio personale di Augusto. Sotto di lui il servizio militare fu riservato a volontari, per lo più italici: l’esercito era quindi formato da professionisti che rimanevano in servizio per 20 anni o più. Si costituì in tal modo una forza permanente effettuava composta da 25 legioni. Un’altra innovazione importante fu l’istituzione di una guardia pretoriana, affidata al comando di un prefetto di rango equestre→ si trattava di un corpo militare d’elite composto da nove coorti, stanziato a Roma. La flotta invece stanziava in due porti, Miseno e Ravenna, ed era comandata da un prefetto equestre. Durante il suo regno, le acquisizioni territoriali vere e proprie furono limitate, malgrado guerre lunghe ed impegnative. Augusto preferì affidare alla diplomazia le questioni orientali. In Egitto furono estesi i confini meridionali grazie ad un accordo con gli Etiopi (29-27 a.C.), e venne condotta una spedizione fino allo Yemen per assicurare le vie commerciali con l’Oriente (25-24 a.C.). I confini del regno dei Parti vennero stabilizzati attraverso la creazione di stati cuscinetto nell’ambito dell’egemonia romana, che assolvevano a una funzione di controllo su zone poco urbanizzate a margine del deserto (Giudea, Cappadocia e Ponto). L’Armenia, dove gli interessi di Roma si scontravano con quelli dello stato Partico, divenne un regno cliente di Roma, grazie all’accordo tra Tiberio e il re Tigrane II. Il vero teatro degli scontri sotto Augusto fu l’Occidente. 27-25 a.C.: pacificazione della penisola iberica e dell’area alpina occidentale. 21-20 a.C.: il console Lucio Cornelio Balbo estese il controllo romano nell’Africa meridionale e sud-occidentale contro le tribù dei Garamanti. 16-15 a.C.: conquista dell’arco alpino centrale fino all’alto corso del Danubio da parte dei figliastri di Augusto, Tiberio e Druso. 14-9 a.C.: occupazione della Pannonia (attuale Ungheria); acquisizione della Mesia (attuale Bulgaria) con il definitivo consolidamento della frontiera danubiana. L’unico insuccesso, che la propaganda di Augusto non riuscì a mascherare, fu la mancata sottomissione della Germania, dove le truppe di Quintino Varo furono sconfitte pesantemente nel 9 a.C.→ foresta di Teutoburgo. La frontiera lì rimase dunque il Reno. La successione: i particolari poteri che Augusto aveva ricevuto dal senato non costituivano una carica vera a cui dopo la sua morte qualcuno potesse succedere. Egli doveva dunque trovare il modo di far sì che la sua posizione di potere non andasse perduta con la sua morte, senza imporre una svolta apertamente monarchica alle istituzioni. La prima preoccupazione di Augusto fu quella di integrare la propria famiglia nel nuovo sistema politico. L’erede scelto all’interno della gens avrebbe ricevuto non solo il patrimonio privato, ma anche una sorta di prestigio che gli garantiva un accesso privilegiato alla carriera politico-militare. Nel 12 a.C. Agrippa, marito della figlia Giulia ed erede designato, morì. Essendo i suoi figli, Caio e Lucio Cesari, minorenni, Augusto si rivolse ai figli della sua terza moglie Livia: Tiberio e Druso. Tiberio dovette divorziare dalla moglie e sposare Giulia nell’11 a.C., ma successivamente si allontanò dalla vita politica, rifugiandosi sull’isola di Rodi. I figli di Agrippa morirono giovanissimi, nel 2 e nel 4 d.C., allora Tiberio tornò a Roma e fu costretto ad adottare Germanico, figlio di suo fratello Druso. A sua volta Augusto adottò Tiberio (4 d.C.). Nel 13 d.C. Tiberio celebrò il trionfo sui Germani e gli venne conferito un imperium pari a quello di Augusto. I GIULIO-CLAUDI (14 d.C.-68 d.C.): una dinastia? 14 d.C.: morte di Augusto. → ceneri tumulate nel mausoleo sul Campo Marzio. Tra il 14 d.C. e il 68 d.C. il potere rimase all’interno della famiglia Giulio-Claudia. Alla morte di Tiberio, successore di Augusto gli successe Gaio, detto Caligola. Quando morì Caligola il potere rimase nelle mani di Claudio. L’ultimo esponente della dinastia fu Nerone. TIBERIO (14 d.C.-37 d.C.) Il suo governo fu una positiva prosecuzione di quello di Augusto. Durante il suo regno emerse uno dei problemi distintivi dell’età imperiale →il rapporto tra principe e senato. Tiberio fu un accorto amministratore dello Stato (definitiva modifica del sistema elettorale: passaggio delle votazioni dai comizi a partecipazione popolare al senato) capace di affrontare in modo adeguato delicate congiunture economiche. All’inizio del suo regno si ebbe la stabilizzazione della frontiera renana, tuttavia senza alcun proseguimento di ampliamento del territorio in Germania. Germanico, predestinato successore di Tiberio, venne ucciso in circostanze misteriose ad Antiochia, nel 19 d.C. Alla sua morte si aprì a Roma un conflitto politico tra Tiberio e Agrippina: si trattava di affrontare il problema della successione, a cui si erano candidati il figlio di Tiberio, Druso minore e uno dei figli di Germanico e Agrippina. Dal 23 d.C. il prefetto del pretorio Seiano iniziò a crearsi un forte potere personale. Si guadagnò la fiducia di Tiberio, di cui fu fedele collaboratore, e nel 26 d.C., quando l’imperatore decise di ritirarsi a Capri, dominò di fatto la vita politica a Roma. Nel 31 d.C. dichiarò Agrippina nemico pubblico e la imprigionò e insieme ai due figli maggiori. Gli ultimi anni del regno di Tiberio non furono felici: scoppiò una grave crisi finanziaria e si acuirono i contrasti con il Senato. Ebbe inizio un periodo di terrore, Agrippina si suicidò e i due figli vennero uccisi. Rimanevano come possibili successori, Tiberio Gemello, figlio di Druso Minore e Gaio, detto Caligola, unico figlio sopravvissuto di Germanico e Agrippina. Nel 37 a.C. alla morte di Tiberio, vennero nominati eredi congiunti, ma Caligola fece uccidere Tiberio, ancora minorenne e divenne unico imperator. Fu evocatore degli antichi costumi e della disciplina; dedito all’obbedienza, taciturno, discreto artista ed esteta→ un rappresentante dello stoicismo che cercò di fermare il processo di ellenizzazione, che già sotto il dominio di Augusto, Roma aveva subito. Ripristinata la durezza dei costumi romani; vietò il culto della sua persona. Tiberio può essere considerato il fautore della ‘moderatio’: politica economica parsimoniosa e politica militare intenta non alla conquista di nuovo territori ma al loro consolidamento all’interno del mondo imperiale. CALIGOLA (37 d.C.-41 d.C.) Si trattava di una soluzione che prescindeva dunque dalla carriera politico-militare, da un’adozione nella famiglia Giulia e anche da una preparazione “istituzionale”: Caligola infatti non era stato adottato da Tiberio e non aveva condiviso con lui né imperium proconsolare né potestà tribunizia. Era una designazione che si basava solo sulla linea familiare, attingendo dal ramo della famiglia di Germanico, piuttosto che da Tiberio. Caligola discendeva, dunque, per linea femminile da Augusto  La mancanza di una soluzione per la successione fu la causa di una grave crisi. Nerone fu l'ultimo imperatore della gens Giulio-Claudia. Figlio di Gneo Domizio Enobarbo e di Agrippina Minore, cambiò il suo nome (Lucio Domizio Enobarbo) in Nerone Claudio Cesare dopo essere stato adottato dall'imperatore Claudio, che sua madre aveva sposato in seconde nozze. Nel 53 sposò la figlia di Claudio, Ottavia. Alla morte di Claudio, nel 54, i pretoriani, guidati dal prefetto del pretorio Sesto Afranio Buro (fedele ad Agrippina) lo proclamarono imperatore. Sotto la guida di Buro e del filosofo Seneca, suo tutore, Nerone cercò una collaborazione col senato, la cui autorità era notevolmente diminuita durante i regni degli ultimi imperatori. Entrato in contrasto con la madre, che si opponeva alla sua relazione con Poppea Sabina e intendeva esercitare sempre maggiore influenza, Nerone fece uccidere Britannico, figlio di Claudio e di Messalina, considerato un possibile pretendente al trono e allontanò la madre da Roma, facendola uccidere nel 59 a.C. L’ANNO DEI QUATTRO IMPERATORI Si erano così create le condizioni per una nuova guerra civile, che vide contrapposti senatori, governatori o comandanti militari che, forti del sostegno dei loro eserciti, assunsero il titolo di imperatori. La crisi del 69 d.C., con quattro imperatori (Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano), che si combatterono l’uno contro l’altro, mostrò come l’asse dell’Impero si fosse spostato lontano da Roma e come le legioni fossero in grado di imporre il loro volere. L’esito finale, con la proclamazione a imperatore di Vespasiano, mette in risalto come il principato potesse essere ricoperto anche da un uomo non necessariamente di estrazione senatoria. Servio Sulpicio Galba: era un anziano senatore, governatore della Spagna Tarraconense. I suoi soldati lo nominarono Cesare ma lui rifiutò il titolo, ritenendo che i militari non avessero alcun diritto di conferirglielo. Ciò nonostante si diede da fare per acquisire il sostegno di altri oppositori di Nerone ma soprattutto del senato. Galba fu riconosciuto imperatore da una delegazione di senatori, accettando questa volta il titolo; non seppe tuttavia guadagnarsi la popolarità e gli appoggi necessari a mantenere il potere: si rese infatti odioso alla plebe e ai soldati per i tagli alle spese con cui cercò di rimediare ai disastri finanziari di Nerone. Marco Salvio Otone: popolare tra i pretoriani e l’ordine equestre, era stato amico d’infanzia di Nerone. Dopo che i pretoriani ebbero linciato Galba nel Foro, ottenne anche il riconoscimento del senato, delle provincie danubiane e dell’Oriente. Fu proclamato imperatore nel gennaio del 69 d.C. Contemporaneamente le legioni sul Reno proclamarono imperatore il proprio comandante, Aulo Vitellio, legato della Germania superiore. Aulo Vitellio: era un senatore di rango consolare. Ebbe presto il sostegno di parecchi altri eserciti stanziati nelle provincie. I suoi legati riuscirono ad attraversare le Alpi prima della fine dell’inverno e sconfissero Otone nell’aprile del 69. Vitellio, riconosciuto imperatore quando era ancora in Gallia, ebbe grandi difficoltà a frenare i soldati che avevano combattuto per Otone. A quel punto le legioni orientali e quelle danubiane si ribellarono a Vitellio, proclamando imperatore Vespasiano. Tito Flavio Vespasiano: il 1 luglio del 69 d.C. il prefetto d’Egitto organizzò la sua proclamazione ad imperatore da parte delle truppe stanziate ad Alessandria. Seguì l’acclamazione degli eserciti presenti in Giudea, poi delle legioni della Siria, guidate la Licinio Muciano e infine di quelle Danubiane. Mentre Vespasiano si trovava in Egitto, le legioni siriane e danubiane marciarono su Roma e sconfissero i Vitelliani. La lotta tra i sostenitori di Vitellio e Vespasiano continuò anche a Roma con scontri violenti finchè nel dicembre del 69 d.C., l’avversario venne ucciso. Vespasiano venne riconosciuto imperatore dal Senato. VESPASIANO (69 d.C.-79 d.C.) Con Vespasiano inizia la dinastia dei Flavi, che comprende il periodo di Impero di Vespasiano stesso e dei suoi due figli Tito e Domiziano. L’idea della trasmissione del potere dinastico sarà celebrata attraverso l’esaltazione della aeternitas imperii: il principato di Vespasiano rappresenta il definitivo consolidamento dell'Impero come istituzione. L’autorità del princeps fu definita con un decreto del senato→ “LEX DE IMPERIO VESPASIANI”, che fissava le prerogative dell’imperatore e del senato (dando quindi una parvenza di legalità ai poteri dell’imperatore. Ciò che Augusto aveva fatto sottobanco, Vespasiano lo istituzionalizza, per avere una legittimazione politica.) Fu un ottimo imperatore, dovette affrontare il grave deficit bancario provocato dalla politica di Nerone e dalla guerra civile. I provvedimenti presi in questo senso gli diedero la fama di ‘tirchio’, ma in realtà si rivelò un astuto amministratore. Estese ai cavalieri la responsabilità di alcuni uffici, togliendoli ai liberti. Favorì l'estensione della cittadinanza e reclutò sempre più spesso i legionari dalle provincie. Il denaro per la ricostruzione del Campidoglio, distrutto da un incendio durante gli scontri con i vitelliani e per le varie opere edilizie di Roma, tra cui il Colosseo e il Foro della Pace, vennero dal bottino di guerra, specialmente quella giudaica: nel 70 d.C. Tito conquistò Gerusalemme e ne distrusse il tempio. Gli ultimi focolai di resistenza furono annientati nel 73/74 d.C. con la distruzione di Masada. Negli anni di impero, Vespasiano ristabilì l’ordine nelle zone di confine lasciate sguarnite dalle truppe che avevano partecipato alle guerre civili, soprattutto sul Danubio e in Britannia. Anche in Germania annesse la zona degli agri decumates, lungo il corso superiore del Reno e del Danubio, che servirono poi a Domiziano come base per la fortificazione del limes germanico. In Oriente abbandonò la politica dei regni clienti, aggregandone i territori alle provincie esistenti o creandone di nuove. Complessivamente riuscì a godere di un certo consenso. TITO (79 d.C.-81 d.C.) Tito, oltre a ricoprire insieme al padre alcune magistrature, combattere al suo fianco a Gerusalemme, che venne letteralmente distrutta→ diaspora degli ebrei e formazione dello stato di Israele← era stato eccezionalmente anche prefetto del pretorio e, nel 71 d.C. aveva ricevuto l’imperium proconsolare e la potestà tribunizia. Nel 79 d.C., alla morte di Vespasiano, l’avvicendamento avvenne senza problemi e continuò sule linee tracciate. Il breve regno di Tito fu funestato da calamità naturali, tra cui l’eruzione del Vesuvio che provocò la distruzione di Pompei ed Ercolano e un doloso incendio di Roma. La popolarità del princeps era legata ad una politica di munificenza che discostava da quella del padre, veniva infatti considerato dagli storici, più figlio di Nerone che di Vespasiano, perché sperperava molto denaro in giochi e spettacoli con gli animali o con gladiatori. Tito morì e gli successe il fratello Domiziano. DOMIZIANO (81 d.C.-96 d.C.) Il suo regno è caratterizzato da uno stile di governo autocratico, inviso al senato, ma la sua opera politica fu benefica ed efficace per l’Impero. Domiziano si preoccupò dell’amministrazione delle provincie, di reprimere gli abusi dei governatori e di promuovere i compiti burocratici del ceto equestre. 83 d.C.: Germania, medio Reno. La scelta di rinunciare a ulteriori conquiste militari a favore di operazioni di rafforzamento delle frontiere, si rivelò realistica e lungimirante. → fece costruire un impianto di accampamenti fortificati, collegati tra loro da una rete di strade con i forti presidiati da soldati ausiliari sul limes, la linea avanzata aveva alle spalle la serie dei castra dove stazionavano i legionari. 85 d.C.: in Dacia (attuale Romania), re Decebalo era riuscito a unificare le varie tribù e a guidarle in diverse incursioni contro il territorio romano. Una prima campagna non ebbe successo. La seconda, guidata da Domiziano in persona, non potè portare a risultati definitivi a causa della rivolta di L. Antonio Saturnino, governatore della Germani superiore, che costrinse Domiziano a firmare una pace provvisoria con Decebalo. Quest’ultimo non dovette cedere alcun territorio ma concludere un foedus in cui accettava di dipendere dall’Impero romano, ricevendo in cambio una corresponsione in denaro. La rivolta di Saturnino, che fu domata da legato della Germania inferiore, ebbe pesanti ripercussioni sulla politica del princeps: continuando a sentirsi minacciato, l’imperatore inaugurò un periodo di persecuzione ed eliminazione di persone sospettate a tramare contro di lui, e di presunti simpatizzanti delle religioni ebraica e cattolica, accusati di praticare culti contrari a quelli ufficiali. Questo stile autocratico costò caro a Domiziano (si era autoproclamato censore a vita e si faceva chiamare ‘signore e dio’), che nel 96 d.C. cadde vittima di una congiura. Il senato giunse a proclamarne la damnatio memoriae, cioè a ordinare che fossero distrutte tutte le sue statue, cancellato il suo nome dalle iscrizioni e distrutto ogni suo ricordo. Di conseguenza la storiografia di matrice senatoria, soprattutto quella di Tacito e Plinio il Giovane, ci lascia di lui l’immagine di sovrano dispotico e di pessimo imperatore. IL II SECOLO Il II secolo d.C. è considerato come l'età più prospera dell'Impero romano che, sicuro nei suoi confini, poté godere di un notevole sviluppo economico e culturale. Roma riuscì a creare questo grande Stato perché fu in grado di omologare tutti i popoli sottomessi, e vi riuscì attraverso, innanzitutto, la cooptazione dei ceti dirigenti vinti. L’altro grande elemento, fu la concessione della cittadinanza romana→ inizialmente ai popoli romani e ai Latini, poi agli Italici, attraverso le guerre sociali. Tutti vi aspiravano, perché così si poteva accedere alle magistrature, poi perché così si potevano avere privilegi economici, e soprattutto privilegi penali ( i cittadini romani non potevano essere sottoposti alla morte). Essa venne conferita, in circostanze straordinarie e su concessione personale dell’imperatore, anche ad alcuni provinciali (tra questi vi fu San Paolo, centurione) e a tutti i membri di pieno diritto dell’esercito. E’da ricordare che fuori Italia fu concessa gradatamente, solo nel 212 d.C. con l’Editto di Caracalla, detto “Constitutio Antoniniana’’, per si assisté al definitivo superamento della distinzione tra italici e provinciali. Dai documenti, di Ulpiano (giurista del III secolo) e di Cassio Dione, risulta la cittadinanza romana fu negata soltanto ai ‘dediticii’, cioè coloro che si sono arresi, nonché i sudditi, forse da riferire ai barbari non ancora assimilati. L’unico popolo che, invece, lottò al contrario, cioè per non avere la cittadinanza, furono gli Ebrei. NERVA (96 d.C.-98 d.C.) Il breve principato di Nerva vide la restaurazione delle prerogative del senato e un tentativo di riassetto degli equilibri istituzionali interni. La sua prima preoccupazione fu quella di controllare le reazioni dell’uccisione di Domiziano e scongiurare il pericolo dell’anarchia. Garantito l’ordine interno, l’imperatore si volse a un’opera costruttiva politica, finanziaria e sociale a favore di Come successore, Adriano scelse il console del 136 d.C., Lucio Elio Cesare, che adottò. Dopo la sua morte prematura la scelta dell’imperatore cadde verso un senatore della Gallia Narbonese, Arrio Antonino. Costui adottò a sua volta Lucio Vero e il futuro Marco Aurelio. ANTONINO PIO (138 d.C.-161 d.C.) Il regno di Antonino Pio fu all’insegna della continuità con quello precedente. A differenza di Adriano però rinunciò ai grandi viaggi. Quello del suo regno fu un periodo sostanzialmente privo di avvenimenti significativi: il principe ebbe buoni rapporti con il senato e fu un parsimonioso amministratore, non risentì di minacce alcune che potessero intaccare la sicurezza dell’impero. Per su volontà il vallo di Adriano fu avanzato sino alla Scozia meridionale (vallo di Antonino). Tra il 138 e il 161 d.C. Roma raggiunse l’apogeo del proprio sviluppo. Le città rappresentavano il segno distintivo della civiltà rispetto alle barbarie. Nell’impero vi era dunque una grande varietà di tipologie cittadine e una grande diversità di statuti. Le città erano organizzate secondo tre tipologie fondamentali: - Città peregrine: quelle preesistenti alla conquista e alla loro riorganizzazione interna all’Impero. A loro volta possono essere classificate in tre gruppi a seconda del loro status giuridico nei confronti di Roma→ le città stipendiate (pagavano un tributo), le città libere e le città libere federate (concludevano con Roma un trattato sul piano d’uguaglianza). - Municipi: agli abitanti di queste città veniva accordato il diritto latino o romano - Colonie: città di nuova fondazione con apporto di colono che godono della cittadinanza romana su terre sottratte ad altre città o a popoli vinti. Le città costituivano il punto di riferimento delle attività economiche e i nuclei della vita culturale. Roma, diffondendo la cultura urbana e promuovendo la crescita e la collaborazione con l’elites cittadina, si assicurava in primo luogo il controllo dell’ordine e della stabilità in tutto l’Impero. Fin dai suoi primi atti Antonino riuscì a conciliarsi le simpatie del Senato: non prese provvedimenti contro coloro che si erano opposti all'apoteosi di Adriano, propose un'amnistia in favore di coloro che erano stati condannati dal suo predecessore, protestò di voler trattare col massimo rispetto i senatori e di governare con grande indulgenza. Antonino Pio non portò alcuna innovazione nella politica, cercò di temperare quella del suo predecessore in quello che contrastava con lo spirito e gli interessi del Senato. E poiché uno degli atti meno felici di Adriano era l'aver considerato l'Italia alla stregua delle province, secondo i più Antonino rimise la penisola nella precedente situazione di privilegio e restituì all'Italia l'oro che era stato offerto per la sua adozione. Antonino Pio morì nel 161 d.C. in età di settantaquattro anni, dopo tre giorni di febbre. Il giorno stesso della sua fine, chiamò nella sua camera gli amici e i prefetti delle coorti pretorie, cui raccomandò Marco Aurelio. MARCO AURELIO (161 d.C.-180 d.C.) Come voleva Antonino Pio, inizialmente il potere fu diviso tra Marco Aurelio e il fratello adottivo, Lucio Vero. Fu il primo caso di doppio principato nella storia imperiale romana, vale a dire della piena condivisione del potere da parte di due imperatori, posti su un piano di perfetta uguaglianza. Nel 166 d.C. Vero concluse vittorioso la guerra contro i Parti, ma portò a Roma la peste, che si diffuse negli anni successivi causando lutti e devastazioni. A nord, superato il Danubio (Marcomanni e Quadi) invasero la Pannonia, la Rezia e il Norico, giungendo persino a minacciare l’Italia. Morto Lucio Vero nel 169 d.C., Marco Aurelio riuscì a stabilizzare la situazione solo nel 175 d.C., respingendo i barbari al di là del Danubio, dopo campagne difficili che si protrassero per quasi dieci anni. → riaddestramento dell’esercito con conseguente lievitazione delle spese e inasprimento fiscale→ impoverimento rapido. 175 d.C., rivolta del governatore di Siria, Avidio Cassio (si autoproclamò imperatore): venne ucciso dai suoi stessi soldati, che prevennero così il conflitto armato. Marco Aurelio passò alla storia con l’immagine dell’imperatore- filosofo, seguace della dottrina stoica. Con lui si fece ritorno alla prassi della successione dinastica, al posto della cooptazione della persona ritenuta più idonea. Il caso volle che il figlio Commodo, che gli succedette, da lui nominato correggente sin nel 177 d.C. risultasse del tutto indegno della carica. Morì nel 180 d.C. a Vindobona (odierna Vienna). COMMODO (180 d.C.-192 d.C.) Divenne imperatore a soli 19 anni, mostrandosi la perfetta antitesi del padre. Il suo primo atto fu quello di concludere la pace con le popolazioni che premevano sul Danubio. Le sue inclinazioni dispotiche, la stravaganza, le sue innovazioni in campo religiosi determinarono una rottura significativa con il senato. Dal 181 al 185 d.C. il governo fu in mano a Tigido Perenne, prefetto del pretorio; alla sua morte passò nelle mani di Cleandro (liberto), perfetto rappresentante del nuovo potere di palazzo rispetto a quello dello Stato, approfittò del disinteresse di Commodo per le istituzioni per avvalersi di un potere immensamente arbitrario. La necessità di rimpinguare le casse dell’imperatore portò alla confisca dei beni di illustri senatori e cavalieri. Una grave carestia che colpì Roma nel 190 d.C., fece cadere il potere di Cleandro, offerto come capo espiatorio alle ire della plebe. Tra il 190 e il 191 d.C. l’imperatore lasciò il governo in mano ad Ecleto, un cortigiano. Commodo non dimostrò alcuna cura assidua per le provincie o per i soldati stanziativi, i quali infatti diedero segni di inquietudine e di rivolta a causa dei mancati pagamenti. Tuttavia durante il suo principato vi furono segnali di integrazione alla cultura provinciale e l’accoglimento di molte divinità straniere, che entrarono alla pari nel Pantheon romano, quali la Magna Mater, Iuppiter Dolichenus, Mitra.. Si venne così a creare una sorta di carisma divino intorno al princeps, si faceva addirittura chiamare ‘Ercules romanus’ ma questo atteggiamento finì col portare solo ulteriore dissenso. Una congiura di pretoriani ne sancì la morte (192 d.C.), la sua memoria fu condannata quasi si trattasse del peggiore dei tiranni e il suo nome cancellato da ogni monumento. CAP 5: LA CRISI DEL III SECOLO E LE RIFORME DI DIOCLEZIANO Già durante i regni di Marco Aurelio e Commodo, all’interno dell’impero si erano manifestati diversi fattori di crisi che divennero presto elementi di disgregazione: in campo politico, il senato si trovò esautorato a vantaggio dei militari, mentre in campo fiscale la svalutazione della moneta impoverì i ceti medi, portando con sé la decadenza economica delle città. Nel corso del III secolo questa crisi si aggravò, conducendo l’Impero ad una situazione difficilissima. Due furono le componenti decisive in tale processo: l’esercito all’interno e i barbari all’esterno, che devono essere messe in correlazione con la grave crisi economica che l’Impero stava attraversando. E’ al nuovo ruolo dell’esercito che si deve la trasformazione dell’ideologia del potere imperiale verso forme sempre più assolutistiche. Cambia anche il rapporto tra imperatore e senato: ormai l’imperatore riconosce al senato solo la funzione di organismo burocratico soggetto alla propria autorità assoluta. La situazione confusa che segue all’uccisione di Commodo presenta forti analogie con quella del 68-69 d.C. (l’anno dei quattro imperatori). Ci fu un periodo di regni effimeri → Pertinace e Didio Giuliano, ma si comprese subito che la vera lotta per il potere riguardava chi aveva il controllo delle forze militari più ingenti:  Settimio Severo, legato di Pannonia  Pescennio Nigro, governatore della Siria  Clodio Albino, governatore della Britannia. 197 d.C.: vittoria di Settimio Severo→ mosse i suoi soldati direttamente alla volta di Roma. Impossessatosi del potere, diede vita alla dinastia dei Severi (poi Caracalla, Elagabalo e Severo Alessandro) che resse l’Impero fino al 235 d.C. SETTIMIO SEVERO (197-211 d.C.) Generale africano di Leptis Magna (nell’attuale Libia). Con il suo regno ha inizio quella che viene definita ‘monarchia militare’, nella quale l’autorità dell’imperatore si basa sulla forza degli eserciti. Settimio rivolse subito la sua forza verso la frontiera orientale, nuovamente minacciata dai Parti. Nel 198 d.C., si era impadronito della capitale nemica, Ctesifonte, che venne rasa al suolo. Riuscì a portare il confine romano sino al fiume Tigri e fu proprio grazie a questo successo che prese forma il suo progetto dinastico: il figlio maggiore Caracalla fu nominato Augusto, mentre il minore Geta, fu proclamato Cesare. Nel 208 d.C. decise di organizzare una spedizione in Britannia, dove a creare problemi erano le incursioni dei Caledoni, abitanti dell’odierna Scozia. Le operazioni militari di difesa non si erano ancora concluse quando l’imperatore morì a York, nel 211 d.C. CARACALLA (211-217 d.C.) Fece assassinare il fratello Geta in modo da avere tutto il potere per sé. Nel 212 d.C. dispose la concessione della cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’Impero, ad eccezione dei cosiddetti ‘dediticii’, ovvero coloro che si erano arresi (i sudditi, forse da riferire ai barbari non ancora assimilati), attraverso la promulgazione della Constitutio Antoniana, meglio nota come Editto di Caracalla, alla quale contribuirono probabilmente ragioni di carattere fiscale: con tale provvedimento aumentava il numero dei contribuenti→ necessari per rimpinguare le casse dello Stato. La politica di forti concessioni ai legionari e ai pretoriani, richiedeva la disponibilità di sempre maggiori risorse, motivo che spinse l’imperatore alla coniazione di una nuova moneta: l’antoniano. Anche Caracalla non si sottrasse all’ambizioso disegno di condurre una campagna in Oriente contro i Parti. Durante questa spedizione, nel 217 d.C., venne assassinato a Carre, senza aver nominato un successore. Imperatore fu allora proclamato il prefetto del pretorio Macrino, uno dei capi della congiura (217-218 d.C.) →era la prima volta che un membro dell’ordine equestre diveniva imperatore. Tuttavia l’avversione del Senato e la scontentezza dello stesso esercito (insoddisfatto della pace da lui stipulata con i Parti) che lo aveva eletto, fecero sì che il suo regno durasse solo un anno. ELAGABALO (218 d.C.-222 d.C.) Con il regno di Diocleziano si chiuse definitivamente l’età buia che va sotto il nome di crisi del III secolo. Si tratta di un’età di novità, contraddistinto da una forte volontà restauratrice dello Stato a tutti i livelli: politico-militare, amministrativo ed economico. A partire da questo momento ha inizio la fase del cosiddetto ‘dominato’ rispetto al precedente ‘principato’; questa periodizzazione può giustificarsi anche in riferimento ad un’altra che fa del regno di Diocleziano e di Costantino il momento iniziale di quell’età dell’Impero che si suole designare come Tarda Antichità. Stabilì la propria sede a Nicomedia (Bitinia), in Oriente perché in quel momento appariva più solido dell’Occidente. L’ideologia conservatrice che ispirò le sue riforme ebbe come esito una serie di misure che riorganizzarono l’Impero su base diversa rispetto a quelle originarie. Diocleziano concepì un sistema di potere in base al quale al vertice dell’impero vi era un collegio composto da quattro monarchi: i ‘tetrarchi’, due dei quali, detti Augusti erano di rango superiore rispetto ai secondi, detti invece Cesari. Questa riforma che aveva come principale obiettivo quelle di fronteggiare meglio le varie crisi regionali attraverso una ripartizione territoriale del potere, fu attuata attraverso tappe graduali. Il principio che veniva introdotto era quello della cooptazione. Una delle conseguenze della Tetrarchia fu che ogni Augusto regnava alternativamente sull’Oriente e sull’Occidente: Diocleziano a Nicomedia, Massimiano a Milano. Anche il numero delle provincie aumentò, mentre si ridusse la loro espansione territoriale. L’esercito fu ulteriormente potenziato e le truppe migliori messe a disposizione diretta dei tetrarchi. Diocleziano si impegnò anche nella riorganizzazione del sistema economico e fiscale (tassazione sul reddito agricolo, impero diviso in 12 unità regionali, dette diocesi e riforma monetaria→ coniò monete d’oro e d’argento di ottima qualità, cioè ad alta percentuale di metallo prezioso, che tuttavia scomparvero subito dalla circolazione perché la gente preferiva tesaurizzarle). Nel 301 d.C., un calmiere indicava il prezzo massimo delle merci, che non era consentito superare: ‘edictum de pretiis’. In campo militare i successi più importanti riguardarono la soppressione di rivolte scoppiate in Egitto e Britannia. Tra 303 e 304 d.C. ebbe inizio una violenta ondata di persecuzioni contro i cristiani. (cessarono solo dieci anni dopo) Il 1 maggio 305 d.C., Diocleaziano e Massimiano abdicarono e il loro posto, fu preso dai due Cesari, Costanzo Cloro per l’Occidente e Galerio per l’Oriente. Il sistema tetrarchico entrò subito in crisi: alla morte di Cloro, a York, l’esercito nominò imperatore il figlio Costantino invece che il Cesare designato, Severo. Era la rivincita del sistema dinastico su quello di una successione che privilegiasse considerazioni diverse dai legami di sangue. Non a caso anche il figlio di Massimiano, Massenzio rivendicò per sé il potere imperiale. DA COSTANTINO A TEODOSIO MAGNO: la tarda antichità e la cristianizzazione dell’impero Il periodo che inizia con Costantino e arriva sino a Giustiniano viene indicato con il termine Tarda Antichità. (concetti che caratterizzano quest’età in senso negativo: ‘dominato’, con riferimento alla posizione dell’imperatore rispetto al sistema; ‘stato coercitivo’ con riferimento ad una società in cui la divisione tra poche categorie privilegiate (honestiores) e la grande massa dei deboli (humiliores) è sempre più netta. Conseguenza? Dirigismo e assolutismo). Al suo interno si distingue una fase particolarmente significativa, quella che va dal regno di Costantino alla morte di Teodosio Magno (395 a.C.): esso coincide più o meno con il IV sec d.C. e con il definitivo affermarsi del cristianesimo come religione dell’impero romano. In questo periodo il governo dello Stato è diretto dai detentori delle più alte cariche civili e militari. L’imperatore non risiede più a Roma, il che comporta un distacco dell’aristocrazia senatoria dagli organismi di potere (il senato smette di avere un potere reale), e si assiste alla scomparsa dell’ordine equestre, assorbito definitivamente da quello senatorio. Il rapporto con la plebe urbana è particolarmente delicato: l’organizzazione di giochi costosi, così come la responsabilità degli approvvigionamenti alimentari, ricade sull’aristocrazia senatoria→ la figura chiave del prefectus ubris è a loro esclusivo appannaggio. COSTANTINO (306-337 d.C.) Inizialmente condusse una politica prudente, che conobbe una svolta nel 310 d.C.: a partire da questo momento, mostrò di propendere per una religione di tipo monoteistico. Nel giro di due anni l’intricata situazione politica si semplifica: Costantino ebbe la meglio su Massenzio nel 312 d.C., nella battaglia di ponte Milvio, e poté impadronirsi di Roma. La vittoria fu ottenuta nel segno di Cristo, da un imperatore che aveva abbandonato il cristianesimo per il paganesimo. La conversione di Costantino fu un evento di portata rivoluzionaria, perché significò l’inserimento delle strutture della Chiesa in quelle dello Stato. L’episodio ebbe probabilmente luogo dopo la vittoria su Massenzio. All’inizio del 313 d.C. Costantino e Licinio si incontrarono a Milano, dove si accordarono sulle questioni fondamentali della futura politica religiosa→ ‘editto di Milano’. I contrasti tra i due che governavano l’impero però, non tardarono. Nel 324 d.C., Costantino sconfisse Licinio ad Adrianopoli, diventando di fatto unico imperatore, 325 d.C. concilio di Nicea: venne convocato per salvaguardare l’unità della Chiesa da conflitti di ordine teologico. Costantino presiedette personalmente dopo che invano aveva supplicato i due contendenti, Alessandro e Ario, di trovare un accordo. Ario negava infatti la natura divina di Cristo. 330 d.C.: fondazione di Costantinopoli (odierna Istanbul), edificata in posizione strategica, proprio all’ingresso del Mar Nero. Riconoscimento ufficiale dell’importanza dell’Oriente all’interno dell’Impero. Dotata di tutte le strutture che potevano equipararla a Roma, ebbe anche un senato che tuttavia non conseguì mai il prestigio dell’assemblea romana. Tra le riforme di Costantino, una delle più importanti fu quella che riguardava l’esercito: a lui si deve la creazione di un esercito mobile, detto comitatus, perché accompagnava l’imperatore, il comando fu affidato a due distinti generali, uno di cavalleria e uno di fanteria. I soldati che ne facevano parte furono detti comitatenses, mentre quelli collocati direttamente sulla frontiera, limitanei. Il problema militare non fu però completamente superato: l’esercito mancava di soldati, che finirono per essere reclutati tra i barbari che premevano sulle frontiere piuttosto che tra i contadini. La minaccia barbarica era diventata così importante che non consentiva una soluzione definitiva: l’Impero da un lato tentava di combatterli, dall’altro attuava una politica di assorbimento nei quadri del suo organismo statale→ ‘barbarizzazione della società’. Costantino ricevette il battesimo, solo in punto di morte, nel 337 d.C., il giorno della Pentecoste. Moriva con il titolo di ‘isoapostolo’ e ‘vescovo universale’ ma conservando allo stesso tempo la carica di pontefice massimo, di capo supremo della religione pagana. Alla morte dell’imperatore, che non aveva affrontato in modo coerente in vita il problema della successione, regnava un clima di incertezza. I suoi tre figli Costantino II, Costante e Costanzo trovarono un accordo per il governo congiunto dell’impero:  Costantino II: Gallie, Britannia e Spagna.  Costante: Africa e Italia.  Costanzo II: Oriente. L’accordo si rivelò assai precario, già nel 340 d.C. Costantino II venne ucciso durante un’incursione nei territori di Costante, che a sua volta venne ucciso nel 350 d.C. da un usurpatore, Magnezio. Ritrovatosi unico imperatore, Costanzo II fu costretto a trovare qualcuno a cui offrire il governo dell’Occidente: la scelta ricadde sul cugino Giuliano, che nominato Cesare nel 355 d.C., riuscì a pacificare le Gallie grazie alla vittoria sugli Alamanni. Proclamato nel 360 a.C. imperatore, dalle truppe sembrò ricondurre l’esercito versi un nuovo conflitto dinastico, che fu prevenuto dalla morte di Costanzo II, nel 361 d.C. quando morì in una campagna contro i Persiani. La morte di Giuliano in territorio persiano richiese nello stesso tempo la nomina di un successore e la rapida soluzione del conflitto. VALENTINIANO (364-375 d.C.) Affidò subito al fratello Valente il governo dell’Oriente. Valentiniano si segnalò per una politica di tolleranza religiosa e di sostegno delle classi più umili. Il suo regno è però soprattutto importante per un efficace contegno dei barbari che premevano ai confini. Tra il 365 e il 375 d.C. Valentiniano riuscì a difendere il confine danubiano-renano. Nel frattempo a Valente toccò affrontare una situazione difficilissima: l’incursione degli Unni sottoponeva a forte pressione i Goti, che a loro volta spingevano sulla frontiera danubiana. Falliti i tentativi di insediarli pacificamente, Valente li affrontò nella battaglia di Adrianopoli (378 d.C.), che si risolse in un massacro per l’esercito romano e dove lo stesso imperatore perse la vita. Alla morte di Valentiniano gli successe il figlio, Graziano, insieme al fratello Valentiniano II. Essendo ancora un ragazzino Graziano chiamò l’esperto generale Teodosio a condividere con lui la guida dell’Impero. Il compito di Teodosio era quello di far fronte alla drammatica situazione che si era creata in Oriente: consapevole dell’impossibilità di ricacciare i Goti oltre le frontiere, Teodosio concluse un accordo con il loro capo nel 382 d.C. → la particolarità di questo trattato risiede nel fatto che i Goti ricevettero delle terre all’interno dell’Impero romano come popolazione autonoma e mantenevano i loro capi, le loro leggi, pur essendo tenuti a fornire dei soldati all’impero. Nel frattempo in Occidente la situazione si andava complicando. Nel 388 d.C.: usurpazione di Magno Massimo in Britannia. Quando questi invase le Gallie, Graziano si tolse la vita. Dopo aver governato per qualche anno, Massimo invase l’Italia, dove governava Giustina, per conto del figlio Valentiniano II. L’invasione provocò la reazione di Teodosio, che sconfisse Massimo nel 388 d.C. Le cose si erano appena sistemate quando un generale africano, Arbogaste, fece assassinare Decenni iniziali del V secolo: i Vandali posero fine alla storia dell’Africa romana. Nel 429 d.C. essi passarono dalla Spagna in Africa attraverso lo stretto di Gibilterra. L’anno dopo assediarono Ippona (nell’odierna Algeria), qui trovò la morte il vescovo della città, Sant’Agostino. Nel 439 d.C. cadde anche Cartagine e il re vandalo Genserico ottenne dalla corte ravennate il riconoscimento del suo regno, che tuttavia non durò a lungo: fu infatti conquistato da Giustiniano nel 534 d.C. e inglobato nell’Impero d’Oriente. Contemporaneamente dalla Pannonia incombevano gli Unni, guidati da Attila. In un primo tempo essi si diressero verso Oriente, in seguito indirizzarono le loro mire verso Occidente. Dopo aver invaso la Gallia, gli Unni vennero sconfitti da Ezio nel 451 d.C. Quando Attila mosse alla volta dell’Italia, l’anno successivo, lasciarono improvvisamente la penisola dopo aver incontrato una delegazione guidata da papa Leone I. La morte di Attila provocò la rapida dissoluzione del suo regno. 454 d.C.: morte di Ezio. 455 d.C.: Roma venne saccheggiata per la seconda volta, in questa data da Genserico, re dei Vandali. 457-461 d.C.: regno di Maggiorano, ultimo imperatore d’Occidente che tentò una riscossa militare. Venne eliminato da un generale barbaro. 474 d.C.: Zenone, imperatore d’Oriente, nominò imperator Giulio Nepote, contro il quale si ribellò Oreste. 476 d.C.: Romolo, detto scherzosamente Augustolo per la sua giovane età, il figlio che Oreste aveva insediato sul trono imperiale, fu spodestato dal capo barbarico Odoacre. Quest’ultimo però non rivendicò per sé il titolo di imperatore, ma rimise le insegne del potere a Zenone, accontentandosi di fatto del titolo di re del suo popolo. Cadde così, ‘senza rumore’ (Arnaldo Momigliano) l’Impero Romano d’Occidente. I regni romani barbarici Mentre la penisola italica rimaneva per un certo periodo sotto il controllo di Odoacre, l’imperatore d’Oriente Zenone cercò di porre riparo alla situazione attraverso l’intervento di popolazioni barbariche amiche. Nel 488 d.C. Teodorico, re dei Goti, scese in Italia con la missione di eliminare Odoacre, che venne sconfitto e ucciso→ nel 493 d.C. Iniziava così una sorta di regno Ostrogoto dell’Italia. Gli Ostrogoti, o Goti orientali, sotto il profilo demografico, costituivano una stretta minoranza; ben diverso era invece il loro peso politico e sociale. Le intenzioni di Teodorico era volte a cercare una forma di collaborazione tra Goti e Romani: il re ostrogoto provava una sincera ammirazione per il mondo romano, e nel complesso, il suo regno rappresentò un momento sostanzialmente positivo per la penisola italica, tanto che persino l’economia diede qualche segno di ripresa. Nel 526 d.C. Teodorico moriva lasciando il regno alla figlia Amalasunta: la politica di conciliazione non era più praticabile, anche per le continue interferenze di Costantinopoli, che cercava un pretesto per intervenire in Italia. Nelle invasioni barbariche dell’Occidente romano si possono distinguere due fasi fondamentali:  Ostrogoti, Visigoti e Burgundi→ giunti all’interno dell’impero dopo le lunghe peregrinazioni. Si organizzarono secondo le loro regole tradizionali, mentre nel resto del territorio la popolazione romana continuava a vivere come sempre.  Longobardi, Franchi, Angli e Sassoni→ invasione di popoli già da tempo stanziati ai confini dell’impero, i quali imposero la loro organizzazione alla popolazione romana. La durata di questi regni non fu identica. Vita relativamente breve ebbe il regno dei Burgundi (443 d.C.), sottomesso definitivamente da quello dei Franchi nel 534 d.C. Il regno Ostrogoto d’Italia durò poco più di mezzo secolo, fino al 533 d.C., termine della guerra greco-gotica. Il regno Visigoto di Tolosa, creato nel 418 d.C., conobbe il suo massimo splendore tra il 470 e il 480 d.C., momento in cui riuscì a conquistare tutta la Spagna e la Provenza; a seguito della sconfitta subita dai Franchi nella battaglia di Vouillè (507 d.C.), i Visigoti passarono nella penisola iberica, dove formarono un regno con capitale Toledo e assoggettarono tutta la penisola verso la fine del VI sec d.C. Il regno di Toledo cadde nel 711 d.C. a causa dell’avanzata araba. Il più importante regno barbarico è certamente quello dei Franchi. La figura decisiva fu Clodoveo, della dinastia merovingia, che divenne re nel 481 d.C.; la sua conversione al cristianesimo fu fondamentale nel favorire l’integrazione dei Franchi con l’aristocrazia gallo-romana. Verso la metà del VI sec, la quasi totalità della Gallia passò sotto il controllo dei Franchi. Nel 743 d.C. Carlo Martello fermò l’avanzata degli arabi a Poitiers. Nell’Europa del nord le azioni di pirateria portarono all’occupazione di territori sempre più vasti. Nel corso di due secoli infatti, la popolazione delle campagne fu sostituita da una di ceppo germanico: nacque così la Britannia anglosassone. L’installazione di barbari sul suolo romano avvenne secondo modalità differenti: mentre in Britannia si trattò di conquista pura e semplice; in Gallia meridionale, Spagne e Italia, l’insediamento dei Germani avvenne sulla base della copertura giuridica di un trattato, che assicurava il reciproco rispetto delle istituzioni civili. Oltre alle modalità giuridiche si deve tener conto della realtà religiosa: al momento delle invasioni i romani avevano ormai aderito al cristianesimo, mentre la maggioranza dei barbari era cristiana ma di credo ariano. Ogni popolo possedeva la sua chiesa nazionale, e ogni regione conobbe realtà differenti: in alcuni casi si pervenne ad una piena fusione, in altri si realizzò un dualismo amministrativo. 470 d.C.: quando in Gallia, dopo Vandali, Svevi, Alani e Burgundi, penetrarono anche gli Ostrogoti, tutto il paese era in mano agli invasori. 480 d.C.: i Franchi occupavano il nord, i Visigoti il sud-ovest, i Burgundi la valle del Reno, mentre altre popolazioni erano sparse un po' ovunque. Il V secolo rappresentò quindi per l’aristocrazia romano-gallica un’epoca di grave crisi, che la costrinse a riconsiderare le modalità con cui poteva mantenere le proprie unità di ceto: una delle opzioni possibili era rappresentata dalla ricerca di un’alta carica ecclesiastica. Con la presenza dei barbari entro i confini dell’impero, si registrarono significative manifestazioni di interesse per una collaborazione. Nel VI secolo, ad esempio un ruolo decisivo nell’evoluzione dell’idea dei Goti, da nemici del mondo romano a fondatori del ‘regno gotico d’Italia’, è svolto da Cassiodoro, senatore romano e ministro di Teodorico→ egli si sforzò di trasporre l’ideologia romana nelle realtà politiche del regno ostrogotico. Teodorico è così presentato come il successore degli imperatori romani e il suo regno come il prolungamento dell’Impero romano d’Occidente. Una delle conseguenze delle invasioni germaniche del V sec d.C. fu l’affermarsi del monachesimo. C’erano comunità religiose che vivevano intorno al loro vescovo, delle vere e proprie fondazioni monastiche che si susseguirono a distanza di pochi anni una dall’altra, quali Lerìns, S.Vittore di Marsiglia. I monasteri ebbero poi anche una funzione importante come centri di cultura: nel VI sec d.C. costituivano gli unici centri non solo di vita culturale ma anche di istruzione. Le trasformazioni conosciute dalle città furono molteplici. In molte di esse il Foro romano continuò a svolgere la sua funzione di centro economico in quanto sede di mercato, ma perse il suo ruolo di direzione politica. Con il Medioevo si affermarono in alternativa il palazzo regio e la cattedrale, che riflettevano i principali poteri di ciascuna città: quello statale e quello vescovile. In generale l’età tardoantica è nota per la costruzione di chiese di notevole proporzione, anche nelle città minori. Anche nelle abitudini alimentari si osserva una cesura alla fine del mondo antico. Il declino della vita urbana e il progressivo allontanarsi dalle attività produttive delle regioni costiere significò una riduzione delle colture dei cereali, della vite e dell’ulivo che aveva invece caratterizzato l’economia romana. A tale ‘modello alimentare classico’ si sostituì quello tipico delle popolazioni barbariche: carne di cacciagione, cereali, ortaggi e birra al posto del vino. Il crescente abbandono delle zone costiere favorì un ritorno all’economia di montagna. L’età di Teodorico (488-526 d.C.) aveva rappresentato un periodo di relativa ripresa economica per l’Italia: l’agricoltura e il commercio poterono approfittare del periodo di pace. La guerra greco- gotica tuttavia, vanificò la possibilità che la ripresa si consolidasse. Il periodo più duro della guerra fu quello compreso tra il 541 e il 552 d.C., e l’incertezza dell’esito finale del conflitto induceva gli occupanti del momento, sia Bizantini che Goti, ad ogni sorta di arbitrio a spese della popolazione locale: le città subirono gravi devastazioni e si ebbe un drammatico calo demografico. Bisanzio Dal 395 d.C. le storie dell’Impero d’Oriente risultano del tutto divise da quelle dell’Occidente, tanto che la storiografia parla di ‘storia bizantina’→ 330 d.C. (fondazione di Costantinopoli) / 1453 d.C. (conquista turca). Nella partizione teodosiana l’Oriente era toccato ad Arcadio. Alla sua morte, nel 408 d.C., gli successe il figlio Teodosio II (408-450 d.C.). Nel corso del suo regno, anche l’imperatore d’oriente dovette fronteggiare il pericolo dei barbari, in particolare quello degli Unni e dei Persiani. Teodosio II viene ricordato soprattutto per la sua attività di riordino della giurisprudenza: nel 438 d.C. promulgò la raccolta delle leggi imperiali da Diocleziano in poi, che da lui prende il nome di ‘Codex Theodosianus’. Il suo successore, Marciano (450-457 d.C.) fu scelto dal senato. A travagliare la vita interna di Bisanzio furono soprattutto problemi di natura teologica relativi alla natura di Cristo, a cui si aggiunsero sotto i regni di Leone (457-474 d.C.) e Zenone (474-491 d.C.), problemi di natura finanziaria. La situazione ormai divenuta critica fu affrontata con successo da Anastasio (491-518 d.C.) con un’importante opera di riforma; fu capace anche di bloccare