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manuale per la prova scritta del concorso scuola, Sintesi del corso di Pedagogia

Sintesi del manuale edises per la prova scritta del concorso scuola Psicologia, pedagogia e metodologie didattiche

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

In vendita dal 04/01/2024

f.dimatola
f.dimatola 🇮🇹

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Scarica manuale per la prova scritta del concorso scuola e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! Prima Parte Competenze pedagogiche e psico-pedagogiche Capitolo 1: Lo sviluppo sociale e le relazioni di gruppo 1.1 L’ambito di indagine della psicologia sociale La psicologia sociale studia l’attività mentale e i comportamenti dei soggetti che agiscono in uno stesso spazio sociale e che con le loro azioni si influenzano reciprocamente. Studiando il comportamento in un contesto sociale, è possibile osservare che le risposte agli stimoli mostrano alcune regolarità: alcune dipendono dall’eredità biologica, altre da un tacito accordo tra i membri della collettività. La struttura sociale è quel complesso di ruoli svolti da soggetti individuali e collettivi, i quali interagiscono nel quadro di norme regolative che limitano la varietà degli atti consentiti a ciascuno. Essa è permanente e va al di là della quotidianità che è mutevole e transitoria. 1.2 L’individuo e i suoi contesti: famiglia, scuola, lavoro La famiglia, la scuola e il lavoro sono i tre contesti primari di cui un individuo entra a far parte nel corso della sua vita1. In questi contesti, l’individuo si relazionerà con altri individui e ne nasceranno relazioni più o meno profonde, più o meno durature e significative. Queste relazioni costituiranno dei tasselli che, uniti ad altri, determineranno lo sviluppo di ciascuno. La famiglia è il contesto nel quale il bambino trova le prime corrispondenze ai suoi bisogni, stabilisce le prime relazioni significative e trova una base sicura dal punto di vista relazionale. L’espressione “base sicura” è stata utilizzata dallo psicologo John Bowlby in riferimento alla famiglia come luogo da cui il bambino parte per esplorare il mondo e a cui può far ritorno in qualsiasi momento di difficoltà o quando ne avverte il bisogno. 1 Riducendo il campo di indagine alla sola fascia di età compresa tra la nascita e il termine dell’obbligo scolastico, gli agenti che influiscono maggiormente sulla formazione di un’identità socio-culturale sono la famiglia, il sistema educativo, le agenzie educative (ex. Le istituzioni religiose) e i mezzi di comunicazione di massa. 1.2.1 La famiglia Ogni famiglia è caratterizzata da una particolare atmosfera che non dipende dai singoli, ma dalle reciproche relazioni tra essi. Le norme familiari sono regole di comportamento, comunicate tramite comandi o tacite, che i genitori fanno rispettare ricorrendo alla pressione socio-emotiva (basata su premi e punizioni) o alla pressione informativa (persuasione). Regole chiare e coerenti producono certezza e i figli conoscono in anticipo ciò che può provocare un determinato comportamento. Modi imperativi espressi in forma diretta e dura, tendono ad essere imitati dai figli che imparano a essere aggressivi, mentre formulazioni più morbide e indirette corredate da spiegazioni risultano molto più efficaci. Il numero e il contenuto delle regole è legato al confronto sociale: ad esempio, se in un determinato contesto la maggior parte dei ragazzi rincasa tardi la sera, diventa restrittivo quando qualche genitore lo impedisce ai propri figli. Vari studi hanno dimostrato che coloro che subiscono eccessive restrizioni tendono a soffrire di timidezza, mentre coloro che godono di eccessiva libertà tendono a diventare poco rispettosi degli altri e poco motivati al successo. Una modalità educativa efficace è basata su una fiducia di fondo, corredata di un discreto controllo esercitato dai genitori (ex. tramite domande rivolte direttamente ai figli) e sull’offerta di un aiuto costante, ma moderato, evitando di diminuire il loro senso di autoefficacia. È importante anche trovare un equilibrio nella sfera delle aspettative nutrite nei confronti dei ragazzi: solo se i genitori crederanno nelle capacità dei figli senza aspettarsi ciò che essi non possono dare, questi avranno la possibilità di raggiungere un adeguato livello di autostima e motivazione al successo. I comportamentisti hanno sottolineato la complessità del gioco dei rinforzi che se somministrati a intermittenza si rivelano più efficaci di quelli continui: per questo motivo le punizioni inflitte con aggressività sortiscono effetti negativi, provocando l’imitazione di atteggiamenti violenti, mentre risultano più utili quelle simboliche e inflitte con tempestività (ex. un genitore che toglie di mano un oggetto a un bambino che lo sta utilizzando pericolosamente) La famiglia rappresenta un ancoraggio affettivo che consente di avventurarsi successivamente nel mondo, acquisendo una progressiva indipendenza. Gli studi hanno dimostrato che quando una famiglia lascia al ragazzo un certo grado di autonomia incoraggia l’emancipazione; una famiglia autoritaria rende l’adolescente insicuro e fortemente dipendente. La nascita delle relazioni familiari Quando un bambino viene concepito, la vita della famiglia si modifica. I futuri genitori attraversano tre momenti significativi: attesa, nascita, relazione. Il momento dell’attesa include gli stadi antecedenti al concepimento e la fase gestazionale. Questo momento comporta un sostanziale cambiamento negli equilibri relazionali. È importante che ci sia una corretta preparazione alla genitorialità: ciò include non solo la consapevolezza di cambiamenti oggettivi determinati dalla nascita di un figlio, ma anche una nuova dimensione psicologica (la diade diventa triade). Al momento della nascita, il bambino viene al mondo già dotato di un apparato sufficiente per interagire con l’ambiente. Per quanto riguarda le relazioni, al momento della nascita il bambino instaurerà la relazione primaria con la madre, colei che si prenderà cura di lui. • A due mesi → il bambino comincia a regolare le proprie interazioni non solo sulla base delle proprie necessità biologiche. • A cinque mesi → il bambino comincia ad utilizzare gli oggetti per stabilire relazioni, grazie alla maturazione delle capacità di manipolazione e di coordinazione oculo-manuale. • A nove mesi → il bambino sarà in grado di compiere atti intenzionali di ricerca di attenzione. Ad esempio, tenderà a richiamare l’attenzione della madre sugli oggetti, direzionandola verso un “argomento di conversazione” comune. • Dai dodici mesi ai due anni → il bambino acquisisce la capacità di riconoscere la propria immagine allo specchio. A questo punto ci sono tute le premesse per distinguere tra sé e l’altro, ma per affinare ulteriormente le competenze di relazione è importante l’acquisizione del linguaggio intorno al secondo anno. In questo modo, adulto e bambino possono condividere argomenti di comunicazione e strutturare interazioni complesse e funzionali. Dopo i due anni, nel cosiddetto periodo prescolare, il bambino affina le proprie competenze motorie e si avvia verso l’autonomia. Dai diciotto mesi, il bambino amplia anche le relazioni all’esterno della sfera familiare propriamente detta: è in grado di stabilire relazioni significative con altri familiari (ex. i fratelli) o compagni di gioco. Gli studi hanno dimostrato che il rapporto con i coetanei differisce da quello con i fratelli: quest’ultimo è caratterizzato da un’asimmetria assente nel rapporto tra coetanei. Tuttavia, la relazione tra fratelli potrebbe costituire una sorta di fase preparatoria alla socialità con i coetanei. Questo è anche il periodo in cui si presenta maggiormente la pressione dei genitori per l’acquisizione di regole di comportamento e condotta. In questo senso, sono importanti le routine, ovvero attività ricorrenti che consentono al piccolo di abituarsi alla regolarità dello schema (ex. come si va a letto: la mamma mi fa il bagnetto, metto il pigiama, prendo il latte, mi canta la buonanotte, mi dà un bacio e mi culla). La routine sviluppa nel bambino una capacità di previsione e di attesa dei passaggi che compongono uno schema. Essa pone le basi per l’acquisizione delle regole; rassicura; favorisce esperienze di tipo cognitivo, emotivo e sociale. La routine è importante non solo nel contesto familiare, ma anche in quello scolastico. Le attività routinarie proposte dall’insegnante portano alla costruzione di copioni, fornendo scenari per la conversazione tra compagni: condividere un copione facilità la comprensione reciproca poiché entrambe le parti sanno di cosa si tratta. La mancata osservanza delle regole interne al copione può essere utile per l’insegnante per promuovere processi di negoziazione. Tra due e i tre anni aumentano le relazioni con i coetanei, caratterizzate da una simmetria del potere (si differenziano da quelle con gli adulti che sono asimmetriche). Lo sviluppo delle relazioni familiari Le prime relazioni che il bambino instaura sono di tipo diadico. Il termine psicoanalitico diade è stato introdotto da Renè Spitz per indicare la relazione madre- figlio nei primi anni di vita: la madre diviene chiave di lettura della realtà. Questo è un passaggio necessario nel processo di maturazione psicologica del bambino, dato che egli è incapace di provvedere a sé stesso. Nel suo testo “Una base sicura”, John Bowlby ha sviluppato la teoria dell’attaccamento, che riguarda la costruzione del legame-madre bambino. Per Bowlby, l’attaccamento è una predisposizione biologica: il bambino prova un senso di protezione verso chi si occupa di lui, si sente al sicuro, avverte che qualcuno interviene in sua protezione all’occorrenza. Ciò contribuisce ad instaurare la fiducia tra il bambino e il caregiver. Lo studioso individua tre tipi di attaccamento: 1) Attaccamento ansioso evitante → il bambino non sceglie significativamente la madre tra le altre figure estranee. Questo indica una scarsa reciprocità nella relazione con questa. 2) Attaccamento sicuro → il bambino sceglie con decisione la madre tra altre figure estranee. Questo indica una forte relazione con questa. 3) Attaccamento ansioso ambivalente → il bambino oscilla tra il contatto con la madre e il rifiuto. Questo indica una relazione non ben definita tra i due. 1.2.2 Inserimento scolastico e collaborazione con la famiglia Nell’arco del suo sviluppo, il bambino supera la fase diadica per inserirsi in una relazionalità familiare e poi di gruppo. La formazione dei gruppi dei coetanei o dei pari diventa spontanea a partire dalla scuola dell’infanzia, dove i bambini costituiscono tendenzialmente gruppi informali e non duraturi. A partire dalla scuola primaria, i gruppi si comporranno sulla base di norme più rigorose e chi intende farne parte dovrà possedere requisiti precisi: così il gruppo dei coetanei assumerà la funzione di integrazione sociale. Una stretta collaborazione tra le istituzioni scolastiche, le famiglie e le agenzie formative e sociali è fondamentale per garantire lo sviluppo degli allievi in un ambiente produttivo e ricco di stimoli. A tal proposito, si parla di sistema formativo integrato. Questo è particolarmente importante in caso di disabilità, Bes o altre fragilità dell’alunno: in questi casi la partecipazione della famiglia rappresenta un punto di riferimento essenziale per la corretta inclusione scolastica. In passato, l’istituzione scolastica si prefiggeva il compito di trasmettere ai giovani il bagaglio conoscitivo delle generazioni passate. Il compito della scuola di oggi è diverso: vi è necessità di colmare lo scarto tra elaborazione teorica delle scienze dell’educazione, dell’apprendimento e del comportamento e applicazione pratica; tra esiti della ricerca e risultati della didattica. Il malessere presente nella sfera individuale incide sul rendimento scolastico. È importante comprendere e analizzare il fenomeno del disagio adolescenziale a livello cognitivo ed emotivo. Bisogna imparare a riconoscere le sue manifestazioni nel contesto dell’istituzione scolastica e gli insegnanti devono accrescere le proprie capacità di elaborare strategie di prevenzione funzionali. Tutto ciò ha sollecitato la creazione di spazi di accoglienza (sportelli di ascolto): la promozione del benessere psicologico e socio-affettivo si accompagna alla prevenzione della dispersione scolastica. La scuola deve proporsi di dispiegare le capacità attitudinali degli scolari, di orientarne le attività e di promuoverne la coscienza civile, riconoscendo comportamenti di tipo asociale, interpretando i segnali di disadattamento (manifesti o latenti) e evitando che si trasformino in comportamenti violenti e socialmente pericolosi. Compito della scuola è indirizzare le energie giovanili verso attività creative e formative: solo in questo modo potrà svolgere un ruolo nella lotta all’arretratezza socio-culturale. L’animazione socio-culturale nasce dalla volontà di superare la logica dei contenitori educativi andando ad educare le persone dove vivono, nello spazio della loro quotidianità. Tale intervento sul territorio è finalizzato ad accrescere la capacità dei gruppi di gestire la realtà sociale e politica in cui vivono. L’animazione socio-culturale è rivolta ad aggregazioni informali (individui, piccoli gruppi e comunità), in particolare quelle che presentano fattori di rischio e di disagio, per accompagnare verso percorsi evolutivi positivi. 1.3 Il processo di socializzazione La socializzazione è il processo mediante il quale gli individui acquistano conoscenze, abilità, sentimenti e comportamenti che gli permettono di partecipare alla vita sociale. Essa investe tutti gli aspetti della personalità: cognitivi, affettivi, motivazione e conoscenza. Tuttavia, oggi si preferisce l’espressione sviluppo sociale ad indicare che fin dalla nascita, l’individuo è immerso nei sistemi relazionali e proprio da questi trae maggiore consapevolezza del proprio ruolo in ambito sociale. Uno dei momenti più significativi dello sviluppo sociale è la fase di oggettivazione del sé, ossia, quando il bambino acquisisce consapevolezza di essere un individuo separato dagli altri (intorno ai due anni). Più il bambino diventa consapevole di essere un individuo che pensa, sente e agisce più è in grado di riconoscere gli stati d’animo, le emozioni, i pensieri e i comportamenti degli altri. Le abilità sociali sono quelle abilità comunicative e relazionali necessarie ad interagire positivamente con gli altri. Si può distinguere tra una socializzazione • Primaria → si realizza nei primi anni di vita e getta le basi per le socializzazioni successive. Il contesto principale è la famiglia. • Anticipataria → prepara alle esperienze di vita sociali future • Secondaria → processi volti a favorire la trasmissione delle competenze sociali specifiche (adeguamento alla realtà sociale esterna alla famiglia). 1.3.1 I gruppi e le interazioni sociali L’individuo generalmente svolge le attività quotidiane stando insieme agli altri. Un gruppo è composto da soggetti interagenti, aventi ruoli interrelati, sulla base delle aspettative condivise riguardanti il rispettivo comportamento. Il gruppo è un’entità diversa dalla somma delle sue parti, una totalità dinamica nella quale le persone si riconoscono in un’interdipendenza reciproca con una finalità precisa. Il gruppo di appartenenza viene detto gruppo esclusivo. L’identificazione con il gruppo può avere effetti positivi facendo nascere relazioni gratificanti tra gli individui, ma anche effetti negativi spingendo i partecipanti a respingere gli estranei. Il confine diventa ancora più marcato se gli interessi confliggono e c’è competizione (ex. lotte politiche). L’antagonismo tra i gruppi è una minaccia per l’equilibrio sociale. Talvolta, si attribuiscono ad un individuo caratteri che si ritengono tipici del gruppo a cui lo si assegna, ma non è detto che tale individuo li possegga. Questo fenomeno è chiamato stereotipizzazione. Nonostante esponga al rischio di errore, lo stereotipo aiuta ad orientarsi nella realtà sociale. Diverso dal gruppo è l’aggregato → un insieme di persone che si trova casualmente nello stesso luogo nello stesso istante, che non interagisce in maniera significativa e non sperimenta alcun senso di partecipazione (ex. passeggeri di un autobus). Il gruppo differisce anche dalla categoria → un gruppo di persone che, pur non essendosi mai incontrate, sono caratterizzate da tratti comuni (età, razza, sesso). I gruppi si distinguono in: • Gruppi primari (famiglia, gruppo dei pari, piccole comunità) → sono costituiti da un numero esiguo di individui che interagiscono per un periodo di tempo lungo sulla base di rapporti informali. Le relazioni tra i membri sono dirette, personali, intime e segnate da un profondo coinvolgimento emotivo. • Gruppi secondari (società commerciali, partiti politici, burocrazie statali) → sono formati da soggetti non vincolati da legami affettivi. Al loro interno si instaurano relazioni temporanee che hanno una specifica finalità. Sono dotati di una struttura interna rigida e formalizzata. Questo tipo di gruppo è anche definito associazione. Accade spesso che all’interno di gruppi secondari vi siano gruppi primari o che gruppi secondari di recente formazione e di dimensioni limitate si trasformino in gruppi primari: ex. un gruppo di studenti universitari che frequenta un corso, inizialmente può essere considerato un gruppo secondario, ma con il passare del tempo iniziano a Marshall McLuhan è stato un altro importante teorico delle comunità di pratica: le CdP condividono interessi e problematiche, per collaborare, promuovere, discutere e confrontarsi su questioni correlate ai diversi interessi dei componenti. Le comunità di pratica sono gruppi sociali che interagiscono in modo ordinato, sulla base di aspettative condivise, con status e ruoli interrelati. Le CdP si organizzano per il miglioramento collettivo e per apprendere, partendo dalle conoscenze degli individui che le compongono. 1.3.3 L’educazione interculturale Per educazione interculturale si intende un percorso specifico di interazioni fra soggetti appartenenti a diverse culture all’interno di un progetto educativo. Tale percorso deve favorire l’acquisizione di strumenti che portino a riconoscere i valori appartenenti alle diverse culture, la comprensione delle differenze, favorendo la verbalizzazione e l’empatia. L’educazione interculturale deve, cioè, mirare al superamento del monoculturalismo. Agli inizi del Novecento, il paradigma usato per analizzare e spiegare come gli stranieri si integrassero nella società era quello assimilazionista (Park e Burgess): lo straniero si immette nella società, rinunciando ai suoi valori e assorbendo quelli della società ricevente. Questo modello non descrive le modalità con cui avviene oggi l’integrazione degli stranieri nel contesto europeo. Alejando Portes ha formulato, quindi, il paradigma dell’assimilazione segmentata: l’integrazione degli stranieri dipende dal segmento di popolazione cui essi aspirano. Secondo questo modello, per integrarsi nella società, gli stranieri possono riferirsi ad un particolare segmento della società ed aspirare ad un diverso tipo di integrazione. La riflessione sull’educazione multiculturale è stata sollecitata dall’intensificarsi del fenomeno migratorio e dall’aumento di presenza di alunni stranieri nelle scuole. Nel 2006, l’UNESCO ha pubblicato il documento Guidelines on Intercultural education ha messo in evidenza l’importanza di interventi più incisivi e strutturati da parte delle istituzioni, al fine di rendere meno traumatico l’impatto con le nuove realtà culturali, linguistiche e sociali che vivono i soggetti che lasciano il proprio paese d’origine. Tradizionalmente vi sono due approcci: educazione multiculturale e educazione interculturale. • Educazione multiculturale → usa apprendimenti di altre culture per produrre tolleranza verso quelle culture. • Educazione interculturale → si propone di andare oltre la passiva coesistenza, per raggiungere un certo grado di comprensione, rispetto e dialogo tra gruppi culturali differenti. In un primo momento, in Europa è stato utilizzato il paradigma dell’educazione multiculturale, che aveva come obiettivo la conoscenza della diversità (ci si è occupati prettamente degli aspetti linguistici). A partire dagli anni ’80 si afferma il paradigma dell’intercultura che mette in evidenza i rischi dell’approccio educativo multiculturale, il quale rischia di riproporre schemi di assimilazione alla cultura dominante. Nel suo testo “L’intercultura”, Franca Pinto Minerva sostiene che per la costruzione di una società interculturale è importante che le persone coinvolte mostrino una sincera disponibilità ad uscire dai confini della propria cultura per entrare in altre culture e apprendere ad interpretare la realtà secondo schemi e sistemi simbolici differenziati e molteplici. L’educazione interculturale si basa su 3 principi: 1) L’educazione interculturale rispetta l’identità culturale dello studente. 2) L’educazione interculturale fornisce a ogni discente le conoscenze per una partecipazione attiva e piena alla società. 3) L’educazione interculturale fornisce agli studenti conoscenze che consentono di contribuire al rispetto, alla comprensione e alla solidarietà tra individui, gruppi etnici, sociali, culturali e religiosi. Secondo il documento UNESCO, l’educazione interculturale si deve porre in continuità con l’educazione multiculturale e non in contrasto: il termine multiculturale, infatti, si presta bene per descrivere una realtà fisica della società; l’educazione interculturale entra in gioco per costruire ponti e favorire l’interazione con altre realtà culturali attraverso il dialogo. Capitolo 2: Il linguaggio e la comunicazione 2.1 La comunicazione e i suoi elementi La comunicazione è fondamentale per la vita sociale. Il termine comunicazione indica la trasmissione dei messaggi: a volte, accade che un atto comunicativo non traduca alla perfezione le intenzioni di chi lo compie e che non si realizzi, dunque, una comunicazione. Chi comunica deve concentrarsi non solo sul messaggio in uscita, ma anche sulla reazione di chi riceve il messaggio; deve concentrarsi, dunque, sull’intero processo comunicativo, il quale si articola in una serie di elementi: • Emittente → colui che invia il messaggio; • Messaggio → l’insieme di informazioni trasmesse dall’emittente; • Codice → sistema di regole che assegna a una serie di simboli un certo significato. Può essere verbale (la lingua e il suo insieme di regole) o non verbale (gestualità, mimica facciale, forza o intonazione vocale); • Canale → mezzo utilizzato per trasmettere il messaggio; • Ricevente → colui che capta il messaggio; • Feedback → la risposta del ricevente (non utilizza necessariamente lo stesso canale di comunicazione); • Contesto → situazione concreta in cui avviene lo scambio di informazioni; • Interferenze → ostacoli che disturbano il processo comunicativo. La comunicazione può essere verticale (avviene tra soggetti con diversa autorità e gerarchia) o orizzontale (avviene tra persone allo stesso livello della scala gerarchica). Inoltre, tutti gli scambi di comunicazione possono essere simmetrici (i due soggetti si pongono sullo stesso livello) o complementari (uno dei due interlocutori è in una situazione di superiorità). Un atto comunicativo è efficace quando viene compreso dal destinatario in modo che quest’ultimo gli attribuisca un significato analogo alle intenzioni dell’emittente. La Scuola di Palo Alto, che studia gli effetti della comunicazione sul comportamento o più persone può essere definito comunicativo, indipendentemente dal fatto che l’atto del comunicare sia intenzionale o meno. per rappresentare la confidenza esistente tra due interlocutori, maggiore sarà la vicinanza più si comunicherà intimità e viceversa (prossemica). Generalmente la comunicazione non verbale presenta un certo grado di spontaneità e trasparenza, ma può essere comunque controllata e manipolata (ex. le espressioni del viso si possono monitorare con facilità). La comunicazione non verbale può avere diverse funzioni: • Funzione espressiva → per manifestare emozioni e sentimenti; • Funzione interpersonale → per segnalare vari aspetti della relazione tra gli interlocutori; • Funzione di regolazione dell’interazione→ per tenere sotto controllo lo scambio faccia a faccia; • Funzione di supporto al linguaggio → per caricare di senso l’espressione linguistica. La combinazione di parole può essere rafforzata da elementi come la forza vocale; l’intonazione vocale; la velocità di eloquio; il ritmo; l’enfasi. Prosodia → complesso di regole che governano la collocazione dell’accento tonico sulle parole3. Paralinguistica → i segnali paralinguistici sono segnali non verbali che accompagnano il parlato; non sono dotati di musicalità e consistono in interruzioni dell’eloquio, brevi esitazioni, lunghe pause, emissioni di vari suoi, vocalizzazioni, sospiri ecc. Gli studi hanno dimostrato che in condizioni ansiogene il numero delle interruzioni aumenta notevolmente. Le esitazioni e le pause servono a segnalare, ad esempio, che si cede la parola all’interlocutore. Prossemica → studia il modo in cui gli individui usano lo spazio per comunicare: la disposizione e i movimenti degli interlocutori nell’ambiente, la distanza interpersonale ecc. La maggior parte dei processi prossemici sembra svolgersi al di fuori della coscienza. Il comportamento prossemico presenta importanti differenze culturali, poiché il significato simbolico degli spazi è strettamente legato alle tradizioni. Le differenze nell’estensione dello spazio personale dipendono sia dal tipo di contesto socioculturale considerato sia da caratteristiche individuali quali età, sesso, essere più o meno estroversi. 3 La prosodia fa parte della paralinguistica. Altro segnale fondamentale è la postura, la quale segnala rapporti di status, il grado di formalità dell’incontro, la soglia di attenzione, la partecipazione attiva all’esperienza comunicativa. Mediante la mimica facciale è possibile invia e un gran numero di segnali non verbali che risentono poco delle differenze culturali: il sorriso, il pianto, il saluto oculare sono espressioni universali minimamente modellate dalla cultura. I gesti utilizzati per mandare segnali possono essere: • simbolici → se adoperati per sostituire il linguaggio (quando si fa OK con il pollice); • di automanipolazione o adattivi → ex. rosicchiarsi le unghie; • illustratori → che accompagnano il discorso per chiarirne i significati. Anche la multimedialità è una tecnica di comunicazione che impiega linguaggi diversi (verbali e non verbali): ex. testi scritti, immagini, suoni ecc. 2.4 Le abilità comunicative nel bambino L’acquisizione del linguaggio è uno degli aspetti più importanti dello sviluppo del bambino. La lingua non è altro che la manifestazione concreta della facoltà di comunicazione verbale. Tuttavia, ancor prima di acquisire questa facoltà, il bambino è già un abile comunicatore. Nel primo anno di vita, egli matura la capacità di attirare e dirigere l’attenzione dell’adulto, di porre domande e fare commenti sfruttando risorse non verbali. Nella fase dello sviluppo, in cui non può comunicare attraverso il linguaggio verbale, il neonato utilizza il pianto. La madre, invece, sin dai primi giorni di vita comunica con il bambino attraverso un linguaggio semplificato denominato baby talk (eng. Motherese; it. maternese). Nei primi mesi di vita, l’attenzione del bambino è rivolta prevalentemente al volto della madre; intorno al quinto mese viene diretta agli oggetti; solo verso il nono mese il bambino risulta in grado di direzionare l’attenzione materna sull’oggetto: lo sguardo e il gesto di indicare con il dito sono modalità di comunicazione dell’adulto che il neonato accoglie come proprie e gli consentono di apprendere il legame tra ciò che sente, gli oggetti e i concetti. L’assenza di attenzione condivisa è stata spesso associata a casi di autismo infantile. 2.5 L’acquisizione del linguaggio Per essere definito linguaggio un sistema di comunicazione deve possedere alcune caratteristiche di base: • semanticità → possibilità di riprodurre simbolicamente tutto ciò che fa riferimento a oggetti, emozioni o concetti; • dislocazione → possibilità di tenere in considerazione i diversi parametri temporali (passato, presente, futuro); • produttività → per potersi considerare tale, il linguaggio deve consentire la produzione di una serie infinita di messaggi, emessi attraverso la formazione di frasi. Si devono attendere i tre anni circa perché il bambino padroneggi i codici comunicativi che gli consentono di parlare: ➢ primi mesi → pianti e vocalizzi, suoni di natura vegetativa (ruttini, sbadigli); ➢ 2-6 mesi → comparsa di vocalizzazioni non di pianto (cd. Proto conversazioni: turni comunicativi tra un adulto e un bambino); ➢ 5-6 mesi → suoni consonantici; ➢ 6-7 mesi → sequenze consonante-vocale ripetute più volte (cd. Lallazione canonica). Gli studi hanno dimostrato che l’inizio ritardato della lallazione canonica è un indice predittivo di aprassia4, disartria5, disordini fonologici e, più in generale, disordini del linguaggio; ➢ 9-13 mesi • a 10 mesi compare la cd. Lallazione variata, fatta da combinazioni di vocali e consonanti (pà…pà) complesse, simili a proto parole. • Appaiono i primi vocalizzi intenzionali; • Il bambino comprende il linguaggio dell’adulto se legato a specifiche circostanze e comprende indicazioni semplici come “questo non si fa” o “batti le manine”; • Fanno comparsa anche i cd. gesti deittici (indicare, mostrare, dare) che pur avendo valenza comunicativa non servono a raggiungere direttamente lo scopo. 4 Incapacità di eseguire compiti motori intenzionali appresi in precedenza, nonostante la volontà e la conservata capacità fisica, quale conseguenza di un danno cerebrale. 5 Perdita della capacità di articolare le parole in maniera normale: il linguaggio può essere a scatti, in falsetto, irregolare, impreciso o monotono, ma le persone possono comprendere il linguaggio e usarlo correttamente. l’aiuto di un adulto; a cui si contrappone un livello effettivo di sviluppo riconducibile a quei comportamenti messi in atto per risolvere un problema in modo autonomo. Dal confronto tra il livello potenziale e il livello effettivo di sviluppo, il bambino apprende gradualmente un’autonomia di azione e di pensiero. La mediazione semiotica ha la funzione di rendere possibile il passaggio dall’una all’altra. L’interconnessione tra apprendimento del linguaggio e interazione sociale è stata sottolineata più volte anche in altre teorie. Secondo Bruner: • linguaggio va studiato per la sua funzione sociale, nei diversi contesti e rispetto a interlocutori diversi. • Per lo sviluppo del linguaggio (e più in generale delle abilità comunicative) è importante il contributo degli adulti, ma anche il modo in cui tale contributo viene dato. Di solito sono gli adulti ad interpretare i vocalizzi del bambino, ad attribuire nomi agli oggetti di suo interesse, a sintonizzarsi con il suo sguardo. Questi scambi ricorrenti creano significati condivisi. Tali attività (tra le quali rientrano anche i giochi del cucù o le filastrocche) diventano un importante sistema di supporto per l’apprendimento e l’affinamento delle abilità linguistiche. 2.7 Altri modelli psicologici dello sviluppo del linguaggio • Skinner e il comportamentismo → l’apprendime nto del linguaggio non è diverso da altre forme di linguaggio. Non vi è alcuna competenza linguistica innata. Si tratta, dunque, di uno dei comportamenti che si apprendono per associazione stimolo-risposta. • Noam Chomsky e la teoria innatista → Chomsky ritiene che alla base dell’acquisizione del linguaggio ci sia una competenza innata, la Grammatica Universale (la conoscenza delle regole sottese all’apprendimento della grammatica propria delle diverse lingue) e il language acquisition device (LAD) che consente di acquisire gli aspetti più complessi della lingua madre. Il ruolo degli adulti è marginale: per Chomsky, il bambino e creativo e riesce a produrre espressioni mai udite prima. • Teoria neurocostruttivista di Karmiloff-Smith → sostiene che durante lo sviluppo vi sia una progressiva specializzazione delle aree emisferiche e delle funzioni da esse veicolate. Tale processo è determinato dall’interazione tra vincoli biologici ed esperienza. • Rogers e il modello della comunicazione assertiva → questo tipo di comunicazione riesce a esprimere le proprie idee e far valere il proprio punto di vista rispettando le idee degli altri; è uno stile comunicativo adeguato al contesto relazionale e funzionale all’obiettivo della comunicazione. • Il linguaggio giraffa di Marshall Rosenberg → termine utilizzato in contrapposizione al “linguaggio sciacallo”. La giraffa possiede il cuore più grande tra i mammiferi terrestri ed è dotata di un lungo collo, quindi, viene presa a modello di empatia e lungimiranza per simboleggiare una comunicazione che evita conflitti e rispetta le opinioni altrui. 2.8 I disturbi della comunicazione I disturbi della comunicazione possono essere • Fisici → impossibilità di percepire e produrre segnali di comunicazione (cecità, sordità, mutismo ecc.); • Psicologici → difficoltà a stabilire un rapporto efficace nella comunicazione (attenzione e memoria labili, rumore psicologico, disturbo interiore, pregiudizi, interpretazioni devianti, antipatie, dissonanze cognitive); • Sociali → difficoltà di strutturazione dinamica di comunicazione soprattutto in gruppo (eccessivo egocentrismo, rigidità, intolleranza, timidezza); • Strumentali → difficoltà nell’utilizzo di alcune tecniche comunicative e della codificazione (non conoscenza del codice, dislivelli intellettivi, cognitivi ed emotivi tra gli interlocutori, dominanza di una modalità comunicativa sull’altra ecc.). Il rapporto comunicativo può essere ostacolato da: • Distrazione • Saturazione → il ricevente non riesce ad accogliere ulteriori messaggi a causa della stanchezza; • Mancanza di canali • Codici incompatibili → gli interlocutori parlano lingue diverse. Per facilitare un rapporto comunicativo è necessario cercare di instaurare un rapporto empatico, evitando di valutare gli altri con atteggiamenti moralistici, garantire una maggiore ricettività attraverso la ridondanza, ossia la ripetizione dello stesso concetto con diverse modalità, individuare i disturbi della comunicazione. Capitolo 3: Comunicare con gli adolescenti 3.1 Le dinamiche di cambiamento in adolescenza Le difficoltà comunicative si acuiscono particolarmente nel periodo dell’adolescenza, quando i ragazzi iniziano a mettere in discussione i modelli acquisiti nel proprio contesto familiare e scolastico e sono impegnati nella ricerca della propria identità. Può capitare che l’adolescente ricerchi la propria identità per opposizione: la famiglia, che fino a quel momento rappresentava fonte di sicurezza, diventa terreno di conflitti. Si tratta di una fase molto delicata. La mente dell’adolescente sviluppa una nuova capacità di astrazione che gli permette di prestare maggiore attenzione alle incoerenze tra ciò che le persone dicono e il loro comportamento. Per questo motivo, iniziano a mettere in discussione le certezze che fino a quel momento li hanno sostenuti: ciò accentua il senso di critica e opposizione. 3.2 Il metodo Gordon Il metodo Gordon è un modello educativo sviluppato negli anni ’60 da Thomas Gordon. Per Gordon è fondamentale che l’insegnante sappia comunicare in maniera efficace e che disponga di competenze specifiche sul piano relazionale. Solo in questo modo si possono ridurre i problemi e le conflittualità che caratterizzano il rapporto con gli studenti. Secondo Gordon l’educazione è un processo autogestito, atto a sviluppare nel discente una maggiore comprensione di sé stesso. L’educatore può soltanto agevolare tale processo. Egli è dunque un facilitatore che, attraverso l’empatia, sostiene il processo di sviluppo e di crescita della persona. Il facilitatore deve essere necessariamente un buon comunicatore. In quanto tale deve possedere due competenze fondamentali: • L’ascolto attivo → porsi in ascolto con il cuore e la mente, mostrandosi attenti, lanciando messaggi di accoglienza verbali e non (ex. “ho capito”; “spiegami meglio”), dare la possibilità all’interlocutore di approfondire il suo discorso o guardarlo da più punti di vista. • Il messaggio io → comunicare all’altro come ci si sente in una determinata circostanza, in che modo il suo comportamento ci causa un problema o ci far stare male (ex. “io mi sento triste quando non mi ascolti” porta ad un risultato migliore di “è colpa tua perché non mi ascolti e io mi sento ignorato”.). contempo la forza e la debolezza del sistema: da un lato essi danno voce a tutti, dall’altro il rischio di fake news è alto. Un altro fenomeno rischioso è quello degli haters, individui che seminano insulti, incitano all’odio e alla violenza, i quali spesso agiscono indisturbati. Questo discorso è strettamente connesso a quello del cyberbullismo, ossia molestare ripetutamente qualcuno online mediante insulti, video imbarazzanti, foto volgari ecc. La principale caratteristica del cyberbullismo è l’anonimato del bullo, seppur illusorio, poiché ogni comunicazione elettronica lascia delle tracce. Tuttavia, è difficile per la vittima risalire da sola al molestatore. Anche in questo caso, la risorsa principale degli adulti è una comunicazione aperta ed efficace. Capitolo 4: La psicologia dello sviluppo e dell’apprendimento 4.1 Il concetto di sviluppo Lo sviluppo è il processo evolutivo di un organismo con modificazioni di struttura, di funzione e di organizzazione. Esso può avvenire per diverse cause: • Maturazione intrinseca (sviluppo di capacità innate) • Influenza dell’ambiente • Apprendimento Per apprendimento si intende qualunque cambiamento della condota prodotto dall’esperienza. Ad ogni fascia d’età corrispondono una serie di cambiamenti. L’obiettivo del percorso di crescita è il raggiungimento della maturità, sia sul piano fisico sia nell’area psicologica. Il raggiungimento della maturità dovrebbe condurre all’acquisizione delle capacità cognitivo-sociali → insieme delle funzioni mentali che consentono ad un individuo di prendere parte attivamente alla vita sociale. 4.2 Psicologia dell’età evolutiva, psicologia del ciclo di vita e psicologia dell’arco della vita Nell’ambito della psicologia dello sviluppo, una prima distinzione da operare è tra: • Psicologia dell’età evolutiva → si occupa di osservare e studiare ciò che avviene nella fase dell’infanzia6 fino all’adolescenza7, due periodi dello sviluppo psicologico particolarmente ricchi di cambiamenti e di importanti acquisizioni fisiologiche, affettive ed emotive. • Psicologia del ciclo di vita → a cui ha dato un forte impulso il lavoro di Erik Erikson, il quale ha studiato come le persone si adattano alle diverse tappe dell’esistenza e gradualmente acquisiscano consapevolezza del calendario biosociale8. Secondo Erikson, lo scopo dell’uomo è di costruire un senso di identità e ogni tappa della vita rappresenta una svolta. Ognuna di esse pone l’individuo nella condizione di dover affrontare dei nuovi dilemmi, in cui le esigenze personali si scontrano con i vincoli sociali. Attraverso la gestione di questi dilemmi l’uomo apprende nuove competenze e consapevolezze che lo conducono a sviluppare la propria identità. 6 L’infanzia comprende la fase della vita che va dalla nascita al dodicesimo anno di vita. 7 L’adolescenza abbraccia tutto ciò che avviene dal dodicesimo al diciottesimo anno, anche se oggi si parla di “tarda adolescenza” riferendosi al prolungamento di alcune caratteristiche psicologiche proprie di questa fase di sviluppo sino al venticinquesimo anno di età. 8 Quell’insieme di scadenze che scandiscono i passaggi evolutivi, come il matrimonio o l’arrivo dei figli. • Psicologia dell’arco di vita → sviluppatasi a partire dai contributi teorici di Lev Semenovic Vygotskij, secondo cui per comprendere lo sviluppo psicologico dell’individuo è necessario tenere in considerazione i fattori sociali e culturali in cui una persona è inserita. Secondo questa visione, le età dell’uomo non possono basarsi su un calcolo puramente cronologico, poiché l’età da sola non è sufficiente a spiegare i cambiamenti comportamentali. Viene pertanto introdotto il concetto di crescita continua. Pur ammettendo per pura comodità la suddivisione in fasi, questo approccio ritiene che il concetto di stadio debba necessariamente essere analizzato tenendo conto dell’influenza ambientale e dell’esperienza personale. Secondo la prospettiva interazionista e costruttivista, individuo e ambiente sono strettamente correlati: la persona conosce e interpreta la realtà in interazione con l’ambiente, che non è separato dall’individuo, ma è (in un certo senso) costruito dall’individuo stesso. Per questo motivo bisogna porre l’attenzione sulle diverse funzioni psicologiche dello sviluppo: • Sviluppo fisico-motorio; • Sviluppo cognitivo; • Sviluppo affettivo-emotivo; • Sviluppo sociale; • Sviluppo della personalità; • Sviluppo morale. Ognuna di queste funzioni agisce attivamente nel processo di maturazione andando a formare l’unità psico-fisica dell’individuo, che si sviluppa come soggetto e persona. In aggiunta a tali considerazioni bisogna tenere presente la variante interindividuale, che si può riscontrare tra soggetti della stessa età e la variante intraindividuale, che riguarda il modo in cui ciascun soggetto vive le diverse fasi della propria esistenza. La visione ambientalista John Locke riteneva che il bambino nascesse come una tabula rasa e che ogni sua caratteristica fosse plasmata dall’esperienza. Egli nega il contributo di fattori innati allo sviluppo psicologico. In tale ottica la conoscenza avviene esclusivamente mediante l’apprendimento dall’esterno. stimolo neutro (SC) ottenendo ugualmente la salivazione senza la somministrazione di cibo. Questi esperimento confermarono l’avvenuto apprendimento della risposta incondizionata per via associativa. • Il condizionamento operante È stato introdotto da Thorndike e approfondito da Skinner, secondo cui l’apprendimento avviene mediante un rinforzo di una delle tante risposte presenti nel contesto. Nei suoi esperimenti, Skinner notò che il topo chiuso in una gabbia, premendo una leva casualmente e ottenendo cibo (rinforzo), apprendeva ad abbassare la leva per ottenerlo nuovamente. Secondo lo studioso, dunque, si era strutturato un condizionamento operante, in quanto avvenuto spontaneamente. Proprio da questi esperimenti deriva l’assunto secondo cui i comportamenti rinforzati positivamente tendono a ripetersi, quelli rinforzati negativamente o non rinforzati tendono ad estinguersi. Inoltre vanno distinti i rinforzi primari, che soddisfano i bisogni fondamentali come fame e sete; dai rinforzi secondari. Nella moderna psicologia dello sviluppo, i ricercatori hanno spostato l’attenzione dagli animali ai bambini e ci si è domandati se il condizionamento classico sia applicabile a questi ultimi. A tale scopo sono state fatte osservazioni precise sul riflesso di suizione nel lattante. • Teoria dell’apprendimento sociale Bandura si discosta dal comportamentismo radicale di Skinner per l’importanza attribuita all’osservazione come mezzo di apprendimento anche in assenza di rinforzo. In quest’ottica, l’apprendimento non è più esclusivamente associato all’esperienza diretta, ma all’imitazione di modelli mediante il processo di rinforzo vicariante, per cui le conseguenze relative al comportamento del modello (ricompensa o punizione) hanno lo stesso effetto sull’osservatore. 2) L’approccio organismico Considera l’individuo come un organismo attivo, dotato di principi organizzativi intrinseci. Il bambino costruisce gradualmente la propria comprensione, di sé, degli altri e del mondo esterno, attraverso un continuo interscambio con l’ambiente. Tra i principali esponenti di questa corrente vi sono Piaget, Vygotskij e Werner. La teoria di Piaget è nota anche come teoria stadiale: egli ha descritto in modo estremamente preciso e dettagliato le singole fasi dello sviluppo (inteso come processo che nasce dall’interazione individuo-ambiente). La teoria di Piaget è in contrapposizione con quella di Vygotskij secondo cui lo sviluppo mentale origina dall’interiorizzazione di norme culturali: sin dalle prime modalità di comunicazione, il bambino manifesta di possedere un’attività intellettiva fortemente condizionata dal contesto. Gli studi di Vygotskij si sono concentrati sull’acquisizione del linguaggio e sulla costruzione dei concetti: nei suoi esperimenti osservò che i bambini, incaricati di mettere in ordine dei pezzetti di legno su cui erano segnate delle sillabe, procedevano in modi diversi. Da queste osservazioni Vygotskij spiegò le quattro frasi dell’evoluzione della costruzione dei concetti: • Fase dei mucchi → il materiale viene assemblato insieme senza differenziazioni; • Fase dei complessi → si rileva una forma di organizzazione dei materiali basata su legami irrilevanti (età scolare); • Fase degli pseudoconcetti → gli oggetti vengono raggruppati in base alle caratteristiche esterne (procede fino all’adolescenza); • Fase dei concetti → capacità di organizzazione in base all’astrazione e alla generalizzazione. Facendo un parallelismo tra lo sviluppo psichico e fisico, Werner descrisse lo sviluppo adottando il principio della crescente organizzazione: lo sviluppo prende le mosse da un insieme indifferenziato e procede poi per tappe di differenziazione e organizzazione gerarchica. Interessante è anche la teoria di Jerome Bruner, il quale ritiene che per sviluppo si debba intendere lo sviluppo cognitivo. Esso non avviene per stadi come nella teoria di Piaget, ma è legato alle strategie messe in atto dall’individuo per affrontare e padroneggiare una determinata situazione di vita in un un determinato contesto. I percorsi di sviluppo psicologico degli individui si differenziano per il modo in cui le informazioni vengono elaborate: rappresentazione esecutiva (azione), rappresentazione iconica (immagine) e rappresentazione simbolica (linguaggio) sono modalità di elaborazione del pensiero, che non costituiscono fasi disgiunte o stadi di sviluppo e possono coesistere. • L’azione è la prima modalità di conoscenza e corrisponde a ciò che il bambino fa esplorando intenzionalmente l’ambiente. • La rappresentazione iconica (fino ai 7 anni) corrisponde alle immagini mentali che il bambino si costruisce in base all’esperienza e che costituiscono forme di riorganizzazione della realtà. • L’acquisizione del linguaggio fornisce al bambino uno strumento di codifica e decodifica della realtà ancora più complesso. In conclusione, per Bruner i processi mentali hanno un fondamento sociale. 3) L’approccio psicoanalitico Questo approccio considera l’individuo come un organismo simbolico capace di attribuire significato a sé stesso e all’ambiente circostante. Il cambiamento è l’esito di conflitti interni. La teoria psicoanalitica di Freud si basa sullo sviluppo come un susseguirsi di fasi psicosessuali. Erikson aggiunge alla dimensione psicosessuale quella sociale, dividendo il ciclo di vita in otto età. Rispetto a Freud, Erikson prolunga lo sviluppo nell’intero arco di vita. Stern è noto per lo sviluppo della psicologia personalistica, che poneva l’accento sull’individuo esaminando i tratti misurabili della personalità e l’interazione di quei tratti all’interno di ogni persona per creare il sé. 4.3 Lo sviluppo psicologico Il panorama delle teorie sullo sviluppo infantile è decisamente variegato. Pur nella differenza di approcci, tuttavia, le diverse linee di pensiero si sforzando di rispondere a tre domande. 1) Qual è la natura del cambiamento che caratterizza lo sviluppo? I teorici si sono divisi nell’attribuire al cambiamento una natura: • Quantitativa → in tal senso lo sviluppo è considerato come la somma progressiva di piccoli cambiamenti nel tempo. Questa tesi è sostenuta dai comportamentisti. Tali teorie, dette anche “stimolo-risposta” (S-R) considerano il bambino un essere plasmabile il cui sviluppo è condizionato interamente da fattori ambientali esterni (esperienze e apprendimento). comprendendo la soggettività delle persone. riesce ancora a metterle in relazione. Livello 2 (9 anni) Autoriflessivo Il bambino comprende che l’altro può avere pensieri e sentimenti non solo diversi dai suoi, ma molteplici. Mettendosi nella prospettiva dell’altra persona, il bambino capisce che anche gli altri possono mettersi nei suoi panni; riesce a prevedere le loro reazioni alle sue azioni. Livello 3 (11 anni) Reciproco Il ragazzo capisce che la sua prospettiva può essere diversa non solo da quella di un altro, ma anche da quella generale (cioè comune a un gruppo). Il ragazzo riesce ad assumere una posizione imparziale in un conflitto tenendo conto dei punti di vista differenti e della relazione che intercorre tra questi. Livello 4 (oltre i 12 anni) Sociale e convenzionale Il ragazzo comprende che esistono punti di vista differenti non solo tra individui, ma anche tra gruppi o intere società. Di conseguenza, scopre che esiste una prospettiva di livello più alto di quello individuale, rappresentata dalla morale sociale. Il ragazzo si rende conto che diversi punti di vista possono essere messi in relazione più facilmente quando fanno riferimento a un comune punto di vista generale (cioè quello del sistema sociale). 4.4 Lo sviluppo dell’identità Un aspetto importante nello sviluppo psicologico è la costruzione di un’idea del sé. Le due più grandi teorie che si sono occupate di analizzare lo sviluppo dell’identità sono: ➢ La psicoanalisi ➢ La teoria dello sviluppo psicosociale 4.5 Sigmund Freud e la psicanalisi Il termine psicoanalisi è stato coniato nel XX secolo dalla fusione di due termini: psiche e analisi. • Psiche → deriva dal greco e significava “anima”, ma con il tempo è divenuto sinonimo di “mente”. • Analisi → è formato dalla preposizione greca ana- che significa “in parti uguali” e lisi che significa “sciogliere”. La teoria psicoanalitica fa capo a S. Freud, il quale muove dal presupposto che il rapporto madre-bambino sia la base delle successive relazioni. Alla nascita il bambino ha due tipi di istinti fondamentali: • Quelli libidici → che comprendono i bisogni vitali, gli istinti fisiologici legati alla sopravvivenza; • Quelli aggressivi → che evolveranno successivamente nell’istinto di morte. Secondo Freud, per un lungo periodo il bambino è totalmente narcisista e agisce solamente per ottenere gratificazione degli istinti vitali: il bambino mostra affetto per la madre poiché è lei a soddisfare i suoi bisogni primari. Successivamente particolari zone del corpo (zone erogene) saranno interessate dall’istinto libidico. In base alle zone interessate si distinguono cinque stadi psicosessuali11: ➢ Stadio orale (18 mesi) → la regione orale diventa il mezzo privilegiato di rapporto con la madre, vissuta come un oggetto che gratifica il bambino tramite l’alimentazione. Aggressività e pulsione si manifestano già nel neonato che morde il capezzolo della madre. Questo stadio termina con lo svezzamento: il bambino deve abituarsi ad un diverso tipo di alimentazione e, di conseguenza, ad un diverso rapporto con la madre. ➢ Stadio anale (18-36 mesi) → l’energia libidica è concentrata nella dinamica ritenzione-espulsione delle feci. In tale fase, i genitori diventano spesso pretendono che il figlio acquisti presto la capacità di controllo degli sfinteri. Può sorgere, dunque, un primo conflitto tra autonomia del bambino e tendenza dei genitori ad imporre i propri tempi e bisogni. In tal senso, il bambino manifesta la propria aggressività attraverso una serie di comportamenti oppositivi alle richieste genitoriali. ➢ Stadio fallico (36 mesi- 5 anni) → l’attenzione viene spostata verso i genitali e alla scoperta delle differenze legate al possesso del pene. In questo stadio, Freud colloca il famoso complesso di Edipo che si manifesta nell’emersione di desideri incestuosi verso il genitore del sesso opposto e rivalità e gelosia verso il genitore dello stesso sesso. Per la teoria freudiana, tutto il resto dello sviluppo 11 La teoria freudiana è una teoria stadiale: lo sviluppo viene suddiviso in diverse fasi, ciascuna delle quali definisce come si evolve l’energia libidica. Secondo Fonzi, infatti, la psicoanalisi può essere definita come un “modello energetico della motivazione”: essa postula che alla base di ogni comportamento vi sia la necessità di scaricare energia, che, altrimenti, diventerebbe insostenibile. è condizionato dal superamento o meno di tale complesso. Per il maschio, egli identifica il superamento di questa fase con il manifestarsi del complesso di castrazione, cioè del timore di essere evirato dal genitore prima odiato e ora elevato a modello. In questa fase, il bambino tenderà ad indentificarsi con il padre. Il processo di identificazione è dovuto a quello che Freud considera il tabù più importante: il tabù dell’incesto. Lo stesso processo, ma a ruoli inversi, avviene per le femmine. La bambina proverà meno angoscia perché per lei la vagina rappresenta una castrazione già avvenuta e ciò costituirà quello che secondo Freud è il problema irrisolvibile della donna: l’invidia del pene. È in questa fase che il bambino costituisce le tre strutture fondamentali della personalità: • Es → è il serbatoio pulsionale, presente fin dalla nascita. • Io → fa da mediatore tra le forze aggressive e distruttive dell’Es e il mondo esterno • Super Io → base del dovere e della moralità. L’Es, il Super Io e l’Io nella parte che riguarda i meccanismi difensivi sono inconsci. La dimensione inconscia, dunque, è sempre più strutturata e occupa gran parte della personalità umana. ➢ Stadio di latenza (6-11 anni) → l’energia libidica si rafforza, ma non viene espressa. La fine della conflittualità edipica porterà il bambino ad impegnare le proprie energie nella ricerca, nello studio e nel rapporto con i coetanei. ➢ Stadio genitale → le pulsioni vengono orientate verso un partner e finalizzate a costruire una relazione sessuale. Con la pubertà, le cariche libidiche e aggressive dovranno trovare una modalità espressiva più matura. L’identità sessuale sarà tanto più valida quanto più sono stati superati gli stadi precedenti. Se questo non avviene, l’adolescenza può trasformarsi da crisi passeggera a situazione di patologia più o meno grave. Per Freud ci sono due tipi di processi che regolano le idee: • Processi primari → liberi dalla logica: • Processi secondari → strettamente razionali e logici. Un individuo che matura è sempre più vincolato dai processi secondari, man mano che conosce la sua cultura. Il processo primario permette di mettere insieme idee apparentemente del tutto distinte: solo i pensatori creativi mantengono la capacità di ammettere il materiale del processo primario nel loro pensiero. loro desideri o che si lascino andare ad atteggiamenti irrispettosi nei confronti degli altri e di eccessivo individualismo. 4) Industriosità/Senso di inferiorità (6-11 anni) → il bambino fa il suo ingresso nella vita sociale mediante l’inserimento nel contesto scolastico. Il concetto di industriosità fa riferimento alla possibilità che il bambino ha di ottenere l’approvazione sociale grazie alla propria produttività (imparando a leggere, a scrivere, partecipando alle attività di gruppo). Tutto ciò può anche suscitargli un senso di inadeguatezza e inferiorità se, nel confronto con i suoi compagni non riesce a integrarsi. In questo periodo, l’aggressività e l’irruenza tipiche dello stadio precedente vengono sostituite da diligenza, perseveranza, costanza. Secondo Erikson, se il bambino non gode del piacere dell’industriosità e accetta il lavoro come unico dovere e il lavorare come il solo criterio di dignità, egli può diventare lo schiavo conformista e non pensante del sistema in cui vive, diventando così un soggetto che si adatta passivamente alla realtà senza partecipare attivamente alla propria vita. 5) Identità/Dispersione o confusione dei ruoli (12-18 anni) → il periodo dell’adolescenza è caratterizzato da importanti cambiamenti fisici che inducono il bambino a mettersi in discussione e a ricercare la sua identità, in cui la maturità sessuale è una nuova componente. L’adolescente sperimenta nuove esperienze che lo affrancano dalla famiglia. In questa fase, il rischio è che il bisogno di trovare una propria identità si trasformi in ricerca di modelli in cui identificarsi per incapacità di definire una propria identità. 6) Intimità/Isolamento (19-25 anni) → ormai costituita la propria identità, l’individuo tende a conservare sé stesso e a stabilizzare il rapporto con gli altri componenti del suo ambiente (il partner, i colleghi di lavoro). La ricerca di rafforzare il rapporto con i propri punti di riferimento ha sul versante opposto la possibilità di chiudersi al rapporto con gli altri (isolamento) al di fuori della propria cerchia. 7) Generatività/Stagnazione (26-65 anni) → per Erikson, il concetto di generatività non riguarda solo il desiderio di mettere al mondo dei figli e allevarli, ma anche quello di creare qualcosa di utile con il proprio lavoro, di insegnare agli altri la propria esperienza. 8) Integrità dell’Io/Disperazione (65 + anni) → in quest’ultima fase occorre accettare tutto ciò che si è e ciò che si potrebbe essere ancora. Chi ha costruito un Io forte riesce ad accettare il tempo trascorso considerando il proprio vissuto come un irripetibile ciclo vitale, qualcosa di necessario e insostituibile. Chi non è riuscito a costruire un Io forte, vivrà questa fase con rimpianto e grande rimorso, sfociando nella disperazione. Il punto debole di questa teoria è la superficialità con la quale vengono descritti alcuni eventi psichici (per esempio, non si comprende bene su quali basi una madre possa infondere fiducia o sfiducia nel bambino o incoraggiarne l’industriosità). 4.6.2 La teoria dei tratti e della personalità di Gordon Allport Secondo Allport, i tratti (cioè le unità minime analizzabili della personalità) sono innati. Tale innatismo non deve però trarre in inganno poiché la personalità e l’identità non sono qualcosa di rigido, ma sono caratterizzate da apertura e flessibilità. Pur considerandoli innati, per Allport i tratti sono strutture che si rinnovano e cambiano in continuazione condizionati dall’ambiente e dalle esperienze. Dunque, la personalità è un’entità dinamica esposta a cambiamenti attraverso gli stimoli ambientali, le esperienze, le relazioni e gli sforzi adattivi che un individuo mette in atto nel corso della vita. Allport distingue tra: • Tratti comuni → sono quelli che abbiamo in comune con altre persone e che possono essere descritti attraverso i test della personalità; • Tratti individuali → sono quelli specifici, che rendono le persone originali e sono individuabili attraverso l’osservazione diretta o i racconti che le persone fanno di sé stesse. Allport sostiene che i tratti individualisi dividano in tre categorie: 1) Tratti cardinali → sono quelle predisposizioni così totalizzanti e coerenti da influenzare la maggior parte delle azioni compiute dall’individuo. 2) Tratti centrali → elementi secondari della personalità, ma comunque capaci di influenzare in maniera determinante le azioni e il comportamento di una persona. Sono quelli che determinano anche il livello di coerenza della persona stessa. 3) Tratti secondari → riguardano gli atteggiamenti, i gusti e le preferenze. 4.7 Erich S. Fromm Allievo di Freud, Fromm distingue tra: • Istinti → bisogni primari ancestralmente legati al mondo animale, che creano comportamenti rigidi e definiti organicamente (bisogni fisiologici come sessualità, fame, sete ecc.). • Pulsioni → sono frutto dell’evoluzione ontogenetica dell’uomo e riguardano principalmente la sfera del desiderio e dei bisogni secondari di tipo psichico e spirituale, nonché la naturale tendenza ad aggregarsi per dare vita a delle comunità. Fromm identifica otto bisogni psicologici basilari: relazione, trascendenza, radicamenti, identità, orientamento, stimolo, unità, realizzazione. Per Fromm la personalità è l’insieme delle qualità psichiche ereditarie ed acquisite dell’individuo che ne definiscono il temperamento (il carattere) attraverso un processo evolutivo di adattamento quale compromesso tra i bisogni interni e le richiede esterne. Il carattere dell’uomo, dunque, è inteso come il modo in cui l’individuo usa la propria energia psichica in funzione delle proprie esigenze individuali in un dato contesto sociale ed ambientale. Il processo di formazione ha due principali dimensioni: quella sociale e quella individuale. L’uomo instaura poi relazioni positive con il mondo attraverso l’assimilazione (acquisizione dell’ambiente) e la socializzazione (tensione verso l’altro). Quest’ultima può essere turbata dalla comparta di almeno uno di quattro atteggiamenti: masochismo, sadismo, distruttività, conformismo. 4.8 Lo sviluppo del senso morale Una norma morale è una sorta di guida per la condotta poiché delinea i comportamenti desiderabili e non desiderabili: infatti, essa contiene un’indicazione emotiva di colpa, vergogna o imbarazzo se viene trasgredita; soddisfazione o orgoglio se viene rispettata. Le tre grandi teorie che hanno provato a descrivere lo sviluppo morale degli individui sono state la teoria psicoanalitica, quella comportamentista e quella cognitiva. Teoria di Kohlberg ; : | Livello preconvenzionale (fino a 9-10 | Anomia (assenza di regole). GT anni): prevede la valutazione delle conseguenze delle azioni sul soggetto stesso. Stadio 1: orientamento premio-punizione. Stadio 2: orientamento individualistico e strumentale. Livello convenzionale (13-20 anni): Realismo morale (morale eteronoma) (fino focalizzazione sui rapporti interpersonali |a 8-9 anni): e sui valori sociali. * possiede un punto di vista egocentrico: Stadio 3: orienta giudica la responsabilità oggettiva on ; ientamento del bravo ragazzo. (conseguenza dell’azione) più importante della 210 4: orientamento al mantenimento |responsabilità soggettiva (intenzionalità); dell'ordine sociale. * utilizza una morale eteronoma: la validità dei principi morali è strettamente connessa con l'autorità che li promuove; * rispetta le norme morali per paura delle sanzioni; * considera la menzogna un comportamento sbagliato tanto più grave quanto più si discosta dalla realtà. Teorie dello sviluppo morale a confronto Teoria di Piaget Livello postconvenzionale (dopo i 20 |Relativismo morale (morale autonoma) (dai anni): focalizzazione su principi etici 9 anni): astratti. * considera le regole come determinate dal consenso reciproco e quindi modificabili; * utilizza una morale autonoma: la validità dei principi morali è svincolata dall'autorità che li promuove; * attribuisce importanza agli elementi specifici della situazione e alle intenzioni (responsabilità soggettiva); * considera la menzogna immorale in sé perché danneggia la fiducia reciproca e i rapporti interpersonali, minando la stabilità e l'ordine sociale; * ritiene che tutti abbiano diritto al rispetto e alla giustizia. Stadio 5: orientamento del contratto sociale. Stadio 6: orientamento della coscienza e dei principi universali. Negli anni ’70, studi più estesi iniziarono ad evidenziare delle anomalie nella sequenza degli stadi di sviluppo della moralità. Una delle line di ricerca più produttive è stata quella di Turiel, che ha elaborato la cd. teoria del dominio. Secondo questa teoria, a partire dai 39 mesi si differenziano due rispettivi domini (ambiti) concettuali: le convenzioni sociali e gli imperativi morali. Le azioni ricadenti nel dominio della moralità hanno effetti di tipo intrinseco, quelle che riguardano la sfera sociale non hanno effetti intrinseci interpersonali. Ciò giustificherebbe la concezione comune che la trasgressione delle convenzioni sia meno grave della mandata osservanza delle norme morali universalmente riconosciute. Dunque, già a tre anni i bambini sembrano sapere che le norme morali sono assolute, mentre le convenzioni sono relative e quindi più deboli. L’obbedienza è determinata dalla paura della punizione, mentre la moralità è determinata da convinzioni autonome. Un’altra grande critica mossa alla teoria di Kohlberg è stata mossa da Gilligan, che tra le altre cose lo ha rimproverato per aver utilizzato solo maschi nelle interviste, ricavandone una visione incompleta. Lei ha sviluppato un concetto di moralità basato sul prendersi cura, in alternativa alla moralità della giustizia e dei diritti. Tale moralità non è intesa come obbligo a non trattare gli altri in modo scorretto, ma come obbligo a non sottrarsi dall’aiutare qualcuno nel momento del bisogno. 4.8.2 L’approccio comportamentista La prospettiva comportamentista fa riferimento a Bandura e alla teoria del Social Learning: secondo questa teoria, le norme vengono apprese in base all’esperienza, cioè in base ad una serie di rinforzi positivi o negativi. In un primo momento i comportamenti si apprendono dall’osservazione, solo sucessivamente possono essere rinforzati. Secondo Bandura lo sviluppo morale è un processo interattivo tra fattori individuali- personali e fattori ambientali-sociali (interazionismo cognitivo-sociale). La teoria dell’apprendimento sociale (social learning) si fonda inizialmente sui processi di rinforzo e modellamento vicario, per poi spostarsi verso i meccanismi di autoregolazione: questi permettono alla persona di comportarsi in funzione delle conseguenze previste, consentendole di arrivare alla soddisfazione personale, al senso di autostima, evitando così auto-sanzioni dovute alla trasgressione dei valori morali. Maggiore è il disimpegno morale e minore è il senso di colpa e il bisogno di riparare al male causato. Di norma, gli individui non adottano una condotta riprovevole finché non hanno giustificato a sé stessi la correttezza delle loro azioni. Bandura ha approfondito i meccanismi che, nel corso della socializzazione, determinano l’attivazione o meno di controlli morali interni, agendo così come cause del comportamento immorale di persone (pur sempre capaci di raggiungere elevate forme di ragionamento morale): • Giustificazione morale → un meccanismo attraverso il quale i comportamenti socialmente deleteri vengono resi accettabili attraverso la ricostruzione cognitiva o forme di ideologizzazione; • Dislocazione della responsabilità → meccanismo che permette alle persone di compiere azioni che solitamente ripudiano poiché non si sentono direttamente responsabili del loro operato. Questo è evidente quando si obbedisce ad una autorità: considerando l’obbedienza come obbligatoria si individua l’autorità stessa come responsabile; • Diffusione della responsabilità → meccanismo che permette di distribuire fra membri diversi la responsabilità derivante dall’attività rischiosa. Tale meccanismo permette ad individui, altrimenti attenti alle esigenze altrui, di comportarsi in maniera crudele. 4.8.3 L’approccio psicoanalitico Nella prospettiva psicoanalitica rientrano sia la teorizzazione originaria di Freud, sia quelle successive di e Klein Jacobson. Freud sostiene che la coscienza morale (il Super Io) sia il risultato del complesso edipico e del legame di dipendenza con le figure genitoriali. Il senso di colpa è la conseguenza dell’azione censoria del Super Io: in questa prospettiva assume una funzione importante anche l’Io Ideale, derivante dall’identificazione con gli adulti di riferimento, poiché costituisce un modello a cui il bambino tende ad assomigliare. Diversamente da Freud, Klein ritiene che per parlare di coscienza morale non si debba attendere il superamento dell’Edipo, ma che il bambino manifesti una comprensione di questa dimensione fin dalla primissima infanzia: infatti, egli manifesta spinte aggressive nei confronti della madre che, causando senso di colpa e paura di perdere l’oggetto d’amore, lo spingono a tenere comportamenti riparatori. Jacobson ha studiato il costituirsi di codici morali nella prospettiva delle relazioni oggettuali e della costruzione del sé. Per Jacobson, l’Io Ideale riveste una funzione primaria: questo si formerebbe prima del Super Io e concorrerebbe (con la sua funzione vicariante) a guidare il bambino nella comprensione di ciò che è giusto e di ciò che non lo è. In conclusione, vi è un generale consenso tra gli studiosi sul principio secondo cui lo sviluppo della moralità avvenga per stadi successivi. Ne consegue che la personalità adulta riflette le caratteristiche sviluppate durante l’infanzia. In particolare, gli anni dai Capitolo 5: I principali contributi pedagogici in tema di sviluppo e apprendimento Pedagogia → scienza che si occupa della formazione per l’intero corso della vita. Tra le branche più rilevanti si ricordano: • Pedagogia sociale→ opera all’interno dei problemi sociali; • Pedagogia speciale → si occupa dei soggetti con bisogni educativi speciali favorendo la loro inclusione scolastica e sociale; • Pedagogia sperimentale→ si occupa della ricerca scientifica; • Pedagogia comparativa→ si occupa dell’analisi delle pratiche educative in rapporto ai sistemi educativi e formativi di altre nazioni e culture; • Pedagogia della comunicazione → studia i fenomeni comunicativi dal punto di vista educativo, descrivendone gli effetti sulla persona; • Pedagogia interculturale→ si fonda sullo scambio interattivo tra individui appartenenti a culture diverse e si occupa di favorire il superamento del monoculturalismo e il riconoscimento di valori appartenenti alle diverse culture in maniera dinamica; • Pedagogia degli adulti (detta anche educazione degli adulti o andragogia) → si occupa di problemi come la rieducazione e formazione continua (Lifelong Learning), problematiche specifiche degli adulti; Problematicismo pedagogico → modello elaborato da Giovanni Maria Bertin per riflettere sui processi educativi e sintetizzare le esperienze e le teorie che nel corso dei secoli hanno arricchito la scienza pedagogica. Sociometria→ teoria che si propone di descrivere la struttura informale dei processi socio-affettivi e socio-cognitivi nei piccoli gruppi. Gnoseologia → studia la natura della conoscenza. Epistemologia → parte della gnoseologia che studia i fondamenti, la validità e i limiti della conoscenza scientifica. Docimologia → ramo della pedagogia che si occupa dello studio dei sistemi di valutazione, delle prove di verifica. Si pone come obiettivo quello di trovare metodi valutativi oggettivi. 5.1 La pedagogia dagli albori al 1600 5.1.1 Agostino Tra i numerosi temi trattati da Agostino (354-450 d.C.) vi è quello della conoscenza e della strada da percorrere per raggiungerla. Il tema viene affrontato nel De Magistro, nel quale Agostino analizza la dinamica tra il maestro e il discepolo: il maestro spiega con proprie parole la natura delle cose al discepolo. Tuttavia, queste parole non sono che un riflesso delle cose, un segno, ma non solo la cosa in sé. Per comprendere le cose è necessario passare dai segni (le parole) ai significati. Nella parte finale, Agostino conclude che la vera comprensione intellettuale non avviene tramite le parole, avviene perché facciamo spazio dentro di noi alla verità. Pertanto, il discepolo deve fare spazio al proprio Maestro interiore (che Agostino identifica con Cristo), il quale tramite l’illuminazione divina permette la compresnione delle cose. Le parole del precettore hanno l’obiettivo di fornire spunti e di scrutare fino a che punto il discepolo è pronto a fare spazio al suo Maestro interiore. In chiave più attuale si potrebbe dire che l’educatore deve favorire l’apprendimento non solo con le parole, ma facendo in modo che il discepolo conosca sul campo e in maniera diretta le cose. Inoltre, deve favorire la ricerca interiore e la crescita intellettuale del discepolo. A quest’ultimo spettano i maggiori sforzi per raggiungere il risultato. 5.1.2 Comenio (1592-1670) Nella formulazione delle sue teorie, Comenio risente dell’epoca in cui vive. Il ‘600 è il secolo del Metodo: il metodo scientifico di Galilei, il metodo matematico di Cartesio ecc. Comenio propone un metodo per l’insegnamento che contempli anche la costruzione degl obiettivi che si vogliono perseguire con l’educazione. Alla base della concezione pedagogica di Comenio vi è la pansofia, cioè una sintesi unitaria delle diverse forme di sapere, le quali devono necessariamente avere una radice comune, identificabile in Dio quale creatore dell’universo. L’unitarietà del sapere trova ragion d’essere nel fatto che esiste un unico creatore (Dio) per: • La natura → investigata dalle scienze naturali e sperimentali; • La mente umana e l’intelletto → cui si avvicina la filosofia; • Le Sacre Scritture→ che raccolgono il sapere teologico. In base a questa concezione, l’insegnamento dei saperi e il loro apprendimento sono facilitati, in quanto essi hanno una radice comune che si riflette in un metodo comune di insegnamento. Nell’ideale pansofico trova, dunque, spazio la Pampaedia, cioè l’idea di un’Educazione Universale, che riguardi qualsiasi ambito del sapere e che possa esser rivolta a tutti. Questa concezione si riassume nell’assioma pedagogico omnia omnibus omnino: si può insegnare tutto (omnia) a tutti (omnibus) in modo completo e interconnesso (omnino). Il metodo d’insegnamento è proposto in una delle sue opere più importanti: Didactica Magna. Comenio parla di un metodo che avvicini all’apprendimento gli studenti, cioè di una didattica che ponga l’alunno come protagonista del proprio sviluppo, calibrata sulle sue reali capacità. Egli giunge a strutturare un sistema scolastico che possa assolvere a tali compiti: ➢ Schola materna (fino a 6 anni) → l’attenzione è rivolta ai sensi come modalità di contatto con il mondo circostante e all’intuizione come prima occasione di apprendimento del fanciullo. ➢ Schola vernacula (6-12 anni) → si impara la lingua nazionale, l’insegnante cura gli aspetti legati alla memoria e all’immaginazione, l’alunno inizia a maturare livelli di astrazione che lo conducono ad utilizzare i simboli per rappresentare il mondo circostante. ➢ Schola latina (12-18 anni) → permette un accesso al sapere più dettagliato, si studiano le lingue classiche (greco, latino, ebraico), le arti e la fisica (studio della natura), il tutto in una profonda ottica religiosa. ➢ Accademia (18-24 anni) → si approfondiscono cambi specifici del sapere e nel periodo finale si ha la possibilità di viaggiare per ampliare conoscenze e orizzonti. ➢ Schola scholarum → formazione successiva all’accademia, destinata alla preparazione dei futuri insegnanti. 5.2 Il modello educativo illuminista Il secolo dell’Illuminismo vede profondi cambiamenti sociali, segnati dalla rivoluzione industriale e dall’ascesa della borghesia, una nuova classe sociale che ha costruito la propria ricchezza con enormi sforzi, ottenendo il potere economico degli stati europei. Questa nuova classe reclama l’uguaglianza di tutti gli individui. L’Illuminismo trova espressione anche sul piano culturale e influenza il modello educativo dell’epoca: l’istruzione deve partire dallo studio della realtà, al fine di descrivere i meccanismi e le leggi che la regolano, e dve essere fornita al maggior Da questo stato di purezza originale, pero, si distacca progressivamente, creando strutture artificiali che possono essere identificate con le culture dei singoli popoli. L’autore non sostiene esplicitamene che tale stato naturale possa essere realmente esistito, non è in grado di collocarlo nel tempo, tuttavia, vuole descriverlo affinché si possa tendere ad esso in modo più consapevole ed efficace. Con Rousseau, la pedagogia assume la configurazione di una scienza autonoma, con un proprio campo di indagine e una serie di strumenti con cui operare. La declinazione educativa di Rousseau viene ampiamente sviluppata nel romanzo dal forte accento didattico L’Emilio o dell’educazione. In quest’opera, un precettore (riconducibile a Rousseau stesso) spiega come procedere nelle varie fase dell’educazione di un ragazzo. Alla nascita, Emilio è stato sottratto alla civiltà e portato in campagna, affinché possa avvicinarsi allo stato naturale dell’uomo. Il romanzo è diviso in cinque libri, ciascuno dei quali tratta l’educazione in una fase ben precisa della vita del fanciullo: 1) Il primo libro è dedicato alla prima infanzia (0-2 anni). In questa fascia d’età il bambino inizia a parlare, adoperando le capacità sensoriali e motorie, che diventano i principali canali di esplorazione del mondo intorno a lui. L’educatore deve assecondare i reali bisogno del bambino e tralasciare i capricci e i desideri frivoli. 2) Il secondo libro affronta il periodo della seconda infanzia (3-12 anni). A quest’età, il bambino entra in contatto con gli altri in modo consapevole; in questa fase vi è una propensione al gioco che può essere un utile strumento educativo. È importante che il bambino impari dall’esperienza. L’educatore deve astenersi dall’impartire precetti in modo diretto, il bisogno di regole deve partire dalle esperienze che quotidianamente il bambino vive. Occorre assecondare i suoi tempi di apprendimento: al bambino deve sembrare che le attività in cui è impegnato avvengano in modo naturale e non per scelta del precettore. 3) Il terzo libro parla della pubertà (13-15 anni). In questo periodo, il precettore lavora affinchè il fanciullo possa mitigare i propri istinti. Lo studio delle discipline avviene attraverso una partecipazione attiva del ragazzo attraverso la proposta di situazioni di concreta utilità, che possano destare la sua motivazione facendo riferimento ai suoi reali bisogno. 4) Il quarto libro è dedicato all’adolescenza (16-20 anni). L’adolescente diventa un essere spiccatamente sociale. L’educazione di Emilio viene completata dalla dottrina religiosa. 5) Il quinto libro è dedicato all’età adulta (21-25 anni). Emilio viene introdotto nella società, dove conosce Sophie, una ragazza semplice, educata con rigore e lontana dai vizi. Emilio potrà sposare Sophie solo dopo aver compiuto, con il suo precettore, un lungo viaggio per completare la sua istruzione, durante il quale conoscerà popoli e culture diverse da quella francese e compirà la scelta del paese in cui stabilirsi con la sua famiglia. Da questo romanzo emergono tutti i concetti fondamentali della pedagogia di Rousseau: ➢ Educazione naturale → l’educazione non deve tener conto di quanto la società stabilisce o dichiara, ma deve essere orientata verso il soggetto protagonista dell’apprendimento, risvegliando in lui quelle attitudini e quelle facoltà che gli appartenevano nello stato naturale e che la società ha col tempo corrotto. ➢ Educazione negativa → l’educatore viene visto come uno strumento di rimozione degli elementi potenzialmente dannosi alla formazione del discente. Non è essenziale progettare minuziosamente lezioni o interventi formativi; è più efficace rispettare le tappe dello sviluppo del discente ed accompagnarlo nella sua crescita. Più nello specifico, il compito del precettore è quello di mettere il fanciullo nelle condizioni di compiere esperienze. ➢ Progressività dell’educazione → il fanciullo apprende mediante l’esperienza, che però deve essere calibrata sulle sue capacità. La scelta dell’esperienza da proporre deve essere guidata dai suoi reali interessi: in pratica, egli deve avvertire la necessità, il bisogno di compiere quell’esperienza, viceversa, non ne trarrà alcun beneficio. Quest’ultimo concetto è rivoluzionario e scaturisce da una considerazione che verrà ripresa da altri pedagogisti: il fanciullo non è un uomo in miniatura, ha una propria natura ben diversa da quella dell’adulto. La sua mente è dotata di una struttura del tutto diversa, risultando maggiormente orientata ai bisogni, alle necessità, agli interessi, all’azione pratica. Su queste considerazioni porrà le proprie basi l’attivismo. 5.3 La pedagogia nell’età romantica Nel XIX secolo, la pedagogia risente degli influssi del movimento romantico. Uno degli aspetti fondamentali è l’educazione alla moralità, che si affianca all’aspetto strettamente cognitivo. Il contatto con la natura è ritenuto benefico e costruttivo. Inoltre, si ha grande considerazione per i processi interiori in quanto favoriscono la formazione dell’individuo. 5.3.1 Johann Heinrich Pestalozzi Pestalozzi ha ripreso l’idea dello stato naturale di Rousseau e l’ha proiettata in ambito prettamente romantico. Le sue opere di maggior rilievo sono: ➢ Leonardo e Gertrude → un romanzo a sfondo pedagogico, nel quale Pestalozzi introduce il suo metodo elementare e il concetto di educazione morale; ➢ Come Gertrude istruisce i suoi figli → una raccolta di lettere in cui perfeziona le sue idee pedagogiche traendo spunto dall’educazione materna; ➢ Idee, esperienze e mezzi per promuovere un’educazione conforme alla natura umana → in cui approfondisce i presupposti teorici del metodo da lui elaborato; ➢ L’ABC dell’intuizione; Lezione sull’osservazione della relazione tra i numeri; Il libro delle madri → finanziati dal governo svizzero come libri di testo per favorire l’espansione del modello scolastico proposto da Pestalozzi. Per Pestalozzi, l’educazione deve risvegliare l’uomo morale e sopire gli istinti egoistici e violenti. L’uomo morale è colui che si lascia guidare dall’amore e dalla fiducia, che riesce ad anteporre il prossimo a sé stesso e che ha una profonda fede religiosa. L’educatore deve porsi come modello per il bambino e prendersene cura con un’arte simile a quella di un giardiniere che promuove la crescita e la fioritura di mille alberi. Per conseguire un’educazione morale è necessario che lo sviluppo umano attraversi tre fasi: 1) Stato di natura → l’uomo segue l’istinto e può lasciar prevalere una ingenua virtù oppure l’egoismo e gli interessi personali; 2) Stato sociale→ l’uomo vive in contatto con gli altri, sebbene non sempre in maniera armoniosa. Talvolta, infatti, si verificano contrasti tra gli oppressori, che cercano di prevalere, e i più deboli, che cercano protezione; 3) Stato morale → approdo finale, al quale bisogna tendere. Si realizza se l’educazione riesce a far prevalere la moralità dell’uomo che domina le proprie passioni e accoglie gli altri. • Promuove l’apprendimento attraverso tre momenti: osservazione, intuizione, esperienza; • È finalizzato a un’alfabetizzazione di base, rivolta a bambini poveri che, messi a lavorare in tenera età, non potranno frequentare la scuola elementare; • Si accompagna all’educazione cattolica; • Educa alle prime norme igieniche. 5.3.3 Johann Friedrich Herbart Herbart si è occupato di dare un aspetto autonomo alla scienza pedagogica. Questo si evince principalmente in due opere: • Pedagogia Generale dedotta dal fine dell’educazione; • Disegno di Lezioni di Pedagogia Herbart considera la pedagogia come un sistema di concetti intorno al metodo dell’educazione (pedagogia scientifica) che trova i suoi fondamenti nell’etica e nella psicologia: • L’etica → indica il fine stesso della pedagogia, cioè la formazione morale dell’allievo; • La psicologia → deve indicare i mezzi e gli strumenti con i quali ottenere queste finalità. È importante che il discente riconosca i seguenti cinque valori etici: ➢ Libertà interiore → contraddistingue la coerenza tra la volontà dell’individuo e la sua condotta; ➢ Perfezione → rappresenta l’equilibrio interiore e il perfetto concepimento dell’individuo; ➢ Benevolenza → rappresenta l’armonia fra la volontà del soggetto e quella degli altri; ➢ Diritto → definisce la concordanza della volontà di molti e diviene un accordo che può prevenire scontri e lotte; ➢ Equità → commisura la ricompensa alle azioni svolte. Nell’ambito della psicologia, come altri pedagogisti e filosofi del Romanticismo, Herbart disconosce l’idea dell’innatismo: le idee non sono innate nel soggetto, ma si costruiscono con l’esperienza, tramite le sensazioni. La moralità dell’uomo è il fine ultimo dell’educazione: essa si può acquisire tramite l’esempio e l’insegnamento dell’educatore. Il percorso che educa alla morale è suddiviso in tre tappe: 1) Piano di governo → l’educatore ha un ruolo predominante sul discente, ne domina le passioni e gli impulsi e stimola in lui la volontà. L’obiettivo è la moralità dell’allievo: tale moralità non può essere raggiunta senza l’intervento di morale esterna (quella dell’educatore). Herbart prende in considerazione diverse modalità di attuazione del governo: • Minaccia→ costrizione a svolgere qualche compito/divieto di fare qualcosa; • Sorveglianza → vigilare continuamente sull’attività svolta dall’allievo con l’eventuale correzione; • Autorità → capacità del maestro di porsi come figura di alto valore morale e spirituale; • Amore → un’unità di intenti che il maestro instaura con l’allievo, in quanto capace di leggerne bisogni e interessi. Le prime due modalità limitano l’iniziativa dell’allievo e ne frenano lo sviluppo, le successive due promuovono in lui la capacità di valutare e di auto-educarsi. 2) Piano di istruzione → il docente deve porre in essere una didattica che stimoli l’interesse dell’allievo, il quale deve maturare le proprie idee e un proprio giudizio morale. 3) Autogoverno → in questa fase si determina la sintesi tra la volontà e il giudizio, elementi caratteristici delle due fasi precedenti. Per Herbart l’interesse è quella condizione essenziale grazie alla quale avviene l’apprendimento. Distingue due tipi di interessi: conoscitivi e partecipativi. ➢ Gli interessi conoscitivi → riguardano la conoscenza del mondo e della realtà circostante. Per tale motivo sono di carattere oggettivo. Si suddividono a loro volta in: • Interesse empirico → deriva dalla sensazione e dalla percezione stimolata in modo diretto dagli oggetti; • Interesse speculativo→ deriva da ragionamenti e riflessioni fatte sugli oggetti; • Interesse estetico → deriva dall’interesse per l’armonia e la bellezza della natura. ➢ Gli interessi partecipativi → sviluppano il versante dei rapporti umani e sociali. Sono di carattere soggettivo. Si suddividono in: • Interesse simpatetico→ deriva dal provare gli stessi sentimenti degli altri e dal condividerli con loro; • Interesse sociale → deriva dal mostrare attenzione per le virtù sociali (solidarietà e cooperazione); • Interesse religioso → legato alla riflessione sulle finalità dell’uomo e sul divino. L’educazione deve riuscire a stimolare tutti questi interessi nel discente. In questo senso, hanno un ruolo fondamentale le discipline, che Herbart raggruppa in due categorie: ➢ Quelle di tipo scientifico (scienze naturali, matematica) → favoriscono in particolar modo gli interessi conoscitivi. ➢ Quelle di tipo umanistico (storia e studio del linguaggio) → favoriscono gli interessi partecipativi. Secondo Herbart, la programmazione dell’insegnamento si delinea in gradi formali: 1) Il primo grado è la chiarezza → si attua un insegnamento rappresentativo, durante il quale l’insegnante deve rappresentare l’oggetto dell’apprendimento, descrivendolo nelle sue caratteristiche come se l’allievo potesse vederlo. In questo modo si imita il processo tipico dell’esperienza diretta. Questo approccio favorisce l’intuizione dell’alunno e aiuta il maestro a fissare gli obiettivi dell’insegnamento. 2) Il secondo grado è l’associazione → l’insegnante stimola l’associazione tra oggetto presentato e quelli che sono già nella mente come rappresentazioni. In questo momento è dunque essenziale svolgere un insegnamento analitico che aiuti l’allievo a scomporre l’oggetto e le rappresentazioni nelle loro parti essenziali. In tal modo è più semplice stabilire rapporti tra le rappresentazioni. 3) Il terzo grado è la sistemazione → dopo le associazioni fatte in modo intuitivo, vi è una sistemazione delle rappresentazioni che stabilisce dei veri e propri legami tra esse. È la fase in cui le rappresentazioni raggiungono una massa appercettiva13: pertanto di esse si inizia ad avere una vera coscienza. L’insegnante deve mirare a consolidare nell’alunno una conoscenza ordinata e sistematica, tramite un insegnamento sintetico. 13 L’appercezione è una forma particolare di percezione mentale, che si distingue per chiarezza e consapevolezza di sé. • Diretta e artificiale → esperienze già selezionate dal maestro (cioè quelle che la società ha sviluppato come la scienza, la morale e la lingua). • Indiretta → insegnamento tradizionale basato su schemi e immagini (Ardigò ritiene che bisogna evitare questo insegnamento). 5.5 Il funzionalismo e l’attivismo William James è considerato il padre del funzionalismo. Nella sua opera Principi di Psicologia, egli afferma che la mente è caratterizzata da un susseguirsi continuo di esperienze, che definisce flusso di coscienza. Tali esperienze causano mutamenti continui nella mente. Per questo motivo, più che chiedersi quale sia la natura della mente e quali possano essere i suoi elementi fondamentali, bisognerebbe chiedersi quale sia la finalità dei processi psichici e come essi avvengano: in tal senso si parla di funzionalismo, ossia studio della funzione del pensiero umano. Il funzionalismo si contrappone allo strutturalismo, per il quale è importante scomporre l’esperienza in una serie di elementi fondamentali (sensazioni, immagini mentali, stati affettivi), per poi studiare le relazioni che intercorrono tra essi. Per dare una risposta a quale siano le finalità dei processi della mente, il funzionalismo attinge all’evoluzionismo di Darwin, il quale afferma che ogni organismo deve far fronte a problemi di adattamento nell’ambiente in cui vive. Solo gli organismi che possiedono queste qualità di adattamento riescono a sopravvivere e a riprodursi più facilmente di altri. In tal modo, è possibile perpetuare la specie. Gli altri, invece, sono destinati ad estinguersi. Le attività mentali danno un importante contributo alla possibilità di sopravvivenza dell’uomo e alla perpetuazione della sua specie. Per questo motivo, il funzionalismo ritiene che la finalità dei processi mentali sia adattare l’organismo all’ambiente e favorire la sopravvivenza della specie. Per adattamento, James intende anche la capacità di modificare l’ambiente circostante in modo da renderlo più rispondente ai propri bisogni. Un altro aspetto fondamentale del funzionalismo di James è il pragmatismo, in base al quale lo studio della mente va rivolto soprattutto verso quelle funzioni che mostrano una loro utilità pratica. In quest’ottica assumono particolare rilievo le funzioni utili per la sopravvivenza dell’organismo. In ambito psicologico, il funzionalismo trova la sua formulazione completa nella scuola di Chicago (fondata nel 1930) alla quale si possono ricondurre il pedagogista John Dewey e lo psicologo James Rowland Angell, autore dell’articolo The Province of Functional Psychology, considerato il manifesto della psicologia funzionale. In Europa, un esponent di spicco del funzionalismo è stato il pedagogista Claparède. Il funzionalismo ebbe ricadute anche in ambito pedagogico, in cui assumono rilevanza specifica le funzioni che favoriscono l’apprendimento e la motivazione: il bisogno di apprendere e la curiosità sono elementi essenziali che hanno determinato la sopravvivenza dell’uomo e la sua predominanza sulle altre specie viventi. 5.5.1 Le scuole nuove, la scuola attiva e l’attivismo Verso la fine dell’800 si diffondono in Europa e negli USA le new schools. Esse hanno caratteristiche specifiche che variano da paese a paese, ma è possibile riconoscere na serie di tratti comuni: • Si tratta di esperienze educative che rompono con l’organizzazione e i metodi della scuola coeva; • Sono scuole destinate a formare la futura classe dirigente; • Pongono particolare attenzione all’istruzione di tipo scientifico, allo studio della lingua e all’esperienza diretta sulla realtà circostante, mediante attività che possano stimolare l’interesse del discente. Quest’ultimo deve sperimentare e comprendere, mediante l’esperienza e l’attività pratica, senza mai avere un atteggiamento passivo. L’elaborazione teorica che si occupa di descrivere l’impostazione educativa delle scuole nuove è merito di Adolphe Ferrière. Egli istituisce in prima persona una scuola nuova in Svizzera e nel 1899 fonda l’Ufficio Internazionale delle Scuole nuove, il cui intento è raccogliere le esperienze delle scuole nuove al fine di integrarle in una visione organica. Nel 1917, il pedagogista Bovet utilizza per la prima volta l’espressione scuole attive per riferirsi alle scuole nuove. Questa denominazione viene poi diffusa da Ferrière che, in occasione del Primo Congresso sull’Educazione Nuova (1921), delinea i principi fondamentali dell’azione educativa delle scuole attive: ➢ Il fanciullo deve essere posto al centro del processo educativo (puerocentrismo in opposizione alla visione magistrocentrica); ➢ L’azione educativa deve tener conto della fase di sviluppo che il discente sta attraversando, nonché delle sue attitudini, dei suoi bisogni e interessi, i quali vanno assecondati per favorire l’apprendimento; ➢ L’azione educativa deve favorire la cooperazione tra gli alunni: questa si realizza particolarmente attraverso attività manuali, esperienza diretta, lavoro e gioco (“il fare” indirizzato all’apprendimento). Un ulteriore aspetto cooperativo è la coeducazione, cioè la presenza di alunni di entrambi i sessi, affinché ciascuno possa riconoscere le caratteristiche dell’altro; ➢ L’ambiente deve fornire stimoli positivi: il docente deve avere cura di predisporre intorno all’alunno un ambiente di apprendimento efficace; ➢ L’attività dei fanciulli deve svolgersi in piena libertà: il docente deve rinunciare ad un atteggiamento autoritario, limitando i propri interventi e lasciando al bambino la possibilità di esprimersi a pieno; ➢ Le attività di tipo intellettuale (non pratiche) sono impostate su un percorso di scoperta, senza fare ricorso alla memoria in modo meccanico; ➢ È necessario creare rapporti sociali tra gli alunni, che sia loro come l’educazione alla cittadinanza. Dalle scuole attive e dalla formalizzazione di Ferrière nasce il termine attivismo: i maggiori esponenti di questa corrente pedagogica sono Claparède, Decroly, Montessory e Dewey. 5.5.2 Edouard Claparède Gli elementi fondamentali alla luce dei quali è possibile è possibile leggere il pensiero pedagogico di Claparède sono: ➢ Il funzionalismo psicologico → secondo cui l’obiettivo della psicologia è chiedersi quali siano le finalità delle attività mentali; ➢ L’evoluzionismo darwiniano → le funzioni della mente, la curiosità, il bisogno di conoscenza sono le caratteristiche che hanno permesso all’uomo di sopravvivere e di evolversi; ➢ Il metodo scientifico→ Claparède si propone di descrivere le pratiche pedagogiche mediante un approccio scientifico, segnando una rottura con i precedenti pedagogisti che facevano leva sull’intuito, sul buon senso e sulle opinioni personali prive di fondamento scientifico. Nell’opera L’educazione funzionale, Claparède studia le tappe evolutive del bambino alla luce del funzionalismo, individuando sei leggi di sviluppo funzionale alla base di una nuova concezione dell’attività educativa: 1) Legge della successione genetica → il bambino attraversa fasi di sviluppo che si succedono in un ordine determinato e costante e che si differenziano da quelle delle altre specie perché sono più lunghe ed articolate. Proprio queste fasi Per impostare il suo impianto pedagogico, Decroly parte dai bisogni del fanciullo (approccio funzionalista). Il programma pedagogico deve riuscire a soddisfare tali bisogni, che possono essere suddivisi in: • Esigenze soggettivo-psicologiche → legate alle necessità del fanciullo. Esse sono riconducibili a quattro bisogni fondamentali: nutrirsi, lottare contro le intemperie, difendersi dai pericoli, lavorare e rilassarsi. • Esigenze oggettivo-sociali → legate all’ambiente in cui il fanciullo è immerso. Per ambiente si può intendere sia il sistema di relazioni sociali che il bambino instaura in famiglia o a scuola, sia il vero e proprio ambiente fisico nel quale egli è immerso (la natura). Da ognuno di questi bisogni può nascere un particolare interesse: ad esempio, dal bisogno di nutrirsi nasce l’interesse per il cibo, mentre dal bisogno di proteggersi dalle intemperie può nascere l’interesse per la casa. Pertanto, è importante impostare la didattica mediante dei centri di interesse che possano attirare l’attenzione del bambino e motivarlo alla scoperta e alla conoscenza. Intorno a questo centro di interesse sono poi raggruppate delle nozioni ad esso pertinenti. In breve, le attività non vengono suddivise in base alle discipline, ma intorno ai centri di interesse. Si imposta un apprendimento naturale: in questo modo, l’alunno non ha bisogno di ricordare meccanicamente una serie di concetti astratti e decontestualizzati. L’utilizzo di centri di interesse crea una nuova modalità di impostazione del programma educativo: il programma delle idee associate. Si tratta di aggregazioni di concetti e idee intorno al centro di interesse. Questa strategia permette al fanciullo di ampliare il suo sapere in modo naturale. Un altro elemento essenziale nella didattica di Decroly è l’ambiente: il programma educativo deve creare le condizioni di adattamento del fanciullo all’ambiente sociale in cui vive. Infatti, il programma enunciato dal pedagogista belga mira a promuovere lo sviluppo sociale del bambino e presta particolare attenzione alle dinamiche di classe, all’interazione tra fanciulli e al rapporto tra docente e alunni. Decroly è convinto che il contatto con la natura e la vita in campagna siano preferibili per impostare il programma educativo del fanciullo, rispetto ad un ambiente artificiale come quello della città. La didattica intorno al centro di interesse si articola in tre tipi di attività: ➢ Attività di osservazione → gli allievi acquisiscono esperienze e informazioni in modo personale e diretto. In questa fase, si formulano impressioni, si stimano quantità e grandezze. ➢ Attività di associazione → i fanciulli acquisiscono conoscenza in modo indiretto, attraverso richiami di cognizioni acquisite in precedenza. Si tratta di una fase in cui si possono operare confronti, compiere generalizzazioni ed esprimere giudizi o valutazioni. ➢ Attività di espressione → i fanciulli esprimono quanto appreso attraverso un disegno, un componimento, una realizzazione pratica. I progressi degli alunni vengono monitorati mediante schede di osservazione a carattere individuale. Il centro di interesse ha un carattere globale: gli oggetti e i fenomeni vengono presentati ai fanciulli nella loro complessità e globalità, senza essere artificialmente decomposti mediante processi analitici. Infatti, presentare la conoscenza nelle sue componenti essenziali, che non trovano riscontro nella realtà, disorienta i bambini e li demotiva. Dunque, il docente deve fare attenzione a sviluppare delle attività che centrino i bisogni dei fanciulli e stimolino il loro interesse. Dell’approccio globale possono beneficiare tutte le discipline, tuttavia, Decroly è noto per aver applicato la funzione globalizzatrice alle attività di lettura e scrittura: per facilitare l’insegnamento della lettura, l’insegnante parte da frasi o parole che destano emozione e interesse nel bambino; da queste si passa progressivamente allo studio degli elementi costitutivi delle parole (lettere e sillabe). 5.5.4 Don Bosco Don Bosco è stato il fondatore delle congregazioni dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Fu fautore della pedagogia povera, indirizzata ai giovani provenienti da ambienti disagiati. Secondo don Bosco è necessario fornire a tutti i giovani un’istruzione elementare, un’educazione morale e un lavoro, affinché possano inserirsi nella società. Il principio educativo da lui adottato era il metodo preventivo: è necessario interessarsi della formazione dei giovani in modo da prevenire il disagio morale della società. Dunque, l’educazione ha valore civile e preventiva. Tale sistema preventivo si basa su: ragione, religione e amorevolezza. Quest’ultima, in particolar modo è la più importante: gli educatori devono essere amorevoli e comprensivi con i giovani. 5.5.5 Don Milani La sua figura è legata in particolar modo all’esperienza didattica rivolta ai bambini poveri nella Scuola di Barbiana, in cui avviò il primo tentativo di scuola a tempo pieno, rivolta a coloro che, per mancanza di mezzi, quasi inevitabilmente sarebbero stati destinati a rimanere vittime di una situazione di subordinazione sociale e culturale. La finalità della Scuola di Barbiana era costituire un’istituzione inclusiva, senza selezionare, facendo in modo che tutti gli alunni (tramite un insegnamento personalizzato) giungessero ad un livello minimo d’istruzione, garantendo l’uguaglianza con la rimozione di quelle differenze che derivano da censo e condizione sociale. Nella sua opera Lettera a una professoressa (1967), i ragazzi della scuola insieme a don Milani, denunciano il sistema scolastico, borghese e classista, che favorisce l’istruzione selettiva delle classi più ricche. Don Milani adottò per primo il motto “I care” (in dichiarata contrapposizione con il “Me ne frego” fascista), che sarà in seguito fatto proprio da numerose organizzazioni religiose e politiche. Don Milani abolì ogni forma di punizione corporale, sostituendole con la perdita della benevolenza o del sorriso del maestro. La sua concezione pedagogica, infatti, è detta del professore-amico, in contrapposizione con il modello prevalente del docente distaccato e autoritario. Nella scuola di Barbiana, egli ha utilizzato il metodo del mutuo insegnamento (insegnamento reciproco): metodo didattico elaborato nel Medioevo e poi ripreso da alcuni pedagogisti rinascimentali (es. Comenio). Secondo questo metodo, l’insegnamento del docente non viene impartito simultaneamente a tutti i discenti, ma solo a quelli più capaci, che a loro volta comunicano agli altri quanto appreso. Nonostante l’attività sportiva rivestisse un ruolo limitato nel modello educativo di don Milani, egli imitò l’esempio del pedagogista rinascimentale Vittorino da Feltre che sosteneva la necessità delle pratiche ginniche in alternanza con l’esercizio mentale. 5.5.6 Maria Montessori Montessori è stata la prima donna a svolgere la professione medica in Italia. Il suo lavoro l’ha portata a contatto con i bambini diversamente abili, per i quali ha ideato approcci pedagogici e relative metodologie didattiche che hanno mostrato risultati positivi. In seguito, il suo metodo è stato esteso a tutti i bambini. L’esperienza più importante è quella della Casa dei Bambini, a Roma. Oggi le scuole montessoriane sono diffuse in tutto il mondo. L’opera in cui viene presentato il metodo Montessori è Il Metodo della Pedagogia Scientifica applicato all’educazione infantile: la prima prestabilite. Chi non lo fa è invitato in silenzio a seguire il compagno che svolge l’attività correttamente. La maestra funge da guida e da sostegno all’attività. Montessori prevede anche la presenza di una maestra che assuma un ruolo parzialmente riconducibile a quello di uno scienziato, ritirandosi ai margini dell’area in cui i bambini operano e osservando le attività da loro svolte. Da tali osservazioni ricava informazioni sulla crescita degli alunni e sui risultati da essi raggiunti. Secondo Montessori, vi sono delle caratteristiche universali e innate (tendenze umane). Tali tendenze umane sono viste come comportamento-guida in ogni fase dello sviluppo e l’educazione dovrebbe facilitarne l’espressione: istinto di conservazione, orientamento nell’ambiente, manipolazione dell’ambiente, esattezza, ripetizione, ordine, esplorazione, comunicazione, lavoro, astrazione, auto-perfezionamento. Un bambino non ha raccolto molte esperienze nel corso della sua breve esistenza, pertanto ogni nuova esperienza può destare in lui una certa curiosità. È come se la mente del bambino, essendo relativamente a digiuno, avesse fame di esperienze e fosse naturalmente predisposta a immagazzinarle. La mente del bambino, più di altre, tende ad assorbire anche inconsapevolmente le sensazioni che gli provengono dall’ambiente, imparando anche in modo non volontario. A tal proposito, Montessori parla di mente assorbente, dotata di capacità selettiva (cioè in grado di trattenere solo le informazioni che ritiene importanti) e capacità organizzativa (in grado di organizzare il sapere che recepisce dalle esperienze). Queste ultime due capacità devono essere favorite e stimolate da una didattica opportuna. Secondo Montessori, la realtà è per il bambino come una nebulosa spaziale (nebula), confusa e indistinta. Così come dalla nebulosa si formano gradualmente, in modo distinto, astri e pianeti, analogamente, le esperienze e la mente assorbente aiutano a definire e ordinare le conoscenze del bambino. L’acquisizione del linguaggio è l’esempio più evidente della mente assorbente: entro i tre anni, il bambino è capace di acquisire l’uso della lingua senza imparare le regole grammaticali. Egli acquisisce la lingua senza delle vere e proprie lezioni, ma solo ascoltando, ripetendo e assimilando. Per Montessori, il periodo della mente assorbente va da 0 a 3 anni. Nel periodo successivo (3-6 anni) le caratteristiche della mente assorbente continuano in parte a persistere, ma essa si affianca alla mente cosciente: il bambino inizia a sentire l’esigenza di organizzare e ordinare i contenuti che ha acquisito. Proprio in questo periodo i materiali e le attività previsti dal metodo Montessori aiutano il bambino nel compito di riordino cosciente delle sensazioni che provengono dall’esterno. L’ordine ricreato nell’ambiente della classe, con i materiali disposti sugli scaffali, aiuta a favorire l’ordine e l’organizzazione mentale del fanciullo. La teoria del pensiero cosmico pervade l’intera opera di Montessori, sebbene lei ne parli più sistematicamente a partire dal periodo in cui vive in India (1942- fino alla fine del secondo conflitto mondiale) e per tutta la fase finale della sua vita, in particolare in opere come Educazione per un mondo nuovo e Come educare il potenziale umano. Secondo Montessori, nonostante ci possa sembrare di vivere nel disordine e nel caso, il nostro universo tende sempre all’armonia e all’equilibrio. L’esistenza di un “piano cosmico” implica che ogni essere vivente ha un compito a cui deve adempiere nella propria vita e che costituisce la sua ragione d’esistere. Di fronte a questo “piano”, Montessori avverte la necessità di educare l’uomo e il suo potenziale, affinché possa costruire un “mondo nuovo”, nella piena consapevolezza che le sue azioni non possono prescindere da ciò che lo circonda, perché tutto rientra in quell’unico destino che è anche il suo. In quest’ottica, nel testo Come educare il potenziale umano, Montessori illustra agli educatori e agli insegnanti come condurre i bambini a partire dai sei anni alla scoperta della storia della Terra, dell’universo e della storia dell’umanità. Così come nel periodo dell’infanzia il compito dell’educatore è quello di favorire l’assimilazione dell’ambiente, dai sei anni il suo ruolo è quello di favorire in ogni modo possibile l’assimilazione della cultura verso la quale il bambino e naturalmente predisposto. 5.5.7 John Dewey Dewey è il maggior esponente dell’attivismo. Ha fondato presso l’università di Chicago una scuola elementare nella qual ha svolto studi di pedagogia e didattica. Nell’opera Il mio credo pedagogico, Dewey declina in cinque articoli fondamentali la propria idea pedagogica: 1) L’educazione è un processo che permette all’individuo di giungere gradualmente a contatto con le risorse intellettuali e morali che l’umanità ha conquistato e di divenire depositario del capitale delle conoscenze. Il processo educativo è costituito da due aspetti fondamentali: • Psicologico → permette di determinare i bisogni, gli interessi e le potenzialità dei discenti; • Sociologico → è necessario in quanto le condizioni sociali del discente influenzano le caratteristiche e le attitudini del fanciullo. 2) La scuola è una comunità in cui tutti i mezzi sono destinati a rendere il fanciullo capace di partecipare attivamente alla vita sociale e di contribuire al progresso della società. La scuola non prepara alla vita, ma è un contesto in cui si attuano processi che costituiscono la vita stessa. In tal senso si parla di “scuola laboratorio”. 3) I contenuti dell’educazione delle varie discipline sono mediati attraverso le attività sociali del fanciullo. L’educazione deve essere attuata mediante l’esperienza che è il mezzo per educare, ma anche la finalità verso la quale l’educazione tende. Dunque, l’esperienza è la vera fonte di conoscenza. 4) Il metodo educativo deve tener conto della natura del fanciullo. Il fanciullo non può avere un atteggiamento passivo. Anche le idee teoriche sono finalizzate allo sviluppo successivo di un’azione. 5) Il progresso sociale è garantito dalla scuola e dalla sua azione educativa. Qualsiasi legge o riforma che tenda a migliorare le condizioni complessive della società risulta futile e sterile se gli individui non hanno i mezzi per intenderla o accoglierla. Nell’opera Scuola e società, Dewey delinea le caratteristiche della scuola attiva nella società democratica, partendo dalla sua esperienza nella scuola laboratorio annessa all’università di Chicago. Il contesto scolastico deve riprodurre quello di una piccola comunità nella quale si sperimentano le dinamiche (semplificate e modellizzate) della vera vita sociale. Nel preparare alla vita, la scuola deve essere essa stessa vita. Per contribuire effettivamente alla crescita sociale, la scuola deve partire dai bisogni, dagli impulsi e dagli interessi degli alunni. Tali impulsi, non vanno repressi o ignorati, ma canalizzati verso attività educative. Alla base delle attività vi è l’esperienza, realizzata mediante un’azione pratica: è proprio l’esperienza che permette di attribuire significati a tutto ciò che si conosce teoricamente. Essa mostra le vere finalità delle conoscenze e fa emergere l’utilità dei concetti che si conoscono. Il lavoro è un elemento che Dewey ritiene fondamentale nella scuola attiva. Avvicinare il giovane ad un lavoro, non solo permette di trasmettergli conoscenze e abilità di tipo tecnico e competenze di carattere sociale, ma lo fa anche meditare sui risvolti storici e geografici di quell’attività, così come sugli aspetti scientifici. Mediante il lavoro, la scuola favorisce l’apprendimento di esperienze che abbiano un’effettiva utilità sociale. soluzioni). A questo punto si rende necessario uno studio più approfondito del problema. 2) Intellettualizzazione → si inquadra il problema nelle sue variabili fondamentali e si inizia a comprendere quali siano le difficoltà che il problema effettivamente presenta. 3) Idea guida o ipotesi → una delle suggestioni iniziali comincia ad essere considerata come eventuale soluzione. 4) Ragionamento → viene elaborata una risoluzione attraverso conoscenze ed esperienze già elaborate in precedenza. 5) Controllo delle ipotesi → si verifica la validità della risoluzione elaborata nella fase precedente mediante un’azione diretta (può avere un fine universale e generico, come nel caso di uno scienziato che conferma una teoria; o può essere un’azione svolta da un comune individuo che ha un fine pratico e personale). In queste fasi vi è una chiara influenza funzionalistica: si parte da un individuo che è in equilibrio con l’ambiente esterno; tale equilibrio si rompe a causa di un fattore di novità. Ciò crea nell’individuo un dubbio. Il soggetto ha interesse a risolvere il problema e inizia ad indagare per giungere ad una soluzione. Questa, a sua volta, determina una nuova conoscenza e un’evoluzione dell’individuo, ristabilendo il suo stato di equilibrio con l’ambiente esterno. Il saggio Esperienza ed educazione è una risposta di Dewey alle diverse critiche che vengono rivolte alle scuole nuove e alla centralità dell’esperienza. Nella parte iniziale del saggio, egli individua due tipologie di scuole: ➢ Scuole tradizionali → hanno programmi statici e immutabili, lontani dall’esperienza e caratterizzati da un’impostazione teorica e formale, appresa soprattutto dai libri. Si tratta di un approccio standardizzato che spesso può essere distante dalle esigenze di ogni singolo alunno. Vi è una forte autorità del docente e una passività ricettiva del discente; ➢ Scuole nuove (o scuole attive) → applica un’educazione progressiva, cioè che segue lo sviluppo cognitivo di ciascuno studente. Il punto di partenza è l’esperienza, lo studio di una situazione reale. Solo in seguito si giunge ad una formulazione teorica. In queste scuole il discente è attivo e gode di una certa libertà nel suo iter formativo. Secondo Dewey, in una società democratica dove il cambiamento è la regola e dove ciascun individuo ha specifiche caratteristiche, l’approccio delle scuole tradizionali risulta fallimentare. Tuttavia, alcune critiche possono essere rivolte alle scuole nuove, nel momento in cui non propongono esperienze significative. Dewey, infatti, accetta l’assunto secondo il quale non tutte le esperienze sono educative. Il punto cruciale, dunque, non è accumulare esperienze, ma proporne di realmente significative. Le esperienze positive si conformano ai seguenti principi: ➢ Principio di continuità → un’esperienza deve attingere da quelle precedenti. In tal modo le esperienze precedenti trovano una giustificazione nell’essere propedeutiche all’esperienza attuale; ➢ Principio di crescita → l’esperienza educativa ha un suo valore se permette di accrescere le abilità e le conoscenze del discente; ➢ Principio di interazione → le esperienze sono frutto di due tipi di fattori: • Fattori esterni (oggettivi) → legati all’ambiente dove avviene l’esperienza (ambiente scolastico, che deve essere controllato dal docente); • Fattori interni (soggettivi) → sono specifici del discente e più difficili da prendere in considerazione da parte del docente. È compito dell’educatore, dunque, progettare esperienze che riprendano i suddetti principi. Questi deve conoscere i propri allievi, in modo da tenere conto dei fattori interni e poi mettere a fuoco i loro bisogni e i loro interessi. Il metodo dei progetti di Kilpatrick Kilpatrick è stato allievo di Dewey e, partendo dall’idea dell’educazione dell’elemento cruciale per la crescita sociale, prova a tradurre principi mettendo a punto il metodo dei progetti sperimentato nella scuola elementare di Chicago. All’argomento sono dedicate due sue opere: Il metodo dei progetti e Fondamenti del metodo. Al curricolo tradizionale, Kilpatrick sostituisce un percorso fatto di progetti, possono essere di quattro tipi: 1) Di produzione → volti ideare costruire cose; 2) Di consumo →finalizzati ad attuare modalità specifiche di fruizione dell’esperienza; 3) Di problema → orientato cercare la soluzione a un problema che viene presentato; 4) Di addestramento → finalizzato ad acquisire le competenze e le abilità tecniche necessarie per affrontare un problema. Le attività devono avere degli scopi definiti e devono svilupparsi lungo un processo in quattro fasi sequenziali: 1) Ideazione → fase in cui si definisce l’idea del progetto; 2) Pianificazione → fase in cui si identificano i passaggi necessari per la realizzazione del progetto; 3) Esecuzione → fase di realizzazione del progetto; 4) Valutazione → fase in cui si esprime un giudizio sugli altri. In conclusione, nel modello proposto da Kilpatrick, la scuola non è solo attiva (come quella pensata dal suo maestro), ma pragmatica e porta a livelli molto alti di sviluppo il concetto di learning by doing. 5.5.8 Roger Cousinet Nell’opera Un metodo di lavoro libero per gruppi¸ Cousinet espone la sua idea di metodo, incentrato sull’autonomia del discente. Per Cousinet, l’insegnamento tradizionale impedisce l’individualizzazione perché propone un approfondimento indifferenziato e allo stesso tempo ostacola la comunicazione e la cooperazione tra gli studenti. Al contrario, egli sostiene che il lavoro scolastico dovrebbe favorire la socializzazione tra gli allievi. Per una didattica efficace, inoltre, è necessario che i gruppi si formino liberamente, secondo le simpatie e le predisposizioni dei fanciulli. Secondo Cousinet, infatti, il gruppo è in grado di gestire anche la conflittualità. L’insegnante non deve presentarsi come onnisciente, ma come adulto ragionevole e responsabile che lavora accanto ai propri allievi sostenendo nelle loro attività. ➢ Legge delle frequenza → la probabilità di una risposta è direttamente proporzionale al numero di volte in cui tale risposta si è verificata in seguito allo stimolo. ➢ Legge della recenza → la risposta più recente è quella maggiormente probabile. Pertanto, nel prevedere una risposta ad uno stimolo, occorre osservare quante volte e quanto di recente tale risposta sia stata data. In relazione al condizionamento, è famoso l’esperimento del piccolo Albert, un bambino di 9 anni che ama giocare con un topolino bianco e che viene spaventato con rumori violenti proprio mentre gioca con il topo: uno stimolo incondizionato (il rumore violento), provoca una risposta incondizionata (la paura). Allo stimolo incondizionato il bambino associa lo stimolo neutro (il topolino). Dopo una serie di somministrazioni dei due stimoli congiuntamente, Albert finisce per avere paura anche del topolino: dunque, egli mostra una risposta condizionata o riflessa (la paura) in presenza dello stimolo neutro (il topolino) che è diventato stimolo condizionato. Pertanto, una risposta connaturata nel bambino (la paura) viene estesa anche a nuovi stimoli . Nei suoi studi, Watson non ha approfondito gli aspetti pedagogici. Le sue idee sul processo educativo vengono esposte nell’opera Psychological Care of Infant and Child: secondo l’autore, non vi deve essere alcuna forma di permissivismo e i genitori devono mantnere un certo distacco emotivo dal fanciullo, per il bene della sua educazione. Con il progredire della sua ricerca, Watson minimizza sempre di più le conoscenze innate negli esseri viventi: nell’opera Behaviourism conclude che mediante il condizionamento e la realizzazione di un ambiente circostante appropriato, è possibile cambiare radicalmente i comportamenti dei soggetti. L’educazione che avviene mediante il condizionamento può consentire a chiunque di raggiungere un’adeguata condizione sociale. 5.6.3 Edward L. Thorndike Per il suoi studi, Thorndike usa la gabbia-problema (puzzle box): un gatto affamato viene rinchiuso nella gabbia e può osservare a vista il cibo che si trova esternamente ad essa. L’animale adotta determinati comportamenti per uscire dalla gabbia, alcuni dei quali non danno risultato (graffiare le pareti, saltare contro il tetto, mordere le sbarre). La gabbia è dotata di dispositivi che ne permettono l’apertura (sollevamento di un gancio o pressione di una leva). Può succedere che il gatto azioni la leva o il gancio e riesca ad aprire la gabbia, raggiungendo il cibo. Questo comportamento porta Thorndike a formulare l’ipotesi dell’apprendimento per prove ed errori: al fine di raggiungere un determinato obiettivo, si adottano dei comportamenti diversi, anche in modo casuale, fino ad individuare quel comportamento che si ritiene soddisfacente per arrivare allo scopo. L’esperimento di Thorndike ripropone la dinamica stimolo-risposta tipica del comportamentismo: la visione del cibo è lo stimolo, i comportamenti che azionano la leva o il gancio sono la risposta. Continuando i suoi esperimenti, lo studioso nota che i gatti, trovandosi di fronte alla medesima situazione, tendono ad eliminare i comportamenti superflui e fissano in modo sempre più deciso quelli che favoriscono l’uscita dalla gabbia. Per tale motivo, Thorndike formula le seguenti leggi dell’apprendimento: ➢ Legge sull’effetto→ se un’associazione stimolo-risposta (comportamento) porta il soggetto ad uno stato di soddisfazione, tale associazione tenderà a verificarsi sempre più spesso, ossia, il comportamento verrà adottato di frequente. Se l’associazione porta ad un disagio, allora tenderà ad essere rimossa. ➢ Legge dell’esercizio → se un’associazione viene ripetuta spesso, essa tende a rinsaldarsi, mentre se non viene ripetuta tende a scomparire. ➢ Legge della prontezza → un soggetto trova stimolante compiere una certa associazione quando è pronto, cioè quando è sufficientemente maturo per compierla. Se non è nello stato di poterla compiere, il fatto di metterla in atto lo porta ad una situazione di disagio. In modo analogo, l’essere pronti a svolgere una certa associazione e non essere messi in condizione di farlo crea parimenti uno stato di disagio. Sebbene ricavate da esperimenti condotti su animali, Thorndike considera tali leggi adatte a descrivere anche il comportamento umano. Nel 1931, pubblica Human Leaning e rivede le sue leggi, in seguito ad altri esperimenti, questa volta compiuti sugli esseri umani. In particolare per quanto riguarda la legge dell’effetto, lo stato finale di soddisfazione influenza l’apprendimento del soggetto molto di più dello stato finale di disagio. Inoltre, egli abbandona la legge dell’esercizio, avendo sperimentato che una mera ripetizione meccanica di un comportamento non necessariamente porta ad un apprendimento. Thorndike si convince di questo in seguito ad un esperimento nel quale chiede un numero considerevole di volte a degli uomini bendati di disegnare una linea verticale diritta lunga 10 cm. La ripetizione dell’esercizio non causa il miglioramento della prestazione. In seguitoo a tali esperimenti, si rinsalda la convinzione che per l’apprendimento sia necessario un rinforzo positivo, ossia un feedback, una ricompensa. Dalla dinamica stimolo- risposta, si determina una nuova dinamica stimolo-risposta-rinforzo: dato un determinato stimolo, la risposta che viene attuata (e appresa) è quella che conduce ad una ricompensa. 5.6.4 Burrhus F. Skinner Nell’opera Il comportamento degli organismi, Skinner delinea due tipi di comportamento: ➢ Comportamento rispondente → segue il paradigma stimolo-risposta. È un comportamento indotto da uno stimolo esterno che genera nel soggetto una risposta (comportamento studiato da Pavlov, Watson e Thorndike). Questo comportamento è di natura passiva. ➢ Comportamento operante → il soggetto, senza ricevere particolari stimoli dall’esterno, produce un comportamento al fine di ricevere un effetto premiante (rinforzo positivo). Il rinforzo è uno stimolo a posteriori (cioè che segue l’azione) che induce il soggetto ad avere in seguito un comportamento analogo. Si tratta di un comportamento attivo, in quanto il soggetto opera di sua iniziativa sull’ambiente esterno al fine di ricevere un beneficio. Questa procedura di condizionamento è definita da Skinner condizionamento operante: la probabilità che una certa azione venga ripetuta dipende dalle sue conseguenze. Nel suo libro Science and Human Behaviour¸ Skinner paragona il condizionamento operante ad un ceramista che modella un pezzo di argilla15. Sia nel bambino che nell’adulto si generano comportamenti operanti, che vengono messi in atto per ricevere un premio (rinforzo positivo): ad esempio un bambino può trovare dilettevole stare in braccio alla mamma; si supponga che, in seguito al pianto del bambino, generato da un qualsiasi motivo, la mamma lo prenda in braccio per calmarlo. Può succedere che il bambino pianga in modo operante (cioè senza particolari stimoli provenienti dall’esterno) per ricevere il rinforzo positivo (per essere preso in braccio). Altri tipi di comportamenti operanti vengono attuati per sottrarsi a situazioni di disagio: ad esempio, se un alunno studioso viene deriso dai compagni meno volenterosi, è probabile che ad un certo punto tenderà ad affievolire il suo comportamento da studioso, per eliminare la situazione di disagio che vive. Al comportamentismo di Skinner viene spesso associato l’aggettivo radicale. Secondo lo psicologo statunitense, lo studio del comportamento può diventare una scienza naturale, cioè avvalersi dell’oggettività, della riproducibilità dei risultati e del rigore. Il comportamento è un dato oggettivo che può essere studiato scientificamente. Non vi sono fattori dovuti a variabili interne al soggetto: i concetti che spesso vengono 15 Skinner definisce shaping (o modellaggio) quelle tecniche mediante le quali è possibile ottenere una modificazione del comportamento. I principi pedagogici di Skinner sono illustrati nell’articolo The science of learning and the art of teaching e sono approfonditi nel volume The technology of teaching. Skinner elenca una serie di correttivi che si possono applicare alla scuola: • Rinforzo → è molto efficace per promuovere comportamenti ritenuti desiderabili; quindi, sarebbe ottimale adottare rinforzi per incentivare atteggiamenti di motivazione allo studio. • Modalità del rinforzo → esso perde la propria efficacia quando giunge molto tempo dopo il comportamento desiderabile, per cui è importante definire quando l’alunno deve ricevere il rinforzo per le sue azioni: l’ideale sarebbe ricevere un feedback immediato dall’insegnante. • Strutturazione del programma → sarebbe opportuno un programma di insegnamento i cui risultati siano ottenuti progressivamente, in una sequenza stabilita in maniera rigorosa e scientifica. Nasce così l’idea dell’istruzione programmata, che si propone come metodologia alternativa a quella tradizionalmente adoperata nelle scuole. In essa: • Il rinforzo sostituisce la sanzione e la punizione ed è fornito ai soggetti nei tempi giusti e nelle modalità corrette, in modo da creare motivazione e apprendimento; • Il percorso di apprendimento è progressivo • Gli obiettivi intermedi e finali sono misurabili e certificabili; • Il percorso di apprendimento è personalizzato per ogni singolo alunno. Tuttavia, Skinner si rende conto quanto sia difficile attuare un percorso di istruzione programmata. Tuttavia, le moderne tecnologie informatiche permettono di trovare soluzioni agevoli a problemi come la personalizzazione del percorso o la cadenza serrata dei rinforzi. Così, prende piede l’idea di una macchina per l’insegnamento, che viene presentata in The teaching machine e ripresa in The technology of teaching. La macchina per insegnare non è un elemento di totale novità nel panorama educativo: nel 1920, lo studioso Sidney Pressey aveva messo a punto uno strumento che, in modo automatico, proponeva dei test composti da domande, per ciascuna delle quali la macchina dava automaticamente e immediatamente un feedback sulla correttezza. Alla fine del test era in grado di assegnare un punteggio. Lo stesso Pressey affermò che alla base della progettazione della sua macchina vi erano le leggi sull’apprendimento di Thorndike. Proprio a partire dagli studi pioneristici di Pressey, Skinner sostiene che si possano progettare macchine di insegnamento più elaborate ed efficaci. Queste apparecchiature possono essere programmate con molteplici obiettivi, modificare il loro comportamento in base alle risposte dello studente (possono ambiare la sequenza di domande in una più semplice se registrano molte risposte errate o passare a sequenze più difficili se le risposte esatte sono prevalenti) e possono fornire un feedback continuo. L’utilizzo delle macchine non sminuisce il lavoro degli insegnanti, i quali possono dedicarsi in modo più efficace alla progettazione di attività didattiche di gruppo, sperimentare nuove metodologie e occuparsi del lato umano, lasciando i compiti ripetitivi e noiosi alle macchine. Questo tipo di apparecchiature ha trovato in seguito la massima realizzazione pratica nei moderni software di Computer Based Training (CBT) e Computer Assisted Instruction (CAI). 5.7 Il neocomportamentismo e la genesi del cognitivismo Il modello neocomportamentista, delineato da Tolman e Hull, segna un punto di rottura con il comportamentismo classico e rappresenta un ponte verso le teorie cognitiviste. Il neocomportamentismo si sofferma su concetti come lo scopo e la memoria, dunque va oltre il semplice studio del comportamento. Al paradigma comportamentista stimolo-risposta si sostituisce un nuovo paradigma: la risposta allo stimolo è mediata dalla memoria, dalla percezione e dallo scopo, caratteristiche tipiche dell’organismo. Pertanto, il nuovo paradigma è stimolo- organismo-risposta. 5.7.1 Edward C. Tolman Tolman è considerato un precursore del cognitivismo. Egli sostiene che il comportamento di un soggetto debba essere osservato nella sua totalità, senza ridurlo ad una serie concatenata di stimoli e risposte. Pertanto, egli rompe con Watson e Thorndike che si erano dedicati allo studio di un comportamento molecolare, per dedicarsi allo studio di un comportamento molare (in riferimento alla mole, che contiene un numero alto di molecole): per esempio, nell’osservare come i ratti si muovono all’interno di un labirinto, non è opportuno soffermarsi sulle singole azioni, ma sul risultato complessivo di uscita dal labirinto in un determinato numero di mosse. Un primo importante risultato viene raggiunto nello studio Introduction and Removal of Reward, and Maze Performance in Rats (1930). Tre gruppi di topi (A.B e C) sono rinchiusi in tre labirinti diversi, per osservarne il comportamento che li porta ad uscire da essi. Inizialmente, i topi compiono percorsi casuali e avanzano per prove ed errori, fino a raggiungere l’uscita. Di seguito, posti nuovamente nel labirinto, iniziano a migliorare la prestazione. • Il gruppo A trova il cibo (rinforzo) e nelle varie esperienze impara velocemente ad uscire dal labirinto; • Il gruppo B non trova cibo e apprende meno velocemente ad uscire dal labirinto (compie molti più errori); Dunque, il gruppo B apprende meno velocemente del gruppo A per l’assenza di rinforzo. Fino a questo punto, il paradigma del comportamentismo sembra perfettamente rispettato. • Il gruppo C non trova cibo e si nota un comportamento analogo a quello del gruppo B fino al decimo giorno. Dall’undicesimo giorno in poi, il gruppo C trova del cibo all’uscita del labirinto: il paradigma stimolo-risposta vorrebbe che dall’undicesimo giorno in poi il gruppo C iniziasse a comportarsi come il gruppo A nei primi giorni, ossia che iniziasse a ridurre progressivamente il tempo di uscita fino a raggiungere le performance del gruppo A nel medesimo numero di giorni. Tuttavia, questo non avviene. Nel giro di un paio di giorni, i topi del gruppo C raggiungono il livello di prestazione del gruppo A. Questo risultato permette a Tolman di formulare diverse ipotesi: ➢ L’apprendimento può avvenire anche senza rinforzo → il gruppo C si porta subito al livello del gruppo A dopo la somministrazione del rinforzo, ciò significa che ha imparato ad uscire dal labirinto anche durante i primi dieci giorni. ➢ L’apprendimento può avvenire anche se non si manifesta alcuna variazione del comportamento → prima di questi esperimenti di Tolman, l’idea generale era che l’apprendimento si manifestasse necessariamente sotto forma di variazione del comportamento. In realtà, i topi del gruppo C, durante i primi dieci giorni, anche se stanno apprendendo come uscire, non modificano il loro comportamento e continuano a comportarsi come il gruppo B. In base a questa ipotesi, Tolman introduce il concetto di apprendimento latente: i topi del gruppo C apprendono, anche se non manifestano il loro apprendimento. ➢ Occorre distinguere tra apprendimento e performance → il rinforzo non determina l’apprendimento dei topi del gruppo C, ma sono la loro maggiore velocità nell’uscire dal labirinto. Dunque, si può concludere che il rinforzo non favorisce l’apprendimento, ma la performance.